ffiooto polet ode o d ote no o - rassegna.be.unipi.itrassegna.be.unipi.it/20160620/SB31061.pdf ·...

3
Maestri äre11é è a[ iti del'aLIi,or(x della «ScieIlza, nuova» oggi rliollopiù rlsicl °etl0 e 5ix.ic[ïsl(o,-.Ill'esl€,r« c°hcY nei nosiro ' Il ffiooto s a polet a s epp e f olt re l a m oder 8. opp onew , csi a ff a vv ento dommi otecnolo gico __ cr e _ _ . __ E __ H a Y a -. "y . . _ . . __ . A di DONATELLA DI CESARE e sue opere sono studiate al- l'università di Atlanta, negli Stati Uniti, e a quella di Siviglia, in Spagna, all'università di Tel Aviv, in Israele, e a quella di Bue- nos Aires, in Argentina. La Scienza nuo- va è tradotta in tedesco, francese, ingle- se, spagnolo, cinese, giapponese, turco, bulgaro, ebraico. Il genio di Vico è ormai riconosciuto ovunque e il suo nome è uno dei fari della cultura italiana all'este- ro. Ma può succedere di passare tra i pit- toreschi edifici di via San Biagio dei Li- brai, a Napoli, dove campeggiano gli alta- rini dedicati al culto di Maradona, senza alzare gli occhi verso la lapide, ingrigita e pericolante, in cui è scritto: «In questa cameretta nacque il 23 giugno 1668 Giambattista Vico. Qui dimorò fino ai di- ciassette anni e nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usò passare le notti nello studio. Vigilia giovanile della sua opera sublime. La città di Napoli po- se». Come se quella lapide malferma, inaugurata solo nel bicentenario della nascita, omaggio postumo e tardivo, rap- presenti il simbolo del rapporto ambiva- lente che l'Italia ha con il suo più grande filosofo. Un'ambivalenza, sofferta e lace- rante, della cultura italiana con se stessa e con la propria tradizione. D'altronde, al contrario di Kant o di Hegel, Vico inorì quasi del tutto scono- sciuto, dopo aver faticato anni e anni, co- me lui stesso racconta nella sua Autobio- grafia, sia per trovare una collocazione accademica, sia per ottenere il riconosci- mento che il suo pensiero meritava. Per intrighi universitari non ebbe mai la «cattedra primaria mattutina di leggi», cioè di Diritto romano, e dovette invece accontentarsi di quella di retorica, dispe- rando «per l'avvenire aver più mai degno luogo nella sua patria». Che dire, poi, dell'anello che fu costretto a vendere per poter pubblicare la Scienza nuova? Un ebreo di Livorno, Giuseppe Athias, fece circolare in Europa quell'opera sin- golare, così vistosamente barocca e così dichiaratamente ipermoderna, da pro- iettarsi già oltre la modernità. Suscitò presto ammirazione l'energia visionaria di quell'eccentrico antiquario che resiste- va alla modernità. Nessuno avrebbe po- tuto immaginarselo, se non nella sua Na- poli, città intellettualmente vivacissima; eppure lui era in grado da lì di rivolgere un richiamo al mondo, per riconsiderare l'umanità e la sua storia. Foscolo e Manzoni, Goethe e Marx, Jovice e Beckett furono attratti dal tono profetico di quel pensatore che si volgeva a indagare le sterminate antichità del passato per scrutare nel futuro più lonta- no. Non è un caso che sia stato il Nove- cento a fare di Vico un indispensabile in- terlocutore filosofico. Merito, certo, della «riscoperta» compiuta da Croce già nel 1811. Mala dirompente inattualità di Vico è tale da attraversare i decenni e giungere al XXI secolo nella pienezza della sua sfi- da. L'effervescenza del dibattito odierno, quale si svolge più nel contesto america- no che non in quello europeo, mostra che Vico è per noi ben più che un precur- sore. Perché, dunque, leggiamo le sue ope- re? Perché, oggi più che mai, non possia- mo fare a meno della Scienza nuova? La risposta sta nel progetto eroico di Vico. Straniero persino nella sua Napoli, dove già molti si erano arresi alle mode, diven- tando cartesiani, Vico accetta la margina- lità, si situa sulla soglia della storia, con- vinto che gli itinerari della memoria sia- no le vie per l'avvenire e che il tempo nuovo non possa essere che un futuro del passato. Traccia per la prima volta una storia dell'umanità inaugura la filosofia della storia. Ma c'è di più. La sua storia del genere umano, che ne mette in rilievo la huma- nitas, non è solo il discorso in cui culmi- na la tradizione dell'umanesimo italiano, ma è insieme anche un controdiscorso, un appello, un ricorso contro la moder- nità. Vico è l'unico filosofo a intuire l'at- tacco che le nuove scienze stanno per sferrare. Il dominio scientifico-tecnolo- gico è ormai alle porte. E dalla sua ha no- mi di spicco, quelli dei fondatori della modernità: Cartesio, Galileo, Bacone, Ilobbes. Anche se in forme diverse, esal- tano tutti il presente, come se la storia iniziasse con loro, celebrano le scienze empiriche, vedono il mondo solo attra- verso il prisma dell'ordine naturale, con- siderano anacronistica la sapienza anti- ca, giudicano inutili le lingue, le lettere, le arti, e aggravano così la crisi epocale. Pur sentendosi profondamente solo, Vico non si piega. Resiste - senza cedere alla nostalgia, né arroccarsi nell'interesse erudito per il passato. Lì, sulla soglia, dentro e fuori il suo tempo, dove l'inat- tualità diventa la prospettiva per denun- ciare i limiti dell'epoca moderna, contro- batte difendendo la storia, presidiando l'immaginazione, richiamandosi al lin- guaggio, anzi alla poesia. Così si lascia via via alle spalle la metafisica, per raccoglie- re letteratura e retorica, religione e dirit- to, mito e filosofia, tutte le discipline umane, in un disegno inedito e unitario, capace di superare la frammentazione, di rispondere alla minaccia delle scienze positive, ma soprattutto di offrire una

Transcript of ffiooto polet ode o d ote no o - rassegna.be.unipi.itrassegna.be.unipi.it/20160620/SB31061.pdf ·...

Maestri äre11é è a[ iti del'aLIi,or(x della «ScieIlza, nuova» oggi rliollopiù rlsicl °etl0 e 5ix.ic[ïsl(o,-.Ill'esl€,r« c°hcY nei nosiro '

Il ffiootos apoleta seppe f oltre la moder 8.

opponew , csi a ff avvento dommiotecnologico__

cre _ _ . __

E

__ Ha Y a -. "y .

._ . . __

. A

di DONATELLA DI CESARE

e sue opere sono studiate al-l'università di Atlanta, negli StatiUniti, e a quella di Siviglia, inSpagna, all'università di TelAviv, in Israele, e a quella di Bue-

nos Aires, in Argentina. La Scienza nuo-va è tradotta in tedesco, francese, ingle-se, spagnolo, cinese, giapponese, turco,bulgaro, ebraico. Il genio di Vico è ormairiconosciuto ovunque e il suo nome èuno dei fari della cultura italiana all'este-ro. Ma può succedere di passare tra i pit-toreschi edifici di via San Biagio dei Li-brai, a Napoli, dove campeggiano gli alta-rini dedicati al culto di Maradona, senzaalzare gli occhi verso la lapide, ingrigita epericolante, in cui è scritto: «In questacameretta nacque il 23 giugno 1668Giambattista Vico. Qui dimorò fino ai di-ciassette anni e nella sottoposta piccolabottega del padre libraio usò passare lenotti nello studio. Vigilia giovanile dellasua opera sublime. La città di Napoli po-se». Come se quella lapide malferma,inaugurata solo nel bicentenario dellanascita, omaggio postumo e tardivo, rap-presenti il simbolo del rapporto ambiva-lente che l'Italia ha con il suo più grandefilosofo. Un'ambivalenza, sofferta e lace-rante, della cultura italiana con se stessae con la propria tradizione.

D'altronde, al contrario di Kant o diHegel, Vico inorì quasi del tutto scono-sciuto, dopo aver faticato anni e anni, co-me lui stesso racconta nella sua Autobio-grafia, sia per trovare una collocazioneaccademica, sia per ottenere il riconosci-mento che il suo pensiero meritava. Perintrighi universitari non ebbe mai la«cattedra primaria mattutina di leggi»,cioè di Diritto romano, e dovette inveceaccontentarsi di quella di retorica, dispe-rando «per l'avvenire aver più mai degnoluogo nella sua patria». Che dire, poi,

dell'anello che fu costretto a vendere perpoter pubblicare la Scienza nuova?

Un ebreo di Livorno, Giuseppe Athias,fece circolare in Europa quell'opera sin-golare, così vistosamente barocca e cosìdichiaratamente ipermoderna, da pro-iettarsi già oltre la modernità. Suscitòpresto ammirazione l'energia visionariadi quell'eccentrico antiquario che resiste-va alla modernità. Nessuno avrebbe po-tuto immaginarselo, se non nella sua Na-poli, città intellettualmente vivacissima;eppure lui era in grado da lì di rivolgereun richiamo al mondo, per riconsiderarel'umanità e la sua storia.

Foscolo e Manzoni, Goethe e Marx,Jovice e Beckett furono attratti dal tonoprofetico di quel pensatore che si volgevaa indagare le sterminate antichità delpassato per scrutare nel futuro più lonta-no. Non è un caso che sia stato il Nove-cento a fare di Vico un indispensabile in-terlocutore filosofico. Merito, certo, della«riscoperta» compiuta da Croce già nel1811. Mala dirompente inattualità di Vicoè tale da attraversare i decenni e giungereal XXI secolo nella pienezza della sua sfi-da. L'effervescenza del dibattito odierno,quale si svolge più nel contesto america-no che non in quello europeo, mostrache Vico è per noi ben più che un precur-sore.

Perché, dunque, leggiamo le sue ope-re? Perché, oggi più che mai, non possia-mo fare a meno della Scienza nuova? Larisposta sta nel progetto eroico di Vico.Straniero persino nella sua Napoli, dovegià molti si erano arresi alle mode, diven-tando cartesiani, Vico accetta la margina-lità, si situa sulla soglia della storia, con-vinto che gli itinerari della memoria sia-no le vie per l'avvenire e che il temponuovo non possa essere che un futuro delpassato. Traccia per la prima volta unastoria dell'umanità inaugura la filosofiadella storia.

Ma c'è di più. La sua storia del genere

umano, che ne mette in rilievo la huma-nitas, non è solo il discorso in cui culmi-na la tradizione dell'umanesimo italiano,ma è insieme anche un controdiscorso,un appello, un ricorso contro la moder-nità. Vico è l'unico filosofo a intuire l'at-tacco che le nuove scienze stanno persferrare. Il dominio scientifico-tecnolo-gico è ormai alle porte. E dalla sua ha no-mi di spicco, quelli dei fondatori dellamodernità: Cartesio, Galileo, Bacone,Ilobbes. Anche se in forme diverse, esal-tano tutti il presente, come se la storiainiziasse con loro, celebrano le scienzeempiriche, vedono il mondo solo attra-verso il prisma dell'ordine naturale, con-siderano anacronistica la sapienza anti-ca, giudicano inutili le lingue, le lettere,le arti, e aggravano così la crisi epocale.

Pur sentendosi profondamente solo,Vico non si piega. Resiste - senza cederealla nostalgia, né arroccarsi nell'interesseerudito per il passato. Lì, sulla soglia,dentro e fuori il suo tempo, dove l'inat-tualità diventa la prospettiva per denun-ciare i limiti dell'epoca moderna, contro-batte difendendo la storia, presidiandol'immaginazione, richiamandosi al lin-guaggio, anzi alla poesia. Così si lascia viavia alle spalle la metafisica, per raccoglie-re letteratura e retorica, religione e dirit-to, mito e filosofia, tutte le disciplineumane, in un disegno inedito e unitario,capace di superare la frammentazione, dirispondere alla minaccia delle scienzepositive, ma soprattutto di offrire una

nuova visione politica dell'umanità. Tut-to questo è la Scienza nuova.

Contro la boria dei moderni, e la traco-tanza delle scienze, Vico delinea la map-pa del «mondo civile». L'importanza diquesta espressione non deve sfuggire; lasi incontra - oggi - sempre più di fre-quente nei libri in tedesco o in inglese.Anche perché civile è un termine cosìprofondamente radicato nella tradizionelatina, e poi italiana, da risultare difficil-mente traducibile. Che cos'è, dunque, il«mondo civile», e perché è all'ordine delgiorno nel dibattito filosofico?

In un famoso passo della Scienza nuo-va Vico rinvia alla «densa notte di tene-bre» che copre la nostra antichità. Tutta-via un «lume» la rischiara, un «lume»che può dischiudere anche la via perinoltrarsi in quel tempo remoto. Questo«nostro mondo civile» è creazione uma-na, è «stato fatto dagli uomini», così co-me il «mondo naturale» è opera di Dio. Ebizzarro che i filosofi si ostinino a voleravere scienza del mondo naturale, piut-tosto che volgersi a quello civile. L'ostina-tezza si rivela presto presunzione e boria.Come si può pretendere di conoscere ciòche non si è capaci di fare? Sono forse gliuomini in grado di fare alberi e piante,pietre e rocce, astri e pianeti?

Già in precedenza Vico aveva formula-to uno dei principi della sua filosofia: «IIcriterio per avere scienza di una cosa è dimandarla ad effetto». Solo chi sa comeuna cosa è nata, chi ne conosce la genesie le cause, chi insomma sa farla, ha scien-za. Vero e fatto coincidono - sostiene Vi-co attribuendo un valore pratico alla co-noscenza e inaugurando una nuova ri-flessione critica sulla verità. Si può inda-gare il mondo della natura, ma lì il veroresta nel complesso irraggiungibile. Alcontrario, il mondo civile, quello che la«scienza nuova» narra e indaga, è il mon-do della storia e delle istituzioni umane,quello di cui si può avere scienza, perchéqui il vero coincide con il fatto. Compren-diamo quello che altri prima di noi han-no fatto e, per l'affinità umana che ci lega,potremmo, dunque, rifarlo.

La «gran selva antica della terra» è sta-ta umanizzata grazie alla parola - nonuna parola qualsiasi, ma la parola poeti-ca. Ecco la «discoverta» che, nonostantetutte le amarezze, costituì per Vico moti-vo di «eterna, immensa gioia»: i popolidella «prima gentilità» furono tutti ne-cessariamente «poeti» che - scrive nelpasso forse più celebre della Scienzanuova - in greco suona come «criatori».Poesia rinvia etimologicamente a poie-sis, creatività, e a poieo che significa «fa-re». Prima ancora di Hamann e di Hei-degger, la poesia viene indicata da Vicocome la lingua originaria, la prima formadel conoscere, l'indispensabile attivitàcreativa che articola e istituisce il mondo.Di qui l'alleanza tra poesia e filosofia. An-zi la poesia è la «chiave maestra» dellaScienza nuova. Dal suo «sublime lavoro»viene emergendo la civiltà.

Vico non avrebbe potuto essere più ra-dicale. Ma non si ferma qui. Come nellastoria delle parole si rintraccia quella del-

le cose, così dal tronco della sapienza po-etica si diramano la logica, la morale,l'economia, la politica. Già gli umanisti- ad esempio Salutati - avevano scortoil nesso tra poesia e politica. Vico lo con-solida e lo legge filosoficamente. Il«mondo civile» è quello della politeia,del governo della città, è il mondo - se-condo un'etimologia inventata da Vico -politus, «nettato e mondo». Può corrom-persi, e si corrompe, proprio perché èstato nettato, umanizzato dalla poesia.Non serve consegnarlo, alla costruzionerazionale e scientifica. E all'attività poie-tica dei cittadini che deve piuttosto esse-re affidato, pur con tutti i rischi - cheNapoli e le città italiane allora ben mo-stravano - se deve essere difesa, custo-dita, ulteriormente articolata l'umanità.

Sulla soglia del tempo nuovo ci atten-de Vico, il pensatore-poeta, per dirci chel'archivio del futuro sta nei profondi maridella memoria, negli enigmi della sa-pienza antica, che la poesia è la via mae-stra per pensare la politica.

O RIPRODUZIONE RISERVATA

Da Brasilia a UtrechtPlatonici ed ellenisti11 cloppio simposio

Si tiene a Brasilia, presso l'universitàdella capitale brasiliana, nei giorni dal4 all'8 luglio prossimi, l'XI SymposiumPlatonicum organizzato dallaInternational Plato Society (Ips). Sitratta di un incontro che riunisce ogniquattro anni gli studiosi del grandefilosofo greco provenienti da tutto ilmondo. Tema del convegnoquest'anno è il Fedone, dialogo di cuiverranno esaminati tutti gli aspetti,legati soprattutto alla questionedell'immortalità dell'anima. Ilprogramma prevede decine disessioni, tra plenarie e parallele, equattro lezioni magistrali, l'ultimadelle quali sarà tenuta dall'italianoGiovanni Casertano. Alcune iniziativesaranno dedicate alla memoria dellostudioso Samuel Scolnicov, expresidente dell'lps scomparso nel2014. Sempre in luglio, dal 18 al 22, sisvolgerà in Olanda, a Utrecht, ilSymposium Hellenisticum, cheriunisce ogni tre anni gli studiosi delmondo ellenistico. Il tema quest'annoè la relazione animalcorpo.

1 pensiero odier-no vive un'epo-ca di povertà».

Questa è la severa dia-gnosiformulata da Vit-torio Possenti nel libro Ilrealismo e la fine dellafilosofia moderna (Ar-mando, pp. 288, € 24),al termine di un percor-so che vuole sintetica-mente illustrare ilfarsidel pensiero a partire daCartesio come abbando-no della metafisica clas-sica a favore, da unlato, della «oggettività»della conoscenza scien-

ibliografiaLe Opere di GiambattistaVico (1668-1744) sonoraccolte in un Meridiano

Mondadori, curato daAndrea Battistini, del qualesono uscite varie edizioni apartire dal 1990. Nel 2012Bompiani ha pubblicato unvolume, curato da Manuela

Sanna e Vincenzo Vitiello,che racchiude le tre diverseedizioni della Scienza nuova,datate 1725, 1730 e 1744:

lo apre un ampio eimportante saggio di Vitiellointitolato Vico nel suo tempo.

Quest'anno è statapubblicata un'edizione della

prima Scienza nuova, con iltitolo originario Principj di

una Scienza nuova, a cura diPaolo Cristofolini (Ets). Con

commenti e apparati piùspecialistici le opere di Vicovengono pubblicate in una

edizione critica dalle Edizionidi Storia e Letteratura

(http:11storiaeletteratura.it/?s=Giambattista+Vico). Tra imolti libri dedicati al filosofonapoletano negli Stati Uniti,

vale la pena di ricordare ilcommento filosofico alla

Scienza nuova, uscitoall'inizio di quest'anno, delfamoso studioso Donald P.

Verene: Vico's «New Science».A Philosophical Commentary,

(Cornell University Press,pagine 309, $ 59,95)

tifica e, dall'altro, dellariduzione dell'oggettodel filosofare, la verità,alla sola dimensionedell'interpretazione,l'ermeneutica, o delleregole del metodo scien-tifico, l'epistemologia. Ilpunto decisivo è quelloche Possenti definisceun equivoco basilare,che ha deviato la ricercafilosofica, incamminan-dola verso il mondo diciò che viene pensatodal soggetto, non piùverso il mondo del realeconcreto che prendeforma dall'essere che losostanzia. In ultimaanalisi, a partire dalladistinzione cartesianatra res cogitans e resextensa la filosofia mo-derna ha abbandonatoquest'ultima alla scien-za, e si è ripiegata su sestessa, perdendo ognicontatto con le doman-de ultime che l'uomonon può trovare se nonnella trascendenza. Allacritica di Possenti nonsfugge neppure GustavoBontadini, il più rile-vante esponente dellaneoscolastica cattolica,che nella seconda partedel XX secolo ha cercatodi rinnovare, sulla sciadi Maritain, il pensierotomistico. A dire di Pos-senti, di fronte all'odier-na crisi, si tratta diripensare l'intero corsodettafilosofia postgre-ca, di ributtare gli sche-mi storiografici formati-si nella modernità apartire dal Seicento, diconsiderare il pensieromoderno come una pos-sibilità da riesaminarecriticamente e forseoltrepassare, in direzio-ne di una nuova esplo-razione dell'essere edelle sue categorie. Do-po la pars destruens,però, quella costruensappare ancora tutta daesplorare.

O RIPRODUZIONE RISERVATA

ILLUSTRAZIONEDI SR GARCÏA