Post on 30-Nov-2021
Giuseppe Siri
(1906-1989)
Alfredo Ottaviani
(1890-1979)
L’ala critica
del Concilio Vaticano II
Giuseppe Siri nasce a Genova il 20 maggio 1906.
Dopo aver frequentato il Seminario diocesano, nel
1926 diventa alunno della Pontificia Università
Gregoriana e del Pontificio Seminario Lombardo in
Roma.
Ordinato prete nel 1928, l’anno seguente consegue la
laurea in Sacra Teologia.
Rientrato a Genova, diventa cappellano nella
parrocchia di S. Zita e presso l’Opera “Giosuè
Signori”.
Dal 1931 al 1946 insegna teologia e sacra eloquenza
nel Seminario di Genova, e religione presso i Licei
“D’Oria” e “Mazzini”.
In questi anni svolge anche un’intensa attività di
conferenziere e predicatore, collabora con l’Azione
Cattolica, è vice-assistente della FUCI genovese,
docente nella Scuola di Apostolato per la GIAC e
relatore alle “Settimane di Camaldoli”.
Fra le pubblicazioni di quegli anni i due volumi “La
Rivelazione” (1941) e “La Chiesa” (1938) del “Corso
di teologia per laici” e lo studio “La ricostruzione
della vita sociale” (1944).
L’11 marzo 1944 viene eletto da papa Pio
XII vescovo ausiliare del card. Pietro
Boetto e, dopo la morte di questi nel 1946,
diventa
arcivescovo di Genova.
Inizia subito la sua prima visita pastorale.
Nello stesso anno diventa Consulente
dell’UCID (Unione Cristiana Imprenditori
e Dirigenti.
Nel 1947 erige il Centro diocesano per gli
Studi religiosi “Didascaleion”.
Elevato alla porpora cardinalizia nel
concistoro del 1953, prende parte al
Conclave che elegge Giovanni XXIII, il
quale l’anno dopo lo nomina Presidente
della C.E.I.
Gli incarichi nazionali e all’estero non
distolgono Siri dall’attenzione per la sua
diocesi. Dal 1953 al 1960 il cardinale
compie la 2ª visita pastorale diocesana e
nel 1962 inizia la 3ª. Nel 1956 tiene il
Sinodo diocesano.
Dal 1960 è membro della Commissione preparatoria
centrale del Vaticano II. Nel 1962 Giovanni XXIII lo
conferma Presidente della CEI.
Il nuovo papa Paolo VI lo nomina membro del
Consiglio di Presidenza del Concilio.
Durante le 4 sessioni del Concilio interviene 11 volte
nelle Congregazioni generali.
Nel 1965 lascia la presidenza della CEI.
Nel 1968 è fra i componenti della Commissione per
la revisione del Codice di Diritto Canonico.
Negli anni ‘70 compie alcuni viaggi all’estero:
Senegal (1973), Polonia (1973), Unione Sovietica
(1974), Turchia (1975), Venezuela (1976), Austria e
Ungheria (1977).
Nel 1978 partecipa ai conclavi che eleggono
Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.
Continua le visite all’estero: Irlanda (1979),
Germania Orientale e Cecoslovacchia (1980), Francia
(1981 e 1984), Polonia (1985) e Spagna (1986).
Nel 1985 accoglie Giovanni Paolo II in visita a
Genova. Nel 1987 sono accolte le sue dimissioni.
Muore il 2 maggio 1989.
«Sono arrivato a Roma stasera alle 16,41.
Vengo con poche idee semplici. In questo Concilio temo
si sentirà – non in modo venefico – il peso di una
abitudine attivistica, la quale fa pensare poco, studiare
meno, gettare in una zona oscura i grandi problemi
dell’ortodossia e della verità.
Il pastoralismo pare una necessità, mentre è, prima che
un metodo deteriore, una posizione mentale erronea. In
secondo luogo la croce – se così si può dire – verrà come
di solito dalle aree francesi-tedesche e rispettivo
sottobosco, perché non hanno mai eliminato del tutto la
pressione protestantica e la Prammativa Sanzione.
Bravissima gente, ma non sanno di essere i portatori di
una storia sbagliata. Credo pertanto che la parte degli
italiani – dei latini – con quella della Curia debba essere
dirimente, sia per colmare dei vuoti, sia per correggere
errori di rotta. La calma romana servirà.
Mi sono subito recato in ufficio e ho parlato a lungo con
mons. Castelli. Egli teme molta pressione contro la
Curia. Ho detto: si offra il consulto rato a molti esteri.
Quanto al resto si interroghi l’esperienza: è quella che
conta, che indica e che convince» (10.10.1962)
Disposizioni dell’animo nell’iniziare il Concilio
«Non c’era troppa gente, probabilmente perché con molto zelo
avevano fatto molti blocchi stradali. La cerimonia è stata
solenne veramente e credo abbia impressionato assai.
Entrando in San Pietro mi pareva di dover fare una grande
preparazione spirituale, farmi piccolo davanti a Dio, umiliarmi
peccatore, essere come un bambino, avere carità per tutti ad
onta dello zelo […]. Ho guardato poco e nulla, perché mi
pareva essere mio dovere pregare assai […]. Ho capito poco
del discorso del Papa: in quel poco ho subito avuto modo di
fare grande atto di obbedienza mentale. Credo ci sia stata
abbondante disorganizzazione a quel che ho visto e a quello
che ho sentito dai miei segretari […].
Taluni non hanno un’idea molto elevata di un concilio
ecumenico e questo mi fa pena. Noi non dobbiamo guardare al
mondo per offrirgli qualche emozione gradita, ma solo a
Nostro Signore. Speriamo che la solenne esposizione del Santo
Vangelo fatta durante la cerimonia abbia suggerito appropriati
pensieri […].
Questa sera ho analizzato bene il discorso del Papa per poter
uniformare il mio modo di pensare a quello del Vicario di
Cristo. Di due punti ho timore qualcuno possa usare male.
Forse è questo pensiero che mi impedisce di dormire per del
tempo» (11.10.1962)
Il giorno dell’apertura e il discorso del Papa
«Il Concilio ha rivelato:
-) che si va delineando una conduzione vaga della
Chiesa, rappresentata dal gruppo di lingua tedesca e
affini o vicini. Ciò aliquatenus organizzato. Ciò è un
tentativo parzialissimo e del quale non si può affermare
con certezza che qualcuno l’abbia in mente come un
piano chiaro e voluto, ma è nei fatti;
-) che ci sono rabbie contro la ragione, la teologia e il
diritto. Si vede il fine del kerigmatismo, che è spesso
quello di eliminare la Tradizione, Ecclesia, ecc. Ciò è
più inconscio che conscio, ma è aiutato dalla mancanza
di intuizione di coloro che vogliono assolutamente
adattare tutto il più possibile ai protestanti, agli
ortodossi, ecc.;
-) che in moltissimi prevale la letteratura sulla teologia.
Molte dissertazioni belle e anche vere appartengono
alle considerazioni letterarie sul dogma, non per sé al
medesimo;
-) che si parla di una Theologia nova e che il concetto
di questa, nonché lo scopo, appaiono assai oscuri e
forse pericolosi. Il termine Theologia nova è stato
coniato da un vescovo belga in Concilio» (07.12.1962)
Giudizi sulla prima sessione del Concilio
«Questa sessione in cui io per ragioni di salute sto piuttosto ai margini mi pare avere
alcune caratteristiche. Anzitutto l’Episcopato italiano non è unito come lo scorso anno:
alcuni sono entrati nei punti di vista dei transalpini e non ne fanno mistero.
In secondo luogo è abbastanza probabile che in sostanza il Papa aiuti o lasci fare. La
iniziativa dei 20 (o 22) cardinali che gli hanno scritto contro la collegialità è stata da
lui criticata con il cardinale Traglia […]. Insomma si sente una mano e una volontà che
entra a scegliere qualcosa in Concilio.
Altra caratteristica è la fretta. Stiamo per finire le votazioni sul punto più controverso
in Concilio. Quasi tutti, forse tutti, hanno voglia di tornare a casa: si dice che il Papa
voglia ora la fine del concilio e tutto rende più probabile sia proprio così […].
La mano di Dio mi appare evidente, perché il capo III De Ecclesia, nonostante la
prevalenza dei transalpini e l’imperio dei loro periti, forse contro voglia di taluni di
loro è iuxta veritatem. Dice qua e là, ma, mettendo insieme le parti distaccate diventa
corretto ed equilibrato tutto e il primato del Papa è salvo. Quelli che hanno creduto di
aver messo dei limiti, hanno un pugno di mosche in mano e questo è accaduto proprio
imperando quelle forze che in me e in molti avevano suscitato tante ansietà.
Ne concludo: lasciate fare, è Dio che guida. Appare evidente la posizione preminente
in campo dottrinale che ha mons. Carlo Colombo presso il Papa. Il prelato è tutto con i
transalpini e non ha mai manifestato interesse ad avere contatti con noi. Finora tutto si
è aggiustato sufficientemente: credo sarà ancora così» (27.09.1964)
Sui rapporti tra papato ed episcopato
«Il giorno 6 [ottobre] sono stato dal Papa.
La chiamata di udienza l’ho avuta solo poche
ore prima. Il Papa è stato molto buono con me.
Si è interessato della mia salute e mi ha donato
una medaglia.
Si è parlato di Genova, gli ho detto del
seminario nuovo e delle nuove parrocchie e
chiese. Soprattutto si è parlato del Concilio.
Ho capito che farà ritoccare gli schemi De
Ecclesia, De Revelatione e che non gli piace
quello sulla libertà religiosa.
Mi ha chiesto se finire. Ho risposto: se
possibile subito perché l’aria del Concilio fa
male. Ha pienamente annuito.
Il Papa è veramente informato e impressionato
di quello che succede attorno e fuori del
Concilio. Mi ha chiesto che cosa suggerivo.
“Un messaggio al clero – ho risposto – ma non
intellettualistico, sibbene concreto e in cui si
parli di umiltà, di obbedienza soprattutto e
cose del genere”.
La cosa è piaciuta e forse si farà. Mi confidava
che in Francia non pochi sacerdoti non
vogliono più obbedire ai propri vescovi»
(09.10.1964)
Timori di deragliamento
del Concilio
«La stanca del concilio è sempre più
evidente e meglio appare come esso sia
in mano alle sottocommissioni e alla
fisionomia delle medesime. Ciò è tanto
vero che si è sparsa notizia stamane aver
il Papa nominata una commissione
apposita e averci messo dentro Lefebvre,
ecc. Martedì il Papa mi aveva detto
chiaro che quello schema non gli andava.
E aveva ragione. Ma tutto dipende dagli
uomini che sono nelle commissioni e dal
quanto siano o meno succubi dei periti.
La storia di questo concilio è in parte
notevole la storia dei periti perché si è
rivelata una grande anemia di conoscenza
teologica sia nell’episcopato che nel
Sacro Collegio. Padri solenni sono alla
mercé di qualche perito, di qualche
professorello che essi si sono tirati dietro.
Dopo ci sarà da ripulire molto nelle
scuole, nei seminari e non solo lì»
(12.10.1964)
Critiche ai periti teologi del Concilio
«Mi sto preoccupando di
organizzare la ripresa cattolica
dopo il Concilio, cercando di
creare un fronte, il quale sia molto
netto contro i difetti rivelatisi in
Concilio e dal Concilio. Dio ha
permesso che tutte le rughe
venissero fuori: sia lodato! […].
Due punti cardinali nei quali deve
orientarsi l’azione sono gli Ordini
religiosi e le università,
cominciando da quelle romane.
Gli Ordini religiosi questa volta
hanno risposto sì e no. Migliori di
tutti, a mio umile avviso, si sono
rivelati i Minori, deboli nel
disorientamento dei membri i
Gesuiti. Le difficoltà al Concilio
sono venute da università e gruppi
intellettuali. È su quella linea che
bisogna portare la difesa»
(20.10.1964)
Preoccupazioni per il post-concilio
«Mi si riferisce che stamane il Papa ha
deciso di dare ai poveri la sua tiara,
quella donatagli dai milanesi.
Mi auguro sinceramente che questo gesto
venga ben interpretato dalla pubblica
opinione e che non se ne traggano dagli
esagerati, conseguenze improprie e
demagogiche.
Speriamo anche che i milanesi ci
rimangano male per avergliela regalata,
questa tiara.
Ora qualcuno dirà che noi dovremmo
regalare qualche nostra mitra! Ma chi la
compra, se non un altro vescovo, per
mettersela lui!
In genere le nostre mitre non hanno perle.
Io ne ho una con pietre preziose vere, ma
prima di darla penso che potrei dare
dell’altro. Se fosse necessario, il cuore
attaccato proprio non ce l’ho e posso dare
tutto» (13.11.1964)
Sulla povertà della Chiesa
«Il protrarsi del Concilio logora
qualcosa, non soltanto le finanze della
Santa Sede. E temo che quel logorio
sia voluto da taluni ambienti. È un
errore, forse grave e che potrebbe
domandare sacrifici alla Chiesa. Ho
detto chiaro che “l’aria di Concilio”
doveva finire, perché è aria che ab
extrinseco si è avvelenata […].
Taluni girano per Roma e fanno
conferenze per ogni dove con una
libertà di iniziativa e di tono, che non
può non suscitare almeno qualche
sorpresa […]. Ormai il Concilio è
pubblico e taluni forse non si
sottraggono alla tentazione di farsi
sentire più fuori che dentro.
Si sente la umanità della Chiesa, con il
peso grave di questa umanità: il senso
della fede fa incrollabilmente credere
nel piano divino e nella divina
assistenza, sicuri ed efficaci ad onta di
tutti i difetti degli uomini. Perché i
difetti sono saltati fuori tutti»
(13.11.1964)
Ancora giudizi sul Concilio
«Ieri è scoppiata la bomba. Il
segretario generale nomine Superioris
ha annunciato le modifiche apportate
al capo III De Ecclesia e spiegate in
una Nota, che sarebbe stata distribuita.
Tutto a posto! Lo Spirito Santo è
entrato in Concilio. Subito è stata
maretta negli ultramontani. Essi hanno
fatto un’adunanza nel pomeriggio e si
temeva una reazione […]. Così il
crinale del Concilio è stato passato: il
Papa ha puntato i piedi e solo lui
poteva farlo. Dio è con la sua Chiesa.
Ora si comincia a vedere chiaro e la
portata del voto di stamane è da
reputarsi storica» (17.11.1964)
«Se la Chiesa non fosse divina questo
Concilio l’avrebbe seppellita. Noi
abbiamo una prova di più. Infatti tutte
le condizioni per far andare male le
cose ci sono state in notevole misura e
non ci sono riuscite. Deo gratias!»
(19.11.1964)
Sulla “nota explicativa praevia”
Alfredo Ottaviani nasce a Roma, nel quartiere di
Trastevere, nel 1890, penultimo di dodici figli. Il padre
fa il fornaio.
Cresciuto in una famiglia molto cattolica, frequenta le
classi primarie presso i Fratelli delle Scuole cristiane,
in quartiere con forte presenza anticlericale
Ottimo studente, è dotato di una memoria prodigiosa.
Semplice, ben fondato sui canoni postridentini, vive
una fede dal tratto devozionale. Rivela fin da giovane
uno spirito intransigente.
Compie gli studi superiori nel seminario romano
dell’Apollinare, retto da mons. Spolverini, sotto la
guida spirituale di mons. Borgia e di p. Pitocchi.
Consegue le lauree in teologia, filosofia e utroque iure,
sviluppando un interesse per le discipline giuridiche.
Stringe amicizie di lungo corso: Pietro Parente,
Domenico Tardini, Francesco Borgongini Duca e
Paolo Marella.
Viene ordinato prete il 18 marzo 1916. Canonico della
basilica di S. Maria in Cosmedin, è destinato
all’insegnamento: tiene il corso di diritto ecclesiastico
presso l’Apollinare e di filosofia al Collegio Urbaniano
di Propaganda Fide.
Alfredo Ottaviani
Nel 1919 fa il suo ingresso nella Curia romana come minutante alla congregazione
di Propaganda Fide. Nel 1921 passa alla Segreteria di Stato.
A queste mansioni affianca l’impegno pastorale rivolto ai giovani del quartiere
Aurelio che frequentano l’Oratorio di S. Pietro. In seguito promuove e sostiene
l’Oasi di S. Rita a Frascati, un istituto che accoglie ed educa bambine indigenti.
In queste mansioni non ufficiali si fa molto apprezzare: pure introdotto nella curia
papale, non dissimula le proprie origini popolari e mostra sempre piena
sottomissione ai superiori.
Nel 1926 è designato rettore del Pontificio Collegio Nepomuceno. Nel 1928 Pio XI
lo nomina sottosegretario della congregazione per gli Affari ecclesiastici
straordinari. Ha modo di seguire da vicino le trattative tra la S. Sede e il regime
fascista per risolvere la “questione romana”. All’indomani della stipula dei Patti
Lateranensi il papa lo promuove sostituto della segreteria di Stato.
Assessore del S. Uffizio dal 1935, nel 1939 trasmette alla Segreteria di Stato grosse
riserve circa il testo su “La difesa della razza” e contribuisce alla stesura del
Decretum del 1940 che condanna la soppressione dei malati psichici in Germania.
Nella Seconda guerra mondiale offre rifugio nel proprio appartamento a ebrei in
fuga dalla persecuzione nazifascista.
Si mostra contrario all’esperienza dei preti-operai promossa dall’arcivescovo di
Parigi Emmanuel Suhard.
Con la fine della guerra, Ottaviani
vigila sulle modalità concrete di
impegno politico dei cattolici,
preoccupato di contrastare l’azione
dei partiti di ispirazione marxista. A
differenza di Montini, che sostiene
un impegno unitario dei cattolici
nella Democrazia Cristiana,
Ottaviani è per la nascita di un
secondo partito cattolico, dove far
confluire l’elettorato minoritario
cattolico più vicino alle sinistre.
Forte anticomunista, svolge un
ruolo di primo piano nell’elaborare
il decreto di scomunica del 1° luglio
1949, benché lo attenui nella sua
attuazione pratica.
Deciso animatori della solidarietà
verso i cattolici di Oltrecortina,
partecipa alla organizzazione di
strutture cattoliche clandestine.
In piena consonanza con Pio XII, nel 1948
viene da lui incaricato di promuovere una
commissione che esamini le materie da
discutere nell’eventualità di una ripresa e
conclusione del Concilio Vaticano I,
progetto poi accantonato dal papa nel 1951.
In questa occasione Ottaviani segnala
l’urgenza di rimediare alla diffusione degli
“errori” che si vanno diffondendo in campo
teologico, morale e sociale, così come
occorre fronteggiare i problemi posti dalla
diffusione del comunismo nonché
considerare le implicazioni poste
dall’impiego delle nuove armi nucleari
nell’eventualità di un nuovo conflitto.
È membro della commissione di studio
istituita per giungere alla proclamazione del
dogma dell’assunzione di Maria (1950).
Presidente Il comitato centrale per l’Anno
Santo 1950. Nel concistoro del 1953 è
creato cardinale e pro-segretario del S.
Uffizio.
Dalla metà degli anni Cinquanta, cresce
l’interventismo di Ottaviani nella politica
italiana. Condanna il processo di apertura
a sinistra che si sta avviando. Non cambia
linea neppure con l’avvento al pontificato
di Giovanni XXIII. Nel 1960 è
protagonista di una clamorosa
contestazione pubblica al presidente della
Repubblica Gronchi per il viaggio in
Unione Sovietica.
L’elezione di Roncalli nel 1958 determina
un ridimensionamento del suo spazio
d’azione.
Nel novembre 1962 Ottaviani è consacrato
vescovo da papa Giovanni XXIII.
Del 1962 è il un Monitum che rileva
“ambiguità” e “gravi errori” nelle opere di
Teilhard de Chardin (1881-1955),
qualificato da Ottaviani più come un
«poeta che fa teologia e talvolta un
panteista».
Come presidente della Commissione
teologica preparatoria, Ottaviani, di
concerto con il gesuita Tromp (già
estensore di alcune encicliche di Pio
XII), progetta un concilio che
solennizzi la linea teologica della Curia
romana.
Il suo progetto di una preparazione
lunga e meticolosa che avrebbe dovuto
concludersi non prima del 1967 si
scontra con la determinazione del papa
a procedere con più celerità.
Già con l’allocuzione dell’11 ottobre
1962, con cui si qualifica il Vaticano II
come “concilio ‘pastorale”, viene
respinta l’ipotesi di sancire nuove
condanne.
Lo schema De Ecclesia, redatto sotto la
presidenza di Ottaviani (soprannominato “il
carabiniere di Dio” per la sua inflessibile
opposizione al comunismo, alla Théologie
Nouvelle e ai “preti operai”), viene aspramente
criticato perché privo di prospettiva cristologica,
freddamente giuridico, completamente chiuso
verso i laici e la collegialità episcopale.
Ottaviani, che in qualità di capo del S. Uffizio
pensava di poter essere il dominus del Concilio,
si trova invece da subito a dover giocare in
difesa: tanto degli schemi preparatori predisposti
dalla Commissione teologica quanto dello stesso
S. Uffizio, sono oggetto di critiche e di richieste
di riforma.
I dibattimenti conciliari mettono in evidenza la
sua impreparazione teologica e culturale, rispetto
alle profonde evoluzioni intervenute nel
cattolicesimo negli ultimi decenni, tanto sul
fronte esegetico quanto su quello liturgico ed
ecumenico. Ancora più tenace è la sua
opposizione al riconoscimento della libertà
religiosa.
Il “carabiniere di Dio”
Anche nel pontificato di Paolo VI, Ottaviani
rimane fedele alla propria linea teologica. Difende
a oltranza le tesi che hanno ispirato il lavoro della
Commissione teologica preparatoria. Soffre per la
costituzione della Commissione teologica
internazionale: la considera un’ulteriore
spogliazione di autorità del S. Uffizio, che nel
1965 viene ridenominato Congregazione per la
Dottrina della fede.
Leader della minoranza conciliare, nel postconcilio
Ottaviani rimarrà uno dei punti di riferimento di
quegli ambienti che si opporranno alla recezione
del Vaticano II, fino a contestare apertamente le
decisioni ufficiali della S. Sede.
Per esempio, giudica il novus ordo liturgico un
allontanamento dalla teologia cattolica della Messa
e perora il mantenimento della liturgia tridentina.
Nel 1972 incoraggia il Lefebvre a istituire un
centro di azione anche a Roma.
Si pronuncia ripetutamente contro il dialogo
ecumenico e contro l’Ostpolitik vaticana. Muore a
Roma nel 1979.
Esponenti del Coetus
Internationalis Patrum
Michael Browne
(1887-1971)
Arcadio María
Larraona Saralegui
(1887-1973)
Marcel Lefebvre
(1905-1991)
Alfredo Ottaviani
(1890-1979)
Eugène Tisserant (1884-1972)
Ernesto Ruffini
(1888-1967)
1) La composizione delle commissioni nelle prime sedute del Concilio
2) l’impostazione del Messale nel senso di una sua traduzione nelle lingue
nazionali: Ottaviani protesta, ma nella congregazione generale del 30 ottobre gli
viene tolta la parola
3) La maggioranza dei Padri respinge lo schema presentato da Ottaviani sulle
“Fonti della Rivelazione”, appoggiato da Siri, Ruffini e Quiroga. Esso sottolinea
che “il dovere di ogni pastore d’anime è di insegnare la verità che rimane sempre e
ovunque immutabile”
4) La maggioranza rifiuta lo schema di Ottaviani su “l’unità della Chiesa”,
giudicato troppo “conservatore”
5) Tra la 1ª e la 2ª sessione viene istituita una commissione per coordinare la
redazione dei nuovi schemi. In essa la maggioranza dei Padri ottiene metà dei
membri rispetto a quelli indicati dalla Curia romana.
I punti di contrasto nella 1ª sessione
1) Si discute sull’opportunità dello schema dedicato alla Vergine Maria:
secondo la maggioranza dei Padri, così come è stato concepito dalla Curia è sarebbe
nocivo per l’ecumenismo. Meglio inglobarlo nello schema sulla Chiesa.
2) Sulla proposta di p. Rahner di ristabilire il diaconato permanente, insorgono
Spellman e Bacci, del Coetus: vi vedono un pericolo per il celibato ecclesiastico e le
vocazioni sacerdotali
3) Alla proposta di Suenens di introdurre l’espressione “popolo di Dio” per designare
la Chiesa, Siri si oppone: la nuova dizione potrebbe compromettere l’idea che sia
necessaria la gerarchia ecclesiastica.
4) Circa il tema della collegialità episcopale, gli esponenti del Coetus temono che si
costituisca una specie di “concilio permanente” con centri decisionali locali staccati
da Roma, compromettendo l’autorità del papa.
5) Paolo VI modifica il regolamento conciliare: chiunque voglia prendere la parola in
aula deve comunicare una sintesi del suo intervento almeno 5 giorni prima al
segretario generale; perché una richiesta sia ammessa occorrono 65 firme di Padri
conciliari (non più 5 come prima): così si riducono gli interventi minoritari.
I punti di contrasto nella 2ª sessione
1) Un vero e proprio scontro si apre sulla questione della libertà religiosa: i cardinali
Cushing di Boston, Ritter di Saint Louis, Meyer di Chicago e Silva Henriquez di
Santiago del Cile appoggiano il progetto redatto dal cardinal Bea: la libertà religiosa
è un diritto naturale dell’uomo. Ottaviani ritiene esagerato affermare chi obbedisce
alla sua coscienza sia “degno di rispetto”; allo stesso modo non accetta che ogni tipo
di religione sia libera di diffondersi. Ruffini accusa il testo di incoraggiare
l’indifferentismo religioso
2) È in questo dibattito che il Coetus sceglie un’azione più incisiva. Il cardinal
Santos, vescovo di Manila, accetta il compito di portavoce del gruppo, che si
organizza in forma più strutturata, con uffici, personale, materiale per la stampa e
riunioni settimanali.
3) Un’altra questione grave riguarda lo schema su “la Chiesa nel mondo” ispirato da
Suenens. Uno dei punti più delicati è quello su “la santità del matrimonio e la
famiglia”: la maggioranza chiede che il documento non parli dell’amore coniugale
solo in funzione della procreazione e si apra un dibattito sulla contraccezione.
Questo suscita la dura reazione del Coetus.
I punti di contrasto nella 3ª sessione
1) Sul tema dell’ateismo, dentro lo schema sui rapporti “Chiesa-mondo”,
nonostante le richieste di molti Padri, non c’è nessuna condanna degli errori
del marxismo, del socialismo e del comunismo. I leader del Coetus redigono
una lettera-petizione dove elencano 10 ragioni per condannare il comunismo.
La lettera ottiene l’appoggio di 450 padri conciliari, ma senza che possa
cambiare la sostanza delle cose.
2) Sulla libertà religiosa il Coetus presenta centinaia di emendamenti che
costringono a modificare il testo dello schema, che però non li soddisfa del
tutto.
3) Quando viene presentato lo schema sulla divina Rivelazione, i membri del
Coetus esprimono riserve per la visione troppo “ecumenica” sui rapporti tra
Scrittura e Tradizione, l’inerranza delle Scritture e la storicità dei Vangeli. Il
Papa riceve numerose proteste e rinvia il testo al quale vengono apportate
alcune modifiche non essenziali.
I punti di contrasto nella 4ª sessione
Già da vescovo-missionario di Dakar (Senegal) non approva
l’idea di Roncalli di convocare un Concilio. Al Concilio
interviene 14 volte, in modo assai critico sull’ecumenismo, la
collegialità e la libertà religiosa. Alla fine e accuserà Paolo VI
di aver stabilito un “nuovo dogma” cioè “la dignità della
persona umana”, che profila il “primato dell’uomo su Dio” e
la “detronizzazione di Cristo”.
Nel 1970 fonda a Roma la sua Fraternità , ma poi ripara a
Econe, in Svizzera, perché teme che i suoi preti possano
essere esposti al vento delle novità conciliari. Paolo VI lo
richiama più volte, alla Fraternità viene revocata
l’autorizzazione, ma Lefebvre ordina alcuni sacerdoti e nel
1976 viene sospeso a divinis.
Montini cerca di ricucire e dieci giorni dopo convoca
Lefebvre a Castelgandolfo. Il colloquio è drammatico, la
rottura totale. Per quattro anni non ci sono contatti. Poi nel
1982 Wojtyla incarica il cardinale Ratzinger di trovare una
soluzione. Il futuro papa va ad Econe. Passano cinque anni,
ma Lefebvre non cede, anzi nel 1987 annuncia di voler entro
un anno consacrare alcuni vescovi. La spaccatura si consuma
infatti l’anno dopo, quando vengono consacrati dei vescovi
senza l’autorizzazione del Vaticano. Ciò provoca la sua
scomunica e l’inizio dello scisma.
Marcel Lefebvre
(1905-1991)
Bibliografia di approfondimento
M. Doldi, Il cardinale Giuseppe Siri e il Vaticano II.
L’impegno per il rinnovamento della Chiesa, Cantagalli,
2016
P. Gheda, Siri, la Chiesa, l’Italia, Marietti 1820, 2009
A. Scavo – B. Lai, Giuseppe Siri: le sue immagini, le
sue parole, De Ferrari, 2008
B. Lai, Il papa non eletto: Giuseppe Siri, cardinale di
Santa Romana Chiesa, Laterza, 1993
E. Cavaterra, Il prefetto del Sant’Offizio. Le opere e i
giorni del cardinale Ottaviani, Mursia 1990
F. Leoni, Il cardinale Alfredo Ottaviani, carabiniere
della Chiesa, Roma 2002
N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre. Il tradizionalismo
cattolico italiano e il Concilio Vaticano II, Studium 2003
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