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di CARLO ROVELLI

Tel 1932, Karl Jansky, giovane in-gegnere di 27 anni della com-pagnia telefonica Bel], è incari-cato di studiare un fastidiosorumore che disturba le comu-

nicazioni radio transatlantiche. Jansky co-struisce una piccola antenna orientabile earriva a una conclusione sorprendente:una parte dei disturbi viene dal cielo. Pro-pone di costruire una grande antenna dapuntare verso l'alto per studiare questi mi-steriosi segnali extraterrestri. I suoi datoridi lavoro, concreti come molti ministeridella ricerca odierni, lo riportano con ipiedi per terra: non servirebbe a niente diutile; il progetto è respinto.

Verso la fine degli anni Trenta nei sob-borghi di Chicago un dilettante senza stu-di scientifici, Grote Reber, legge della sco-perta di Jansky su una rivista di divulgazio-ne e costruisce a sue spese un'antenna di 9metri nel giardino di sua madre. E il primoradiotelescopio nella storia. Nel 1938 Re-ber conferma che una zona del cielo nellacostellazione del Sagittario emette onderadio molto forti, alla frequenza di circa16o MHz.

Oggi abbiamo numerosi grandi radiote-lescopi e queste onde radio extraterrestrisono studiate in dettaglio. La forte sorgen-te nella costellazione del Sagittario è chia-mata Sagittarius A*, abbreviato Sgr A*.Sta esattamente al centro della nostra ga-lassia. Se guardate il cielo notturno, il Sa-gittario, con il centro della galassia, è visi-bile verso le nove di sera da metà luglio (asud est) fino a fine ottobre (a sud ovest).

Cos'è Sgr A*? Cos'è questa «cosa» alcentro della galassia che emette segnalicosì forti da disturbare comunicazioni ter-restri? Il velo si dirada solo verso la fine de-gli anni Novanta: osservando le stelle chevi orbitano attorno, si calcola che Sgr A*concentra una massa quattro milioni divolte la massa del Sole in un raggio picco-lissimo. Conosciamo una sola spiegazionepossibile: un buco nero gigantesco, con lamassa di 4 milioni di stelle. Le emissioniradio sono prodotte dal calore di grandiquantità di materia nubi di polvere, tal-

volta intere stelle che gli vortica intornoinfuocandosi, prima di esserne risucchia-ta.

Da sempre impariamo cose sorpren-denti alzando lo sguardo verso il cielo. Os-servando il moto del Sole e delle stelle,Anassimandro ha capito che abitiamo suun sasso che galleggia nello spazio. Osser-vandone l'ombra proiettata sulla luna du-rante le eclissi, Aristotele ha mostrato chequesto sasso, la Terra, ha forma di palla. Inuna fatale notte del 16o9, in una strada diPadova, Galileo ha alzato verso il cielo ilsuo tubo con lenti, vedendo cose che noiumani non avremmo mai potuto immagi-nare: fasi di Venere, anelli di Saturno, sa-telliti intorno a Giove, macchie sul Sole,montagne sulla luna... A ogni migliora-mento dei telescopi, vediamo di più del va-sto mondo: l'immensità della Via Lattea, lasiderale vastità dello sterminato mare del-le galassie, la caleidoscopica varietà di og-getti che lo riempiono: immense nubi dipolvere, ammassi di stelle, esplosioni gi-gantesche, valzer di coppie e triple di stel-le, scontri di galassie, getti di materia lun-ghi migliaia di anni luce, la stupefacentebellezza delle forme delle nebulose cattu-rate dalle immagini del telescopio orbitan-te Hubble, e via via... tutta la crescente co-lorata zoologia dell'astrofisica contempo-ranea.

Ma di tutti gli strani oggetti che abbia-mo scoperto nel cielo, i più strani sono ibuchi neri. Sapevamo che in teoria poteva-no esistere: corrispondono a certe soluzio-ni delle equazioni della relatività generaledi Einstein. Ma pochissimi sognavano esi-stessero davvero. Sembravano cose troppostrane: per fare un buco nero qui, peresempio, dovremmo trovare il modo dicomprimere l'intero pianeta Terra, contutte le montagne, mari, eccetera, sul fon-do di una tazzina di caffè. A quel punto laTerra diverrebbe un buco nero. Di dimen-sioni che possono stare dentro una tazzinadi caffè, ma ancora pesante come la Terra.Nessuno riteneva ragionevole che in natu-ra potessero esserci processi capaci dischiacciare tanta massa in una regione

tanto piccola. Invece, negli anni Settantagli indizi che alcuni oggetti nel cielo fosse-ro proprio buchi neri si sono moltiplicati.Oggi lo studio dei buchi neri per gli astro-nomi è routine. Ne contiamo a migliaia.

Se potessimo vederlo da vicino, un buconero si mostrerebbe come un buco in unascatola chiusa: un disco nero. Una regionedalla quale non arriva luce. La ragione èche la superficie del buco nero racchiudeuna zona dalla quale nulla può più scappa-re, neppure la luce, per la forte gravità do-vuta alla materia molto concentrata. La su-perficie del buco nero si chiama «orizzon-te» (talvolta, forse impropriamente, «oriz-zonte degli eventi»), perché non vediamoquello che c'è aldilà, come non vediamo aldi là dell'orizzonte sul mare. L'orizzontesul mare esiste perché la Terra si incurvaall'ingiù e si nasconde alla nostra vista.L'orizzonte dei buchi neri ha qualcosa disimile: l'estrema concentrazione di mate-ria curva intorno a sé lo spazio e il tempo,tanto da nascondere la regione centrale al-la nostra vista. La forza che può compri-mere tanta massa in così poco spazio è lapiù semplice: il peso. Quando smette dibrillare perché ha bruciato in elio tutto ilsuo idrogeno, una grande stella sprofondasu sé stessa sotto il suo stesso peso, e sischiaccia in un buco nero. Così si è forma-ta la maggior parte dei buchi neri che ve-diamo nel cielo, che ha quindi massa più omeno simile a una stella.

Ma Sagittarius A* è ben altra bestia: unmostro gigantesco con la massa di 4 milio-ni di stelle, e una taglia mille volte la Terra.Come si sia formato e sia finito lì, nel cen-tro della nostra galassia, non è chiaro, manon sembra essere una peculiarità nostra:

la maggior parte delle galassie nascondesimili giganti. Una lontana galassia, la ga-lassia «lenticolare» NGC 1277, sembra rac-chiudere un buco nero mille volte piùgrande del nostro: un gargantua con unamassa di 5 miliardi di soli, largo un milio-ne di volte la Terra...

Chi non vorrebbe vederli da vicino, que-sti mostri cosmici? Il problema è che, perquanto grandi, sono lontani. Il centro dellagalassia dista 26 mila anni luce. La luce checi arriva da là è partita più o meno quandogli abitanti dell'Italia erano Neanderthal e inostri antenati erano gli immigranti. Aquesta distanza, osservare Sgr A* è comevoler osservare una pulce sulle Alpi standoa Messina. Fino a poco fa, l'idea di potervedere Sgr A* «da vicino» sembrava assur-da. Ci dovevamo accontentare di studiarloin maniera indiretta, osservandone gli ef-fetti su stelle vicine o le emissioni radiodella materia che sta per caderci dentro.

Ma oggi i radioastronomi stanno met-tendo a punto una tecnica per osservareSagittarius A* direttamente. Fotografare ilmostro. L'idea è collegare i grandi radiote-lescopi nei diversi continenti, e farli fun-zionare come fossero una singola grandeantenna. Un'antenna grande come la Ter-ra. La chiave è sincronizzare gli orologi deitelescopi, perché quello che conta sono leminutissime differenze di tempo d'arrivodei segnali fra un telescopio e l'altro. Oggiesistono orologi atomici di precisione fan-tastica, che perderebbero meno di un se-condo lungo tutta la vita dell'universo. Conquesti, si dovrebbe riuscire.

Il progetto si chiama «event-horizon te-lescope», perché l'obiettivo è vedere l'oriz-zonte («horizon») di Sagittarius A*. Coin-volge una ventina di università e un centi-naio di scienziati sparsi nel mondo. Il tele-scopio centrale è sulla Sierra Negra, nellostato del Puebla, in Messico. È un progettograduale: un primo gruppo di radiotele-scopi è già collegato, e comincia a produr-re immagini. Ci avviciniamo lentamentealla risoluzione necessaria per vedere di-rettamente Sagittarius A* negli occhi. Omeglio, nell'occhio. A mano a mano chenuovi radiotelescopi vengono collegati, ocostruiti, la risoluzione migliora. Se tuttova bene, prima della fine del decennio do-vremmo avere una foto di un buco nero.Una foto del disco nero della pupilla delmostro.

Lo vedremo come prevede la teoria?Non lo sappiamo. I buchi neri hanno anco-ra aspetti misteriosi. Non sappiamo dovevada a finire tutta la materia che vediamoinghiottita dai buchi neri. Cosa succedadentro, nel centro, è qualcosa che ancoranon sappiamo. Dipende dalle proprietàquantistiche dello spazio, che controllia-mo ancora male. Steve Giddings, un teori-co dell'università di Santa Barbara in Cali-fornia, ha studiato l'ipotesi che effetti digravità quantistica possano modificarel'aspetto esterno del buco nero. Le osserva-zioni ravvicinate potrebbero sorprenderci.Se lo faranno, sarà ancora più interessan-te: nuovi indizi su quello che ancora non

capiamo.Siamo essermi che vivono sulla crosta di

una palla di roccia lanciata nello spazio.Non sappiamo dove vada a finire tutta lamateria che vediamo inghiottire dai buchineri, come una piccola astronave. Fuori,attorno a noi c'è uno straordinario mondoancora inesplorato. Come un bambino chesi affaccia per la prima volta a una finestrasul mare, l'umanità intera sta a guardaredall'oblò dei suoi telescopi, curiosa, incan-tata.

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L'articolo di Steve GiddingsBlock Holes, Quantum

Information, and theFoundations of Physics

(«Buchi neri , informaticaquantistica e fondamenti

della fisica» ) è apparsonell'aprile del 2013 su

«Physics Today». Un testo diriferimento per l'astrofisica è

il libro di Stephen HawkingDal Big Bang ai buchi neri

(traduzione di Libero Sosio,Rizzoli , 1990 ). Dello stessoautore: Buchi neri e universi

neonati. E altri saggi(traduzione di Libero Sosio,

Rizzoli , 1993). Altri librisull'argomento : Kip Thorne,

Buchi neri e salti temporali(traduzione di David

Santoro, Castelvecchi,2013); Leonard Susskind, La

guerra dei buchi neri(traduzione di Franco

Ligabue, Adelphi, 2009);Caleb Scharf, I motori della

gravità (traduzione di MauroGaffo, Codice, 2014);

Alessandro Marconi , I buchineri (Il Mulino, 2013)

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Vj k, ï' I _ . Ts `I (_di STEFANO GATTEI

1 De revolutionibus libri sex (1543)di Copernico è uno dei pochi testiche stabiliscono un prima e un

dopo: la Terra viene strappata dallapropria posizione privilegiata nel co-smo, l'uomo non è più al centro delmondo. L'universo non gira più perlui. Esce in questi giorni per Les BellesLettres una nuova edizione dell'opera,che sarà un punto di riferimento im-prescindibile per gli studi a venire.Frutto di lunghi annidi lavoro da par-te di un gruppo eccezionale di studiosidell'Osservatorio astronomico di Pari-gi (Michel-Pierre Lerner, Alain-Philip-pe Segonds e Jean-Pierre Verdet, con lapreziosa collaborazione di IsabellePantin, Denis Savoie, Michel Toul-monde e in particolare di ConcettaLuna, filologa della Scuola Normale diPisa) i tre volumi - introduzione,testo latino e traduzione francese afronte, commento - coprono comples-sivamente oltre 2.700 pagine. L'operasi caratterizza per intelligenza criticae perizia filologica: due elementi inelu-dibili, secondo Eugenio Garin, senza iquali la pagina rimane muta. L'analisidel testo, stabilito sulla base delle treedizioni a stampa (oltre alla princeps,quelle del 1566 e del 1617) e del mano-scritto, ha potuto per esempio eviden-ziare come la fine del libro quinto ebuona parte del libro sesto siano unatraduzione (implicita) dall'Almagestodi Tolomeo. Una novità assoluta, manon la sola, in un'edizione destinata arimanere nel tempo.

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Immagine ottenutadall'osservatorio a raggiX, Chandra, della zonacentrale della Via Lattea,dove si trova la sorgentechiamata Sagittario A*,e dove è statoindividuato il buco neroche domina il centrodella nostra galassia(Baganoff/Nasa)