Il rogo

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Testo e disegni

Stefanizzi Melanie & Torsello Susanna

Era la sera del 12 Giugno quando la responsabile delle

operaie, la”maestra”, Maria Assunta Pugliese ricevette dai

concessionari Pranzo e Villani l’ordine di procedere

l’indomani alla disinfestazione del tabacco sistemato in

ballette nel deposito.

In questa operazione si impiega del solfuro di carbonio, liquido

molto infiammabile e velenoso (veniva usato dai nazisti nei

campi di concentramento per l’eliminazione dei detenuti).

Per legge questa operazione doveva essere fatta da operai

specializzati alla presenza di un chimico. Per risparmiare

queste operazione venivano fatte dalle tabacchine.

La mattina successiva le operaie prescelte la sera

prima dalla maestra iniziano le operazioni di

disinfestazione. Dapprima chiudono

ermeticamente ogni finestra e porta per impedire

qualsiasi spiraglio di aria.

Successivamente prendono i barattoli di solfuro e li

portano, uno ad uno con cautela, ma anche con una certa

fretta per concludere rapidamente lo sgradevole lavoro nei

locali dove sono depositate le ballette di tabacco.

All’ improvviso la fiammata.

Alle sette e trenta improvvisamente si udì la

sirena dell’orologio comune che abitualmente

scandiva le ore delle giornate lavorative. La

maggior parte dei calimeresi pensò ad un

errore dei meccanismi dell’ orologio e con un

sorriso aspettarono che terminasse il suono

della sirena. Dopo il terzo avviso i calimeresi

erano tutti ormai convinti che qualcosa di grave

era avvenuto.

Ed ebbero la conferma all’ innalzarsi di un tetro fumo

nero dalla fabbrica di tabacco alle spalle del municipio.

Il 13 Giugno 1961, Festa di Sant’ Antonio, numerose operaie

morirono arse vive in questo deposito di tabacco per una banale

disattenzione di un carabiniere addetto alla vigilanza delle

operazioni che generarono l’ incendio.

Il fuoco era divampato proprio dinanzi all’ unica porta del

deposito impedendo alle tabacchine di uscire.

Alle finestre, robuste grate avevano fatto dello stanzone una

gabbia mortale. Dalla strada la gente assisteva alla tragedia

impotente. Le operaie trasformate in torce umane urlavano e si

dibattevano dietro le grate.

Utilizzando scale ed asce dal vicino cantiere della Famiglia Lepore si

abbatterono le grate delle finestre consentendo alla sopravvissute di

uscire dal deposito. Ma cinque tabacchine, tra cui la direttrice,

avevano perso la vita e molte rimasero ferite per ustioni o

intossicazioni da ossido di carbonio.

Negli anni ’60 Calimera era un paese di settemila abitanti al centro

di una zona in cui era intensa la produzione di tabacco. Un quarto

del tabacco che si fumava all’ora in Italia si produceva in Puglia.

Il processo produttivo del tabacco si svolgeva in tre fasi: la

coltivazione, la manipolazione e la manifattura.

Il Monopolio di Stato interveniva solo nell’ultima fase, mentre le

prime due erano date in “concessione” a privati, i quali decidevano

in modo del tutto discrezionale chi e quanto tabacco i contadini

potevano produrre.

Lo ritiravano e lo facevano “manipolare” in ballette o in botti

nei propri magazzini da operaie “tabacchine”, poi lo

rivendevano al Monopolio di Stato con guadagni vertiginosi

senza nessun rischio derivante dai processi di produzione.

Il Monopolio di Stato ha sempre tutelato, con lauti

incentivi economici, solo il concessionario, che il più

delle volte era un politico locale. All’origine del dramma

di Calimera c’è proprio l’avidità di questa figura e il suo

disprezzo per il lavoro e la vita dei propri subalterni.