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dí maestro

ISopradasinistraFrancisco Goga:RitrattodiVicenteJoaquînOsori o de MloseosoyGuzmán, XIIConte diAltamira;Ritrattodella contessaAltamirae di suafiglïaIarialgustina

(1787-1788)

ANNA OTTANI(

LONDRA

olo Goya": dueparole scavatenella sabbiadove incede,regale, la du-chessa d'Albanel nero scin-

tillante della veste. Mantiglia e velo damaja, la bella dama indica con gesto im-perioso la scritta enigmatica che si leggeai suoi piedi: "Solo Goya". Una firma esi-bita e sfrontata? Una complicità fra lamusa e l'artista? Comunque un ritrattotemperamentale e sublime. E uno scattod'orgoglio del grande pittore.

Per la prima volta proposto in questaprospettiva parziale - settanta ritratti enient'altro - Goya trionfa nelle sale dellaNational Gallery di Londra (Goya: ThePortraíts, fino al 10 gennaio), in un annoche vede il ritratto protagonista a Londrae a Parigi nelle mostre parallele di grandispecialisti del genere, da Jean-EtienneLiotard (Royal Academy) a Elisabeth Vi-gée Le Brun (Grand Palais di Parigi).

Ma i ritratti, che sono solo un côté delsuo genio versatile, diventano in Goyail reagente privilegiato e sensibile almondo di cortigiani, regine, ministri,poveracci ed amici che abitano la finedi un'epoca.

Nella crisi disorientante e spietatache squassa l'estremo Settecento, la so-litaria grandezza di Goya sta nella ricer-ca di un varco libertario per l'arte, unvarco che non coincide con l'algida pu-rezza neoclassica. Goya rivendica il di-ritto a esprimere una realtà individua-le ed ambigua, un "sentire" tormenta-to e romantico, e forgia un linguaggioche corrode la forma, violando le conven-zioni ed il canone.

Seguendo il percorso della mostra, lapercezione è immediata: più duttili deiquadri sacri e delle scene galanti che por-tano il timbro della sua giovinezza, i ri-tratti di Goya restituiscono uno spaccatofolgorante della Spagna, la sua storia an-tropologica e sociale, un repertorio diumanità.

È già un artista affermato (ha trenta-sette anni, ha compiuto il viaggio in Ita-lia, ha orizzonti culturali molto vasti: Ve-

lázquez, Rembrandt, i grandi venezia-ni), quando nel 1783 dipinge il suo pri-mo ritratto, quel Conte dí Florídablancadi pirotecnica maestria (l'azzurro smal-tato della fusciacca incrocia ed accendela serica veste scarlatta), ma ancora rigi-do e in posa, prigioniero di troppi cliché.

Passano pochi mesi e Goya realizza uncapolavoro, un ritratto di gruppo fra i piùbelli del mondo, miracolosamente con-servato in Italia.

Vorrei saperla raccontare questa pre-senza eccentrica di Goya in Val Padana,fra le nebbie di Mamiano di Traverseto-lo, nella Fondazione Magnani Rocca.Una tela, tre metri di base, che apre spet-tacolarmente la mostra di Londra, aven-do catturato per sempre la malinconiadell'Infante don Luís di Borbone e dellasua piccola corte.

Fratello cadetto del re Carlo III, donLuís viveva relegato nella Sierra de Gre-dos, lontano da Madrid, per avere sposa-to la bellissima Maria Teresa Vallabriga,borghese, di 31 anni più giovane.

In questa "scena di conversazione" do-ve nessuno conversa, quattordici figuresi scalano silenziose in ribalta. Goya le os-serva dalla sua postazione nel buio,nell'angolo sinistro del quadro: i bimbi,le ancelle, l'Infante senza più desideri, labella signora vestita di luce, il coiffeurche le scioglie i capelli (è ormai scesa lanotte), un uomo elegante che è il musici-sta Luigi Boccherini, un servo che passanell'andirivieni della vita.

La composizione è imponente e com-plessa, eppure fluida, immediata, disconcertante libertà nell'accostare princ-ipi e borghesi, servitori e bambini sorpre-si nell'intimità di una sera. Niente di auli-co, di celebrativo, spazzati via i preceden-ti ingombranti dei ritratti ufficiali del re-gno. Si avverte, turbati, che «la solitudi-ne dell'uomo nel ritratto può essere piùgrande della solitudine dell'uomo sullaterra». Parole del premio Nobel Ivo An-

dric, toccato dai ritratti di Goya. Paroleche fanno riflettere sulla vistosa opera-zione di marketing lanciata da CreditSuisse (partner dell'esposizione) che,dai cartelli all'ingresso della NationalGallery, invita a una lettura azzardata:«you can bring Goya's portraits to life,using your smartphone».

La "vita" dei ritratti di Goya sta inve-ce, io credo, nella tangibile e non virtua-le grandezza del Ritratto del duca di Wel-lington, "generalissimo" e vittorioso, ep-pure così solo e smarrito davanti alla Sto-ria. O in un secondo Ritratto della du-chessa d'Alba, irresistibile e lattea, orna-ta di nastri rubino. O ancora nel Ritrattodel piccolo Manuel Osorio, una colata dirosso sui non-colori del fondo. Compuntoe sottratto ai suoi giochi, il bimbo si muo-ve entro una scenografia che ha scompi-gliato le carte (ai suoi piedi: tre gatti,una gazza, una gabbia di cardellini) eportato nuova linfa alla tipologia del ri-tratto.

Difficile approdare a una sintesi. Que-sto reportage mette insieme frammenti,perché i dipinti ci prendono uno per uno,fino agli autoritratti dolenti dell'ultimoGoya. Fino al doppio ritratto (1820) chechiude la mostra: il pittore, fra la vita e lamorte, è sorretto dal suo medico Arrieta.Nella gamma senza fine dei grigi (i grigie i rosa di Goya!), si legge lo schema dellaPietà, il corpo del pittore malato, franan-te sul primo piano.

Da anni, chiuso in una prigione di si-lenzio dovuta alla sordità e prostrato dal-la perdita di sei figli, Goya aveva espres-so la sua amarezza esistenziale nelle "pit-ture nere" della Quinta del sordo, la suacasa sul Manzanarre. Per ritrovare infi-ne in terra di Francia, nell'esilio volonta-rio a Bordeaux (1824), quel filo di vitache la Spagna al tramonto, la Spagna diFerdinando VII, sembrava crudelmentenegargli.

l9NIVN(ìUULIONE PISFJNAT

LASCL NAFrancisco Goya:La famigliadell'InfanteDon Luis(1783)