BeMag+ #3

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Febbraio 2012

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FEBBRAIO 2012*****numero 3 - anno 2*****

IN COPERTINAOriella Minutola*****HANNO SCRITTO SU QUESTO NUMEROAndrea Galuppini * Alice J. Minelli * Roberta Scotuzzi * Freak * Massimo Ghidini * Davide Di Maria * Andrea Bastiani * Mara Piona * Gloria Colucci * Nicoletta Antonini * Roberta Beschi * Francesca Dioni * L’Omino * Silvia Zorzetti * Matteo Castellazzo*****FOTO DI COPERTINAAlberto Mancini*****FOTOGRAFIEAlberto Mancini * Oriella Minutola * Chiara Cadeddu * Nicoletta Antonini * Erica Caravaggi*****REALIZZAZIONE CONTENUTI VIDEO ALLEGATISilvia Zorzetti * Matteo Castellazzo*****WEBhttp://www.be-happy.it*****FACEBOOKhttp://www.facebook.com/BeHappysocial*****TWITTERhttp://twitter.com/beontweet*****VIMEOhttp://www.vimeo.com/kitchenvideo*****MAILinfo@be-happy.it

Donne.Donne alla ricerca di un brivido ed

aspiranti stronze.Donne sopra le righe e casiniste.

Donne che si comportano come uomini e che bevono più di altri

uomini.Viveur, protagoniste, qualunquiste,

appassionate, professioniste dell’amore, invidiate, segretamente

amate.

Donne.Donne.Donne alla ricerca di un brivido ed Donne alla ricerca di un brivido ed

aspiranti stronze.aspiranti stronze.Donne sopra le righe e casiniste. Donne sopra le righe e casiniste.

Donne che si comportano come Donne che si comportano come uomini e che bevono più di altri uomini e che bevono più di altri

uomini.uomini.Viveur, protagoniste, qualunquiste, Viveur, protagoniste, qualunquiste,

appassionate, professioniste appassionate, professioniste dell’amore, invidiate, segretamente dell’amore, invidiate, segretamente

amate.amate.Potrebbe sembrare l’incipit di un romanzo d’amore pro-femminista, voi direte. Invece no: è la fotografia panoramica di una situazione ben definita. L’invidia, l’ipocrisia, l’indifferenza… cosa sono del resto? Fragili scogli a cui aggrapparsi per proteggersi. La protezione ahimè risulterà precaria e ve ne accorgerete presto. Cosa ce ne facciamo dell’invidia? Ci logora, ci abbruttisce, ci deteriora, ci toglie anche quello spiraglio di autostima rimasto dopo che, appena uscite dalla doccia ci accorgiamo che la nostra pelle, anche senza trucco, non è poi così terribile.Cosa ce ne facciamo dell’ipocrisia? L’ipocrisia in fin dei conti è bugia. Come definire l’ipocrisia se non come un inganno? In sostanza: non me ne fotte nulla se quella maledetta sera ti sei dimenticato/a di avere un altro impegno! Non attribuire le colpe ed i mali del tuo comportamento ad agenti esterni, non ti giustificare come se tutto fosse dipeso dai tuoi problemi… lo stai facendo così bene che anche tu finirai per credere alle fandonie che stai dicendo.E non ditemi che è un meccanismo di difesa. Posso tollerarvi per alcuni errori di auto-valutazione, posso comprendervi se mi dite che la vostra vita è noiosa e, talvolta, vi aiutate con l’autoconvincimento circa cose inesistenti che tanto desiderereste avere… ma non vi posso appoggiare sempre, simpatiche galline

starnazzanti con una vita tanto piatta da non fare invidia nemmeno ad un informatico. L’indifferenza, beninteso, non è sempre poi così male: ben utilizzata genera quella specie di prurito che però poi inizia a scemare nel preciso istante in cui la/il diretta/o interessata/o ha deciso di farvi una radiografia di pochi secondi e posare poi lo sguardo verso il basso, verso il pavimento (che probabilmente sta trovando addirittura più attraente di voi).Vite interessanti e fuori dalla logica comune, fuori dalla portata del medio abitante di un piccolo paese per il quale bere una birra vuol dire essere ubriacona, fumare al parco vuol dire essere tossico-dipendente, limonare duro per strada vuol dire essere ragazze senza ritegno, tatuarsi vuol dire essere trasgressive e poco femminili, andare dal panettiere in canotta vuol dire provocare, girare con i roller vuol dire essere esibizioniste, addentare il pane comprato per strada sulla via del ritorno significa essere impazienti e mangiare con gli occhi una crostatina impacchettata dal fornaio è sinonimo di essere incinta.La culla del gossip malsano risiede proprio qui: in questi fecondi ambienti di finta cordialità e finto perbenismo, in case di famiglie conosciute e stimate, in compagnie di amici

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aspiranti stronze.Donne sopra le righe e casiniste.

Donne che si comportano come uomini e che bevono più di altri

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amate.

che riportano cose che le rispettive madri hanno sentito la mattina precedente al mercato. Forse anche intorno a voi e vicino a voi, dove meno pensereste all’annidamento vizioso di questi pensieri, risiedono idee ultra manipolate e modificate sul vostro conto.Come chiedersi poi il perché la gente diventi così selettiva?La gente sceglie con chi vivere, così come sceglie il proprio partner, la propria casa, cosa mangiare a cena e la maglia da indossare, sceglie con chi condividere cose sue. Sceglie perché ritiene che la sua scelta sia all’altezza di ascoltare ciò che vive, ciò che racconta. Sceglie perché ritiene l’interlocutore una persona intelli-gente e capace di mantenere confessioni. Sceglie perché (nella maggior parte dei casi), chi ascolta non giudica e picchiando una mano sulla spalla dà consigli.E se esclude, se evita, è perché è stufa di sentire invenzioni sul proprio conto.Pensate che per un gruppo di cinquanten-ni del mio paese io avrei subito un intervento di chirurgia plastica alle orecchie. Bah! E pensare che io ho sempre sognato di rifarmi il naso.Il vociferare di racconti inventati di sana pianta da un lato genera fastidio ma, fatto il callo, diverte.Per questo, da un po’ di tempo a questa parte, bevo birra direttamente nel piazzale della chiesa, fumo al parco con ragazzi più giovani di me (e più nascosta sono, più è divertente), addento pizzette in esposizio-ne già all’entrata della forneria e dal panet-tiere ci vado addirittura in top, non in canotta.

Ammettiamolo, noi donne davanti ad un paio di scarpe impazziamo. Non è la stessa cosa per un abito o un capo spalla, forse per una borsa, ma avere tante scarpe ci rende felici, anche se non le indossiamo mai.Esistono donne differenti, fortunatamente! Ci sono quelle che comprano scarpe con il tacco e le indossano anche (brave!), e poi esistono quelle donne (me compresa!) che ammirano scarpe di ogni genere, le comprano e poi si sentono appagate solo nel guardarle.Negli ultimi anni ho iniziato a farmi un esame di coscienza cercando di non impazzire di fronte ad un tacco di smisurati centimetri, e dopo svariati mesi di rehab ho capito che non comprare scarpe con il tacco è un po' l'annullamento della donna.Indosso per lo più scarpe da ginnastica, ma non vietatemi di provare scarpe con il tacco e magari di comprarmene un paio. Così, "pour faire". Guardo i vestiti degli ultimi periodi, quello che la moda vuole farci amare e capisco che loro sono la soluzione a tutto: con il tripudio della fantasia o l'eccessivo minimale monocolore, le scarpe rimangono l'unico accessorio che ci può far sentire più che vive, che ci slanciano e ci fanno sentire donne anche se a fine serata camminiamo come dei velociraptor (parlo per me!).Ho amiche che indossano perennemente sneakers ma che in camera hanno una scarpiera di tacchi da far invidia anche alla più fashion victim del pianeta. Si dichiarano felici perché le osservano e sentono di avere dei pezzi unici, che magari "un domani" potranno indossare.Se le donne stanno alle scarpe, non so bene cosa potrebbe stare agli uomini, anzi, mi sa che non c'è un oggetto che possa essere come loro, tutti hanno una passione, ma non esiste al mondo una donna che non desideri entrare in un negozio e far propria una nuova scarpetta.Il bello di questi anni è che ormai non c'è una moda precisa per le scarpe, cioè, c'è sempre una scarpa del momento, ma oltre a quelle c'è un oceano di

scelte in cui tutte possiamo distinguerci, cosa che per i vestiti è decisamente più difficile.Anche per le scarpe, come per i vestiti c'è sempre il ritorno al passato e in questi ultimi anni abbiamo visto rispuntare gli stivali da biker oppure i Dr Martens che abbiamo odiato in modo indiscusso per un'intera infanzia e che adesso vogliamo a tutti i costi. Sono tornate prepotentemente anche le scarpe con la punta e il tacco fine, ma dopo anni e anni di plateau e tacco grosso come possiamo abbandonare la comodità della scarpa da battaglia che non ci fa male dopo soli quindici minuti? Fortunatamente la moda è gentile, e anche se nei negozi si vede una popolazione di stiletti finissimi, anche se la moda va e viene, noi donne siamo talmente poliedriche e diverse che non ci toglieranno mai le scarpe con il tacco!!!

E' giusto lasciarsi abbagliare da queste creature ed è giusto indossarle e anche caderci, perché grazie a loro, forse, la nostra femminilità non ci abbandonerà mai.

Sono stato fan di Smallville. L’ho abbandonata poco dopo la metà del suo percorso, attorno alla sesta stagione. Sinceramente non credevo che sarebbe durata fino alla decima: complimenti a chi ha stretto i denti e ha mantenuto la sua fede incondizionata!Io non ce l’ho fatta. Non sono riuscito a tollerare quel repentino cambio di stile, quella svolta dei toni della narrazione e dei personaggi ( contare il numero di entrate e uscite di Beautiful è più facile, forse! ) che innegabilmente hanno caratterizzato questo titolo a un certo punto del suo sviluppo. Vediamo di intenderci.

Superman è Superman. E fin qui non ci piove. Nato come fumetto alla fine degli anni ’30, Superman è stato fin da subito il capostipite di tutti i supereroi che, attraverso le sue molteplici trasposizioni al cinema, in tv, nelle serie animate e nel merchandising vario, ha saputo affermarsi come icona mondiale multigenerazionale.Tra le tante versioni che abbiamo visto troviamo il telefilm o tv-show, come dicono oltreoceano, dal titolo Smallville. E qui iniziamo a storcere il naso. Lo so.I puristi del fumetto gridavano allo scandalo dieci anni fa, quando l’allora canale televisivo americano The WB (poi

Massimo Ghidini

Davide Di Maria

In principio era “il caso della settimana”: le prime stagioni si caratterizzavano soprattutto secondo questa logica, quindi una linea narrativa prettamente verticale, qualche inciucio amoroso che accalappiasse un pubblico più variegato e alimentasse la linea orizzontale... e via! Funzionava. Smallville andò avanti così per circa tre stagioni e mezza.Arrivò “la pioggia di meteoriti”: non è tanto per dire, la tempesta di meteore arrivò davvero nel finale della quarta stagione come cliffhanger per il ciclo successivo. In realtà non fu questo l’evento che causò il cambiamento radicale (a dire il vero nessun finale di stagione nella serie segna così irrimediabilmente il ciclo successivo), ma quello che intendo è presto detto: a partire dalla quarta stagione qualcosa mutò vistosamente. Le atmosfere si fecero più cupe, la narrazione cominciò a divenire più complessa e a richiedere un grado di attenzione maggiore, numerosi supereroi presero ad altalenarsi nelle presenze lungo l’arco narrativo, entrò in scena Lois Lane, Lex Luthor e Lana Lang iniziarono a frequentarsi. Stava insomma avvenendo quello che fino ad allora gli sceneggiatori avevano costantemente rimandato: la realtà di Clark Kent e della sua missione cominciavano a prendere forma, avviando/direzionando “pericolosamente” l’arco narrativo verso quello che tutti noi, bene o male, conosciamo. Pericolosamente, perché come accennavo all’inizio il cambio fu parecchio repentino e non lasciò molto spazio a mezzi termini (e neppure a qualche autentica trashata, si veda il trio stregonesco delle dolci e variegate “pulzelle”). Va detto che tale cambio di direzione fu

diventato l’attuale The CW, dove vanno in onda Gossip Girl, Ringer e Supernatural) decise di produrre lo show. Non una, non quattro, non sei, ma ben dieci stagioni, dieci anni dedicati ad un telefilm che, volenti o no, rimarrà nella storia. Ogni anno si vociferava che sarebbe stato l’ultimo, e invece tutta la squadra ritornava, puntuale.Smallville inizia proprio nel modo in cui tutti conoscono la storia di Superman, con un bambino che atterra in un campo di grano in un’immaginaria cittadina contadina del Kansas, Smallville appunto, in “provincia” della più famosa Metropolis. Inizialmente vediamo un giovane Clark Kent (senza i famosi occhiali quadrati) alle superiori, impacciato, ancora inconsapevole di quello che sarebbe diventato, che episodio dopo episodio acquisisce sempre più consapevolezza dei suoi poteri.Purtroppo però, come tutti i teen-drama che si rispettino, anche Smallville ha dovuto accusare il colpo del diploma. Infatti non esiste serie tv adolescenziale che non abbia risentito del calo di ascolti una volta che i protagonisti escono dalla tanto sognata high school (furbi quelli di One Tree Hill che hanno fatto coincidere un anno di liceo con due stagioni tv), non si può essere adolescenti per sempre. A mio avviso, però, la seconda metà della serie è quella che si rivela essere la più interessante, poiché ci mostra la maturità del protagonista alle prese con il suo sviluppo di uomo e di supereroe, e il suo inserimento nel mondo del giornalismo, lavorando al Daily Planet. E’ in questa parte della serie, infatti, in cui vengono introdotti altri personaggi del mondo di Superman che gli appassionati del

Massimo Ghidini

Davide Di Maria

doveroso: proseguire sulla linea delle prime tre stagioni limitandosi a qualche intreccio amoroso e cattivone di turno avrebbe rischiato di condannare Smallville alla chiusura. Tuttavia la stessa svolta non è stata priva di controindicazioni, come testimoniano i notevoli cali di ascolti: un po’ come se si fosse rotto un serbatoio della Luthor Corp. , con conseguente riversamento di una marea di “cavoli amari” su tutta Smallville! Senza contare poi i numerosi cambiamenti di cast che hanno visto la perdita progressiva di molti elementi “storici” delle prime stagioni e che, inevitabilmente, hanno ulteriormente segnato il passaggio di testimone. Senza ombra di dubbio se la serie ha retto fino a compiere il decimo anno significa che, al di là di tutto, la struttura ha retto. C’è però chi, come me, non riesce a perdonarle quella virata così vistosa dal clima teen di piccola cittadina di provincia al cupo ambiente dal sapore sci-fi dell’immensa Metropolis. Non che ci si aspettasse il coronamento d’amore della coppia Kent-Lang, dal momento che tutti sanno dell’esistenza di Lois Lane da ben prima che faccia la sua comparsa! Forse però il riposizionamento dell’arco narrativo lo si poteva diluire meglio, con piccole anticipazioni già nel corso del primo triennio, garantendo così un procedere più graduale dello sviluppo di tutte le linee. Ma si sa, anche Superman è allergico alla kriptonite verde!

Massimo GhidiniMassimo Ghidini

fumetto sicuramente avranno riconosciuto, come i diversi antagonisti che diventano parte del filone conduttivo di tutta una stagione, permettendo al quasi adulto Clark Kent di iniziare a comprendere la natura del suo destino, nonché di utilizzare i tanto caratteristici occhiali già citati. Smallville è una serie che in dieci anni ha saputo unire un po’ tutti i generi, è iniziato come un telefilm fantascientifico per adolescenti per poi evolversi in un prodotto più maturo e adulto strizzando un po’ l’occhio al genere thriller. Possa piacere o meno, ma gli va dato comunque atto di aver saputo narrare la nascita del più famoso dei supereroi in una maniera del tutto inedita, andando a ritagliarsi un posticino nell’immaginario collettivo e nella cultura pop mondiale.

Davide Di MariaDavide Di Maria

“A DIRE IL VERO NON VOLEVO NIENTE DI

PRECISO,VOLEVO PRENDERE IN

MANO IL MIO DESTINO,NEL BENE E NEL MALE.”

Maurizio CattelanQueste sono le parole che Maurizio Cattelan, a detta di molti nel mondo dell'arte contemporanea -il più grande artista italiano degli ultimi vent'anni-, usa nel suo ultimo libro.L'autobiografia intitolata “Un salto nel vuoto” edita da Rizzoli è in verità una lunga intervista con Catherine Grenier, co-direttrice del Musée d'art moderne Centre Pompidou di Parigi.Lo scritto esce sicuramente in un momento particolare della carriera dell'artista.Nato a Padova nel 1960, ma attualmente residente tra New York e Milano, Cattelan è in questi giorni sulla bocca di tutti grazie alla grande retrospettiva intitolata ALL, inaugurata il 3 Novembre 2011, presso la sede newyorkese del Guggenheim Museum e aperta fino al 22 Gennaio 2012.Moltissimi sono gli articoli usciti in questi mesi su

giornali e riviste, sia precedenti che posteriori all'inaugurazione, e forse è proprio questa la forza dell'artista, far parlare di sé, nel bene e nel male.La cosa che però mi ha maggiormente colpito mentre riflettevo sulla stesura di questo pezzo è stata: “Ma io voglio scrivere di Cattelan come personaggio dal grande fascino mediatico, oppure del Cattelan artista?”. Perché di quest'ultimo mi pare quasi nessuno se ne sia veramente occupato.La risposta non è stata altrettanto scontata, perché parlare dell'opera di questo artista italiano significa riuscire a dosare in maniera ottima alcuni ingredienti che compongono il personaggio e artista Maurizio.L'abilità nell'usare i mezzi di informazione, la saggezza nel scegliere le parole riguardo la sua via privata, la tematica

delle sue opere a volte spiazzante, le strane interviste che rilascia alle riviste di settore, rispondendo con frasi di altri artisti e non di sua paternità e per finire la sua capacità di far discutere di sé… La ricetta del perfetto artista degli anni duemila.Ho riflettuto sul fatto che il Cattelan degli ultimi anni non sia poi così diverso da Mourihno, celebre allenatore e personaggio del mondo calcistico.Entrambi attirano e spostano su di sé l'interesse mediatico parlando poco, ma in modo diretto, lasciando nel caso del primo l'opera, nel caso del secondo i suoi giocatori, liberi dalle tensioni canoniche e dai riflettori dei mass media.Forse è proprio questo che ha spinto l'artista a rilasciare nel libro sopra citato un'intervista così sincera e schietta, quasi da non sembrare veritiera, visto tutti i tiri mancini a cui ci ha abituato negli anni.Cattelan ha infatti dichiarato già diverse volte che non ha idea di cosa farà in futuro e che questa potrebbe essere la sua ultima grande mostra, quasi andando a rafforzare la tesi che la sua autobiografia sia una sorta di testamento lasciato ai posteri, per spiegare una volta per tutte la sua idea di arte.È altrettanto interessante notare come lui abbia intitolato la sua mostra curata da Nancy Spector al Guggenheim "ALL", che in inglese significa tutto, ovvero tutte le sue 130 opere racchiuse in un unico spazio.L'idea che si ha osservando le varie fotografie della mostra giunte da oltreoceano, è che le opere, appese tutte ad altezze diverse, in mezzo al grande spazio rotondo circondato dalle rampe del museo, non dialoghino tra loro, ma

gridino ad alta voce che Cattelan ha concepito ognuna di loro in modo autonomo e in base alle idee che in quel momento lo preoccupavano.Non è casuale che nell'intervista rilasciata alla Grenier, lui dica apertamente che alcune opere riviste a distanza di anni gli provocano un certo distacco, quasi non fossero state precedentemente concepite dalla sua mente.Spuntano qua e là all'interno di “salto nel vuoto” note biografiche che sicuramente hanno segnato la poetica e le tematiche delle sue produzioni, un forte istinto di libertà e autonomia che lo costrinsero all'età di 17 anni ad andarsene da casa, lavorare in un ospedale, mettendolo, ancora giovanissimo, a stretto contatto con la morte.Ne sono un ottimo esempio All, realizzata nel 2008, dove si vedono delle sculture in marmo messe in fila una accanto all'altra, come dei corpi in obitorio con il classico lenzuolo bianco a coprirne le fattezze umane, oppure INRI realizzato nel 2009 dove un cavallo giace senza vita sul pavimento, con un cartello, riportante il titolo, conficcato nel costato, chiaro riferimento alla crocifissione e alla resurrezione.Insomma una vita piuttosto atipica, ma non fuori dagli schemi, un artista che trae dalle sue esperienze di vita le tematiche per il suo lavoro.Concludendo, il merito piuttosto grande che questo libro ha è l'aver fatto conoscere l' artista, e non il personaggio, le sue opere, senza enfatizzare troppo aspetti esterni, che avrebbero potuto deviare da quel rapporto artista-opera cui molti si dimenticano quando parlano di lui.

Si, proprio belli gli angioletti, si si..Se poi gli angioletti in questione hanno la faccia indie, cool, dandy, radical chic e chi più ne ha più ne metta, di Tom Smith (frontman degli Editors) e Andy Burrows (ex Razorlight ora I Am Arrows) il gioco è bello che fatto.I due, amici di vecchia data, hanno deciso di unire le loro geniali testoline per dare alla luce “Funny Looking Angel”, un album dal sapore natalizio ma con i cromosomi indie nelle vene; cosa che gli permette di essere bello fresco anche fuori stagione, e di solito i dischi di Natale dopo il 31 dicembre puzzano già di marcio!L’album ci regala almeno due o tre inediti davvero di alta qualità, vedi l’intro inziale “In The Black Midwinter”, la successiva “When the Thames Frozen” e la title track “Funny Looking Angels”.Ad impreziosire ulteriormente il lavoro dei nostri, due super covers da leccarsi i baffi, “Wonderful life” di Black e “Only You” degli Yazoo. In “Wonderful Life” Tom Smith ci mostra come una canzone fantastica coverizzata non fa sempre rima con cagata, vedi la versione di Zucchero di qualche anno fa. Andy invece con la sua voce delicata interpreta in maniera personale e allo stesso tempo sublime “Only You”.Un’altra perla è la canzone che chiude “Funny Looking Angels”, che manco a dirlo si chiama “Christmas Song”, in cui la voce angelica (è proprio il caso di dirlo) di Agnes Obel fa da contraltare al timbro bassissimo e fighissimo del cantante degli Editors.Durante tutto l’ascolto è davvero bella la sensazione che dà l’alternarsi delle voci, anche in relazione alle

canzoni stesse, anche se, non me ne voglia l’ex Razorlight, la voce di Smith ti catapulta totalmente in un’altra dimensione, facendoti venire quel brivido lungo la schiena… Sono sicuro che dopo averlo ascoltato qualcuno mi manderà a quel paese perché sembra davvero un album di Natale; ma se non ci si lascia prendere solo dai quei pezzi da “apertura dei regali time” si può capire davvero la vera qualità di questo lavoro, dove due teste e due voci diverse riescono a trovare un legame perfetto.Mi auguro sinceramente che quest’ album non sia solo una parentesi isolata per i due perché, secondo il mio parere, è un progetto che ha ancora molto da dare.Amo molto sia gli Editors che i Razorlight, e pensare ad un sound che abbracci questi due gruppi importanti dei nostri tempi mi affascina molto.. pensate a dei pezzi che sanno un po’ di “Munich” (Editors) e un po’ di “In the morning” (Razorlight), o ad altri tra “The weight of the world” (Editors) e “America” (Razorlight)..beh, pura libidine!Come diceva il buon vecchio Rino Gaetano, chi vivrà vedrà, e toccandoci tutti i maroni, per chi non vivrà, ci saranno due angioletti nuovi che ci accompagneranno in paradiso, sempre che ve lo meritiate!

Sono passati 5 anni dall’ultimo capitolo della serie il tanto atteso Skyrim: per i fans della frangia più oltranzista avrebbe anche potuto avere le caratteristiche de “La Ruota della Fortuna”… l’avrebbero amato visceralmente a prescindere. E invece quelli di Bethesda non si sono seduti sugli allori del seppur eccezionale Oblivion, e hanno deciso di puntare tutto sugli elementi di forza del brand, rinnovandoli e portando upgrade di sicuro impatto. Non c’è da stupirsi se The Elder Scrolls: Skyrim rappresenta quindi la sortita più convincente del brand fin dai tempi di Morrowind.Sarebbe impossibile descriverne i pregi in maniera esaustiva anche se invece di qualche riga si avessero a disposizione pagine su pagine: Skyrim rappresenta il sogno realizzato di ogni giocatore di RPG. Centinaia e centinaia di chilometri quadrati da esplorare equamente divisi fra città spettacolari, montagne e boschi densi di mistero, distese sconfinate di prati e campi di battaglia nei quali farsi largo fra guerrieri, giganti e… draghi (quest’ultima, una vera e propria rivelazione).Il codice di Skyrim rappresenta senza ombra di dubbio la pietra miliare del genere per pulizia, cura e maniacale perfezionamento: mai ci si era imbattuti in un tale livello di perfezione estetica e

componentistica, dalle statistiche di gioco alle quest (riuscirà qualcuno a fare DAVVERO tutto quello che Skyrim offre???). Fra le aggiunte di rilievo non possiamo non citare il sistema di urli e poteri in genere, attorno al quale nuovi miti metropolitani stanno già nascendo come funghi; la rete ne è già fittamente popolata: provate a digitare FUS RO DAH su Google o su YouTube e… scoprite tutta la potenza che un guerriero può scatenare in Skyrim!In sostanza, Skyrim rappresenta oggi quello che lo sconfinato universo degli RPG ha da offrire: è un titolo completo, al quale sicuramente non mancherà tutto un fitto corollario di espansioni e mods, ma che già così non può non ingolosire efficacemente sia i duri-e-puri dell’ambiente ruolistico, sia i neofiti che, lo ammettano una buona volta, sono sempre stati attratti da questo universo così denso, affascinante e fiabesco. Un ultimo appunto: ok, siamo nell’era commerciale ed è giusto che chiunque possa giocare a ciò che vuole dove vuole, come vuole, quando vuole… però Skyrim si gioca su PC. Eh oh, mica è colpa mia se gli RPG sono nati su PC, ed è lì che si esprimono al top. Tutto questo popò di statistiche non è affatto facile da gestire pad alla mano…

Non so cosa mi abbia attratto di questo sport, eppure mamma aveva insistito tanto con la pallavolo e il basket. Tutte quelle storie sull’importanza del karate per difendersi e il nuoto per essere al sicuro anche in acqua. E si, anche mia sorella, molto convincente con la ginnastica artistica. Così a soli nove anni mi ritrovavo a dire a papà che le domeniche sarei stata impegnata, e lo skipass stagionale non lo volevo più! Forse perché non si pensa che una ragazza possa essere nata per questo sport, forse perché mi sento a casa quando entro nello spogliatoio e incontro loro, le ragazze con cui ogni inverno respiro aria ghiacciata, le stesse con cui d’estate mi trovo a fare partitelle anche a campionato finito sotto il sole cocente. Il calcio femminile è sempre stato uno sport all’ombra di quello maschile.Il tempo passava e a 13 anni andai nella mia prima squadra femminile, come noi altre ragazze partecipavano al campionato CSI: eravamo circa in una decina.Ogni gruppo ha il suo percorso, ci sono squadre che nascono dalla fusione o dalla scissione di altre due, molte, più semplicemente, dall’incontro delle calciatrici di una stessa zona. Talvolta qualcuno dall’alto va alla ricerca di una formazione vincente setacciando le ragazze tra le proprie conoscenze, o, al contrario, è il gruppo stesso che si forma dal basso e va alla disperata ricerca di un allenatore, una società o un oratorio che gli permetta di allenarsi e partecipare a un campionato senza costi troppo elevati.Il tempo è passato e a oggi di squadre se ne contano 42, ognuna è differente e ha la propria storia.Ho 23 anni e posso dire di essere

cresciuta tirando calci ad un pallone. Mi sentivo grande per il numero 9 stampato sulla maglia, perché l’emozione che provi nel vedere gonfiarsi la rete e portare la tua squadra in vantaggio è inspiegabile. Ho capito, però, che ogni ruolo va vissuto con umiltà : non è il numero di una maglietta o un goal che ti fa sentire importante ma è una squadra che crede in te e soprattutto in se stessa. Grazie al calcio ho imparato a mantenere gli impegni presi nonostante tutto: non c’è divertimento o problema personale, pioggia o freddo che mi terrà lontano da quel campo.Ho imparato a vincere rispettando l’avversario.Ho imparato che si perde e si vince… insieme.Ho imparato ad andare d’accordo anche con le persone che non mi andavano a genio di primo acchito, perché se devi vedere una persona tre volte a settimana e giocarci insieme devi sapere anche trovare con lei una sintonia.Ho imparato che, come due ballerini in perfetta armonia, una buona squadra deve essere soprattutto affiatata per poter vincere, la differenza è che le teste da sintonizzare sono circa una quindicina.Ho quindi imparato che col calcio persino il sapore di una sconfitta diventa più dolce se affrontato con le ragazze che con te dividono il campo.

Se volete conoscere le squadre protagoniste del campionato CSI femminile, e altre realtà riguardanti questo sport, non perdetevi i prossimi numeri di BeMag!