InfoAut - Oltre l'Anti-proibizionismo. Per Una Critica Dell'Industria Del Divertimento

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Politica

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Partiamo da una puntualizzazione che nel marasma giornalistico mainstream di queste settimane, fatto soltanto di sciacallaggio, sicuramente non troveremo: i decessi per droga sono diminuiti. Nel 2014 si registrato un calo del 10,32% di morti dovuti all'assunzione di droghe rispetto all'anno precedente. Altro dato importante proprio la parcentuale quasi nulla di morti dovute all'assunzione di droghe sintetiche. Infatti se nel 45% dei decessi non stato possibile rilevare la sostanza, ancora l'eroina a fare pi morti con oltre il 42% di decessi causati. Insomma, di droga si muore ancora, ma da come possibile leggere nella Relazione annuale antidroga redatta dalla Polizia di Stato, non l'ecstasy (come invece lascianopercepire i media) la droga killer, e pi che in discoteca si muore per strada oin casa.Ma questa premessa, utile per inquadrare lo scenario complessivo, non deve impedirci di fare alcune riflessioni attorno alla morte dei due giovani al Cocoric diRiccione e al Guendalina di Santa Cesarea Terme, per quanto quest'ultimo decesso riconducibile ad una cardiopatia del giovane, e non al consumo di droga come aveva gi pontificato lo sciacallaggio mediatico. Inutile dire che il dibattito veramente desolante. Riuscire a trovare qualcosa che vada oltre le strumentalizzazioni mediatiche impresa ardua. Uno dei pochi interventi lucidi viene da Il Foglio.Il realismo reazionario sembra cogliere il punto molto pi delle retoriche annaquate di sinistra. Oltre a Il Foglio non sono mancate altre prese di parola che si distanziano dal coro che invoca pi repressione. Ma anche in questo caso ci sembrasi faccia fatica ad andare oltre la scontatezza dell'antiproibizionismo. Che ilproibizionismo faccia morti e che ci sia il bisogno di politiche che puntino alla riduzione del danno siamo assolutamente d'accordo. Eppure anche queste, nel quadro attuale, rischiano di essere retoriche vuote. Cos come vuota retorica parlare di consumo consapevole in un contesto in cui il mercato non regolato certo dalle migliaia di giovani e meno giovani che scelgono di consumare, ma in cui il mercato stesso che si impone sui consumatori scegliendo quali droghe andranno perla maggiore. E anche questo ci sembra un dato scontato. Allora, probabilmente, si impone una riflessione che provi ad inquadrare lo stato attuale dell'industriadel divertimento e i meccanismi con i quali funziona.Dopo la decisione del questore di Rimini di chiudere per quattro mesi il Cocorica seguito della morte di un sedicenne, il dibattito pubblico si polarizzato traquanti sono favorevoli alla misura e quanti invece ritengono che questo ennesimoatto repressivo sia assolutamente inutile; tra chi pensa che manchino i controlli e chi ritiene che non si possa controllare tutto e la responsabilit non sia quindi da attribuire ai gestori. Volendo prendere posizione in questa polarizzazione risulta piuttosto scontato schierarsi con i secondi. Eppure, proprio tra questi, tra chi si schiera giustamente contro le politiche repressive, ci sembra mancare una riflessione critica rispetto a come vengono costruiti e gestiti questiluoghi.Basta farsi un giro sulla pagina facebook del Cocoric o ascoltare qualche imbarazzante conferenza stampa del suo (ora ex) amministratore delegato, Fabrizio De Meis, per inorridire. Un mix di infamia e opportunismo. Fin dalle prime ore che sono seguite alla morte del giovane si alimentata la litania sulla repressione e sui controlli che con fermezza il locale porta avanti. Si andati dagli spot contro la droga con l'iniziativa svolta nella comunit di San Patrignano (come se fosseun luogo da valorizzare) o i mega cartelloni che mettono in guardia dal consumo, ai sistemi di telecamere che controllano tutto il locale, fino alla rivendicazione di modalit di controllo che sconfinano anche i paletti della legalit pur di non fare entrare droga. Queste le modalit con cui il De Meis ha provato a dimostare che il Cocoric gioca una battaglia a tutto campo contro la droga. Ma non si fermato qui. Dopo il piagnisteo sulla politica che non combatte con i giusti mezzial suo fianco, ha deciso anche di avanzare nuove proposte: daspo per gli spacciatori e tampone antidroga all'ingresso. I pi maliziosi potrannoCocorico-DiscotecaRiminipensare che l'incentivo a consumare direttamente dentro per mano di spacciatori immuni al daspo. Perch qui il punto semplice e lo toccava il gi citato articolo de Il Foglio: il consumo parte integrante ed ineliminabile di questo mondo .Se al Cocco pensano veramente di poter eliminare la droga sono degli stolti ingenui. Ma non pensiamo lo siano, ingenui soprattutto. Ed cos che la realt e l'auto-rappresentazione mediatica viaggiano su due binari completamente diversi. E tuttoquesto si gioca sulla pelle di migliaia di persone. Ma poco importa. Quando il profitto l'unica lente con cui si guarda ai giovani che attraversano questi luoghi le modalit non possono che essere queste.Del resto basterebbe ricordare l'operazione di sciacallaggio e strumetalizzazione dopo la morte di un giovane durante un rave a Sagrate (Mi) nel 2008 del dj Coccoluto (che al Cocoric gioca in casa e che in queste settimane impegnato in primafila nel richiedere maggiore repressione e controlli). Coccoluto a Repubblica,in questo articolo, dichiarava: "Una serata storta dipende molto da chi organizza, da quali corde decide di andare a toccare. Una morte come questa l'effetto diun'organizzazione maldestra della serata. [] Nei club organizzati c' gente professionale che paga le tasse e ha le licenze per organizzare feste come questa, quiinvece pesa l'idea dell'approccio anarchico, la caratteristica del rave illegale che nasce contro tutto e tutti, e cresce sull'orgoglio di essere fuori dal sistema".Insomma, Coccoluto strumentalizza la morte di un giovane per attaccare un'esperienza, quella dei Rave o Free party (per quanto questa si possa considerare chiusa), nata proprio in contrapposizione alle logiche commerciali di discoteche e locali. Ma, senza voler entrare nel merito di quella esperienza, il punto anche unaltro: se vogliamo seguire il ragionamento perverso di Coccoluto, la morte delgiovane al Cocoric chiaramente responsabilit degli organizzatori. Non capiamo allora come mai si sbatta cos tanto contro la chiusura del locale difendendone la gestione e chiedendo maggiore aiuto alle istituzioni per la repressione.Allora, tra chi sostiene che il Cocco sia responsabile della morte del giovane peri mancati controlli e chi chi lo smarca da ogni responsabilit, bisogna trovare il coraggio di dire che si, sono responsabili, ma lo sono non per i mancati controlli, non per la poca repressione, bens lo sono nella misura del loro opportunismomediatico, della loro visione orientata tutta al profitto, dove chi attraversa quel luogo carne da spolpare. Una visione per la quale conta l'apparenza di un mega cartellone con scritto la droga ti uccide o l'immaggine di buttafuori invasivida poter regalare ai giornali, piuttosto che il benessere di chi attraversa il locale. Perch se sai che il consumo parte ineliminabile di questo mondo, e al di ldelle sparate mediatiche De Meis e compagnia lo sanno bene, piuttosto dell'invasivit di uncoccoricobuttafuori, di un lavoro costante di informazione e monitoraggio che dia possibilit di intervento immediato in caso di malori quello di cui c' bisogno. E invece ci hanno abituto che se nel locale stai male rischi anche di essere buttato fuori senza complimenti, casomai perch non vogliono problemi dentroil locale!Non siamo di fronte a scelte dettate soltanto dalle leggi repressive, ma ci sembra piuttosto una precisa visione di quella che l'industria del divertimento. E'qui che, pur non volendo entrare nel merito, si impone una riflessione pi specifica sullo stato attuale della club culture.Soltanto qualche mese fa un altro grave episodio di cronaca aveva investito la scena, quando, durante il Monegros Italia svoltosi all'Old River Park nel casertano, un giovane morto dopo una rissa finita in coltellate. Dopo quella vicenda lascena sembrava volersi interrogare sull'imbruttimento dilagante. L'impotenza el'inutilit di quel dibattito sembra essere racchiuso in questo articolo del giornalista musicale Damir Ivic. All'indomani dell'episodio, Ivic, poneva la necessitdi rimettere la musica al centro. Un articolo che pur nella sua buona volont nonsolo non dava risposte, ma non tracciava nemmeno possibili strade da seguire. Riportiamo al centro la musica significa tutto e nulla. Riportarla al centro rispetto a cosa?Basta con la musica elettronica come playground perfetto per potersi strafare fino a non capire pi nulla, fino a non essere pi responsabili delle proprie azioni elucidi su quello che ci succede attorno. Non sono le persone strafatte ad accoltellare non in questo caso, probabilmente ma il punto un altro: il punto che la musica non unesperienza per uscire abbruttiti. Cominciava cos l articolo. Ancora unavolta il problema sembra tutto schiacciato sulla droga. Ma pensiamo veramente che, rispetto ai decenni passati, il consumo sia cos fuori controllo? Non ci sembra affatto. C piuttosto un uso meno cansapevole. Quello sicuramente. Ma fin quando avremo i Fabrizio De Meis o i Coccoluto che si elevano pubblicamente (e apparentemente) a paldini dell anti-droga, pur sapendo che senza consumo la Piramide non sta in piedi, non potr andare diversamente.Riportare la musica al centro significa farlo contro il profitto. Contro quellalogica che vede i giovani che attraversano i locali soltanto come consumatori dai quali tirar fuori tutti i soldi destinati al week-end, spesso risparmiati connon poca fatica. Tutto per un offerta culturale e musicale non certo di spessore. Tra leggi repressive e mancanza di volont degli addetti ai lavori, un dato sicuramente da registrare l assenza di un offerta culturale che vada oltre la serata concentrata nelle sue poche ore. Nella club culture attuale sembrano latitare tanto i pre-serata, quanto gli after. Il risultato quello di veder compresso tuttoin poche ore, dove anche il consumo diviene qualcosa di pi vorace per provare a rompere subito il trauma tra la normalit esterna ed l entrata nel locale e godersi cosle poche ore a disposizione. E la tendenza sembra approfondirsi proprio in questa direzione. Infatti, proprio in questi giorni, a Firenze, si parla di un accordo tra comune e gestori che vieta l entrata in discoteca a chi, in base all alcoltest distribuito dagli steward, supera la soglia di 0,5 grammi/litro. Insomma,prima di entrare non puoi bere nemmeno due birre, ma puoi scegliere di spaccarti dentro il locale a prezzi mai contenuti e con una qualit dell alcol quasi sempre bassissima.Insomma, ben venga la critica del proibizionismo e la necessit di politiche di riduzione del danno, ma dinanzi ad un industria del divertimento che sembra completamente impermeabile a qualsiasi istanza che non sia quella del profitto per ilprofitto, questa rischia di essere retorica che cade nel vuoto.Riprendendo il titolo di questo interessante articolo uscito su Internazionale qualche mese fa, possiamo dire che milioni di persone hanno ancora voglia di ballare. Resta il come e il dove lo faranno. Staremo a vedere se qualcosa di nuovo,dal basso, di rottura, emerger. Certo, come ci sembra lasci intendere anche la chiusura dell articolo appena citato, non pensiamo si possa dare nella riproposizione di esperienze passate.