L’arcivescovo di Baghdad: «Aiutateci a vincere la paura» · hanno premiato quelli che si ......

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PRIMO PIANOTOSCANA OGGI15 marzo 20092

DI RENATO BURIGANA

l fondamentalismo, ognifondamentalismo non è soloun problema politico, ma dicultura. Il nostro compito è

quello di aiutare tutti i giovani a crescere,ad aprirsi al mondo». Sono queste le

parole che l’arcivescovolatino di Baghdad, JeanBenjamin Sleiman, usaper rivolgere da Fiesole unaccorato appello per lapace e lo sviluppo del suoIraq. Ospite dellaFondazione GiovanniPaolo II, ha incontrato ilpresidente monsignorLuciano Giovannetti,vescovo di Fiesole, padreRodolfo Cetoloni, vescovodi Chiusi-Pienza-Montepulciano, e ildirettore Angiolo Rossi.Durante la sua visita èstato messo a punto unpiano di intervento dellaFondazione per costruire,nella sua diocesi, uncentro polivalente per igiovani.Sleiman, vescovo deilatini, originario delLibano, carmelitanoscalzo, 63 anni, ha vissutoa lungo in Italia e aFirenze, conosce la linguae si esprime conprecisione e con forza,chiedendo un aiutoconcreto per i cristiani

iracheni, «soprattutto a superare lapaura, che fa scappare i cristiani e cherallenta lo sviluppo».Qual è la situazione oggi in Iraq?«La situazione è relativamente calma, c’èuna riduzione della violenza, degliattentati. Questo clima nuovo dà quasiuna sensazione di benessere, e questogiova a tutti. Spero che a breve iproblemi politici, che sono ancora tanti,possano essere risolti».Si avverte il senso dello Stato?«Lo Stato sta risorgendo, anche se nelpassato recente sono stati fatti tantierrori. Ma purtroppo sono nati molti“staterelli”. L’Iraq non ha un presidentedel Parlamento, quello che c’era è statocostretto a dimettersi. Quindi ilParlamento ha difficoltà a lavorare, peresempio non può votare il bilancio dellostato. Il Governo funziona, ma senza ilcontrollo del Parlamento».Qualcuno avanza anche l’ipotesi, peraiutare il processo di pace, di dividerel’Iraq in tre stati?«Non è una buona idea. Dividere l’Iraqin tre, potrebbe solo favorire una guerrafra questi tre ipotetici stati. In Medio

Oriente è difficile già oggi trovare unafrontiera senza conflitto. E poi le elezionihanno premiato quelli che sioppongono a questo disegno. In Iraq c’èuna forte coscienza che si oppone aquesto disegno».Dietro alle truppe americane sonoarrivate anche molte setteprotestanti.«Sì, e non hanno fatto nulla di buono.Sono arrivate al seguito dell’esercito eavevano la voglie di cambiare tutto esubito. Hanno iniziato con i musulmani,e non ci sono riusciti. Poi hanno provatocon i cristiani, e anche lì hanno fallito.Se il loro intento era di far crescere ilpaese, potevano raccordarsi con la chiesacristiana che è un patrimonio dell’Iraq. Qual è invece la situazione deicristiani?«Sotto la dittatura di Saddam i cristianinon vivevano male, anche se è beneprecisare che in quegli anni venivasistematicamente uccisa l’anima. Certonon si moriva per la strada, non c’eraattentati. Si viveva nella paura di essereliberi. I cristiani erano circa un milione,oggi sono la metà. Cinquecentomilacristiani hanno lasciato il Paese, e nonper andare a stare meglio. Sono fuggitiper paura, e ora aspettano in Libano, inSiria e in Giordania lo status di rifugiati».La sua diocesi coincide con i confininazionali. Qual è la situazione dellechiese e quali sono le emergenze?«Nella sola Baghdad ci sono 60 chiese, lametà cono caldee. Noi latini ne abbiamoquattro. A queste vanno aggiunte quelledei monasteri e dei conventi. Anche sevorrei dire che il mio clero è compostoesclusivamente da religiosi. In questoultimo periodo i cristiani di tutte ledenominazioni collaborano molto fraloro. C’è un forte aiuto reciproco pertentare di superare le difficoltà e arrestarel’esodo dei cristiani. Nello scorso mesedi febbraio c’è stato un incontro fra tutti icristiani e, per la prima volta, abbiamoparlato a una sola voce. L’emergenzaprincipale riguarda i giovani e la loroeducazione».Nell’incontro con la FondazioneGiovanni Paolo II si è parlato dicostruire a Baghdad un centroproprio per i giovani.«I giovani sono la ricchezza dell’Iraq.Purtroppo non hanno mai vissuto laloro adolescenza, perché si pensava chedovessero passare dalla tenera età all’etàadulta senza vivere la loro crescita. Noicrediamo molto invece che siaimportante aiutarli a crescere e perquesto ho iniziato a costruire unoratorio sullo stile di quelli di donBosco. Certo adattandolo alla cultura ealla storia irachena. In questi ultimi annici sono alcuni giovani che si stannoimpegnando nella Caritas, che stannocrescendo e con loro e per loro vogliamo

andare avanti su questa strada. Ènecessario aiutare le persone a costruirsiuna mentalità aperta. Molti ignorano laricchezza culturale dell’Irak, le suepotenzialità».Pensa a un centro polivalente apertoa tutti i giovani di Baghdad?«Un centro dove i giovani possano avereuna formazione religiosa, culturale esociale. Aperto a tutti i giovani, ma conun progetto chiaro. Intorno alla chiesalatina ruotano tutte le altre chiese. Percui è più facile. Penso a un centro con lapossibilità si svolgere attività sportive,ricreative. Vorrei anche un cinema. Igiovani iracheni sono molto bravi. Illoro problema, prima durante ladittatura e ancora oggi, è quello di nonuscire mai dal paese. Non conoscono larealtà europea, non frequentano i lorocoetanei di altri paesi».Un centro così pone anche problemidi sicurezza?«Dobbiamo fare una attenta vigilanzainterna per evitare infiltrazioni di bande.Questo comunque succedeva anche aitempi di Saddam. D’altra parte lo stessoproblema della sicurezza si pone ancheper le Messe. Le chiese sono spesso inposti isolati, le auto vengonoparcheggiate lontano. C’è anche chi nonva alla Messa domenicale per paura degliattentati. Quando si fa festa, vengonotutti. Vincono la paura. In Iraq c’èbisogno di festa, di gioia, di incontrarsi».Le diocesi toscane, la FondazioneGiovanni Paolo II cosa possono fareconcretamente per la chiesairachena?«Ogni scambio è per noi unincoraggiamento. Le vostre chiesepossono incoraggiare le chiese dell’Iraq ariprendere il loro ruolo. Gli scambi,penso in particolare ai giovani, sonomolto importanti per noi. E ciadoperiamo perché il Governo agevoliqueste visite e questi scambi. AllaFondazione Giovanni Paolo II vorrei diregrazie per l’aiuto che intende darci nellacostruzione di questo centro per igiovani. Il dialogo per noi èfondamentale, se non si dialoga e si restasoli prevale l’integralismo e non si cresce.Vorrei anche dire che i vostri aiutieconomici mettono in crisi la nostragente. Mi spiego. Ciascuno di noi si sentequasi obbligato a fare la sua parte.Quindi non pensate che quello che voifate sia elemosina. È un aiuto stimolanteper la nostra gente, perché accrescequella voglia di libertà che c’è».Quando lo salutiamo le ultime sueparole sono un invito: «Venite presto aBaghdad, l’antica Babilonia (e il vescovoSleiman usa spesso questo nome) perchéè sicura e soprattutto venite a incontrare icristiani d’oriente. Può essere un aiutoimportante a rompere l’isolamento, aridare speranza».

I«Ospite di Fiesolee della FondazioneGiovanni Paolo II,monsignor JeanBenjamin Sleimanfa appello alleChiese toscane,anche per unCentro giovani

L’arcivescovo di Baghdad:«Aiutateci a vincere la paura»

L’arcivescovolatino diBaghdad,monsignorJeanBenjaminSleiman

«Noi, tre pretibloccati per oreal confine di Gaza»

Valico di Heretz (confine tra Israelee la striscia di Gaza), 8 marzo 2009,

seconda domenica di Quaresima

permessi richiesti con largo anticipo, lacorsia preferenziale del Patriarcato

Latino, l’auto diplomatica e «le amiciziegiuste» contattate fino all’ultimomomento non sono bastate per farcientrare nella Striscia di Gaza. Quattro oredel nostro attendere invano ad Heretznon sono comunque nulla rispettoall’attesa di decenni di un milione emezzo di persone per i rifornimentisufficenti a sopravvivere ad un embargoche continua ancora intatto. Ma nonsiamo i soli adessere statirespinti.Davanti allabellasoldatessa chedistribuisce atutti consoddisfazionelo stessorifiuto ad unsospiratoingresso nellaprigione diGaza, siamocomunque inbuona compagnia: dai funzionarisvizzeri della Croce Rossa internazionaleai membri di un’equipe di tecnicidell’Unione Europea, ai dottori svedesiche seguono progetti per la salutementale dei bambini. La fila dei rifiutatiad Heretz annovera nel tempo figure benpiù autorevoli di noi, dal RelatoreSpeciale dell’ONU Falk al PatriarcaEmerito di Gerusalemme e al NunzioApostolico, dalla delegazione degli Entilocali per la pace con Flavio Lotti el’intero staff italiano la scorsa settimanaai membri di Medici senza frontiere chestamattina sperano che l’assolutaarbitrarieta’ dei responsabili dell’ingressonella prigione di Gaza giochi a lorofavore. Non conta chi tu sei. Tutti fuori.Non c’è niente da vedere nella Strisciadevastata da venti giorni di feroce assaltodal cielo, dalla terra e dal mare. E noiingenui a pretendere la motivazione delrifiuto: ad ogni cambio di guardiacontinuavamo a domandare se fossearrivato il permesso ma la risposta erasempre uguale. La sicurezza. Ecco ilmotivo per cui oggi non possiamoentrare a Gaza. La sicurezza: il grande,assoluto motivo che giustifica da anniogni azione di Israele, il grande dio a cuisacrificare tutto. «La sicurezza – ciricordava qualche giorno fa un pretevicino a Ramallah – è la prima religionein Terra santa, l’ebraismo, ilcristianesimo e l’islam vengono subitodopo». Per motivi di sicurezza oggi trepreti italiani non possono andare acelebrare la Messa nella parrocchia diGaza. In effetti, la preghiera può esseredavvero pericolosa, perché Dio non hamai sopportato i soprusi dei violenti el’arroganza degli oppressori, e «harovesciato i potenti dai troni e innnalzatogli umili». Sotto il sole del valico diHeretz, ad ogni ora che passa si fa piùchiara la percezione che nessuna autoritàal mondo, né quelle consolari né quelleecclesiastiche, possono illudersi di dareindicazioni alla suprema autorità chedifende la sicurezza di Israele. Solo lavoce calda e tristissima del parroco diGaza ci benedice da quel suo cellulareche durante l’assedio di Natale inviavaogni giorno ai suoi parrocchianidisperati, un versetto del Vangelo viasms. «La comunità cristiana di Gaza ètriste oggi – ci dice abouna Manawel –perché avevamo preparato per voi unagrande festa. Vi aspettavamo percelebrare l’Eucarestia in comunione conle chiese in Italia e per un bel pranzo, manon ci rassegnamo all’ennesima prova.Continuiamo a sperare in Dio!». Negliuomini, in effetti, è molto più difficileriporre la nostra speranza... Sembraricordarcelo l’enorme dirigibile militareche dal cielo spia ogni movimento diogni palestinese di Gaza, strumentosottile per quella che viene ritenuta dalmondo intero una lotta senza quartierecontro tutte le forme di terrorismo che inogni istante agiscono con l’obiettivo didistruggere lo stato d’Israele. E mentre ilvento, irriverente forza della natura cheIsraele non è ancora riuscito acontrollare, porta fino a noi il suonodelle campane a festa della chiesa diGaza, non ci resta che risalire nellamacchina diplomatica per far ritorno aGerusalemme.

Don Mario CornioliDon Nandino Capovilla

Don Walter Fiocchi

I

CRISTIANIIN IRAQ

M la TESTIMONIANZA

I sacerdoti,di cui unotoscano, eranoin Terra Santa eavevano chiestodi entrarenella Strisciaper celebrareuna Messa