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SIS Piemonte
Lo studio della letteratura latina
attraverso una varietà di metodi didattici
Specializzando: Silvia Alessio Supervisori: Prof.ssa Rita Giublena Prof.ssa Maria Motta
ANNO ACCADEMICO 2008 / 2009
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1. CONTESTO
Il progetto didattico è stato realizzato in una quarta Liceo scientifico. La classe, di 19 alunni, afferisce
al Piano Nazionale di Informatica.
2. LIVELLO
La classe, nel suo complesso, appare “piatta” sotto tutti gli aspetti, sia per il rendimento che per la
partecipazione. Solo alcuni alunni mostrano una predisposizione viva, curiosa e condivisa verso
l’apprendimento ma i più, durante le lezioni, non rivolgono domande e sembrano immersi nei loro
pensieri. Tre o quattro alunni hanno un buon livello di preparazione, il resto della classe si attesta
generalmente su un livello basso.
2.1. Situazione di partenza della classe
L’ultimo autore affrontato dalla tutor primo del mio arrivo è stato Cesare, con la lettura e la traduzione di
passi dal Bellum Gallicum e dal Bellum Civile. Sallustio è stato anticipato rispetto a Cesare, ma soltanto
come ripresa, dato che alcuni passi del Bellum Catilinae erano già stati tradotti in terza, invece Cicerone
sarà trattato dalla docente contemporaneamente al mio intervento su Lucrezio. La tutor è così riuscita a
concentrare nel mese di settembre il discorso sui maggiori autori in prosa dell’età di Cesare, con
un’attenzione particolare al genere storiografico. Il mio intervento, pertanto, si è posto come primo
incontro della classe con la poesia latina. I ragazzi non avevano alcuna nozione di metrica latina, ma la
tutor si è offerta di dedicare un paio di ore prima dell’inizio del mio intervento alla spiegazione
dell’esametro latino e alla lettura di alcuni versi dal momento che la conoscenza della metrica latina non è
un obiettivo finale richiesto agli alunni.
3. FINALITA’ Le finalità del lavoro sono:
Riconoscere e identificare i principali procedimenti linguistici e stilistici dell’autore considerato;
Operare raccordi e confronti intertestuali;
Riflettere sul rapporto tra fonti storiche e documentazione iconografica;
Saper tradurre e commentare con spirito critico i passi proposti dal docente;
Saper riconoscere i costrutti grammaticali e individuare le caratteristiche dello stile e le figure retoriche
presenti nei brani studiati;
Saper riconoscere il significato che gli accorgimenti metrico-retorici assumono alla luce
dell’interpretazione del testo;
Comprendere le ragioni per cui Lucrezio sceglie la forma poetica per parlare dell’epicureismo;
Saper riconoscere i richiami interni all’opera, sia formali sia tematici, operando i dovuti confronti;
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Saper operare dei collegamenti interdisciplinari dietro suggerimento dell’insegnante.
4. PREREQUISITI E OBIETTIVI DI APPRENDIMENTO Ho diviso i prerequisiti in conoscenze e competenze:
Conoscenze:
1. Conoscenza della morfologia e della sintassi latina;
2. Conoscenza delle principali figure retoriche di parola, di suono e di significato;
3. Conoscenza del quadro storico e culturale, dei personaggi e degli avvenimenti significativi
dell’età di Cesare;
4. Conoscenza delle linee fondamentali della filosofia epicurea (origini, diffusione, pensiero);
5. Conoscenza sommaria delle altre filosofie elleniche che si diffusero a Roma a partire dal I secolo
a.C. (in particolare lo stoicismo);
6. Conoscenza sommaria degli autori che verranno richiamati a lezione (Ennio, Callimaco, i poetae
novi e Catullo).
Competenze:
1. Saper ricostruire la struttura della frase con l’ausilio dell’insegnante;
2. Saper inquadrare un’opera all’interno di un genere letterario;
3. Saper prendere appunti in modo adeguato e intervenire in maniera motivata e pertinente;
4. Saper utilizzare il manuale in adozione, integrandolo agli appunti, per ricostruire a casa
autonomamente un quadro approfondito ed esauriente dell’autore e dell’opera.
Tra tali prerequisiti, le conoscenze storiche saranno recuperate nella prima lezione con un ripasso del
contesto storico in cui si colloca la vita di Lucrezio.
Obiettivi di apprendimento:
1. Conoscenza delle principali notizie bibliografiche e del dibattito circe l’identità di Lucrezio;
2. Conoscenza dei principali giudizi riservati al De rerum natura nel corso dei secoli;
3. Conoscenza dei precedenti letterari e dell’interpretazione lucreziana del poema didascalico;
4. Conoscenza del contenuto e della struttura dell’opera;
5. Conoscenza del contenuto dei brani letti in traduzione, in classe o a casa;
6. Conoscenza delle caratteristiche stilistiche e della lingua dell’autore;
7. Conoscenza delle linee principali del pensiero filosofico espresso nel De rerum natura.
6. RISORSE E MATERIALI - Manuale in adozione
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- Fotocopie e schede
- Computer per proiezione di slide
- Lavagna
- Appunti
Il manuale in adozione è Carini Corrado, Pezzati Maria, Latinae Litterae 2 / L’età di Augusto, D'Anna,
2004, vol. II. Si tratta di un manuale che integra con una struttura modulare il profilo storico-letterario e il
testo d’autore in lingua originale. Importanti sono le varie introduzioni alla storia e alla cultura dei diversi
periodi, le cui notizie più significative sono sostenute dai testi d’autore da cui sono state ricavate. Ogni
capitolo si apre con la traduzione di un testo guida dell’autore considerato, corredato da un’analisi
introduttiva al suo pensiero e alla sua poetica. Gli autori sono trattati per unità tematiche e ciascuna di
esse è seguita dai testi maggiormente significativi per la tematica trattata. Un testo dunque ben articolato,
dotato di più livelli, a cui mi riferirò per tutta la durata del mio intervento didattico per il gran numero di
testi contenuti ma già in questa fase preparatoria ha rivelato un paio di elementi sfavorevoli: il numero
ridotto di note presenti a corredo di ogni brano e le analisi testuali troppo sintetiche. Nella preparazione
delle lezioni, ho utilizzato anche altri manuali fornitimi dalla docente accogliente1. Le traduzioni presenti
sono didatticamente spendibili anche se, durante le lezioni, ho fatto tradurre il testo ai ragazzi nel modo
più letterale possibile.
Seguendo il modello della docente accogliente, ho fatto un uso molto libero del manuale, utilizzato
soprattutto per i testi e le note stilistiche, mentre il ricorso ai vari apparati didattici (informazioni
sull’autore, introduzioni ai brani, pagine stilistiche e così via) è stato lasciato alla libera fruizione degli
allievi. Si vedano le collocazioni dei testi esaminati:
- Proemio, invocazione e dedica (I, vv. 1- 43) → p. 151 - I libro, vv. 50-61 → fotocopie fornite - Il “dio” Epicuro (I, 62-79) → p. 144 - Il sacrificio di Efigenia (I, vv. 80-101) → p. 166 - La sapienza epicurea (II, 1-19) → p. 153 - E’ arduo spiegare le oscure scoperte dei Greci in versi latini (I, vv. 136-148) → p. 188 - La poetica di Lucrezio (I, vv. 921-950) → p. 188 - La morte non è nulla (da fare sono in italiano, il manuale riporta il testo latino) - III libro vv. 830-869) → p. 179 - La peste di Atene (VI, vv. 1138-1286 in italiano) → p. 191 - La natura è maligna? (V, vv, 195-234) → p. 182 - V libro, vv. 925-965, vv. 966-1027, vv. 1412-1457 → fotocopie fornite
7. METODOLOGIA E TEMPI
1 G. Casillo, R. Urraro, A verbis ad res: antologia di autori latini per il liceo scientifico, Loffredo, Napoli, 1987; G. Garbarino, Letteratura latina, Paravia, Torino, 1997; Lucrezio. Vita e morte dell’universo. Antologia del De rerum natura a cura di A. Barigazzi, Paravia, Torino, 1974; P. Pagliani, R. Alosi, Concentus. Armonia di voci dal mondo classico, Petrini, Torino, 2002.
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L'articolazione dell'unità di apprendimento predisposta per il tirocinio si inserisce all'interno di una
programmazione di tipo modulare che mantiene una linea cronologica più o meno rigorosa e predilige la
trattazione monografica per autore. Per ciò che riguarda il mio metodo, mi sono rifatta a quello adottato
dalla docente durante le sue lezioni (lettura dei testi, traduzione e commento, cercando di evidenziare i
concetti-chiave), ma nel limite del possibile, ho cercato di introdurre delle novità.
Durante i corsi presso la SIS è emerso come la scelta di una modalità didattica non possa prescindere
dall’interazione di metodologie diverse, dall’adeguamento alle esigenze della classe e dalla costante
attenzione alle specificità epistemologiche della disciplina.
Ho valutato le potenzialità formative della didattica per problemi, considerandola come punto di
riferimento utile nella misura in cui si prestava a un’efficace interazione con “altre” didattiche per
rispondere alle esigenze degli allievi. L’approccio problematico si integra, infatti, con la didattica per
scoperta (basata sulla ricerca) e con la didattica per concetti, valido strumento per sviluppare la
consapevolezza della necessità dell’interconnessione delle conoscenze e per far fronte alle implicazioni
disciplinari e relazionali, con lo scopo di motivare gli alunni allo studio, in quanto essi stessi, attraverso i
processi metacognitivi, sono creatori e trasmettitori di sapere.
A volte, per fissare maggiormente i contenuti ho rappresentato alla lavagna uno schema riassuntivo. Ho
infatti deciso di servirmi di schemi riassuntivi o mappe nell’intervento attivo, poiché utili strumenti di
osservazione, di stimolazione e di controllo dei processi di apprendimento (anche in sede di verifica
diagnostica in itinere), nonché promotori dell’apprendimento significativo. In alcuni casi, ho guidato i
discenti nella realizzazione individuale degli schemi riassuntivi degli argomenti trattati. Sono tuttavia da
tener presente, accanto agli aspetti evidentemente positivi, alcuni aspetti critici relativi al loro utilizzo,
quali, ad esempio, la loro relatività in quanto frutto dell’elaborazione personale.
La prassi di utilizzare schemi e mappe caratterizza la mia didattica abitualmente, tuttavia credo che vada
condivisa e non imposta: la mia fortuna è stata di ricevere spesso collaborazione attiva dei ragazzi alla
creazione degli schemi, altrimenti, avrei rischiato di rinchiudere in gabbie prestabilite i nodi concettuali
delle mie lezioni, pretendendone alla fine una fedele ma inconsapevole mnemonizzazione.
Fin dall’inizio, stipulando il patto formativo, ho illustrato agli allievi i miei obiettivi. Nonostante la scelta
dell’autore fosse strettamente vincolata alle esigenze e alle necessità previste dalla programmazione
didattica della tutor, ho cercato di strutturare l’intervento con particolare attenzione alle metodologie, nel
tentativo di favorire un approccio più attivo e riflessivo all’opera letteraria rendendo conto della sua
estrema complessità e cercando di riattivare la curiosità e la partecipazione degli allievi dimostratesi
carenti nel corso dell’osservazione della classe. In classe ho cercato di instaurare un clima relazionale di
collaborazione, in cui vi era rispetto del lavoro reciproco. Ricercando il dialogo con gli alunni, ho
avvertito la necessità di presentare loro gli argomenti con un linguaggio accessibile e non complesso,
affinché effettivamente tutti gli studenti (e non solo la maggioranza) potessero seguire il discorso.
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Centro della lezione è stato, come per la docente accogliente, il testo letterario, di cui ho svolto o facevo
svolgere la traduzione oralmente, invitando i ragazzi a prenderne nota e di cui successivamente fornivo
un’analisi stilistico-retorica. La lettura metrica del testo era eseguita dai ragazzi o da me stessa. La tutor
non ha inserito la lettura metrica tra gli obiettivi da raggiungere dalla classe, ma ho ritenuto utile seguirla
per tentare di risvegliare una curiosità, da approfondire nel caso mi venisse manifestata. Avevo
inizialmente pensato di affidare quasi integralmente alla classe la lettura in metrica, ma poi, nel corso del
tirocinio ho dovuto più volte svolgerla io stessa, in quanto gli alunni erano lenti a leggere in metrica e,
soprattutto, c’erano grosse differenze all’interno della classe (alcune ragazze leggevano bene e in modo
spedito; alcuni ragazzi, invece, erano totalmente incapaci di farlo).
Durante le lezioni, partendo dal testo, ho cercato di far emergere in un secondo momento il filo rosso che
annoda le conoscenze (la storia letteraria latina), alle competenze (il rapporto tra testo e contesto e
l'analisi semiologia) alle padronanze (relative alla capacità di trasferire, comunicare, progettare).
L’attenzione si è focalizzata sui processi inferenziali che stanno alla base dell’attività di comprensione del
testo: ho cercato di incentivare un atteggiamento ispettivo da parte dei discenti, ai quali ponevo domande
e fornivo, progressivamente, gli opportuni chiarimenti, affinché la classe si rendesse disponibile a
manipolare più volte i significati, riformulando le conoscenze sulla base delle nuove informazioni
acquisite. Per non rischiare di frantumare le nozioni, senza fornirne un’immagine complessiva, una volta
isolati i concetti fondamentali, ho continuato con una loro strutturazione secondo logiche di ragionamento
pulite e lineari, elaborando poi alla lavagna, in collaborazione coi discenti, degli specchietti di sintesi,
attraverso i quali lo studente possa adeguare agevolmente la focalizzazione sulla materia trattata, dal
teleobiettivo al grandangolo e viceversa.
Nel primo incontro, attraverso la modalità della lezione dialogata, ho recuperato le conoscenze pregresse
degli studenti sul periodo storico considerato. Con l’impostazione dialogica, in cui l’allievo diventa parte
attivo nelle problematizzazioni, l’insegnante discute con gli allievi, spronandoli ad esprimere le loro idee
e le loro opinioni, ed a metterle a confronto sia con le sue che con quelle dei compagni; in tal modo, il
ruolo degli allievi diventa molto più attivo, in quanto la loro creatività ed intuizione viene maggiormente
sfruttata. L’intervento didattico ha preso allora avvio con un brainstorming e con questa metodologia
didattica, i ragazzi hanno partecipato attivamente alla lezione. A questo tipo di strategia, per agevolare il
ripasso delle conoscenze, è stata affiancata la presentazione dei contenuti per mezzo di slides, al fine di
creare interesse, rinforzare conoscenze e competenze2 e sintetizzare concetti. Il PowerPoint, costruito
come ipertesto, è stato fornito alla classe al termine della lezione. La presentazione del lavoro che avevo
preparato ha suscitato immediatamente un certo interesse per la novità dell’esperienza. Mi sembra
opportuno che la didattica del latino si avvalga oggi del computer: al tradizionale strumento di studio (il
libro di testo) si può affiancare l’ipertesto che consente di arricchire le conoscenze riunendo brani di
autori, traduzioni, commenti e note, fonti iconografiche, carte geografiche e altro ancora. L’uso delle
2 Nello specifico, facilitare i collegamenti interdisciplinari.
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tecnologie si rivela molto utile a motivare maggiormente gli allievi impiegando strumentazioni da loro
conosciute e condivise. Potrebbe quindi trattarsi di un valido strumento di mediazione tra il vissuto degli
allievi e le discipline alle quali si intende motivare. Inoltre tali tecnologie consentono in breve tempo di
sviluppare ricerche e operazioni non altrimenti praticabili con i soli mezzi cartacei.
Nel mio specifico caso, ho cercato di costruire le slide attenendomi ad alcune “regole”: ho evidenziato
con colori diversi le parole-chiave, in modo tale che risultasse evidente lo stacco; ho cercato di non
scrivere molto, riportando i concetti principali; ho opportunamente integrato frame visivo ed esposizione
orale. E’ molto efficace l’alternare strumenti e strategie di presentazione (lettura di un testo scritto,
spiegazione orale, schema alla lavagna) che coinvolgano le diverse modalità di rappresentazione dei dati
degli allievi obbligando loro a variare continuamente risposta in funzione degli stimoli proposti con
l’intento non solo di mantenere l’attenzione il più a lungo possibile, ma soprattutto di migliorare
l’apprendimento rendendolo efficace e significativo.
È stato particolarmente produttivo lasciare frequenti spazi di discussione, consentendo efficaci momenti
di ripasso. Il costante ripasso in classe dei temi trattati ed il rispetto delle consegne dei compiti a casa
(fatte le debite eccezioni) hanno facilitato la preparazione degli studenti, che si è potuta costruire con
sistematicità. Incentivando il dialogo, sono anche state indagate e sollecitate le modalità di ragionamento
impiegate dagli allievi: ponendoli di fronte ad una situazione “problematica” da risolvere, ho cercato di
recuperare le conoscenze che già possedevano e di farli riflettere sulle modalità di ragionamento
impiegate. La modalità didattica che si è rivelata basilare nel corso dell'esperienza di tirocinio è stata
senza dubbio la lezione euristica3: l'intenzione era quella di cercare continuamente la partecipazione e il
coinvolgimento attivo degli studenti, problematizzando e suscitando domande sul senso. Ogni elemento,
ogni particolarità stilistica, ogni sfumatura va ricondotta verso un'unità di senso, verso i nuclei fondanti
della materia.
Soltanto in due occasioni (durante la prima e la seconda lezione) è stato possibile far emergere
un'apparente incongruenza all'interno del sistema di pensiero dell'autore, predisponendo una sorta di
incidente critico:
a. Come si concorda l'inno a una dea con il primo precetto del Quadrifarmaco? b. Perché, nell'episodio di Ifigenia, l'autore ricorre all'intervento di Artemide?
Si tratta semplicemente di cogliere un non detto, una domanda lasciata aperta dall'autore per i lettori di
ogni tempo. La risposta non è facile né univoca, ma questo stile d'insegnamento sicuramente sprona alla
libera interpretazione e fruizione del testo e dell'opera letteraria4. Non possiamo tuttavia non considerare i
3 «La lezione euristica o socratica ha un carattere dialogico: l'insegnante alterna brevi esposizioni a domande o frasi non completate», A. Calvani, Elementi di didattica, Carocci, Roma 2000, p. 147. 4 Successivamente saranno i ragazzi stessi a esporre autonomamente le loro domande, a condividere i loro dubbi attraverso la discussione: ciò è emerso in modo particolare durante la quarta lezione.
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suoi limiti: la sua efficacia dipende dal grado di intelligenza e creatività individuale5e dal livello di
partecipazione attiva della classe, inoltre espone al rischio dell'ansia e della frustrazione come
conseguenza dell'errore o a quello di trarre rinforzo e motivazione anche dalle risposte sbagliate. Certo,
tutto dipende dal regista della situazione, il docente, che deve poter esercitare un controllo molto fermo6,
ma allo stesso tempo discreto7, sul contesto classe.
A livello di diretta interazione con gli studenti, mi sono chiesta più volte se il registro linguistico dovesse
essere più semplificato da parte mia, per garantire un’efficace comprensione da parte di tutti. Ponendomi
tuttavia nell’ottica del “compito sfidante”8, non solo per il registro linguistico ma anche per quanto
riguarda i contenuti trasmessi, ho scelto un livello medio-alto, consentendomi però di esplicitare e
chiarificare molto frequentemente gli elementi del rutto nuovi o complessi. Credo che tale impostazione
si sia ben conformata al carattere "diversificante" conferito all'intero tirocinio, volto cioè a favorire
l'apprendimento degli studenti meno bravi senza tralasciare di stimolare l'interesse e la crescita di quelli
più bravi, attraverso l'uso di fonti, strumenti, metodi e linguaggi diversi. Dopo il brainstorming per il
recupero dei pre-requisiti, l’intervento didattico ha preso le mosse con la presentazione della filosofia
epicurea e Lucrezio, per passare al proemio del De rerum natura, l’Inno a Venere e ha poi proceduto con
l’analisi dei testi selezionati, cercando di distillare le informazioni di contorno e facendole direttamente
scaturire dalle parole dell’autore.
Al fine di fornire le linee di interpretazione del testo latino si è resa necessaria, a volte, l'utilizzazione
della classica lezione frontale che ho però cercato di rendere dialogata e partecipata da parte degli
allievi. Mi pare, infatti, opportuno proporre agli allievi l’analisi di ogni brano tramite una serie di
domande rivolte loro in modo attivo e partecipato, mettendo in evidenza le principali strutture del testo.
La traduzione procedeva per gruppi di versi e indicavo le particolarità grammaticali o i costrutti presenti.
L’attenzione per la decodificazione stilistico-retorica del testo è giustificata dal desiderio di fornire
strumenti critici agli studenti, con i quali possano interpretare con maturità e consapevolezza i messaggi
5 «I soggetti carenti di determinate abilità necessarie alla soluzione di problemi ottengono migliori risultati con il metodo espositivo», P. Boscolo, Psicologia dell'educazione: insegnamento e apprendimento, Firenze, Giunti Barbera, 1980, p. 422. «Non si possono attuare le potenzialità creative se queste potenzialità non esistono originariamente», «L'abilità a risolvere problemi richiede qualità (per esempio flessibilità, ingegnosità, capacità di improvvisare, ortogonalità, sensibilità per i problemi, rischio) che sono meno generosamente distribuite nella popolazione di allievi che non l'abilità a comprendere materiale presentato verbalmente», pp. 457-458. 6 «Se vogliamo essere pedagogicamente realisti sulle tecniche di scoperta, dobbiamo ammettere in anticipo che prima che gli studenti possano "scoprire" concetti e generalizzazioni in maniera ragionevolmente efficace, i problemi devono essere strutturati per loro e i dati necessari e i procedimenti adatti devono essere abilmente "sistemati" da altri, cioè semplificati, selettivamente schematizzati e sequenzialmente organizzati in modo tale da rendere la scoperta finale quasi inevitabile», Ivi, p. 449. 7 “L’educatore deve orientare, non guidare: “guidare impedisce la ricerca e porta alla dipendenza, orientare favorisce la ricerca e porta all’autonomia”, G. De Vecchi, N. Carmona-Magnaldi, Aiutare a costruire le conoscenze, Firenze, La Nuova Italia, 1999, p. 162. 8 Il concetto di compito sfidante rientra tra le teorie della motivazione e implica che ciò che si propone nell’attività didattica non debba essere troppo difficile – la distanza fra soggetto in apprendimento e oggetto culturale risulterebbe eccessiva – pena la rinuncia, ma nemmeno troppo facile, altrimenti non ci sarebbe crescita, né progresso, né motivazione. Il compito deve essere “sfidante”: manca qualcosa, ma la distanza può essere colmata, la meta, con qualche sforzo, può essere raggiunta. Cfr. M. Pellerey, Progettazione didattica, SEI, Torino, 1983, pp. 181-182.
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con i quali ogni giorno i media li investono. In questo senso, appare particolarmente importante condurre
un’analisi che non si limiti a fornire elenchi di figure retorihe, con un approccio descrittivo o
classificatorio, ma, al contrario, che cerchi di mostrarne il funzionamento entro il discorso. Durante la
traduzione, chiedevo così agli studenti di rilevare le figure retoriche e al tempo stesso li invitavo a
prestare attenzione alla studiata successione di quadri fotografici. Dopo aver dedicato ampio spazio
all’analisi diretta dei testi, ho attuato una sorta di reductio ad unum: sono stati infatti ripresi gli aspetti
linguistici e tematici incontrati per approfondirli, concettualizzarli e organizzarli logicamente. Si è trattato
dunque di ricomporre criticamente tutti gli elementi in una sintesi riaggregativa coesa e coerente.
Generalmente, anche tutte le altre lezioni iniziavano con un veloce riepilogo di quanto trattato nella
lezione precedente, e “domande sparse” agli allievi per una rapida verifica formativa. Se assegnavo
compiti a casa, proseguivo con la sua correzione. Chiamavo un ragazzo e scrivevo alla lavagna la
soluzione proposta. Al termine, procedevo con una breve illustrazione della lezione del giorno. Per
mantenere viva l’attenzione, alternavo i momenti di spiegazione con domande rivolte all’intera classe, in
questo modo i ragazzi erano chiamati ad una partecipazione attiva. Ricercavo continue richieste di
feedback, per accertarmi dell’effettiva comprensione dei testi.
Per la strutturazione mentale delle conclusioni, ho optato per una sistematizzazione grafica delle nozioni
tramite mappe concettuali elaborate collettivamente alla lavagna. Parallelamente alla lettura del testo,
laddove ritenuto necessario, mostravo immagini che contestualizzassero il brano: è stato un esperimento
riuscito. Le immagini rappresentano un efficace rinforzo percettivo e il loro impatto emotivo facilita la
motivazione della classe all’apprendimento: “mentre un tempo il «guardare le figure» era considerata per
lo più un’attività di livello inferiore rispetto alla lettura, oggi l’uso crescente di immagini è ritenuto un
progresso essenziale”9. Va aggiunto che l’impiego delle immagini offre la possibilità di sfruttare
conoscenze e competenze che gli allievi hanno acquisito durante le lezioni di Storia dell’arte ed
Educazione all’immagine, abituandoli all’elasticità mentale. Le immagini proposte a supporto e
completamento del testo letterario sono state trovate su siti internet e vagliate con attenzione. Per i
commenti alle immagini sono stati utilizzati manuali di Storia dell’arte e di Storia del biennio delle
Superiori.
Ho cercato di sottolineare parecchi aspetti lessicali, fornendo una serie di “parole chiave” latine che
ritengo possano aiutare la classe a memorizzare e, soprattutto, a comprendere i concetti da esse espresse.
Ho tentato, nel mio piccolo, di creare un ambiente di apprendimento che favorisse coinvolgimento,
curiosità e desiderio di conoscere. Ho posto gli allievi di fronte alle contraddizioni e ai problemi presenti
nel testo, fornendo loro anche alcune interpretazioni critiche.
Per quel che riguarda la valutazione, ho iniziato ogni lezione successiva alla prima con un veloce
riepilogo, concluso da una serie di “domande a pioggia”, proprio per verificare in itinere che quanto fatto
9 L. Russo, Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la scuola?, Feltrinelli, Milano 1998, p. 42. L’autore avverte tuttavia che “esse restano prive di significato per chi non possiede adeguati strumenti concettuali”(Ivi, p. 45); il discente va dunque guidato dall’insegnante anche ad una corretta esegesi delle immagini.
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in classe fosse stato recepito dagli allievi. La verifica sommativa è stata a domande di tipo semi-
strutturato e per la sua concreta costruzione, mi sono rifatta alla verifica su Cesare che la classe ha
svolto il giorno precedente il mio arrivo e che la tutor mi ha gentilmente messo a disposizione.
8. PROCEDURA E VALUTAZIONE
1° LEZIONE - 2 ore - Introduzione del percorso ed esplicitazione del patto formativo (numero di ore da me svolte in classe,
verifica finale, strumenti usati ed obiettivi dell’unità); - Ripasso dei principali avvenimenti caratterizzanti il periodo storico di riferimento; - Caratteristiche principali dell’epicureismo; - Presentazione dell’autore e dell’opera di Lucrezio; - Lettura del proemio del De rerum natura (I, vv. 1-43). 1° fase1° fase1° fase1° fase Nella prima fase di lezione, attraverso la modalità della lezione dialogata, si recuperano le conoscenze
pregresse degli studenti sul periodo storico considerato. Per agevolare il ripasso delle conoscenze si può
utilizzare un PowerPoint costruito come ipertesto e il file verrà fornito alla classe al termine della lezione.
In questa prima fase, attraverso domande dirette e richieste di feedback, si verifica l’effettiva conoscenza
del periodo trattato: “cosa si intende per età di Cesare?”, “chi sono i populares e gli optimates?”, “quali
sono le tre guerre civili?”, “che cosa si intende per potere personale?”. L’intervento didattico prende
allora avvio con un brainstorming e con questa metodologia didattica, i ragazzi sono invitati a partecipare
attivamente alla lezione. Si offre poi una minima cronologia degli avvenimenti più importanti dell’età di
Cesare (con una linea del tempo) e un semplice glossario di parole chiave.
2° fase2° fase2° fase2° fase Al temine della prima parte, si procede all’illustrazione delle caratteristiche principali dell’epicureismo,
invitando i ragazzi ad intervenire qualora i concetti non fossero chiari. Si fanno rilevare i forti legami
esistenti tra il contesto storico e i profondi cambiamenti avvenuti sia nel mondo culturale sia nella
mentalità degli intellettuali e poi di chiarire i concetti di materialismo, meccanicismo, atomismo,
clinamen, aponia, atarassia, necessari per comprendere i testi lucreziani.
In seguito, si parla della diffusione dell’epicureismo a Roma, evidenziando il rifiuto, la progressiva
penetrazione e l’esplosione delle filosofie ellenistiche. Può essere interessante presentare ai ragazzi
l’opinione di Cicerone sull’epicureismo espressa nelle Tusculanae e ricordare loro (anche se non hanno
ancora studiato Cicerone) che in un altro testo, il dialogo filosofico De finibus bonorum et malorum,
Cicerone afferma di conoscere molto bene il pensiero di Epicuro, ma di non poterlo approvare non solo
per motivi formali (ad esempio la negligenza dello stile) ma soprattutto per ragioni sostanziali. Si può fare
un accenno allo stoicismo evidenziando le principali differenze esistenti tra le due correnti filosofiche.
3° fase3° fase3° fase3° fase
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Nella terza fase, approfonditi i punti più importanti e delicati dell’epicureismo che trovano un riscontro in
Lucrezio, si può passare al De rerum natura, presentandolo come un poema didascalico che espone la
dottrina epicurea e che, sulla base del genere cui appartiene, presenta due scopi: uno artistico (in quanto
poema) e uno educativo (in quanto didascalico). Si spiega che l’esatta contestualizzazione del De rerum
natura e le notizie biografiche sull’autore risultano di difficile ricostruzione: sembra che Lucrezio abbia
realizzato pienamente il precetto epicureo del «vivi nascosto», non lasciando trasparire dai propri versi
alcun indizio immediatamente riconducibile alle vicende a lui contemporanee.
Si presentano la struttura e i contenuti dell’opera per sommi capi, in quanto essi saranno poi ripresi
ampliamente nel corso delle successive lezioni. A questo punto, si possono consegnare tre schede: un
prospetto sintetico del contenuto del poema, suddiviso per libri, con i punti chiave (in particolare i proemi
e i finali) e le corrispondenze principali, una tabella con tutte le particolarità formali e stilistiche del
linguaggio del De rerum natura e alcuni passi raccolti sulla biografia di Lucrezio. La prima scheda servirà
anche durante le lezioni successive per dare ad ogni brano proposto (in lettura o in traduzione) la giusta
contestualizzazione all’interno dell’opera, la seconda permetterà agli studenti superare più facilmente
l’ostacolo dell’arcaismo e di alcuni fenomeni fonetici e flessioni mai incontrati prima, mentre la terza
serve semplicemente a titolo di curiosità.
Prima di intraprendere la lettura del poema, ci si soffermerà brevemente sul linguaggio lucreziano,
invitando i ragazzi a osservare le particolarità più ricorrenti.
Al termine di questa breve spiegazione, si leggono prima in latino e poi in italiano, ricercando un
approccio interattivo con la classe, le notizie biografiche su Lucrezio.
1. " T. Lucretius poeta nascitur, qui postea amatorio poculo in furorem versus, cum aliquot libros per intervalla
insaniae conscripsisset, quos potea Cicero emendavit, propria se manu interfecit anno aetatis XLIV " (S. Girolamo, Chronico, 96 o 94 a.C.) Nasce il poeta Tito Lucrezio che, divenuto folle a causa di un filtro d'amore, dopo aver scritto negli intervalli della follia alcuni libri, che poi Cicerone corresse, si uccise di si uccise di sua mano a 43 anni. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 2. “[Vergilius] initia aetatis Cremonae egit usque ad virilem togam, quam decimo septimo anno [15 ottobre 53]
natali suo accepit iisdem illis consulibus iterum duobus, quibus erat natus [Pompeo e Crasso], evenitque ut eo ipso
die Lucretius poeta decederet”. (Donato, Vita Vergilii, 6) [Virgilio] trascorse la sua giovinezza a Cremona fino alla toga virile, che ricevette quando compì diciassette anni, anno in cui furono ancora una volta consoli quelli [Pompeo e Crasso] sotto il cui governo era nato, avvenne che in quello stesso giorno il poeta Lucrezio morì. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3. “Lucrti poemata, ut scribis, ita sunt, multis luminibus ingeni, multae tamen artis”. (Cicerone, Epistulae ad Quintum fratrem, III, 9, 3, scritta nel febbraio del 54 a.C.) “L’opera poetica di Lucrezio è proprio come mi scrivi: rivela uno splendido ingegno ma anche notevole abilità artistica”. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 4. “Carmina sublimis tunc sunt peritura Lucreti,
exitio terras cum dabit una dies” (Ovidio, Amores, I, 15, 23)
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“I versi del sublime Lucrezio periranno il giorno in cui anche il mondo precipiterà nella rovina”. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 5. “...non verba autem sola, sed versus prope totos et locos quoque Lucreti plurimos sectatum esse Vergilium
videmus”. (Gellio, I, 21,7) “Non sono solamente delle parole ma dei versi interi, degli identici luoghi testuali che Virgilio ha preso a prestito da Lucrezio”.
I ragazzi, opportunamente indirizzati con alcune domande, possono operare una riflessione sulle
caratteristiche dei brani esaminati, facendo un confronto fra le diverse fonti, sottolineando analogie, temi
comuni e differenze, dando luogo ad una discussione che dovrebbe coinvolgere l’intera classe (anche se
sarà necessario “contenere” i più esuberanti e stimolare chi, per timidezza o senso di inadeguatezza tende
a rimanere escluso).
Al termine di questa fase, è previsto un breve riepilogo di quanto svolto nelle due ore iniziali per arrivare
ad una sintesi sistematica fornita dall’insegnante.
4° fase4° fase4° fase4° fase Nella quarta fase della lezione, si legge il proemio del poema, meglio conosciuto come l’Inno a Venere.
Al fine di fornire le linee di interpretazione del testo latino è necessario utilizzare la classica lezione
frontale che si può cercare di rendere dialogata e partecipata da parte degli allievi. E’ opportuno proporre
agli allievi l’analisi di ogni brano tramite una serie di domande rivolte loro in modo attivo e
partecipato, mettendo in evidenza le principali strutture del testo.
Prima di leggere il testo, si ricorda agli allievi che era consuetudine letteraria aprire un poema, sia epico
sia didascalico, con un'invocazione a una divinità, oppure a una Musa.
La traduzione del brano non è presente sul manuale e pertanto viene svolta insieme ai ragazzi, dopo aver
“costruito” la frase e dopo aver loro ricordato di annotarsi la costruzione sul libro. Si fa notare come,
rispetto alla prosa, siano più frequenti le anastrofi e gli iperbati e come spesso le ragioni metriche
intervengano a separare i costituenti fondamentali. Al fine di mantenere desta l'attenzione, variando con
una certa frequenza le attività, si procede per gruppi di versi (1-9, 10-20, 21-28, 29-43), integrando, dove
necessario, con informazioni extratestuali.
Si prevede un’eventuale pausa di qualche minuto per la spiegazione di questa figura retorica, più volte
utilizzata da Lucrezio, qualora i ragazzi mostrassero di non conoscerne il significato.
I versi 17-18 sono particolarmente ammirevoli per il particolare ritmo conferito dalla prevalenza di dattili,
per le assonanze e gli omoteleuti e infine per il doppio chiasmo (sost./agg., agg./sost., sost./agg) che verrà
evidenziato alla lavagna con delle frecce che collegano tra loro gli aggettivi e i sostantivi:
FLUVIOS RAPACIS FRONDIFERSAS DOMOS CAMPOS VIRENTIS
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Gli studenti dovrebbero conoscere il significato di queste figure retoriche (omoteleuto e chiasmo) e di
suono (assonanza), ma qualora non fosse noto o fosse noto solo ad alcuni, si provvederà a chiarirlo anche
con ulteriori esempi.
A questo punto gli studenti – se non se ne sono accorti prima - saranno in grado di notare un’apparente
incongruenza tra il testo dell’inno e i presupposti teorici epicurei. Se nessuno ancora dovesse cogliere tale
aspetto, interverrò con una domanda diretta: “Come si concorda un inno ad una dea con il primo precetto
del Quadrifarmaco?”, attendendo che siano gli studenti a rispondere. Si spiegherà che tali versi sono
oggetto di numerosi dibattiti tra gli studiosi e, al fine di giustificare l’inno ad una dea in un poema
sull’epicureismo, si preciserà che sono state formulate molteplici spiegazioni di carattere prettamente
letterario, politico e filosofico. Si possono presentare allora le ipotesi fatte da Giancotti, Paratore e Perelli:
- ragioni letterarie: Lucrezio, discostandosi dalla coerenza della dottrina epicurea e dalle riserve che
Epicuro nutriva verso la poesia, rispondendo a vincoli e ad esigenze di tipo letterario, segue un topos
della tradizione letteraria greca e latina per cui i poemi cominciavano con un'invocazione alla divinità, cui
si chiedeva protezione ed intercessione. Nello specifico, l'invocazione a Venere, che è pertanto una
ripresa modificata della più tradizionale invocazione alle Muse;
- ragioni politiche: Lucrezio cita Venere nel primo verso come Aeneadum genetrix (protettrice insieme a
Marte del popolo romano, così come della gens Memmia) al fine della captatio benevolentiae verso lo
stesso destinatario del poema e, in generale, verso il popolo romano. Lucrezio pare infatti consapevole
che il suo poema potrà avere lettori interessati ed attenti solo se Roma vivrà in un clima disteso e civile:
ben conscio del clima politico precario del suo periodo, auspica una pace politica;
- ragioni filosofiche: la dea non raffigurerebbe soltanto la divinità olimpica cara alla poesia classica, ma
sarebbe il simbolo della voluptas, simbolo e personificazione della forza generatrice della natura (sola
gubernas, v. 21), cui si contrappone Marte, emblema delle forze della distruzione. Si potrà precisare che
tale ipotesi, suggerita dal Perelli e dal Giancotti, si riferisce alla dottrina epicurea, secondo cui gli opposti
principi (costruttivo/Venere e distruttivo/Marte) contribuiscono alla formazione dell’equilibrio universale e
regolano l’alternanza di vita e di morte. Tale raffigurazione ambigua è presente in tutto il proemio e si
potrà chiedere loro di reperire nel testo l'immagine di Venere come potenza cosmica (vv. 2-5), come
potenza rasserenatrice (vv. 6-9), come istinto sessuale (vv. 10-20), poi Venere simbolo di vita e di grazia
(vv. 21- 28), infine Venere-pace (vv. 29-43). Questo tentativo di ricostruzione di vari quadri distinti, non
risulterà sempre perfetto, poiché, come si potrà far notare, molti aspetti della dea si ritrovano in più punti
(per esempio nell'ultima immagine Venere è anche seduzione) e vi è molta ripetitività concettuale, che
conferma la complessa molteplicità di valori simbolici che Venere racchiude.
Per casa, si può chiedere di rivedere il lavoro svolto in classe e di svolgere un’analisi lessicale mirata: nei
vv. 1-9 cercare esempi di struttura triadica (genetrix, voluptas e alma) e in tutto il brano cercare i campi
lessicali che si rifanno ai tre appellativi di Venere.
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OOOOsservazioni al termine del primo insservazioni al termine del primo insservazioni al termine del primo insservazioni al termine del primo interventoterventoterventotervento La presentazione del Powerpoint ha suscitato immediatamente un certo interesse per la novità
dell’esperienza. Ho riscontrato poi l’efficacia dell’attività di recupero dei prerequisiti, in quanto gli
studenti partecipavano volentieri al brainstorming. Un altro strumento utile è stata la scheda contenente
le particolarità del linguaggio lucreziano, subito inserita nel quaderno e più volte utilizzata durante la
traduzione.
2° LEZIONE - 2 ore
Nella seconda lezione, dopo un breve recupero del contenuto della lezione precedente, verranno inizialmente letti in traduzione i vv. 50-61 del I libro (il manuale non li presenta, sono stati reperiti ed inseriti in allegato), che fanno da raccordo tra l’inno a Venere e l’elogio di Epicuro, successivamente l’elogio di Epicuro stesso. Nella seconda parte della lezione si leggerà e si tradurrà il passo di Ifigenia che poi si potrà mettere a confronto con quello precedente. 1° fase1° fase1° fase1° fase Dopo un veloce riepilogo di quanto trattato nella lezione precedente, e “domande sparse” agli allievi per
una rapida verifica formativa, si prosegue con la correzione del compito fatto a casa: si può mandare uno
studente alla lavagna che scriverà le soluzioni trovate e proposte dai compagni. Al termine della
correzione, si procede con una breve illustrazione della lezione del giorno. La lezione sarà frontale,
anche se si cercherà di coinvolgere i ragazzi nella lettura dei testi. Si distribuisce alla classe una fotocopia
con il testo italiano e latino dei vv. 50-61 del I libro, non presenti sul manuale. Si farà notare che essi
hanno come oggetto proprio l’argomento del poema: si chiederà di rilevare l'insistita apostrofe al
destinatario (che rivela il fine didattico per cui Lucrezio scrive il De rerum natura) e, ponendo uno
sguardo anche al testo in lingua originale, si evidenzierà il ricorrere del termine ratio (rationem al v. 51 e
ratione ai vv. 54 e 59), nell'accezione di «dottrina, norma», in modo da poterlo poi contrapporre al
termine religio, protagonista del passo successivo. Sarà interessante anche far notare, nel testo latino, le
diverse perifrasi con cui vengono indicati gli atomi (rerum primordia, materiem, genitalia corpora,
semina rerum, corpora prima), ricordando le difficoltà legate alla scarsità di termini tecnici nella lingua
latina.
Prima di procedere alla lettura dell’elogio di Epicuro, si specificherà l’accezione particolare del termine
religio, suggerendo di mantenerlo in latino per salvaguardare la sua specificità. Si può consengare una
scheda con un tre versi delle Georgiche II, vv. 490-492, alcuni versi della Ginestra, vv. 111-114, un passo
di Cicerone tratto dal De natura deorum II, 72.
Nelle Georgiche II, 490-492, si cela in elogio dello stesso Lucrezio: Felix qui potuit rerum cognoscere causas
atque metus omnis et inexorabile fatum
subiecit pedibus strepitumque Acherontis avari.
Felice chi si avvicina al cuore delle cose e calpesta la paura d'ogni paura, il fato inesorabile, il frastuono ossessivo di Acheronte. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
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G. Leopardi, La ginestra, vv. 111-114 Nobil natura è quella
che a sollevar s’ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato
Lucrezio, De rerum natura, I, vv. 66-67
prìmum Gràius homò || mortàlis tòllere còntra
èst oculòs ausùs || primùsque obsìstere còntra;
Si possono vedere le evidenti traduzioni leopardiane: - sollevar/tollere; - gli occhi mortali/mortalis oculos; - incontra/contra ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Cicerone, De natura deorum II, 72 Nam qui totos dies precabantur et immolabant, ut sibi sui liberi superstites essent, superstitiosi sunt appellati, quod
nomen patuit postea latius; qui autem omnia quae ad cultum deorum pertinerent diligenter retractarent et
tamquam relegerent, [i] sunt dicti religiosi ex relegendo, [tamquam] elegantes ex eligendo, [tamquam] [ex]
diligendo diligentes, ex intellegendo intellegentes. His enim in verbis omnibus inest vis legendi eadem quae in
religioso. Ita factum est in superstitioso et religioso alterum vitii nomen alterum laudis. Ac mihi videor satis et esse
deos et quales essent ostendisse.
Infatti, coloro che tutti i giorni pregavano gli dei e facevano sacrifici perché i loro figli sopravvivessero (superstites
essent), furono chiamati "superstiziosi", un termine che, in seguito, assunse un valore più ampio; invece, coloro che riconsideravano con cura e, per così dire, rieleggevano (relegerent) tutte le pratiche del culto furono detti religiosi dal verbo relegere così come elegantes deriva da eligere, diligentes da diligere e intellegentes da intellegere. In tutte queste parole è implicito lo stesso significato di legere che troviamo in "religioso". Accadde così che il termine "superstizioso" esprimesse un difetto, "religioso", invece, un pregio. Con ciò mi sembra di aver esaurito quanto avevo da dire sull'esistenza e sull'essenza degli dèi.
Si noterà che secondo Cicerone, il termine religio deriverebbe dal verbo relegare, mentre un'altra
etimologia connette religio a religare, «legare, vincolare» e trasmette l'idea di una serie di obblighi nei
confronti della divinità. Si evidenzierà allora che la degenerazione del termine religio è la paurosa
superstizione, la devozione vana e irrazionale, ed è questo aspetto che sostanzialmente Lucrezio
condanna. L'accezione con cui va inteso il termine nel De rerum natura è quindi negativa. Dopo un breve
feedback per avere conferma dell’avvenuta acquisizione del concetto, si procede con la lettura metrica
del brano e la successiva traduzione del testo. I ragazzi hanno la traduzione dei versi sul loro manuale a p.
144 e nel corso della traduzione, si avanzerà dunque per gruppi di versi e si indicheranno i principali
costrutti grammaticali presenti.
Per mantenere viva l’attenzione, si alternano i momenti di spiegazione con domande rivolte all’intera
classe. Riferendosi alla scansione metrica eseguita, si può chiedere, ad esempio, in quali versi il ritmo è
rallentato e in quali invece scorre più fluido. I ragazzi noteranno facilmente che nei due versi finali si
sottolinea, con un ritmo rallentato, la solennità alla vittoria finale, mentre la parte centrale presenta un
ritmo più scorrevole, poiché descrive le fasi dell'audace impresa di Epicuro. Si può porre l’accento sul
tono epico e solenne dell’elogio e sulla capacità di Lucrezio di tradurre in immagini, molto più pregnanti
e coinvolgenti rispetto a una trattazione, l'idea della vittoria della ratio sulla religio. Se si vuole, si può a
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questo punto ritornare alla fotocopia prima consegnata e alle parole di Virgilio che considera fortunata la
sorte di coloro che hanno conosciuto razionalmente la natura ed hanno eliminato i timori e le credenze
superstiziose, alludendo alle parole di Lucrezio espresse proprio nel De rerum natura. Utilizzando lo
schema fornito nella prima lezione, si farà notare che l'intento celebrativo della figura di Epicuro è
presente anche altri luoghi: gli elogi del maestro aprono infatti anche i libri III, V e VI.
Al termine dell’analisi, i ragazzi dovranno rilevare la contrapposizione spaziale tra terra e cielo del passo
e la sua struttura circolare. Saranno invitati a comprendere che lo stato di soggiacenza e di grave
oppressione, connotato dai segni dei primi due versi (iaceret, oppressa, gravi, sub), si trova ripetuto nei
versi finali (subiecta, opteritur), solo che all'inizio ne è vittima l'umanità, alla fine la religio. Proprio negli
ultimi versi, infatti, la contrapposizione viene ribaltata dalla vittoria di Epicuro sulla religio. Potranno
lavorare sul lessico del testo rintracciando i termini che si riferiscono all’uno o all’altro dei due
contendenti, annotando alla lavagna i risultati. Non sarà difficile riconoscere che da una parte la religio è
rappresentata come un mostro (horribili... aspectu) che si serve, per alimentare il terrore sugli uomini, di
dicerie false ed infondate (fama deum), di fulmini e di tuoni (fulmina... minitanti murmure); dall’altra c'è
Epicuro che ha dalla sua il coraggio (ausus est), la ferma determinazione (nec...compressit), l’acutezza
della mente (animi virtutem). Se gli alunni dovessero mostrare difficoltà a rintracciare questi elementi, si
possono far loro alcune domande, ad esempio “com’è l’aspetto della religio?”, “come spaventa gli
uomini?” “quali sono le caratteristiche di Epicuro?”.
Al termine di questa prima parte, se il tempo rimasto lo consente, si potrà proporre un'ultima riflessione:
l'impressione che il brano letto trasmette è quella di un gioioso trionfo che in realtà nasconde una sorta di
paradosso. Epicuro supera i limiti dell'universo per poi tornare a rivelare che ogni, cosa, ogni essere, la
vita stessa sono profondamente limitati e perituri: in questo consiste la grandiosa conquista intellettuale,
in un'amara verità, l'unica, tuttavia, che possa abbattere l’illusione di un mondo creato dalla provvidenza
divina. In questo, il pensiero di Lucrezio si avvicina moltissimo a quello leopardiano e pertanto sarà
interessante far leggere ai ragazzi i versi tratti dalla Ginestra, con evidente richiamo a Lucrezio, e
chiedere ai ragazzi un loro parere.
2° fase2° fase2° fase2° fase Nella seconda parte della lezione, con una lezione frontale dialogata, si può invitare un volontario a
cimentarsi nella lettura metrica del brano successivo. Al termine della lettura, si chiede di notare che i due
testi, l’elogio di Epicuro e il sacrificio di Ifigenia, sono consecutivi nell’opera di Lucrezio (anche se il
libro li presenta distinti: il primo a p. 144, il secondo a p. 166). Gli studenti non hanno la traduzione del
testo ma essa viene fatta insieme, con la costruzione del periodo. La traduzione procede per gruppi di
versi e vengono poi indicate alcune particolarità o costrutti presenti.
Si fa notare che in questo brano Lucrezio immagina che Memmio, o un altro interlocutore, possa
obiettare, dopo l’esaltazione della vittoria della scienza sulla superstizione, che senza la religione e il
rispetto degli dei, gli uomini si sentirebbero liberi di compiere gli atti più efferati. Il poeta allora dimostra,
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attraverso un efficace exemplum, come sia stata proprio la religio ad essersi macchiata di tali orribili
crimini e lo fa attraverso la rivisitazione del mito. Si rileva che l’espressione in his rebus, v. 80, così come
al v. 82, quod contra (simile al quod si, «che al contrario») sono formule di transizione molto frequente in
Lucrezio. Durante la traduzione, si chiede di riconoscere le figure retoriche e di prestare attenzione alla
studiata successione di quadri fotografici. Sarà ormai certo che la protagonista indiscussa del brano è la
religio (presente in modo circolare all'inizio e alla fine), l'unica vera responsabile, secondo Lucrezio, della
morte di Ifigenia, in quanto tutti gli altri sono vittime (gli eroi, i sacerdoti e il padre), nonostante non
vengano risparmiate loro l'ironia e la disapprovazione del poeta. La descrizione è oggettiva, procede per
quadri fotografici ma è continuamente mescolata al commento sarcastico e amaro dell'autore. Gli alunni
saranno invitati a riconoscere i vari momenti della narrazione, eventualmente con il mio aiuto. Si arriverà
a dire che il primo quadro ci presenta Ifigenia preparata per il rito, che viene condotta davanti ai carnefici
cingendo intorno al collo la benda sacrificale.
Per facilitare la comprensione del brano, si possono mostrare rappresentazioni pittoriche del sacrificio
di Ifigenia, chiedendo di confrontarle con il testo di Lucrezio. Si farà capire che nei versi latini ogni
accorgimento stilistico, ogni scelta lessicale contribuisce a far emergere e intersecare i due diversi piani
dell'illusione e della realtà, le nozze da una parte e il sacrificio dall'altra. La dissoluzione del sogno
avviene per gradi, attraverso il riconoscimento di indizi (la mestizia del padre, l'atteggiamento pietoso
degli astanti) con un accrescimento del pathos fino al cedimento di Ifigenia.
Si sottolinea l’intenso pathos della scena e si chiederà di indicare il verso contenente il momento della
Spannung, cioè della tensione più alta. Riconosceranno l’aferesi al v. 96 in deductast e capiranno che
Lucrezio carica di ambiguità questo termine, che rimanda volutamente alla deductio, ovvero alla
consuetudine, da parte di parenti e amici, di portare la sposa in braccio a casa dello sposo, rendendo
ancora più struggente la scena. Ecco allora un altro quadro: Ifigenia in atto di essere sollevata sulle
braccia dagli uomini ed essere condotta all’altare. Si chiederà di osservare come Lucrezio utilizzi un
lessico specifico dei riti nuziali per un rito diverso. Così, al v. 96, all’interno della proposizione finale non
ut...Hymenaeo (costruzione: non ut, perfecto sollemni more sacrorum (ablativo assoluto), posset comitari
(infinito con valore passivo) claro Hymenaeo), sarà facilmente riconoscibile Imeneo, il dio che propiziava
le nozze. Col suo nome veniva anche chiamato il corteo nuziale che la sera, munito di fiaccole,
accompagnava la sposa nella nuova casa. Un altro termine che gli studenti potranno indicare è nubendi,
genitivo del gerundio, che si potrà tradurre «delle nozze» e al v. 100, l’espressione felix faustùsque,
corrisponde ad una formula d'augurio nuziale (ma anche rivolta, più in generale al mondo politico e
religioso) e si mostrerà quanto suoni qui sarcastica e amara perché riferita alla partenza della flotta.
Al termine dell’analisi stilistica del brano, si può chiedere agli studenti di indicare qual è il tono
dominante del passo e non sarà difficile rilevare che mentre nell’elogio di Epicuro dominava lo stile
solenne dell'epica, ora prevale il tono patetico della tragedia. Si può costruire alla lavagna uno schema
finale e discutere con gli studenti cercando conferme nel testo lucreziano.
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ESEMPIO DI SCHEMA
CONFRONTO TRA ELOGIO DI EPICURO E SACRIFICIO DI IFIGENIA Descrizione di Epicuro → linguaggio dell’epica Morte di Ifigenia → linguaggio della tragedia entrambe le parti sono costruite per antitesi→ 1°
parte EPICURO vs RELIGIO
↓
2° parte REALTA’ vs SOGNO
↓
1. le chiome per il matrimonio vs la benda bianca MUORE il SOGNO perchè EPICURO 2. Lei sognava: PADRE FELICE non è ancora nato AMICI FESTANTI SACERDOTI E POPOLO pronti per le nozze di essere accompagnata a CASA dello sposo MA trova: PADRE MESTO SACERDOTI che nascondono il FERRO POPOLO PIANGENTE è accompagna all’ALTARE
Analizzando lo schema, si dirà che in entrambi i brani letti è presente un’antitesi, ma mentre nel primo
testo, essa è posta tra due protagonisti colti nella loro oggettività, il mostro della religio da una parte ed
Epicuro dall’altra, nel secondo brano, essa è spostata all’interno del personaggio Ifigenia. In questo
secondo testo, è vista come scarto tra realtà e sogno che si contrappongono perché Ifigenia compie un
percorso progressivo dal sogno delle nozze alla realtà del sacrificio. Si può stabilire così una relazione
incrociata: Epicuro è per Lucrezio il sogno che salva l'uomo da una cruda e opprimente realtà, ordita a
suo danno dalla mostruosa religio e ribadirò che nell’episodio in questione, il sogno è destinato a
soccombere, solo perchè non era ancora nato il Graius homo ad indicare la strada per tutte le realizzazioni
dell’uomo.
La lezione può concludersi con il completamento del mito: Efigenia viene salvata da Artemide e sostituita
con una cerva. Se rimarrà tempo a disposizione, si potrà far leggere ai ragazzi alcuni documenti preparati
per un ulteriore confronto del mito: una parte del Coro dell’Agammenone di Eschilo e il racconto di
Clitemnestra che rievoca il cruento sacrificio della figlia, il racconto di Ifigenia tratto dal testo di Ifigenia
nel paese dei Tauri di Euripide, e il racconto di Efigenia nell’altra tragedia di Euripide Ifigenia in Aulide.
Si può predisporre a questo punto un lavoro di gruppo: la classe sarà divisa in cinque gruppi da tre
persone e uno da quattro, predisposti per livello di apprendimento e cognitivo. Ogni gruppo dovrà leggere
i testi e stilare gli opportuni confronti. Al termine, chiederò ad ogni capo-gruppo di presentare il lavoro
alla classe. Si arriverà a capire che Eschilo, nell'Agamennone, collega la vicenda alla catena di empietà
commessa dagli Atridi, insistendo più sulla colpa del re che sul fatto in sé. Egli esalta il tema della scelta,
secondo lui l'eroe della tragedia, in questo caso Agamennone, si trova sempre davanti a due scelte
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ugualmente dolorose, che non lo portano alla salvezza, ma una lo porterà a compiere un'azione giusta.
Infatti, in questo caso il sacrificio di Ifigenia porterà alla vendetta dell'adulterio di Elena e Paride. E' con
Euripide, però, che il sacrificio di Ifigenia diviene soggetto di due tragedie: Ifigenia in Tauride e Ifigenia
in Aulide. Euripide introduce nel mito una variante sostanziale, perchè il sacrificio umano non si compie:
Artemide, infatti, salva Ifigenia e la trasporta in Tauride, dove solo molti anni dopo sarà ritrovata dal
fratello Oreste nelle vesti di una sacerdotessa. Al di là dell'esito della vicenda, nella tragedia si affronta la
riflessione se sia o no lecito il sacrificio umano e la risposta che ne scaturisce è che è giusto il sacrificio
volontario in nome dell'amor di patria. Euripide compone un dramma apparentemente razionale, in cui
l’atto di Agamennone si compone con la volontà della figlia di accettare il sacrificio per il bene comune,
in nome della gloria, come gli eroi di Omero. In realtà il significato del messaggio euripideo è più
complesso e moderno per il lettore di oggi: da un lato i capi, Agamennone, Menelao, Odisseo, mossi da
personali interessi o da ambizione di potere, dall’altro la massa dei soldati, dominata da un violento
desiderio di guerra e di distruzione, da ultimo infine i sentimenti delle donne, Ifigenia e sua madre
Clitennestra, dilaniate dalle ragioni del cuore contrapposte alle ragioni dell’onore e del dovere
Al termine della lettura, si potrà chiedere alla classe: “Perché Lucrezio non fa menzione di questo
intervento miracoloso, che viene invece citato nei testi precedenti?” I ragazzi potranno facilmente
riconoscere che il nucleo del problema è sempre lo stesso: non sarebbe stato coerente con l'epicureismo. Il
poeta ha inoltre preferito accentuare l’emotività e la drammaticità dell' episodio, tralasciando la sua felice
soluzione, per rendere più partecipe il lettore.
A casa, per compito, dovranno ripassare i contenuti spiegati.
OOOOsservazioni al termine del secondo interventosservazioni al termine del secondo interventosservazioni al termine del secondo interventosservazioni al termine del secondo intervento Questa seconda lezione, non era supportata da materiale visivo e pertanto ho richiesto espressamente agli
alunni di segnare sul quaderno i concetti che spiegavo. Per facilitare la comprensione dei versi dell’elogio
di Epicuro e di quelli sul sacrificio di Ifigenia, ho riprodotto alla lavagna uno schema con i concetti
principali che mi ero preparata a casa per raccogliere le idee da esporre a lezione. La strategia che punta
sulla dialettica domande-risposte e sulla riflessione problematica favorisce la partecipazione attiva
degli studenti. Molto dipende però dal campo d’indagine entro cui ci muoviamo: quando si tratta di
smontare il testo e di analizzarne gli elementi per poi interpretare, le difficoltà sono maggiori e tocca a me
intervenire, nelle parti più discorsive, meno legate agli aspetti formali del testo, gli allievi si gestiscono
meglio. Con la domanda finale, ho cercato creare una situazione problematica e di guidarli nella
risoluzione e comprensione autonoma del problema. Attraverso questa strategia che si colloca nell’ambito
della tecnica d’insegnamento sviluppata da Suchman10 e definita inquiry teaching, s’impegnano gli
studenti in un processo di generazione di problemi e di ricerca di soluzioni. L’insegnante invita la classe a
10 J. R. Suchman, (1954). The elementary school training program in scientific inquiry. Project number 216 - National Defense Education Act of 1958. University of Illinois.
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formulare domande, ad avanzare ipotesi, ad immaginare i passi da fare per risolvere un’eventuale
problema.
3° LEZIONE - 2 ore
Lettura del proemio del II libro: i primi 19 versi in latino, gli altri in traduzione italiana 1° fase1° fase1° fase1° fase Dopo un rapido riepilogo di quanto trattato nella lezione precedente e alcune “domande sparse”(ad es.
“In che cosa consiste la vittoria di Epicuro?”, “Perchè la sua vittoria può essere definita una vittoria
dell’intelligenza e della ragione contro la superstizione?” “Vi ricordate chi era Ifigenia?”) agli allievi per
una rapida verifica formativa, si invitano i ragazzi ad aprire il manuale a p. 153 per la lettura del testo
intitolato “La sapienza epicurea”, tratto dal secondo libro del De rerum natura, vv. 1-54. Si leggono in
latino e si traducono soltanto i primi 19 versi, mentre gli altri verranno letti in italiano.
La lezione sarà frontale ma si cercherà coinvolgere continuamente gli alunni con domande sul testo.
Prima della lettura, si può chiedere di recuperare la tabella consegnata nel corso della prima lezione e di
porre attenzione ai contenuti tematici dei sei proemi. Si segnala che Lucrezio nei vv. 1-54 del secondo
libro, ha creato una rappresentazione dell’etica epicurea attraverso una serie di quadri e si potrà chiedere
loro di rintracciarli durante la lettura. Per questa lezione, si può predisporre una diversa attività, una
titolatura di paragrafi che mostri la successione di quadri distinti in cui si articola il brano. L’esercizio
verrà svolto su tutto il testo, non solo sui primi diciannove versi. Così, alla fine di ogni gruppo di versi, gli
studenti dovranno scegliere il titolo più appropriato e uno di loro lo scriverà alla lavagna. In caso di
ripetute incertezze sui possibili titoli, sarò l’insegnante a proporre il primo ed eventualmente a dare
suggerimenti per gli altri.
Si procederà dunque alla consueta lettura metrica, alla costruzione e traduzione per gruppo di versi. Si
iniziano a leggere i primi 6 versi del proemio e insieme si formula una traduzione aderente al testo latino.
Si procederà con la lettura di pochi versi in latino e la loro traduzione fino al v. 19.
Si farà notare che questo testo è un vero e proprio compendio della filosofia epicurea: Lucrezio prima di
parlarci degli atomi sente il bisogno di rappresentarci la serena felicità del saggio e la strada per seguirla.
Sarà interessante far notare che come il proemio del I libro si era aperto sul tema della voluptas,
personificata da Venere, così nel proemio nel II libro è di nuovo immediatamente enunciato il tema
centrale della dottrina epicurea con il solenne attacco del primo verso suave “è dolce, è fonte di gioia”. Si
farà osservare che a questo fanno eco il suave est del v. 4, il suave del v. 5 e il dulcius del v. 7, attraverso
cui il poeta-filosofo porta il lettore ad accostarsi all’ideale di voluptas epicurea. Si chiederà poi agli
studenti di rintracciare alcune figure retoriche.
Al termine di questa prima parte, si chiederà un alunno a leggere il testo in italiano, interrompendo
quando necessario per eventuali chiarimenti. Si aiuterà la classe ad enucleare i concetti principali del
brano e l’insegnante potrà annotarli alla lavagna.
LA SERENA TRANQUILLITÀ DEL SAGGIO (II, vv. 1-54)
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A) vv. 1-13: SERENITÀ del SAGGIO che osserva dall’alto della sua torre di avorio l’umanità che erra ↓ PIACERE nasce per lui dall’ASSENZA di TURBAMENTO → è > di chi, al sicuro, vede gli altri affannarsi nella tempesta ↓ oppure osserva grandi scontri di guerra senza partecipare è l’ideale supremo della voluptas B) vv. 14-19: APOSTROFE agli uomini C) vv. 20-36: per raggiungere la felicità bisogna conseguire l’APONIA = assenza di dolore fisico → solo attraverso soddisfacimento dei bisogni naturali e necessari D) vv. 37-54: le RICCHEZZE non giovano al corpo e nemmeno all’animo→ la SUPERSTIZIONE e il TIMORE DELLA MORTE non scompaiono davanti alla ricchezza e alla potenza dell’uomo
Si mostra alla classe che l'autore contrappone l'ideale etico del saggio distaccato e sereno all'umanità in
preda delle passioni, ma lo spazio dedicato alla prima componente risulta minore rispetto alla seconda. Si
può chiedere agli studenti una loro interpretazione a questo proposito, indicando che alcuni critici hanno
definito il De rerum Natura un’opera pervasa dal pessimismo, in contrasto con l’ottimismo della dottrina
epicurea. La filosofia di Epicuro, infatti, crede che l’uomo possa raggiungere la verità e la felicità
attraverso un’incontrollabile fiducia nella ragione e nella libertà dello spirito e per tali motivi può essere
definita ottimistica. Tuttavia, una tale concezione ottimistica non pretende di negare il dolore e i mali che
affliggono l’uomo: si parla allora di pessimismo e ottimismo in rapporto al problema dolore, inscindibile
dalla natura umana. Se ci sarà tempo a disposizione, sarebbe interessante spiegare agli studenti che alcuni
critici (primo fra tutti il Perelli) hanno visto in questi versi il cosiddetto “antilucrezio”, ossia l’autentica
personalità di un individuo tormentato e inquieto: si crede infatti che solo chi è personalmente assillato da
paure e angosce (e ciò tanto più vale se si prende per certa la notizia della pazzia lucreziana) può
esprimere con tanta intensità il drammatico conflitto tra la visione tragica e disperata dell’esistenza e le
certezze filosofiche. Oppure potrebbe semplicemente trattarsi della capacità dell’autore di immedesimarsi
nell’atteggiamento di chi patisce il disagio esistenziale, pur non condividendo il suo punto di vista, ma
dimostrando una profonda conoscenza dell’animo umano. Solo così egli potrà trarre gli uomini dal
proprio stato di cecità e disperazione verso il trionfo della ragione e la finale liberazione dalle paure e
dalle passioni. Qui, in questo passo, la prospettiva pessimistica potrebbe essere spiegata in questi termini:
se per Epicuro il vero piacere è frutto di una mancanza (a-ponia, a-tarassia), non è sbagliato pensare che
Lucrezio proceda per quadri “in negativo” per mostrare quello che il discepolo deve evitare. Inoltre
questo non è il primo esempio in cui emerga con forza il dissidio tra ragione e passione che domina, anzi,
tutto il poema.
Con uno schema fatto alla lavagna, si può evidenziare la cura della costruzione sintattica dei primi 13
versi del brano.
PRIMA SEQUENZA SECONDA SEQUENZA 1a Suave, mari magno turbantibus aequora ventis
E terra magnum alterius spectare loborem;
2 Sed nil dulcius est, bene quam munita tenere
edita doctrina sapientum templa serena,
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inciso: non quia vexari quemquamst iucunda voluptas,
sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest. 1b Suave etiam belli certamina magna tueri,
per campos instructa tua sine parte pericli
despicere unde queas alios passimque videre
errare atque viam palantis quaerere vitae,
certare ingenio, contendere nobilitate,
noctes atque dies niti praestante labore
ad summas emergere opes rerumque potiri.
Si mostrerà che la prima sequenza è costituita da due sezioni (1a e 1b), costruite in modo parallelo (con
anafora di suave): la sezione 1a è anche arricchita dalla ripetizione dell’aggettivo alla fine dell’inciso.
Quest’ultimo spiega che quanto detto non deve intendersi in senso egoistico, ma indica che la
soddisfazione deriva dal senso di scampato pericolo che si ha confrontando se stessi con coloro che sono
in difficoltà. Si ha poi la seconda sequenza (2), che – opponendosi, attraverso il connettivo sed, a 1a + 1b
– afferma che il possesso della sapienza è qualcosa di sommamente dulce, non solo suave. La descrizione
contenuta nei versi 9-13 è caratterizzata da un certo parallelismo interno alla struttura: sono tutti verbi
all’infinito, che si susseguono e che realizzano una sorta di “specchio linguistico” dell’ansia.
Al termine della lezione, si potrà assegnare per compito a casa un’analisi lessicale. Nel testo analizzato,
il lessico si raccoglie intorno ad alcuni nuclei semantici: serenità del saggio, ansia dell’uomo, ricchezza e
potere. Gli alunni dovranno rintracciare i termini, presenti nei diciannove versi analizzati insieme che
rimandano a tali campi semantici. Verranno proposti i primi due per ogni gruppo in questo modo:
- serenità del saggio: suave, iucunda voluptas
- ansia dell’uomo: magnum laborem, vexari
- ricchezza e potere: certare, contendere
4° LEZIONE - 2 ore
Dichiarazione di poetica di Lucrezio: - libro I, vv. 136-148 - libro I, vv. 921-950 Si presenta l’argomento del giorno e si chiede di aprire il manuale alla p. 188 per iniziare la lettura del
primo testo. La lezione sarà frontale, ma si cercherà un costante intervento dei ragazzi. Si può tornare a
quanto detto nella prima lezione a proposito dei termini coniati da Lucrezio con una semplice domanda:
“Perchè il poeta latino introduce nuovi vocaboli?”. La risposta sarà chiaramente identificabile e si entrerà
subito nel vivo del problema con la lettura del brano. La lingua latina non offre, secondo il poeta, una
terminologia adatta all’obiettivo che si è proposto. Per questo deve continuamente misurarsi con la novità
dei concetti e la possibilità di esprimerli rinnovando e arricchendo il lessico del sermo patrius. Si precisa
poi che, a conclusione di tutto il proemio del primo libro (dal v. 149 inizia propriamente la trattazione
sistematica della dottrina epicurea e in particolare della fisica), Lucrezio inserisce questi versi,
descrivendo il suo compito poetico e sottolineandone la difficoltà. E’ opportuno contestualizzare il nuovo
brano e precisare che, nei versi precedenti, il poeta ha spiegato che è difficile liberare l’uomo dallo stato
di angoscia e di oppressione in cui le credenze religiose lo hanno gettato, perchè l’animo umano è come
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un fanciullo che facilmente si lascia suggestionare dalla paura dell’ignoto e dai terrificanti fantasmi di cui
parlano i poeti. A questa difficoltà oggettiva se ne aggiunge un’altra, che Lucrezio motiva sia con
l’egestas linguae, la povertà del lessico della lingua latina, che non ha una nomenclatura atta a rendere la
multiforme varietà della terminologia filosofica greca, sia con la rerum novitas, la novità dell’argomento
che si accinge a trattare, dall’altra. Pur con queste difficoltà, dice il poeta, egli andrà avanti perchè il
risultato, la liberazione di Memmio dall’ignoranza e dalla paura, lo ricompenserà della sua fatica.
Il testo non presenta grosse difficoltà di traduzioni e si può chiedere ai ragazzi di evidenziare i concetti
principali, annotandoli alla lavagna. Sicuramente, sottolineeranno il vanto di novità espresso (nessuno
prima di Lucrezio si è cimentato nell’ammantare con la dolcezza della poesia, l’arida concettuosità della
dottrina filosofica epicurea) e la funzione strumentale della poesia, espresso nei vv. 143-145. Sarà
premura dell’insegnante – se non individuato – evidenziare il terzo concetto espresso, la concezione della
poesia come fatica, facendo loro sottolineare effere laborem, al v. 141. Si ricorda che Lucrezio, per
indicare la creazione artistica, usa sempre un lessico connotante sforzo e fatica (nel proemio aveva usato
pangere conor). Non si tratta solo dello sforzo di trovare le parole adeguate ad esprimere vivamente e
plasticamente l’astrattezza del pensiero, ma anche di quello, proprio del poeta, di promuovere il
godimento estetico attraverso la soave armonia dei suoni e del ritmo. Nonostante le difficoltà
dell’impresa, il poeta sa che troverà ricompensa nell’amicizia e gratitudine di Memmio: il passo si chiude
con una bellissima immagine che ritrae il poeta intento a noctes vigilare serenas alla ricerca delle parole e
del canto con cui illuminare la mente dell’amico e dissolvere l’oscurità del dubbio.
Si passa all’analisi dei vv. 921-950, sempre del primo libro, in cui Lucrezio torna a ribadire la validità
della sua scelta e la propria originalità. Il testo è presente sul manuale a p. 188 e la versione latina è
seguita da quella italiana. Seguendo l’esempio della lezione precedente, gli alunni possono essere invitati
ad attribuire un titolo ad ogni sequenza, annotando i risultati alla lavagna. Una soluzione possibile
potrebbe essere: vv. 921-927 gloria del poeta; vv. 927-934 primato del poeta; vv. 935-950 similitudine dei
medici e dei bambini. Si può segnalare che ai vv. 922-923, l’espressione acri...thyrso rimanda al bastone
ornato di edera e pampini recato in corteo dalle Baccanti e dire che il tirso è il simbolo dell'ispirazione
poetica e dell'invasamento divino già in Platone e in Catullo.
Un lavoro interessante è quello di rintracciare nel testo le spie testuali della poesia vista come novità e
come chiarezza. Non sarà difficile per loro indicare termini come integros fontes, novos flores, lucida
carmina. Infine si indirezzerà l’attenzione degli alunni sulla funzione strumentale della poesia, ben
illustrata dalla similitudine del miele cosparso sull'orlo del bicchiere per far ingurgitare all'ignaro
fanciullo l'amaro assenzio. La poesia è il melodioso canto pierio (vv. 945-46), è il dolce miele delle Muse
(v. 947). Il suo potere di seduzione si esercita attraverso l'armonia dei suoni e del ritmo e la plastica
evidenza delle immagini: i versi del poeta infondono dolcezza e rendono meno difficile accostarsi a una
complessa dottrina e ne favoriscono l’assimilazione attraverso l’attrattiva del lepos (sarà possibile a
questo punto un richiamo a quanto letto nell’inno a Venere). Si farà qui notare che proprio da una tale
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concezione della poesia partiva Epicuro per condannarla, ed il fatto che Lucrezio ne affermi così
prepotentemente tale proprietà potrebbe essere considerato un “tradimento” del poeta romano nei
confronti della dottrina del maestro. Ma non lo è perché Lucrezio tiene subito a precisare i limiti entro cui
vanno esercitati i dolci inganni poetici. La poesia ha una ragione d'essere solo nella misura in cui si fa
tramite di verità. Si evidenzierà l'intento giustificatorio del poeta, il quale sembra voler prevenire
eventuali obiezioni sia in relazione alla coerenza con la dottrina epicurea che negava l'utilità della poesia,
sia in relazione alla validità di un'operazione, quella di dare una bella forma ad un'arida materia.
A conclusione dell’intervento, si può distribuire ai ragazzi la fotocopia con un saggio critico di G.
Cambiano11 che affronta il tema della lezione: “Perchè Lucrezio scrive in versi?” .
5° LEZIONE - 2 ore
- Ripasso e ulteriore fissazione delle tematiche affrontate - Concetti di animus e anima e tema centrale del III libro - Lettura dei vv. 830-869 del III libro in italiano e confronto con il testo finale della Peste di Atene
La lezione sarà frontale, ma si cercherà di coinvolgere continuamente gli alunni con domande sui testi
già affrontati per verificarne l’avvenuta comprensione (verifica formativa). Qualche esempio: “Abbiamo
letto, nel I libro, l’episodio di Ifigenia, perchè Lucrezio narra questo episodio?”, “Nel proemio lucreziano
è contenuto l’inno a Venere: che cosa rappresenta simbolicamente la dea? Ve lo ricordate?” “In che cosa
consiste la vittoria di Epicuro?”, “A che proposito Lucrezio parla del miele?” Nel frattempo, per fissare
maggiormente i contenuti si può rappresentare alla lavagna uno schema riassuntivo.
Diade LIBRI I e II LIBRI III e IV LIBRI V e VI
Temi La FISICA, cioè di cosa è costituita la realtà secondo Epicuro.
L’ANTROPOLOGIA, cioè come e di che cosa è fatto l’uomo, secondo Epicuro.
La COSMOLOGIA, cioè come e di che cosa è fatto il cosmo, secondo Epicuro.
Contenuti
La materia è costituita da atomi, particelle di materia. Essi si muovono nel vuoto, con un’inclinazione. Nulla può essere creato dal nulla; ciò che esiste, nasce dagli atomi. Vita e morte si avvicendano in ogni cosa, in un ciclo senza fine.
Anche L’anima è composta dagli atomi, cioè da materia. La morte, che tanto ci spaventa non è nulla. Noi percepiamo attraverso i simulacra, immagini che ci illudono, ma che non sono reali. L’amore è una sensazione e un’illusione, come le altre.
Storia del mondo e dell’umanità primitiva. Gli dei esistono, ma si disinteressano degli uomini. Tutti i fenomeni naturali hanno spiegazioni naturali: comprenderle ci libera dal timore e dalla superstizione.
Si può riassumere alla classe il contenuto del secondo libro, insistendo sul concetto di clinamen,
introdotto da Lucrezio, e successivamente parlare loro del contenuto del III e del IV libro, soffermandosi
maggiormente sul concetto di animus e anima non ancora trattati. Si dice che l’animus, è la parte
razionale dell’uomo che ha sede nel petto, mentre l’anima è il principio vitale attivo nell’organismo
umano, il respiro, comune a tutti gli esseri viventi, animali compresi ma vegetali esclusi. L’anima è
soggetta ed unita all’animus ed entrambe sono entità composte da atomi particolarmente sottili, levigati e
11 G. Cambiano, I testi filosofici, in Lo spazio letterario di Roma antica, a cura di G. Cavallo, Salerno, Roma, 1989, pp. 241-276. L’estratto utilizzato è reperibile in G. Garbarino, Letteratura latina, Paravia, Torino, 1997, pp. 71-73. Cfr. Allegato
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rotondi ma di natura diversa. Si può fornire ai ragazzi la traduzione di Luca Canali dei versi del III libro
(vv. 94-97 e vv. 136-144) che non sono presenti sul manuale ma utili ai fini della spiegazione.
In seguito, prima di iniziare la lettura dei versi previsti 830-869 del III libro (in italiano), si può illustrare
ai ragazzi la seconda massima capitale di Epicuro e dire poi che Lucrezio, dopo aver dimostrato,
attraverso una lunga serie di ragionamenti, che hanno occupato tutta la parte iniziale e centrale del III
libro, che l'anima è mortale e che in quanto tale è soggetta alla stessa disgregazione cui è soggetto il
corpo, si accinge qui a confutare la falsa convinzione che qualcosa di noi possa sopravvivere alla morte
del corpo e dell'anima.
Si fa rilevare che il brano si caratterizza per la logica delle argomentazioni: se si escludono i vv. 833-837
nei quali, ad emblema di un passato di cui non potremmo avere una memoria diretta, il poeta riporta
l'episodio di maggior risonanza della storia di Roma, le guerre puniche, nella restante parte del brano non
vi sono altre trasfigurazioni fantastiche. Appare chiaro il proposito del poeta di parlare più all'intelligenza
che al cuore, forse perchè è cosciente che la sua opera di persuasione ha maggiore probabilità di riuscita
se condotta sul piano razionale anziché su quello dei sentimenti. Il discorso, pur condotto con il tono
sicuro di chi crede di aver trovato la verità, non riesce a trasmettere serenità ed ottimismo. Non a caso il
brano si conclude con un verso in cui l’unico elemento positivo (la vita) è come represso in un cumulo di
segni indicanti morte. Si fa notare che Lucrezio, volendo battere i suoi ipotetici interlocutori sul piano
della logica, formula due ipotesi assurde, la prima contenuta nei vv. 843-846 e la seconda nei versi 847-
851 ed utilizza, nella prima ipotesi, il verbo all’indicativo al posto del congiuntivo (ovviamente da
rilevare nel testo latino), anche se l’ipotesi è remota, perchè volendo sconfiggere i suoi interlocutori sul
piano della logica, si pone dal loro punto di vista e considera come reale quella che per lui era solo
un’ipotesi assurda. Si fa vedere che per la seconda ipotesi il poeta utilizza il congiuntivo perfetto, poiché
il poeta ammette per questa seconda ipotesi una certa possibilità di realizzazione, anche se remota. Si
chiede di riconoscere la studiata architettura dell’ultimo verso, in cui gli studenti potranno facilmente
rilevare l’ossimoro mortalem vitam, la doppia antitesi mortalem-immortalis e vitam-mors, il chiasmo
mortalem vitam...mors immortalis e la marcata alliterazione della m. Si può evidenziare – se gli alunni
non lo noteranno da soli – che l’unico termine positivo (vitam) si trova all’interno di un cumulo lessicale
esprimente la sua negazione, quasi a connotare la sua estrema brevità in rapporto all’eternità del tempo
dove regna sovrana la morte.
Dopo una pausa, si prevere di anticipare a questo punto dell’intervento didattico la lettura della peste di
Atene (VI, vv. 1138-186), perchè è interessante mostrare ai ragazzi come Lucrezio tratti il tema della
morte in modi completamente diversi. Si invitano gli alunni ad aprire il manuale a p. 191, dove è presente
la traduzione italiana dei versi lucreziani e si può utilizzare anche la traduzione italiana del testo di
Tucidide come confronto.
Si contestualizza il brano di Lucrezio, dicendo che nel corso del VI libro, dopo un nuovo elogio di
Epicuro, Lucrezio passa in rassegna, indagandone le cause, i fenomeni naturali che destano la paura degli
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uomini: il tuono, il fulmine, le tempeste, le rombe d’aria, i terremoti, le eruzioni dei vulcani. Seguono
alcuni fenomeni apparentemente misteriosi, come le inondazioni del Nilo e i poteri della calamita. Infine,
dopo una sezione dedicata alle proprietà particolari di alcune sostanze, vengono affrontate le cause delle
malattie e della morte. La descrizione del diffondersi nell’aria di atomi capaci di creare nel nostro corpo il
turbamento della malattia culmina nell’ampia e drammatica descrizione della peste di Atene del 430,
condotta sulla traccia del racconto di Tucidide che ne fu diretto testimone e vittima.
I ragazzi possono lavorare a gruppi sui testi in traduzione, ma con originale a fronte. Gli allievi avranno
il compito di leggere il materiale, sviluppare una riflessione, confrontando le due descrizioni della peste.
La comparazione dovrà essere distribuita in una tabella a due colonne da in classe su un foglio e poi a
casa con il computer come compito. Gli allievi saranno incaricati di rintracciare, nel testo tucidideo e in
quello lucreziano, i sintomi della progressione della malattia, e di prestare particolare attenzione al lessico
di Lucrezio. Si manda, quindi, alla lavagna, un alunno per gruppo, invitandolo a leggere i risultati
ottenuti. Si possono prendere in considerazione le varie interpretazioni che sono state date a questo
enigmatico finale. Le opinioni dei critici si schierano su vari fronti e si possono indicare, soltanto a titolo
esemplificativo, i nomi degli studiosi a cui vengono attribuite le opinioni.12 Si può dire che secondo
Giussani, l'opera appare incompiuta perché Lucrezio, cantore della ratio, non potrebbe aver chiuso il suo
poema con un tono tanto cupo e amaro, una sorta di "trionfo della morte" che si pone in contraddizione
con il gioioso inno d'apertura; secondo Dionigi, la negatività del finale si conforma al progetto
strutturante l'intero poema, intento a creare simmetriche contrapposizioni tra proemi e finali; secondo
Arragon, in tale brano Lucrezio non sembra far ricorso a quel lepos (il miscere utile dulci, «il vero
condito in molli versi») di cui aveva cercato di pervadere l'intera opera, lasciando invece prevalere un
desolato pessimismo; ciò dimostrerebbe l'incapacità del poeta di mantenersi immune da passioni e
coinvolgimenti, donde il tradimento dell'ottimismo epicureo; infine, Salemme, sottolinea la creatività di
Lucrezio, affermando che il brano si presenta come una prova di stile, un complesso artificio di dotte
allusioni, parafrasi, inserzioni, contaminazioni a partire dal noto testo tucidideo.
Si motiva poi il brano alla luce della struttura dell’intero poema e la peste assume il valore di una
metafora: essa simboleggia infatti la forza negativa e distruttrice della natura, quella che, non a caso, si
oppone alla forza vivificatrice impersonata da Venere, nell’inno di apertura del poema. La peste ha il
potere di schiacciare l'uomo, di minare la sua dignità, di sconvolgere la società civile: l'unica arma allora
sarebbe la ratio, la lucida consapevolezza, l'equilibrio interiore che domina le passioni. Si chiede agli
alunni: “Quale sarà allora lo scopo di questa cupa e macabra descrizione?” La risposta sarà a portata di
tutti: dimostrare come il saggio, non avendo paura della morte, possa dominare il dolore e restare al di
sopra di tutto, avendo come arma la sola ragione e l’equilibrio interiore. Allora tutto il De rerum natura
12 Alcuni di questi suggerimenti sono tratti da C. Salemme, Strutture semiologiche nel De rerum natura di Lucrezio, Liguori, Napoli 1980, pp. 77-87.
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sarebbe l’esaltazione del sapiens epicureo, ma per contrapposizioni, per quadri negativi e solo raramente
Lucrezio indugia sulle gioie e sugli aspetti positivi.
Il lavoro individuale da svolgersi a casa consisterà nella lettura in italiano dei vv. 1072-1120, “L’amore”,
tratti dal IV libro e riportati sul manuale a p. 180.
OOOOsservazioni al termine del quinto interventosservazioni al termine del quinto interventosservazioni al termine del quinto interventosservazioni al termine del quinto intervento Molto bello e interessante è stato il confronto intertestuale sulla peste. Ritengo efficace alternare
strumenti e strategie di presentazione che coinvolgano le diverse modalità di rappresentazione dei dati
obbligando gli allievi a variare continuamente risposta in funzione degli stimoli proposti con l’intento non
solo di mantenere l’attenzione il più a lungo possibile, ma soprattutto di migliorare l’apprendimento
rendendolo efficace e significativo.
Gli studenti hanno ammesso che già dall'inizio si possono notare due caratteristiche del brano lucreziano:
da una parte la presenza di immagini poetiche, come nel verso "aërea permensus multum camposque
natantis" (VI, 1140), dall'altra l'insistenza su un lessico di morte e desolazione, come nei versi: "mortifer
aestus / finibus in Cecropis funestos reddidit agros, / vastavitque vias, exhausit civibus urbem" (VI, 1138-
1140). Il senso di sofferenza e di angoscia, che Lucrezio esprime in questi versi e che sfocia poi in tinte
patetiche e drammatiche non c'è in Tucidide, sebbene egli stesso fosse stato colpito dalla peste, sia perché
il suo intento era diverso, sia perché lo scrittore aveva un'altra sensibilità.
Nella sequenza successiva, anche gli altri studenti hanno evidenziato che sia Tucidide (capp. 49-50) sia
Lucrezio (vv. 1144-1229) si soffermano a descrivere i sintomi della peste. I primi cinque paragrafi del
cap. 49 delle Storie hanno una rielaborazione più o meno fedele nei versi 1144-1181 del poeta latino,
poiché alla prosa sobria, asciutta, quasi scientifica dello storico si sostituisce uno stile elaborato, ricco di
artifici retorici, tendenti a dilatare le immagini al fine di renderle più drammatiche e ricche di pathos.
Interessanti sono stati gli esempi riportati: dove Tucidide dice: "...la gola e la lingua diventavano subito
color sangue e emanavano un alito disgustoso e fetido" (II, 49, 2), Lucrezio dice: "Persino la gola, nera
all'interno, trasudava sangue e la via della voce, chiusa dalle piaghe, si sbarrava e la lingua, interprete
della mente, grondava sangue, indebolita dal male, grave a muoversi, ruvida al tatto... L'alito, fuori dalla
bocca, emanava un lezzo fetido, come puzzano i cadaveri putrefatti abbandonati"( VI, 1147-1150; 1154-
1155). E ancora, Tucidide, nel descrivere l'evolversi della malattia, afferma che il male dalla gola
scendeva nel petto e da lì nello stomaco; al contrario Lucrezio dice che il male giungeva nel cuore. Nel
testo tucidideo la parola kardiva significa "bocca dello stomaco" e non "cuore", come Lucrezio invece
l'ha intesa. Un altro esempio può essere l'immagine dei malati che, per l'eccessivo bruciore, cercano
refrigerio nell'acqua. Così ce li descrive Tucidide: “...(il corpo) all'interno bruciava tanto da non
sopportare né le vesti né i tessuti più sottili, né altro che andare nudi, e gettarsi con sommo piacere
nell'acqua fredda. E molti malati abbandonati fecero questo, gettandosi persino nei pozzi, presi da sete
insaziabile" (II, 49, 5). Ma ecco l'impressionante rappresentazione di Lucrezio: "La parte più interna degli
uomini ardeva fino alle ossa, ardeva nello stomaco una fiamma come dentro le fornaci....Alcuni
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affidavano ai fiumi gelidi le membra ardenti per il morbo, scagliando il corpo nudo tra le onde. Molti si
gettarono dall'alto, a capofitto, nelle acque dei pozzi...” (VI, 1168-1169; 1172-1175).
I versi 1182-1196, in particolare, si presentano come una digressione del poeta latino rispetto al testo
dello storico. In questa microsequenza Lucrezio si sofferma sulla descrizione degli "indizi di morte"
riscontrabili nei malati. Dal verso 1197 al 1229 Lucrezio, seguendo di nuovo Tucidide, ritorna a
descrivere i sintomi della peste soprattutto nei malati terminali con alcune differenze importanti. Lucrezio
dice: "Non molto tempo dopo le membra giacevano nella rigidità della morte. Generalmente al
risplendere dell'ottavo lume del sole, o anche nella nona luce, rendevano la vita" (VI, 1196-1198). Invece
Tucidide: "...il corpo non si consumava, ma resisteva contro ogni aspettativa alla pena, tanto che i piú
morivano nel nono giorno e nel settimo per il calore interno, quando ancora avevano un po' di forza"(II,
49, 6). La classe ha capito che Lucrezio non esamina con occhio clinico il morbo, infatti, non è attento né
ad usare termini scientifici né a descrivere precisamente il decorso della malattia, gli interessa soprattutto
rendere quel clima di morte e desolazione, che ben presto raggiungerà il suo apice.
Due immagini, già presenti in Tucidide, sono diventate molto più meste in Lucrezio. Nel testo tucidideo
si legge: "...se (i malati) sopravvivevano, dopo che la malattia era scesa nel ventre, e si era prodotta una
forte ulcerazione ed era sopraggiunta una violenta diarrea, in seguito i piú morivano proprio per lo
spossamento" (II, 49, 6); in quello del poeta latino: "E se qualcuno di loro, come avviene, evitava la
rovina della morte, per le piaghe orribili e il nero flusso di ventre, poi, lo attendevano tuttavia distruzione
e morte" (VI, 1199-1201). A proposito delle conseguenze estreme Tucidide dice: "(Il male) si manifestava
nei genitali, nella punta dei piedi e delle mani e molti, perdendo questi organi, sopravvivevano, alcuni
perdevano anche gli occhi" (II, 49, 8). Lucrezio, invece, parla chiaramente di amputazione:
"Alcuni...vivevano dopo essersi mutilati del membro virile, altri senza piedi e mani rimanevano tuttavia in
vita, altri ancora perdevano gli occhi" (VI, 1209-1211). A queste parole, molto crude, segue il verso:
"usque adeo mortis metus hic incesserat acer" ovvero "con tanta violenza li aveva ghermiti il timore della
morte" (VI, 1212). Il contagio si diffonde in modo abnorme, perché gli amici vogliono soccorrere gli
amici, ma anche coloro che per paura (Tucidide) o perché troppo desiderosi di vivere (Lucrezio) si
isolano, vengono inesorabilmente colpiti dal male. Tutto soccombe al male. Ma Tucidide, a questo punto,
introduce, in un paesaggio cosí lugubre, una nota di speranza: "Tuttavia coloro che erano scampati alla
malattia provavano compassione per i moribondi e i malati... la malattia non colpiva mortalmente la
stessa persona una seconda volta... e per il futuro concepivano la vana speranza che nessun'altra
malattia avrebbe mai potuto ucciderli"(II, 51, 6). Senza dubbio queste parole sono uno sfogo dello storico
che sperava di scampare a una ricaduta, ma sono anche indice del fatto che dietro l'apparente freddezza
dello stile si cela un uomo che nutre profondi sentimenti. Ai versi 1230-1251, che descrivono gli effetti
della malattia e che corrispondono al cap. 51 del testo greco, segue l'ultima sequenza, in cui entrambi gli
scrittori analizzano la reazione delle masse di fronte al male.
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Ancora la classe ha fatto notare che se Tucidide ricorda nuovamente uno dei motivi che ha contribuito a
far scoppiare la peste, "l'inurbamento dei contadini", Lucrezio vi allude sommessamente, come per
ricordarci che è un poeta e non uno storico. Entrambi indugiano poi a descrivere lo squallore nel quale
giacciono i moribondi e i morti, ma, mentre Tucidide condensa il tutto in poche righe, Lucrezio ci dà
scene luttuose e strazianti.
Si è poi mostrato che mentre Tucidide nel finale tocca tre temi, templi, funerali, piaceri, Lucrezio accenna
solo ai primi due. Quando, infatti, Lucrezio descrive sommariamente il crollo della religione, dice: "Né
ormai il timore degli dei né la potenza divina contavano molto" (VI, 1276). Di contro Tucidide dice: "Gli
uomini, non sapendo quale sarebbe stato il loro futuro, iniziarono a trascurare le leggi divine e umane"
(II, 52, 3-4). Entrambi gli scrittori passano poi a descrivere come anche le leggi, le usanze umane siano
state sconvolte. In ambedue la sequenza dei funerali tocca toni forti: sul piano dello stile Lucrezio
aumenta la pateticità del brano, soprattutto perché con questa scena termina il libro, e quindi il poema.
Invece Tucidide, più che fare attenzione all'aspetto "formale", vuole evidenziare come si stiano
dissolvendo quei "foedera generis humani", cioè quei patti che rendevano possibili i rapporti tra gli
uomini. Gli abitanti di Atene, simbolo stesso della società civile, abbandonano ogni rispetto morale e
perfino religioso (e la religione è un efficace collante sociale): i riti degli dei e quelli della sepoltura
vengono ignorati e gli Ateniesi diventano un popolo barbaro e selvaggio. I ragazzi hanno rilevato da soli
che Lucrezio descrive spietatamente i particolari più raccapriccianti (sangue, puzzo, piaghe, sudore, sputi,
diarrea, bocche spalancate come in un quadro espressionistico, cadaveri putrescenti) in modo che chi
legge è costretto a porre attenzione ai versi per poi dedurne l’insegnamento filosofico. Essi si sono accorti
anche che molto spazio è dato alla descrizione psicologica dell'ansia, del terrore e dell'inquietudine che
fanno perdere ragione e dignità ai primi segni del male: i malati divengono, quindi, preda di un anxius
angor («un'ansiosa angoscia»), prima che del dolore fisico. Analoga è la cura con cui Lucrezio descrive le
loro reazioni del tutto illogiche e contraddittorie: il gettarsi a capofitto nei pozzi per bere, e la fobia che li
porta ad evirarsi. In questo modo il poeta sottolinea le conseguenze drammatiche del rifiuto di vivere con
la guida della ragione e degli insegnamenti di Epicuro: la malattia è, certo, obiettivamente grave, ma
viene ulteriormente aggravata dalle paure che l'accompagnano e dai sensi di colpa, causati dall'idea che
essa sia il segno della condanna divina; in tal modo al dolore fisico inevitabile si aggiungono l'angoscia,
la disperazione e la pazzia. Ma, soprattutto, Lucrezio vuole evidenziare la fine di ogni senso di umanità,
di ogni principio morale e di ogni riferimento civile. Negli ultimi versi egli descrive i comportamenti dei
parenti e degli amici rimasti vivi, privi di ogni rispetto umano e divino: i corpi rimangono insepolti, i
familiari abbandonano i propri cari malati, i templi sono pieni di cadaveri, spesso si verificano risse
sanguinose, quando alcune persone vogliono porre il cadavere di un loro parente sulla pira allestita per un
altro morto. Un ragazzo mi ha fatto notare che la paura prevaleva sui legami famigliari e affettivi: chi si
isolava moriva in solitudine, che si dimostrava solidale andava incontro a un sicuro sacrificio; la morte
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invadeva ogni luogo del vivere comune, le strade e persino i santuari erano ingombri di cadaveri; il
presente dolore vinceva.
Ho poi fatto notare che Tucidide è un storico cui interessa la narrazione del fatto oggettivo, descritto
minuziosamente, anche attraverso un vasto apparato di terminologia tecnica (medica soprattutto). Tutto
questo in Lucrezio non compare: l'intento è fornire una dimostrazione di una teoria scientifica ma,
soprattutto, combattere quell'irrazionale paura della morte che assale l'uomo di fronte a queste catastrofi.
La classe è stata davvero molto partecipe e gli allievi hanno diligentemente preso appunti.
6° LEZIONE - 2 ore
- Lettura dei vv. 195-234 del V libro il latino - Lettura in italiano del finale del V libro, vv. 925-965, vv. 966-1027, 1412-1457 in italiano - Confronto con Leopardi e idea di progresso in Lucrezio Si presenta il programma che si intende svolgere nelle due ore previste, i vv. 195-234 del V libro. Gli
alunni ormai dovrebbero conoscere il contenuto generale del libro e basterà semplicemente
contestualizzare il brano, dicendo che Lucrezio, dopo aver parlato del nostro mondo, uno fra tanti
nell’universo, illustrato i più importanti fenomeni astronomici e naturali (di cui tenta di fornire una
spiegazione fisica e razionale), inserisce un’ampia digressione antiteologica contro ogni intervento divino
nella formazione e conservazione del mondo. Nei versi che si leggeranno, la terra è associata alla figura
della madre/matrigna, perchè, dimostra Lucrezio, sostanzialmente ostile all’uomo. Si osserva che ad
alcuni studiosi, il brano è apparso come la più palese espressione del pessimismo lucreziano: l’uomo
sarebbe vittima indifesa di una congiura orchestrata a suo danno da un natura matrigna. Secondo altri,
invece, emergerebbe l’intenzione di Lucrezio di confutare le teorie provvidenzialistiche di origine
platonica che ritengono che il mondo sia stato creato per l’uomo. Gli studenti possiedono la traduzione
sul manuale e, in quanto ultimo brano previsto, si procederà celermente con la costruzione e la traduzione.
Si invita un allievo ad iniziare la lettura fino al v. 217 e un compagno la completerà. Il commento avviene
in modalità dialogata, si incentiva la collaborazione degli allievi al dialogo didattico, sollecitando la
loro partecipazione attraverso opportuni quesiti. Durante la traduzione si fanno notare i verbi iniziali
confirmare e reddere e i connettivi tipici dell’argomentazione principio, praetera, tum porro, che
alternano i momenti di riflessione (i periodi ipotetici) a fasi descrittive, pur caratterizzate da una certa
drammaticità. Lucrezio mostra le contrarietà dell’ambiente naturale a chi esalta la benevolenza della
natura e crede che l’uomo sia al centro dell’universo: così facendo, l’autore nega ogni finalismo. Si fanno
rilevare ai ragazzi che i primi cinque versi, che legano il brano al contesto precedente, pongono in
evidenza la tesi che si vuole dimostrare: anche senza l’apporto della dottrina epicurea si può provare
come il mondo non sia stato creato da una provvidenza divina per l’uomo e ciò in virtù delle sue
“mancanze”. Al v. 200, compare la prima delle tre prove di tale indifferenza della natura: se il mondo
fosse stato creato per l’uomo, allora perchè per gran parte di esso non è abitabile? Perchè si oppongono
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all’uomo fenomeni naturali che rendono vano il lavoro dei campi? Prevale qui un carattere descrittivo,
animato dalle forze che si contrappongono: quella dell’uomo che tenta di sopravvivere e quella della
natura che non crea per lui un ambiente favorevole. La seconda argomentazione inizia al v. 218,
introdotta da praetera e si presenta con una serie di domande retoriche dal tono accorato. Esse pongono
degli interrogativi sull’origine del male ma più che una riflessione esistenzialistica, esse sembrano rivolte
agli ipotetici avversari di Lucrezio filosofo, in quanto egli conosce già le risposte: le malattie, derivano
dalla presenza di atomi letali che vagano nel vuoto insieme agli altri e che, per caso fortuito, colpiscono a
caso gli individui. (VI, vv. 1090 sgg). Così, polemicamente invita a rispondere coloro che si credono
privilegiati. Con la terza prova, introdotta dal tum porro del v. 222, il tono torna a farsi descrittivo e le
frasi si dispongono parattatticamente. Si indica la terminologia utilizzata (nudus, humi, iacet, infans,
indignus), esprimente lo stato di debolezza dell’uomo di fronte ad una natura potente che si rivela
indifferente, se non addirittura ostile. Si può far notare che il tono diventi sarcastico e ironico quando si
parla della “fortuna” degli animali e della vanità delle cose di cui gli uomini hanno bisogno, sottolineando
i vocaboli crepitacillis, blanda atque infracta loquella, varias vestes, armis, moenibus altis. Si rileva che
Lucrezio, volutamente, non parla della ragione, l’elemento che più di tutti rende l’uomo superiore alle
altre creature, e che viene esaltato nel corso dell’intero poema: qui risulterebbe controproducente e
Lucrezio preferisce mettere in luce gli aspetti negativi, così da dare forza al motivo polemico. Lucrezio
deve ora dimostrare che il mondo, essendo aggregazione casuale di atomi, non può avere coscienza di
favorire o danneggiare gli uomini e che questi, formati allo stesso modo, sono sottoposti alle leggi
meccaniche che regolano tutto l’universo. Il mondo quindi non è stato creato per l’uomo.
Può essere presentato allora un passo tratto dal Dialogo della Natura e di un islandese in cui Leopardi
espone, sotto forma di prosa e di dialogo, le medesime riflessioni che troviamo nei "Canti" e tratta, con
freddezza e in modo definitivo, il tema dell'assoluta infelicità dell'uomo, minacciato continuamente da
una Natura indifferente al suo dolore.
In alcuni versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (vv. 39-51), il poeta riporta in sintesi,
con argomentazioni serrate, le sue varie riflessioni sul significato e sullo scopo della vita umana.
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Si può chiedere di leggere i due testi e si analizzeranno le differenze tra i due poeti. Balzerà subito agli
occhi che se per Lucrezio la ragione concede all’umanità di riscattarsi, di capire grazie alla dottrina di
Epicuro il funzionamento delle cose (e in particolare l’indifferenza della natura) e di raggiungere la piena
atarassia, il pensiero di Leopardi è invece ben più pessimista. Mostrerò allora che per Leopardi, la ragione
è motivo di grandezza ma anche di infelicità, perchè induce l’uomo a porsi delle domande e a cercare con
testardaggine risposte che non è in grado di raggiungere. Sarà intuitivo per gli alunni affermare che,
invece, per Lucrezio, la ragione concede all’umanità di riscattarsi dalla sua abiezione, giungendo a
comprendere i meccanismi della natura e la propria limitatezza, ma, al tempo stesso, l’umanità potrà
rendersi conto della sua libera volontà e della sua autonomia da qualsiasi giogo soprannaturale. Per
Leopardi, l’uomo non ha scampo alla sua infelicità ma, contro la Natura-matrigna, chiama tutti gli uomini
a unirsi in una confederazione. Lucrezio, fermo nel suo individualismo epicureo, vede il divario tra i
saggi e la massa degli stolti. Per Lucrezio, inoltre, la natura, in quanto semplice aggregazioni di atomi,
non ha colpa dell’infelicità dell’uomo: in realtà la Natura non fa nulla né per gli animali né per gli uomini,
ma gli uni, adattandosi meglio alle leggi della natura, vivono in modo migliore, mentre gli altri, cercando
di piegare la Natura alle loro esigenze personali, si arrabbiano quando non ci riescono. Il poeta latino sfata
anche il mito classico dell’età dell’oro e questa precisazione mi servirà per introdurre la parte finale del
libro, quella dedicata all’uomo primitivo. Si potrà domandare alla classe “che cosa si intende per età
dell’oro?” ed eventualmente di specificare che “età dell’oro” è il nome di un tempo mitico di prosperità
ed abbondanza di un mondo originario che gli dei avrebbero creato per gli uomini e dal quale questi
ultimi si sarebbero allontanati per le proprie colpe. L'idea di un'epoca dorata compare per la prima volta
nel poema Le opere e i giorni di Esiodo (metà del VIII secolo a.C.). Secondo il poeta si tratta della prima
età mitica, in cui un'aurea stirpe di uomini mortali vivevano con l'animo sgombro da angosce, lontani,
fuori dalle fatiche e dalla miseria. Esiodo poi descrive altre quattro ere che sarebbero succedute all'età
dell'oro in ordine cronologico: l'età dell'argento, l'età del bronzo, l'età degli eroi e l'età del ferro.
Prima di iniziare la lettura dell’ultimo testo, si ricorda che, Lucrezio descrive la storia del genere umano
nel suo corso di evoluzione: dalla fase iniziale, in cui un'umanità ancora priva della cultura viveva in una
condizione naturale, in mezzo a mille difficoltà, fino alla progressiva introduzione delle singole tecniche
culturali (ispirate dagli stimoli dell'usus e dell'esperienza), e allo sviluppo della convivenza sociale. Il
brano viene letto in italiano e si ricorda che l’interesse per la preistoria era molto vivo a Roma nel I sec.
a.C. e che Lucrezio non esita a proporsi nelle vesti di “primo antropologo”: egli dà vita a immagini dalla
potente forza coloristica, veicolando, come gli è consueto, il discorso intellettuale attraverso il fascino
poetico. Il paragone con l’età a lui contemporanea è sapientemente costruito e si realizza attraverso i
quadri “in negativo” che gettano una luce ironica sullo stile di vita degli uomini del suo tempo. In
apertura del passo, compare il topos della robustezza degli uomini primitivi che verrà ripreso dagli autori
successivi tra cui Virgilio, Ovidio e Tibullo. Ai vv. 931-932, il poeta avanza la tesi secondo cui l’uomo
preistorico vivesse allo stato ferino: tale tesi viene sviluppata attraverso una serie di paragrafi concernenti
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svariati argomenti. Nella prima parte si parla della mancanza dell’agricoltura e della necessità di nutrirsi
di ghiande e bacche, offerte spontaneamente dalla natura. Si può chiedere agli allievi di riconoscere come
il brano sia strutturato come un elenco di assenze, suggerendo di ricercare le negazioni. Lucrezio poi
considera la mancanza del fuoco, di vesti e di case; infine la mancanza di vita associata e regolata da leggi
e consuetudini comuni. Chiude il primo passo, una breve digressione sulle abitudini amorose degli antichi
e, a questo punto, si potrebbe richiamare, soltanto brevemente, la concezione lucreziana dell’amore,
espressa nel finale del libro IV, chiedendo alla classe che cosa diceva Lucrezio sulla follia d’amore. (Agli
studenti era stata affidata una lettura domestica in italiano del brano). Rileverò poi la comparazione fatta
da Lucrezio tra la morte antica, per opera delle belve, orribile e senza alcun rimedio né cura e quella
moderna, che coinvolge in poco tempo migliaia di uomini durante le battaglie e i naufragi. Se prima
dominava l’ignoranza o la debolezza (si moriva per le carestie, non si conoscevano le medicine, i veleni
ma nemmeno l’arte della navigazione), ora i rischi della morte vengono affrontati consapevolmente. L’età
primitiva risulta caratterizzata da pregi e difetti e il vero progresso non è quello tecnico, bensì quello
morale, guidato dall’evoluzione della ratio che permette il vivere comune ed è l’unico mezzo per
raggiungere la felicità. Lucrezio dunque non rimpiange il lontano passato, ma rinnega il progresso, ne
denuncia soltanto i limiti.
Nell’ultima parte della lezione, si utilizzeranno almeno 15 minuti per riassumere, con uno schema alla
lavagna, i principali concetti visti durante le diverse lezioni. Sarà richiesto l’intervento della classe per la
sua compilazione.
7° LEZIONE - 2 ore Per accertare le conoscenze e le capacità acquisite dagli alunni, si può optare per una verifica
semistrutturata che permetterà di verificare non solo l’acquisizione dei contenuti, la loro pertinenza e
qualità, ma anche, ad esempio, la proprietà di linguaggio dello studente ed il suo senso critico.
Le prime quattro domande mirano a verificare l’acquisizione dei contenuti e a valutare la capacità di
rielaborazione dei medesimi da parte del singolo alunno (esercizio 1), il secondo è un esercizio di
traduzione con domande precise, (non ho voluto allonarmi dal metodo scelto di spiegazione - quello della
centralità del testo), il terzo e il quarto esercizio propongono due passi da tradurre, contestualizzare e
alcune domande di conoscenza a cui rispondere. Le domande legate alla traduzione sono piuttosto veloci
e riguardano la retorica, la contestualizzazione e l’extratesto. Per quanto riguarda la scelta dei brani, ho
incluso la traduzione di un solo testo: dall'Inno a Venere ho estratto i versi 1-9. Di altri due brani ho
estratto versi significativi (esercizi 3 e 4). In accordo con la tutor, non ho inserito domande di
grammatica, in fondo è una prova di letteratura e verrà registrata come secondo voto orale. Per
l'attribuzione dei punti, credo sia opportuno riportare il valore di ogni esercizio direttamente sulla verifica
(12 è il punteggio massimo), di modo che i ragazzi potranno gestire tempo e risorse con criterio. Per
stabilire la durata della prova, pur sapendo che avevo a disposizione fino a 90 minuti, la tutor mi ha
consigliato di svolgerla e poi di calcolare per gli studenti il doppio del mio tempo.
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Prima dell’inizio della prova si può fornire una descrizione delle varie tipologie di quesiti, accertandosi
che le consegne vengano recepite da tutti; quindi espliciterà i criteri che adotterà per la correzione: la
prova darà luogo ad una valutazione valida per l’orale, tuttavia nello stimare ciascuna risposta il docente
terrà conto non solo della correttezza e della completezza dei contenuti e dell’impiego di una terminologia
specifica appropriata, ma anche della forma espressiva impiegata. Durante la prova non sarà consentito
tenere nulla sul banco (portapenne, diario, quaderni, libri, cartelline, fogli di brutta...). Le risposte
dovranno essere scritte sul foglio a protocollo. I banchi saranno distanziati per evitare tentativi di
copiatura dai vicini. Gli allievi dovranno osservare un rigoroso silenzio.
LICEO SCIENTIFICO G. GALILEI
Nizza Monf.to Classe IV
Nome:
Cognome:
VERIFICA DI LATINO
1) Rispondi alle seguenti domande: (4 punti) - Descrivi la struttura e i contenuti del poema lucreziano (1)
- Perché Cicerone fu sostanzialmente contrario alla dottrina lucreziana? (1)
- In che modo Lucrezio risolve la difficoltà dell’assenza, a Roma di (1) uno specifico linguaggio filosofico? - Quali meriti riconosce Lucrezio a Epicuro? (1) 2) Dopo aver letto il seguente testo: (6 punti) “Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas,
alma Venus, caeli subter labentia signa
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quae mare navigerum, quae terras frugiferentis
concelebras, per te quoniam genus omne animantum
concipitur visitque exortum lumina solis:
te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus
summittit flores, tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum.” a. Contestualizza e traduci (3)
b. Quali valori simbolici assume la dea Venere? (1) c. Quali sono le caratteristiche stilistiche più evidenti del brano? (1)
d. Trova un esempio di: (1) - anafora - anastrofe - enjambement 3) “Tantum religio potuit suadere malorum”. (1 punto) Traduci e indica da dove è tratto questo verso. Cosa intende Lucrezio per religio? E Cicerone? 4)“Quod obscura de re tam lucida pango / carmina”. (1 punto) Traduci e rispondi: perchè Lucrezio scrive in versi? Quale rapporto c’è tra il lepos della poesia e il discorso filosofico?
9. FATTIBILITA’ Tra i punti di forza del percorso direi che fare e sperimentare in prima persona ha consentito ai discenti di
di costruire gli apprendimenti, di sentirli come qualcosa di personale e di vero e quindi di interiorizzarli
meglio, inoltre le interazioni continue promosse dal metodo di lavoro hanno consentito da una parte di far
sentire i ragazzi ascoltati e rispettati, dall’altra di costruire un sapere più ricco e condiviso, che è diventato
bagaglio comune della classe. Il primo aspetto è emerso dall’aumento della qualità e della quantità di
partecipazione che gli studenti hanno mostrato nel tempo, ma anche dalle affermazioni registrate nella
discussione finale; il secondo aspetto si è realizzato grazie a tutti quei piccoli interventi personali che
hanno reso gli argomenti trattati qualcosa di unico, non rintracciabile in alcun libro di testo. Un ultimo
elemento che ritengo di dover citare riguarda la mia attenzione alle esigenze individuali: gli interventi di
scaffolding, gli incoraggiamenti e gli aiuti che hanno accompagnato la pratica didattica non sono stati
ignorati né dai ragazzi né dall’insegnante tutor. Infatti, la docente mi ha più volte sottolineato,
nell’incontro finale, che gli studenti hanno esplicitato di essersi sentiti ascoltati, supportati, incoraggiati
durante il percorso.
Un altro punto di forza è stato porre i problemi al centro del percorso; questi sono infatti stati
fondamentali per introdurre gli argomenti e la curiosità per gli argomenti, per far emergere preconoscenze
ed esperienze pregresse dei ragazzi, per interessarli e motivarli al lavoro, percepito come una serie di
sfide complesse ed intriganti.
La scelta di esplicitare all’inizio il patto formativo con gli allievi, di dichiarare cioè l’impostazione che si
intende seguire e i contenuti sui quali concentrare il lavoro comune, è orientata a rendere chiari fin dalle
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prime lezioni gli elementi di verifica. E’ importante che gli allievi capiscano come l’impegno per
comprendere i nodi problematici, unito a una costante attenzione all’adeguatezza della proposta didattica
e agli elementi di complessità, permetta di apportare correttivi nel corso delle lezioni. L’obiettivo è
realizzare una continua verifica formativa dell’apprendimento degli studenti e, attraverso questa, valutare
l’efficienza e l’efficacia dell’attività di programmazione, per evitare un rapporto di sostanziale
incomunicabilità tra docente e allievi. Per questa ragione è utile dedicare ampio spazio, nel corso
dell’intervento a diversi momenti di verifica, vagliando le conoscenze precedenti e controllando in itinere,
mediante un feed-back continuo, la comprensione dei temi proposti. La valutazione assume in questo
modo una funzione diagnostica e permette sia all’insegnante sia all’allievo di autoregolare il progetto di
lavoro. La prova finale doveva rappresentare dunque un momento di certificazione dell’apprendimento,
ma, soprattutto, una possibilità di conferire sistematicità ai contenuti proposti e di valutarne la
comprensione.
A questo punto dell’analisi critica mi sembra corretto citare anche i riscontri meno positivi, che considero
punti di debolezza del percorso svolto. La variabile del tempo è sempre molto importante. Proporre un
percorso come il mio comporta infatti un’attenta gestione di questo parametro. Da una parte occorre
rispettare i tempi degli studenti, se si vuole che questi costruiscano gli apprendimenti e non seguano
semplicemente un programma dettato dall’insegnante; d’altro canto però occorre essere consapevoli del
tempo a disposizione ed utilizzarlo per le attività che si ritengono realmente significative. Piuttosto che
affrontare tanti argomenti meglio allora avere tempo sufficiente per… perdere tempo in un ragionamento
inconcludente o addirittura sbagliato, per fare tentativi e capire gli abbagli presi e per ripensare quanto è
stato compiuto, individuando la mossa che ha portato al successo e cercando di cogliere l’essenza più
generale della strategia adottata. Nel caso di questo primo tirocinio attivo, la discrepanza tra
programmazione ed effettiva realizzazione, in alcuni casi, è stata quindi particolarmente evidente. Si sono
verificati così momenti di eccessiva concentrazione di contenuti, altri in cui l’analisi del brano non è stata
completata, ma anche lezioni più equilibrate, in cui è stato possibile realizzare l’alternanza tra discussione
e attività di traduzione. Ho appreso pertanto l’importanza di conferire alla lezione un ritmo adeguato non
solo al contenuto trasmesso ma altresì alla classe e alle sue prerogative, per esempio non prevaricando
quella che potremmo definire la “soglia dell’attenzione”, alternando le attività e gli strumenti utilizzati,
lasciando spazio anche all’intervento dei ragazzi. Il rischio è che la lezione di letteratura latina diventi
semplicemente (come, a volte, purtroppo è successo nel mio caso) frontale e unidirezionale e per limitare
tale rischio è necessario spronare gli studenti alla partecipazione attiva e pertinente; operazione che non è
stata sempre facile, anche perchè un tirocinante sostanzialmente estraneo alla situazione non può
avvalersi del livello di confidenza esistente invece tra la classe e l’insegnante titolare. Ho tuttavia ricevuto
collaborazione e sostegno da parte della docente nei miei confronti e un’accogliente disponibilità da parte
della classe.
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Un altro aspetto che ha comportato notevoli difficoltà, su cui ho dovuto lavorare parecchio, ma da cui
però non potevo prescindere nel trattare Lucrezio in una classe di liceo scientifico, è la dimensione
filosofica. Essa fa sì che l'autore si presti molto all'interdisciplinarità, in particolare con la Filosofia,
poiché l'epicureismo è l'alveo materno in cui nasce il De rerum natura. Non si possono negare le
difficoltà che comporta la traduzione e l'analisi di un testo filosofico latino (e nel nostro caso si aggiunge
la componente poetica) ma gli studenti si sono dimostrati in genere affascinati ed incuriositi. Sta al
docente assicurare l'effettiva comprensione di testi così complessi, magari attraverso inquadramenti
generali, riferimenti alla dottrina in questione, parafrasi e semplificazioni, esempi e problematizzazioni.
Nel mio piccolo, posso dire, ho cercato di fare tutto questo spiegando Lucrezio. Il costante ripasso in
classe dei temi trattati ed il rispetto delle consegne dei compiti a casa (fatte le debite eccezioni) hanno
facilitato la preparazione degli studenti, che si è potuta costruire con sistematicità. Incentivando il
dialogo, sono anche state indagate e sollecitate le modalità di ragionamento impiegate dagli allievi:
ponendoli di fronte ad una situazione “problematica” da risolvere, ho cercato di recuperare le conoscenze
che già possedevano e di farli riflettere sulle modalità di ragionamento impiegate.
La difficoltà dell’argomento e il tipo di approccio richiedono, a mio parere, una certa esperienza di
insegnamento-apprendimento. Non mi sono comunque scoraggiata: in fondo, nell’ottica della mia
personale formazione, approfondire questi metodi didattici adottati e soprattutto la centralità del testo è
fondamentale, in quanto esso si adatta sia all’insegnamento della letteratura latina sia italiana e
rappresenta la mia personale modalità di approccio allo studio dell’autore, analitico ed ermeneutico.
10. ASPETTI METACOGNITIVI DELL’ATTIVITÀ SVOLTA
La scelta d’impostare l’intervento didattico utilizzando una varietà di metodi didattici è inizialmente stata
motivata da un interesse personale e in un secondo momento da qualche assaggio di letture teoriche13, per
cui ho avuto modo di valutare la loro validità e spendibilità. Nel corso dell’esperienza maturata, ho ben
compreso che non esiste il “modello perfetto” che l’insegnante deve mettere in atto a discapito degli altri,
bensì al contrario l’insegnante dovrebbe alternare differenti modelli didattici a seconda degli allievi che
ha davanti, a seconda dei contenuti che vuole insegnare, ed a seconda degli obiettivi che ha. Così, ad
esempio, se si vogliono insegnare concetti molto teorici e formalizzati, la lezione (frontale o dialogata) è
un metodo molto buono, mentre se si vuol far esercitare gli allievi nella risoluzione di problemi occorre
“allenarli” ad approcciarsi a situazioni problematiche aperte mediante il metodo del problem solving,
oppure ancora se si vogliono far acquisire agli allievi delle abilità pratiche è chiaro che il modello
dell’apprendistato appare essere il migliore. In ogni caso, nell’adottare un modello didattico piuttosto che
un altro, è anche fondamentale tenere d’occhio l’età degli allievi, in quanto allievi troppo giovani
13 Tra i testi da me consultati: M. Girotto-Bevilacqua, G. Proverbio, Insegnare letteratura. Analisi di testi latini e greci, SEI, Torino, 1990; S. Fish, C’è un testo in questa classe?, Torino, Einaudi, 1988; D. Puglia, Percorsi della letteratura latina. Per
una didattica sostenibile, Carocci, Roma, 2000; A. Piva, Il sistema latino, Torino, 1979.
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potrebbero non possedere ancora le competenze sociali e la maturità necessaria per poter apprendere
tramite il cooperative learning oppure l’attuazione di progetti pratici; in poche parole, man mano che i
giovani studenti crescono in età, l’insegnante dovrebbe teoricamente passare da modelli didattici più
centrati su se stesso verso modelli didattici più centrati sull’attività diretta degli allievi, dove l’insegnante
funge soltanto da mediatore e consulente.
Entro una didattica orientata a problematizzare i contenuti, assume rilievo la pianificazione dettagliata e
flessibile; a livello di insegnamento esplicito sono centrali il richiamo a conoscenze o abilità preliminari,
la chiarezza della presentazione, la retroazione correttiva e il rafforzamento. Il corretto uso delle
potenzialità formative della domanda è fondamentale: si intende, infatti, suscitare l’interesse degli allievi
attraverso percorsi basati sull’analisi di fonti e documenti. Il livello di interazione tra docente e allievi
costituisce un segnale dell’efficacia di tale impostazione. La scelta mirata e coinvolgente delle domande
rivolte alla classe può valorizzare le potenzialità di quella che è stata definita la “deliziosa inceertezza” e,
nello stesso tempo, ricomporla in una proposta di senso, che acquisisce significato in quanto nasce dal
confronto e dalla riflessione argomentata14.
L’impostazione didattica basata sulla dialettica domande-risposte, sulla metacognizione e sulla riflessione
problematica relativa ai contenuti, nel tentativo di costruire possibili percorsi di conoscenza, mi ha indotto
a conferire rilievo al costante confronto con la classe, al fine di sollecitare non un generico interesse, ma
un’effettiva partecipazione. Incentivando il dialogo, sono anche state indagate e sollecitate le modalità di
ragionamento impiegate dagli allievi: ponendoli di fronte ad una situazione “problematica” da risolvere,
ho cercato di recuperare le conoscenze che già possedevano e di farli riflettere sulle modalità di
ragionamento impiegate. Per far ciò ho dovuto evidentemente adattare il mio progetto alla realtà effettiva:
pur essendo in parte già state ipotizzate domande mirate ad incentivare la dialettica domande-risposte, ho
dovuto considerare le caratteristiche degli allievi e far fronte al tempo che rimaneva a disposizione. Il
modello didattico prevalentemente conosciuto dagli allievi, consisteva infatti nella formulazione di
domande a cui rispondere singolarmente, secondo un flusso unidirezionale. Le strategie proposte, hanno
favorito nuovo stimoli non solo al passaggio da un’interazione unilaterale ad una cooperativa, ma anche
alla cocostruzione di significati (costruzione comune di significati) tramite produzione di qualcosa di
nuovo attraverso l’interazione tra gli studenti. Più in generale tale approccio ha garantito la centralità
dello studente e il dialogo reciproco con una progressiva acquisizione di responsabilità e autonomia15.
A tutti gli allievi è stato chiesto di esprimere liberamente il proprio pensiero, anche laddove vi fossero
incertezze: solo attraverso l’apporto di elementi nuovi, per mezzo di una discussione condivisa (in cui non
devono mancare obiezioni, anche da parte del docente per non generalizzare, ma problematizzare), ho
cercato di dimostrare che è possibile creare “sapere”. Ho basato la comunicazione sulla chiarezza
14 C. Laneve, op.cit., pp. 117 sg. 15 L. Fischer, Sociologia della scuola, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 272-275.
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espressiva – preoccupandomi di verificarne l’adeguatezza – sull’esplicitazione della scansione del
percorso, sul frequente riferimento alle precognizioni e sulla verifica in itinere dell’apprendimento.
Lavorare sul testo è sicuramente importante al fine di ottimizzare i tempi, sia nello studio della letteratura,
che in quello della lingua. Ricavare i concetti oppure, in campo linguistico, le regole sintattiche, a partire
dal testo, consente, infatti, di risparmiare tempo e di motivare gli studenti, che entrano subito in contatto
con la personalità dell’autore. Lavorando per induzione, anziché per deduzione, si evita di realizzare
robusti apparati teorici, che spesso annoiano gli alunni, e che devono poi essere calati nella concretezza
del testo, con il risultato di lavorare il doppio, e di sacrificare, per mancanza di tempo, la lettura dei passi
d’autore. Ritengo inoltre che l’intertestualità abbia un effetto positivo sulla motivazione degli alunni, e ne
sviluppi l’elasticità mentale. Il confronto tra i due testi di Lucrezio e Tucidide, appartenenti a letterature
differenti, ha poi il vantaggio di abituare gli alunni a non considerare le materie scolastiche come
compartimenti stagni. I tempi necessari per la realizzazione dei confronti, invece, possono non essere
brevi, ed è per questo che credo nell’utilità di fare un uso significativo di questa metodologia didattica,
ma limitando il confronto a pochi testi, oppure di breve estensione.
L’utilizzo di mappe concettuali mi ha inoltre permesso di mettere in comune e costruire in modo sempre
più specifico ed analitico la conoscenza attraverso la discussione in classe, laddove, seguendo le
indicazioni della Pontecorvo16, si crea una modalità di tipo oppositivo-argomentativo apportando elementi
nuovi e problematizzando: considerata la discussione un dibattito, si è cercato di rendere tale opposizione
produttiva, per creare processi cognitivi che permettono di sviluppare non solo conoscenze pertinenti nei
singoli, ma anche una conoscenza condivisa17. La discussione, quindi, è strumento di maturazione e di
apprendimento se l’insegnante “accetta/utilizza, con il contributo, anche la prospettiva che l’allievo porta
nel compito”18.
Lavorare in gruppo ha aiutato i ragazzi ad interagire positivamente con i compagni, ad acquisire un
metodo di lavoro autonomo e a vivere l’apprendimento in modo più sereno, come esperienza socialmente
condivisa. C’è però un ulteriore vantaggio che è derivato direttamente dall’uso di questa metodologia
didattica e che è emerso dalle parole di uno studente al termine della prima attività: la possibilità per gli
alunni di conoscere meglio alcuni compagni e rivalutarne l’immagine che si erano costruiti di loro.
In ultima analisi, richiamando i concetti espressi inizialmente, l’esperienza mi ha permesso di
sperimentare la validità dello studio dei classici nella scuola, anche in quegli indirizzi, come quello in
questione, in cui i discenti sembrano più orientati verso le materie scientifiche: la “chiave di
frequentazione familiare tra i ragazzi e i classici”19 può essere il ruolo di mediatore del docente, che
diventa colui che veicola, rende accessibile un “messaggio dell’antichità”20, conferendogli valore sempre
16 Cfr. C. Pontecorvo, A.M. Ajello, C. Zucchermaglio, Discutendo si impara, Carocci, 2004. 17 È la cosiddetta “co-costruzione” del ragionamento e della conoscenza. Cfr. C. Pontecorvo, A.M. Ajello, C. Zucchermaglio, op. cit., p. 79 e segg. 18 Cfr. C. Pontecorvo, A.M. Ajello, C. Zucchermaglio, op. cit., p. 90. 19 E. Piva, op.cit., p. 127 20 Ibidem
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attuale, andando a recuperare quelle che sono le radici della cultura contemporanea, per far “comprendere
come si sono venuti a costruire i valori letterari ed espressivi, le dinamiche del gusto, della mentalità e
dell’immaginario artistico europeo”. Inoltre “lo studio delle lingue classiche è un ottimo banco di prova
per acquisire competenze linguistiche, abitudine alla precisione, attenzione alle strutture profonde del
linguaggio e sensibilità d’interpretazione”21. Occore tenere presente che è alta la percentuale degli
adolescenti che arrivano al latino già gravidi di paura, che lo rifiutano in partenza, vittime di pregiudizi
spesso tramandati da compagni più grandi se non dall’ambiente familiare. Secondo una recente ricerca22,
gli allievi considerano le discipline classiche, in genere, assai difficili, anche se molti di loro ne
intravedono con chiarezza l’interesse, legandolo alla ricerca delle origini della nostra civiltà. Eppure, pr
molti studenti il latino è completamente inutile. Penso allora che proprio alternare metodologie didattiche
differenti sia fondamentale per coinvolgere i ragazzi nel processo di apprendimento. Occorre creare un
clima “positivo”, tale da catturare l’interesse dei ragazzi e da accrescere il loro senso di efficacia.
Il mio impegno professionale, a partire da queste premesse, consisterà dunque in un percorso di ulteriore
perfezionamento della padronanza dell’insegnamento del latino che mi consenta di trasmettere ai miei
allievi non soltanto le giuste motivazioni allo studio della materia ma anche e soprattutto quello slancio di
curiosità intellettiva che permette di entrare in confidenza con il fascino del mondo antico.
21 G.F. Gianotti, La lettura dei classici a scuola, in “Scuola viva” 3, 1998 22 L. Scarpa, I giovani e il latino: una riflessione tra didattica e sociologia, “Civiltà dei Licei”, VII, 3-4