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XIX SCUOLA ESTIVA DI ASTRONOMIA DI STILO

21 – 26 luglio 2014 Stilo (Reggio Calabria)

Influenze astronomiche sulla Terra

Comune Stilo

Provincia Reggio Calabria

Martedì 22 Luglio, ore 9,00-11,00

Si può prevedere il futuro dalle stelle? Ne discutono i due fratelli Quinto e Marco Cicerone

Giovanni Sega

Comune Stilo

Provincia Reggio Calabria

Gli uomini possono conoscere il presente (quello percepibile con i sensi) e il passato (mediante la memoria), non il futuro.

Il futuro per gli antichi era conoscibile solo da parte degli dei che, essendo immortali, quindi fuori del tempo, ne governavano tutta l’estensione infinita, verso il passato e verso il futuro.

La previsione del futuro, o di eventi presenti non direttamente percepibili perché lontani nello spazio, è stata inseguita e tentata da tutte le culture antiche (anche dalle moderne e contemporanee) secondo varie strade.

L’idea-base delle speculazioni dei Greci e dei Latini era che gli astri del cielo fossero esseri divini:

Agli uomini è stata data un’anima che proviene da quei fuochi eterni, che chiamate astri e stelle. Queste, di forma sferica e arrotondata, animate da menti divine, effettuano le loro orbite circolari con velocità straordinaria.

Cicerone, Somnium Scipionis 15. (è il padre Lucio Emilio

Paolo che parla al figlio, Scipione Emiliano)

Se gli astri, soprattutto quelli più vicini (luna, pianeti e sole), sono esseri divini, e conoscono il futuro…

come interrogarli?

e soprattutto, come cogliere e interpretare le loro eventuali risposte?

Fra le tante strade che si potevano seguire per esporre i tentativi di scoprire il futuro dalle stelle, ho preferito una strada non trattatistica, ma narrativa.

Leggeremo un’opera non molto nota di Cicerone, De divinatione, in cui il filosofo-oratore discute col fratello Quinto sul valore o meno delle previsioni astrologiche e oracolari.

Quinto ci crede, Marco (Cicerone) no.

Il primo libro espone le posizioni di Quinto, il secondo le confutazioni di Marco.

È un’opera singolarmente «progressista», per un politico conservatore come Cicerone. La potremmo definire illuminista.

I triunviri, Ottaviano, Antonio, Lepido, dopo la morte di Cesare formulano le loro liste di proscrizione nelle quali Antonio fa inserire il nome di Cicerone. Egli si rifugiò prima a Tuscolo, poi cercò di fuggire verso Napoli, ma fu raggiunto a Formia e ucciso. Era il 7 dicembre del 43. Pochi giorni prima erano stati già uccisi il fratello Quinto ed il figlio.

Marco aveva scritto il De divinatione nella prima parte del 44.

Indice degli argomenti

1.Rapporti tra l’uomo e l’universo1.1. La natura del linguaggio1.2. La previsione del futuro

2. Come Cicerone imposta il problema della divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)

2.1. La storia e la tradizione2.2. La filosofia

3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria (1, 1-2)

3.1. L’incipit del De divinatione3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della scienza divinatoria

4. Il progetto del De divinatione: due tesi a confronto (1, 7-11)

«Mi sembra necessario mettere a confronto, con particolare cura, le argomentazioni degli uni con quelle degli altri» (1, 7)

5. Le certezze di Quinto (libro primo)

5.1. Esistono due tipi di divinazione

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

5.2.1.1. I misteri della medicina5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere degli

animali e dai fulmini

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

5.2.3. L’analogia col seme

6. Il punto di vista di Quinto (libro primo) vs le obiezioni e i dubbi di Marco (libro secondo)

6.1.A. Il caso e la verità secondo Quinto: quattro casi emblematici6.1.B. Il caso e la verità secondo Marco: Prassitele come Michelangelo

6.2.A. Lo scrupolo del re Deiotaro lo ha salvato dalla morte6.2.B. Al destino non si può sfuggire

6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu sconfitto, secondo Quinto.6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.

6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri libri Sibillini?... (Quinto) 6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)

6.5.A. Il caso della mula che ha partorito, secondo Quinto.6.5.B. Il caso della mula che ha partorito, secondo Marco: se è accaduto era possibile.

6.6.A. Il sillogismo degli Stoici, secondo Quinto: la divinazione esiste.6.6.B. Marco contro il sillogismo degli Stoici: la divinazione non esiste.

6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede, secondo Quinto.6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.

6.8.A. I prodigi misteriosi che preannunciarono la sconfitta di Leuttra (371 a.C. fra Sparta e Tebe), secondo Quinto.6.8.B. I prodigi misteriosi che preannunciarono la sconfitta di Leuttra, secondo Marco.

7. La conclusione “socratica” del dialogo: conflitti tragici e conflitti filosofici

* Testi stoici. Hans von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta

1.Rapporti tra l’uomo e l’universo1.1. La natura del linguaggio1.2. La previsione del futuro

2. Come Cicerone imposta il problema della divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)

2.1. La storia e la tradizione2.2. La filosofia

3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria (1, 1-2)

3.1. L’incipit del De divinatione3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della scienza divinatoria

1. Rapporti tra l’uomo e l’universo

Tra l’uomo e l’universo, sia nella parte cosmica e astronomica, sia nella componente terrena, organica (il mondo animale e vegetale) e inorganica (solida, liquida, aeriforme), secondo gli Stoici, c’è uno stretto legame, derivante da una comunanza profonda tra tutti gli esseri esistenti: tutti partecipano del lógos, che pervade e anima tutto l’esistente.

Questo logos diffuso, lógosspermatikós, un seme divino presente in tutti gli essere viventi e non, fa sì che tutto l’universo sia come un grande unico organismo, dotato di sympátheia(etimologicamente: sún: “con” e páthos: “ciò che si prova”, “avvenimento”, “sentimento”): una “affinità e conformità di sentimento”, un significato che, in parte, si è conservato nel derivato italiano “simpatia”.

Questo comporta che esista un dialogo profondo, non sempre cosciente, tra l’uomo e l’universo, tra l’uomo e il mondo circostante.

Segni di questa interdipendenza gli Stoici li trovavano a tutti i livelli.

Ad esempio,

nel linguaggio, oppure nelle previsioni del futuro.

1.1. La natura del linguaggio

1.2. La previsione del futuro

1.1. La natura del linguaggio

1.2. La previsione del futuro

«Di queste cose principio e grande maestra è la natura, che ci rende capaci di imitare e di imporre nomi, con i quali le cose vengono manifestate in base a certe somiglianze che agiscono sul lógos

(eÙlÒgouj) e stimolano il pensiero».

Dionisio di Alicarnasso, De compositione verborum 16

Ci sono osservazioni, significative per la loro ingenuità e suggestione insieme, con le quali Crisippo di Soli (Cipro, 281-208 a.C.), uno dei filosofi stoici più importanti, dimostra la congruenza “naturale” del linguaggio con gli oggetti designati, i referenti.

Le riporta Galeno, il medico (129-216 d.C.), nell’opera:

I dogmi di Ippocrate e di Platone .

pag. 2

«Quando diciamo “io”, lo diciamo indicando noi stessi (con le mani) nel luogo in cui risulta esserci la mente, e questo gesto di indicazione è naturale e appropriato, ma anche senza di esso quando diciamo “egó”, accenniamo a noi stessi, in quanto già di per sé la pronuncia di questa parola è tale da accompagnarsi ad una indicazione del modo che andiamo a descrivere».

«Nel pronunciare la parola “egó”, già nella prima sillaba: “e-” noi abbassiamo il labbro come a indicare noi stessi.

In corrispondenza del movimento della mascella, si fa un cenno verso il petto e in concomitanza di questa indicazione si pronuncia la seconda sillaba: “-gó”, ma non si dà l’impressione della distanza, come

capita con ™ke‹noj (quello)».

«Se nell’acconsentire pieghiamo il capo vogliamo dimostrare che proprio in quella parte verso cui lo portiamo, in quella è la sede del principio direttivo dell’anima ...

C’è anche l’analisi dei movimenti delle mani, quando ci tocchiamo il petto per indicare noi stessi, o l’analisi del termine “egó”, il quale già nel modo in cui lo si pronuncia ha un che di indicativo, perché con la sua prima sillaba piega la mascella inferiore e il labbro verso il petto».

Queste osservazioni sulla natura del linguaggio hanno avuto un’eco di consenso anche nella cultura latina.

Ne parla Aulo Gellio (sec. II d.C.), citando il grammatico e filosofo Nigidio Figulo (98-45 a.C.)

«Quando noi diciamo vos (voi), formiamo un movimento della bocca in accordo con quel vocabolo, avanzando lievemente l'estremità delle labbra e dirigendo l'impulso della voce verso coloro con i quali intendiamo parlare.

Quando invece diciamo nos (noi), non pronunciamo il vocabolo né spingendo fuori il soffio della voce, né avanzando le labbra, ma quasi tratteniamo in noi sia il fiato che le labbra».

1.1. La natura del linguaggio

1.2. La previsione del futuro

Nel Commento al Timeo di Platone, il filosofo latino Calcidio (sec. IV) spiega con precisione e convinzione come la sympátheia stoica sia all’origine della possibilità, per l’uomo, di leggere il futuro.

«Eraclito, in sintonia con gli Stoici, collega la nostra ragione con quella divina impegnata nella direzione e nella conduzione delle cose del mondo.

A motivo di questa inscindibile connessione, l’anima umana è resa consapevole della legge razionale, cosicché quando è dormiente svela per il tramite dei sensi il futuro:

ecco perché in sogno ci appaiono immagini di luoghi mai visti o figure di uomini non solo vivi, ma anche morti».

«Il medesimo Eraclito è fautore della divinazione, la quale fa previsioni a chi ne è meritevole, sotto la guida delle potenze divine.

E anche questi Stoici si appoggiano a tale dottrina per sostenere una scienza stabile e organica».

1.Rapporti tra l’uomo e l’universo1.1. La natura del linguaggio1.2. La previsione del futuro

2. Come Cicerone imposta il problema della divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)

2.1. La storia e la tradizione2.2. La filosofia

3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria (1, 1-2)

3.1. L’incipit del De divinatione3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della scienza divinatoria

2. Come Cicerone imposta il problema della divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)

Cicerone imposta i problema secondo due linee di sviluppo: da una parte la storia e la tradizione, dall’altra, la filosofia.

Mentre la storia, la tradizione dei più antichi popoli della Mesopotamia, gli Assiri e i Caldei, la tradizione degli Egiziani, poi dei Greci, degli Etruschi e dei Romani è unanime nella fede verso la divinazione, i filosofi non sono altrettanto unanimi nel giudizio da dare sui fatti divinatori.

2.1. La storia e la tradizione

«I Romani hanno praticato la divinazione sia per gli affari di Stato sia per prendere decisioni private. Romolo stesso fondò Roma dopo aver preso gli auspicii, ed era egli stesso un ottimo àugure» (De divinatione 1, 3)

In linea con la cultura “normativa” di tutta la tradizione giuridica romana, hanno cercato di “governare” un fenomeno tipicamente irrazionale ed emotivo attraverso la legge.

«E poiché le anime umane, quando non le governano la ragione e il sapere, sono eccitate spontaneamente in due modi, negli accessi di follìa e nei sogni, i nostri antenati, ritenendo che la divinazione manifestantesi nella follìa fosse interpretata soprattutto nei versi sibillini, istituirono un collegio di dieci interpreti di tali libri, scelti fra i cittadini».

De divinatione 1, 4

2.2. La filosofia

I filosofi, invece, non erano unanimi nella valutazione del fenomeno divinatorio e, più in generale, nella stessa concezione della divinità. Cicerone passa in rassegna le posizioni più rilevanti dei filosofi greci e di alcuni intellettuali romani sull’esistenza o meno della divinazione.

I filosofi sono di tre categorie:

A. scetticiB. favorevoli C. problematici

I filosofi sono di tre categorie:

A. scetticiB. favorevoli C. problematici

In realtà, sono pochi i filosofi e gli intellettuali che hanno messo in dubbio la possibilità di ottenere dagli dèi indicazioni sul futuro.

Cicerone cita tre filosofi greci: Senofane di Colofone (570-478 a.C.) Epicuro (342-270 a.C.)Carneade di Cirene (214-129 a.C.)

e un intellettuale romano:Gaio Aurelio Cotta (124 -73 a.C.)

Senofane

«Se i buoi e i cavalli e i leoni avessero mani o potessero con le mani disegnare e lavorare come gli uomini, i cavalli dipingerebbero le immagini degli dèi simili ai cavalli e i buoi simili ai buoi e farebbero i corpi tali, quale è la figura che per parte loro ciascuno possiede.

Gli Etiopi dicono che i loro dèi sono neri e camusi e i Traci dagli occhiazzurri e dai capelli fulvi».

Carneade è stato il fondatore della Nuova Accademia, è citato nel De divinatione come esponente di una posizione critica verso la divinazione.

Fece parte, insieme con l’aristotelico Critolao e lo stoico Diogene di Seleucia, di una ambasceria inviata a Roma dagli Ateniesi nel 156 a.C.

La sua oratoria spregiudicata e travolgente fece a Roma una grande impressione.

Ne dà testimonianza lo scrittore cristiano Lattanzio (250 - 303/317) nelle Divinae Institutiones.

«Carneade, mandato ambasciatore

dagli Ateniesi a Roma, discusse con

abbondanza d'argomenti intorno alla

giustizia in presenza di Galba e di

Catone il Censore, che erano allora i

più grandi oratori».

«Ma il medesimo all'indomani

capovolse la discussione ed annientò

quella giustizia di cui aveva tessuto

l'elogio il giorno precedente, non certo

con quella gravità filosofica che deve

essere salda e coerente di pensiero, ma

alla maniera, per così dire, retorica,

propria dell'esercitarsi nel discutere il

pro ed il contro di una tesi; cosa che

egli era solito fare per poter confutare

gli avversari qualunque cosa

affermassero ...»

«Questa seconda discussione, in cui si

sconvolgono le basi della giustizia, è

ricordata da Cicerone, credo nel De

republica, per introdurre la difesa e

l'elogio della giustizia stessa, senza

della quale riteneva che non si potesse

governare lo Stato».

«Carneade invece, allo scopo di

confutare Aristotele e Platone,

difensori della giustizia, raccolse in

quella sua prima discussione tutti gli

argomenti portati a favore della

giustizia, per poterli abbattere, come

effettivamente fece».

I filosofi sono di tre categorie:

A. scetticiB. favorevoli C. problematici

Cicerone ascrive a questa categoria tutti i filosofi greci più noti:

Socrate (470-399 a.C.) e tutti i socratici,

Zenone di Cizio (336/ 335- 263 a.C.), fondatore dello stoicismo e tutti i suoi seguaci: Cleante di Asso (330 - 232 a.C.), Crisippo di Soli (281/277-208 /204 a.C.), Diogene di Seleucia, detto il Babilonio (240-150 a. C.), Antipatro di Tarso (sec. II a.C.), Posidonio di Apamea (135- 50 a.C.), la cui scuola a Rodi Cicerone frequentò in un breve periodo tra il 79 e il 77 a.C.;

Pitagora, Democrito, l’Accademia di Platone, la scuola Peripatetica di Aristotele.

I filosofi sono di tre categorie:

A. scetticiB. favorevoli C. problematici

Tra coloro che hanno dubbi o che mettono qualche limite alla possibilità della divinazione ci sono

Dicearco da Messina (350- 290 a.C.), Cratippo di Rodi (sec. I a.C.) Panezio di Rodi (185-109 a.C.),

1.Rapporti tra l’uomo e l’universo1.1. La natura del linguaggio1.2. La previsione del futuro

2. Come Cicerone imposta il problema della divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)

2.1. La storia e la tradizione2.2. La filosofia

3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria (1, 1-2)

3.1. L’incipit del De divinatione3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della scienza divinatoria

3.1. L’incipit del De divinatione

È uno dei testi più interessanti e suggestivi di Cicerone: una sintesi ben riuscita di

• ricerca etimologica • patriottismo latino • acutezza riflessiva

«È credenza antichissima, risalente addirittura all'età eroica e confermata dalle concordi testimonianze del popolo Romano e di tutte le altre genti, che esista negli uomini una certa capacità divinatoria, chiamata dai Greci

mantik»n, cioè preveggenza e

conoscenza del futuro» (praesensionem et scientiam rerum futurarum).

estensione nel tempoestensione nello spaziodefinizione di divinazione

«Capacità davvero mirabile ed utile, poiché per mezzo di essa, ammesso che esista, l'uomo può sentirsi quasi dio : ed è questo il motivo per cui la nostra gente - che molte cose ha saputo far meglio dei Greci - ha dato il nome a quest'arte straordinaria derivandolo dal concetto di divinità, mentre i Greci, secondo che intende Platone, lo derivarono dalla follia».

«Capacità davvero mirabile ed utile, poiché per mezzo di essa, ammesso che esista, l'uomo può sentirsi quasi dio : ed è questo il motivo per cui la nostra gente - che molte cose ha saputo far meglio dei Greci - ha dato il nome a quest'arte straordinaria derivandolo dal concetto di divinità, mentre i Greci, secondo che intende Platone, lo derivarono dalla follia».

divinatio da divus: «divino»

«Capacità davvero mirabile ed utile, poiché per mezzo di essa, ammesso che esista, l'uomo può sentirsi quasi dio : ed è questo il motivo per cui la nostra gente - che molte cose ha saputo far meglio dei Greci - ha dato il nome a quest'arte straordinaria derivandolo dal concetto di divinità, mentre i Greci, secondo che intende Platone, lo derivarono dalla follia».

mantik»n da man…a«follia»

L’accostamento tra mania e manticaCicerone lo riprende da un passo del Fedro (244b) di Platone, dove Socrateafferma che «la mania non è certo un male se la Pizia, la sacerdotessa di Delfi, e le sacerdotesse di Dodona, in Epiro, che prevedono il futuro quando il loro nume le fa uscire di senno, procurarono alla Grecia molti e bei benefici e in privato e in pubblico».

Socrate aggiunge che «anticamente l’arte divinatoria veniva chiamata manica e non mantica; quindi coloro che hanno coniato i nomi non hanno considerato la mania come una cosa né brutta né vergognosa. In caso diverso, non avrebbero chiamato manica la più bella fra le arti con la quale si prevede il futuro».

Torniamo al testo del De divinatione

«D'altra parte io non conosco alcun popolo, civile e colto o selvaggio e barbaro, che non creda che il futuro può esserci rivelato e che anzi alcuni possono intuirlo e predirlo».

«D'altra parte io non conosco alcun popolo, civile e colto o selvaggio e barbaro, che non creda che il futuro può esserci rivelato e che anzi alcuni possono intuirlo e predirlo».

«D'altra parte io non conosco alcun popolo, civile e colto o selvaggio e barbaro, che non creda che il futuro può esserci rivelato e che anzi alcuni possono intuirlo e predirlo».

«D'altra parte io non conosco alcun popolo, civile e colto o selvaggio e barbaro, che non creda che il futuro può esserci rivelato e che anzi alcuni possono intuirlo e predirlo».

la divinazione non dipende dalla civiltà e dalla culturala divinazione non è ostacolata dalla condizione di barbarieci sono esseri umani in grado di intuire e predire il futuro

«Primi fra tutti gli altri gli Assiri, e la loro antichità conferma le mie parole, poiché abitavano un paese vasto e pianeggiante e potevano mirare la volta celeste in tutta la sua libera immensità, presero ad osservare i passaggi e i movimenti degli astri, li registrarono e ne tramandarono ai posteri il significato».

«Primi fra tutti gli altri gli Assiri, e la loro antichità conferma le mie parole, poiché abitavano un paese vasto e pianeggiante e potevano mirare la volta celeste in tutta la sua libera immensità, presero ad osservare i passaggi e i movimenti degli astri, li registrarono e ne tramandarono ai posteri il significato».

«Primi fra tutti gli altri gli Assiri, e la loro antichità conferma le mie parole, poiché abitavano un paese vasto e pianeggiante e potevano mirare la volta celeste in tutta la sua libera immensità, presero ad osservare i passaggi e i movimenti degli astri, li registrarono e ne tramandarono ai posteri il significato».

«Primi fra tutti gli altri gli Assiri, e la loro antichità conferma le mie parole, poiché abitavano un paese vasto e pianeggiante e potevano mirare la volta celeste in tutta la sua libera immensità, presero ad osservare i passaggi e i movimenti degli astri, li registrarono e ne tramandarono ai posteri il significato».

paesaggio terrestrepaesaggio celestenascita della scienza astronomica

Principio Assyrii, ut ab ultumis

auctoritatem repetam, propter

planitiam magnitudinemque regionum,

quas incolebant, cum caelum ex omni

parte patens atque apertum

intuerentur, traiectiones motusque

stellarum observitaverunt, quibus

notatis, quid cuique significaretur,

memoriae prodiderunt.

ut ab ultumis auctoritatem repetam

Principio Assyrii traiectiones motusque stellarum observitaverunt

et memoriae prodiderunt

cum caelum intuerentur

his notatis

quid cuique significaretur

propter planitiam magnitudinemque

regionum, ex omni parte patens atque apertum

quasincolebant

«In questo popolo i Caldei, così chiamati dal nome della loro stirpe e non dalla professione, sono considerati quelli che della ininterrotta osservazione degli astri fecero una scienza per mezzo della quale può a ciascuno predirsi il futuro e il destino con il quale è nato».

la scienza astronomica è un mezzo per prevedere il futuro

1.Rapporti tra l’uomo e l’universo1.1. La natura del linguaggio1.2. La previsione del futuro

2. Come Cicerone imposta il problema della divinazione: la storia e la filosofia (1, 2-8)

2.1. La storia e la tradizione2.2. La filosofia

3. Dove e perché è nata la scienza divinatoria (1, 1-2)

3.1. L’incipit del De divinatione3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della scienza divinatoria

3.2. L’influenza dei luoghi nella nascita della scienza divinatoria

Cicerone prende in considerazione i luoghi di residenza di molti popoli e per ciascuno individua le caratteristiche topografiche e ambientali che hanno favorito la nascita della scienza divinatoria.

«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono soprattutto dediti alla pastorizia, percorrendo le pianure d'inverno e le montagne d'estate, hanno perciò notato più agevolmente i diversi canti e voli degli uccelli; e per lo stesso motivo hanno fatto ciò gli abitanti di questa nostra Umbria».

«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono soprattutto dediti alla pastorizia, percorrendo le pianure d'inverno e le montagne d'estate, hanno perciò notato più agevolmente i diversi canti e voli degli uccelli; e per lo stesso motivo hanno fatto ciò gli abitanti di questa nostra Umbria».

«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono soprattutto dediti alla pastorizia, percorrendo le pianure d'inverno e le montagne d'estate, hanno perciò notato più agevolmente i diversi canti e voli degli uccelli; e per lo stesso motivo hanno fatto ciò gli abitanti di questa nostra Umbria».

«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono soprattutto dediti alla pastorizia, percorrendo le pianure d'inverno e le montagne d'estate, hanno perciò notato più agevolmente i diversi canti e voli degli uccelli; e per lo stesso motivo hanno fatto ciò gli abitanti di questa nostra Umbria».

«Gli arabi, i frigi e i cilici, poiché sono soprattutto dediti alla pastorizia, percorrendo le pianure d'inverno e le montagne d'estate, hanno perciò notato più agevolmente i diversi canti e voli degli uccelli; e per lo stesso motivo hanno fatto ciò gli abitanti di questa nostra Umbria».

«I carii e in particolare gli abitanti di Telmesso, siccome vivono in plaghe ricchissime ed estremamente fertili, nelle quali per la fecondità del terreno molte piante e animali possono formarsi e generarsi, osservarono con accuratezza gli esseri abnormi».

«I carii e in particolare gli abitanti di Telmesso, siccome vivono in plaghe ricchissime ed estremamente fertili, nelle quali per la fecondità del terreno molte piante e animali possono formarsi e generarsi, osservarono con accuratezza gli esseri abnormi».

«I carii e in particolare gli abitanti di Telmesso, siccome vivono in plaghe ricchissime ed estremamente fertili, nelle quali per la fecondità del terreno molte piante e animali possono formarsi e generarsi, osservarono con accuratezza gli esseri abnormi».

«I carii e in particolare gli abitanti di Telmesso, siccome vivono in plaghe ricchissime ed estremamente fertili, nelle quali per la fecondità del terreno molte piante e animali possono formarsi e generarsi, osservarono con accuratezza gli esseri abnormi».

«Gli egiziani e i babilonesi, che abitavano in distese di campi pianeggianti, poiché nessuna altura poteva ostacolare la contemplazione del cielo, posero tutto il loro studio nella conoscenza degli astri».

«Gli egiziani e i babilonesi, che abitavano in distese di campi pianeggianti, poiché nessuna altura poteva ostacolare la contemplazione del cielo, posero tutto il loro studio nella conoscenza degli astri».

«Gli egiziani e i babilonesi, che abitavano in distese di campi pianeggianti, poiché nessuna altura poteva ostacolare la contemplazione del cielo, posero tutto il loro studio nella conoscenza degli astri».

«Gli egiziani e i babilonesi, che abitavano in distese di campi pianeggianti, poiché nessuna altura poteva ostacolare la contemplazione del cielo, posero tutto il loro studio nella conoscenza degli astri».

«Gli etruschi, poiché, sommamente religiosi, immolavano vittime con zelo e frequenza particolare, si dedicarono soprattutto all'indagine delle viscere»

«Gli etruschi, poiché, sommamente religiosi, immolavano vittime con zelo e frequenza particolare, si dedicarono soprattutto all'indagine delle viscere»

«Gli etruschi, poiché, sommamente religiosi, immolavano vittime con zelo e frequenza particolare, si dedicarono soprattutto all'indagine delle viscere»

«Gli etruschi, poiché, sommamente religiosi, immolavano vittime con zelo e frequenza particolare, si dedicarono soprattutto all'indagine delle viscere»

«…(Etruschi) e siccome, per l'aria pregna di vapori, erano frequenti nella loro patria i fulmini, e per lo stesso motivo si verificavano molti fatti straordinari provenienti in parte dal cielo, altri dalla terra, taluni anche in seguito al concepimento e alla generazione degli esseri umani e delle bestie, acquistarono una grandissima perizia nell'interpretare i prodigi».

«…(Etruschi) e siccome, per l'aria pregna di vapori, erano frequenti nella loro patria i fulmini, e per lo stesso motivo si verificavano molti fatti straordinari provenienti in parte dal cielo, altri dalla terra, taluni anche in seguito al concepimento e alla generazione degli esseri umani e delle bestie, acquistarono una grandissima perizia nell'interpretare i prodigi».

«…(Etruschi) e siccome, per l'aria pregna di vapori, erano frequenti nella loro patria i fulmini, e per lo stesso motivo si verificavano molti fatti straordinari provenienti in parte dal cielo, altri dalla terra, taluni anche in seguito al concepimento e alla generazione degli esseri umani e delle bestie, acquistarono una grandissima perizia nell'interpretare i prodigi».

4. Il progetto del De divinatione: due tesi a confronto (1, 7-11)

«Mi sembra necessario mettere a confronto, con particolare cura, le argomentazioni degli uni con quelle degli altri» (1, 7)

4. Il progetto del De divinatione: due tesi a confronto (1, 7-11)

«Ora, siccome anche io sto indagando che cosa si debba pensare della divinazione e non vorrei dare con troppa leggerezza il mio appoggio ad una teoria falsa o almeno non ben conosciuta, mi sembra necessario mettere a confronto, con particolare cura, le argomentazioni degli uni con quelle degli altri».

4. Il progetto del De divinatione: due tesi a confronto (1, 7-11)

«Ora, siccome anche io sto indagando che cosa si debba pensare della divinazione e non vorrei dare con troppa leggerezza il mio appoggio ad una teoria falsa o almeno non ben conosciuta, mi sembra necessario mettere a confronto, con particolare cura, le argomentazioni degli uni con quelle degli altri».

«Di questi argomenti ho discusso altre volte, ma di recente l'ho fatto con una certa maggior profondità mentre mi trovavo con mio fratello Quinto a Tuscolo, nella mia villa.

Stavamo facendo una passeggiata ed eravamo arrivati al Liceo - questo è il nome che ho dato alla palestra alta -quando egli mi disse: ″Ho letto recentemente, e con molta attenzione, il tuo terzo libro su La natura degli dèi″…»

«Di questi argomenti ho discusso altre volte, ma di recente l'ho fatto con una certa maggior profondità mentre mi trovavo con mio fratello Quinto a Tuscolo, nella mia villa.

Stavamo facendo una passeggiata ed eravamo arrivati al Liceo - questo è il nome che ho dato alla palestra alta -quando egli mi disse: ″Ho letto recentemente, e con molta attenzione, il tuo terzo libro su La natura degli dèi″…»

«Ma in quel trattato fu lasciato in disparte un argomento, quello relativo alla divinazione, cioè alla facoltà di saper predire e prevedere gli eventi che si ritengono dovuti al caso».

«Ma in quel trattato fu lasciato in disparte un argomento, quello relativo alla divinazione, cioè alla facoltà di saper predire e prevedere gli eventi che si ritengono dovuti al caso».

«Cerchiamo dunque di capire che importanza essa abbia e quale ne sia la essenza; perché io son convinto che, se sono vere quelle forme di divinazione che gli avi ci hanno trasmesso, e noi continuiamo a praticare, gli dèi esistono; e, all'opposto, se gli dèi esistono, deve anche esistere chi sia in grado di predire il futuro».

«Cerchiamo dunque di capire che importanza essa abbia e quale ne sia la essenza; perché io son convinto che, se sono vere quelle forme di divinazione che gli avi ci hanno trasmesso, e noi continuiamo a praticare, gli dèi esistono; e, all'opposto, se gli dèi esistono, deve anche esistere chi sia in grado di predire il futuro».

«Cerchiamo dunque di capire che importanza essa abbia e quale ne sia la essenza; perché io son convinto che, se sono vere quelle forme di divinazione che gli avi ci hanno trasmesso, e noi continuiamo a praticare, gli dèi esistono; e, all'opposto, se gli dèi esistono, deve anche esistere chi sia in grado di predire il futuro».

«Cerchiamo dunque di capire che importanza essa abbia e quale ne sia la essenza; perché io son convinto che, se sono vere quelle forme di divinazione che gli avi ci hanno trasmesso, e noi continuiamo a praticare, gli dèi esistono; e, all'opposto, se gli dèi esistono, deve anche esistere chi sia in grado di predire il futuro».

«Cerchiamo dunque di capire che importanza essa abbia e quale ne sia la essenza; perché io son convinto che, se sono vere quelle forme di divinazione che gli avi ci hanno trasmesso, e noi continuiamo a praticare, gli dèi esistono; e, all'opposto, se gli dèi esistono, deve anche esistere chi sia in grado di predire il futuro».

5. Le certezze di Quinto (libro primo)

5.1. Esistono due tipi di divinazione

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

5.2.1.1. I misteri della medicina5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere degli

animali e dai fulmini

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

5.2.3. L’analogia col seme

5. Le certezze di Quinto (libro primo)

5.1. Esistono due tipi di divinazione

«Ci sono due forme di divinazione:

una legata all’abilità professionale, l’altra legata alla natura.

I professionisti sono gli àuguri che predicono il futuro dalle viscere degli animali, gli astrologhi che sanno interpretare prodigi e folgori, gli interpreti dei segni delle sorti.

La divinazione naturale è legata ai sognie ai responsi dei veggenti».

«Di tutto questo», dice Quinto, «conviene ricercare piuttosto gli effettiche le cause, poiché esiste una forza naturale che è capace di predire il futuro sia dall’osservazione attenta e prolungata di determinati segni sia per un non so qual divino stimolo o suggerimento».

Su questa differenza tra effetti e cause si baserà tutta l’argomentazione di Quinto. Che le previsioni esistano è indubbio, ci sono le prove (effetti); come e perché il fenomeno divinatorio si possa realizzare (cause) può essere, anzi è un mistero.

5. Le certezze di Quinto (libro primo)

5.1. Esistono due tipi di divinazione

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

5.2.1.1. I misteri della medicina5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere degli

animali e dai fulmini

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

5.2.3. L’analogia col seme

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

5.2.1.1. I misteri della medicina5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere

degli animali e dai fulmini

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

5.2.3. L’analogia col seme

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

Questa specie di assioma, che non avrebbe bisogno di dimostrazione, data la sua evidenza, viene sostenuto da alcuni argomenti, basati sulla figura retorica della similitudine, un espediente retorico di indubbia efficacia. L’oratore Cicerone sa bene, per averlo sperimentato nelle arringhe dei tribunali, che la narrazione e la presentazione di exempla catturano l’attenzione e predispongono al consenso.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

Quinto porta exempla da campi apparentemente lontani dalla divinazione, ma che presentano singolari affinità con col fenomeno divinatorio:

• la medicina• le previsioni atmosferiche• le previsioni dalle viscere degli

animali e dai fulmini

5.2.1.1. I misteri della medicina

Le erbe e le radiciIl convolvolo e l’aristolochia

«È lecito constatare con lieta meraviglia quali specie di erbe e di radici atte a curare le morsicaturedelle bestie, le malattie degli occhi, le ferite, siano state scoperte dai medici, senza che la ragione abbia mai spiegato il motivo della loro efficacia: eppure la loro utilità ha dato credito all'arte medica e allo scopritore».

«Quale utilità ha la radice del convolvolo come purgante, quale efficacia ha l'aristolochia contro il morso dei serpenti? (questa pianta si chiama così dal nome del suo scopritore, il quale la trovò in seguito a un sogno); io vedo che ciò è possibile, e mi basta; perché sia possibile, non so».

5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche

Il mare e i montiLe raneI buoiLe piante

Il mare e i monti

«Osserviamo un po' quei fenomeni che, pur appartenendo a un genere diverso, sono tuttavia alquanto affini alla divinazione:

″E anche il mare gonfio indica spesso l'appressarsi dei venti, quando all'improvviso e fin dal profondo si solleva, e gli scogli biancheggianti, battuti dalla spuma nivea dell'acqua salata, gareggiano con Nettuno nel mandar lugubri voci, o quando un fitto stridore, proveniente dall'alta vetta d'un monte, si accresce, ripercosso dalla barriera degli scogli″».

Le rane

«Chi potrebbe immaginare che le raneprevedano la tempesta? Ma è insito nelle ranocchie un potere di presagire qualcosa: un potere difficilmente negabile in quanto tale, anche se non ben comprensibile alla ragione umana».

I buoi

«E i buoi che incedono lenti, con lo sguardo rivolto al cielo luminoso, aspirano dalle narici l'umido vapore dell'aria.Non domando il perché, dal momento che constato che il presagio si avvera».

Le piante

«Nemmeno questo chiedo, perché quel solo albero (il lentisco) fiorisca tre volte o perché con la fioritura indichi che è tempo di arare; mi accontento di sapere che cosa accada, pur ignorando perché accada».

5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere degli animali e dai fulmini

Le viscere degli animali

«So che significato abbia la fenditura nelle viscere degli animali sacrificati, o la fibra; la causa di questi presagi, non la so. E in tutta la nostra vita ci troviamo in questa condizione: poiché quasi tutti credono agli indizi delle viscere».

I fulmini

«E possiamo forse dubitare del valore profetico dei fulmini»?

Da questi exempla si può trarre una prima conclusione. Quinto, nella finzione narrativa, la immagina come un’obiezione rivolta al fratello Marco, assimilato a filosofo Carneade, esponente tipico di una posizione critica verso la divinazione.

«Perché stai a domandare, Carneade, per qual motivo queste cose avvengano o con quale arte possano essere comprese? Io confesso di non saperlo, ma affermo che tu stesso devi riconoscere che avvengono».

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

5.2.1.1. I misteri della medicina5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere

degli animali e dai fulmini

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

5.2.3. L’analogia col seme

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

5.2.1.1. I misteri della medicina5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere

degli animali e dai fulmini

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

5.2.3. L’analogia col seme

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

«Tu chiedi perché ciascuna di queste cose avvenga. Curiosità del tutto legittima; ma qui non di questo si tratta: si discute se quei fatti avvengano o no. Sarebbe come se, dicendo io che la calamita è una pietra che alletta e attrae a sé il ferro ma non sapendo dire perché ciò avvenga, tu negassi senz'altro il fatto. È ciò che fai riguardo alla divinazione, che constatiamo di persona, di cui sentiamo parlare e leggiamo, la cui dottrina ci è giunta dai nostri antenati».

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

5.2.1.1. I misteri della medicina5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere

degli animali e dai fulmini

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

5.2.3. L’analogia col seme

5.2. La divinazione è diffusa ovunque e in ogni tempo.

5.2.1. L’analogia tra la divinazione e altre “arti” (1, 12-16)

5.2.1.1. I misteri della medicina5.2.1.2. Le previsioni atmosferiche5.2.1.3. Le previsioni dalle viscere

degli animali e dai fulmini

5.2.2. Il potere misterioso della calamita

5.2.3. L’analogia col seme

5.2.3. L’analogia col seme

«Non c'è dunque motivo di meravigliarsi che gli indovini prevedano ciò che non vi è ancora in nessun luogo; tutte queste cose vi sono, ma sono ancora lontane nel tempo. E come nei semi è ìnsita la potenza generativa delle future piante, così nelle cause sono racchiusi gli eventi futuri; il loro avvento, lo prevede la mente invasata o immersa nel sonno, o anche il ragionamento e l'interpretazione».

6. Il punto di vista di Quinto (libro primo) vs le obiezioni e i dubbi di Marco (libro secondo)

6.1.A. Il caso e la verità secondo Quinto: quattro casi emblematici6.1.B. Il caso e la verità secondo Marco: Prassitele come Michelangelo

6.2.A. Lo scrupolo del re Deiotaro lo ha salvato dalla morte6.2.B. Al destino non si può sfuggire

6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu sconfitto, secondo Quinto.6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.

6. Il punto di vista di Quinto (libro primo) vs le obiezioni e i dubbi di Marco (libro secondo)

6.1.A. Il caso e la verità secondo Quinto: quattro casi emblematici6.1.B. Il caso e la verità secondo Marco: Prassitele come Michelangelo

6.2.A. Lo scrupolo del re Deiotaro lo ha salvato dalla morte6.2.B. Al destino non si può sfuggire

6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu sconfitto, secondo Quinto.6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.

6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri libri Sibillini?... (Quinto) 6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)

6.5.A. Il caso della mula che ha partorito, secondo Quinto.6.5.B. Il caso della mula che ha partorito, secondo Marco: se è accaduto era possibile.

6.6.A. Il sillogismo degli Stoici, secondo Quinto: la divinazione esiste.6.6.B. Marco contro il sillogismo degli Stoici: la divinazione non esiste.

6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri libri Sibillini?... (Quinto) 6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)

6.5.A. Il caso della mula che ha partorito, secondo Quinto.6.5.B. Il caso della mula che ha partorito, secondo Marco: se è accaduto era possibile.

6.6.A. Il sillogismo degli Stoici, secondo Quinto: la divinazione esiste.6.6.B. Marco contro il sillogismo degli Stoici: la divinazione non esiste.

6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri libri Sibillini?... (Quinto) 6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)

6.5.A. Il caso della mula che ha partorito, secondo Quinto.6.5.B. Il caso della mula che ha partorito, secondo Marco: se è accaduto era possibile.

6.6.A. Il sillogismo degli Stoici, secondo Quinto: la divinazione esiste.6.6.B. Marco contro il sillogismo degli Stoici: la divinazione non esiste.

6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede, secondo Quinto.6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.

6.8.A. I prodigi misteriosi che preannunciarono la sconfitta di Leuttra, secondo Quinto.6.8.B. I prodigi misteriosi che preannunciarono la sconfitta di Leuttra, secondo Marco.

6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede, secondo Quinto.6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.

6.8.A. I prodigi misteriosi che preannunciarono la sconfitta di Leuttra, secondo Quinto.6.8.B. I prodigi misteriosi che preannunciarono la sconfitta di Leuttra, secondo Marco.

6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu sconfitto, secondo Quinto.

6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.

6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu sconfitto, secondo Quinto.

6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.

Nella seconda guerra punica Gaio Flaminio trascurò i presagi del futuro e fu gravemente sconfitto da Annibalee lui stesso perse la vita nella battaglia del Trasimeno: 24 giugno 217 a.C.

Quinto racconta minuziosamente tutti i presagi e gli avvertimenti che furono trascurati:

1. «Dopo la cerimonia di purificazione dell'esercito, durante la marcia verso Arezzo, egli stesso e il suo cavallo caddero tutt'a un tratto senza alcuna causa dinanzi alla statua di Giove Statore; gli esperti giudicarono che questo segno doveva dissuaderlo dal dare battaglia, ma egli non si fece alcuno scrupolo di ciò».

2. «Poi, quando prese gli auspicii mediante il tripudium, fu consigliato dal pullario a rimandare il giorno del combattimento. Flaminio allora gli domandò: "Se nemmeno in seguito i polli avranno voglia di mangiare, che cosa ritieni che si dovrà fare?" Il pullario rispose che si sarebbe dovuto stare ancora fermi. E Flaminio: "Belli davvero questi auspicii! Quando i polli avranno fame si potrà dar battaglia, quando saranno sazi non si potrà far più nulla».

3. «Quando Flaminio ordinò che si svellessero dal suolo le insegne e lo si seguisse, il portatore dell'insegna del primo manipolo di astati non riuscì a smuovere l'insegna, nemmeno con l'aiuto di parecchi altri; Flaminio, quando ciò gli fu annunziato, secondo il suo solito non si curò del prodigio».

4. «Proprio nel tempo in cui si svolgeva quella disastrosa battaglia, vi furono in Liguria, in Gallia, in parecchie isole e in tutta l'Italia terremoti così forti che molte città furono distrutte, in molte località avvennero frane e sprofondamenti del suolo, i fiumi invertirono il loro corso, il mare penetrò nei corsi d'acqua.

E così in quelle tre terribili ore l'esercito fu trucidato e Flaminio stesso fu ucciso».

6.3.A. Perché Gaio Flaminio al Trasimeno fu sconfitto, secondo Quinto.

6.3.B. Gaio Flaminio avrebbe perso anche se avesse obbedito agli auspici, secondo Marco.

«Dov'è, dunque, codesta divinazione degli stoici? Se tutto accade per decreto del fato, essa non può in nessun modo consigliarci di essere più prudenti: perché, in qualsiasi modo avremo agito, accadrà, ciò nonostante, quel che deve accadere».

«Se invece il corso degli eventi può essere deviato, il fato si riduce a nulla; e allora si riduce a nulla anche la divinazione, poiché riguarda gli eventi futuri; ma nessun evento futuro accadrà con certezza, se con qualche espiazione si può fare in modo che non accada».

Questo, in sintesi, il ragionamento di Marco:

se c’è il destino, allora è già prefissato tutto quanto deve accadere e non può esservi divinazione di ciò che per forza deve verificarsi;

se il destino non c’è ed è possibile, con opportuni mezzi, deviare il corso degli avvenimenti (mutare cioè il futuro delle cose), come può parlarsi di divinazione, che è appunto l’arte di prevedere il futuro, quando questo futuro potrebbe anche non realizzarsi più o realizzarsi in modo diverso da quello previsto?

6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri Sibillini?... (Quinto)

6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)

6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri Sibillini?... (Quinto)

6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)

«Quante volte il senato ordinò ai decemviri di consultare i libri sibillini!

• Ogni volta che si videro due soli, e tre lune, e fiamme nell'aria;

• ogni volta che il sole apparve di notte, e nel cielo si sentirono dei rumori sordi e sembrò che la volta celeste si fendesse, e in essa apparvero dei globi.

• Quando fu annunziato al senato la frana del territorio di Priverno

• e la Puglia fu squassata da violentissimi terremoti».

«Da questi portenti erano preannunciate al popolo romano grandi guerre e rovinose sedizioni, e in tutti questi casi i responsi degli arùspici concordavano coi versi della Sibilla».

• A Cuma sudò la statua di Apollo, • a Capua quella della Vittoria• una volta nacque un andrògino e fu

ritenuto un prodigio funesto • le acque del fiume Atrato si tinsero di

sangue • più volte cadde una pioggia di pietre,

spesso di sangue, talvolta di terra, una volta anche di latte

• sul Campidoglio fu colpita dal fulmine la statua di un Centauro

• sull'Aventino le porte delle mura e alcuni uomini

• a Tùscolo il tempio di Càstore e Pollùce, a Roma il tempio della Pietà.

«In tutte queste circostanze gli arùspicidettero responsi conformi a ciò che poi accadde, e nei libri sibillini furono trovate le stesse profezie».

6.4.A. Meglio fidarsi dei Libri Sibillini?... (Quinto)

6.4.B. … o del filosofo Anassagora? (Marco)

«Fu riferito al senato che era piovuto sangue, che anche le acque del fiume Atrato si erano tinte di sangue, che le statue degli dèi avevano sudato.

Ritieni che Talete o Anassagora o qualsiasi altro filosofo della natura avrebbe prestato fede a simili notizie?»

«Non c'è né sangue né sudore che non fuoriesca da un corpo vivente. Ma un mutamento di colore, provocato da qualche commistione con terra, può render l'acqua estremamente simile a sangue; e l'umidità proveniente dall'esterno, come vediamo sugli intonachi dei muri quando soffia lo scirocco, può rassomigliare al sudore».

«Questi fatti, del resto, appaiono più numerosi e più gravi in tempo di guerra, quando c'è uno stato di paura; in tempo di pace non ci si bada altrettanto. Si aggiunga anche un'altra cosa: in momenti di terrore e di pericolo non solo ci si crede con più facilità, ma si inventano più impunemente».

«Ma noi siamo così leggeri e sconsiderati che, se i topi han rosicchiato qualcosa (e questo è l'unico lavoro al quale si dedicano!), lo consideriamo un prodigio. Prima della guerra màrsica, siccome i topi, come hai rammentato, avevano rosicchiato degli scudi a Lanuvio, gli arùspici dissero che questo era un prodigio dei più terribili: come se ci fosse qualche differenza a seconda che i topi, i quali giorno e notte rodono qualcosa, avessero rosicchiato degli scudi o degli stracci!»

«Se ci mettiamo per questa strada, dovrei disperare delle sorti dello Stato per il fatto che, poco tempo fa, i topi hanno rosicchiato in casa mia la Repubblica di Platone, oppure, se mi avessero rosicchiato il libro di Epicuro Sul piacere, avrei dovuto prevedere che al mercato i prezzi sarebbero rincarati».

6.5.A. Il caso della mula che ha partorito, secondo Quinto.

6.5.B. Il caso della mula che ha partorito, secondo Marco: se è accaduto era possibile.

6.5.A. Il caso della mula che ha partorito, secondo Quinto.

6.5.B. Il caso della mula che ha partorito, secondo Marco: se è accaduto era possibile.

«E ancora: questo famoso parto di una muta (partus mulae), che viene deriso, non è stato dichiarato dagli arùspici eccezionale parto di sventure (partus malorum) , proprio perché in un organo genitale sterile si era formato un feto?»

6.5.A. Il caso della mula che ha partorito, secondo Quinto.

6.5.B. Il caso della mula che ha partorito, secondo Marco: se è accaduto era possibile.

«Hai rammentato il parto di una mula.

È un fatto straordinario, perché non accade spesso; ma se non fosse potuto accadere, non sarebbe accaduto. E questo argomento valga contro tutti i prodigi: ciò che non sarebbe potuto accadere non è mai accaduto; se invece è potuto accadere, non c'è motivo di stupirsi.

L'ignoranza delle cause produce meraviglia dinanzi a un fatto nuovo; se la medesima ignoranza riguarda fatti consueti, non ci meravigliamo».

«Colui che si meraviglia che una mula abbia partorito, ignora egualmente in che modo partorisca una cavalla e, in generale, quale processo naturale produca il parto di qualsiasi essere vivente. Ma siccome vede che questi fatti avvengono di frequente, non si meraviglia, pur non sapendone il perché; se invece avviene una cosa che egli non ha ancora visto, ritiene che sia un prodigio.

Il prodigio si è dunque verificato quando la mula ha concepito, o quando ha partorito? Il concepimento potrebb'essere contro natura, forse; ma il parto è pressoché necessario».

6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede, secondo Quinto.

6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.

6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede, secondo Quinto.

6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.

«Questa cosa sola voglio asserire: l'oracolo di Delfi non sarebbe mai stato così frequentato e così famoso né arricchito di così splendidi doni di tutti i popoli e i re, se in ogni tempo non si fosse sperimentata la veridicità dei suoi responsi.

"Ma," dicono, "già da tempo non si comporta più così."

Ebbene, come adesso gode minore fama perché la verità delle sue profezie è meno insigne, così allora non avrebbe raggiunto una fama così grande se non in virtù della sua somma veridicità».

«Può darsi, del resto, che quella potenza, emanante dalla terra, che investiva di afflato divino la mente della sacerdotessa, si sia affievolita col passare del tempo, allo stesso modo in cui vediamo che certi fiumi sono svaporati e si sono inariditi, o hanno cambiato direzione e si sono avviati per un itinerario diverso dal precedente.

Scegli pure l'ipotesi che preferisci (poiché si tratta di una questione molto incerta), a condizione che rimanga fermo ciò che non può esser negato se non vogliamo sovvertire tutta la storia: per molti secoli quell'oracolo fu verace».

6.7.A. L’oracolo di Delfi è degno di fede, secondo Quinto.

6.7.B Marco ironizza sull’oracolo di Delfi.

«Ma, e questa è la cosa principale, come mai a Delfi non vengono più pronunciati oracoli di questo genere, e non solo ai nostri tempi, ma già da molto, di modo che niente può essere ormai oggetto di maggior disprezzo? Quando vengono messi alle strette su questo punto, rispondono che per l'antichità è svanita la forza di quel luogo, la quale produceva quelle esalazioni che esaltavano l'anima della Pizia e le facevano proferire gli oracoli».

«Diresti che costoro parlino del vino o della salamoia, che perdono sapore col tempo.

Si tratta della forza sprigionantesi da un luogo, e di una forza non meramente naturale, ma addirittura divina; come mai, dunque, essa è potuta svanire? "Per il lungo tempo trascorso," tu dirai.

Ma quale durata di tempo può essere in grado di esaurire una forza divina?»

[…]«E quando codesta forza è svanita? Forse quando gli uomini incominciarono a essere meno crèduli?

Demostene, che visse circa trecento anni fa, già allora diceva che la Pizia "filippeggiava",cioè, per così dire, prendeva le parti di Filippo.

Questa frase mirava a far intendere che la Pizia era stata corrotta da Filippo».

«È dunque lecito credere che anche in altri responsi dell'oracolo di Delfi vi sia stato qualcosa di non veritiero. Ma, non so come, sembra che questi filosofi superstiziosi e, starei per dire, fanatici vogliano a tutti i costi far la figura degli sciocchi. Vi ostinate a sostenere che è svanita ed estinta una forza che, se mai vi fosse stata, sarebbe senza dubbio eterna, piuttosto che rinunciare a credere cose incredibili».

7. La conclusione “socratica” del dialogo: conflitti tragici e conflitti filosofici

I poeti tragici non furono dei filosofi, ma fornirono alla nuova filosofia post-socratica, che mise l’uomo al centro della sua ricerca, una serie infinita di sceneggiature umane fondate sui conflitti insanabili tra padri e figli, tra fratelli, mariti e mogli, tra due leggi, tra due città.

I poeti disegnarono i conflitti, ne indagarono le cause,

i filosofi ne cercarono le soluzioni.

L’opera più significativa di Platone, la Politèia, che si può tradurre “Costituzione”, “Stato”, “Repubblica”, cerca di regolare tutti i conflitti all’interno di una concezione di Stato perfetto. Anche la filosofia di Aristotele si può riassumere come un tentativo ambizioso di mettere ordine nella confusione del mondo naturale e umano.

Quasi tutti i dialoghi di Platone si concludono con un accordo tra gli interlocutori, in nome della “verità”, accolta da entrambi.

Allo stesso modo, Quinto e Marco, concludono la discussione e si congedano al lettore.

«Siccome, d'altra parte, è un principio basilare dell'Accademia non imporre mai alcun proprio giudizio, dare il proprio assenso a quelle tesi che più appaiono vicine alla verità, mettere a confronto le ragioni di ciascuno ed esporre ciò che si può dire contro ciascuna opinione, lasciare agli uditori il loro giudizio libero e illeso senza far pesare in alcun modo su di essi la propria autorità, manterremo questa consuetudine ereditata da Socrate e la metteremo in pratica tra di noi - se a te, fratello mio Quinto, piacerà - il più spesso possibile».

«Per me,» rispose Quinto, «nulla può essere più piacevole.» E, detto ciò, ci alzammo.

A cura di Roberto Radice, Stoici antichi. Tutti i frammenti raccolti da Hans von Arnim, Milano, Rusconi, 1998; pp. 766-767; 750-751. Nella raccolta originale curata da Hans von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta (Stuttgard, Teubner, 1903-1905).

La monumentale opera di Arnim è ora consultabile integralmente nei quattro volumi

1: Frammenti di Zenone e dei suoi seguaci;2: Frammenti della logica e della fisica di Crisippo;3: Frammenti dell’etica di Crisippo e dei suoi seguaci;4: Indici

dell’edizione teubneriana del 1964, al sito https://archive.org/details/stoicorumveterum01arniuoftgli altri tre volumi: 2, 3 e 4, sono leggibili sostituendo nell’indirizzo le cifre rispettive: /02/03/04

http://risorsedocentipon.indire.it/home_piattaforma/