Post on 01-May-2015
Con Keynes si arriva ad un’unica soluzione:
“se il mercato si dimostra incapace di raggiungere autonomamente l’equilibrio, occorre che lo Stato svolga un ruolo più attivo nella vita economica”.
In sostanza, per Keynes, la finanza pubblica deve agire sul sistema economico trasformandosi da semplice attività di raccolta di denaro per affrontare la spesa, in un’attività di direzione politica e sociale. In quest’accezione (senza dubbio molto forte) si è anche parlato di finanza funzionale come strumento di programmazione e sviluppo.
JOHN MAYNARD KEYNES
Keynes ha pertanto ritenuto che la finanza
pubblica potesse eliminare gli squilibri
territoriali, correggere gli andamenti dei
cicli economici, incrementare il reddito
nazionale, mantenere in pieno regime
occupazionale le varie forme di produzione e
infine prevedere le esigenze delle
generazioni future.
…Keynes
In sostanza, per Keynes, la finanza pubblica
deve agire sul sistema economico
trasformandosi da semplice attività di
raccolta di denaro per affrontare la spesa, in
un’attività di direzione politica e sociale. In
quest’accezione (senza dubbio molto forte) si
è anche parlato di finanza funzionale come
strumento di programmazione e sviluppo.
…Keynes
La tesi dominante di Keynes è che un deficit
di bilancio determina comunque effetti
espansionistici per il sistema economico,
anche se finanziato attraverso
l’indebitamento dello Stato (ovviamente
senza l’emissione di carta moneta addizionale
che invece provocherebbe effetti
inflazionistici).
…Keynes
Nella visione degli economisti classici, la politica di bilancio era semplicemente un mezzo straordinario d’intervento pubblico; per i keynesiani, diventa lo strumento permanente dell’attività finanziaria dello Stato. Il meccanismo che per Keynes, consente la regolazione dei cicli economici è il moltiplicatore che stimola il sistema economico in periodi di crisi e rallenta l’espansione nelle fasi di boom.
…Keynes
Nell’impostazione Keynesiana, l’assenza di
investimenti privati in periodi di crisi
economica può essere compensata da un
aumento della spesa pubblica, che grazie
all’effetto del moltiplicatore, può stimolare
una crescita dell’intero sistema economico
del Paese.
…Keynes
Nel modello di Keynes il reddito nazionale è dato dalla somma di tre differenti componenti:
•la domanda di consumi indispensabili indicata
con Co;
•la domanda per consumi strettamente legata al
reddito indicata con cY;
•gli investimenti, influenzati dal tasso
d’interesse (i) e dalle aspettative degli
imprenditori (a), sono indicati con I(i,a).
…Keynes
Il reddito nazionale per Keynes può
pertanto essere espresso con:
Y= Co + cY + I (i,a)
…Keynes
Se si indica con A la parte della domanda non
legata al reddito e quindi Co e I (i,a), si
potrebbe scrivere la formula precedente con:
Y= cY + A, anche invertendo l’equazione con
Y-cY= A
…Keynes
Mettendo in evidenza il reddito nazionale si ha un’espressione di questo tipo:
Y(1-C)= A che può tranquillamente essere rappresentata con Y= 1 A
1 - c
rappresenta il moltiplicatore del reddito che indica, in seguito ad un incremento iniziale della domanda aggregata di quanto può aumentare il reddito nazionale.
11-c
…Keynes
La spesa pubblica è una componente della
domanda aggregata poiché risponde
prevalentemente a esigenze di carattere
politico; la conseguenza è che un incremento
della spesa, attraverso il moltiplicatore,
determina un aumento del reddito.
…Keynes
Per Keynes, la spesa non deve pertanto essere finanziata con l’emissione di carta moneta, al fine di evitare effetti inflazionistici, ma solo attraverso deficit spending, convertendo i risparmi in investimenti; oppure facendo ricorso al tradizionale sistema della tassazione riducendo però gli effetti del moltiplicatore.
…Keynes
La formula finale del moltiplicatore in presenza di un’imposta progressiva sul reddito è così sintetizzata:
1 1 – c(1 – t)
Un incremento iniziale della domanda pubblica conseguente ad un aumento della spesa pubblica, determina un effetto minore, poiché le imposte riducono la parte di reddito che i privati potrebbero destinare al consumo.
…Keynes
Le teorie di Keynes hanno suscitato grandi
entusiasmi dopo il 1929 e soprattutto nel
periodo di ricostruzione post-bellico ed
hanno sicuramente contribuito a definire
gli aspetti centrali delle policies di alcuni
Paesi dell’Europa occidentale, tra i quali
l’Italia.
…Keynes
Dopo lo shock petrolifero del 1973, anche le
teorie di Keynes sono apparse poco valide e in
alcuni casi assolutamente inadeguate.
La comparsa sullo scenario della stagflazione,
ovvero della contemporanea presenza di
inflazione e stagnazione ha, di fatto,
determinato un ripensamento delle nuove
finalità dell’intervento pubblico.
…Keynes
La critica più dura alle teorie Keynesiane è
arrivata dalla cosiddetta scuola monetarista
nata a Chicago.
Per i monetaristi, le grandezze monetarie non
influenzano le grandezze reali ed il sistema
economico è sempre in grado di assicurare il
pieno impiego dei fattori produttivi.
I MONETARISTI
Per molti, la teoria monetarista è una riproposizione raffinata e meglio articolata della teoria neoclassica. L’esponente di maggior rilievo della scuola monetarista è sicuramente Friedman, che a chiare lettere dice che l’inflazione è sempre un fenomeno monetario.
L’unico obiettivo raggiungibile attraverso una politica monetaria è quello del controllo dell’inflazione attraverso il controllo del tasso di incremento annuo della quantità di moneta.
I MONETARISTI
Per quanto concerne invece le politiche
fiscali, per i monetaristi, la spesa pubblica
aumenta in corrispondenza delle entrate
fiscali disponibili e pertanto, è opportuno
intervenire con tagli fiscali come mezzo di
riduzione della spesa pubblica.
I MONETARISTI
Questo pensiero ha certamente influenzato
numerosi interventi di politica economica
soprattutto negli USA nel periodo
dell’amministrazione Reagan (che ha
proceduto a una riduzione delle imposte ancor
prima di diminuire la spesa) e in Inghilterra
durante i governi Thatcher.
I MONETARISTI
Anche il Fondo Monetario Internazionale ha spesso imposto, negli anni ’80 un maggior controllo della politica monetaria e fiscale. Si può tranquillamente asserire che l’analisi delle esperienze dimostra come la politica monetaria riduca certamente l’inflazione, producendo facilmente recessione. Infatti, la riduzione dell’inflazione in Inghilterra nel periodo 1980-1985 e quella degli USA tra il 1981 e il 1986, sono state seguite da profondissime recessioni.
I MONETARISTI
Negli anni ’80 si sviluppa la nuova macroeconomia classica, che riprende le tematiche portanti del pensiero economico classico, inserendolo in un contesto macroeconomico. Questa scuola che annovera tra i maggiori esponenti Robert Lucas negli Stati Uniti e Patrick Minford in Inghilterra, porta alle estreme conseguenze le idee dei monetaristi concentrando l’attenzione su due aspetti particolari del sistema economico come la flessibilità dei salari e dei prezzi e il ruolo delle aspettative razionali nell’influenzare l’operato dei soggetti economici.
LA MACROECONOMIA CLASSICA
Mentre i monetaristi ammettono che la
flessibilità dei prezzi e dei salari c’è nel lungo
periodo ma nel breve è possibile avere una
situazione di squilibrio temporaneo, gli
economisti della macroeconomia classica
negano la possibilità che il sistema economico
possa essere in squilibrio anche nel breve
periodo; pertanto ogni livello di disoccupazione
che si realizza nel sistema economico
rappresenta un tasso di disoccupazione di
equilibrio o di disoccupazione volontaria.
LA MACROECONOMIA CLASSICA
Sempre negli anni ottanta, c’è stata una
scuola di pensiero che ha vissuto un momento
di grande notorietà.
E’ la scuola che ha accomunato diversi
economisti (Laffer e Boskin tra tutti), meglio
conosciuta come ECONOMIA DELL’OFFERTA.
L’ECONOMIA DELL’OFFERTA
L’idea centrale è costituita dalla convinzione
che la crescita economica è determinata da
fattori reali e non monetari; la crescita è
pertanto influenzata da fattori propri del
mercato come:
•la mobilità dei lavoratori,
•il tasso di crescita della popolazione,
•l’utilizzo di un’efficiente combinazione
produttiva che impattano sul settore reale.
…Economia dell’offerta
La supply side ha pertanto ripreso gli
argomenti del cosiddetto liberismo
economico, affermando che quando vi è il
perfetto funzionamento del mercato, c’è una
conseguente piena occupazione ed una
crescita del sistema.
…Economia dell’offerta
Questa teoria è stata, come del resto è accaduto
anche alle altre, diffusamente e variamente
interpretata.
Ed allora ci si è ritrovati con casi differenziati: da un
lato casi con misure di politica economica
caratterizzate da immediata riduzione del prelievo
fiscale e vendita di aziende dello stato, dall’altro
interpretazioni che hanno dimostrato che l’obiettivo
della crescita non implica necessariamente la
cessione delle imprese pubbliche.
…Economia dell’offerta
L’azienda pubblica, può infatti raggiungere
l’obiettivo di una crescita del sistema
economico purché la sua esistenza sia
coerente con le trasformazioni del sistema e
con le esigenze del mercato.
L’AZIENDA PUBBLICA
1. I sistemi economici condizionano le determinanti del funzionamento delle amministrazioni pubbliche;
2. Le teorie economiche vivono in simbiosi con le altre determinanti caratterizzanti un Sistema Paese e ne subiscono a loro volta i condizionamenti;
3. Sin dalla nascita delle prime teorie, l’oggetto di analisi, valutazione e critica è comunque stato il comportamento del soggetto pubblico.
L’AZIENDA PUBBLICA
Nei sistemi economici moderni, appaiono sempre più uniformi le forme che l’intervento
pubblico assume
Gli obiettivi economici generali che l’operatore pubblico persegue sono solitamente caratterizzati da macrofiloni d’intervento come:
• l’efficiente allocazione delle risorse
• un’equa distribuzione della ricchezza e del reddito
• la stabilità della crescita economica
• l’equilibrio dei conti con l’estero
• lo sviluppo economico
Pur non mancando coloro che sottolineano come l’intervento pubblico comporti necessariamente effetti negativi, è bene evidenziare che invece lo scopo dell’intervento pubblico nella vita economica è semplicemente quello di accrescere il benessere collettivo; ed è su questo che va valutata l’azione pubblica e il funzionamento delle amministrazioni.
L’INTERVENTO PUBBLICO
E’ possibile riassumere le moderne teorie
politico-economiche dello Stato in tre
principali tipi di intervento pubblico
nell’economia:
• la redistribuzione dei prodotti;
• la stabilizzazione macroeconomica;
• la regolazione del mercato.
L’INTERVENTO PUBBLICO
La redistribuzione include tutti i trasferimenti
di risorse da un gruppo di individui, di
imprese, di enti locali, regioni o Paesi verso
altri gruppi, altri territori, altri Paesi; così
come anche l’offerta di beni cosiddetti
meritori, quali l’istruzione primaria, le
assicurazioni sociali, i servizi sanitari e tanti
altri beni simili, sono parte integrante della
redistribuzione.
LA REDISTRIBUZIONE
La stabilizzazione macroeconomica tenta di
raggiungere e sostenere livelli
soddisfacenti di crescita economica e e di
occupazione; gli strumenti principali sono la
politica fiscale e quella monetaria, insieme
con la politica del mercato del lavoro e
quella industriale.
LA STABILIZZAZIONE MACROECONOMICA
Le politiche di regolazione del mercato sono
finalizzate alla correzione dei vari tipi di
“fallimento del mercato” come:
• gli effetti del monopolio,
• l’informazione incompleta,
• le esternalità negative,
• l’insufficiente offerta di beni pubblici e
così via.
LA REGOLAZIONE DEL MERCATO
Tutti gli Stati moderni svolgono in qualche
modo tutte e tre le funzioni, ma
l’importanza relativa di ciascuna varia da
Paese a Paese, da territorio a territorio e in
funzione di un determinato periodo storico
L’INTERVENTO PUBBLICO
Pur non mancando coloro che sottolineano
come l’intervento pubblico comporti
necessariamente effetti negativi, è bene
evidenziare che invece lo scopo dell’intervento
pubblico nella vita economica è semplicemente
quello di accrescere il benessere collettivo; ed
è su questo che va valutata l’azione pubblica e
il funzionamento delle amministrazioni.
L’INTERVENTO PUBBLICO
Da questo punto di vista va sottolineata la
nascita e la crescita, nel mondo anglosassone,
della scuola delle cosiddette “scelte
pubbliche” conosciuta come PUBLIC CHOICE.
LA PUBLIC CHOISE
Il punto chiave della scuola di public choice è
la convinzione che tutti gli operatori politici
operano come dei soggetti economici
LA PUBLIC CHOISE
Per tale impostazione, l’elettore cerca sempre
di far fruttare al meglio la propria scelta
politica, così come il politico tenta di
massimizzare il consenso attraverso l’adozione
di specifiche policies.
LA PUBLIC CHOISE
L’obiettivo più importante delle analisi di public choice è lo studio dei comportamenti degli operatori coinvolti a vario titolo nell’assunzione di determinate scelte politiche e della loro influenza sui diversi livelli finanziari (entrate e spese) dello Stato.
I soggetti sono ovviamente
•i gruppi di pressione
•le imprese, i sindacati
•la burocrazia
•i politici
•gli stessi elettori
LA PUBLIC CHOISE
Questa impostazione in qualche modo cambia
ancora l’impostazione di tipo Keynesiano che
vede lo Stato come soggetto che opera al fine
di massimizzare il benessere della collettività.
Per la public choice, non si configura un
fallimento del mercato ma un fallimento dello
Stato
LA PUBLIC CHOISE