Post on 14-Mar-2016
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Il "Cappellaio matto" vuole essere una RIVISTA CULTURALE.In essa puoi trovare Letteratura, Teatro, Cinema, Musica e Politica Contemporanea; Articoli, saggi, racconti, poesie e recensioni di gruppi musicali fiorentini e non; e ancora inchieste ed interviste a personaggi del mondo della cultura e della politica. Infine, una pagina politica che aiuti a capire l'oggi e il probabile domani, con spunti di riflessione su ciò che accade intorno a noi.Questa rivista è gestita da un gruppo di studenti con voglia, capacità ed entusiasmo; la nostra redazione non ha un capo, ma tante menti capaci di convergere e dirigersi verso un unico obbiettivo, ovvero fare della Rivista un elemento fondamentale della vita studentesca, strumento di conoscenza e appoggio, mani-festo libertario in cui idee e pensieri possano trovar posto.Partecipa anche tu a questo progetto!
PROMOZIONE SPECIALE STUDENTI:presentando la rivista alla biglietteria del teatro sarà possibile acquistare i biglietti
con la riduzione del 50% (tutti i giorni tranne la domenica)
Indice
pag. 2 l’intervistapag. 3, 4 studenti a teatropag. 5 musica & cinema
Indice
pag. 6 letteraturapag. 7 università
pag. 8 attualità
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2 l’iintervista a...
Teresa Bettarini, Direttrice Organizzativa di OfficinaGiovani (Prato).di Leandro Picarella
La prima intervista di questa rivista è stata fatta ad una stimata professionista pratese che lavora nel campo dell’organizzazione di eventi e gestione di importanti spazi rivolti al teatro e allo spettacolo dal vivo in generale. Teresa Bettarini è la direttrice organizzativa di Officina Giovani, ovvero quella che da ormai un decen-nio rappresenta una realtà costante e produttiva nonché spazio creativo per tutti i giovani pratesi. I Cantieri Culturali di Officina Giovani sono nati nel 1998 negli spazi ristrutturati degli ex Macelli Pubblici. Luogo di espressione della creatività giovanile e di promozione della cultura giovanile, rappresenta la sintesi della politica culturale del Comune di Prato e al contempo lo specchio delle trasformazioni in atto nel tessuto sociale e politico cittadino.
D: Signora Bettarini quando nasce Officina Giovani, e perché?R: Officina Giovani nasce nell’ormai lontano 1998 grazie all’interesse dell’allora assessore alla cultura del Comune di Prato Massimo Luconi il quale avvertiva l’esigenza di dover creare uno spazio da mettere a disposizione dei giovani artisti pratesi ma anche dei vari musicisti e delle compagnie teatrali che avessero voglia di preparare spettacoli o mostre in un luogo dedito all’arte. È fondamentale ricordare inoltre, che prima della fondazione di Officina Giovani non esistevano luoghi a Prato in cui i giovani artisti potes-sero esprimere la propria creatività essendoci tuttavia un fermento artistico rilevante probabilmente per la presenza di un teatro d’eccellenza come il Metastasio e del primo museo d’arte contemporanea italiano, ovvero il Pecci.D: Come furono i primi anni di attività?R: L’attività cominciò agli Ex Macelli in condizioni molto precarie poiché la struttura mancava dei servizi minimi per lavorare in maniera adeguata, ma pian piano le cose cambiarono, soprattutto quando l’intera struttura venne ristrutturata assumendo l’aspetto che oggi conosciamo. Nei suoi primi anni Officina svolse sia attività di servizio, ossia luogo aperto agli artisti, sia attività teatrali formative con laboratori tenuti da professionisti del settore come Pamela Villoresi. La sala eventi inoltre veniva offerta alle giovani e meno giovani compagnie teatrali della zona oltre che per mostre e concerti.D: Ricordo che l’anno scorso c’è stato un cambiamento.R: Si è vero, nel 2006 sono cambiate molte cose. Innanzitutto la struttura è stata data in appalto ad un consorzio di cooperative che si occupa di tutto l’apparato logistico, inoltre il Comune di Prato ha deciso di inserire un bando per l’inserimento della figura di direttore organizzativo poi vinto da me.D: E la sua direzione verso quale obiettivo si è orien-tata?
R: Il mio intento sin da subito è stato quello di dare un’identità più precisa a questo luogo.D: Ovvero?R: Io vedo Officina come uno spazio per giovani artisti, che siano essi attori, registi, compagnie, artisti visivi o musicisti non importa; questa è una prima identificazi-one che potrebbe sembrare scontata ma in realtà non lo è. Spesso questi spazi vengono visti solamente come luoghi di aggregazione giovanile, il che è errato. I momenti d’aggregazione e di festa sono sicuramente elementi fondamentali nella vita dei giovani ma credo che debbano convivere con qualcos’altro. Personal-mente sono molto convinta che sia importantissima l’attività formativa, soprattutto per quei ragazzi che si avvicinano al mondo del teatro o dell’arte in generale, senza sapere come questi siano costituiti. Da questo mio interesse sono nati i corsi di Organizzazione Teat-rale e Musicale i quali cercavano di fornire alle giovani compagnie e ai giovani musicisti le informazioni neces-sarie per comprendere come sia strutturato il mondo dello spettacolo. A questi corsi ho inoltre affiancato degli Stage Teatro e Stage Musica, ovvero appuntamenti settimanali nei quali le stesse compagnie e gli stessi musicisti possono mettere in scena le loro perfor-mance.D: Il rapporto tra Officina Giovani e l’Università di Firenze e con il Polo di Prato in particolar modo?R: E’ un rapporto che ho cercato di costruire dall’anno scorso soprattutto con Teresa Megale, il Presidente del Corso di Laurea in Progettazione e gestione di eventi e imprese dell’arte e dello spettacolo (Progeas), che conoscevo gia da tempo. Penso che con uno spazio come Officina Giovani l’Università debba essere un interlocutore privilegiato per progetti di collabora-zione, ad esempio il laboratorio di regia che Cristina Pezzoli ha tenuto lo scorso anno accademico. Queste collaborazioni sono utili sia all’Università, che non possiede uno spazio da poter dedicare ad iniziative legate all’arte e allo spettacolo, sia agli studenti che sanno di poter trovare uno luogo che si rivolge essenzi-almente a loro, sia a Officina stessa perché riescono a mantenerla piena di vitalità.D: L’ultima domanda riguarda i rapporti, sicuramente fondamentali, con le Istituzioni, Il Comune di Prato, e soprattutto l’Assessorato alla Cultura, quale attenzione rivolgono a Officina?R: Innanzitutto bisogna ricordare che Officina Giovani è uno spazio del Comune di Prato, e devo riconoscere che ho sempre trovato da parte di questo una forte disponibilità, il che è sintomatico del fatto che crede veramente a uno spazio come Officina e questa è una cosa abbastanza rara, soprattutto in un momento come questo in cui le amministrazioni comunali tendono più a lavorare su grandi eventi che portano ritorno di immagine. L‘attenzione per i giovani e per gli spazi come Officina, che non daranno mai una grande visibilità, credo che sia una cosa non comune e molto apprezzabile. Speriamo continui così.
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30 novembre/9 dicembreNoctivagus Produzioni Teatrali
Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia
Massimo Dapporto
I DUE GEMELLI VENEZIANIdi Carlo Goldoni
conAlessandra Raichi, Giovanna Centamore, Osvaldo Ruggieri, Francesco Gusmitta, Umberto Bortolani, Marianna
de Pinto, Carlo Ragone, Felice Casciano, Adriano Braidotti, Lamberto Consani
scene Pierpaolo Bislericostumi Elena Mannini
luci Sergio Rossiregia Antonio Calenda
Debutta venerdì 30 novembre (in scena fino al 9 dicembre) un classico goldoniano, I due gemelli veneziani per la regia di Antonio Calenda e interpretato da Massimo Dapporto. Un capolavoro della scrittura comica, l’eccezionale virtuosismo sul classico tema dello sdoppiamento, l’incanto del gioco teatrale dei simili e degli opposti… Carlo Goldoni ne I due gemelli veneziani porta a livelli altissimi il teatro comico: lo fa usando le tecniche della drammaturgia settecentesca e la sapienza scenica di chi il teatro lo scrive ma sa anche “farlo”, di chi impone agli attori una parte, ma solo dopo averla costruita sulle loro personali potenzialità e inclinazioni… Ne risulta una commedia che, dall’esordio nel 1747 ad oggi, non ha smesso di sorprendere e divertire, e non ha mai sofferto il peso del tempo. “Si tratta di uno dei testi minori di Goldoni – commenta Massimo Dapporto protagonista dello spettacolo - scritto in età giovanile, ma molto interessante: si ritrovano i primi segni del cambiamento del teatro, del passaggio dal canovaccio della Com-media dell’Arte al testo della commedia borghese scritta da un autore. Un po’ alla volta alcune maschere scompaiono: ne I due gemelli veneziani si conservano ancora quelle di Brighella e di Arlecchino, però la maschera di Zanetto, che è uno dei due gemelli del titolo e che fa parte della Commedia dell’Arte, viene invece risolta dall’autore come un carattere ben risoluto, è un personaggio che recita la sua parte. Un altro cambiamento importante registrato da questo testo è la descrizione dei rapporti tra servo e padrone: ci si avvicina alla Rivoluzione Francese e già si avverte una ribellione che parte dallo stato socialmente più basso nei confronti del padrone. Il testo è stato scritto in un periodo particolare della vita di Goldoni: I due gemelli veneziani simboleggiano la duplicità dell’anima dell’autore, combattuto tra continuare ad essere avvocato oppure passare al mondo del teatro, cedendo ad una passione che manteneva sempre viva dentro di sé, pur esercitando l’avvocatura.”Separati fin dall’infanzia, Zanetto e Tonino non sono a parte l’uno dell’esistenza dell’altro: il destino li conduce improvvisa-mente nella stessa città. Il primo è ricco e un po’ lento, il secondo, veloce e scaltro, è di contro poverissimo. Impossibile per chi li circonda – servi, amici, fidanzate – non confonderli e scambiarli dando vita a un turbinio di equivoci, rivelazioni, follie. C’è ne I due gemelli veneziani tutto il mondo (di sentimenti, inquietudini, emozioni e rivalità) e tutto il teatro (fatto di equivoci, frenesie, mascheramenti, malintesi) che il grande autore veneziano conosceva e che tuttora continuiamo a sentire validi. E sebbene il plot abbia radici lontane (nell’antica tradizione latina, nelle commedie di Plauto e Terenzio) il genio goldoniano riesce a donargli un soffio di universalità.
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Programma spettacoli dicembre-febbraio
20/25 Novembre 2007Sicilia TeatroOTELLOdi William Shakespearecon Sebastiano Lo Monacoregia Roberto Guicciardini
30 Novembre/9 Dicembre 2007Noctivagus Produzioni TeatraliTeatro Stabile del Friuli Venezia GiuliaI DUE GEMELLI VENEZIANIdi Carlo Goldonicon Massimo Dapportoregia Antonio Calenda
11/16 Dicembre 2007 Teatro di Roma Compagnia Lombardi-TiezziI GIGANTI DELLA MONTAGNAdi Luigi Pirandellocon Silvio Castiglioni,Marion D'Amburgo, Iaia Forte, Sandro Lombardi, Massimo Verdastroregia Federico Tiezzi
27 Dicembre 2007/6 Gennaio 2008I due della città del soleQUARANTA MA NON LI DIMOSTRA!di Peppino e Titina De Filippocon Luigi De Filippo e la sua compagniaregia Luigi De Filippo
8/13 Gennaio 2008Teatro di RomaCompagnia Lavia-AnagniMISURA PER MISURAdi William Shakespeareregia Gabriele Lavia
15/20 Gennaio 2008DoppiaeffeROMOLO IL GRANDEdi Friedrich Durrenmattcon Mariano Rigillo, Anna Teresa Rossiniregia Roberto Guicciardini
22/27 Gennaio 2008Diana OrisIL SINDACO DEL RIONE SANITA'di Eduardo De Filippocon Carlo Giuffrèregia Carlo Giuffrè
29/30 Gennaio 2008La Contemporanea
PROCESSO A DIOdi Stefano Massini
con Ottavia Piccoloregia Sergio Fantoni
spettacolo fuori abbonamento
1/10 Febbraio 2008Compagnia Mauri-Sturno
FAUSTdi Wolfgang Goethe
con Glauco Mauri, Roberto Sturnoregia Glauco Mauri
12/17 Febbraio 2008Fondazione Atlantide Teatro Stabile di Verona- GATin coproduzione con Teatro Stabile del Veneto Carlo
Goldoni7 PIANI
di Dino Buzzaticon Ugo Pagliai, Paola Gassman
regia Paolo Valerio
19/24 Febbraio 2008Noctivagus Produzioni Teatrali
DUE PARTITEdi Cristina Comencini
con Chiara Noschese, Stefania Felicioli, Susanna Marcomeni, Sara Bertelàregia Cristina Comencini
26 Febbraio/2 Marzo 2008Associazione Teatrale Pistoiese
La Biennale di Veneziain collaborazione con Tauma Produzioni
LA VEDOVA SCALTRAda Carlo Goldoni
con Raffaella Azimregia Lina Wertmuller
La biglietteria di prevendita (via della Pergola 32, tel. 055/2264353 - 334) è aperta nei seguenti orari:
dal martedì al sabato 9.30/18.45 (continuato), domenica 10.00/12.15, lunedì riposo.
INFORMAZIONI (9.30-13.30/14.30-18.45)
Tel. 055/2264353Fax 055/245346
pubblico@pergola.firenze.it
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ON THE ROAD - in fuga con i THE SECOND
GRACEdi Leandro Picarella
Prendi un giorno d’estate. Uno qualunque in cui, preso da
mille impegni, confuso da eterne paranoie, stressato da mesi
trascorsi dietro una qualunque scrivania, di un qualunque
ufficio, di un qualsiasi minuscolo comune o immensa
metropoli, decidi di scappare. Toglierti di mezzo per un po’…
Esistono tanti modi per definire la voglia di lasciarti tutto alle
spalle e ricominciare a respirare.
Ne scegli uno.
Bene, se hai accarezzato questa idea, voglia inconscia di
qualunque essere umano disperso nel caos della quotidianità,
THE SECOND GRACE è l’unica e irrinunciabile colonna
sonora del tuo viaggio-fuga che dovrai rigorosamente
intraprendere in automobile. Impianto audio senza grandi
pretese. Solo, nella tua auto che finirai di pagare tra tre anni,
viaggi con uno zaino nel posto passeggeri con dentro il
minimo indispensabile.
Accendi il motore. Accendi lo stereo. Accendi la mente. Final-
mente libero. Parte il cd. Traccia uno. Ti investe ANTANAN-
ARIVE. In quello stesso istante capisci di aver fatto la scelta
giusta ad abbandonare tutto per riscoprirti uomo, con la voglia
di disintossicarti da inutili futilità. Sconvolto da sensazioni
dimenticate il tuo viaggio comincia e quella musica sarà la tua
unica compagna.
In principio il grigio asfalto, che velocemente si distorce e si
raddrizza, ti conturba ma pian piano l’essenzialità di quella
musica assume forme sempre più seducenti, affascinanti. Le
chitarre acustiche appena sfiorate, i sussurri di una voce come
poche, i ritmi latini e africani, le varie contaminazioni che si
intersecano in melodie e arrangiamenti di un garbo commov-
ente, ti aprono il cuore. Il battito accelera e il respiro si
affanna. Tra curva e rettilinei comprendi che Semplicità non
vuol dire Banalità, ma scostamento dell’anima. Concetto che
sta alla base della musica, ma che da essa troppo presto si è
distaccato. In questa colonna sonora puoi trovare le melodie
angeliche di Jeff Buckley, l’emotività minimalista dei Sigur
Ros, il folk di Bob Dylan. Quest’ultimo semente per ogni
cantautore. E proprio da essi, dai grandi cantautori i The
Second Grace prendono le melodie vocali, ovvero quelle che ti
trasmettono un brivido che arriva dritto al cuore prima ancora
di pretendere di essere considerati ottimi musicisti.
Se della Sicilia i quattro componenti sono figli, da essa devono
per forza trarre ispirazione. Terra frutto di dominazioni,
invasioni, mescolanze di culture, essa plasma la traspa-rente
creatività di uno dei gruppi emergenti con il maggior talento.
Se il tuo viaggio comincerà da Palermo, Catania , Torino, ma
anche Londra o Berlino non avrai difficoltà a capire e a rispec-
chiarti in questi acquerelli sonori. L’internazionalità della loro
musica non sta tanto nei testi scritti e cantati in Inglese , molto
semplici e puri tra l’altro, ma proprio nelle ricercate contamin-
azioni, sicchè potrai trovare tracce del tuo albero genealogico
in ognuno dei 13 brani che compongono la tracklist
dell’esordio discografico di questo quartetto.
Sei in viaggio già da un’ora e qualcosa. Ti sei perso tra le dolci
melodie di LIKE A JULIET e NOBODY KNOWS. Con YOUR
KEY l’album si conclude, ma non il tuo cammino. Tasto play.
Metti la III, poi IV, poi acceleri e poi di nuovo, inesorabil-
mente, ANTANANARIVE.
Si ricomincia a viaggiare.
I The Second Grace sono prodotti da Edel Italia.
75 ANNI E NON LI DIMOSTRAdi Roberto Bognanno
La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di
Venezia quest’anno ha festeggiato i suoi 75 anni,
giungendo alla 64° edizione. Come una Signora
d’altri tempi ha mostrato tutto il suo fascino,
consapevole del potere che esercita su centinaia di
persone che ogni anno vengono a visitarla e ad
omaggiarla da tutto il mondo. Anche per questo il
presidente della Mostra, Marco Muller, ha voluto
riproporre la stessa formula adottata 75 anni fa,
ovvero una giuria di soli registi, presieduta dal
cinese Zhang Yimou.
A fare grande quest’edizione c’erano tutte le
premesse: 55 pellicole in prima mondiale, tra cui
tutte quelle dei 22 film in concorso, e 6 in prima
internazionale; la retrospettiva dedicata al cinema
Western all’italiana, con 32 lungometraggi italiani;
nomi del calibro di Ang Lee, Kenneth Branagh,
Brian De Palma, Ken Loach, Eric Rohmer, Nikita
Mikhalkov, Claude Chabrol, Takeshi Kitano,
Manoel de Oliveira e Woody Allen, solo per citare
alcuni dei registi presenti al Lido con una pellicola,
più una pletora numerosissima di attori che hanno
portato alla kermesse veneziana quel lato gla-mour
che non guasta mai.
A Tim Burton, festeggiato con il “Tim Burton Day”
(un giorno di proiezioni a lui dedicate), è andato il
Leone d’Oro alla carriera - il più giovane regista
della storia del cinema a ricevere un tale riconosci-
mento - consegnatogli da uno dei suoi attori
preferiti, Johnny Depp; mentre per festeggiare
l’anniversario raggiunto dalla Mostra, è stato tribu-
tato a Bernardo Bertolucci il Leone d’Oro del 75°, il
quale ha detto come questo premio fosse: “Una
responsabilità enorme, perché vuole racchiudere in
sé tutto il cinema che in questi 75 anni è passato per
la laguna di Venezia. Un onore troppo grande che
voglio condividere con tutti i registi e gli attori.”
Tra il centinaio di titoli che sono stati proiettati negli
schermi lagunari, però, molti sono passati senza
infamia e senza lode, tra quelli più belli e interes-
santi abbiamo sicuramente: “La Graine et le Mulet”
di Abdellatif Kechiche, un ritratto intenso sulle
problematiche sociali legate all’integrazione, allo
sfaldarsi della famiglia, al conflitto tra tradizioni e
valori moderni, un film che ha raccolto forse il
maggior numero di consensi e premi tra le giurie
collaterali; “The Darjeeling Limited” di Wes Ander-
son, una simpatica commedia che ha per protago-
nisti tre improbabili fratelli (interpretati da Owen
Wilson, Jason Schwartzman e Adrien Brody), che
vanno in giro per l’India alla ricerca
dell’illuminazione spirituale dopo la morte del
padre. “It’s a free a world” di Ken Loach, è invece un
film di forte denuncia sociale, dove il regista punta
ancora l’attenzione verso la working class, e parla di
un mondo che è tutto tranne che un mondo libero,
mostrandoci una giovane donna fagocitata dalla
mentalità di un’imprenditoria senza scrupoli,
volendo così dirci che bisogna opporsi all’idea: “Per
la quale dobbiamo vivere in un mondo orientato al
mercato, competitivo e dove tutto ha un prezzo”. “I’m
not there” di Todd Haynes, è invece un inedito
ritratto di Bob Dylan, senza Bob in carne e ossa, ma
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con sei attori che si alternano a interpretare le molte anime
di un uomo che riesce a far immedesimare su di sé mi-
gliaia di persone; tra gli attori la bravissima Cate Blanchett
premiata a proposito con la Coppa Volpi per la miglior
interpretazione femminile.Per gli italiani è stato Gianni
Zanasi, nella sezione delle Giornate degli Autori con “Non
pensarci”, a catalizzare tutte le speranze sul cinema di casa
nostra; c’è riuscito con un film che affronta con autentica
semplicità e realismo la tematica della presa di coscienza
del dolore, descrivendo l’atmosfera asfissiante della
provincia italiana con grande ironia. Altro film italiano, che
ha cercato di riscattare l’imbarazzante figura dei tre film in
concorso per il Leone d’Oro, è stato “Le ragioni
dell’aragosta” di Sabina Guzzanti, anch’essa presente nelle
Giornate degli Autori. Un film, il suo, in cui si è circondata
dei colleghi della trasmissione Avanzi, e che, in una specie
di amarcord dove ognuno interpreta sé stesso, la regista
ha voluto richiamare l’attenzione su come oggi “si faccia
politica dal basso”, ripensando ai tempi d’oro di Avanzi
come: “All’ultima occasione di libertà totale per i comici,
perché coincideva col momento in cui i politici erano troppo
preoccupati di non andare in galera per pensare a cosa si
faceva in tv”.
Tra gli appuntamenti festivalieri, a riscuotere un notevole
successo è stato il ciclo di incontri “Lido Philo – i filosofi
pensano il cinema”, voluti da Stefano Bonaga e Andrea
Gropplero di Troppenburg, che quotidianamente si sono
tenuti presso lo spazio Cinecittà dell’Hotel Excelsior;
un’occasione a cui hanno preso parte molti filosofi italiani
per confermare come sia: “Piacevole che il cinema, oltre che
guardarlo, si possa anche pensarlo” ha detto lo stesso
Bonaga. Una novità interessante è stata la creazione di un
nuovo premio ufficiale della Mostra del Cinema, il “Queer
Lion Award”, assegnato al miglior film a tematica gay o
d’interesse queer, da un’apposita giuria presieduta dal
regista e attore britannico Alan Cumming e coordinata dal
promotore del premio stesso Daniel Casagrande; un
premio unico nel suo genere che promuove: “Una cultura
visiva consolidata e da sempre all’avanguardia
sull’orizzonte dell’arte”, ha detto Marco Muller, e che: “E’ il
risultato delle battaglie politiche che le comunità gay e
lesbiche portano avanti per il riconoscimento dei loro diritti”
ha ribadito Daniel Casagrande.
In conclusione di questa 64° edizione restano, oltre ai tanti
film ed alle tante emozioni, le parole del direttore Muller, il
quale ha voluto esprimere come Venezia sia un’occasione
unica nel panorama cinematografico internazionale,
perché tende ad unire l’arte alla vita, riconoscendo in
quella contemporanea:
“Un’epoca del cinema che non sembrerebbe più in grado di
costruirsi sulla memoria di sé. (…) La Mostra ha provato a
reagire a quest’assenza di memoria, a trovare rapporti
immaginativi che legassero ciò che è stato a quello che
dev’essere ancora possibile.”
Il cacciatore di aquiloni«…non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente…»di Leandro Picarella
La storia dell'Afghanistan degli ultimi decenni è una storia terribile, composta da dolore e morte. Il cacciatore di aquiloni, narrando le vicende di due ragazzini, Hassan e Amir, per creare un affresco che rappresenti tutte le terribili vicende che hanno distrutto quel paese - dall'occupazione russa alla piaga talebana, dai bombardamenti americani alla presa del potere da parte del governo dell'Alleanza del Nord - parte da un periodo della storia dell’Afghanistan in cui nei cieli di Kabul volavano aquiloni colorati, i quali rappresentavano la libertà del paese.Poi gli aquiloni non volarono più, e con la loro caduta in picchiata comincia la tremenda odissea del popolo afghano. Amir orfano di madre, vive col ricco padre, Baba, in una grande e lussuosa villa di Kabul. A far loro compagnia il servi-tore Alì ed il figlio Hassan. I due ragazzi sono inseparabili ed oltre a trascorrere insieme le spensierate giornate dell'infanzia, formano una formidabile coppia nei tornei cittadini di combattimenti tra aquiloni. Infatti Hassan, col suo viso da bambola ed il labbro leporino, è il più forte cacciatore di aquiloni di Kabul: quando un filo viene reciso in un combatti-mento e l'aquilone vaga in cielo senza meta, lui saprà sempre dove andrà a cadere. Ma l'armonia tra i due ragazzini si spezza quando qualcosa di terribile accade ad Hassan per colpa della codardìa di Amir. L'atteggiamento di quest'ultimo cambierà radicalmente la loro amicizia che andrà disgregandosi. L'arrivo dei russi a Kabul, inoltre, porterà alla separazione di servitori e padroni. Amir e Baba fuggiranno in America, Alì ed Hassan resteranno in Afghanistan. Dopo venticinque anni Amir ha realizzato il suo sogno di diventare scrittore, si è sposato, ha una buona vita nella sua casa di San Francisco, ma a sollevare le nebbie del passato sarà una telefonata dall'Afghanistan. Amir parte alla volta di Kabul, alla ricerca di Sohrab, il figlio di Hassan reso orfano dalla crudeltà dei Talebani. Ma in Afghani-stan non ci sono solo i fantasmi del passato: quello che trent'anni prima era il suo paese ora è uno sterminato deserto di nulla, un paese di povertà e miseria e di relitti umani, un paese in cui gli aquiloni non volano più.Il cacciatore di aquiloni è una storia d'amicizia, di dolore e di rimpianti, sullo sfondo di un paese che siamo abituati a cono-scere dalle notizie dei telegiornali o nelle barbe lunghissime di guerriglieri spietati. Hosseini scrive in un modo meraviglioso, capace di incollare il lettore alla poltrona fino alla ultime pagine. Lettore che non si sorprenderà di ritrovarsi con il viso ricoperto di lacrime per il sorriso di un bambino di nome Sohrab.
Il cacciatore di aquiloni è il primo romanzo dello scrittore americano di origine afgana Khaled Hosseini, pubblicato in Italia dalle Edizioni Piemme nel 2004.
A dicembre uscirà nelle sale americane il film tratto da questo splendido romanzo prodotto e diretto da Steven Spielberg.
Tim Burton premiato con il Leone d’Oro alla Carriera dal suo attore-feticcio Jonny Depp
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7Gli ostacoli all’accesso universitario
A settembre si è fatto un gran parlare dello scandalo dei
test di ammissione a Medicina. Ma perché?
Come prevede la legge 264/99 alcuni corsi di laurea
sono a numero chiuso (medicina e chirurgia, veteri-
naria, architettura, scienze della formazione primaria,
odontoiatria); per entrarci è perciò necessario superare
un test di ammissione. Ciò si traduce in un’ottantina di
domande a crocette sui temi più disparati, dal cui esito
dipende il futuro del candidato.
Quest’anno gli stessi autori ministeriali del test di
medicina hanno riconosciuto di aver sbagliato la formu-
lazione di 2 domande, tanto che il Ministro le ha annul-
late dal computo totale. Il fatto che 2 quesiti fossero
errati ha, nei fatti, falsificato l’intero esame, perché in un
test a crocette tutte le domande si tengono insieme, e
l’uso del tempo da parte del candidato consegue
l’impegno complessivamente previsto.
Per questo motivo l’UdU (Unione degli Universitari-il
sindacato studentesco italiano) ha promosso un ricorso
collettivo nazionale contro quel test, giudicandolo
fasullo; ricorso a cui abbiamo partecipato anche noi di
Sinistra Universitaria.
Parallelamente a questo, è scoppiato anche lo scandalo
dei test truccati; è emerso ciò che tutti sapevano: in
molti atenei italiani chi voleva passare la prova doveva
pagare migliaia di euro. Le prove svolte nelle suddette
città sono state annullate.
Ma da quali mali è affetta realmente l’università italiana?
L’illegalità, certo, come i test truccati dimostrano; la
gestione privatistica delle baronie universitarie, come è
noto.
Esiste però un problema più ampio. Perché un test di
ammissione all’università? Per i corsi citati ci si appella
spesso alle “direttive europee”, che imporrebbero in
tutto il continente questa selezione. Nulla di più falso. Le
tante direttive europee formulate negli ultimi 30 anni
parlano solo di uniformità nelle competenze profession-
ali e di alti standard qualitativi. E gli esami a crocette
non sono proprio la garanzia di qualità…fossero anche
regolari. L’unico metro di giudizio possibile è la valuta-
zione del percorso in itinere, attraverso una selezione
nel corso degli anni universitari basata sul metodo
critico acquisito, sulle competenze, sulle capacità
personali.
Un accesso libero all’università è un diritto inalienabile. Come lo è il diritto di ciascun individuo di
costruirsi il proprio futuro. Uno dei grandi problemi
dell’università italiana oggi, è che questo diritto è
negato. In vari modi.
Pensiamo al continuo aumento delle tasse universitarie.
Questo è un ostacolo economico all’accesso, splicita-
mente teorizzato da alcuni “intellettuali” (Giavazzi o
Ostellino) che in esso vedono la soluzione
all’inefficienza della università italiana.
Oppure pensiamo all’ostacolo fisico all’accesso: le aule
inadeguate e l’assenza di servizi per gli studenti diversa-
mente abili sono un esempi lampanti di inciviltà e di
chiusura degli atenei in se stessi.
In più esiste questo ostacolo “ideologico” del
numero chiuso. Sia all’ingresso per quei corsi
ritenuti molto “professionalizzanti” (“ma come
si fa a immettere nel mercato migliaia di
studenti laureati in medicina o
architettura?”chiedono i fautori del numero
chiuso. E non si domandano perché si dovrebbe
bloccare la concorrenza nel mondo del lavoro a
vantaggio di corporazioni lautamente pagate,
mentre la libera concorrenza vale per i laureati
in lettere, agraria, economia...); ma l’accesso è
precluso anche nel passaggio tra triennale e
specialistica (magistrale). E questo caso
riguarda anche Lettere. Sempre di più Lettere:
infatti nell’applicazione della nuova riforma
didattica (270+decreti mussi) si è sentito
proporre da più presidenti di corso di laurea
una forma di selezione dei requisiti di accesso
alle specialistiche. In barba ad alcuni dei pochi
principi sani introdotti da fine anni ’90 in
Europa. Garantire la mobilità nazionale e inter-
nazionale attraverso il riconoscimento dei
percorsi formativi individuali.
Noi di LdS-Sinistra Universitaria vogliamo che
l’università sia un luogo aperto, dove la qualità
viene riconosciuta. E per questo ci opporremo
ad ogni sbarramento all’accesso.
LdS-Sinistra Universitaria
La caduta dell’Impero, o quasi.di borellato84In data 19/09/07 si sono tenute le elezioni per il
rinnovo della Presidenza del corso di laurea in
Comunicazione Linguistica e Multimediale. Elezioni
che hanno determinato la fine del dominio del prof.
Enrico Borello. Purtroppo non tanto per la scelta
coraggiosa e giusta dei professori-elettori, ma
piuttosto per la non rieleggibilità dopo tre mandati. Il
nuovo Presidente è la prof.ssa di linguistica Maria
Pia Marchese.
Conosciuto come uno dei più controversi e ambigui
corsi di laurea, dalla nascita viene affidato al Borello,
che fallito l’assalto ad una cattedra di docente di
prima fascia all’Università di Torino (forse anche
perchè nella Commissione Giudicatrice compare un
certo Tullio De Mauro), ripiega sulle facili terre di
conquista fiorentine ergendo un’inattacabile fortino
in difesa dei suoi feudi universitari. A nulla varranno
le numerose proteste degli studenti della gleba, il
Sovrano resterà al suo posto con l’ampia schiera di
marchesi, vescovi, valvassori e cavalieri. I pochi
conti “ribelli”, perché consci della situazione dram-
matica, investiranno gli studenti del compito di rove-
sciare la monarchia (come dire, la forza è del
popolo), ma gli alti prelati minori faranno buona
guardia. La forzata caduta dello scorso settembre si
spera possa rappresentare il definitivo tramonto del
medioevo per il disastrato CDL. Intanto il destituito
sovrano, governerà ancora a lungo la laurea specia-
listica e il Master corrispondente, ultimi baluardi di
quello che fu il Grande Impero; due possedimenti
minori, ma molto redditizi.
Ora si che vivremo TUTTI felici e contenti.
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àSPUNTI DI RIFLESSIONE
Lorenzo Guadagnucci è giornalista: collabora con Altre-conomia e Carta. Durante il G8 di Genova del 2001 si trovava all'interno della scuola Diaz al momento dell'irruzione della polizia. Fu pestato e trattenuto in stato d'arresto per due giorni all'ospedale Galliera. Su questi fatti ha scritto un libro, “Noi della Diaz” uscito all'inizio del 2002. Inoltre è tra i fondatori del Comitato Verità e Giustizia per Genova; Puoi trovare altre informazioni per approfondire il tema: il blog www.altreconomia.it/noidelladiaz/, da cui è tratto questo articolo, www.giustiziaeliberta.it.
“In un paese davvero attento alla tutela dei propri valori costituzionali, una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti del G8 del 2001 sarebbe stata istituita subito dopo quegli eventi. L’Italia, come sappiamo bene, è un paese ancora lacerato, con una cultura democratica piuttosto incerta e malferma. Il senso dello stato, non da ora, è scarsamente radicato negli apparati politici e quindi nelle istituzioni. In fondo la mancata istituzione della commissione, per cinque anni osteggiata dal centrodestra, e adesso arenata nei meandri parlamentari a causa di tradimenti e ripensamenti in senso alla nuova maggioranza di centrosinistra, riflette la mancanza di dignità istituzionale da parte del nostro parlamento. Mai e poi mai, in un paese con solide tradizioni di democra-zia parlamentare, la massima assemblea legislativa avrebbe rinunciato alle proprie prerogative in un caso come quello del G8 di Genova. Siamo così abituati a quest’incapacità del mondo politico di agire con rigore e senso di responsabilità, che alla fine tolleriamo anche le peggiori ‘prestazioni’ delle nostre istituzioni rappresenta-tive. Quasi non facciamo caso alla distruttività di certe posizioni come quelle espresse dalla destra, dal partito dell’ex magistrato Di Pietro e da quello dell’attuale mini-stro della Giustizia. Secondo queste forze una commis-sione parlamentare metterebbe ’sotto processo’ le forze dell’ordine, e questo - dicono - non è tollerabile.Quest’affermazione è falsa e pericolosa. Falsa perchè la commissione non dovrebbe processare nessuno, bensì accertare le responsabilita’ della catena di comando e del potere politico nella sciagurata gestione dell’ordine pubblico durante il G8. Il processo, anzi i processi, alle forze dell’ordine peraltro ci sono già, al tribunale di Genova, ma riguardano ’solo’ le responsabilità penali e personali di agenti, funzionari e dirgenti. E’ poi un’affermazione pericolosa, perchè proprio le forze dell’ordine avrebbero solo benefici da una seria inchiesta parlamentare e da un rigoroso accertamento delle responsabilità operative e politiche legate ai numerosi misfatti del luglio 2001, dalla caccia all’uomo per strada, alle ingiustificate cariche ai cortei, all’uccisione di Carlo Giuliani, fino alla sanguinosa irruzione alla Diaz e alle torture nella caserma di Bolzaneto.Le destre vogliono far credere che la copertura, la rinun-cia all’accertamento delle responsabilità, l’oblio sui fatti piu’ gravi, le promozioni degli imputati sono un modo per difendere le forze dell’ordine, il cui prestigio sarebbe
altrimenti intaccato. E’ vero l’esatto contrario. Il presti-gio delle forze dell’ordine è precipitato nelle tragiche giornate del 2001. Le divise delle nostre forze di polizia sono ancora oggi sporche del sangue versato a Genova da decine di cittadini ingiustamente attaccati, e del fango attirato da comportamenti inaccettabili e fuori all’etica democratica. Chi lavora in polizia ha diritto ad avere dirigenti al di sopra di ogni sospetto, e questo in Italia non è, visto che alcuni dei più alti dirigenti hanno ottenuto promozioni, mentre erano imputati a Genova, che suonano come gesto di sfida ai poteri dello stato, a cominciare dalla magistratura. Gli stessi sindacati di polizia, sempre più deboli e screditati, si sono accodati alla campagna delle destre parlamentari e politiche, mostrandosi sollevati dal mancato varo della commis-sione. Un ulteriore segno dell’indebolimento della cultura democratica all’interno della polizia di stato. Nessuno, oltretutto, ai vertici dello stato e delle forze dell’ordine, ha mai espresso la propria vergogna per i fatti della Diaz e di Bolzaneto, o per le cinque condanne al risarcimento, già decise dal tribunale civile, a carico del ministero dell’Interno per le ingius-tificate violenze inflitte a pacifici cittadini.
La debacle in parlamento è stata una sconfitta per il parlamento stesso e anche un sinistro segnale d’allarme per tutti noi, che da anni ci battiamo non solo per sanare la ferita aperta nelle giornate del G8, ma anche per contrastare quell’involuzione autori-taria che in queste settimane sta procedendo a tappe forzate, sull’onda di eventi come le abnormi richieste di condanna al processo contro i 25 manifestanti e la mancata approvazione della commissione.
E’ un nuovo campanello d’allarme che suona. Chissà se riusciremo a coglierne la portata.”.
Lorenzo Guadagnucci
Ringraziamenti
Si ringraziano tutti coloro che hanno collaborato a questo primo numero, in particolar modo il Teatro della Pergola, la signora Elisabetta De Fazio (resp.
comunicazione) e il direttore Riccardo Ventrella per la fiducia e sperando in una sempre più attiva collabora-
zione per promuovere il teatro tra gli studenti.
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