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NOESIS – BERGAMO ANTHROPOS KAI CHRONOS EMANUELE SEVERINO
INCONTRI di FILOSOFIA 2011 - 2012 GLI ABITATORI DEL TEMPO
Pagina 1 di 6 Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
EMANUELE SEVERINO – GLI ABITATORI DEL TEMPO
Emanuele Severino – Università Vita Salute S. Raffaele,
Milano
Conferenza tenuta martedì 3 aprile 2012
1.1 RELAZIONE
Oggi, di fronte alle crisi economica, demografica,
ecologica, nucleare, si ha la sensazione che qualsiasi
discorso non pragmatico sia accolto con fastidio. Ma
l’incertezza ed il pericolo del mondo vanno guardati in
faccia, ed è essenziale sapere dove ci troviamo e quale sia il senso dell’incertezza e del pericolo.
Gli abitatori del tempo richiama il titolo di un non recente scritto del Severino. Si abita un luogo,
una casa, quando se ne riceve protezione, e se ne ha cura. Come si applica questa definizione al
tempo? Abitiamo il tempo per poter vivere. Se ci portiamo con la mente ai primi passi dell’uomo,
sia in senso filogenetico (prospettiva storica) che ontogenetico (prospettiva individuale), troviamo
attestazioni scientifiche che l’uomo primitivo (ed il bambino) vive in una situazione in cui può
sopravvivere solo se riesce a smuovere l’ambiente circostante. Vivere significa flettere qualcosa di
inflessibile. C’è un terrore arcaico per la barriera che va infranta. Questa opera di infrazione è
nota dalle scienze che studiano le fasi primitive dell’umanità. Nelle culture arcaiche si afferma la
consapevolezza che perché il mondo esista ci deve essere il sacrificio, lo smembramento di un dio
(o la flessione di una inflessibilità). Ritroviamo questo mito in numerose culture indipendenti, dal
Pacifico al Medio Oriente, in Egitto, Grecia (mito di Dioniso), India1. Questo mito si rinnova in
tempi storici con il sacrificio di Cristo, che in qualche modo costituisce il perfezionamento della
creazione del mondo, una sorta di rifondazione. La ricerca cristologica riconduce al momento
topico veterotestamentario: la tentazione del serpente. Tale tentazione prometteva di uguagliare
Dio (quindi uguagliamento della divinità, primo passo per l’abbattimento, la sostituzione,
simbolicamente l’uccisione della divinità stessa). Se mangiando il frutto proibito si diventa come
(= si uccide) Dio siamo di fronte ad un tentativo di smembramento, qui bloccato perché originato
dal serpente, ma poi ripreso per volontà divina con l’incarnazione del Cristo. L’uomo arcaico (e il
bambino) provano un terrore iniziale sia per la barriera, che per le possibili conseguenze della
decisione/necessità di infrangerla.
Per Aristotele il tempo è il numero del movimento, impensabile senza il divenire, cioè senza flettere
l’inflessibile. Il primo terrore è quello di morire se non si riesce a smuovere la barriera (per il
bambino, originariamente, se non si riescono a dilatare i polmoni per la prima volta). La rigidezza
è il demonico divino, un archetipo. Vedere l’inflessibilità significa vedere la forma originaria del
divino (che andrà smembrato per sopravvivere). Lo smembramento è il divenire aristotelico,
1 In forma filosofica ritroviamo lo stesso concetto, ad esempio, in Fichte: quando l’io (divinità primordiale assoluta) si
limita per fare spazio al non io, abbiamo una divinità che si limita, si smembra, per consentire l’esistenza del molteplice,
e per passare dalla perfezione statica, fuori dal tempo, al divenire, nel tempo. Il concetto è diffuso.
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l’uomo vive con senso di colpa la sorda convinzione di avere ucciso l’antenato, il demone, il dio.
Ora si presenta la seconda forma di angoscia: adesso che lo abbiamo smembrato, che abbiamo
messo in moto il divenire, come lo gestiamo? Il caos nietszchiano è questo: un divenire che
spaventa. L’angoscia per l’imprevedibilità del divenire è indicata dal termine greco zauma,
intraducibile in italiano a causa della sua vasta gamma di significati. Spesso lo si traduce con
meraviglia, ma il termine è inadeguato. Dire con Aristotele che ogni conoscenza ed ogni tecnica è
originata dalla meraviglia è limitativo. Secondo Omero, Polifemo che divora i compagni di Ulisse
è zauma, quindi il senso è assai più intenso e negativo di meraviglia. In Omero si evoca una
mostruosità orrenda. In genere, per avere originato la conoscenza e la filosofia, zauma indicherà
l’angosciato terrore per il divenire del mondo. La situazione umana procede dal terrorizzante e
cerca un rimedio contro il terrore. Esaminiamo l’insegnamento del mito (mythos: parole, racconto
di come stanno le cose). Di fronte al rimorso causato dallo smembramento del dio, ed al pericolo
di una sua rivalsa, si va alla ricerca di un rimedio che il mito individua nel sacrificio. L’uomo fa un
sacrificio perché si sente colpevole dell’uccisione dell’antenato (concetto centrale anche nella
psicoanalisi). In chiave razionale il concetto del sacrificio ha a che fare con il desiderio di
ricostituire quella risorsa che si è dovuta smembrare. Con questi concetti inquadriamo il modo in
cui l’uomo abita il tempo. Il rimedio è ciò che ci rende sopportabile l’angoscia del secondo tipo,
quella connessa con la necessità di vivere nel divenire.
Vi sono due tipi di rimedi:
Il racconto mitico
Il logos, la ragione, che in tempi moderni sfocia nella scienza e nella tecnica
La vita è tragica per l’imprevedibilità del divenire, che si tenta di superare/rimediare elaborando una
visione del mondo. Per il vero cristiano tale visione è ancora nelle mani di Dio, nel caso del
credente l’uomo è riuscito ad allearsi con la potenza suprema. L’angoscia si supera con la capacità
di previsione. La fede, con le profezie, ma soprattutto con le promesse di salvazione, offre
previsioni. La previsione scientifica non è che l’ultima forma di previsione. Il credente è abitatore
del mito. Vi sono più modi di abitare il tempo, legati ai tipi di rimedio che propongono:
Apparato mitico (ci affidiamo alla preghiera)
Apparato razionale (ci affidiamo alla ragione), e poi apparato scientifico tecnologico (ci
affidiamo alla scienza)
Il primo modo è un modo di collocarsi nel tempo che prescinde dal senso di essere. Il concetto di
nulla compare alle radici dell’Occidente e viene pensato come la radicale rottura con l’esistente.
Se il divenire e il tempo conducono nel nulla, questo cambia il modo di vivere e divenire.
Prima i morti se ne andavano con riti di continuità, si equipaggiavano per il viaggio, si riteneva che
potessero tornare. Al di là dell’angoscia che comunque causava, la morte era considerata in
continuità con la vita. Col concetto di nulla la continuità viene meno. Osserviamo tutto ciò da un
punto di vista filosofico perché è la filosofia che ha preparato la scacchiera su cui si giocano i giochi
dell’Occidente. Dopo la scoperta del nulla si comincia ad abitare il tempo in senso ontologico.
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Sottosuolo della filosofia degli ultimi due secoli è che dio sia morto2. “Dio è morto” costituisce il
secondo modo dello smembramento di Dio.
La situazione si presenta tragica, ma non è detto che non si riesca a tornare a riveder le stelle; questo
discorso non vuole essere la benedizione del tragico/negativo. Nel mito il messaggio è molto forte
perché c’è di mezzo la sopravvivenza, la strategia è allearsi col dio che si è smembrato. Ma
domandiamoci quale sia la portata del mito, come possiamo fare sì che il rimedio sia verità e non
mito. Citando da Eschilo: “E’ necessario che il dolore sia scacciato dalla mente con verità” e non
col sogno del mito.
Il secondo rimedio, più attento del mito alla verità, è il logos, la ragione, oggi la scienza. Qui la
ragione della speranza non sta nell’allearsi ma nello staccarsi dal dio smembrato, dalla scelta di
questo rimedio inizia il processo che porterà alla dichiarata morte di Dio.
Se l’uomo è deicida, il dio è originariamente omicida. Perché lo possiamo dire? Si veda il
Vangelo di Giovanni (Giovanni 8/44)3. Cristo, a quelli che lo vogliono uccidere, dice: “Voi siete
figli del diavolo.”. Il diavolo è omicida ab origine, e non si mantiene nella verità. L’omicidio è
orrore, ma Gesù lo collega all’errore. L’omicidio è tale in quanto lucidamente voluto, è la
decisione di chiudere i conti per sempre con chi percepiamo come nemico. Il diavolo è omicida ab
origine, cioè deciso a chiudere definitivamente i conti con l’uomo, spingerlo nel nulla senza ritorno.
Il pensiero di ciò che si vuole annullare è già vicino al nulla (Agostino, prope nihil). L’anima
dell’omicidio è la persuasione che le cose siano nulla. Oggi la scienza, al contrario, tenta anche di
estrarre cose nuove dal nulla.
La frase scandalosa è che l’uomo è deicida per necessità di sopravvivenza, mentre la divinità (il
diavolo)4 sarebbe omicida dall’origine.
La tecnica è l’ultimo dio, mentre Dio è il primo tecnico (tecnico demiurgico). La creazione è
definita come l’azione per cui non solo la creatura, ma anche la materia di cui essa è costituita,
escono dal nulla. Originariamente il dio pensa la nullità, e quindi genera le condizioni per
l’omicidio. Poiesis significa creazione di cose dal nulla.
La tecnica realizza nel modo più radicale la conclusione del pensiero dell’Occidente. Essa è la
forma più radicale e rigorosa della logica dell’abitare il tempo: affrancamento dal terrore e dal nulla
senza allearsi col potente.
L’uscita dalla situazione di crisi globale che stiamo vivendo non può venire da una nuova politica o
da una nuova finanza. La fuoruscita è la fuoruscita dal capitalismo. Il capitalismo non è la
2 Questo, secondo il Severino, dovrebbe essere il vero problema per la Chiesa, che invece perde tempo a combattere un
avversario debole come il relativismo, già sconfessato da Socrate. Il relativismo è contraddittorio in sé, in quanto si
propone come proposizione assoluta.
3 Si veda il testo riportato nel capitolo dei riferimenti
4 Qui nel discorso del Severino c’è apparente confusione tra la divinità ed il demone. Credo si risolva considerando un
generico ambito sovrumano in cui stanno sia Dio che Satana, sia gli angeli fedeli che i ribelli. Si dipana una divisione
che adombra l’ambiguità originaria del divino, sia protettore che ostile, esplicita nell’Induismo (Shiva è il distruttore,
Kalì è dea delle stragi, …). Inoltre il senso del divino si amplia ad includere l’antenato. Il culto dei morti ha portato
alla venerazione della catena degli antenati, e peraltro la nostra esistenza è stata conseguenza delle loro esistenze
precedenti, e quindi in qualche modo resa possibile anche dalle loro morti.
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tecnica. L’imprenditore vende con profitto merci relativamente scarse, il capitalismo prospera in
quanto perpetua la scarsa disponibilità delle merci. Il capitalismo non è immanente nella tecnica di
cui si serve. Qual è lo scopo della tecnica? Non si tratta di scegliere scopi, ma di incrementare
all’infinito la potenza, quindi alla fine di battere la scarsità che al capitalismo serve. La
destinazione del mondo al dominio della tecnica non va intesa in senso tecnicistico ma come modo
supremo di abitare il mondo. Per espandere la potenza senza limiti ci vuole una voce che assicuri
che non c’è un limite assoluto. Quindi serve qualcosa che neghi Dio, per definizione limite
dell’uomo. Dire che Dio è morto equivale ad affermare che la tecnica non ha limiti.
A questo punto si può trarre qualche conclusione ed intravedere qualche baluginare di stelle.
Keynes all’inizio del 900 diceva che la tecnica può soddisfare i bisogni primari dell’uomo, e quindi
porre le condizioni per realizzare il paradiso in terra. Ora siamo in una fase intermedia
caratterizzata da lotte tra poveri e ricchi. Si vede però la tendenza ad una situazione di abbondanza
che impoverirà tutti coloro che prosperano sulla penuria. Il paradiso della tecnica prospetta il
massimo della felicità in terra, ma la tecnica stessa si sta svuotando di verità in quanto sta
ammettendo di possedere solo verità probabilistiche basate su modelli congetturali. Il paradiso
della tecnica sarà privo della certezza della verità, e quindi potrebbe diventare l’inferno
dell’angoscia. A quel punto non più delle elites come i frequentatori di queste conferenze, ma
interi popoli parteciperanno al discorso filosofico e si interrogheranno sulla verità.
I popoli si interesseranno all’unico vero problema: la sicurezza della verità. Ma il cammino per
raggiungere la verità non è nella verità. A chi bussa non sarà aperto. L’uomo non può
raggiungere la verità, ma può esserne raggiunto5. Ma se l’uomo fosse non verità, la verità non
potrebbe raggiungerlo, quindi l’uomo è verità, e lo è da sempre. Si evidenzia un contrasto tra
essere abitatori della verità ed abitatori del tempo. Se la verità alita nell’abitazione del tempo vi
vede la follia. L’uomo senza fede, o con fede nel nulla, annulla tutto. L’uomo conscio di essere
verità apre alla speranza.
Questa è la tematica su cui i popoli saranno chiamati a pensare.
5 Credo che questa affermazione, fondamentale, richiederebbe una dimostrazione, o almeno il riferimento ad una chiave
di interpretazione.
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1.2 DIBATTITO
Argomento 1 – I popoli cercheranno il senso della verità, destinati a non ottenerla, ma possibilitati
ad esserne raggiunti. Oltrepassamento dell’uomo che cerca, comunque destinato al fallimento.
Risposta 1 – L’abitatore del tempo cerca quello che da sempre possiede. Qui ci vorrebbe
tutto un altro discorso, con cui si potrebbe dimostrare che l’uomo è l’apparire eterno della
verità6. Limitiamoci alla categoria dell’eternità: ogni esperienza dell’uomo è eterna purché
egli non sia abitatore del tempo. Etimologicamente il termine antropos rimanda a qualcosa
che non è la verità. Noi abbiamo fede che il tempo, il divenire e lo smembramento siano
verità: questa fede è follia estrema. Se c’è oltrepassamento dell’uomo, è oltrepassata la fede
nell’errore/orrore. “Essere nel tempo è la follia estrema” è una frase che meriterebbe
un’altra serata di conversazione filosofica. L’uomo di fede ha il vantaggio di potersi
sottrarre all’onere della dimostrazione. L’uomo di scienza può dire che il suo sapere può
far funzionare il mondo. Il filosofo dice cose che possono apparire mito a chi non ha basi
culturali forti. Einstein ha decretato la follia dell’abitare il tempo.
Argomento 2 – Lo smembramento del dio da parte dell’uomo ha creato le condizioni per la vita: il
male. Non pare che vi sia colpa dell’uomo, perché prima avviene l’autosmembramento da parte
del dio. Responsabile dell’angoscia di vivere è Dio che ha compiuto la creazione.
Risposta 2 – Dai miti si evince la consensualità del dio allo smembramento, ma l’uomo si
sente in colpa perché, volendo vivere, ha collaborato con il dio allo smembramento del dio
stesso.
6 Si veda la nota 5), capitolo precedente.
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1.3 RIFERIMENTI
1.3.1 GIOVANNI
http://www.biblestudytools.com/riv/giovanni/passage.aspx?q=giovanni+8:39-49
39 Essi risposero e gli dissero: Il padre nostro è Abramo. Gesù disse loro: Se foste figliuoli d’Abramo,
fareste le opere d’Abramo; 40 ma ora cercate d’uccider me, uomo che v’ho detta la verità che ho udita da
Dio; così non fece Abramo. 41 Voi fate le opere del padre vostro. Essi gli dissero: Noi non siam nati di
fornicazione; abbiamo un solo Padre: Iddio. 42 Gesù disse loro: Se Dio fosse vostro Padre, amereste me,
perché io son proceduto e vengo da Dio, perché io non son venuto da me, ma è Lui che mi ha
mandato. 43 Perché non comprendete il mio parlare? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44 Voi
siete progenie del diavolo, ch’è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida
fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando parla il falso, parla del
suo, perché è bugiardo e padre della menzogna. 45 E a me, perché dico la verità, voi non credete. 46 Chi di
voi mi convince di peccato? Se vi dico la verità, perché non mi credete? 47 Chi è da Dio ascolta le parole di
Dio. Per questo voi non le ascoltate; perché non siete da Dio. 48 I Giudei risposero e gli dissero: Non diciam
noi bene che sei un Samaritano e che hai un demonio? 49 Gesù rispose: Io non ho un demonio, ma onoro il
Padre mio e voi mi disonorate.
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