Notte Fredda per Coccodrilli

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Jack e Ian dovevano solo divertirsi. Il vento nero che veniva dal mare, però, la pensava in modo diverso...

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Al caro Gianluca. “Scrivere racconti è come correre i cento metri...

vogliamo arrivare al chilometro?”

Quel sabato notte faceva un freddo da lupi. Il vento del nord

soffiava a una velocità inaudita, sembrava avesse fretta di raggiungere

qualche posto lontano, o di presentarsi a un appuntamento per il quale

era già in ritardo. Investiva violento case e automobili, trafiggeva

senza pietà le fronde degli alberi, si insinuava in ogni fessura che

gliene permettesse il passaggio, trasformandosi in fischi cattivi. Quella

notte il vento del nord era nero e malvagio: arrivava dal mare.

Jack e Ian erano in macchina, diretti verso il centro della città,

dove ad attenderli ci sarebbero state un paio di ragazze con cui passare

la serata, o almeno questo gli aveva promesso Michael.

Jack non era granché convinto, non avrebbe funzionato. Nessuno

accettava quanto fosse difficile per lui tirare avanti dopo Dana; si

sentiva solo, abbandonato, senza ragione d'esistere.

Per tutti i suoi amici scoparsi questa o quella ragazza non era un

problema, per lui sì, e sapeva che l'amica di Michael lo avrebbe

trovato noioso e deprimente. Le cose stavano diversamente per Ian,

che non stava più nella pelle per l'eccitazione.

– Chissà che goduria stasera, vecchio mio, – esclamò. – Spero solo

che Michael non ci abbia trovato due cessi, non è che abbia 'sto gusto

raffinato, eh.

– Mah.

– Beh? Che c'è? Stasera, e soprattutto stanotte, dobbiamo

divertirci, d-i-v-e-r-t-i-r-c-i. Capito?

– Lo sai come la penso.

– Basta con 'sta Dana! Era una baldracca, amico mio, mettitelo

nella zucca! Se una ti ama non va a scoparsi il primo tizio che passa, ti

pare? Per questo tu stasera devi divertirti, lo devi a te stesso.

– Ci proverò, – concluse titubante Jack.

La macchina costeggiò il mare, seguendo la strada priva di

lampioni. L'aria era limpida, la luna regnava sul mare come una regina

solitaria, e i suoi riflessi d'argento tremavano sulle increspature

dell'acqua.

Jack scrutava la notte in silenzio, Ian si contorceva al ritmo della

musica proveniente dall'autoradio. Non avevano incrociato nessuno

che seguisse la loro direzione, o che venisse da quella opposta.

I cacofonici suoni nell'abitacolo, sommati agli scarsi tentativi

canori di Ian, rovinavano l'atmosfera; Jack non riusciva a perdersi

nelle sue riflessioni come avrebbe voluto.

All'improvviso, un sobbalzo.

– Hai sentito? – domandò Jack.

– Cosa?

– Abbiamo urtato qualcosa, genio. Ferma la macchina e scendi a

controllare.

– Col cazzo, fa un freddo boia! Scendi tu!

– La macchina è tua, Ian, io non vado da nessuna parte. O muovi il

culo, o per quel che mi riguarda possiamo rimanere qua anche tutta la

notte.

– Va bene, va bene, vado, – protestò l'amico, che accostò piano.

I fari della vecchia auto strappavano la notte con crudeltà

geometrica.

– Ho una buona e una cattiva notizia, – annunciò Ian.

– Prima quella brutta.

– Abbiamo bucato. E se te lo chiedi, no, non ho la ruota di scorta.

– Bene. Sono due cattive, allora.

– No, quella buona è che il vento ha smesso di tirare, ora fa solo

un freddo boia.

– E cosa ci sarebbe di buono?

– Quanto sei negativo, socio. C'è di buono che possiamo andare a

cercare un telefono senza finire a fette. Se non sbaglio, i nostri

cellulari sono scarichi. Solo così possiamo chiedere aiuto. Conosco

questa strada, non lontano da qua ci sono dei cessi pubblici, e dentro

c'è un telefono. Ma potrebbe volerci molto, a piedi.

– Allora facciamo che tu vai a cercare 'sto telefono e io resto qua.

– E per quale cazzo di motivo, principessina?

– Perché, genio, non puoi lasciare la macchina qua e basta.

Potrebbero rubartela, o cose così. O metti che passa qualcuno, potrei

chiedere aiuto.

– Vabè, ok. A me sembra solo una scusa per non muovere il culo,

ma in fondo, molto in fondo, se scavo col cucchiaino, hai ragione. Ok,

allora vado, prima arrivo a destinazione, meglio è.

– Buona fortuna, socio. Non congelarti le palle, eh, – si

raccomandò ironico Jack.

Per tutta risposta, Ian mostrò il medio e, stretto tra le sue braccia,

scomparve nel buio della notte.

Jack rimase chiuso in macchina, preda di oscurità e freddo. Dopo

poco, fu costretto a spegnere anche i fari: alla lunga avrebbero potuto

scaricare la batteria, e allora i problemi sarebbero raddoppiati.

Ian aveva accostato in prossimità del ciglio stradale che, oltre il

guard rail, degradava in una vasta e desolata spiaggia. Dall'altro lato,

si potevano ammirare le pittoresche case di Joppa.

Rannicchiato sul suo sedile, Jack cercava di farsi suggestionare il

meno possibile da ciò che lo circondava. Osservava il suo respiro

addensarsi in volatili nuvolette bianche, e, quando ne era stufo,

spostava lo sguardo al di là del parabrezza. La tensione si era

impadronita più di una volta dei suoi occhi, lo aveva indotto a

scorgere creature che era certo non esistessero. A quel punto, decise di

scendere dalla macchina e verificare con i suoi sensi che non ci fosse

niente da temere.

Davanti al muso dell'auto, si mise a tastarlo come per avere

conforto.

– Vedi, Jack? Non c'è nulla qui fuori, stupido coglione, – si disse.

L'idea di tornare a rintanarsi in macchina, però, non lo

entusiasmava. Almeno fuori aveva la possibilità di tenere in

movimento il corpo, di scaldarsi; decise per una camminata a tu per tu

col mare, che, sotto la luce lunare, gli ispirava più sicurezza.

Il ragazzo scavalcò la barriera stradale, e scese lungo la lieve

pendenza erbosa che collegava la strada alla spiaggia. Quando i suoi

piedi realizzarono il soffice affondo sulla sabbia, Jack infilò un passo

dopo l'altro, con le mani ficcate ben in fondo alle tasche e la zip del

giaccone tirata fin sotto al mento. Il suono delle onde lungo la riva gli

infondeva tranquillità.

D'un tratto, in lontananza, Jack mise a fuoco qualcosa di scuro e

massiccio: un paio di barche in secca, di quelle con cui i vecchi del

luogo andavano a pescare.

Il tempo di abbassare e rialzare la testa, e la visione mutò.

Seduta sul bordo di una delle barche, c'era una figura avviluppata

in un mantello. Jack sentì un brivido percorrergli il corpo, era sicuro

che non fosse il gelo della notte ad averglielo trasmesso. Anziché

allontanarsi, però, gli andò incontro: quell'individuo, chiunque egli

fosse, lo incuriosiva. Una volta abbastanza vicini, rimasero l'uno

davanti all'altro, in religioso silenzio, finché la figura si alzò in piedi.

Era un'ombra: non possedeva un corpo, né un volto, era un buco nero.

– Chi sei?

– Ti importa? – risuonò la voce profonda della creatura.

– Sì.

– Nasco dai desideri delle persone. Regalo splendidi sogni, li

faccio avverare. La gente mi chiama Sandman.

– Sandman... – mormorò Jack. – Cosa vuoi da me?

– Avverto del timore nelle tue parole. Non voglio la tua vita, se è

questo che temi. Sono qui per offrirti un sogno, per dare forma a

qualcosa di cui tu non conosci l'esistenza.

– Non capisco.

– Non ancora. Devi solo chiudere gli occhi.

– E se non volessi?

– Allora fallirei. Mi riprenderei il tuo sogno e tornerei nel mio

mondo, con il fardello di un insuccesso. Sappi, però, che non potrai

più far avverare il tuo desiderio, – sentenziò lo spirito.

Jack rimase a fissare il mare per un tempo lungo quanto l'infinito.

– Ebbene? – lo scosse Sandman.

Il ragazzo si fece coraggio e chiuse gli occhi.

Sandman raccolse una manciata di sabbia, delicatamente la soffiò

sugli occhi di Jack. Una nuvola dorata lo avvolse, per poi dissolversi

in fretta.

– Il tuo desiderio è compiuto.

Le parole dell'uomo del sonno svanirono veloci quanto la sua

figura, nell'aria polare della notte.

Jack riaprì gli occhi.

Il mondo gli sembrava ancora lo stesso, la spiaggia era la stessa,

come la luna e tutto il resto.

Non gli era ben chiaro se avesse sognato, ma, nel dubbio, si mise a

correre a perdifiato verso la macchina, inseguito dalla sua stessa

paura.

Quando saltò il guard rail, tuttavia, rimase inebetito: l'auto era

scomparsa.

Il ragazzo cadde molle sull'asfalto, spaurito e senza più riferimenti.

Di colpo, un fascio di luce lo illuminò: le finestre dell'elegante casa

che dava sulla strada si erano accese in rapida successione. La porta

d'ingresso, infine, si spalancò; una signora anziana, avvolta in una

vestaglia di lana rosa, si precipitò preoccupata verso Jack.

– Cielo! Caro ragazzo, che cos'hai stai bene? Che ti è successo?

– Oh, signora! Io e il mio amico abbiamo avuto un incidente, ma

sono spariti sia lui che l'auto, non so che fare! Può aiutarmi?

– Ma certo caro, ti aiuteremo noi.

Il marito della donna, anche lui pieno d'ansia, li raggiunse in

strada.

– Che succede qui?

– George, il ragazzo ha bisogno d'aiuto. Lo aiuteremo, vero?

– Per Bacco, certo che lo aiuteremo! Il tuo nome, ragazzo?

– Jack.

– Bene Jack, lascia che io e mia moglie Darla ci prendiamo cura di

te.

– Ci prenderemo cura noi di te, Jack, – ripeté la donna.

Jack lanciò un'occhiata alle spalle della coppia: tutte le luci del

vicinato si erano accese, puntinando di giallo quella che fino a poco

prima era una distesa nera come la pece. Le porte si aprirono, e,

presto, un profluvio di persone si riversò in strada, spinto dal desiderio

di aiutare Jack. In meno di quanto si aspettasse, il giovane si ritrovò

accerchiato.

– Cos'è accaduto? – domandò una donna con una vestaglia a fiori.

– Come possiamo aiutarlo? – fece un tizio magro e pallido.

– Ci prenderemo cura noi di te! – si sovrappose una signora dagli

occhiali spessi.

– Calma, calma! Jack ha bisogno di aiuto, – gridò George. –

Saremo noi a prenderci cura di lui, avete capito?

Jack, confuso, iniziava a sentirsi a disagio, agitato.

– E chi sei tu per decidere chi deve fare cosa, George? – inveì la

donna con gli occhiali.

– Già, chi sei? Anche noi vogliamo aiutare il ragazzo! – urlò

l'uomo pallido.

– Anche noi vogliamo il ragazzo! – si alzarono le voci di tutti gli

altri.

– Vogliamo Jack! Vogliamo Jack! Vogliamo Jack! – si unirono i

residenti in un coro dalle sfumature barbare e feroci.

– Basta! Svitati! Tornatevene nelle vostre case e lasciatemi in

pace! – tuonò Jack frastornato.

– Non possiamo farlo, – intervenne George. – Hai chiesto tu di

non restare solo, hai chiesto tu che qualcuno si prendesse cura di te.

Noi siamo qui per te, solo per te.

Jack sgranò gli occhi. Indietreggiò, riuscì a scavarsi un varco tra la

massa, poi scappò verso la spiaggia. La folla lo rincorse; dimenava le

braccia, invocava il suo nome, sembrava lo volesse mettere al rogo

come fosse una strega. – Jack! Jack! Devi venire con noi, Jack!

Davanti all'acqua gelida, Jack si ritrasse: non poteva proseguire

oltre. I suoi aguzzini lo raggiunsero, iniziarono a contenderselo

violentemente. Aggredito, strattonato e soffocato, Jack venne spinto a

forza sulla sabbia, affossato dalla potenza della calca, che non

desiderava altri che lui.

In un ultimo barlume di lucidità, pianse lacrime di coccodrillo.