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Fisica Applicata Prof. Andrea Biscarini
Università degli Studi di Perugia Corso di Laurea in Fisioterapia
Alcune illustrazioni in questa presentazione sono tratte dal libro di testo adottato nel corso: D. Scannicchio, Fisica Biomedica, Edises.
Capitolo 1: INTRODUZIONE
• Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura • Elementi di algebra vettoriale
Capitolo 2: MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI
• Cinematica del punto materiale • Dinamica del punto materiale • Lavoro ed energia • Meccanica dei sistemi • Biomeccanica del sistema muscolo scheletrico
Capitolo 3: MECCANICA DEI FLUIDI
• I fluidi • Statica dei fluidi • Dinamica dei fluidi e circolazione del sangue
Capitolo 4: ONDE IN MEZZI ELASTICI
• Onde in mezzi elastici • Il suono e gli ultrasuoni • Gli ultrasuoni in medicina
Capitolo 5: TERMOLOGIA
• Calorimetria • Termoregolazione del corpo umano • Termodinamica
Capitolo 6: ELERROMAGNETISMO
• Interazioni elettriche e magnetiche • Onde elettromagnetiche • Le radiazioni in medicina
1. INTRODUZIONE
• Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura • Elementi di algebra vettoriale
Fisica, grandezze fisiche e sistemi di unità di misura
Campo di indagine La Fisica si occupa dello studio degli aspetti più generali dei fenomeni naturali cercando in essi quello che vi è di essenziale per risalire alle leggi che governano questi fenomeni e ai principi universali da cui queste leggi derivano.
Leggi e Principi • Nelle scienze sperimentali, un principio è un enunciato che costituisce la generalizzazione di una vasta
evidenza sperimentale e che si assume come vero per ogni possibile ulteriore esperienza: esso funziona quindi come criterio guida per la formulazione di leggi e teorie (che non devono ammettere conseguenze in contraddizione con il principio) o per deduzioni e dimostrazioni teoriche (dove funziona come premessa inviolabile).
• Il riferimento all’evidenza sperimentale distingue il principio dal postulato (in quanto semplice premessa di un sistema ipotetico-deduttivo).
• L’ampiezza del campo di applicazione (che può essere comune a diverse teorie e addirittura a diverse discipline) lo distingue dalla legge che si riferisce ad un fenomeno specifico.
• Un principio si distingue da un teorema, che è un enunciato (o proposizione o formula o proprietà) che può essere dimostrato, cioè che può essere dedotto logicamente dagli enunciati primitivi, detti assiomi o postulati e dagli stessi principi.
Teorie scientifiche
Formulazione logicamente coerente di un insieme di definizioni, principî e leggi generali che consente di descrivere, interpretare, classificare, spiegare, a varî livelli di generalità, aspetti della realtà naturale.
La Fisica
La fisica classica (codificata prima del XX secolo) può essere suddivisa in tre capitoli fondamentali: Meccanica
• Cinematica: studio del moto dei sistemi, indipendentemente dalle cause che generano il moto. • Dinamica: studio del moto dei sistemi in relazione alle cause (forze) che lo generano. • Statica: studio delle configurazioni di equilibrio dei sistemi e delle condizioni per cui tali
configurazioni si realizzano. Termodinamica
Studio del comportamento macroscopico di sistemi termodinamici (sistemi complessi costituiti da un grande numero di particelle, ovvero costituiti da un gran numero di gradi di libertà) per i quali i metodi della meccanica risultano inefficaci.
Elettromagnetismo
Studio dei fenomeni e delle interazioni di natura elettrica e magnetica e delle loro connessioni.
I tre capitoli fondamentali della fisica classica
Grandezze fisiche
Definizione Una grandezza fisica è una proprietà fisica di un fenomeno naturale o di sistema materiale che può essere quantificata mediante una misura. Dunque, una grandezza fisica deve essere definita in maniera operativa, cioè mediante le operazioni che conducono alla sua determinazione numerica. Una grandezza fisica è definita quando:
- sia possibile stabilire, senza possibilità di equivoco, la validità dei principi di uguaglianza e di somma (e differenza);
- sia fissata una unità di misura.
* * * Grandezze Scalari
Grandezze determinate dal numero che fissa il loro rapporto alla corrispondente unità di misura scelta. Esempi: volume, massa, energia, pressione, temperatura.
Grandezze vettoriali
Grandezze la cui determinazione richiede l’individuazione di un numero (intensità o modulo della grandezza), una direzione ed un verso. Esempi: spostamento, velocità, accelerazione, forza, quantità di moto, campo elettrico, campo magnetico.
Grandezze fondamentali: grandezze per le quali l’unità di misura è definita in modo arbitrario mediante l’individuazione di un campione.
Grandezze derivate:
grandezze per le quali l’unità di misura si deduce per mezzo delle relazioni che legano queste grandezze alle grandezze fondamentali.
Criteri di scelta delle grandezze fondamentali:
• Grandezze scelte siano facilmente misurabili. • Sia possibile scegliere per queste grandezze dei campioni facilmente riproducibili e stabili nel tempo.
* * * Sistema di unità di misura:
Un sistema di unità di misura è definito quando sia stata compiuta una scelta delle grandezze fondamentali e delle corrispondenti unità di misura (mediante l’individuazione dei relativi campioni) in numero sufficiente da poter esprimere l’unità di misura di tutte le altre grandezze (grandezze derivate) mediante le unità delle grandezze fondamentali.
Sistemi di unità più diffusi:
• Sistema internazionale • Sistema c.g.s. • Sistema di Gauss • Sistema tecnico o degli ingegneri
Sistemi di unità di misura
Grandezza fondamentale Unità SI
Nome Simbolo Definizione
Intervallo di tempo (Tempo)
secondo s
Intervallo di tempo che contiene 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133.
Lunghezza metro m Lunghezza percorsa dalla luce nel vuoto nell’intervallo di tempo 1 / 299.792.458 s.
Massa kilogrammo kg Massa di un campione di platino-iridio conservato nel laboratorio di pesi e misure di Sevres .
Temperatura termodinamica kelvin K Frazione 1/ 273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua.
Intensità di corrente elettrica ampere A
Intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori rettilinei, paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e posti alla distanza di 1 m l’uno dall’altro nel vuoto, produce tra i due conduttori la forza di 2x10-7 N su ogni metro di lunghezza.
Intensità luminosa candela cd
Intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540·1012 hertz e che ha un’ intensità di radiazione in quella direzione di 1/683 watt per steradiante.
Quantità di sostanza mole mol
Quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12. Le entità elementari devono essere specificate e possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, ecc. ovvero gruppi specificati di tali particelle
Grandezze fondamentali supplementari
Angolo piano radiante rad Angolo piano al centro che su una circonferenza intercetta un arco di lunghezza uguale a quella del raggio
Angolo solido steradiante sr Angolo solido al centro che su una sfera intercetta una calotta di area uguale a quella del quadrato il cui lato ha la lunghezza del raggio
Sistema internazionale
R
sradianti )(
R
s
R
s
22
:R
Rgiroangolo
R
Rpiattoangolo
2/2:
2
4/2:
R
Rrettoangolo
radRs 1
Il radiante
Misura degli angoli in radianti
Il radiante
fattore di moltiplicazione
prefisso simbolo
10 24 yotta Y
10 21 zetta Z
10 18 exa E
10 15 peta P
10 12 tera T
10 9 giga G
10 6 mega M
10 3 chilo k
10 2 etto h
10 1 deca da
10 -1 dieci d
10 -2 centi c
10 -3 milli m
10 -6 micro µ
10 -9 nano n
10 -12 pico p
10 -15 femto f
10 -18 atto a
10 -21 zepto z
10 -24 yocto y
Multipli e sottomultipli
Massa della terra = 6 × 1024 kg
Massa dell’elettrone = 9.1093836 × 10-31 kg
Raggio classico del protone ≈ 10-15 m
Distanza media terra-sole = 1.495 ×1011 m
Lunghezza di Planck = 1,616 252 × 10-35 metri (la più piccola distanza oltre la quale il concetto di dimensione perde ogni significato fisico)
Distanza che la radiazione cosmica di fondo ha percorso dal Big Bang
≈ 1026 m
Dimensione di un quark ≈ 10-21 m
Massa dell'universo osservabile = 3 × 1052 kg
Massa di una cellula umana ≈ 10-12 kg
Massa del neutrino ≈1.2 × 10-35 kg
Dimensioni di una cellula umana ≈ 5x10-5 m
Massa del sole = 2 × 1030 kg
Dimensioni del nucleo atomico ≈ 10-14 m
Raggio covalente atomico ≈ 10-10 m
Diametro equatoriale della Terra = 1.2756 107 m
1 unità di massa atomica = 1,6605402 × 10-27 kg (1/12 massa dell'isotopo 12 del carbonio)
(≈ massa dell'atomo di idrogeno)
Dimensioni fisiche ed equazioni dimensionali
][][ 321
321 nnnFFFA
Equazione dimensionale Le funzioni che legano le grandezze derivate (A , B , … ) alle grandezze fondamenti (F1 , F2 , F3 , … ) sono funzioni omogenee rispetto alle grandezze fondamentali, cioè possono esprimersi come il prodotto delle grandezze fondamentali elevate ad esponenti interi positivi o negativi. Ciò viene descritto formalmente mediante l’equazione dimensionale della grandezza derivata A:
Dimensioni fisiche I coefficienti n1 , n2 , n3 , … che intervengono nell’equazione dimensionale della grandezza derivata A prendono il nome di dimensioni fisiche di A rispetto alle grandezze fondamentali F1 , F2 , F3 , …
Unità di misura delle grandezza derivate
L’unità di misura di una grandezza derivata si deduce immediatamente dalla sua equazione dimensionale: è il prodotto delle unità fondamentali elevate agli esponenti che compaiono nell’equazione dimensionale. Esempi: unità della velocità: ms-1 o m/s; unità di misura dell’accelerazione ms-2 o m/s2.
Prodotto di grandezze fisiche
Per un prodotto di grandezze fisiche (fondamentali o derivate) la relazione dimensionale si ottiene dalla relazione analitica che rappresenta il prodotto, sostituendo alle grandezze le corrispondenti relazioni dimensionali ed applicando ai prodotti dei simboli delle grandezze fondamentali le normali regole dell’algebra.
][][11
TLv
][][]][[]][[][321212
TMLLTMLTTLLTMAt
malA
][][21
TLaEsempi: velocità ed accelerazione
Unità : kg∙m2∙s-3 (watt)
Elementi di algebra vettoriale
Definizione Ente geometrico definito da una direzione, un verso ed un modulo (numero reale positivo)
Rappresentazione
Può essere rappresentato da un segmento orientato AB: direzione = quella della retta che congiunge A e B verso = quello che porta da A a B lungo tale retta modulo = lunghezza del segmento AB
Denotazione
Si denota con il segmento orientato che lo rappresenta, o con una freccia al di sopra di una lettera, o con una lettera in grassetto:
Il modulo del vettore si denota rispettivamente con IABI o v
Definizione di vettore e sua rappresentazione
v
A
B v v
AB
vAB
Somma di n vettori
Definizione Dati n vettori si applichi il primo vettore in un punto qualsiasi, il secondo nell’estremo del primo, il terzo nell’estremo del secondo e così via fino ad applicare l’ultimo vettore nell’estremo del penultimo. Si definisce risultante o somma degli n vettori e si indica con il simbolo il vettore che ha origine coincidente con l’origine del primo vettore ed estremo coincidente con l’estremo dell’ultimo vettore
R
1v
nv
2v 3v
1nv
nvvv
21
Somma di due vettori: regola del parallelogramma
1v
2v
1v
12 vv
2v
Proprietà La somma di due vettori si ottiene applicando i vettori in un punto, costruendo il parallelogramma di lati v1 e v2 e prendendo la diagonale a partire dal comune punto di applicazione.
Definizione Dato un vettore v ed uno scalare a si definisce prodotto di v per a e si indica con il vettore con: direzione = quella del vettore v
verso = il verso di v se a è positivo quello opposto se a è negativo modulo = il prodotto del modulo di a e del modulo di v
Esempi
Prodotto di un vettore per uno scalare
va
v
v
2
v
2
2
v
vv
1
Differenza fra due vettori
Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce differenza fra v2 e v1 e si indica con v2 – v1
il vettore
121212 )1( vvvvvv
1v
2v
12 vv
12 vv
Proprietà Per determinare la differenza v2 – v1 si applicano i vettori in un medesimo punto e si traccia il vettore che va dall’estremo di v1 all’estremo di v2
2v
1v
Versore
vvv ˆ
Definizione Dato un vettore v si dice versore di v e si indica con il simbolo il vettore di lunghezza unitario che ha la direzione ed il verso di v
Proprietà
Un qualsiasi vettore può essere scritto come il prodotto del suo modulo per il suo versore
v
v
v
1
v
iv ˆ3
zassevesrsorek
yassevesrsorej
xassevesrsorei
ˆ
ˆ
ˆ
y
z
x
i
j
k
Versori degli assi cartesiani
modulo verso direzione
vettore di modulo pari a 3, diretto come l’asse delle x, ma in verso opposto
Prodotto scalare fra 2 vettori
cos2121 vvvv
1v
2v
Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto scalare fra v1 e v2 e si indica con il simbolo
la grandezza scalare: 21 vv
1v
2v
21211cos0 vvvv
cos2121 vvvv
0
1° caso
1v
2v
01cos0900 21 vv
cos2121 vvvv
900
2° caso
1v
2v
00cos90 21 vv
cos2121 vvvv
Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano perpendicolari è che il loro prodotto scalare sia nullo
90
3° caso
00cos118090 21 vv
cos2121 vvvv
2v
1v
18090
4° caso
21211cos180 vvvv
cos2121 vvvv
2v
1v
180
5° caso
1cos0
900
0cos1
18090
0cos
90
1cos
0
1cos
180
cos2121 vvvv
2121 vvvv
021 vv
021 vv
021 vv
2121 vvvv
1v
1v
1v
1v
1v
2v
2v
2v
2v
2v
Prodotto vettoriale fra 2 vettori
nvvvv ˆsin2121
1v
2v
Condizione necessaria e sufficiente affinché due vettori siano paralleli è che il loro prodotto vettoriale sia nullo
Definizione Dati due vettori v1 e v2 si definisce prodotto vettoriale fra v1 e v2 e si indica con il simbolo il vettore:
n
21 vv
21 vv
2. MECCANICA DEL PUNTO E DEI SISTEMI
• Cinematica del punto materiale • Cinematica articolare • Dinamica del punto materiale • Lavoro ed energia • Meccanica dei sistemi • Biomeccanica del sistema muscoloscheletrico
Cinematica del punto materiale
Il punto materiale
Un sistema meccanico può essere schematizzato come un punto geometrico (punto materiale) se:
• le sue dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle che intervengo nel problema specifico (es. distanze percorse) • non ha interesse studiare i cambiamenti di orientamento del sistema e le sue deformazioni
* * *
Esempi: 1) La terra può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rivoluzione attorno al sole.
2) La terra non può essere schematizzata come un punto materiale, se si studia il suo moto di rotazione diurna attorno all’asse polare. Uno stesso sistema può essere o non essere schematizzato come un punto materiale, a seconda del problema considerato.
Equazione oraria
x(t) O P(t)
traiettoria (rettilinea)
)(txx
P(t) traiettoria (rettilinea)
Consideriamo un punto P che si muove su traiettoria rettilinea
Stabiliamo sulla traiettoria rettilinea un sistema di ascisse (asse delle x): 1. Prendiamo sulla traiettoria un punto O come origine del sistema di ascisse 2. Scegliamo sulla traiettoria un verso di percorrenza 3. Associamo ad ogni punto P della traiettoria il valore x pari alla distanza di P da O presa con segno: valore positivo (negativo) se il verso di OP è concorde (discorde) con quello dell’asse x
x
Posizione di P all’istante t
Equazione oraria Nota la traiettoria, il moto del punto è completamente descritto dalla conoscenza del valore di x (posizione di P) ad ogni istante, cioè dalla conoscenza della funzione che definisce il valore di x ad ogni istante. Questa funzione prende il nome di equazione oraria
Vettore posizione
y
z
x
i
j
k
O
P(t)
)(tr
)(),(),()(P tztytxt
Vettore posizione
)()(OP trt
Traiettoria
Posizione di P all’istante t
Individua la posizione di P all’istante t
0,0,0O
Vettore spostamento
)(tr
)( ttr
r
Vettore spostamento nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
)()( trttrr
P(t )
P(t+t )
Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
Vettore velocità media
)(tr
)( ttr
r
Vettore velocità media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
t
trttr
t
rvM
)()(
P(t )
P(t +t )
Mv
direzione: retta che congiunge P(t) e P(t+t) verso: quello che porta da P(t) e P(t+t) modulo: quello di P(t) P(t+t) diviso t
Caratterizza in modulo direzione e verso lo spostamento del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto.
Vettore velocità istantanea
Vettore velocità istantanea all’istante t
dt
rd
t
trttr
t
rtv
tt
)()(limlim)(
00
P(t )
P(t +t )
Mv
)(tv
direzione: individua la direzione del moto: retta tangente alla traiettoria in P(t) verso: individua il verso del moto modulo: caratterizza la rapidità con cui cambia la posizione del punto all’istante t
dt
vd
t
tvttv
t
vta
tt
)()(limlim)(
00
t
tvttv
t
vaM
)()(
)()( tvttvv
Vettore accelerazione media e istantanea
Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
Caratterizza in modulo, direzione e verso la variazione di velocità del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.
Caratterizza in modulo, direzione e verso la rapidità con cui cambia la velocità del punto all’istante t
Vettore accelerazione istantanea all’istante t
Vettore accelerazione media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
Vettore variazione di velocità nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
)(tv
)( ttv
)(tv
)( ttv
)(ta
Accelerazione tangenziale
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione tangenziale.
il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo)
v
)(tv
)( ttv
t
vta
t
0lim)(
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo, e non la sua direzione (moto rettilineo), allora il vettore accelerazione è parallelo al vettore velocità e quindi è tangente alla traiettoria e prende il nome di accelerazione tangenziale.
il vettore velocità varia in modulo e non in direzione (moto rettilineo)
)(tv
)( ttv
)(ta
v
)(tv
)( ttv t
vta
t
0lim)(
Accelerazione centripeta
il vettore velocità varia in direzione ma non in modulo (es. moto circolare uniforme)
)(tv
)(ta
Se il vettore velocità varia perché varia la sua direzione (moto curvilineo) e non il suo modulo (moto uniforme), allora il vettore accelerazione è perpendicolare al vettore velocità e quindi alla traiettoria, è diretto verso il centro di curvatura della traiettoria, e prende il nome di accelerazione centripeta.
Accelerazione tangenziale e centripeta
centro di curvatura in P
P
Ca
Ta
a
TC aaa
il vettore velocità varia in direzione e in modulo (es. moto curvilineo non uniforme)
cerchio osculatore in P
Se il vettore velocità varia perché varia il suo modulo (moto non uniforme) e la sua direzione (moto curvilineo), allora il vettore accelerazione è la somma di un componente tangenziale (accelerazione tangenziale), legato alla variazione del modulo della velocità, e di un componente centripeto (accelerazione centripeta), legato alla variazione della direzione della velocità
Moto rettilineo, moto uniforme
Moto Velocità Accelerazione
Moto rettilineo
vettore velocità costante in direzione accelerazione centripeta nulla
Moto uniforme
vettore velocità costante in modulo
accelerazione tangenziale nulla
Moto rettilineo uniforme vettore velocità costante (in direzione e modulo)
vettore accelerazione nullo (accelerazione tangenziale e centripeta nulle)
CT aaa
;0
TC aaa
;0
0;0 aaa CT
costv
costv
cost)vers(ˆ vv
0)( xvttx
Moto rettilineo uniforme
cost.v
v
x
P
x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0
+v se la velocità è diretta nello stesso verso dell’ asse x
-v se la velocità è diretta in verso opposto all’ asse x
Equazione oraria
Moto rettilineo uniformemente vario
cost.a
x a
0v
P
002
t2
1)( xvattx
x0 = Posizione del punto all’istante iniziale t = 0
v0 = Modulo della velocità all’istante iniziale t = 0
+a se l’accelerazione ha lo stesso verso dell’ asse x
-a se l’accelerazione ha verso opposto all’ asse x
se la velocità iniziale ha stesso verso dell’ asse x
-vo se la velocità iniziale ha verso opposto all’ asse x
+vo
Equazione oraria
atvtv 0)(
Moto uniformemente accelerato (l’accelerazione ha lo stesso verso della velocità)
atvtv 0)(
Moto uniformemente decelerato (l’accelerazione ha verso opposto rispetto alla velocità)
iniziale)velocità( 0 v
ESERCIZIO
Problema: un punto materiale si muove di moto rettilineo uniforme con velocità V0 paria 10 m/s. Ad un certo istante inizia a frenare con decelerazione costante pari a 2 m/s2. Determinare la distanza dF percorsa nel corso della frenata ed il relativo intervallo tempo (tempo di frenata tF).
002
0
xt2
1
)(
vatx
atvtv
a
Scegliamo come istante iniziale l’istante in cui il punto inizia a frenare. Prendiamo l’asse x coincidente con la traiettoria, verso quello del moto, ed origine coincidente con la posizione del punto all’istante iniziale.
Il moto è uniformemente vario (decelerato). Scriviamo le equazioni del moto:
Nel nostro caso
0v 0
v
tt F
Fdx
0
0
x
t
t2
1
)(
02
0
vatx
atvtv
a
v
a
v
a
v
a
vv
a
vavattxx arrarrarr
22
1
2
1t
2
1)(
2
0
2
0
2
0002
2
0arr0
2
La posizione del punto all’istante di arresto si determina calcolando il valore di x all’istante di arresto :
Il tempo di frenata è la differenza fra l’istante di arresto e l’istante t0=0 in cui il punto inizia a frenare
a
v
a
vttt arrF
000 0
La distanza percorsa nel corso della frenata è data dal valore di x all’istante di arresto meno il valore di x all’istante in cui il punto inizia a frenare (x0=0):
a
v
a
vxxd arrF
20
2
20
20
0
Sostituendo i valori numerici si trova: stF 5 mdF 25
a
vtF
0
a
vd F
2
20
a
vtatvv arrarr
00 00
All’istante di arresto tarr la velocità si annulla:
a
vt
a
vd
F
F
0
20
2
F
FF
atv
atd
0
2
2
1
a
dt
adv
FF
F
2
20
Dalle precedenti equazioni, noto a e v0 determino dF e tF
Noto a e tF determino dF e v0
Noto a e dF determino v0 e tF
F
FF
t
va
tvd
0
0
2
Noto v0 e tF determino dF e a
2
0
2
2
F
F
F
t
da
t
dv
Noto dF e tF determino v0 e a
0
20
2
2
v
dt
d
va
FF
F
Noto v0 e dF determino a e tF
Le precedenti sono due equazioni nelle quattro variabili a, v0 , dF e tF . Note due di queste variabili si determinano le altre due
Velocità angolare
dt
d
t
ttt
tt
tt
)()(limlim)(
00
P(t)
P(t+t)
)()( ttt
t
ttt
tM
)()(
Velocità angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
Spostamento angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
Velocità angolare istantanea all’istante di tempo t
Caratterizza in modulo e segno lo spostamento angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questo spostamento è avvenuto.
Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la coordinata angolare del punto all’istante t
Accelerazione angolare
Accelerazione angolare media nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
Variazione di velocità angolare nell’intervallo di tempo [t, t +t ]
Accelerazione angolare istantanea all’istante t
Caratterizza in modulo e segno la variazione di velocità angolare del punto nell’intervallo di tempo [t, t +t ], e la rapidità con cui questa variazione è avvenuta.
Caratterizza in modulo e segno la rapidità con cui cambia la velocità angolare del punto all’istante t
)()( ttt
t
ttt
tM
)()(
dt
d
t
ttt
tt
tt
)()(limlim)(
00
(t)
(t+t)
Moto circolare uniforme
(t)
P(t)
Ca
v
cost
Nel moto circolare uniforme la velocità angolare è costante
R
0)( tt
T
2
Tf
1
Equazione oraria
Periodo T
f 2
2f
Frequenza f
2T
Rv
RaC2
Accelerazione
Velocità
Moto armonico
(t)
P(t)
Px
Definizione Dato un punto che si muove di moto circolare uniforme, chiamiamo moto armonico il moto della proiezione di P su un diametro (es. asse x) della circonferenza descritta da P.
)cos()(cos)( 0 tRtRtx
Equazione oraria
x(t) x R
f 2
2f
Cinematica articolare
OSTEOKINEMATICS
Osteokinematics describes the gross angular motion of the shafts of bones that can be executed voluntarily, and are described as occurring relative to the three cardinal planes of the body (for exmaple, flexion and extension in the sagittal plane, abduction and adduction in the frontal plane, and medial and lateral rotation in the transverse plane). These physiological movement can be performed voluntarily.
Osteokinematics
Planes of motion
Piano frontale Piano sagittale Piano trasverso
Axis of rotation
Asse longitudinale
Asse sagittale
Asse trasversale
Flexion A decrease in joint angle (in the sagittal plane) Extension An increase in joint angle (in the sagittal plane)
Joint movements in the Sagittal Plane (around a ML axis)
Abduction Movement away from the midline of the body (in the frontal plane). Adduction Movement toward the midline of the body (in the frontal plane). Lateral Flexion Displacement of the trunk away from the midline in the frontal plane (in the frontal plane).
Joint movements in the Frontal Plane (around an AP axis)
External (lateral) Rotation Movement of the anterior side of a segment away from the midline of the body. Internal (medial) Rotation Movement of the anterior side of a segment toward the mid-line of the body. Horizontal Adduction (flexion) Horizontal motion that results in movement toward the midline. Horizontal Abduction (extension) Horizontal motion that results in movement away from the midline.
Joint movements in the Transverse Plane (around a longitudinal axis)
Scapula & Clavicle (Sternoclavicular, Acromioclavicular) Abduction (Protraction) Adduction (Retraction) Depression Elevation Rotation Upward (Superior Rotation) Rotation Downward (Inferior Rotation) Internal Rotation Extrenal rotation Anterior tilt Posterior tilt Shoulder (Glenohumeral) Flexion Extension / Hyperextension Adduction Abduction Transverse Adduction Transverse Flexion Transverse Abduction Transverse Extension Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Elbow Flexion Extension Forearm (Radioulnar) Pronation Supination
Wrist & Midcarpals Flexion Extension / Hyperextension Adduction (Ulna Deviation) Abduction (Radial Deviation) Fingers (Metacarpophalangeal) Flexion Extension / Hyperextension Adduction Abduction Fingers (Interphalangeal) Flexion Extension Thumb (Carpometacarpal) Flexion Extension Adduction Abduction Opposition Thumb (Metacarpophalangeal) Flexion Extension Adduction Abduction Thumb (Interphalangeal) Flexion Extension / Hyperextension
Osteokinematics of upper limb
Hip Flexion Extension Adduction Abduction Transverse Adduction Transverse Abduction Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Knee Flexion Extension Medial Rotation (Internal Rotation) Lateral Rotation (External Rotation) Ankle Plantar Flexion Dorsi Flexion Foot (Intertarsal) Inversion Eversion Plantarflexion Toes (Metatarsophalangeal) Flexion Extension / Hyperextension Abduction Adduction Toes (Interphalangeal) Flexion Extension
Osteokinematics of lower limb
Osteokinematics of spine
Atlanto-occipital joint Flexion Extension Lateral Flexion Atlanto-axial joint Flexion Extension Rotation C3-C7 Flexion Extension Lateral Flexion Rotation Thoracic Spine Flexion Extension Lateral Flexion Rotation Lumbar Spine Flexion Extension Lateral Flexion Rotation
tibial-on-femoral movement
femoral-on-tibial movement
Knee flexion
knee flexion describes only the relative motion between the thigh and leg. It does not describe which of the two segments is actually rotating. Often, to be clear, it is necessary to state the bone that is considered the primary rotating segment. For example, the terms tibial-on-femoral movement and femoral-on-tibial movemen adequately describe the osteokinematics
Mobilized segment
Definition of Arthrokinematics
Arthrokinematics describes (refer to) the motion that occurs between the articular surfaces of joints.
Relevant biomechanical characteristics • allow greater ostoekinematic motion of bone levers • are necessary for normal joint functioning through the ROM • can be demonstrated passively, but they cannot be performed actively by the patient • need adequate capsule laxity or joint play to occur • are used to determine joint mobility and integrity Clinical implications A limited or faulty arthrokinematic movement of the joint surfaces may result in • limited ostoekinematic motion of bone levers • abnormal joint mechanics • microtrauma and joint dysfunction • pain
Arthrokinematic movements
• Roll • Slide • Spin • Compression • Separation
Artrocinematica
Characteristics of one bone rolling on another: • The surfaces are incongruent. • New points on one surface meet new points on the opposing surface. • Rolling results in angular motion of the bone (swing).
Roll
Analogy: a tire rotating across a pavement
Clinical implications • Rolling, if it occurs alone, causes compression of the surfaces on the side to which the bone is swinging and
separation on the other side. Passive stretching using bone angulation alone may cause stressful compressive forces to portions of the joint surface, potentially leading to joint damage. Passive stretching using bone angulation alone may cause stressful compressive forces to portions of the joint surface, potentially leading to joint damage.
• In normally functioning joints, pure rolling does not occur alone but in combination with joint sliding and spinning.
Artokinematic principle of roll Rolling is always in the same direction as the swinging bone motion whether the surface is (A) convex or (B) concave.
Characteristics of one bone sliding (translating) across another: • For a pure slide, the surfaces must be congruent, either flat or curved • The same point on one surface comes into contact with the new points on the opposing surface. • Pure sliding does not occur in joints, because the surfaces are not completely congruent.
Clinical implications The joint mobilization techniques use the sliding component of joint motion to restore joint play and reverse joint hypomobility. It is used to control pain when applied gently or to stretch the capsule when applied with a stretch force. Rolling (passive angular stretching) is not used to stretch tight joint capsules, because it causes joint compression.
Slide
Analogy: a non-rotating tire skidding across an icy pavement
Roll
Slide
First Arthrokinematic Principle of Movement For a convex-on-concave surface movement, the convex member rolls and slides in opposite directions
Atrokinematics of femoral-on-tibial extension: “the femoral condyles simultaneously roll anteriorly and slide posteriorly on the articular surface of the tibia”
Arthrokinematics at the glenohumeral joint during abduction. The glenoid fossa is concave, and the humeral head is convex. A) Roll-and-slide arthrokinematics typical of a convex articular surface moving on a relatively stationary concave articular surface. B) Consequences of a roll occurring without a sufficient offsetting slide.
Roll Slide
Second Arthrokinematic Principle of Movement For a concave-on-convex surface movement, the concave member rolls and slides in similar directions
Artokinematics of tibial-on-femoral extension: “the articular surface of the tibia rolls and slides anteriorly on the femoral condyles”
Characteristics of one bone spinning on another: • There is rotation of a segment about a stationary mechanical axis. • The same point on the moving surface creates an arc of a circle as the bone spins. • Spinning rarely occurs alone in joints but in combination with rolling and sliding.
Three examples of spin occurring in joints of the body are A. the shoulder with flexion/extension, B. the hip with flexion/ extension, C. the radiohumeral joint with pronation/supination
Spin
Analogy: A toy top rotating on one spot on the floor
Compression is the decrease in the joint space between bony partners. Characteristics • Compression normally occurs in the extremity and spinal joints when weight bearing. • Some compression occurs as muscles contract, which provides stability to the joints. • As one bone rolls on the other, some compression also occurs on the side to which the bone is angulating. • Normal intermittent compressive loads help move synovial fluid and, thus, help maintain cartilage health. • Abnormally high compression loads may lead to articular cartilage changes and deterioration
Compression
Clinical implications For joint mobilization/manipulation techniques, distraction is used to control or relieve pain when applied gently or to stretch the capsule when applied with a stretch force. A slight distraction force is used when applying gliding techniques.
Traction and separation (distraction) are not synonymous. Traction (or long-axis traction) is a longitudinal pull, that is, a pull on the long axis of a bone. Separation (or distraction or joint traction) is a separation (or pulling apart) of the joint surfaces .
Separation of the joint surfaces (distraction) does not always occur when a traction force is applied to the long axis of a bone. For example, if traction is applied to the shaft of the humerus when the arm is at the side, it results in a glide of the joint surface (A). Distraction of the glenohumeral joint requires a force to be applied at right angles to the glenoid fossa (B).
Separation
The arthrokinematic motions between joint surfaces is controlled by: • Shape of the articular surfaces
The more congruent the joint surfaces are, the more sliding there is of one bony partner on the other with movement. The more incongruent the joint surfaces are, the more rolling there is of one bony partner on the other with movement.
• Tension in periaricular connective tissue (ligaments, capsule, ...)
The anterior cruciate ligaments controls the posterior slide of the tibial plateau during
OKC knee extension. ACL deficient knee often display altered knee artokinematics.
• Muscle forces
When muscles actively contract to move a bone, some of the muscles may cause or control the sliding movement of the joint surfaces. For example, the caudal sliding motion of the humeral head during shoulder abduction is caused by the rotator cuff muscles
Control of Arthrokinematic Movements
posterior tibial slide
tibiofemoral compression
roll
knee extension
Knee extension and cruciate ligament
anterior tibial slide
tibiofemoral compression
roll
knee extension
ante
rio
r ti
bia
l slid
e
tibiofemoral compression roll
knee extension
external tibial spin
Applications: manual therapy techniques
The principles serve as a basis for some manual therapy techniques. Gentle mobilizations may be used to treat pain and muscle guarding, whereas stretching techniques are used to treat restricted movement. Painful joints, reflex muscle guarding, and muscle spasm Small-amplitude distraction or gliding movements of the joint are used to cause synovial fluid motion, which is the vehicle for bringing nutrients to the avascular portions of the articular cartilage (and intra-articular fibrocartilage when present). Gentle joint-play techniques help maintain nutrient exchange and, thus, prevent the painful and degenerating effects of stasis when a joint is swollen or painful and cannot move through the ROM. When applied to treat pain, muscle guarding, or muscle spasm, these techniques should not place stretch on the reactive tissues. Reversible Joint Hypomobility Reversible joint hypomobility can be treated with progressively vigorous joint-play stretching techniques to elongate hypomobile capsular and ligamentous connective tissue. Sustained or oscillatory stretch forces are used to distend the shortened tissue mechanically. Positional Faults/Subluxations A faulty position of one bony partner with respect to its opposing surface may result in limited motion or pain. This can occur with a traumatic injury, after periods of immobility, or with muscle imbalances. The faulty positioning may be perpetuated with maladapted neuromuscular control across the joint, so whenever attempting active ROM, there is faulty tracking of the joint surfaces resulting in pain or limited motion. MWM techniques attempt to realign the bony partners while the person actively moves the joint through its ROM. Subluxations Thrust techniques are used to reposition an obvious subluxation, such as a pulled elbow or capitate-lunate subluxation. Progressive Limitation Diseases that progressively limit movement can be treated with joint-play techniques to maintain available motion or retard progressive mechanical restrictions. The dosage of distraction or glide is dictated by the patient’s response to treatment and the state of the disease. Functional Immobility When a patient cannot functionally move a joint for a period of time, the joint can be treated with nonstretch gliding or distraction techniques to maintain available joint play and prevent the degenerating and restricting effects of immobility.
Dinamica del punto materiale
Sistemi di riferimento inerziali Un Sistema di riferimento inerziale è definito dalla condizione che rispetto ad esso lo spazio è omogeneo ed isotropo ed il tempo omogeneo. In particolare, un punto materiale libero (non soggetto ad alcuna interazione con altri sistemi) che ad un dato istante si trovi in uno stato di quiete in un sistema di riferimento inerziale, permarrà in quiete per un periodo di tempo illimitato (in un sistema di riferimento inerziale ogni posizione è posizione di equilibrio per un punto libero).
Principio di inerzia In un sistema di riferimento inerziale, un punto materiale libero permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.
Principio di relatività galileiana (Galileo) I fenomeni meccanici si svolgono con leggi dello stesso tipo in tutti i sistemi di riferimento in moto traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro. Dal principio di relatività segue che se un sistema di riferimento è inerziale ogni altro sistema di riferimento che si muova rispetto al primo di moto traslatorio rettilineo uniforme è anch’esso inerziale.
Primo principio della dinamica
Il secondo principio della dinamica
amF
Secondo principio della dinamica (Newton) L’applicazione di una forza ad un punto materiale, produce un’accelerazione con direzione e verso coincidenti con quello della forza, e modulo proporzionale a quello della forza.
m = massa inerziale del punto
2 MLTMaF )(
2NNewtonsmkg
Dimensioni e unità di misura della forza.
Forza Ente in grado di perturbare lo stato di quiete o di moto rettilineo di un punto in un riferimento inerziale. La forza può essere definita in modo operativo, staticamente, mediante la deformazione che produce su un sistema facilmente deformabile, quale ad esempio una molla (dinamometro).
Principio di sovrapposizione Quando più forze sono applicate contemporaneamente ad un punto, l’effetto complessivo è uguale a quello che si ottiene applicando al punto la risultante (somma vettoriale) delle singole forze.
1f
2f
F
321 fffF
m
Fa
Il terzo principio della dinamica
P2 P1
21F
12F
P2 P1
21F
12F
Enunciato Due punti materiali esplicano l’uno sull’altro due forze di uguale modulo, dirette lungo la congiungente ed aventi verso opposto.
Forza di attrazione gravitazionale
Forza di attrazione gravitazionale fra 2 punti materiali Un punto di massa m1 esercita su un punto di massa m2 posto a distanza r una forza di attrazione gravitazionale data da:
122
2121 r
r
mmGF
m1
r
12r
m2
21F
G = costante di gravitazione universale
22111067.6
kgNmG
m
M Teorema di Newton
Una sfera omogenea di massa M esercita su un punto m (esterno alla sfera) la stessa forza che eserciterebbe se tutta la massa M della sfera fosse concentrata nel suo centro.
rr
MmGFgr
ˆ2
grF
r
r
Reazione vincolari
Vincolo Un vincolo è un sistema o un insieme di sistemi materiali che impediscono al punto materiale di occupare un insieme di posizioni che sarebbero accessibili al punto in assenza dei vincolo stesso.
Reazioni vincolari
Per impedire al punto di occupare determinate posizioni il vincolo esplica sul punto una forza che prende il nome di reazione vincolare.
Esempio: vincolo di appartenenza ad una guida. Una locomotiva può muoversi solo lungo le rotaie. Per non far deragliare la locomotiva le rotaie esercitano sulle ruote del treno delle forze (reazioni vincolari).
Esempio: vincolo di appoggio su un piano Un punto materiale può occupare soltanto le posizioni al di sopra del suolo. Se il punto si appoggia o cade al suolo, questo esercita sul punto delle forze (reazioni vincolari) che impediscono al punto di attraversarlo.
N
stA
max.stA
max.stA
ANR
N
N
N
N
dinA
v
a
0v
0a
0v
0v
0vF
F
F F
max.stDdin ANA
NAA Sstst max.0
Vincolo di appoggio
Legge dell’attrito statico Scoefficiente di attrito statico
Legge dell’attrito dinamico Dcoefficiente di attrito dinamico
)( SD
N
Il componente della reazione perpendicolare al piano Relazione vincolare
A
Il componente della reazione parallelo al piano (attrito)
Forza di trascinamento - moto traslatorio
a
Piano liscio
a
Rispetto al sistema solidale al vagone il punto si muove con accelerazione
amFtr
In un sistema di riferimento non inerziale, in moto traslatorio rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata all’accelerazione a del sistema, detta forza apparente di trascinamento:
a
Rispetto al sistema solidale alle rotaie il punto permane nel suo stato di moto con accelerazione nulla (quiete o in moto rettilineo uniforme).
Il sistema mobile (solidale al vagone) si muove di moto traslatorio rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie.
Accelerazione del vagone
Forza di trascinamento - moto rotatorio uniforme
CPmFcentrifuga2
In un sistema di riferimento non inerziale, in moto rotatorio uniforme rispetto ad un sistema di riferimento inerziale, oltre alle forze effettivamente agenti sul punto (forze effettive), il punto è soggetto ad una forza legata alla velocità angolare del sistema ed alla posizione del punto, detta forza centrifuga:
Il sistema mobile (vagone) si muove di moto rotatorio uniforme rispetto a quello fisso (inerziale), solidale alle rotaie.
C = centro di curvatura
PCa2
C
PPa*2
Accelerazione, rispetto al sistema fisso, del vagone nella posizione occupata da P
Accelerazione di P rispetto al sistema solidale al vagone
Riferimento mobile solidale al vagone
riferimento fisso inerziale
P
Forza peso
gm
O
2 2ˆ ˆ
Mm MP G r m G r mg
r r
Forza peso Forza esercitata dalla terra su un punto materiale P che si trova in quiete nei pressi della sua superficie. Il peso è la risultante della forza di attrazione gravitazionale e della forza centrifuga legata al moto di rotazione diurna attorno all’asse polare.
Espressione della forza peso • La forza centrifuga (legata alla rotazione della terra attorno all’asse polare) può essere in generale trascurata. • Considerando la terra come una sfera omogenea si può applicare il teorema di Newton
)(ˆ OPversr
rr
MG
m
Pg ˆ
2
Accelerazione di gravità
g = 9.8 m/s2 sulla superficie terrestre
r
P
Fase concentrica nell’esercizio con sovraccarico
R
F
Il muscolo si contrae (sviluppa tensione) e si accorcia per sollevare il carico. Forza muscolare e resistenza producono sempre effetti opposti: • La resistenza tende a estendere il gomito • La forza muscolare a flettere il gomito I muscoli impegnati sono quelli che contrastano l’effetto della resistenza (caduta del carico) cioè i muscoli flessori del gomito.
R
F Il muscolo si contrae (sviluppa tensione) e
si accorcia per sollevare il carico. Forza muscolare e resistenza producono sempre effetti opposti: • La resistenza tende a estendere il gomito • La forza muscolare a flettere il gomito I muscoli impegnati sono quelli che contrastano l’effetto della resistenza (caduta del carico) cioè i muscoli flessori del gomito.
R
F
Il muscolo si contrae (sviluppa tensione) e si accorcia per sollevare il carico. Forza muscolare e resistenza producono sempre effetti opposti: • La resistenza tende a estendere il gomito • La forza muscolare a flettere il gomito I muscoli impegnati sono quelli che contrastano l’effetto della resistenza (caduta del carico) cioè i muscoli flessori del gomito.
R
Fase eccentrica nell’esercizio con sovraccarico
Il muscolo si contrae (sviluppa tensione) e si allunga per frenare la caduta del carico provocata della resistenza. Forza muscolare e resistenza producono sempre effetti opposti: • La resistenza tende a estendere il gomito • La forza muscolare a flettere il gomito I muscoli impegnati sono quelli che contrastano l’effetto della resistenza (caduta del carico) cioè i muscoli flessori del gomito.
F
R
F
Il muscolo si contrae (sviluppa tensione) e si allunga per frenare la caduta del carico provocata della resistenza. Forza muscolare e resistenza producono sempre effetti opposti: • La resistenza tende a estendere il gomito • La forza muscolare a flettere il gomito I muscoli impegnati sono quelli che contrastano l’effetto della resistenza (caduta del carico) cioè i muscoli flessori del gomito.
F
R
Il muscolo si contrae (sviluppa tensione) e si allunga per frenare la caduta del carico provocata della resistenza. Forza muscolare e resistenza producono sempre effetti opposti: • La resistenza tende a estendere il gomito • La forza muscolare a flettere il gomito I muscoli impegnati sono quelli che contrastano l’effetto della resistenza (caduta del carico) cioè i muscoli flessori del gomito.
F
Se voglio mantenere un peso libero fermo devo applicare su di esso una forza F verso l’alto in modulo uguale al suo peso R=mg (il peso rappresenta la resistenza R)
Mantenere fermo un peso libero
RF
R
Per mantenere fermo in equilibrio un carico è necessario applicare una forza uguale in modulo al peso del carico
Fase statica
Velocità nulla
Se, dalla condizione di equilibrio statico, applico sul peso libero una forza F verso l’alto maggiore del suo peso R=mg il corpo accelera verso l’alto, cioè aumenta progressivamente la sua velocità
m
RFa
R
F
Una forza non bilanciata produce una accelerazione cioè un aumento di velocità
Sollevamento di un peso libero
Accelerazione (la velocità aumenta progressivamente)
Fase di accelerazione
Una volta raggiunta una certa velocità, per continuare a sollevare il carico mantenendo costante quella velocità (accelerazione nulla), devo applicare una forza uguale al peso R del carico. Se applicassi una forza maggiore il carico continuerebbe ad aumentare la sua velocità, continuerebbe ad accelerare.
Per mantenere costante la velocità di un carico che viene sollevato è sufficiente applicare una forza uguale in modulo al peso del carico
F
R
Velocità costante (accelerazione nulla)
Fase isocinetica
RF
Nella fase finale del sollevamento, devo fare decelerare il carico (la velocità alla fine del sollevamento deve essere nulla ), per far questo devo applicare sul carico una forza minore del suo peso.
Per diminuire la velocità del carico fino farla annullare (decelerare il carico) è necessario che la forza F di sollevamento sia minore del peso del carico
F
R
Fase di decelerazione
m
FRa
Decelerazione (la velocità disunisce progressivamente)
Sollevamento di un carico (fase concentrica)
F
F
F
Per iniziare a sollevare il carico da fermo devo far aumentare la sua velocità che inizialmente è zero, cioè devo accelerarlo, e per fare questo devo applicare una forza maggiore del peso R del carico
Una volta raggiunta una certa velocità, per continuare a sollevare il carico mantenendo costante quella velocità (accelerazione nulla), devo applicare una forza uguale al peso R del carico. Se applicassi una forza maggiore il carico continuerebbe ad aumentare la sua velocità, continuerebbe ad accelerare.
Nella fase finale del sollevamento, devo fare decelerare il carico (la velocità alla fine del sollevamento deve essere nulla ), per far questo devo applicare sul carico una forza minore del suo peso.
R
R
R
1. Accelerazione (aumento di velocità)
3. Decelerazione (diminuzione di velocità)
2. Accelerazione nulla (velocità costante)
Solle
vam
ento
del
car
ico
Sollevamento di un carico: fase eccentrica
F
F
F
Una volta raggiunta una certa velocità di discesa, per controllare la discesa del carico mantenendo costante la sua velocità (accelerazione nulla), devo applicare una forza uguale al peso R del carico.
Alla fine del sollevamento la velocità del carico è nulla. Per fare iniziare la discesa del carico, devo applicare sul carico una forza minore del suo peso in modo da farlo accelerare verso il basso (far aumentare la sua velocità di discesa).
R
R
R
Nella fase finale della discesa, devo fare decelerare il carico (la velocità alla fine della discesa deve essere nulla ), per far questo devo applicare sul carico una forza maggiore del suo peso R.
1. Accelerazione (aumento di velocità)
2. Accelerazione nulla (velocità costante)
3. Decelerazione (diminuzione di velocità)
Co
ntr
ollo
del
la d
isce
sa d
el c
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o
End
-po
int
forc
e (F
) A
ccel
erat
ion
(a
) V
elo
city
(v)
RF
maRF
maRF
F
R
La panca piana
0a
0v
RF
Fase iniziale di accelerazione
decelerazione
acce
lera
zio
ne
time
accelerazione
Fase intermedia a velocità approssimativamente costante
End
-po
int
forc
e (F
) A
ccel
erat
ion
(a
) V
elo
city
(v)
RF
maRF
maRF
0a
0v
RF
accelerazione decelerazione
time
F
R
acce
lera
zio
ne
End
-po
int
forc
e (F
) A
ccel
erat
ion
(a
) V
elo
city
(v)
RF
maRF
maRF
0a
0v
RF
accelerazione decelerazione
time
F
R
acce
lera
zio
ne
Fase finale di decelerazione
F
R
F
R
Acc
eler
azio
ne
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eraz
ion
e
Fase
co
nce
ntr
ica
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olle
vam
ento
1
2
F
R
F
R
dec
eler
azio
ne
Acc
eler
azio
ne
in b
asso
Fase
ecc
entr
ica
di r
ito
rno
co
nro
llato
3
4 a
a
a
a
Resistenze di mezzi fluidi
vvAfF ˆ)(
Resistenze di mezzi fluidi Quando un corpo si muove all’interno di un fluido esercita una forza sulle particelle del fluido. Le particelle, per il terzo principio, esercitano sul corpo forze uguali e contrarie: la somma di queste forze costruisce la resistenza offerta dal mezzo fluido al moto del corpo.
= densità del fluido = coefficiente di forma A = superficie investita
A v
v
smvvvf /20)( (regime viscoso)
(regime idraulico)
fluido
Esempio: I due corpi rappresentati hanno lo stesso valore di A ma differenti valori di .
smvvvf /2002)(2
vbvAvAvF
ˆ
In acqua la resistenza si oppone sempre al movimento: Se estendo volontariamente il ginocchio la resistenza contrasta questo movimento La contrazione del muscolo è sempre di tipo concentrico
QF
quadriceps quadriceps
hamstrings
Resistenza dell’acqua
In acqua la resistenza si oppone sempre al movimento: Se fletto volontariamente il ginocchio la resistenza contrasta questo movimento La contrazione del muscolo è sempre di tipo concentrico
HF
quadriceps
hamstrings
quadriceps
flexion Resistenza dell’acqua
Le leggi delle forze: forza elastica
Forza elastica di centro O Forza sempre diretta verso un punto fisso O (detto centro della forza elastica) e in modulo proporzionale alla distanza r del punto P da O
rkrFelˆ
O
P r
r
k = costante elastica
molla a riposo
molla allungata
O P
Esempio: punto materiale attaccato all’estremità di una molla allungata o accorciata rispetto alla lunghezza di riposo
molla accorciata
O P
elF
P
elF
r
r
Oscillazioni libere
P
kOPO x
0x Ax Ax
)cos()( 00 tAtx
m
k0
pulsazione delle oscillazioni libere
equazione oraria: moto armonico
t
A
- A
x
Studio del moto di un punto soggetto a una forza elastica
Oscillazioni smorzate
P
kOP
O
x
vb
0x Ax Ax
1 2 3 4 5 6
1 2 3
oscillazioni smorzate
smorzamento aperiodico
1 2 3 5 4
smorzamento critico
24 bkm
24 bkm
24 bkm
Studio del moto di un punto soggetto a una forza elastica e alla resistenza di un fluido
)cos()(4 0
2
tAetxbkm S
t
• smorzamento critico tt
ecectxbkm2
0
22
0
2
212
)(4
220 S
t
x
• le componenti inerziale ed elastica prevalgono su quella viscosa: oscillazioni smorzate
)()(4 21
2tccetxbkm
t
• la componente viscosa prevale su quelle inerziale ed elastica: smorzamento aperiodico
m
b
2
Equazione oraria
Oscillazioni forzate
kOP
O
x vb
itF Fˆ)cos(
)cos()( tBtx F
22222
0 4
/
FF
mFB
m
k0
frequenza delle oscillazioni libere
F frequenza imposta dall’esterno
Bx Bx
ampiezza delle oscillazioni
equazione oraria: moto armonico
Studio del moto di un punto soggetto a una forza elastica, alla resistenza di un fluido, e a una forza esterna sinusoidale
Il fenomeno della risonanza
0
01.0
015.0
02.0
03.0
05
05.1 2/0
05.0
0/ F
2
0m
F
B
Il punto si muove di moto armonico con la frequenza della forza esterna ed ampiezza che dipende dalla differenza fra 0 e F
Per piccoli smorzamenti l’ampiezza cresce quanto più la frequenza della forza esterna F si avvicina alla frequenza delle oscillazioni libere 0 (frequenza propria), e quanto più piccolo è =b/2m.
2/ωγ 0
m
b
2
0F
0
0
F
F
oscillazioni di grande ampiezza B
oscillazioni di piccola ampiezza B
Lavoro ed Energia
Lavoro
coslFlFL
Definizione Sia F un forza costante agente su un punto P ed l lo spostamento del punto nell’ intervallo di tempo finito [t1,t2]. Si definisce lavoro compiuto dalla forza F su P nell’intervallo [t1, t2], e si indica con L, la grandezza scalare:
Il lavoro caratterizza la forza agente su un punto, in relazione allo spostamento subito dal punto stesso
222 TMLLMLTFLL
Dimensioni ed unità
)(22
JJoulesmkgNm
l
l
l
l
l
F
F
F
F
F
FllF
0 lF
0 lF
0 lF
FllF
Se la forza F agente su P è costante e parallela a l FlL dove vale il segno più se i due vettori sono concordi, il segno meno se sono discordi
Energia
Definizione Capacità di compiere lavoro.
Tipi di energia in meccanica
• Energia cinetica: Energia (capacità di compiere lavoro) legata al moto del punto
• Energia potenziale Energia (capacità di compiere lavoro) legata alla posizione di un punto materiale all’interno di un campo di forze conservativo (forza peso, forza elastica, forza di attrazione gravitazionale, …) .
• Energia meccanica Somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale
2
2
1mvEC
mghpesoEP )( 2
2
1)( krelasticaEP
PCM EEE
h = quota rispetto ad un piano orizzontale di riferimento r = distanza dal centro della forza elastica/gravitazionale
r
MmGnalegravitazioEP )(
Energia Cinetica
mFa /
ov
F
0v
2
2
1mvEC
a
vdarr
2
2
02
0
2
0
2
1
2mvF
a
vFdL arr
Lavoro compiuto per arrestare un punto materiale di massa m e velocità v0.
Il punto esercita sul sistema frenante una forza uguale ed opposta (3° principio della dinamica), e compie sul sistema frenante un lavoro (uguale ma di segno contrario) pari a:
2
02
1mvL
Un punto solo per il fatto di avere una massa m e una velocità v è in grado di compiere una quantità di lavoro pari a:
Questa capacità di compiere lavoro legata alla velocità di P prende il nome di energia cinetica.
m
Teorema del lavoro
Enunciato del teorema del lavoro La variazione di energia cinetica di un sistema materiale in un qualsiasi intervallo di tempo è pari al lavoro compiuto dalle forze agenti sul punto nello stesso intervallo di tempo.
21)()( 12 ttcc LtEtE
)iniziale()finale(2
10
2
1 20
20 CC EEmvmvL
Possiamo scrivere
ov
F
0vm
Ritornando all’esempio precedente
questo è un caso particolare di un teorema generale detto del teorema del lavoro
Forze conservative, energia potenziale
Definizione Una forza si dice conservativa se il lavoro che compie su un punto materiale che si sposta da un punto P1 a un punto P2 dipende soltanto dalla posizione di questi punti e non dal percorso seguito per andare dal primo al secondo.
P1
P2
2
1
)P()P( 2121
PPPP EEL
Si può quindi uguagliare questo lavoro alla differenza dei valori assunti in P1 e P2 da una funzione uniforma e generalmente regolare delle coordinate, detta energia potenziale Ep
Per qualsiasi percorso che congiunge P1 e P2
mghL PP 21
mghmghL PP 0021
mghmglL PP cos021
mghEP mghmghPEPEL PPPP 0)()( 2121
P1 P1 P1
P2 P2 P2
gm
gm
gm
gm
gm
gm
h
risulta infatti
ESERCIZIO
Dimostrare che il lavoro compiuto dalla forza peso per i tre percorsi indicati, congiungenti P1 e P2 , è il medesimo
l h
h
L’ energia potenziale mgh può
essere utilizzata per compiere
lavoro (per esempio sollevare un
carico da terra)
Principio di conservazione dell’energia meccanica
Enunciato Se un punto materiale è soggetto all’azione di sole forze conservative, allora la sua energia meccanica si conserva costante nel tempo
)1()2(21 CCPP EEL
)2()1(21 PPPP EEL
cost.ME
Teorema del lavoro
Definizione di forza conservativa
)2()1( MM EE
)2()2()1()1( PCPC EEEE
Dimostrazione
)1()2()2()1( CCPP EEEE
Potenza
t
lF
t
LWM
Potenza media Sia L il lavoro elementare compiuto dalla forza F nell’ intervallo di tempo [t, t+t]. Si definisce potenza media erogata dalla forza F nell’intervallo di tempo considerato la grandezza scalare:
32121 TMLLTMLTFLTW
Dimensioni ed unità
)(32
Wwatts
Jsmkg
Potenza istantanea La potenza istantanea si ottiene dalla potenza media facendo il limite per t→0
La potenza caratterizza il lavoro compiuto della forza e la rapidità con cui tale lavoro è compiuto
Problema: Un punto materiale viene lasciato cadere da fermo da quota h. Determinare la velocità del punto al momento dell’impatto col suolo e l’istante di impatto. L’unica forza agente sul punto è la forza peso. Questa forza è conservativa, si può quindi applicare il principio di conservazione dell’energia meccanica.
ESERCIZIO: la caduta di un grave
(impatto)(impatto)(iniziale)(iniziale) PCpC EEEE
02
10
2 impmvmgh ghvimp 2
impv
h
0v
Problema: Un punto materiale viene lanciato verso l’alto con velocità vo. Determinare la massima quota raggiunta h e l’istante in cui tale quota viene raggiunta (tempo di arresto).
)()((iniziale)(iniziale) hEhEEE PCpC
mghmv 002
1 20
g
vh
2
2
0
0v
Come in precedenza si applica il principio di conservazione dell’energia meccanica.
0v
h
ESERCIZIO: grave lanciato verso l’alto
Meccanica dei sistemi
Centro di massa di un sistema materiale
Definizione Centro della distribuzione della massa del sistema
Esempio: 2 punti di uguale massa m, e due punti di massa m e 2m
m m C m 2m C
O
1r 2r
Nr
N
i
ii
N
NN rmMmmm
rmrmrmOC
121
2211 1
C
Centri di massa di un sistema particellare: N punti di massa m1, m2, m3, …, mN-1, mN.
mN
m2 m1
ir
mi
• 2 punti di uguale massa m
m m
C
m 2m C
2
0
21
2211 r
mm
rmm
mm
rmrmOC
• due punti di massa m e 2m
O→ r
O→ rmm
rmm
mm
rmrmOC
3
2
2
20
21
2211
N
NN
mmm
rmrmrmOC
21
2211
ESERCIZIO
Applichiamo la formula
r
Dalla definizione di centro di massa, derivando si ricava Proprietà del centro di massa
La forza peso è una forza distribuita: agisce su tutte le parti di un corpo
Se il corpo è rigido: la forza peso equivale ad un’unica forza, pari al peso del corpo intero, applicata nel suo centro di massa
gMgmmmgmgmgmR NN
)( 2121
La forza risultante è la stessa
gMgmi
C
N
i
iirmM
OC1
1
N
i
iirmM1
OC
N
i
iiC vmvM1
N
i
iiC amaM1
Velocità ed accelerazione del cento di massa
Forze interne e forze esterne al sistema
Definizione Dato un sistema di N punti materiali, chiamiamo forze interne quelle che si esplicano vicendevolmente fra i vari punti del sintema, forze esterne quelle esercitate sui punti del sistema da parte di elementi materiali che non fanno parte del sistema.
Per il terzo principio della dinamica, le forze interne che si esplicano vicendevolmente due punti sono uguali e contrarie, quindi la risultante (somma) delle forze interne agenti su un sistema è sempre nulla.
0(int)
R
sistema
La somma delle forze interne agenti su un punto del sistema non è in generale nulla. Al contrario, la somma delle forze interne agenti su tutti i punti del sistema (risultante delle forze interne) è sempre nulla.
forza interna
forza esterna
Punto appartenete al sistema
Punto non appartenete al sistema
Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi
mi
(int)
if
)(est
if
)(
1
(int)
111
estffam
)(
2
(int)
222
estffam
)((int) est
NNNN ffam
)((int)
1
estN
i
ii RRam
La somma dei primi membri di queste equazioni deve essere uguale alla somma dei secondi membri
Seconda equazione della dinamica scritta per ciascun punto del sistema
0(int)
1
R
aMam C
N
i
ii
Dalle relazioni segue )(est
C RaM
(int)
if
Somma delle forze interne agenti sull’i-esimo punto
)(est
if
Somma delle forze esterne agenti sull’i-esimo punto
Teorema del moto del centro di massa Il centro di massa di un qualsiasi sistema materiale si muove come un punto materiale dotato della massa dell’intero sistema e soggetto alla risultante delle forze esterne applicate al sistema
)(est
C RaM
Fam
Prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi
corpo rigido
F
C
Momento di una forza
se spingo la porta vicino ai cardini la porta non si apre
più spingo lontano dai cardini più la porta si apre facimente
F
F
Consideriamo un corpo rigido (ad esempio una porta) vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso privo di attrito (ad esempio l’asse che passa per i cardini della pota).
corpo rigido
F
C se spingo la porta contro i cardini la porta non si apre
più spingo la porta perpendicolarmente alla sua superficie, più la porta si apre facilmente
corpo rigido
FbM a
F
Momento assiale di una forza Il momento di una forza rispetto ad un asse di rotazione (momento assiale) è dato dal prodotte del modulo F della forza per l sua braccio b. Il braccio b è la minima distanza fra la retta di applicazione della forza e l’asse di rotazione.
22 TMLFLM a
Dimensioni ed unità di misura
22 smkgNm
F
Il braccio della forza (ed il momento) aumenta all’aumentare della distanza fra punto di applicazione della forza e centro di rotazione
C
F
C
F
C Il braccio della forza (e il momento) è nullo quando la retta di applicazione della forza passa per il centro di rotazione C
F
Il braccio della forza (ed il momento) aumenta quanto più la forza è perpendicolare alla retta fra il punto di applicazione della forza e il centro di rotazione
Il braccio della forza (e il momento) è nullo quando la retta di applicazione della forza passa per il centro di rotazione C
C
F
C
C
DEFINIZIONE: Una leva è un corpo rigido vincolato a ruotare attorno ad un asse fisso
Le leve
retta di applicazione della resistenza
Regola di equilibrio delle leve
RF
RbFb RF
Braccio della
resistenza, bR
REGOLA DI EQUILIBRIO: Una leva è in equilibrio quando il momento della forza è uguale a quello della resistenza
retta di applicazione della resistenza
RF
Braccio della
resistenza, bR
La forza da applicare non dipende dalla resistenza ma dal momento della resistanza
F
R
b
RbF
Leve vantaggiose
Braccio della forza è maggiore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è sufficiente una forza il cui modulo è minore di quello della resistenza
Leve svantaggiose
Braccio della forza è miniore del braccio della resistenza Per equilibrare la resistenza è necessaria una forza il cui modulo è maggiore di quello della resistenza
RFbb RF
RFbb RF
Leve vantaggiose e leve svantaggiose
RbFb RF
RbFb RF
F
R
bF bR
F
R
bF bR
Leve di primo tipo Fulcro in posizione intermedia fra forza e resistenza Le leve di primo genere possono essere vantaggiose o svantaggiose
Leve di primo, secondo e terzo tipo
1° tipo
R
2° tipo
R
Leve di secondo tipo Resistenza in posizione intermedia fra forza e fulcro Le leve di secondo genere sono in generale vantaggiose
3° tipo
F
R
Leve di terzo tipo Forza in posizione intermedia fra resistenza e fulcro Le leve di terzo genere sono in generale svantaggiose
F
F
retta di applicazione della resistenza
Dinamica delle leve
RF
Braccio della
resistenza, bR
RbFb RF
Una leva è in equilibrio quando il momento della forza è uguale a quello della resistenza
retta di applicazione della resistenza
RF
Braccio della
resistenza, bR
RbFb RF
Se il momento della forza è maggiore del momento della resistenza
Si produce una accelerazione angolare nel senso di F: • Se la leva era ferma, inizia a muoversi nel senso di F • Se la leva si stava movendo nel senso di F, la sua velocità angolare tenderà ad aumentare • Se la leva si stava movendo nel senso di R, la sua velocità angolar tenderà a diminuire
retta di applicazione della resistenza
RF
Braccio della
resistenza, bR
Si produce una accelerazione angolare nel senso di R: • Se la leva era ferma, inizia a muoversi nel senso di R • Se la leva si stava movendo nel senso di R, la sua velocità angolar tenderà ad aumentare • Se la leva si stava movendo nel senso di F, la sua velocità angolar tenderà a diminuire
RbFb RF
Se il momento della forza è minore del momento della resistenza
Biomeccanica del sistema muscoloscheletrico
F
R
bR
Esempio di leva anatomica di 3° tipo (svantaggiosa)
3° tipo
R
F
L’articolazione del gomito
quadriceps quadriceps
RbFb RF
F
R
bR
bF
F
R
b
RbF
L’articolazione del ginocchio
F
R
F = forza muscolare
R = Resistenza
bF = Braccio della forza muscolare
bR = Braccio della resistenza
bR
bF
F
R
b
RbF
Esempio di leva anatomica di primo tipo svantaggiosa
R
F
L’articolazione atlanto-occipitale
Le leve anatomiche sono in maggioranza svantaggiose. Ciò sembrerebbe un controsenso.
F
R
bR
Il paradosso delle leve anatomiche
F
Consideriamo una leva svantaggiosa:
E’ necessaria una grande forza n volte più grande della resistenza per mantenere la leva in equilibrio
RbR bF
RFbb FR 1010
Leve di forza e leve di spostamento/velocità
R
F
sF
sR
RFRF LLsRsF
E’ necessaria una grande forza per spostare una piccola resistenza, ma lo spostamento della resistenza è n volte grande rispetto a quello del punto di applicazione della forza, e punto di applicazione della resistenza si sposta ad una velocità n più elevata di quello della forza.
Il lavoro compiuto dalla forza e la resistenza è lo stesso
In realtà una leva svantaggiosa dal punto dinamico(delle forze) è vantaggiosa dal punti di vista cinematico (degli spostamenti e delle velocità) e viceversa
RFbb FR 1010
FR ss 10 FR VV 10
Lo spostamento del carico è grande rispetto allo spostamento del punto di applicazione della forza muscolare (grande rispetto all’accorciamento del muscolo. Il carico di sposta ad una velocità più grande della velocità con cui accorcia il muscolo.
Spostamento del carico
Accorciamento del muscolo
Lunghezza iniziale del muscolo
Lunghezza finale del muscolo
Il muscolo riesce a mantenere livelli elevati di forza (vedi curva forza-lunghezza e curva forza-velocità del muscolo nel seguito)
Le leve anatomiche sono prevalentemente leve di spostamento/velocità
F
Componente rotatoria
F
Componente rotatoria
Compressione articolare
Compressione articolare
R
R
Componente rotatoria e componente di compressione
Il dinamometro isocinetico
RbFb
RbFb
RbFb
RF
RF
RF
F
R
F = forza muscolare
R = Resistenza
bF = Braccio della forza muscolare
bR = Braccio della resistenza
bR
bF
La velocità angolare tende ad aumentare
La velocità angolare resta costante
La velocità angolare tende a diminuire
Durante un erercizio massimale F a bF variano, dunque varia anche il momento BFF (torque curve). Durante il movimento Il dinamometro cambia il valore della resistanza R in modo da mantenere la condizione bRR = BFF cioè la velocità angolare costante ed ugulale ad un valore prederminato. • Se la velocità tende ad aumentare rispetto
al valore prefissato, il dinamomenro aumenta R fino a che la velocità angolare ritorna al valore prefissato
• Se la velocità tende ad diminuire rispetto al valore prefissato, il dinamomenro diminuisce R fino a che la velocità angolare ritorna al valore prefissato
Curve isocinetiche dei muscoli estensori del ginocchio
RbFb RF
Condizione di equilibrio di un corpo appoggiato su un piano
gM
gM
Per corpi in appoggio, la condizione di equilibrio è che la verticale passante per il centro di massa (retta di applicazione della forza peso cada dentro la base di appoggio
Stabilità di un corpo appoggiato su un piano
gM
gM
Per corpi in appoggiati su un piano, a parità di massa, più basso è il centro di massa e più è larga è la base di appoggio, più stabile è il sistema F
F
bra
ccio
del
la f
orz
a
bra
ccio
del
la f
orz
a
braccio del peso braccio del peso
gM
gM
Per corpi in appoggiati su un piano, a parità di massa, più basso è il centro di massa e più è larga è la base di appoggio, più stabile è il sistema
gm
• Il peso del manubrio mantiene direzione (verticale verso il basso) ed intensità costante
• Il braccio della resistenza bR prima aumenta (fino a 90° di flessione del gomito) poi diminuisce
• Il momento della resistenza (prodotto del braccio per la resistenza) prima aumenta (fino a 90° di flessione del gomito) poi diminuisce
gm
gm
Pesi liberi: flessione del gomito con manubri
gm
bR
mgbM RR
bR bR
bR bR
MgbM RR
gm gm
gm
Pesi liberi: estensione del ginoccihio con cavigliera
• Il peso della cavigliera mantiene direzione (verticale verso il basso) ed intensità costante
• Il braccio della resistenza bR prima aumenta sempre da zero fino al massimo all’estensione competa del ginocchio
• Il momento della resistenza (prodotto del braccio per la resistenza) aumenta sempre da zero fino al massimo all’estensione competa del ginocchio
bR
bR
RbM RR
• La resistenza R resta costante e pari al peso del pacco di piastre selezionate, e cambia direzione mantenendosi perpendicolare alla tibia
• il braccio della resistenza bR resta costante • il momento della resistenza (prodotte del braccio per la
resistenza) resta costante
R
bR
R
R
Macchine a leva: estensione del ginocchio al leg extension
gm
Pesi vincolati ai cavi: estensione del ginocchio ai cavi
R
bR
• La resistenza R resta costante e pari al peso del pacco di piastre selezionate, e cambia direzione seguendo il cavo
• il braccio della resistenza bR diminuisce • il momento della resistenza (prodotte del
braccio per la resistenza) diminuisce
bR bR
elRR FbM
elF
bR
elF
elF
• La forza dell’elastico resta aumenta mentre l’elastico si tende • il braccio della resistenza bR resta diminuisce • il momento della resistenza (prodotte del braccio per la
resistenza) … ?????
Estensione del ginocchio con elastici
Implicazioni posturali
Ankle. For the ankle, the gravity line is anterior to the joint, so it tends to rotate the tibia forward about the ankle. Stability is provided by the plantarflexor muscles, primarily the soleus muscle. Knee. The normal gravity line is anterior to the knee joint, which tends to keep the knee in extension. Stability is provided by the anterior cruciate ligament, posterior capsule (locking mechanism of the knee), and tension in the muscles posterior to the knee (the gastrocnemius and hamstring muscles). The soleus provides active stability by pulling posteriorly on the tibia. With the knees fully extended, no muscle support is required at that joint to maintain an upright posture; however, if the knees flex slightly, the gravity line shifts posterior to the joint, and the quadriceps femoris muscle must contract to prevent the knee from buckling. Hip. The gravity line at the hip varies with the swaying of the body. When the line passes through the hip joint, there is equilibrium, and no external support is necessary. When the gravitational line shifts posterior to the joint, some posterior rotation of the pelvis occurs, but is controlled by tension in the hip flexor muscles (primarily the iliopsoas). During relaxed standing, the iliofemoral ligament provides passive stability to the joint, and no muscle tension is necessary. When the gravitational line shifts anteriorly, stability is provided by active support of the hip extensor muscles. Trunk. Normally, the gravity line in the trunk goes through the bodies of the lumbar and cervical vertebrae, and the curves are balanced. As the trunk shifts, contralateral muscles contract and function as guy wires. Extreme or sustained deviations are supported by inert structures. Head. The center of gravity of the head falls anterior to the atlanto-occipital joints. The posterior cervical muscles contract to keep the head balanced.
HF
quadriceps
hamstrings
quadriceps
flexion
TF c
om
pre
ssio
n
QF
hamstrings
quadriceps
PCL load
QF
quadriceps quadriceps
hamstrings
QF
quadriceps
HF
PCL load TF compression
Stazione eretta
colonna in neutro e in parziale scarico
perso della parte superiore del corpo
bR=0
R
0 Rb
bF
F
R
l’attività muscolare è trascurabile (tono posturale)
RR
0
la giunzione lombo-sacrale sopporta il peso della parte superiore del corpo
Sollevamento di un carico
Stazione eretta
colonna in neutro e in parziale scarico
perso della parte superiore del corpo
bR=0
R
0 Rb
bF
F
R
l’attività muscolare è trascurabile (tono posturale)
RR
0
la giunzione lombo-sacrale sopporta il peso della parte superiore del corpo
Flessione della colonna vertebrale nel sollevamento di un carico
colonna in neutro e in carico
bR F
R
bF
perso della parte superiore del corpo e del carico
attività dei muscoli estensori del rachide lombare
colonna in neutro e in carico colonna in neutro e in scarico colonna in flessione e in scarico colonna in flessione e in carico
The nuclear material may impinge against the spinal cord or nerve roots. This potentially painful impairment is frequently referred to as a herniated or prolapsed disc, or more formally a herniated nucleus pulposus. Persons with a herniated disc may experience pain or altered sensation, muscle weakness, and reduced reflexes in the lower extremity, consistent with the specific motor and sensory distribution of the impinged nerve root .
bR
bR
bF
bF
RbFb RF
F
F
R R
Inclinazione del tronco nel sollevamento di un carico
L1 to L4 Region In normal posture the superior surfaces of the bodies of the middle lumbar vertebrae are typically positioned in a more horizontal orientation. The erector spinae muscle fibers that cross this region more likely produce a posterior shear across the lumbar interbody joints. This muscle-produced shear may be physiologically useful, offering resistance to the anterior shear that may be produced during bending and lifting loads in front of the body.
L5-S1 Junction • The base (top) of the sacrum is naturally inclined
anteriorly and inferiorly, forming an approximate 40-degree sacrohorizontal angle when one is standing.
• For this reason, the force vector of the erector spinae muscle that crosses L5-S1 (ES/5-1) creates an anterior shear force (ES/5-1S) parallel to the superior body of the sacrum. A greater muscular force increases the anterior shear at the L5-S1 junction, especially if the muscle activation exaggerates the lordosis.
• the resultant force resulting from body weight (BW) creates an anterior shear force (BWS), and a compressive force (BWC) acting perpendicular to the superior surface of the sacrum.
Anterior shear force at the L5-S1 junction
L1 to L4 Region The facet surfaces of most lumbar apophyseal joints are oriented nearly vertically, with a moderate-to-strong sagittal plane bias. This orientation favors sagittal plane motion at the expense of rotation in the horizontal plane.
L5-S1 Junction The facet surfaces of the L5-S1 apophyseal joints have a nearly frontal-plane orientation, This orietantation is ideal for resisting the anterior shear at this region.
Several structures resist the natural anterior shearing force produced at the L5-S1 junction and provide bony stabilization to the L5-S1 junction: • The wide and strong anterior longitudinal ligament • The iliolumbar ligament • the wide, sturdy articular facets of the L5-S1 apophyseal joints
Stabilization of the L5-S1 junction
Anterior and posterior pelvic tilt
• Anterior pelvic tilt (A) extends the lumbar spine and increases the lordosis. This action tends to shift the nucleus pulposus anteriorly and reduces the diameter of the intervertebral foramen (C).
• Posterior pelvic (B) tilt flexes the lumbar spine and decreases the lordosis. This action tends to shift the nucleus pulposus posteriorly and increases the diameter of the intervertebral foramen (D).
Body weight and lumbar extensor muscles create a compression force within the L5-S1 apophyseal joints.
Anterior spondylolisthesis at L5-S1 junction
Without adequate stabilization, the lower end of the lumbar region can slip forward relative to the sacrum. This abnormal, potentially serious condition is known as anterior spondylolisthesis.
Increased lumbar lordosis increases the normal sacrohorizontal angle, thereby increasing the anterior shear force between L5 and S1. Exercises or other actions that create a forceful hyperextension of the lower lumbar spine can impose excessive compression on the facet surfaces of the L5-S1 apophyseal joints
Squat
Lumbar spine flexion
Flessione del rachide lombare (40-50°) grandezza fisica effetto della flessione implicazioni biomeccaniche
vert
ebre
e d
isco
Movimento relativo dei corpi vertebrali ogni vertebra si inclina e scivola leggermente in avanti rispetto alla vertebra sottostante
A chronic posture of increased flexion of the lumbar spine places a disproportionally larger compressive load on the intervertebral discs, theoretically increasing their likelihood for degeneration. A disc with a weak, cracked, or distended posterior annulus may experience a posterior migration (or oozing) of the nucleus pulposus. In some cases the nuclear material may impinge against the spinal cord or nerve roots (herniated or prolapsed disc, or more formally a herniated nucleus pulposus). Persons with a herniated disc may experience pain or altered sensation, muscle weakness, and reduced reflexes in the lower extremity, consistent with the specific motor and sensory distribution of the impinged nerve root.
Forza di compressione sui dischi intervertebrali
aumento della forza di compressione sul disco specialmente nella sua parte anteriore
Cambiamento di forma del disco intervetebrale
diminuzione di spessore nella parte anteriore e aumento di spessore nella parte posteriore
sollecitazione dell’anello fibroso aumento di tensione sule fibre posteriori dell’anello fibroso
Spostamento del nucleo polposo
il nucleo polposo viene spinto all’indietro
Pressione del nucleo polposo sulle fibre dell’anello fibroso
aumento di pressione sulle fibre posteriori dell’anello fibroso
arti
cola
zio
ni i
nte
rap
ofi
sari
e Movimento relativo delle facce articolari
delle articolazioni interapofisarie la faccie aticolari inferiori di una vertebra (L2) scivola superiormente e anteriormente, rispetto alla feccette articolari superiori della vertebra sottostante (L3).
Area di contatto fra le superfici articolari interapofisarie
diminuzione
variazione della tensione della capsula dell’articolazione interapofisaria
tensionamento (allungamento)
forza di compressione sulle facce articolari
il carico è trasferito dalle articolazioni interapofisarie al disco e i corpi vertebrali
pressione sulle facce articolari incerto (la compressione aumento ma l’area contatto diminuisce)
lega
men
ti
Ten
sio
ne
de
i le
gam
en
ti
legamento longitudinale anteriore detensionamento legamento longitudinale posteriore
tensionamento (allungamento)
legamento giallo tensionamento (allungamento) legamento intertasversario tensionamento (allungamento) legamento interspinoso tensionamento (allungamento) legamento sovraspinoso tensionamento (allungamento)
fora
me
e ca
nal
e diametro del forame intervertebrale
aumento (19%) Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to
temporarily reduce the pressure on a lumbar spinal nerve root that is impinged on by an obstructed foramen
diametro del canale vertebrale
aumento Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to temporarily reduce the pressure on spinal cord due to a stenosis of vertebral canal
variazione di tensione del midollo spinale
tensionamento (allungamento) Lumbar flexion may be used therapeutically as a way to mobilization of spine neural tissues
asse
tto
un
ità
LPF movimento pelvico associato
retroversione con diminuzione del grado di lordosi lombare La posizione del cocchiere seduti con il rachide in flessione
può essere consigliato in caso di accentuata iperlordosi e a chi soffre di lombalgia da spondilolisi e spondilolistesi
limiti al movimento fibre posteriori dell’anello fibroso, capsula dell’articolazione iner-apofisaria, tutti i legamenti tranne il legamento longitudinale anteriore
A habitually slouched sitting posture with lumbar spine in complete flexion may, in time, overstretch and thus weaken the posterior annulus fibrosus, reducing its ability to block a posteriorly protruding nucleus pulposus.
Lumbar spine hyperextension
Estensione del rachide lombare (40-50°)
grandezza fisica effetto della estensione implicazioni biomeccaniche
vert
ebre
e d
isco
Movimento relativo dei corpi vertebrali ogni vertebra si inclina indietro e scivola leggermente in indietro rispetto alla vertebra sottostante
Therapeutic approaches that emphasize sustained active and passive extension (McKenzie) has been shown to reduce pressure within the disc and to yield relief of symptoms and improvement of function in persons with a known posterior or posterior-lateral disc herniationin (the anterior displacement of the nucleus reduces the contact pressure between the displaced nuclear material and the neural tissues.
Forza di compressione sui dischi intervertebrali
diminuzione della forza di compressione sul disco
Cambiamento di forma del disco intervetebrale
aumento di spessore nella parte anteriore e leggera diminuzione di spessore nella parte posteriore
sollecitazione dell’anello fibroso aumento di tensione sule fibre anteriori dell’anello fibroso Spostamento del nucleo polposo il nucleo polposo viene spinto in avanti Pressione del nucleo polposo sulle fibre dell’anello fibroso
aumento di pressione del nucleo sulle fibre anteriori dell’anello fibroso
arti
cola
zio
ni i
nte
rap
ofi
sari
e
Movimento relativo delle facce articolari delle articolazioni interapofisarie
la faccie aticolari inferiori di una vertebra (L2) scivolano inferiormente e leggermente posteriormente, rispetto alla fecce articolari superiori della vertebra sottostante (L3).
a chronic posture of lumbar hyperlordosis can place large and potentially damaging stress on the apophyseal joints and adjacent regions.
Area di contatto fra le superfici articolari interapofisarie
aumenta dalla posizione neutra ad una posizione in leggera estensione, ma diminuisce all’approssimarsi della iperestensione completa
tensione della capsula dell’articolazione interapofisaria
detensionamento
forza di compressione sulle facce articolari
il carico è trasferito dal disco e i corpi vertebrali alle articolazioni interapofisarie
pressione sulle facce articolari costante dalla posizione neutra a leggera estensione (aumenta la forza di compressione, diminuisce la superficie di contatto) , aumenta all’approssimarsi della iperestensione completa (aumenta la forza di compressione, dimunuisce la superficie di contatto, e il bordo inferiore delle facce articolari inferiori della vertebra sovrastante entrano in contatto con le lamine della vertebra sottostante).
lega
men
ti legamento longitudinale anteriore tensionamento (allungamento) hyperextension of the lumbar spine can compress the
interspinous ligaments, possibly creating a source of low-back pain
legamento longitudinale posteriore detensionamento legamento giallo detensionamento legamento intertasversario detensionamento legamento interspinoso detensionamento legamento sovraspinoso detensionamento
fora
me
e ca
nal
e diametro del forame intervertebrale
Relative to the neutral position, full lumbar extension reduces the diameter of the intervertebral foramina by 11%
A person with nerve root impingement caused by a stenosed intervertebral foramen should limit activities that involve hyperextension, especially if they cause weakness or altered sensations in the extremities.
diametro del canale vertebrale
diminuzione Lumbar extension may increase the pressure on spinal cord due to a stenosis of vertebral canal
variazione di tensione del midollo spinale detensionamento
lord
osi
movimento pelvico associato
anteroversione con aumento del grado di lordosi lombare exaggerated lordosis increases the sacrohorizontal angle and thus the anterior shear force at the lumbosacral junction, possibly favoring the development of an anterior spondylolisthesis of the lower lumbar region
limiti al movimento contatto delle facce articolari dell’articolazione interapofisaria, legamento longitudinale anteriore, fibre anteriori dell’anello fibroso
increased compression within the lumbar apophyseal joints, and between posterior elements of lumbar vertebrae
Sollevamento di un carico: consigli posturali ed ergonomici
1. Mantenere la colonna in neutro, in particolare non rettificare o invertire la lordosi lombare.
2. Mantenere il carico vicino al tronco ed evitare di inclinare troppo il tronco in avanti creando eccessivo sbalzo orizzontale fra testa
e zona lombare.
3. Non mantenere il tronco verticale e creare eccessivo sbalzo orizzontale tra il ginocchio e il piede (portare il ginocchio
eccessivamente in avanti rispetto al piede) .
4. Flettere l’anca ed il ginocchio simultaneamente in modo che la distanza orizzontale di anca e ginocchio dalla base di appoggio sia
circa la stessa.
5. Mantenere tutta la pianta del piede a contatto con il suolo senza sollevare il tallone da terra.
3. MECCANICA DEI FLUIDI
• I fluidi • Statica dei fluidi • Dinamica dei fluidi
I fluidi
Fluidi
Stati di aggregazione: caratteristiche macroscopiche Isolidi hanno forma e volume propri. I liquidi hanno volume proprio ed assumono la forma del contenitore. I gas non hanno forma e volume propri ma assumono la forma ed il volume del contenitore che li contiene. Stati di aggregazione: caratteristiche microscopiche Solidi, liquidi e gas possono essere distinti anche in base alla diversa entità delle forze intermolecolari : Nei solidi le interazioni sono più intense e le particelle possono solo oscillare attorno a pozioni fisse nello spazio. Nei gas le molecole sono in moto individuale disordinato e sono in media a distanze tali che le mutue interazioni sono trascurabili, tranne che durante le collisioni con altre molecole del gas o con e pareti del recipiente. Nei liquidi si ha una situazione intermedia, le particelle possono muoversi all’interno del volume occupato, tuttavia le forze mantengono la coesione (prossimità) fra le particelle. Fluidi Si definisce fluido una sostanza che si deforma illimitatamente (fluisce) se sottoposta a uno sforzo di taglio, indipendentemente dall'entità di quest'ultimo; è un particolare stato della materia che comprende i liquidi e i gas. Fluidi ideali Come per i sistemi materiali si introduce anche per i fluidi un modello ideale. Un fluido si dice ideale se é • Incomprimibile (densità e volume indipendenti dalla pressione), • Privo di viscosità (assenza di forze di taglio fra strati adiacenti di fluido in moto relativo).
Statica dei fluidi
Forze esercitate dalle particelle di un fluido
Le forze che le particelle di fluido esercitano su un elemento di superficie S di un corpo posto al suo interno: sono forze a corto raggio (ogni particella interagisce solo con le particelle adiacenti per contatto) non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie S; sono forze di spinta (non trazione o taglio) sempre perpendicolari alla superficie del corpo e dirette verso il suo interno
S
liquido
solido
questa particella trasferisce sulla superficie del solido il peso di tutte particelle sovrastanti
S
liquido
Ogni particella di fluido spinge con la stessa forza in tutte le direzioni: tutte le superfici del solido sono soggette a forze di pressione
solido
S
liquido
solido
Ogni particella di fluido spinge con la stessa forza in tutte le direzioni: tutte le superfici del solido sono soggette a forze di pressione
Pressione
Consideriamo un liquido contenuto in un recipiente. Le forze che le particelle di fluido esercitano sul fondo del recipiente hanno queste caratteristiche: sono forze a corto raggio date dal peso del fluido soprastante non sono applicate ad un punto ma distribuite su tutta la superficie del parte inferiore sono forze di spinta (non di trazione o taglio) sempre perpendicolari alla superficie del fondo
F
2 F
S 2S
MM2 h h
La forza sul fondo del recipiente più grande è doppia rispetto a quello più piccolo, ma agisce su una superficie che è due volte più grande: la forza per unità di superficie (la forza agente su ogni mattonella) è la stessa la forza agente sulla superficie diviso l’area della superficie (pressione media) è la stessa
S
F
S
FP
2
2
S
FP
F
2 F
S 2S
la pressione P è la stessa
M2 M
Il liquido esercita una pressione su tutte le superfici che sono al suo interno: la pressione esercitata su una superficie S non dipende dal fatto che quella sia la superficie di un solido o dello stesso liquido, o del recipiente
liquido
liquido
S
FP
solido
S S
pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso
pressione esercitata dal liquido su una superficie di un solido
la pressione è la stessa
pressione esercitata dal liquido sul fondo del recipiente
pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso
S
FP
pressione esercitata dal liquido su una parte della superficie laterale del recipiente
pressione esercitata dal liquido sul fondo del recipiente
pressione esercitata dal liquido su una superficie del liquido stesso
pressione esercitata dal liquido su una parte della superficie laterale del recipiente
S
FP
atm. Torr kgpeso/cm2 bar mbar Pascal
1 atmosfera = 1 760 1.033 1.013 1.013·103 1.013·105 1 Torr = 1 / 760 10-3 1 1.32·10-3 1.333x10-3 1.333 1.333·102 1 kgpeso/cm2 = 0.968 736 1 0.981 0.981·103 0.981·103
1 bar = 0.987 750 1.019 1 103 105 1 mbar = 0.987·10-3 0.750 1.019·10-3 10-3 1 102 1 Pascal = 0.987·10-5 0.750·10-2 1.019·10-5 10-5 10-2 1
Unità del SI: il Pascal 1 Pascal 1 N/m2 L’ atmosfera 1 atmosfera = 1.013·105 Pa Il kgpeso/cm2 kgpeso/cm2 = 0.981·105 Pa Il torr (mmHg) 760 torr = 1 atm; 1 torr = 1/760 atm = 1.013x105 / 760 Pa = 1.333x102 Pa I multipli del Pascal 1 bar 105 Pa 1 atm = 1.013 bar kgpeso/cm2 = 0.981 bar 1 mbar 10-3 bar =102 Pa 1 torr = 1.333 mbar Tabella di conversione delle unità di pressione.
Unità di misura della pressione
Legge di Stevino
Enunciato La differenza di pressione fra due punti in un fluido omogeneo, incomprimibile, pesante ed in equilibrio, è pari al peso di una colonna di fluido di sezione unitaria ed altezza pari alla differenza di quota (distanza verticale) fra i due punti
z
z0
Szp )(
Szp )( 0
MggzzSSzpSzp )()()( 00
Dimostrazione: Condizione di equilibrio di una pozione cilindrica di fluido di densità , massa M, volume V, base S e altezza h:
ghzpzzgzpzp )()()()( 000
MgSzpSzp )()( 0
)( 0zzSVM ghphp atm )(
Recipiente aperto (h = profondità rispetto alla superficie libera):
La pressione aumenta linearmente con la profondità
Valori della pressione media venosa e arteriosa in un soggetto in posizione eretta
In posizione eretta, la pressione media del sangue nei vari distretti viene notevolmente alterata dall’effetto della pressione idrostatica. La pressione nei vasi inferiori viene incrementata in maniera importante. Effetto della pressione idrostatica sui vasi arteriosi Le pareti di vasi sono costituite da tessuto elastico e tessuto muscolare in grado di sostenere pressioni fino a 200 mmHg → Nei vasi arteriosi l’effetto ha scarse conseguenze. Il sangue a causa della forza peso tende a portarsi al livello più basso compatibilmente con la capienza e la dilatabilità dei vasi. → Il cuore deve quindi deve esercitare una pressione supplementare per fare equilibrio al peso del sangue sovrastante, e un maggior lavoro per far salire il sangue fino al cervello → Se la pressione idrostatica della colonna di sangue sovrastante supera la pressione esercitata dal cuore, il sangue non arriva più al cervello. 760 mmHg → colonna di 10 m di acqua 100 mmHg → pressione di una colonna di acqua (o sangue) di 1,3 m Una pressione sistolica di 100 mmHg può fare equilibrio a un dislivello di oltre un metro (la distanza cuore cervello non supera mezzo metro) In condizioni di accelerazioni intense la circolazione cerebrale si può arrestare
Effetto della pressione idrostatica
La densità del mercurio è 13,6 volte più grande di quella del’acqua. Ci vuole una colonna di acqua alta 13,6 volte quella di mercurio per produrre una stessa pressione
la pressione prodotta da una colonna di 100 mm di mercurio (1000 mmHg), corrispondono alla pressione prodotta da 100*13.58 mm = 136 mm = 1.36 m di acqua
Hg
acqua
100 mm
1.36 m
gzzp )(
Effetto della pressione idrostatica sui vasi venosi Le pareti dei vasi venosi sono sottili e contengono poco tessuto elastico. → La pressione idrostatica nei vasi degli arti inferiori tende a far dilatare le vene. Questo inconveniente in parte ovviato da • la presenza nelle vene delle valvole a nido di rondine: hanno la
funzione di spezzare la colonna di sangue e di diminuire la pressione sulla parete venosa
• la contrazione dei muscoli, intorno alla vena, aiuta il ritorno del sangue al cuore, impedendo la stasi del sangue nelle vene
Un cattivo funzionamento delle valvole venose e dei muscoli degli arti inferiori ha come conseguenza l’indebolimento e la deformazione della parete venosa (vene varicose) Quando un individuo passa bruscamente dalla posizione supina a quella eretta, si può verificare un rallentamento della circolazione nelle regioni cerebrali, dovuta a una temporanea stasi del sangue nei territori venosi degli arti inferiori, dove la pressione idrostatica aumenta bruscamente
Risultante delle forze agenti su un corpo immerso in un fluido
?
Enunciato Un corpo completamente o parzialmente immerso in fluido è soggetto ad una forza (spinta di Archimede) diretta verticalmente dal basso verso l’alto, in modulo pari al peso del fluido spostato, ed applicata nel centro di massa del fluido spostato (centro di spinta S).
Principio di Archimede
S S
gVgMF flspflspflA .....
fluido spostato
peso del fluido spostato
centro di massa del fluido spostato
Misura della densità
h H
archpeso FF
gShgSH flS .
gVgV flspflS ...
.. flflSH
h
H
H
archpeso FF
gSHgSH flS .
gVgV flspflS ...
.flS
RFF archpeso
RgSHgSH fl.S
RgVgV flspflS ...
.. flflSSHg
R
S
Forze di compressione articolare in acqua
Buoyancy Buoyancy provides the patient with relative weightlessness and joint unloading by reducing the force of gravity on the body. In turn, this allows the patient to perform active motion with increased ease.
? ?
80 kg
80
? ?
80 kg
80
40 40
80 kg
? ?
80 kg
70
? ?
80 kg
35
70
35
80 kg
80 kg
?
50
?
80 kg
50
50
80 kg
80
40
35
70
40
35
50
50
72
? ?
80
40 40
80
Depth of Immersion
Percent of Bodyweight
C7 10% Xyphoid 33% ASIS 50%
72
4 4
80
40 40
80
Depth of Immersion
Percent of Bodyweight
C7 10% Xyphoid 33% ASIS 50%
40
? ?
80
40 40
80
Depth of Immersion
Percent of Bodyweight
C7 10% Xyphoid 33% ASIS 50%
40
20 20
80
40 40
80
Depth of Immersion
Percent of Bodyweight
C7 10% Xyphoid 33% ASIS 50%
?
70
?
65
35 35
70
2.5
70
2.5
65
35
70
35
?
70
?
10
35
70
35
30
70
30
10
35
70
35
50
50
50
?
45
50
50
50
5
45
50
50
50
?
50
50
50
50
Equilibrio del corpo umano in acqua
archF
P
tessuto densità (g/cm3)
osso corticale 1.990
pelle 1.100
sangue 1.060
muscolo 1.041
acqua 0.993
grasso 0.928
aria 0.0012
Dinamica dei fluidi e Circolazione del sangue
Moto stazionario
Moto Stazionario Il moto di un fluido si dice stazionario se il valore delle grandezze fisiche (pressione, densità e velocità del fluido) in un punto qualsiasi dello spazio interessato dal moto del fluido si mantiene costante nel tempo.
Av
Bv
Nel punto A, la pressione, la densità e la velocità del fluido restano costanti nel tempo
A B
Nel punto B, la pressione, la densità e la velocità del fluido restano costanti nel tempo
La pressione, la densità e la velocità nel punto A possono essere diverse da quelle nel punto B
Equazione di continuità
S1
S2
v1dt v2dt
Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la massa di fluido fra due sezioni S1 e S2 del tubo resta costante nel tempo. La massa di fluido che attraversa le sezioni S1 e S2 nel tempo dt deve essere la stessa:
dtvSdtvSdmdm 221121 2211 vSvS
Portata
Il prodotto Sv prende il nome di portata e rappresenta il volume di fluido che attraversa una sezione del tubo nell’unità di tempo. Nel moto stazionario di un fluido omogeneo e incomprimibile all’interno di un tubo di flusso, la portata è la stessa in tutte le sezioni del tubo.
(Equazione di continuità)
v1dt v2dt
Se la sezione del tubo diminuisce, allora la velocità del fluido aumenta.
Velocità del sangue
I capillari sono i vasi sanguigni di sezione minore, posti tra l'estremo terminale di un'arteria e quello distale di una vena. A livello dei capillari avviene lo scambio di acqua, ossigeno, anidride carbonica, e molti altri nutrienti chimici e sostanze di scarto tra sangue e tessuti limitrofi. Il capillare è capace di nutrire tessuto per un raggio di 1mm. Quindi, il numero di capillari in un tessuto dipende dalla massa del tessuto stesso. È questo particolare che impedisce o permette lo sviluppo di un tumore. Se il tumore ha capacità angiogeniche (di sviluppare nuovi vasi sanguigni a partire da altri già esistenti) avrà quindi possibilità di aumentare di volume.
Teorema di Bernoulli
S2
v1 dt
v2 dt
S1
h1
h2
dmdtvSdmdtvSdm 222111
21 hhgdmdLpeso
21222111 pp
dmdtvSpdtvSpdLpressione
2
1
2
22
1vvdmdEC
Cpressionepeso dEdLdL
Ipotesi: Fluido ideale e pesante, in moto stazionario in un sottile tubo di flusso. Applichiamo il teorema del lavoro alla massa di fluido che all’istante t è compresa fra e sezioni S1 e S2
Dopo un tempo dt la stessa massa di fluido sarà compresa fra e sezioni S’1 e S’2
2
222
2
1112
1
2
1vghpvghp
p1 S1
p2 S2
dm
dm
Teorema del lavoro:
S’1
S’2
Effetto Venturi
S1 S2
v1 v2
2
222
2
1112
1
2
1vghpvghp
2211 vSvS equazione di continuità
teorema di Bernoulli
21 vv
21 pp
In corrispondenza della strozzature la velocità aumenta, ma la pressione diminuisce (effetto Venturi).
p1 = pest
pest
p2 < pest
pest
arteria placca
S1 S2
v1 v2
pest
Ciò provoca un ulteriore aumento di v2 e un ulteriore diminuzione di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore restringimento di S2, innescando un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza di reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione.
A livello della strozzatura, la pressione esterna non è più equilibrata dalla pressione interna e la sezione S2 tende a restringersi ancora, deformando la parete dell’arteria.
pest
Fel.
placca arteria
Stenosi di un arteria
p1 = pest p2 < pest
S1 S2 = 0 v1
v2 = 0
pest
p2 > pest
pest Fel.
placca
2
222
2
1112
1
2
1vghpvghp
Se l’arteria si chiude completamente, v2 si annulla, ma allora, per il teorema di Bernoulli, p2 diventa maggiore di p1 e l’arteria si riapre.
12 pp
Appena riaperta, tuttavia, l’arteria tende a richiudersi, per effetto Venturi (spasmi dell’arteria).
p1 = pest
placca
Tipicamente l’interruzione del flusso (infarto) ha luogo quando un frammento di placca si distacca dalla parete dell’arteria, entra in circolo, e va ad occludere una stenosi (restringimento) pre-esistente.
S1 S2
v1 v2
p1 = pest
pest
Fel.
arteria p2 > pest
Aneurisma
pest
A livello dell’allargamento, la pressione interna non è più equilibrata dalla pressione esterna e la sezione S2 tende a dilatarsi ancora, deformando la parete dell’arteria.
In corrispondenza dell’allargamento la velocità diminuisce, ma la pressione aumenta (effetto Venturi).
Ciò provoca un ulteriore diminuzione di v2 e un ulteriore aumento di p2 (effetto Venturi) e dunque un ulteriore allargamento di S2, innescando un circolo vizioso. Questo si arresta quando la forza della reazione elastica Fel della parete dell’arteria (proporzionale alla sua deformazione) equilibra la forza dovuta alla differenza di pressione. Tuttavia la parete dell’arteria, sotto sforzo, perde elasticità nel tempo ed il processo diventa inarrestabile, fino alla rottura della parete dell’arteria.
Portanza
p1= pimp
p2 La pressione al di sopra dell’ala è minore di quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso si restringe). La pressione al di sotto dell’ala coincide circa con quella imperturbata a monte dell’ala (il tubo di flusso mantiene sezione circa uguale).
2121 pppSS impert
S2 S1
p1
Questa differenza di pressione fra la parte inferiore e la parte superire dell’ala genera una forza diretta verso l’alto nota col nome di portanza.
p1
Viscosità
4
8
R
lR
Fluidi ideali in moto stazionario Fluidi viscosi in moto stazionario (laminare)
R
Il moto del fluido si mantiene anche senza una differenza di pressione fra 2 qualsiasi sezioni del condotto.
Per mantenere il fluido in moto è necessario applicare agli estremi del condotto una differenza di pressione, che serve per vincere il lavoro delle forze di attrito.
0R resistenza la flusso
: coefficiente di viscosità)
l
Sezione del condotto cilindrico ortogonale
al suo asse Sezione condotto cilindrico contenente il suo asse
Visualizzazione del moto laminare in un condotto cilindrico
Moto turbolento
Se la velocità del fluido nel condotto viene progressivamente incrementata , aumentando la differenza di pressione agli estremi del condotto, si ha il passaggio dal regime di moto laminare al regime di moto turbolento
Moto laminare silenzioso
Moto turbolento rumoroso
PQ
PQ
Caratteristiche del moto turbolento • Aumento della resistenza del condotto e della dissipazione di
energia per attrito. • Un volumetto di fluido catturato in un vortice, pur avendo
una velocità propria notevole, avanza nel condotto assieme al vortice, che si muove in modo relativamente lento.
critvd
v
)2/(max
critvv max
Numero di Reynolds • Vale circa 1200 per condotti rettilinei • In corrispondenza di strozzature o gomiti
diminuisce (in corrispondenza di irregolarità il moto diventa più facilmente turbolento).
Aorta Se i vasi fossero rigidi la pressione del sangue nelle arterie cadrebbe rapidamente a zero durante la fase del ciclo cardiaco in cui la valvola aortica rimane chiusa (linea continua). A causa della distensibilità delle arterie, durante la sistole la parete dell’aorta si dilata. Quando la valvola aortica si chiude, inizia la fase diastoica in cui la pressione nell’aorta diminuisce gradualmente, senza annullarsi, a causa dell’effetto di compressione da parte della parete elastica dell’arteria, che tende a ritornare nelle condizioni di partenza La distensibilità delle arterie permette di immagazzinare, durante la sistole, parte dell’energia cinetica del sangue sotto forma di energia potenziale elastica, accumulata nelle pareti, che si riconverte in energia cinetica del sangue durante la fase di diastole.
Effetto della distensibilità dei vasi
Si ottiene così un andamento della pressione che varia da un valore massimo, o sistolico, ad un valore minimo, o diastolico.
Arterie La dilatazione delle pareti delle arterie inizia nell’aorta, all’uscita del sangue dal cuore, e si propaga via via lungo le arterie: la pressione sistolica produce una deformazione elastica che si propaga lungo le pareti delle arterie (onda sfigmica) con una velocità u che dipende dalle caratteristiche elastiche delle pareti ed è superiore alla velocità media del sangue v. Questa deformazione elastica delle pareti aiuta il moto del sangue e mantiene una portata relativamente costante malgrado l’intermittenza della pompa cardiaca. L’aumento della rigidità delle pareti arteriorse (arteriosclerosi) provoca un aumento della velocità dell’onda sfigmica, e dunque spinte brevi nel tempo sulla massa locale di sangue che avanza con velocità molto minore e non riesce a seguire l’impulso elastico. In questo caso, la pulsatitilità della parete fornisce un minor aiuto all’avanzamento del sangue che deve essere compensato da un aumento di pressione generato da un maggior lavoro della pompa cardiaca (ipertensione).
Misura della pressione del sangue
Lo sfigmomanometro Lo sfigmomanometro consiste in una fascia di materiale non dilatabile che nella parte interna forma una camera di gomma in cui si pompa aria e che è connessa a un manometro. L’aria viene immessa mediante un palloncino munito di una valvola.
Misura della pressione del sangue
1. La fascia viene applicata al braccio, l’aria viene pompata in modo da comprimere l’arteria sottostante, fino ad applicare su questa una pressione p1 maggiore di quella sistolica (pressione massima), bloccando così il trasporto del sangue. L’arresto delle pulsazioni può essere rilevato con uno stetoscopio applicato sull’articolazione interna dell’avaraccio dove l’arteria scorre superficialmente.
Pressione in una grossa arteria
Pressione nella fascia elastica
2. A partire dal valore p1 (arteria completamente chiusa), si apre la valvola in modo che l’aria esca lentamente e la pressione della fascia elastica diminuisca gradualmente. In questo modo si determinano:
Pressione sistolica (ps) o pressione massima:
pressione a cui si avverte la ripresa delle pulsazioni, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p1 → ps → p2) da silenzio (arteria completamente chiusa) a rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.
Pressione diastolica (pd) o pressione minima:
pressione a cui scompare il rumore pulsato, determinata auscultando con lo stetoscopio la transizione (p3 → pd → p4) da rumore turbolento pulsato (successiva apertura e chiusura dell’arteria) a silenzio in regime laminare (arteria completamente aperta) e leggendo nel manometro la pressione corrispondente.
Dal momento che il braccio è allo stesso livello del cuore, le misure di pressione del sangue al braccio fornisce valori prossimi a quelli vicino al cuore (nelle grandi arterie la dissipazione di energia per attrito e la corrispondente diminuzione di pressione è modesta anche per percorsi di alcune decine di cm).
4. ONDE IN MEZZI ELASTICI
• Onde meccaniche in mezzi elastici • Il suono e gli ultrasuoni • Gli ultrasuoni in medicina
Onde meccaniche in mezzi elastici
Onde elastiche
Onde elastiche • Se in una regione limitata di un mezzo materiale viene prodotta una piccola deformazione, si generano forze di
richiamo di tipo elastico (proporzionali alla deformazione) che tendono a riportare le particelle del mezzo nella posizione di equilibrio.
• Le particelle del mezzo, essendo sottoposte a forze di richiamo di tipo elastico, si muovono di moto armonico attorno alla posizione di equilibrio.
• A causa dell’interazione a corto raggio esistente fra tra le particelle del mezzo, questa perturbazione vibratoria si propaga nel mezzo con una velocità che dipende dalla natura del mezzo, dalla direzione di propagazione (se il mezzo non è isotropo), e dal carattere trasversale o longitudinale della vibrazione.
Esempio
Il lancio di un sasso in uno specchio d’acqua inizialmente in quiete produce una perturbazione ondosa che si manifesta con l’apparire di una serie di anelli concentrici di liquido perturbato che si allontanano dal punto dove è caduto il sasso. L’arrivo dell’onda produce nelle particelle di liquido via via interessate dal fenomeno un moto oscillatorio su orbita chiusa; passata l’onda le particelle tornano in quiete nella stessa posizione di equilibrio che occupavano prima dell’arrivo dell’onda.
Propagazione di energia
Ciò che si propaga non è materia, ma solo il movimento di particelle attorno alle loro posizioni di equilibrio, a cui è associato un trasferimento di energia (cinetica e potenziale).
Onde longitudinali e onde trasversali
Onda longitudinali Le particelle del mezzo si spostano parallelamente alla direzione di propagazione dell’onda (onda di densità in un gas contenuto in un recipiente chiuso da un pistone che si muove di moto armonico)
Onde trasversale Le particelle del mezzo si spostano perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda (onda in una corda o in una fascia in tensione)
direzione di propagazione
dell’onda
Onde sinusoidali: lunghezza d’onda
lunghezza d’onda: minima distanza fra due punti del mezzo che vibrano in fase
Onda sinusoidale
x
y
Lunghezza d’onda
x
y
A
-A
t t + t
vT
Periodo: tempo necessario ad un punto P del mezzo per compiere un’oscillazione completa
Onde sinusoidali: periodo e frequenza
Tf
1 Frequenza: numero di oscillazioni che un
punto del mezzo compie al secondo
Periodo
Frequenza
t
P
Tt
P
L’effetto Doppler L'effetto Doppler consiste nel cambiamento apparente della frequenza fR di un'onda percepita da un ricevitore (R), rispetto alla frequenza fS emessa dalla sorgente (S) dell’onda, quando S ed R sono in moto relativo fra loro: • se R ed S si avvicinano fra loro: fR > fS
• se R ed S si allontanano fra loro: fR < fS
Analisi quantitativa Se S e R si muovono lungo la medesima retta di moto uniforme si trova che: (c = velocità di propagazione dell’onda)
Effetto Doppler
SS
RR f
vc
vcf
)(
)(
Sv
Rv
x
Sv
Rv
x
Sv
Rv
x
Sv
Rv
x
esempi di avvicinamento esempi di allontanamento
Effetto Doppler: sorgente in quiete
SS
RR f
vc
vcf
)(
)(
Rv
SR
RS fc
vcfv
)(0
x • R si allontana da S
• R si avvicina a S
SRSR
R fffc
vcf
Sorgente in quiete rispetto al mezzo di propagazione
Rv
x
SRSR
R fffc
vcf
Effetto Doppler: ricevitore in quiete
SS
RR f
vc
vcf
)(
)(
Sv
x • S si allontana da R
• S si avvicina a R
SRSS
R fffvc
cf
Ricevitore in quiete rispetto al mezzo di propagazione
Sv
x
SRSS
R fffvc
cf
SS
RR fvc
cfv
)(0
Il suono e gli ultrasuoni
Il suono
Il suono L’orecchio umano è in grado di percepire onde elastiche la cui frequenza f è compresa fra 20 Hz e 20 kHz. In questo intervallo di frequenze le onde elastiche sono chiamate suoni.
Velocità del suono Poiché la velocità vs del suono in aria è di circa 340 m/s (alla temperatura di 15 °C e a pressione atmosferica) la lunghezza d’onda del suono in aria ( = vs / f ) è compresa fra 17 mm e 17 m
Pressione sonora Nei gas la propagazione di un’onda dà luogo a zone di compressione e di rarefazione, e determina una variazione di pressione istantanea che con successive compressioni e rarefazioni, è in grado di porre in vibrazione una membrana, ad esempio il timpano nell’orecchio umano.
Gli ultrasuoni
Ultrasuoni Vibrazioni meccaniche con frequenze superiori a 20 kHz.
Produzione Per produrre ultrasuoni si ricorre in generale a cristalli piezoelettrici: quando a questi cristalli viene applicata una differenza di potenziale elettrico alternata essi si mettono a vibrare con una frequenza uguale a quella della differenza di potenziale applicata.
+ +
- -
-
+
+ +
- -
-
+
- - - - -
animazione
+ + + + + +
+ +
- -
-
+
+ + + + + +
- - - - -
differenza di potenziale alternata
Rilevazione L’effetto inverso si sfrutta nella rilevazione degli ultrasuoni: questi stessi cristalli, sottoposti a vibrazioni meccaniche ultrasonore, generano una d.d.p. elettrico alla stessa frequenza, facilmente misurabile con opportuni dispositivi elettronici.
+ +
- -
-
+
+ +
- -
-
+
Parametri • In questo modo si possono emettere o rilevare ultrasuoni con frequenza f fino a 1 GHz e lunghezza d’onda in
aria (v ≈ 340 m/s) di 0.34 m ed in acqua (v ≈ 1450 m/s) di 1.45 m ( = v / f ). La lunghezza d’onda così piccola di questi ultrasuoni, circa dell’ordine di quelle della luce, fa sì che essi si propaghino rettilineamente, costituendo dei veri e propri raggi sonori: un fascio di simili ultrasuoni è altamente direzionale.
• I generatori di ultrasuoni utilizzati in medicina hanno intensità I che varia da 10-4 a 10 W/cm2.
+
-
+ +
- -
-
+
+
-
dilatazione compressione
• Per I =10 W/cm2 e f = 1 MHz si ottengono onde di pressione di 5.5 atmosfere di ampiezza: due punti
situati a mezza lunghezza d’onda di distanza (0.75 m nell’acqua) sono sottoposti ad una differenza di pressione istantanea di 11 atmosfere, cui corrisponde un’accelerazione istantanea delle particelle del mezzo, sottoposte ad un simile gradiente di pressione, di circa 2.3∙105 volte l’accelerazione di gravità.
• Un fascio di ultrasuoni ad alta intensità può dare luogo ad intense azioni meccaniche e alla produzione di
calore nei materiali, provocare la rottura di grosse molecole, generare fenomeni di cavitazione nei liquidi, e aumentare la velocità di reazioni chimiche.
• L’energia trasportata da un fascio di ultrasuoni viene assorbita nei mezzi materiali secondo una legge di tipo esponenziale
Interazione degli ultrasuoni con la materia
xeIxI
0)(
I0= intensità incidente; I(x) = intensità trasmessa dopo l’attraversamento di uno spessore x = coefficiente di assorbimento (dipende da f e dal materiale attraversato) Per i materiali biologici e frequenze comprese fra 0.5 e 15 MHz, è proporzionale a f.
Gli ultrasuoni in medicina
Sonda (sorgente in quiete)
trasmittente ricevitore
Flussimetria Doppler Tecnica che consente la misura della velocità (portata) del sangue in modo non invasivo utilizzando l’effetto doppler con onde ultrasonore.
fascio ultrasonoro emesso dalla sonda
globuli rossi (ricevitore mobile)
c vB S
BB f
c
vcf
Sonda (ricevitore in quiete)
trasmittente ricevitore
fascio ultrasonoro riflesso dal sangue globuli rossi
(sorgente mobile)
c vB B
B
R fvc
cf
Misurando la variazione di frequenza fra fascio emesso e fascio ricevuto per riflessione è possibile ottenere la velocità media del sangue VB
SB
S
B
BSR f
c
vf
vc
vff
cos2
cos
cos2 Nel caso in cui il vaso forma un angolo col fascio
(B = blood)
SB
S
B
BSRS
B
BR f
c
vf
vc
vfff
vc
vcf
22
Gli ultrasuoni nella diagnostica medica
Ecografia L’ecografia è una tecnica basata sulla riflessione da parte di interfacce tra mezzi acustici diversi attraversati da un fascio ultrasonoro.
• Un trasduttore piezoelettrico viene posto a contatto con la pelle tramite un gel, che agisce come sostanza conduttrice del suono, ed emette brevi impulsi di onde ultrasonore (della durata da 1 a 5 s, per circa 200 volte al secondo, ciascuno a frequenze da 1 a 15 MHz).
• Il fascio ultrasoro viene riflesso da parte delle interfacce tra mezzi acustici diversi (grasso/muscolo etc.) che si trovano a diverse distanze lungo la direzione del fascio.
• Lo stesso trasduttore piezoelettrico riceve le onde riflesse (echi) prodotti dalle superfici poste perpendicolarmente alla traiettoria del fascio in tempi diversi a secondo della distanza complessiva percorsa dal fascio.
• Il tempo che intercorre fra tra l’emissione degli impulsi e la ricezione delle onde riflesse dalle interfacce, nota la velocità di propagazione nel mezzo, consente di misurare la distanza tra il trasduttore e le interfacce stesse.
• I segnali ecografici ricevuti dalla sonda vengono elaborati elettronicamente per fornire una immagine della anatomia della zona esplorata.
Una sonda ecografica è costituita da numerosi elementi piezoelettrici che consentono di esplorare un angolo superiore a 60°.
tessuto densità (g/cm3) v (m/s) Z ( kg m-2 s-1)
osso 1.990 3760 7.48
pelle 1.100 1537 1.69
sangue 1.060 1584 1.68
muscolo 1.041 1580 1.64
acqua 0.993 1527 1.52
grasso 0.928 1476 1.36
aria 0.0012 340 0.0004
Gli ultrasuoni nella terapia medica
Terapia fisica Gli ultrasuoni svolgono un’azione diretta, di tipo meccanico e termico, impiegata localmente su determinati tessuti, per la cura di nevralgie, artrosi, lombalgie e reumatismi. Nel caso in cui si richiede un effetto termico localizzato, il fascio di ultrasuoni, a bassa intensità, viene spostato continuamente sull’area da trattare, in modo da non sottoporre la zona stessa ad un’azione prolungata per più di qualche secondo, per evitare danni cellulari.
Terapia dei calcoli
I calcoli vengono frantumanti da onde meccaniche ultrasoniche impulsate ad alta intensità (litotrizione).
Odontoiatria L’azione frantumatrice degli ultrasuoni viene sfruttata, anche se con intensità inferiore, per eliminare il tartaro (formazione calcarea che si forma alla base dei denti). Gli ultrasuoni vengono anche impiegati per devitalizzare i nervi dei canali dentari
Oculistica
Negli interventi sulla cataratta, il cristallino viene eliminato frantumandolo con ultrasuoni ed aspirandone i residui.
Urologia
Gli ultrasoni sono impiegati negli interventi per la cura del tumore alla prostata e dell’ipertrofia prostatica.
Chirurgia vascolare
Impiegando generatori e rilevatori miniaturizzati di ultrasuoni montati all’apice di cateteri, si possono eseguire interventi per stabilire la composizione della placca arteriosclerotica e causarne la frantumazione, disostruendo le arterie.
5. TERMOLOGIA
• Calorimetria • Termoregolazione del corpo umano • Termodinamica
Calorimetria
Stato termico di un corpo
La temperatura è una grandezza che viene introdotta per descrivere quello che si chiama lo stato termico di un corpo. La sua introduzione è suggerita dalle sensazioni che di provano toccando corpi diversi: uno di essi ci può apparire più caldo di un altro.
Osservazioni sperimentali
• Se due corpi, dei quali uno è stimato più caldo dell’atro, vengono lasciati a contatto per un tempo suffi-cientemente lungo, finiscono per sembrare ugualmente caldi: si dice che hanno raggiunto l’equilibrio termico.
• Al variare dello stato termico di un corpo (della sensazione di più o meno caldo che esso può dare) variano i valori che per esso assumono alcune grandezze fisiche come la lunghezza, il volume, il colore, etc.
Termoscopio
Si può pensare di scegliere uno di questi corpi (sostanza termometrica) e porre attenzione ad una sua proprietà che dipende dallo stato termico del corpo (proprietà termometrica) per realizzare uno strumento (termoscopio) che consente di paragonare oggettivamente gli stati termici dei corpi.
Esempio di termoscopio
Si introduce mercurio (sostanza termometrica) in un recipiente formato da un bulbo ed un capillare e si osserva l’altezza della colonna liquida nel capillare (proprietà termometrica).
corpo 1 corpo 2
Utilizzo del termoscopio Disponendo il termoscopio successivamente a contatto con ciascuno dei corpi in esame, stabilito l’equilibrio termico, la proprietà termometrica assume valori che possono essere usati per il confronto dello stato termico dei corpi stessi.
Temperatura
Scale termometriche Per giungere ad una valutazione numerica della temperatura (T) si prendono in considerazione stati termici che diano affidamento di stabilità e di facile riproducibilità (ad esempio i punti di fusione o ebollizione di sostanze semplici a pressione atmosferica normale) e si assegnano ad essi valori convenzionali di T. Si realizza così un termometro in gradi di valutare quantitativamente la temperatura di un corpo
Scala centigrada
Si pone il termoscopio nel ghiaccio fondente e successivamente nei vapori di acqua bollente a p.a.n., l’intervallo delle posizioni raggiunte dall’indice della proprietà termometrica nelle due misure viene diviso in 100 parti. Questa taratura fra 0 °C e 100 °C viene estesa al di sopra e al di sotto usando una legge lineare.
Punto fisso di riferimento Temperatura in gradi centigradi (°C)
Punto di fusione del ghiaccio a pressione atmosferica normale 0 °C
Punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica normale 100 °C
Scala delle temperature assolute Oltre alla sostanza e alla proprietà termometrica, è possibile scegliere anche la scala termometrica basandosi sulle proprietà dei gas perfetti. Con al scala delle temperature assolute
• le equazioni termodinamiche che riguardano i gas perfetti diventano particolarmente semplici, • lo zero della scala ha un significato fisico importantissimo: è una temperatura limite inferiore che non può
essere raggiunta (si violerebbe il secondo principio della termodinamica).
15.273 centass TT
Calore
Interpretazione microscopica Il calore è legato a quella particolare energia (cinetica e potenziale) che i corpi posseggono in virtù dello stato di moto individuale e disordinato delle particelle che lo costituiscono (moto di agitazione termica).
Calore e temperatura
Al variare della temperatura questi moti sono alterati, nel senso che ad essi compete una maggior energia all’aumentare della temperatura.
Equipartizione dell’energia Il raggiungimento dell’equilibrio termico fra due corpi posti a contatto, e inizialmente a temperature diverse, corrisponde ad un passaggio di energia dalle particelle del corpo più caldo a quelle dell’altro, e ad una ripartizione dell’energia totale fra i gradi di libertà delle particelle componenti i corpi del sistema. Questo trasferimento di energia dovuto alla differenza di temperatura corrisponde a quantità di calore che dal corpo più caldo passano a quello più freddo.
Definizione di calore La quantità di calore richiesta per far passare un corpo da una temperatura T1 a una temperatura T2 non è altro che l’energia che il corpo deve scambiare con l’esterno in modo che i moti delle sue particelle passino da quelli caratteristici per il primo stato a quelli caratteristici per il secondo stato.
Dimensioni fisiche e unità di misura del calore Il calore ha le stesse dimensioni fisiche dell’energia; l’ unità di misura nel S.I. è il Joule.
Calore specifico La quantità di calore necessaria per far passare un corpo da una temperatura T1 ad una T2 (non distante da T1) è: 1) proporzionale alla massa del corpo 2) dipende dalla natura del corpo 3) proporzionale a T2 -T1 ;
)( 12 TTcmQ
Calore specifico, caloria
Caloria
Viene spesso utilizzata un’altra unità di misura per le quantità di calore, la caloria, definita come la quantità di calore richiesta per innalzare la temperatura di un grammo di acqua da 14,5 a 15,5 °C
c = calore specifico. Rappresenta la natura del corpo nei riguardi della quantità di calore richiesta per variare la sua temperatura
cm = capacità termica del corpo
joulecaloria 1868.41
Trasmissione del calore: convezione
Trasmissione del calore La trasmissione del calore consiste nel passaggio di quantità di calore da un corpo ad un altro, o da una parte di un corpo ad un’altra. Essa avviene attraverso tre diversi meccanismi: convezione, conduzione e irraggiamento.
Convezione
La convezione è il modo di propagazione del calore a cui è associato movimento di materia: essa può presentarsi nei liquidi e negli aeriformi nei quali le particelle sono libere di muoversi e cambiano densità con la temperatura.
Descrizione quantitativa della convezione
Quantità di calore trasmessa per convezione nell’unità di tempo attraverso la superficie S
TSKt
Qconv
Meccanismo della convezione Ad eccezione dell’acqua al di sotto di 4 °C, l’aumento della temperatura produce una diminuzione della densità (aumento il volume a parità di massa). Per il principio di Archimede le particelle calde tendono a portarsi nella parte più elevata della massa fluida e quelle più fredde nella parte inferiore. Si creano correnti nella massa ed un rimescolamento in conseguenza dei quali il calore è trasmesso da una parte all’altra del fluido.
Esempi • Liquido in una pentola scaldata sul fondo • Impianti a termosifone • Correnti oceaniche • Impianti di ventilazione • Formazione dei venti • Brezza di terra e brezza di mare
Trasmissione del calore: conduzione
Conduzione La conduzione è il modo di propagazione del calore a cui non è associato movimento di materia. Si verifica soprattutto nei solidi quando due corpi a diversa temperatura sono posti a contatto o due parti dello stesso corpo si trovano a temperature diverse.
Descrizione quantitativa
Quantità di calore (Q) trasmessa nell’unità di tempo (t) attraverso una qualsiasi sezione S di una sbarra di lunghezza l le cui estremità sono mantenute a temperature T1 e T2 differenti (legge di Fourier):
l
TSK
t
Qcond
l
S T1 T2
Meccanismo microscopico Le molecole dei solidi, nel loro moto di agitazione termica, oscillano attorno alla loro posizione di equilibrio con ampiezza proporzionale alla loro energia. La trasmissione di calore per conduzione corrisponde al trasferimento di energia dalle molecole più calde alle molecole più fredde per interazione fra molecole adiacenti.
Conducibilità termica di alcune sostanze a T ambiente
sostanza Kcond (J m-1 s-1 °C-1)
rame ferro e acciaio ghiaccio vetro acqua pelle secca neve legno sughero polistirolo lana di vetro aria
3.85·102
4.60 2.17 0.84 0.585 0.251 0.210 0.125 0.042 0.040 0.0389 0.0230
Trasmissione del calore: irraggiamento
L’irraggiamento è quel processo di trasmissione del calore nel quale l’energia è trasportata nello spazio fra un corpo e l’altro mediante onde elettromagnetiche (radiazione).
Elettromagnetismo
Termoregolazione del corpo umano
Termoregolazione
La temperatura del corpo umano è relativamente uniforme e costante (a circa 37 °C) indipendentemente dalle condizioni ambientali esterne. • La convezione del sangue è il meccanismo principale con cui il corpo umano è in grado di mantenere una
temperatura quasi uniforme fra le sue parti. • Affinché la temperatura del corpo resti costante è necessario che la quantità di calore prodotto nel corpo
sia uguale alla quantità di calore eliminata (dissipata) dal corpo attraverso la superficie cutanea.
quantità di calore prodotto nel corpo
quantità di calore eliminato (dissipato) dal corpo attraverso la superficie cutanea =
La dissipazione del calore ha luogo per mezzo di tre meccanismi Dissipazione di calore per conduzione – Se Tambiente < Tcorpo una parte del calore superfluo viene dissipata per conduzione fra la pelle e l’aria. – Il calore dissipato per conduzione dal corpo è proporzionale a Tcorpo - Tambiente (legge di Fourier). Dissipazione di calore per irraggiamento – A 37 °C il corpo umano emette nello spazio circostante radiazioni principalmente nel campo dell’ infrarosso. – Se Tambiente < Tcorpo la quantità di energia emessa dal corpo per irraggiamento è superiore a quella assorbita. – Il calore dissipato per irraggiamento dal corpo è approssimativamente proporzione a Tcorpo - Tambiente Dissipazione di calore per sudorazione e respirazione – In entrambi i casi si ha evaporazione di acqua dalla superficie del corpo. – Il calore necessario per l’evaporazione del sudore (o dell’acqua all’interno dei polmoni) viene sottratto dal corpo. – Il calore dissipato per evaporazione aumenta all’aumentare di Tambiente. – Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore.
Contributo relativo dei meccanismi di dissipazione
A 23 °C il calore viene eliminato per il 15% per conduzione, per il70% per irraggiamento, e per il 15% per sudorazione. A 30 °C il calore viene eliminato per il 10% per conduzione, per il45% per irraggiamento, e per il 45% per sudorazione. Per temperature esterne maggiori di 37 °C, l’evaporazione rimane l’unico meccanismo di dissipazione del calore
Termoregolazione del corpo umano in presenza di condizioni ambientali estreme
Condizioni ambientali
Ambiente freddo (temperature esterna bassa)
Ambiente caldo (temperatura esterna elevata)
Ambiente secco (umidità relativa bassa)
Ambiente umido (umidità relativa elevata)
Effe
tto
su
i me
ccan
ism
i di
tras
mis
sio
ne
de
l cal
ore
la quantità di calore dissipata dal
corpo verso l’esterno per
conduzione ed irraggiamento
tende ad aumentare.
Per mantenere la T cost. bisogna
aumentare la produzione di calore
nel corpo e diminuire la
dissipazione verso l’esterno.
la quantità di calore dissipata dal
corpo verso l’esterno per
conduzione ed irraggiamento tende
a diminuire.
Per mantenere la T cost. bisogna
diminuire la produzione di calore
nel corpo e aumentare la
dissipazione verso l’esterno.
l’evaporazione di acqua dalla
superficie del corpo è
fortemente favorita
l’elevato grado di umidità
ostacola l’evaporazione del sudore e
rende la pelle e i vestiti migliori conduttori di calore
Effe
tti s
ul c
orp
o e
re
azio
ni d
el c
orp
o
Per diminuire la dissipazione il
corpo reagisce con una
vasocostrizione che ha l’effetto
di ridurre il trasferimento di calore
dall’interno alla superficie del
corpo (ridurre la differenza di
temperatura fra superficie del
corpo e l’aria circostante) e quindi
di ridurre la sua dissipazione per
conduzione.
Per aumentare la dissipazione di
calore il corpo reagisce con la
sudorazione e con una
vasodilatazione che ha l’effetto di
aumentare il trasferimento di
calore dall’interno alla superficie
del corpo (aumentare la differenza
di temperatura fra la superficie del
corpo e l’aria circostante) e quindi
di aumentare la sua dissipazione
per conduzione.
L’eccessiva siccità può
provocare disturbi
dell’apparato respiratorio,
poiché la notevole
evaporazione all’interno delle
vie respiratorie produce una
pericolosa disidratazione di
queste vie.
in presenza di un
ambiente esterno molto
caldo sarebbe necessario
poter sudare
abbondantemente, ma
l’elevato grado di umidità
ostacola l’evaporazione
del sudore, provocando
una sensazione di caldo
soffocante
se l’ambiente esterno è
molto freddo, sarebbe
necessario poter isolare il
corpo dall’ambiente
esterno, mentre invece
l’elevata umidità rende la
pelle e i vestiti migliori
conduttori di calore e
quindi ostacola la difesa
dal freddo.
Pre
cau
zio
ni
e C
om
me
nti
Ridurre la dissipazione di calore:
vestiti basso coeff. cond. termica.
Aumentare la produzione di
calore: esercizio fisico, cibo
elevato contenuto calorico.
Aumentare la dissipazione di
calore: vestiti leggeri e larghi,
ventilazione, ombra.
Ridurre la produzione di calore:
riposo, cibi ridotto contenuto
calorico.
E’importante mantenere il
giusto grado di umidità
relativa (50-69%) nelle
abitazioni
Se l’ambiente esterno è
freddo, anche se è umido,
l’ambiente interno delle
abitazioni riscaldate può
essere pericolosamente
secco (l’umidità relativa, a
parità di umidità assoluta,
diminuisce all’aumentare
della temperatura)
In ambiente umido e’ difficile per il corpo difendersi dagli
eccessi di temperatura.
Al contrario, in climi secchi il corpo umano è in grado di
sopportare temperature estreme molto meglio che non in
climi umidi
Termodinamica
Termodinamica
Termodinamica La termodinamica studia il comportamento di sistemi complessi, costituiti da un gran numero di particelle in processi in cui sono coinvolti scambi di calore e/o variazioni di temperatura. Uno dei sistemi termodinamici di maggior interesse è il gas perfetto: tutti gas ad elevate rarefazioni ed alte temperature mostrano il medesimo comportamento e per essi è stato introdotto un modello ideale (gas perfetto) che ne riproduce il comportamento limite.
Variabili stato
Per questi sistemi non è possibile determinare lo stato di moto delle singole particelle del sistema (microstato del sistema) applicando i metodi della meccanica. Il comportamento macroscopico del sistema può tuttavia essere descritto per mezzo di un numero limitato di grandezze globali (variabili di stato) fra le quali è compresa la temperatura:
Pressione (P), Volume (V), Temperatura (T), Potenziale chimico () , Numero di moli (n)
I valori che esse assumono per un certo stato di equilibrio sono caratteristici di quello stato e non dipendono dal modo in cui lo stato è raggiunto.
Equazioni di stato Le variabili di stato non sono tutte fra loro indipendenti. La natura del sistema fissa infatti delle relazioni (equazioni di stato) fra esse. Per i gas perfetti si ha una relazione che prende il nome di equazione di stato dei gas perfetti:
nRTpV molK
JR 314.8 Costante universale
dei gas perfetti
Osservazioni sperimentali Alcune esperienze suggeriscono che la diminuzione di energia meccanica di un sistema soggetto a forze di attrito (o ad altre forze non conservative) corrisponde esattamente alla quantità di calore prodotta per attrito. Quindi, considerando anche le quantità di calore nel bilancio complessivo degli scambi di energia possiamo dire che l’energia totale resta costante.
Primo principio della termodinamica
Il primo principio rappresenta il principio di conservazione dell’energia anche in presenza scambi di quantità di calore e di trasformazioni di calore in altre forme di energia e viceversa.
Enunciato del Primo principio della termodinamica Il primo principio si può enunciare dicendo che l’energia dell’universo resta costante.
Primo principio della termodinamica
v
0 mghEP
0 mghEP2
2
1mvEC
0CE
si produce calore per attrito 0v
Secondo principio della termodinamica
Esistono tutta una serie di processi in cui intervengono scambi di quantità di calore o trasformazioni di calore in altre forme di energia, che pur soddisfacendo il primo principio (conservazione dell’energia), non avvengono mai nella realtà. Queste limitazioni sono l’oggetto del secondo principio delle termodinamica. Questo principio può essere espresso in varie maniere, ciascuna delle quali pone in evidenza un aspetto diverso con cui tali limitazioni si manifestano. E’ possibile però dimostrare che tutte queste espressioni si equivalgono, giacché una porta di conseguenza l’altra.
Enunciato di Kelvin
E’ impossibile trasformare integralmente e con continuità in lavoro il calore estratto da una sorgente termica
Enunciato di Clausius
E’ impossibile che una quantità di calore passi spontaneamente (senza che si compia lavoro dall’ esterno ) da un corpo ad un altro a temperatura maggiore.
Elementi di
6. ELETTROMAGNETISMO
• Campo elettrico e campo magnetico • Onde elettromagnetiche • Le radiazioni in medicina
Campo elettrico e campo magnetico
Particella Massa (kg) Dimensioni (m) Carica elettrica (Coulomb, C)
Protone mp = 1.6725210- 27 10- 15 e = 1.610-19
Neutrone mn = 1.6748210- 27 10- 15 0
Elettrone me = 0.9109110- 30 < 10- 16 -e = -1.610-19
mr10
105.0
39
3027
219
11
92
10100.91101.67
)106.1(
107.6
109
epgr
el
mm
e
G
K
F
F
Carica elettrica, legge di Coulomb
Particelle elementari
Interazione di due cariche puntiformi nel vuoto (legge di Coulomb)
(G = 6.710-11 Nm2kg-2)
(K = 9109 Nm2C-2)
Legge di Newton
Confronto: atomo di idrogeno
prot. elettr.
rr
MmGFgr ˆ
2
rr
QqKFel ˆ
2
M m rrr ˆ
r
r
Q q rrr ˆ
r
r
Q
q
rrr ˆ
r
r
Campo elettrico: La carica Q genera nello spazio circostante un campo elettrico che può essere rilevato come una forza agente su una carica di prova q posta in quella regione dello spazio:
)()( rEqrF
)()( rEqrF
r
r
QK
q
FrE ˆ)(
2
rrr ˆ
Il vettore
individua una specifica la posizione nello spazio
Campo elettrico
Campo elettrico: generato da una carica
Unità di misura Newton/Coulomb
Potenziale elettrico
M m rrr ˆ
Energia potenziale gravitazionale Energia potenziale della massa m, nel campo di forza gravitazionale generato dalla massa M La massa m tende a muoversi verso punti ad energia potenziale minore
r
r
r
MmGrmMEP ),,(
Energia potenziale elettrica Energia potenziale della carica q, nel campo di forze elettriche generato dalla carica Q
Q q rrr ˆ
r
rr
QqKrqQEP ),,(
Potenziale elettrico Potenziale elettrico V generato dalla carica Q
Unità di misura Joule/Coulomb = Volt (V)
Proprietà La carica q positiva (negative) tende a muoversi verso punti dello spazio a potenziale elettrico minore (maggiore).
r
QK
q
ErQV P ),(
Confronto fra grandezze gravitazionali ed elettriche
rr
QqKrqQF ˆ),,(
2
r
QK
q
ErQV P ),(
r
MmGrmMEP ),,(
r
QqKrqQEP ),,(
rr
MmGrmMF ˆ),,(
2
M m rrr ˆ
Interazione gravitazionale Interazione elettrica
Forza generata dalla massa M sulla massa m
Energia potenziale della massa m, nel campo di forze generato dalla massa M
Forza generata dalla carica Q sulla carica q
Energia potenziale della carica q, nel campo di forze generato dalla carica Q
Potenziale elettrico generato dalla della carica Q
rr
QK
q
FrQE ˆ),(
2
Campo elettrico generato dalla carica Q
(unità di misura: Newton/Coulomb)
r
r
Q q rrr ˆ
r
r
Corrente elettrica Se un conduttore metallico è immerso in un campo elettrico uniforme si stabilisce ai sui capi una differenza di potenziale V=VA-VB e le cariche libere nel conduttore (elettroni di conduzione) sono soggette ad una forza qE. Si stabilisce un moto ordinato di cariche nella direzione del campo (corrente elettrica).
Corrente elettrica
dt
dQI
Unità di misura: Coulomb/secondo = Ampere (A)
Intensità di corrente elettrica Rapporto fra la carica dQ che attraversa una qualsiasi sezione del conduttore nel tempo dt, e l’intervallo dt Convenzionalmente si prende come verso della correte quello in cui si muovono le cariche positive (quello opposto al moto delle cariche negative).
EP=0
EP=mgh
gmF
+ + + + + + + +
- - - - - - - -
EqF
EVA
VB elettrone di conduzione
corrente elettrica
E
E
E
Legge di Ohm In condizioni stazionarie, per una vasta varietà di conduttori (conduttori ohmici) esiste una relazione di proporzionalità fra V e I: La costante di proporzionalità R prende il nome di resistenza elettrica del conduttore.
Generatori Esistono dei dispositivi che sono in grado di mantenete costante la differenza di potenziale ai capi del conduttore. In questo caso la corrente che lo attraversa è costante nel tempo (corrente stazionaria I ).
Corrente elettrica stazionaria
+ -
I
VA VB
A B
R
I
RIV
Schema di un semplice circuito costituito da un conduttore di resistenza R e da un generatore di forza elettromotrice
- +
Forza di Lorentz e campo magnetico Diciamo che i circuiti percorsi da corrente generano nello spazio circostante un campo B0 (detto campo magnetico) dipendente dalla posizione, il quale determina sulla carica q dotata di velocità v una forza F (detta forza di Lorentz) data dalla legge:
Unità di misura
Osservazioni sperimentali In un sistema di riferimento (laboratorio) siano presenti uno o più circuiti fermi e percorsi da corrente stazionaria, ed una carica q dotata di velocità v. Si osserva sperimentalmente che la carica è soggetta ad una forza:
• dipendente dalla posizione • perpendicolare alla velocità • modulo proporzionale alla carca q • modulo proporzionale al modulo v della velocità • in ogni posizione il modulo di F dipende dall’orientamento di v: c’è
sempre una direzione di v per cui F si annulla; la direzione di v per cui la forza è massima è perpendicolare alla direzione per cui la forza è nulla
Campo magnetico
),,(0 zyxBvqF
)(11
TTeslasmNC
v
I
q
+
-
Campo elettromagnetico
Connessioni fra campo elettrico e campo magnetico in condizioni stazionarie Le cariche elettriche sono sorgenti del campo elettrico. Le correnti elettriche sono sorgenti del campo magnetico. Ma una corrente non è altro che un moto ordinato di cariche elettriche. Il fatto che una cariche sia ferma o in movimento dipende dal sistema di riferimento scelto. La natura del campo (elettrico o magnetico) dipende dal sistema di riferimento adottato.
Connessioni nei fenomeni non stazionari
• Un campo magnetico B0 variabile nel tempo genera un capo elettrico variabile nel tempo (legge di Faraday).
• Analogamente, un campo elettrico E0 variabile nel tempo genera un capo magnetico B0 variabile nel tempo
Campo elettromagnetico Queste considerazioni lasciano intuire che campo elettrico e campo magnetico sono diverse manifestazioni di una unica entità fisica: il campo elettromagnetico
Onde elettromagnetiche
Onde elettromagnetiche
Onde elettromagnetiche Il campo elettromagnetico può propagarsi nel vuoto sotto forma di onde trasversali (onde elettromagnetiche): Il campo elettrico e magnetico oscillano mantenendosi perpendicolari fra loro e alla direzione di propagazione dell’onda.
c
TcT
1
direction of propagation
Velocità della luce
Indice di rifrazione di un mezzo In un mezzo materiale un’onda elettromagnetica si propaga con una velocità v < c. Il rapporto c/v > 1 prende il nome di indice di rifrazione del mezzo:
km/s300000m/s1038
c
Velocità della luce La velocità c delle onde elettromagnetiche nel vuoto è una costante universale
v
cn
Linea che mostra la velocità della luce in un modello in scala. Dalla terra alla luna, 384 400 km, la luce impiega circa 1,280 888 6126 secondi considerando la distanza media centro terra/centro luna.
Gli scambi di energia tra radiazione elettromagnetica e materia non possono avvenire con continuità, ma solo per quantità discrete En, multipli interi di un valore elementare e detto quanto di energia elettromagnetica o fotone) proporzionale alla frequenza della radiazione:
Il fotone
ee hnEn
La costante di proporzionalità h, detta costante di Planck, ha un valore pari a
Il fotone L’interazione della radiazione elettromagnetica con la materia può essere descritta in termini di una particella elementare priva di massa, il fotone, definito come il quanto della radiazione elettromagnetica e il mediatore dell’interazione elettromagnetica.
Questa teoria rivoluzionaria fu formulata da Max Planck nel 1900, e gli valse il premio Nobel per la fisica del 1918.
sJ1062.634
h
Max Planck
– L’assorbimento di un fotone fa passare l’atomo, o la molecola, da un livello fondamentale (di energia E1) a un livello eccitato (ad es. di energia E3), cedendogli tutta la propria energia:
– Una volta eccitato, l’atomo torna spontaneamente al livello fondamentale. La
diseccitaizone può avvenire in un salto unico o con una successione di passaggi a livelli energetici sempre più bassi: ad ogni transizione fra due stati corrisponde l’emissione di un fotone la cui energia è pari alla differenza di energia dei livelli fra cui avviene la transizione:
Quando i livelli energetici dell’atomo sono molto distanti tra loro, lo spettro della radiazione emessa o assorbita è discontinuo (spettro a righe) e le frequenze hanno valori caratteristici che permettono di riconoscere l’atomo o la molecola che le assorbe o le emette. Quando i livelli sono numerosi e fitti, lo spetto appare praticamente continuo.
Interazione delle onde elettromagnetiche con la materia
23' EEh
hEE 13
Le onde elettromagnetiche vengono emesse o assorbite dalla materia sempre sotto forma di fotoni:
12'' EEh )'''( hhh
Lunghezza d’onda
La lunghezza d’onda si esprime tipicamente in metri
Frequenza L’elettronvolt Energia
Legame fra frequenza, lunghezza d’onda ed energia del fotone
)(
103)(
18
mHz
c
T
J1919
106.1Volt1Coulomb106.1eV1
)(104.14)(15
HzeVEhE
)(
1024.1)(
)(
104.14/103)(
6158
meVE
m
seVsmeVE
hchE
seV104.14seV106.1
1062.6 15
19
34
h
Lo spettro delle onde elettromagnetiche
Le radiazioni in Medicina (da Scannicchio, Fisica Medica, Edises )
Assorbimento nei tessuti L’assorbimento nei tessuti è determinato da una legge di tipo esponenziale.
I(x) = intensità che perviene alla profondità x del corpo I0 = intensità incidente sulla superficie D = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente
Sperimentalmente si osserva che l’assorbimento delle microonde è legato alla quantità di acqua presente nei tessuti e che la produzione di calore conseguente è determinata dall’interazione del campo elettrico variabile delle microonde ed il momento di dipolo elettrico della molecola dell’acqua: il suo continuo ri-orienamento e allineamento, lungo il campo elettrico variabile, causa un assorbimento di energia da parte della molecola e quindi del tessuto, con produzione di calore. D è funzione della frequenza ed ha valori molto diversi in tessuti con differente contenuto di acqua.
Le microonde
Produzione Questa radiazione viene ottenuta mediante l’impiego di circuiti oscillanti e di speciali valvole o tubi elettronici (klystron, magnetron)
Interazione con la materia
Quando le microonde attraversano un materiale producono oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso.
(Hz) E
1 m - 1 mm 300 MHz - 300 GHz ≈ 1 eV - 1 meV
DxeIxI
/0)(
Effetti biologici ed applicazioni delle microonde
Effetti biologici L’effetto più rilevante delle microonde sul corpo umano è quello termico (diatermia).
Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico viene utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Poiché queste radiazioni penetrano abbastanza profondamente nel corpo, si riesce ad ottenere il riscaldamento di zone profonde senza che l’epidermide raggiunga temperature troppo elevate. Vengono così curate artriti, borsiti e lesioni muscolari. Le apparecchiature per diatermia utilizzano microonde (in genere con pari a circa 2450 MHz) che sono indirizzate sulla regione del corpo da trattare mediante piccole antenne poste in un riflettore semisferico che permette di focalizzare le onde in una regione limitata. Il riflettore viene situato ad alcuni centimetri dal corpo per evitare i pericoli di bruciature, sempre possibili nell’uso di elettrodi a contatto con la pelle.
Danno biologico La sovraesposizione alle microonde può causare danni, in particolare agli occhi e ai testicoli. A causa di questi pericoli, è fissato un limite di intensità, pari a 10 mW/cm2, per l’esposizione alle microonde per lunghi periodi di tempo. A titolo di confronto, questo limite è solo un decimo della massima potenza radiante solare che può essere assorbita dal corpo umano (100 mW/cm2).
Altre applicazioni • Comunicazioni satellitari • Telefonia mobile, bluetooth, Wi-fi • Radar • Forno a microonde
La radiazione infrarossa
(Hz) E
1 mm – 0.7 m 3 · 1011 – 4.3 · 1014 Hz 1.24 · meV – 1.77 eV
Produzione: Transizioni molecolari ed emissione termica da sorgenti ad alta temperatura.
Emissione termica Nella materia il moto di agitazione termica genera: • un moto disordinato di particelle cariche (protoni ed elettroni): cariche elettriche in moto accelerato producono onde
elettromagnetiche. • transizioni fra livelli energetici molecolari dal livello fondamentale ad un livello eccitato: nel processo di diseccitazione
vengono emessi uno o più fotoni la cui energia è pari alla differenza di energia fra i livelli energetici. Il processo di emissione termica è regolato dalle leggi di Stefan e Wien:
Legge di Stefan L’energia radiante emessa in un secondo da un elemento di area unitaria della superficie di un corpo è direttamente proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta (s = 1.36∙10-12 cal∙cm-2∙ s-1∙ K-4):
Legge di Wien La lunghezza d’onda per la quale l’emissione raggiunge il massimo d’intensità è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta (k= 2.897∙10-3 m∙K):
4TI s
1max
kT
• La produzione di radiazione X per emissione termica comporta temperature elevatissime: dalla legge di Wien per 1 nm ≤ ≤ 1 pm si ottiene 3∙106 ≤ T ≤ 3∙109 . Queste temperature sono raggiungibili solo in alcune stelle (sorgenti X stellari).
• Alla temperatura del corpo umano (≈ 37 °C) si ottiene max = 9.3 m. Il corpo umano emette energia termica nell’infrarosso, tuttavia l’intensità della radiazione emessa è molto bassa: dalle legge di Stefan si ottiene I = 1.25 ∙10-2 cal∙cm-2∙ s-1
• Quando un metallo viene riscaldato diventa lumisoso indicando che parte della radiazione emessa cade nel visibile. Inoltre, la colorazione dei corpi incandescenti passa dal rosso, all’arancio ed al bianco, man mano che si aumenta la temperatura, indicando che il massimo d’intensità della radiazione emessa si sposta verso le lunghezze d’onda minori all’aumentare di T.
• Il sole ha uno spettro di emissione che è ben approssimato da quello di una sorgente ideale che si trova a circa T=5800 K a cui corrisponde max = 0.5 m. Il massimo di emissione si ha nel visibile.
sole lampada da infrarosso
lampadina
Effetti biologici Il corpo umano percepisce la radiazione infrarossa sotto forma a di calore. L’effetto della radiazione sul corpo umano è puramente termico: la radiazione infrarossa attraversando un tessuto produce oscillazioni di ioni e particelle cariche il cui moto causa per attrito il riscaldamento del materiale stesso. • per il vicino infrarosso ( ≈ 0.7 m) la penetrazione è di alcuni cm • il lontano infrarosso ( > 1.4 m) viene assorbito completamente dagli strati superficiali dell’epidermide
Utilizzo a scopo terapeutico L’effetto termico (diatermia) può essere utilizzato per produrre il riscaldamento di regioni limitate del corpo umano. Viene tipicamente impiegato per il trattamento di artriti, borsiti, lesioni muscolari. • Se si vuole eseguire una terapia termica in profondità bisogna utilizzare lampade con filamento ad alta
temperatura (3000 K). • Le sorgenti a bassa temperatura (1200 K), come una stufa o una comune lampada al rosso, producono un
riscaldamento limitato alla superficie esterna del corpo, da dove poi il calore passa agli strati più profondi per conduzione.
Utilizzo per scopo diagnostico Mediante la fotografia all’infrarosso o la termografia è possibile ottenere una mappa delle temperature della superficie del corpo umano, sfruttando il calore emesso dall’organismo attraverso la cute sotto forma di radiazioni elettromagnetiche infrarosse. In questo modo è possibile: • Ottenere un’immagine del profilo dei vasi sanguigni superficiali, poiché essi si trovano ad una temperatura
superiore a quella dell’epidermide e pertanto emettono raggi infrarossi con maggiore intensità. In questo modo si possono valutare eventuali alterazioni del flusso del sangue.
• Localizzare un centro di infiammazione (del sistema muscolo scheletrico) o un tumore (della pelle, della mammella, o della tiroide), poiché esso è in generale caratterizzato da una temperatura locale superiore a quella del tessuto sano circostante.
Altre applicazioni • Visione notturna
Effetti biologici ed applicazioni della radiazione infrarossa
La radiazione visibile
(Hz) E
0.7 m – 0.4 m 4.3 · 1014 Hz – 7.5 · 1014 Hz 1.77 eV – 3.1 eV
Ottica
I colori Le differenti lunghezze d'onda vengono interpretate dal cervello come colori, che vanno dal rosso delle lunghezze d'onda maggiori (frequenze più basse), al violetto delle lunghezze d'onda minori (frequenza più alte).
La luce Il termine luce (dal latino lux) si riferisce alla porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, ed è approssimativamente compresa tra 400 e 700 nanometri di lunghezza d'onda
La radiazione ultravioletta (UV)
Produzione • Emissione termica da sorgenti ad altissima temperatura. • Eccitazioni atomiche (transizioni elettroniche esterne). • Lampade a fluorescenza, lampade UVA. • Radiazione solare.
E
0.4 m - 1 nm 7.5 · 1014 - 3 · 1017 Hz 3.1 eV - 1.24 keV
regione UVA UVB UVC
400-315 nm 315-280 nm 280-100 nm
Sottoclassificazione
Lampade a flouresecenza. In medicina si usano lampade contenenti un tubo di quarzo (che, contrariamente al vetro, è trasparente agli UV) contenente vapori di Hg. Il mercurio, eccitato da scariche elettriche, emette diseccitadosi una serie di righe nella regione spettrale del violetto e dell’ultravioletto, la più intensa delle quali ha = 253.7 nm. Le lampade sono rivestite da opportuni fosfori che si eccitano proprio per una di 253.7 nm e riemettono radiazione UV in uno spettro continuo con 270 ≤ ≤ 400 nm.
Lampade UVA. Sono lampade a fluorescenza il cui spettro è limitato fra 315 e 400 nm.
Interazione con la materia L’energia dei fotoni della radiazione ultravioletta è sufficiente a produrre eccitazioni di atomi e molecole o addirittura la ionizzazione di atomi e la disintegrazione di grosse molecole. Quando interagisce con la materia, questa radiazione è in grado di causare, oltre ad un effetto termico, importanti effetti chimici .
Effetti biologici sulla pelle L’esposizione della pelle a radiazioni ultraviolette produce un eritema (dilatazione dei vasi sanguigni dovuta a sostanze prodotte dalla radiazione) seguito da un’abbronzatura (determinata da un pigmento che si deposita nei tessuti cutanei e che serve ad assorbire i raggi ultravioletti, proteggendo così gli strati sottostanti). Per inferiori a 320 nm, le radiazioni UV giocano un ruolo eziologico nella formazione del cancro della pelle.
Effetti biologici sugli occhi Gli occhi sono protetti dai raggi ultravioletti che vengono completamente assorbiti dalla cornea, dall’umor acqueo e dal cristallino. I danni agli occhi, causati da eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti, per esempio sulla neve o sul ghiaccio, sono dovuti all’assorbimento di queste radiazioni da parte della cornea.
Attivazione della sintesi della vitamina D Nella pelle vengono prodotte delle sostanze come l’ergosterolo, le quali si trasformano in vitamina D in seguito all’assorbimento di radiazione ultravioletta nella regione spettrale di 300-250 nm, con un massimo a circa 280 nm.
Azione battericida Gli ultravioletti hanno una potente azione battericida (la cui efficacia è massima per ≈ 260 nm e si estende fino a circa 320 nm) conseguenza delle modifiche chimiche indotte dalla radiazione nel nucleo delle cellule batteriche.
Trattamento dell’epidermide in dermatologia Si utilizzano lampade UVA a fluorescenza il cui spettro di emissione è limitato fra 315 e 400 nm
Produzione di ozono nell’alta atmosfera terrestre Negli strati più elevati dell’atmosfera, la radiazione ultravioletta solare con < 180 nm è assorbita dall’ossigeno che viene così attivato e si trasforma in ozono. Le radiazioni con compresa fra 200 e 300 nm circa vengono a loro volta assorbite dall’ozono stesso.
Effetti biologici ed applicazioni della radiazione ultravioletta
Raggi X
Produzione
• Nell’emissione termica i raggi X sono pressoché assenti, anche per temperature molto elevate del radiatore. • Nell’emissione caratteristica di atomi e di molecole, eccitate termicamente o con scariche elettriche, sono presenti
al massimo raggi UV. La differenza di energia tra il livello energetico fondamentale degli elettroni di valenza e gli stati eccitati degli elettroni di valenza è inferiore all’energia di un fotone X.
1. Per ottenere raggi X bisogna quindi produrre delle transizioni di elettroni da orbitali esterni agli orbitali più interni. 2. In alternativa bisogna generare elettroni liberi con un’energia cinetica molto più elevata di quella che si può
ottenere con una sorgente termica: elettroni liberi ad alta energia possono generare raggi X se vengono bruscamente frenati.
In medicina vengono utilizzati tubi a raggi X che fruttano entrambi questi processi.
(Hz) E
1 nm - 1 pm 3 · 1017 - 3 · 1020 Hz 1.24 · keV - 1.24 M eV
Interazione dei raggi X con la materia
Assorbimento nella materia L’assorbimento dei raggi X nella materia è determinato da una legge di tipo esponenziale
I0 = intensità incidente sulla superficie del materiale I(x) = intensità che perviene a profondità x rispetto alla superficie di incidenza
Coefficiente di assorbimento lineare totale 1/ = spessore corrispondente all’assorbimento del 63% della radiazione incidente (e = 2.718, e-1 = 0.37)
Assorbimento nei tessuti Il corpo umano è costituito da tessuti con coefficienti di assorbimento molto diversi, il cui valore dipende dal numero atomico Z, dallo stato di aggregazione dei tessuti e dall’energia dei fotoni incidenti.
Meccanismi di assorbimento In generale l’interazione dei aggi X con al materia avviene secondo i seguenti processi:
• diffusione • effetto fotoelettrico • effetto Compton • produzione di coppie elettrone-positrone
xeIxI
0)(
I raggi X in diagnostica medica
L’immagine radiologica • La differente opacità ai raggi X delle varie strutture anatomiche permette di ottenere una loro immagine radiologica:
un fascio di raggi X proveniente da una sorgente quasi puntiforme, attraversando una porzione del corpo umano viene assorbito in modo differente dai vari tessuti; nel fascio dei raggi X che emerge dal corpo si ottiene un massimo (minimo) di intensità in corrispondenza delle zone in cui l’assorbimento è stato minimo (massimo).
• L’immagine radiologica del fascio trasmesso può essere trasformata con varie tecniche in immagine visibile:
Radioscopia Si intercetta il fascio di raggi X emergente dal corpo mediante uno schermo fluorescente che emette luce in proporzione all’intensità di radiazione X che lo colpisce. Si produce un’immagine positiva nel senso che appaiono più scure le zone più opache ai raggi X (cioè quelle a maggiore attenuazione).
Radiografia Il fascio di raggi X emergente impressiona una pellicola fotografica sensibile ai raggi X. Si produce un’immagine negativa nel senso che le zone più scure rappresentano le regioni a minor attenuazione, mentre quelle più chiare rappresentano le ombre di oggetti più opachi.
Raggi
Produzione • Decadimento di nuclei radioattivi. • Possono essere ottenuti artificialmente come radiazione di frenamento accelerando particelle cariche a energie
superiori al MeV (come accade ad esempio negli acceleratori lineari) e frenandole in opportuni assorbitori.
Interazione con la materia A causa della loro elevata energia, i fotoni provocano al loro passaggio un’intensa ionizzazione del materiale attraversato mediante gli stessi meccanismi descritti nel caso dei raggi X (effetto fotoelettrico, effetto Compton, produzione di coppie) cui si aggiunge l’effetto cumulativo determinato dai fotoni e dagli elettroni secondari. La radiazione , penetrando nella materia, produce quindi uno sciame elettromagnetico di fotoni e particelle. Effetti sui sistemi biologici • La produzione di ioni nei sistemi biologici consiste nella formazione di radicali liberi dall’acqua e da molecole
organiche. • Il danno biologici da radiazione ionizzanti si esplica proprio tramite l’azione chimica dei radicali liberi i quali
rilasciano la loro energia rompendo i legami chimici delle macromolecole presenti nelle cellule, in particolare quelli del DNA.
• Il danno può causare la disfunzione di cellule, con effetti sul funzionamento degli organi che possono portare anche alla morte, oppure all’alterazione della struttura genetica (mutazione).
• I danni possono pertanto manifestarsi direttamente sulle persone irraggiate (danni somatici), oppure sui loro discendenti (danni genetici ereditari).
• Non tutti gli organi e i tessuti sono ugualmente sensibili alle radiazioni. I più sensibili sono: gli organi emopoietici (organi in cui avviene la produzione degli elementi corpuscolari del sangue), le gonadi (ovaie e testicoli), il cristallino e la pelle.
(Hz) E
< 1 pm > 3 · 1020 Hz > 1.24 M eV
I radioisotopi sono utilizzati come segnalatori della distribuzione topografica di particolari atomi, molecole, cellule all’interno dell’organismo: quando un radionuclide è introdotto in un paziente questo diffonde nell’organismo e partecipa ai processi metabolici come il corrispondente isotopo non radioattivo. La sua maggiore concentrazione in determinate zone costituisce una indicazione di normalità o di anormalità nelle funzioni dell’organismo o dell’organo interessato, da cui trarre una diagnosi. Poiché è possibile rilevare anche la disintegrazione di un singolo nucleo, la sensibilità del metodo è eccezionalmente alta e sono sufficienti concentrazioni molto piccole di composti radioattivi.
• Sostituzione di un atomo con un suo isotopo radioattivo: studio diagnostico della tiroide. La tiroide utilizza lo iodio per produrre gli ormoni che controllano il metabolismo del corpo. In un soggetto con la tiroide poco attiva (ipotiroideo) questa assorbe meno iodio che in un soggetto normale, mentre in un soggetto con la tiroide molto attiva (ipertiroideo) ne assorbe una maggiore quantità. Facendo ingerire una piccola quantità di iodio radioattivo 131I, dopo 24 ore viene misurata l’emissione radioattiva dello 131I. La misura può essere effettuata
− contando il numero di emissioni b- e per un tempo prefissato (misura integrale di radioattività) − misurando la distribuzione geometrica della radioattività, ottenendo un immagine dell’organo interessato
(scintigrafia)
• Sostituzione di un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: assorbimento idrico di una pianta. Si utilizza l’acqua marcata con trizio, cioè in cui alcune molecole hanno un atomo di H sostituito con il suo isotopo radioattivo trizio (3H). Quando la pianta ha le radici immerse in acqua marcata, la misura della radioattività nelle foglie permette di valutare la velocità di assorbimento idrico.
• Sostituzione di una molecola con una marcabile con simile comportamento biologico: metabolismo dell’albumina.
Non sempre è possibile sostituire direttamente un atomo di una molecola con un suo isotopo radioattivo: si impiega allora una molecola marcabile molto simile, il cui comportamento biologico sia del tutto analogo a quello della molecola naturale. E’ il caso dello studio del metabolismo dell’albumina, la cui molecola non contiene iodio: si utilizza invece albumina iodata, marcata con 131I o 125I, che non è chimicamente identica all’albumina, ma ad essa molto simile nel comportamento biologico.
• Anche le cellule possono essere marcate: misure di volume e portata del sangue In questo caso i globuli rossi vengono marcati con 197Hg
Utilizzo della radiazione a scopo diagnostico
Utilizzo a scopo terapeutico Il danno provocato dalle radiazioni ionizzanti può essere utilizzato nella terapia medica per distruggere tessuti malati (cellule tumorali). Questa tecnica è chiamata radioterapia. Il problema principale è dato dal fatto che le cellule normali sono spesso sensibili alla radiazioni quasi quanto le cellule anormali. La dose del trattamento radiante, per dare una ragionevole probabilità di cura, è appena inferiore alla dose sufficiente a causare gravi danni ai tessuti sani.
L’uso delle radiazioni a questo scopo si avvale di vari metodi: • Sono utilizzate sorgenti radioattive sotto forma di pasticche, aghi o fili che vengono chirurgicamente impiantati
nella zona del tumore per periodi di tempo programmati • I radionuclidi possono essere anche utilizzati per generare un fascio di radiazioni opportunamente diretto sulla
zona da trattare.
nu
mer
o d
i cel
lule
so
pra
viss
ute
Utilizzo della radiazione a scopo terapeutico