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LDB

HartmutRosa

Accelerazionee

alienazione

Perunateoriacriticadeltemponellatarda

modernità

TraduzionediElisaLeonzioEinaudi

Introduzione

Questo libro è un saggiosulla vita moderna. Nonaspiraaunrigorescientificoo

filosofico assoluto, bensí aporre il «giusto» tipo didomande, che permettanoalla filosofia sociale e allasociologia di ricollegarsi alleesperienze sociali di chi vivenella tarda modernità. Allabase dello studio vi è laconvinzione che le scienzesociali debbano porredomande che «risuonino»nella vita delle persone,elettrizzando gli studenti e

stimolando la ricercaempirica. Credo inoltre cheoggi,troppospesso,sociologi,filosofi e teorici della politicasiano immersi in dibattiti eprogetti di ricerca che noninnescano scintille oaccendono entusiasmineppure in loro stessi. Nonfacciamo altro che seguireparadigmi pre-dati – nelsensodiThomasKuhn–perrisolvere problemi, con il

risultatochelasociologiaelafilosofia sociale non hannopiú molto da offrireall’opinione pubblica. Perquesto temo che si possanoesaurire asserzioni, ipotesi eteorie che potrebbero ancoraispirare e mettere indiscussione la culturatardomoderna, gli studenti,gli artisti e chiunque siainteressato al futuro e aldestinodellenostresocietà.

In questo libro voglioperciòritornarealladomandapiú importante che ci sia pergliesseriumani:checos’èuna«vitabuona»,eperchédifattonon l’abbiamo(richiamandomi al normalestato delle cose dosemplicemente per assodatoche gran parte della nostravita personale e sociale abbiaurgente bisogno di essereriformata). Poiché sappiamo

che è praticamenteimpossibile dare una rispostaalla prima parte delladomanda, comincerò dallaseconda. Del resto credo chequest’ultima sia il cuore ditutte le varie versioni egenerazionidellateoriacriticache si sono susseguite; se n’èoccupato Adorno, ma ancheBenjamineMarcusee,piúdirecente, Habermas eHonneth,cosícomeèstataal

centro dell’interesse delgiovaneMarx nei suoi primiscritti parigini. Dunque,scrivendoquestosaggiocercodi dare nuova linfa allatradizione della teoria critica.Venendoalsodo,l’argomentoche voglio sviluppare è ilseguente: un modo diesaminare la forma e laqualità della nostra vitaconsiste nell’osservarne lestrutture temporali. Non si

tratta solo del fatto chepraticamente tutti gli aspettidella vita possono essereanalizzati nel profondo dauna prospettiva temporale;cosamoltopiúimportante,lestrutture temporali colleganoil microcosmo individuale almacrocosmo sociale, ossia inostri atti e i nostriorientamenti vengonocoordinati e resi compatibilicon gli «imperativi sistemici»

delle moderne societàcapitalistiche attraverso uninsiemedinorme,scadenzeedisposizioni temporali.Pertanto affermo che lesocietà moderne sonoregolate, coordinate edominate da un rigido esevero regime temporale, chenon si articola in terminietici.Ilsoggettomodernopuòquindi essere descritto comecondizionato in maniera

minima da regole e sanzionietiche, e quindi considerato«libero», sebbene siastrettamente regolato,dominato e oppresso da unregime temporale per lo piúinvisibile, depoliticizzato,indiscusso, sottoteorizzato einarticolato. Questo regimedel tempopuòesseredi fattoanalizzato sotto un unicoconcetto unificante: la logicadell’accelerazionesociale.

Perciò, nella prima partedel libro sosterrò che lestrutture temporali modernemutano in un modo moltospecifico e predeterminato,governate come sonodall’ordineedallalogicadiunprocessodi accelerazione cheè legato in misura a stentopercettibile al concetto eall’essenza della modernità.Poiché ho già sviluppato ediscusso la teoria

dell’accelerazione sociale inmodo dettagliato in altrilavori (Rosa 2003 e 2005a;RosaeScheuerman2009),milimiterò qui a riassumerla.Nella seconda parte cercheròdi dimostrare la tesi secondocui un’analisi conoscitiva ecritica delle norme temporaliche segretamente governanolanostravitaèdellamassimaimportanza non solo dallaprospettivadellateoriacritica

originaria,maanchedaquelladelle sue rielaborazioni oggidominanti. Se alloraaccettiamolatesisecondocuiaminarelanostracapacitàdicondurreunavitabuonasonodistorsioni delle strutture delriconoscimento (comeargomenta Honneth) e dellacomunicazione (stando aHabermas), possiamo capiremolto della natura di talidistorsioni esaminando la

temporalità delriconoscimento e dellacomunicazione (politica).Proverò dunque a mostrarecome e perché la categoriadell’accelerazione sociale è dimassima importanza perqualsiasicriticadellestrutturetardomoderne delriconoscimento e dellacomunicazione. Lo scopo dimaggior portata del presentelavoro è però quello di

ristabilire un concetto assaipiú antico di teoria critica,ossia quello sviluppato daMarx edallaprimaScuoladiFrancoforte, masuccessivamenteabbandonatosia da Habermas sia daHonneth: il concetto dialienazione. Intendo quindisostenere che l’accelerazionesociale,nellasuaattualeveste«totalitaria»,conduceaformegravi ed empiricamente

osservabili di alienazionesociale, le quali possonoessere interpretate comel’ostacolo principale allarealizzazione del concettooggi vigente di «vita buona»nella società tardomoderna.Perciò nella terza (e piúimportante) parte del librocercherò di delineare una«teoria criticadell’accelerazionesociale»chesi servadell’alienazionecome

strumento concettualecentrale,machecerchianchedireinterpretareedarenuovavita ai concetti di ideologia edifalsobisogno.

Alla fine, tuttavia, sentoche, se non voglio perderecredibilità, non potròrimandare all’infinito ilconfronto con la primapartedella domanda di base: suquale concezione(inarticolata) di vita buona

poggia la teoria criticadell’accelerazione sociale?Nellepaginefinalicercheròdiaffrontare questa domandaall’inverso, per cosí dire. Dalmomento che utilizzo iltermine «alienazione» comenegazione della vita buona,possiamo riformulare laprima parte della domandacome segue: che cos’è l’altrodell’alienazione? Che cos’èunavitanonalienata?Icritici

del concetto di alienazionesottolineano da lungo tempoe ben a ragione che alcuneformedialienazionesonounmomento inevitabile epersino desiderabile diqualsiasi esistenza umana eche, allo stesso modo,qualsiasi teoria o politica chesi proponga di estirpare leradici dell’alienazione è difatto pericolosa epotenzialmente totalitaria.

Perciò i paragrafi conclusividi questo lavoro noncercheranno di proporre unmodello di vitacompletamente non alienata,bensí di riconquistaremomenti di esperienzaumana non alienata. Essi –almeno spero – potrannooffrire un nuovo metro dimisurapervalutare laqualitàdellavitaumana.O,sequestasperanzaètroppoottimistica,

fornirannoalmenolabaseperuna teoria critica cheidentifichi quelle tendenze estrutturechecompromettonola possibilità di esperire talimomenti.

ACCELERAZIONEEALIENAZIONE

ParteprimaUnateoriadell’accelerazione

sociale

CapitoloprimoChecos’èl’accelerazione

sociale?

Attorno a cosa siconcentra la modernità?Sociologiaefilosofiasociale 1,

secondo la tesi che intendodimostrare, possono venirinterpretate come reazioniall’esperienza dellamodernizzazione. Tali formedi pensiero sociale emergononel momento in cui gliindividui sperimentanocambiamenti drammatici nelmondo in cui vivono e, inparticolare, quando questiultimi intaccano il tessutodella società e della vita

collettiva. Nella letteraturacanonica che ha per temamodernitàemodernizzazionequesti cambiamenti vengonoletti e largamente discussicome processi dirazionalizzazione (comevorrebbero Weber oHabermas), didifferenziazione (funzionale)(comepresentatointuttaunaserie di teorie che vanno daDurkheim a Luhmann), di

individualizzazione (come hasostenuto Georg Simmel eribadisceadessoUlrichBeck)o, infine, comedomesticazione omercificazione, comeaffermato da numerosipensatori, da Marx adAdorno fino a Horkheimer,che prestano particolareattenzione alla crescita dellaproduttività umana e dellaragione strumentale. Per

questo innumerevoli sono ledefinizioni, i libri e idibattitiriguardo a ciascuno di questiconcetti.

Eppure, se per un attimomettiamo da parte lasociologia standard edesaminiamo la vastamoltitudine di auto-osservazioni culturali dellamodernità, troviamo che inquesta lista manca qualcosa:autori e pensatori da

Shakespeare a Rousseau, daMarx a Marinetti, cosí comeda Baudelaire a Goethe,Proust o Thomas Mann 2

osservano con pochissimeeccezioni (sempre constupore e molto spesso congrande preoccupazione) lavelocizzazione della vitasociale e, in concreto, larapida trasformazione delmondo materiale, sociale espirituale. Questo senso di

velocità crescente del mondochecicirconda,ineffetti,nonabbandona mai l’uomomoderno. È per questo cheJames Gleick osserva nel suolibroSemprepiúveloce(2000)«l’accelerazione quasi ditutto», mentre DouglasCoupland pochi anni primaaveva sottotitolato Storie peruna cultura accelerata il suoosannatolibroGenerazioneX.Di conseguenza, Peter

Conrad sostiene nella suavoluminosa storia culturaleche «la modernità èincentrata sull’accelerazionedel tempo» (1999, p. 9),mentre Thomas H. Eriksendichiara apertamente che «lamodernità è velocità» (2003,p.159).

Le scienze sociali, invece,che cos’hanno da offrire suquesto tema? In realtà lapercezione di un

cambiamentosignificativoneltessuto temporale è presenteanchenei resoconti «classici»della sociologia, per esempioquando Marx ed Engels, nelManifesto del Partitocomunista, constatano chenella società capitalistica«tutto ciò che è solido sidissolve nell’aria», o quandoSimmel identifical’intensificazione della vitanervosa e la velocità di

esperienze sociali mutevolicomelacaratteristicacentraledella vita metropolitana (equindi della modernità), oancora quando Durkheimdefinisce l’anomia come laprobabile conseguenza deicambiamenti sociali, cheavvengono in modo tropporapido perché si possanosviluppare nuove forme dimoralità e solidarietà, o,infine,quandoWeber– sulla

scia di Benjamin Franklin –descrive l’etica protestantecome un’etica di rigorosadisciplina temporale, checondannalaperditaditempocome«ilpiúmortaledituttiipeccati».Èquindiabbastanzaovvio che i teorici classicieranomossi,almenoinparte,da una vivida percezione delprocesso acceleratorio a cuistavano assistendo nellamodernità. Dopo di essi,

però, la sociologia divennequasiatemporale:siadagiòsuconcetti statici, che spessonon facevano altro checontrapporre le societàpremoderne a quellemoderne, come se un belgiorno la società fossesemplicemente diventatamoderna e da allora fosserimastaimmutata.

Quindi ciò che èassolutamente necessario è

una teoria sistematica e unconcetto convincente diaccelerazione sociale. Ed èproprio quello che propongoquidiseguito.

Ladomandapiúovvia cuiuna simile teoria dovrebbeessere in grado di risponderesi mostra estremamenteardua; se esaminiamoscrupolosamente i testi disociologia piú rilevanti, nonpossiamo evitare

l’impressione di trovarci difronte a un caos allo statopuro: che cosa staconcretamente accelerandonellasocietàmoderna?Infatti,troviamo riferimenti aun’accelerazionedellavelocitàdella vita, della storia, dellacultura, della vita politica odella società o addiritturadeltempo in sé 3. Alcuniosservatori asseriscono senzatroppigiridiparolechenella

modernità ogni cosa paresubire questo processo diaccelerazione. Ma, come èabbastanza ovvio, non hasenso dire che il tempo staaccelerando, e d’altra partenon tutti i processi della vitasociale accelerano. Un’ora èun’ora e un giorno è ungiorno, e poco importa seabbiamo o menol’impressione che sia passatorapidamente; e gravidanze,

influenze, stagioni e il tempodedicato all’educazione nonpare affatto stianoaccelerando. Non è chiaroinoltre se si possa davveroparlare di un processo diaccelerazionealsingolare,seèvero che ciò che vediamosono fenomeni tra loropotenzialmente slegati, comeperesempionellosport,nellamoda, nel montaggio video,nei trasporti, nelmercato del

lavoro, cosí come alcunifenomeni di decelerazionesociale o di sclerotizzazione.Un’ultima difficoltàconcettuale nell’analisidell’accelerazione sociale èrappresentata dalla relazionecategoriale con la societàstessa: possiamo parlare diun’accelerazionedella societàstessa o solo diun’accelerazione di processi

all’interno di un ordinesocialepiúomenostabile?

Nelle pagine seguentitracceròunacorniceanaliticache permetterà, in linea diprincipio, di arrivare a unadefinizione teoricamentestringente ed empiricamentegiustificabile (o almenocontestabile) di ciò che puòsignificare per una societàaccelerare e da qualiprospettive le società

occidentali possono essereintese come societàdell’accelerazione.

Come è evidente, nonesiste alcunmodello unitarioe universale di accelerazioneche possa far accelerare ognicosa.Alcontrario,moltecoserallentano, come il traffico inun ingorgo, mentre altreresistono caparbiamente aogni tentativodi farle andarepiúinfretta,comeaccadecon

ilsolitoraffreddore.Eppurecisono certamente non pochifenomenisocialiper iquali ilconcetto di accelerazionerisulta appropriato. Si hal’impressione che gli atleticorranoenuotinosemprepiúveloci;fast food,speed-dating,power naps e drive-throughfunerals sembranoconfermare la nostra volontàdi accelerare il ritmo dellenostre attività quotidiane, i

computer eseguono calcoli avelocità sempre piú elevate, itrasporti e la comunicazionenecessitano oggi di unafrazione minima del tempoche avrebbero richiesto unsecolo fa, le persone paredormano sempre meno –alcuni scienziati stimano cheil tempo medio dedicato alsonno sia diminuito di dueoredall’Ottocentoaoggieditrenta minuti dagli anni

Settanta al nuovo millennio(Garhammer1999,p.378)–,e sembrachepersino inostrivicini di casa entrino edescano molto piú spesso dalloroappartamento.

Ma se anche potessimodimostrare che talicambiamenti non sonoaccidentali, e che seguonoinveceunmodellosistematicoben preciso, vi è nulla chequesti processi cosí diversi

abbianodavveroincomuneeche possa permettere diricondurli tutti aunconcettounico di accelerazionesociale?Nondirettamente,misento di sostenere. Piuttosto,osservando piú da vicinoquesto spettro di fenomeni,risulta chiaro che è possibiledividerli in tre categorieanaliticamente edempiricamente distinte:accelerazione tecnologica,

accelerazione dei mutamentisociali e accelerazione delritmo di vita. Qui di seguitopresenterò per prima cosaqueste tre categorie diaccelerazione. Nella sezionesuccessiva esplorerò poi laconnessione tra le differentisfere dell’accelerazione e imeccanismi o motori che nestanno alla base. Nei capitoliII e III discuterò alcuni deiproblemi che un’analisi

sociologica delle «societàdell’accelerazione» puòincontrare; essi derivano dalfatto che dobbiamo semprerender conto anche di unampio spettro di fenomenisociali che rimangonocostanti o addiritturadecelerano.

1.L’accelerazionetecnologica.

La prima, piú ovvia e piúfacilmente misurabile tra leforme di accelerazione è lacrescita intenzionale dellavelocità di processi orientativerso un fine nei trasporti,nella comunicazione e nellaproduzione, che può esseredefinita accelerazionetecnologica. Anche nuoveforme di organizzazione eamministrazione che miranoa velocizzare le operazioni

rientrano tra i casi diaccelerazione tecnologica nelsenso ora descritto, ossiacome esempi diun’accelerazione intenzionalee orientata verso un fine.Sebbene non sia sempreagevole misurare la velocitàmediadi questi processi (cheper l’analisi dell’impattosociale dell’accelerazione èmolto piú importante dellavelocità massima), la

tendenza generale in questoambito è innegabile. Cosí siritiene che la velocità nellecomunicazioni sia salita di10 7, la velocità nel trasportopasseggeridi10 2e lavelocitànell’elaborazione dati di 10 6

(Geißler1999,p.89).È soprattutto questo

aspetto a trovarsi al centrodella «dromologia» di PaulVirilio, una narrazionedell’accelerazione storica che

procede dalla rivoluzione deitrasporti a quella nel campodelletrasmissionieinfineallaimminente rivoluzione dei«trapianti», culminando nellepossibilità oggi emergentidelle biotecnologie (Virilio2000). Gli effettidell’accelerazione tecnologicasulla realtà sociale sono dicerto spropositati. Inparticolare, hannotrasformatocompletamenteil

«regime spazio-temporale»della società, ossia lapercezione e organizzazionedellospazioedeltemponellavitacollettiva.Cosílapriorità«naturale» (ossiaantropologica) dello spaziosul tempo nella percezioneumana, che ha le sue radicinei nostri organi sensoriali enegli effetti della gravità epermette di distinguereimmediatamente il «sopra»

dal «sotto», il «davanti» dal«dietro», ma non il «prima»dal«dopo»,sembraesserstatainvertita: nell’epoca dellaglobalizzazione e della u-topicità di Internet, il tempoviene sempre piú spessopercepito come qualcosa checomprime o addiritturaannichiliscelospazio(Harvey1993). Lo spazio apparevirtualmente «contrarsi» pereffetto della velocità dei

trasporti e dellacomunicazione. Cosí,misurato in base al temponecessario per percorrere ladistanza tra,diciamo,LondraeNewYork,lospaziodall’etàpreindustriale dei velieri aquelladeijetsièridottoaunsessantesimo di quelloiniziale,ossiadatresettimaneaottoore.

In questo processo lospazio ha perso sotto molti

punti di vista la propriaimportanza perl’orientamento nel mondotardomoderno. Operazioni enuovi sviluppi non sono piúlocalizzatieluoghirealicomehotel, banche, università eimpiantiindustrialitendonoadiventare «nonluoghi»,ovvero luoghi senza storia,identità o relazioni (Augé1993) 4.

2.L’accelerazionedeimutamentisociali.

Fin dal Settecento,osservando la«dinamicizzazione» in attonella cultura, nella società onella storia occidentale,romanzieri, scienziati,giornalisti e uomini e donnecomuni erano spessodisorientati non tanto daglispettacolari progressi

tecnologici, quanto piuttostodal processo accelerato ditrasformazione della societàche rendeva le costellazioni estrutturesocialieimodellidiazione e di orientamentoinstabili ed effimeri. Eproprioquestotassocrescenteditrasformazionedeimodellidi rapporto sociale, delleforme della prassi e dellasostanza della conoscenza(rilevante per la prassi)

definisce la secondacategoriadell’accelerazione sociale,ovvero l’accelerazione deimutamentisociali.

Mentre possiamodescrivere i fenomeni dellaprima categoria comeprocessi di accelerazioneall’interno della società, ifenomeni di questa secondacategoria vanno classificatiinvece come accelerazionidella società stessa. L’idea di

fondoècheglistessiritmidelcambiamento stianocambiando. Cosíatteggiamenti e valori, maanche mode e stili di vita,relazioni e obblighi sociali,gruppi, classi, ambienti elinguaggi sociali, e anchecomportamenti e abitudinipare stiano mutando a ritmisempre crescenti. Tuttoquesto ha portato ArjunAppadurai a sostituire la

simbolizzazione del mondosociale come composto diaggregati sociali stabili e chepossono essere localizzati suuna mappa con l’idea dischermi fluidi e sfarfallanti,che rappresentano correnticulturali le quali solo insingoli punti si cristallizzanoin «etno-, tecno-, finanzio-,medio- e ideorami»(Appadurai1996).

In ogni caso, misurare

empiricamente i ritmi deimutamentisocialirimaneunasfida ancora irrisolta, non daultimo per il fatto che insociologiamanca un accordocomplessivosuqualisianogliindicatori rilevanti delcambiamento e quandoalterazioni e variazionicostituiscano uncambiamentosocialegenuinoo«fondante» 5.Perciò, al finedi sviluppare una sociologia

sistematica dell’accelerazionesociale,suggerireidiricorrereal concetto di «contrazionedel presente»(Gegenwartsschrumpfung),cosí da ottenere unmetro divalutazione per misurareempiricamente i ritmi delcambiamento. Questoconcettoèstatosviluppatodalfilosofo Hermann Lübbe, ilquale sostiene che le societàoccidentali vivono una

continua contrazione delpresente come conseguenzadei ritmi sempre crescentidell’innovazione culturale esociale (Lübbe 2009). Il suometro di misura è tantosemplice quanto efficace: perLübbe il passato è definitocome ciò che non tiene piú /che non vale piú, mentre ilfuturo denota ciò che ancoranon tiene / che ancora nonvale. Il presente, allora, è

l’arcotemporaleperilquale–utilizzandoun’ideasviluppatada Reinhart Koselleck (2009)– spazio di esperienza eorizzonte di aspettativacoincidono. Solo in questiarchi temporali di relativastabilitàpossiamorichiamarcia esperienze del passato perorientare le nostre azioni einferire dal passatoconclusioni valide per ilfuturo; solo in questi archi

temporali troviamo qualchecertezza di orientamento,valutazione e aspettativa. Inaltre parole, l’accelerazionesociale è definita da unacrescitaneiritmididecadenzadell’affidabilitàdiesperienzeeaspettativeedallacontrazionedegliarchitemporalidefinibilicome «presente». Adesso,ovviamente, possiamoapplicare questo metro dimisura della stabilità e del

cambiamento a istituzioni epratiche sociali e culturali diogni genere: il presente sicontrae nella dimensionepolitica come in quellaoccupazionale, in quellatecnologica come in quellaestetica, normativa e, ancora,scientifica o cognitiva, inbrevenellequestioniculturalie strutturali. Comeesperimento sul campo allettore basterà prendere in

considerazione i ritmi didecadenza della suaconoscenza pratica nella vitaquotidiana: per quali architemporalipuòpresumerecherimangano stabili cose comeindirizzo e numero ditelefono degli amici, orari diapertura di negozi e uffici, leratedi assicurazioni e gestoritelefonici, la popolarità dellestartelevisive,deipartitiedeipolitici,illavorodellepersone

che conosce e le lororelazioni?

Ma come possiamoverificare a livello empiricoquesto senso di contrazione?Credochepossiamoprenderecome punto di partenza e diconfronto quelle istituzioniche organizzano i processi diproduzione e riproduzione,dal momento che sembranorappresentare le strutturebase della società. Per le

società occidentali fin dallaprima modernità esseincludono la famiglia e ilsistema di occupazione. Edifatti gli studi relativi alcambiamento sociale siconcentrano in gran partepropriosuquestiambiti,oltrechesulleistituzionipoliticheesulla tecnologia. Tornerò inseguito sulla questione dicome il cambiamentotecnologicoesociale,equindi

l’accelerazione tecnologica el’accelerazionedeimutamentisociali,sianointerrelati.Perilmomento voglio suggerireche il cambiamento in questidueambiti–famigliaelavoro– abbia accelerato, passandodal ritmo intergenerazionaledella prima età moderna alritmo generazionale della«modernità classica» fino alritmointragenerazionaledellatarda modernità.

Conformemente a ciò lastruttura della famiglia tiponelle società agricole tendevaarimanerestabileneisecolieil cambio generazionalelasciava intatta la strutturadibase.Nellamodernitàclassica(all’incirca tra il 1850 e il1970) la struttura era invecepensata per durare unagenerazione: era organizzataattorno a una coppia etendeva a dissolversi con la

mortedeiconiugi.Nellatardamodernità si osserva unatendenza crescente da partedei cicli di vita famigliare adurare meno della vitadell’individuo: aumento didivorzi e nuovi matrimonisono laprovapiúevidentediquesto fatto (Laslett 1988, p.33).

Qualcosadisimilevaleperil mondo del lavoro. Nell’etàpremoderna e nella prima

modernità l’occupazione delpadre veniva ereditata dalfiglio, e ciò potenzialmenteper piú generazioni. Nellamodernitàclassicalestruttureoccupazionali tendevano acambiareconlegenerazioni:ifigli (e in seguito anche lefiglie)eranoliberidisceglierela loro professione, ma disolito la scelta valeva poi pertutto il corso della loro vita.Al contrario, nella tarda

modernità l’occupazione nonduraquasimaiquantol’interavita professionaledell’individuo: i lavoricambiano a ritmo piú altodelle generazioni. Peresempio, secondo RichardSennett negli Usa gliimpiegati con un livello discolarizzazione piú altocambiano lavoro undici voltenel corso della vita (Sennett2000).Di conseguenza, come

conclude Daniel Cohen «chiincomincialasuacarrieraallaMicrosoft non sa dove laterminerà. Cominciarlapresso Ford o Renaultsignifica avere la quasicertezzadi finirlanellostessoluogo in cui è iniziata»(Cohen1999,p.74).

In questo senso, performularelatesiinmodopiúgenerale, la stabilità delleistituzioni e delle pratiche

socialipuòserviredametrodimisura per l’accelerazione (odecelerazione) delcambiamento sociale. Nellavoro di autori come PeterWagner, Zygmunt Bauman,Richard Sennett e UlrichBeck, Anthony Giddens eScott Lash è possibile trovareun supporto sia teorico siapratico alla tesi per cui lastabilità istituzionale ègeneralmente indeclinonelle

societàtardomoderne 6.Inuncerto senso, l’intero discorsosulla «postmodernità» e lacontingenza si impernia suquesta idea, anche se, nelcontesto di questo saggio, laintendocomesemplicepuntodi partenza per successivericercheempiriche.

3.L’accelerazionedelritmodivita.

Forse l’aspetto piúsorprendente e inaspettatodell’accelerazione sociale è laspettacolare e contagiosa«carestia di tempo» dellesocietà (occidentali)moderne.Nellamodernitàgliattori sociali hanno semprepiúl’impressionecheiltempostia loro sfuggendo, che siatroppo breve. Sembra che iltemposiapercepitocomeunamateria prima da consumare

al pari del petrolio e che,come questo, sta diventandosempre piú raro e costoso.Questa percezione del tempocostituisce il nucleo del terzotipo di accelerazione nellesocietà occidentali, che nélogicamente néconsequenzialmente èimplicito nelle dueprecedenti. Anzi, èesattamenteilcontrario:aunprimosguardoquestafamedi

tempo sembra del tuttoparadossale se pensata inrapporto all’accelerazionetecnologica. Questa categoriaè l’accelerazione del ritmodellavita(sociale),cheèstataripetutamente postulata nelcorso della modernità, peresempio da Georg Simmel(1984 [1900],1995 [1903])o,piú di recente, da RobertLevine (1998). La si puòdefinirecomeunaumentodel

numero di singole azioni oesperienze in un’unità ditempo, cioè la conseguenzadel desiderio o del bisognopercepito di fare piú cose inmenotempo. Inquesta formarappresenta il fulcrodimoltedelle discussionisull’accelerazione culturale esulbisognoaessacorrelatodidecelerare.

Ma come possiamomisurare il ritmo della vita 7?

Tentativiintalsensopossonoa mio avviso seguire unapproccio «soggettivo»oppure «oggettivo», anche seprobabilmente la strada piúpromettente è data dallacombinazione dei due. Sulversante «soggettivo»un’accelerazionedellavelocitàdellavita (comequalcosacheè in contrasto con la velocitàdella vita stessa) è probabileabbia gli effetti osservati

sull’esperienza che gliindividui fanno del tempo:farà sí che le personeconsiderino il tempo comequalcosa che scarseggia e chesi sentano di fretta, sotto lapressione del tempo estressati. Sicuramente inmolti avranno l’impressioneche il tempo scorra piú infretta che in passato e silamenteranno del fatto che«tutto» va troppo veloce;

avrannopauradinonriuscirea tenere il ritmo della vitasociale. Il fatto che questelamentele abbianoaccompagnato la modernitàfin dal Settecento non provache lavelocitàdellavita fossesempre elevata edi fattononaiuta a determinare «la»velocitàdellavita,masilimitaa suggerire che vi sia unaaccelerazione progressiva.Comecisiaspetterebbe,studi

empirici mostrano chel’uomo nella societàcontemporanea si sentedavvero pesantemente sottopressione e si lamentadavvero della scarsità ditempo. Questi sentimentisembrano essere cresciutinegli ultimi decenni 8,rendendo plausibile la tesisecondo cui la «rivoluzionedigitale» e il processo diglobalizzazione portano a

un’ulteriore ondata diaccelerazionesociale.

Sul versante «oggettivo»un’accelerazione della«velocità della vita» puòesseremisurata in duemodi.Perprimacosaessadovrebbecondurre a una contrazionemisurabile del tempoimpiegatoperepisodiounitàcircoscrivibili di azioni comemangiare,dormire,uscireperuna passeggiata, giocare,

parlarecon i famigliariecosívia, dato che «accelerazione»implicafarepiúcoseinminortempo.Questoèuncampoincuilericerchesull’utilizzodeltempopossono rivelarsidellamassima importanza.Emoltistudi lodimostrano:cosí,peresempio, sembra esserci unanettatendenzaamangiarepiúin fretta, dormire meno eparlare meno coi famigliaririspetto a quanto facevano i

nostri antenati 9. Tuttaviaoccorre essere molto cauticon questo tipo di risultati:per prima cosa perché i datiper studi su lungo periodosull’uso del tempo sonoestremamente limitati; insecondo luogo perché sitrovanosemprecontroesempi(percitarneuno,iltempocheipadri trascorronoconi lorofigli almeno in alcuni stratidelle società occidentali sta

chiaramentecrescendo)senzache sia ben chiaro comevalutarne adeguatamentel’importanza; infine, spessononsicapiscechecosamuovele accelerazionimisurate (peresempio, che le persone oggidormano in media menodelle generazioni precedentipotrebbe esseresemplicemente riconducibileal fatto che vivono piú a

lungo e svolgono lavorifisicamentemenostancanti).

Il secondo modo peresplorare «oggettivamente»l’accelerazionedelritmodellavita consiste nel misurare latendenza della società a«comprimere» azioni edesperienze, ossia asperimentare di piú in undato periodo di temporiducendo pause e intervallie/o facendo piú cose

contemporaneamente, comecucinare,guardarelaTvefareuna telefonata allo stessotempo.Quest’ultimastrategia,com’è noto, è chiamata«multitasking» (Benthaus-Apel1995).

Ora, se accettiamo che il«ritmodivita»siriferisceallavelocità e compressione delleazioniedelleesperienzenellavita quotidiana, è difficilecoglierne la relazione con

l’accelerazione tecnologica.L’accelerazione tecnologicapuò essere definita come lacrescitadi«output»perunitàdi tempo, cioè il numero dichilometri coperti all’ora, o ibyte trasferiti al minuto o ilnumero di automobiliprodotte ogni giorno (figura1).

Figura1.L’accelerazione tecnologica come

crescitanell’unitàditempo.T1et2possono riferirsi al 1800 e al 1960per la velocità dei trasporti inchilometri all’ora, e al 1960 e al2000 per la velocità delleoperazionideicomputer.

Perciò all’accelerazionetecnologica si leganecessariamente unadiminuzione del tempo cheoccorre per compiere ognigiorno processi e azioni diproduzione e riproduzione,comunicazione e trasporto,supponendo che la quantitàdi compiti da svolgererimangalastessa(figura2).

Figura2.

Risorse di tempo necessarie pereseguire una certa quantità diazione (per esempio percorreredieci chilometri, riprodurre unlibroorispondereadiecimessaggi)all’epoca dell’accelerazionetecnologica(cfr.figura1).

All’accelerazionetecnologica dovrebbe quindilogicamente accompagnarsiunaumentodeltempolibero,che a sua volta dovrebbe farrallentare ilritmodellavitao

almeno eliminare o alleviarela carestia di tempo. Dalmomento che l’accelerazionetecnologica significaimpiegare meno tempo persvolgere un determinatocompito, il tempo dovrebbeabbondare. Se al contrarionella società moderna iltempo diventa qualcosa disempre piú scarso, questoeffetto paradossale richiedeunaspiegazionesociologica 10.

Potremmo trovare unasimile risposta secominciassimo colconsiderare le precondizioniper l’abbondanza di tempopronosticata,odecelerazione:come spiegato prima, lerisorse di tempo necessarieper il compimento dideterminati atti della vitaquotidiana diminuisconodrammaticamente, se siammette che la loro quantità

rimane la stessa. Ma èdavvero cosí? Basti pensarealle conseguenze chel’introduzione della postaelettronica ha sulla nostragestione del tempo. Si èabbastanza precisi se sisostiene che scrivere un’e-mail è due volte piú veloceche scrivere una letteraconvenzionale. Supponiamoche negli anni Novanta siricevesse una media di dieci

lettere per ogni giornolavorativo e che occorresserodueoredi lavoroperevaderela corrispondenza. Conl’introduzione della nuovatecnologia,supponendocheilnumerodimessaggi spediti ericevuti sia lo stesso, bastainvece un’ora sola di lavoro.In teoriaciascunohadunqueguadagnatoun’oradi«tempolibero» da impiegare perqualcos’altro. Ma succede

davvero questo?Scommetterei di no. Di fatti,se il numerodimessaggi cheleggiamo e spediamo èraddoppiato, ci servirà lamedesima quantità di tempoche in passato per evadere lacorrispondenza 11. E anzi,sospettocheimessaggilettieinviati ogni giorno sianoormai quaranta, cinquanta oaddirittura settanta.Oggi peroccuparsidi tutte le faccende

legate alla corrispondenzaoccorre quindi molto piútempo che nelle epocheprecedenti all’invenzione delweb. Qualcosa di simileaccadde un secolo fa conl’introduzionedell’automobile e, in seguito,della lavatrice: naturalmenteavremmo guadagnato moltotempo, se avessimocontinuato a percorrere lestesse distanze o a fare il

bucato tanto spesso quantoallora. Ma non è cosí. Oggiguidiamo o addiritturavoliamo per centinaia dimiglia per lavoro e perpiacere, mentre in passatoavremmo percorso sí e nopochemigliaintuttalanostravita; e ci cambiamo ognigiorno, mentre un secolo fal’avremmo fatto una volta almese(oancorapiúdirado).

La figura 3 mostra in

modo assai chiaro questarelazione tra accelerazionetecnologica e ritmiquantitatividi crescita, che siripete in modo ricorrentenella storia di quasi tutte leinvenzioni tecnologiche: itassi di crescita superano itassi di accelerazione e perquesto il tempo scarseggiasempre di piú di fronteall’accelerazione tecnologica.Quindi possiamo definire la

società moderna come«società dell’accelerazione»nel senso che è caratterizzatada una velocizzazionedell’andamento della vita (openuriaditempo)nonostantei ritmi notevolidell’accelerazionetecnologica.Comesiverificatuttociò?Perdare una risposta occorreesaminare brevemente leruote motrici della modernaaccelerazionesociale.

Figura3.«Tempo libero» (1) e «carestia ditempo»(2)sonoconseguenzedellarelazione tra ritmi di crescita eritmi di accelerazione. (1) disegnauna decelerazione, (2)un’accelerazione del ritmo dellavita. Se i ritmi sono identici(all’intersezione), l’andamentodella vita rimane inalteratononostante l’accelerazionetecnologica. In una «societàdell’accelerazione» i ritmi di

crescita sopravanzanosistematicamente i ritmi diaccelerazione(2).

1Almenonel sensodefinitodaAxel Honneth (1994). Per unareinterpretazione della teoriasociologica come reazione aesperienze di modernizzazione siveda Rosa, Strecker e Kottmann2007.

2PerriferimentietrattazionesirimandaaRosa2005a,pp.71-88.

3 Si veda Gurvitch 1963;Schmied1985,pp.86-90.

4 Tuttavia Harvey (1993),riferendosi a una spazializzazione

inversa del tempo, ci esorta a nonesserefrettolosinelvolermettereiltempoinsecondopiano.

5Cfr.Sztompka1994;MüllereSchmid 1995; Laslett 1988. PeterLaslett distingue ben 19 ritmidiversi di cambiamento socialeinterno (economico, politico,culturale,ecc.).

6 Cfr. Wagner 1994; Beck,Giddens e Lash 1999; Bauman2003.

7IlsociologoamericanoRobert

Levine e il suo gruppo hannocondotto di recente uno studioempiricocomparativotraleculturein cui sono stati adottati treindicatoridellavelocità:velocitàdicamminata in città, il temponecessario ad acquistare unfrancobollo in un ufficio postale el’esattezza degli orologi pubblici.Per diverse ragioni – che hodiscussoperesteso inRosa2001–questo approccio può al massimoservire da rozzo tentativo

preliminare, ma rimane moltoinsoddisfacentecomestrumentoinun’analisi sociologica profondadellestrutturetemporalidellatardamodernità.

8 Si veda Geißler 1999, p. 92;Garhammer 1999, pp. 448-55;Levine1998.Alcuneproveinsensocontrario sono state pubblicate daJohn P. Robinson e GeoffreyGodbey (1996), ma il loro studioappare un’eccezione alquantosingolare.

9 Per una trattazione sinotticadi questa circostanza si veda Rosa2005a,pp.199-213.

10 Per una spiegazioneeconomica molto interessante sivedaLinder1970.

11 Sorvolo qui sul fatto chequesto calcolo, naturalmente, èimpreciso perché se è vero cheoggi, con la posta elettronica,leggere e scrivere lettere richiedemetà del tempo necessario inpassato, pensarci e deciderne il

contenuto non può esserealtrettanto accelerato. Questapotrebbe anche essere unaspiegazione del perché cosí tantepersone riferiscano di sentirsicompletamente sopraffatte e sottotensionedalsistemadellee-mail.

CapitolosecondoLeruotemotrici

dell’accelerazionesociale

La società moderna èdefinitadaunacombinazionefatidica di crescita e

accelerazione. Come hotentato di mostrare negliultimiparagrafi–edicontroa una tesi assai diffusa – latecnologia in sé non è causadell’accelerazione sociale. Losi vede chiaramentenell’esempio delle e-mail:nulla in questa tecnologiamicostringe, o mi induce, aleggere e scrivereunnumeromaggiore di messaggi algiorno, anche se,

naturalmente, la tecnologia èuna condizione che rendepossibile tale aumento. Loconferma anche l’evidenzastorica: essa mostra, infatti,che le rivoluzionitecnologiche dell’eraindustriale cosí come diquella digitale furonoentrambemossedaldesiderioditempochecaratterizzavalasocietà moderna e furono larispostaalproblemacrescente

della sua penuria. Ciòsignifica che l’uomo all’iniziodell’era moderna, ben primache venissero inventati lamacchina a vapore o iltelegrafo, già tentava divelocizzare i processi ditrasporto, produzione ecomunicazione. Per esempiosicambiavanoicavallidatiropiú spesso o si inviavanoinformazioniricorrendoapiúmessaggeri in successione,

perchéunodasolosisarebbedovutofermareperrifocillarsie dormire (cfr. Koselleck2009; Virilio 1982). Sevogliamo identificare le forzemotrici della velocitàdobbiamo allora guardarealtrove. Nelle pagine cheseguono fornirò tre risposteper spiegare in che modo lamodernità sia rimastaimprigionata in questoincessante processo di

accelerazione. Le tre rispostea livello di analisi verrannopresentate separatamente,sebbenerisultinoconnessesulpianoempirico.

1.Ilmotoresociale:lacompetizione.

Quando si indagano imeccanismi che guidano econnettonotraloroiprocessi

di accelerazione e crescitanellasocietàmoderna,nonsipuò dubitare che i principîbase e le leggi del profitto,ormai dominantinell’economia capitalistica,giochino qui un ruolodeterminante. La sempliceequazionetratempoedenaroche conosciamo dal famosomotto di Benjamin Franklinrisulta adeguata sotto diversipuntidivista.Primadi tutto,

dal momento che il temponecessarioperunlavoroèunfattore essenziale per laproduzione, risparmiaretempoèunmodosempliceediretto per spendere meno erisultare piú competitivi. Insecondo luogo, i principî delcredito e dell’interessespingono gli investitori acercare guadagni ecircolazione del denarosemprepiú veloci, fattori che

a loro volta fanno accelerarenon solo la produzione, maanchelacircolazionedibeniei consumi. Infine, avere unvantaggio temporale rispettoai concorrentinell’innovazione tanto deiprocessiproduttiviquantodelprodotto è un mezzonecessario per conseguireprofitti extra, che sonoindispensabili per manteneresalda la competitività

dell’impresa. Dunquel’accelerazione sociale ingenereequellatecnologicainparticolare sono la logicaconseguenzadiunsistemadimercato capitalistico chevogliaesserecompetitivo.

Nella società moderna ilprincipiodellacompetitivitàèandatoperòbenoltrelasferaeconomica (orientata allacrescita), trasformandosi nelmodo di allocazione

dominante praticamente intutti gli ambiti della vitasociale e con ciò, comesappiamodaTalcottParsons,uno dei principî centrali checaratterizzanolamodernità.

Ovviamentetuttelesocietàdevono trovare una vialegittima per allocare risorse,beni e benessere, nonchéprivilegieposizionidipotere,status e riconoscimentosociale. Nelle società

premoderne e non modernetroviamo diverse forme diallocazione.Spessoglischemidi distribuzione sonopredeterminati daappartenenze corporative. Aseconda che si nasca re ocontadino o cavaliere, lostatus sociale, ilriconoscimento cui si hadiritto, i privilegi, i diritti e ibeni a cui si ha accesso sonoquasi interamente

determinati dalla nascita.Dallaprospettivadellasocietàoccidentale, però, questosistema non è né efficace daun punto di vista funzionalené accettabile, se visto allaluce dei principî di giustiziaoggi vigenti. Di conseguenzailprincipiodibasecheregolal’allocazione in quasi tutte lesfere della vita sociale nelmondo moderno è la logicadella competizione. Essa è

piuttosto evidente in ambitiquali l’economia e lo sport,ma mantiene la propriavalidità anche in politica (ilprivilegio e la posizione dipoterevengonoassegnati allapersonaoalpartitochevinceuna competizione elettorale),nella scienza (la posizione diun professore o di unricercatore e i fondi messi aloro disposizione per farericerca sono l’esito di una

lotta molto competitiva),nell’arte (dove devi superarel’avversario vendendo piúbiglietti, libri e dischi nelliberomercatooconvincendouna giuria) e persino nellareligione(confessioniechiesefanno a gara per conquistarenuovifedeli).

Storicamente lacompetizione politica emilitare tra gli stati nazionalidopo la pace di Vestfalia del

1648 può essere vista comeuna delle principali causedell’accelerazionenell’innovazione tecnologica,economica, infrastrutturale escientifica in Europa (Rosa2005a, pp. 311-32). La stessacompetitivitàsiriscontratraisingoli individui, che lottanoper lauree e posizionilavorativediprestigio,redditopiú alto, beni di consumo dapoter ostentare, il successo

deifiglieancora,edèlacosapiú importante, perconquistare e conservare unpartner e un determinatonumero di amici. Non è uncasosesuigiornalisitrovanoannunci per incontrarel’anima gemella in mezzo aquelliperautomobili,lavorieimmobili. E sappiamo tuttiquanto è facile perdere in«competitività»nellabattagliaperlerelazionisociali:senon

ci mostriamo abbastanzagentili, interessanti, simpaticie attraenti, i nostri amici epersino i nostri parenti sistancherannoprestodinoi.Sevisitiamo piattaforme come isocial network dove lepersone contano i propriamici e fanno valutare leproprie foto in termini diattrattività (fisica), possiamoosservare con chiarezza labizzarra forma che questa

lotta sociale estremamenteconcorrenziale ha assuntonell’epoca tardomoderna. La«posizione» che ciascuno hanel mondo di oggi non èquindi piú predeterminatadalla nascita e non è stabilenel corso della vita (adulta),ma frutto di una competitivanegoziazionecontinua.

Poiché il principiodeterminante e discriminantedella competizione è la

prestazione, il tempo e,ancora, la logicadell’accelerazione sonocomponenti intrinseci delmodo di allocare dellamodernità: la prestazione èdefinita come lavorocompiuto nell’unità di tempo(potenza = lavoro frattotempo,comeinsegnalafisica)e quindi velocizzare erisparmiare tempo sonofattori direttamente connessi

all’acquisizione di vantaggicompetitivi, o almantenimento della propriaposizione, se altri tentano difarelostesso.Lalogicasocialedellacompetizioneètalecheiconcorrenti devono investiresempre piú energie perpreservare la propriacompetitività,finoalpuntoincui il mantenimento diquest’ultima non è piú unmezzo per condurre una vita

autonoma orientata a scopiche ci si è autoassegnati, madiviene essa stessa l’unicoscopo onnicomprensivo dellavita tanto sociale quantoindividuale (Rosa 2006).Troviamo conferma di tuttoquesto in un numeroconsiderevole di osservazioni(e nelle risposte ripetitive equasi unanimi cheraccogliamo dagli intervistatiin studi empirici qualitativi),

dove si nota che dobbiamo«danzaresemprepiúinfrettaper mantenere la posizione»(Conrad 1999, p. 6) o«correrepiúchepossiamoperstare nello stesso posto»(Robinson eGodbey 1999, p.33). Per questo secondo lasaggezza popolare «laconcorrenza non dormemai». L’unico ambitorilevante non governato dalprincipio della competizione

èilwelfareconisuoimodellie le sue misure didistribuzione (per unapprofondimento si vedaNullmeier 2000). Non c’è dameravigliarsi se lapercezionedell’accelerazione sociale siaccentua nelle personeproprio quando le politicheper il welfare subisconoparziali riduzioni o vengonoaperte a elementi piúcompetitivi.

Vorrei quindi sostenereche la logica dellacompetizionenonèsolouna,ma la principale forza cheguidal’accelerazionesociale.

2.Ilmotoreculturale:lapromessadell’eternità.

Eppure gli attori socialidella modernità non sonosolovittime impotentidiuna

dinamica acceleratoria su cuinon hanno alcun controllo,costrette ad adattarsi a ungioco a cui non vorrebberopartecipare. Al contrariointendosostenerechelaruotamotrice dell’accelerazione èmessa in moto da unapromessa culturale moltoforte:nellasocietàmodernaesecolarizzata l’accelerazionefunge da equivalente

funzionale della promessa(religiosa)dellavitaeterna.

Il ragionamento dietro aquesta idea procede comesegue: la società moderna èsecolare nel senso che intermini culturali l’enfasimaggiore è posta sulla vitaprimadellamorte.Che sianoomenocredenti,gliindividuioggi tendono in genere aindirizzare le proprieaspirazioni, i desideri e le

brame piú ardenti versoofferte,opzioniericchezzediquesto mondo. Ora, laricchezza, la pienezza o laqualità della vita, secondo lalogica culturale dominantenel mondo occidentale, puòessere misurata in base allasomma e profondità delleesperienze fatte nel corsodella vita. Attenendosi aquesta concezione, la vitabuona è una vita realizzata,

ricca di esperienze e dicapacità esplicate 12. Questaideanonpresupponepiúuna«vita piú alta» che ci aspettidopo la morte, bensí larealizzazione del maggiornumero possibile di opzionitraleinnumerevolipossibilitàofferte dalmondo 13. Gustarelavitaintuttelesuealtezzeeisuoi abissi è diventatal’aspirazione principaledell’uomomoderno 14.

Ma alla fine il mondo hasfortunatamentemoltopiúdaoffrire di quanto si possasperimentare in una singolaesistenza. Le opzioni inofferta superano quelleconcretamente realizzabili inunavitao,perusareleparoledi Blumenberg, il tempopercepito del mondo(Weltzeit)eiltempodellavitadel singolo (Lebenszeit)divergono drammaticamente

nel mondo moderno.L’accelerazione del ritmo divita appare cosí la soluzionepiú ovvia al problema: seviviamo «due volte piúveloce»,ciservesolometàdeltempo per portare a termineun atto, un obiettivo,un’esperienza e possiamoraddoppiarela«somma»delleesperienze e, quindi, della«vita» stessa nel corso dellanostra esistenza. Raddoppia

cosí il nostro capitale o«efficacia», ossia laproporzione tra le opzionirealizzate e quellepotenzialmente realizzabili.Ne consegue che anche inquesta logica culturale ledinamiche della crescita edell’accelerazione sonostrettamentecorrelate.

Ora, seguendo questacatena di ragionamenti, secontinuiamo a far aumentare

la velocità della vita,dovremmointeoriariuscireavivere una molteplicità opersinoinfinitàdivite inunasingola esistenza, realizzandotutte le opzioni chepotrebbero definire questevite stesse. L’accelerazioneservirebbe dunque comestrategia per cancellare ladifferenza tra il tempo delmondoeiltempodellanostravita. La promessa

eudemonisticadell’accelerazione moderna sifonda quindi sull’idea(inespressa)chel’accelerazionedel «ritmo di vita» sia lanostra risposta (ossia larisposta della modernità) alproblema della finitezza edellamorte. È superfluo direche purtroppo la promessaalla fine non vienemantenuta. Quelle stessetecniche che ci aiutano a

guadagnare tempo hannoancheportatoaun’esplosionedelleopzioninelmondo:nonimporta quanto velociriusciamo a essere, la nostraquota di mondo, cioè laproporzione tra le opzionirealizzate e le esperienzevissuteetuttequellemancatenon cresce, bensí precipitaincessantemente 15. Questa è,osereidire,unadelletragediedell’individuo moderno:

sentirsi imprigionato in unaruota da criceto, mentre lasua fame di vita e di mondonon è mai soddisfatta, maanzi gradatamente semprepiúfrustrata.

3.Ilciclodell’accelerazione.

Abbiamo cosí identificatodue delle maggiori forzemotrici «esterne» che

spingono incessantemente laruotadell’accelerazione,dopoaverla messa in moto nellaprima età moderna. Acompletarla vi è la logica aessa intrinsecadelladivisionedel lavoro, o differenziazionefunzionale, che dapprimapermetteepoi incoraggiaunavelocità sempremaggiore neiprocessi sociali (Rosa 2005a,pp. 295-310). Vogliocomunquesostenerechenella

tarda modernitàl’accelerazione sociale si ètrasformatainunsistemachealimenta se stesso e non hapiú bisogno di alcuna forzamotrice esterna. Le trecategorie identificate inprecedenza – accelerazionetecnologica, accelerazionedeimutamentisocialiedelritmodivita–hannopresolaformadi un «sistema di feedback»

interdipendente che siautomantieneinmovimento.

Come ho provato asottolineare piú sopra, èimportante notare checrescita e accelerazione nonsono connesse né a livellologico né sulla base di nessicausali.Solol’accelerazionediprocessi stabili implicalogicamente un aumento chele corrisponda, mentre iprocessi di trasporto,

comunicazione o produzioneper loro stessa natura nonsonostabili:accelerandolicisiaspetterebbe che la lorodurata si riduca e quindi,comedicevoprima,chevisiaun rapporto inversamenteproporzionale traaccelerazione tecnologica eritmodivita:poichélaprimarende disponibili molterisorse temporali, l’individuo

dovrebbe avere piú tempo dicuidisporreliberamente.

Inrealtàesistedavverounacorrelazione diretta traaccelerazionedelritmodivitae accelerazione tecnologica,ma non nel senso che ciaugureremmo:comehodettoall’inizio, si può vederenell’accelerazione tecnologicalarispostasocialealproblemadellamancanzaditempo,cioèall’accelerazione del ritmo di

vita. Se esaminiamo i nessicausali fra le tre sferedell’accelerazione sociale ciimbattiamo in un circoloautoreferenzialesorprendente: l’accelerazionetecnologica, che viene spessocollegata all’introduzione dinuove tecnologie (come lamacchina a vapore, il treno,l’automobile, il telegrafo, ilcomputer o Internet), portaquasi inevitabilmente a una

serie di mutamenti nellepratiche sociali, nellestrutture di comunicazione enellecorrispondenti formedivita. Per esempio, Internetnon ha solo accresciuto lavelocità delle forme dicomunicazione e reso«virtuali» i processieconomici e produttivi; haanche consolidato nuovestrutture occupazionali,economiche e comunicative,

dischiudendo nuovi modellidi interazione e persinonuove forme di identitàsociale(Turkle1995).Èfacilequindi vedere come e perchél’accelerazionetecnologicasiaincline a procedere abraccetto con l’accelerazionedei mutamenti sociali,intendendo questi ultimicome cambiamenti dellestrutture e degli schemisociali, degli orientamenti e

delle valutazioni di ogni atto.Inoltre, se l’accelerazione deicambiamenti sociali implicauna «contrazione delpresente» nel senso cheabbiamo discusso inprecedenza, essa portanecessariamente aun’accelerazione del ritmo divita. La spiegazione di tuttoquesto va cercata in unfenomeno ben notonell’ambito della produzione

capitalistica e che può esserechiamato «fenomeno dellachina scivolosa» della societàcapitalistica: ilcapitalistanonpuò fermarsi a riposare,sostareerafforzare lapropriaposizione perché il suodestino è quello di andaresempre o su o giú. Non c’èpunto di equilibrio, perchéstare fermo equivale a cadereall’indietro, come ben hannosottolineatoMarxeWeber.

Allo stesso modo, in unasocietà competitiva con ritmiaccelerati di mutamentosociale in tutte le sfere dellavita, gli individui hannosempre la sensazione ditrovarsi su una «chinascivolosa»: fare una lungapausasignificadiventarefuorimoda,antiquati,anacronisticinell’esperienza e nellaconoscenza, negli accessori enell’abbigliamento, negli

orientamenti e persino nellalingua 16. Se il lettore vuolecercareun esempiodi questasindrome nella sua vita dituttiigiorni,glibastipensareai suoi account di postaelettronica: con impegnonotevole possiamo venirne acapo,leggendoerispondendoa tutte le e-mail importanti,manonappenacidedichiamoaun’altra attività andiamodinuovo sotto: alla fine della

giornata avremoprobabilmente piú postainevasadiquantaneavessimoal mattino. L’account insilenzio torna a riempirsisenza sosta e noi ci sentiamocome un novello Sisifo.Stando cosí le cose, gliindividui si sentonoobbligatia tenersi al passo con lavelocità di cambiamento dicui fanno esperienza nel loromondo tecnologico e sociale

perevitarediperdereopzionieconnessionipotenzialmentepreziose(Anschlussmöglichkeiten) emantenere la propriacompetitività.

Questo problema èaggravato dalla circostanzache in un mondo dicambiamenti incessantidiviene sempre piú difficilestabilire quali opzioni siriveleranno alla fine vincenti.

Quindiunmutamentosocialeaccelerato porta aun’accelerazione del ritmo divita. E infine, come abbiamovisto, nuove forme diaccelerazione tecnologicaverranno impiegate peraccelerareiprocessidellavitaquotidiana e produttiva.Perciò il «ciclodell’accelerazione» sitrasforma in un sistema

chiuso che si autoalimenta(figura4).

Figura4.Ilciclodell’accelerazione.

12 Cfr. Blumenberg 1996;Gronemeyer1996;Schulze1994.

13 Sulla secolarizzazione deltemposiconfrontiTaylor2009.

14 Famose dimostrazioniletterarie di questa idea siriscontrano nell’opera di Goethe,per esempio nel Faust o nelWilhelm Meister. Non sorprendequindi, come ha messo in luceManfred Osten (2003), che gliscritti di Goethe possano esserefruttuosamente letti e interpretati

come descrizione e criticadell’accelerazionesociale.

15 Non è questo il luogo perapprofondirelaquestione.Perunatrattazione piú estesa rimando aRosa2005a,pp.279-94.

16Perquestolepersoneanzianenella società occidentale sonospesso incapaci di comprendere il«tecnogergo» usato dai ragazzi nelparlare di giochi e apparecchielettronici.

CapitoloterzoChecos’èladecelerazione

sociale?

Sebbene l’analisi in corsoabbia portato alla luce provesufficienti per identificare tre

categorie o ambitidell’accelerazione sociale,distinti anche se interrelati,ciò da solo non basta peraffermare la tesi che lamodernitàdeterminidavveroun’accelerazione della societàstessa o per legittimare l’ideachelamodernizzazionesiadifatto accelerazione. È infattifaciledimostrareche,accantoauncertonumerodiprocessiin accelerazione, troveremo

anche sviluppi checontribuisconoadecelerare lavita sociale in qualsiasisocietà. Si potrebbe quindipensare che le due forzecontrastanti nel complesso simantengano in equilibrio.Perciòlatesichelamodernitàimplichi l’accelerazione dellavita sociale non può essereaffermata limitandosi aidentificare diverse forme diaccelerazione; la si può

difendere concettualmentesolo se si è in grado didimostrare che le forzedell’accelerazionesistematicamente surclassanoquelle del rallentamento. Perfarloesamineròtutteleformee tendenze osservabili diinerzia e/o di decelerazionesociale, sperandodiprodurreuna lista categoriale esaustivadeifenomenicorrispondenti.

Intendo sostenere che

esistono cinque formedifferenti di decelerazione oinerzia analizzabili, chetagliano trasversalmente lesfere dell’accelerazioneidentificate nel primocapitolo.

1.Limitinaturalidivelocità.

Per prima cosa ci sono

ovviamente limiti naturali eantropologici di velocità. Litroviamo inprocessi chenonpossonoessereassolutamenteaccelerati, o che possonoesserlo solo a prezzo dellaloro distruzione o comunquedi una imponentetrasformazione qualitativa.Tra essi vanno annoveratinumerosiprocessifisicicomela velocità della percezione edell’elaborazione delle

sensazioni nel corpo e nelcervellooiltemponecessarioa gran parte delle risorsenaturali per rinnovarsi. Allostessomodo, un giorno o unanno sono definiti da eventiastronomici e non possonoquindi venire accelerati,sebbene sia possibilemanipolare alcuni fenomenilegati a uno schemacircadiano o circannuale. Peresempio si possono produrre

luce e buio artificialmenteseguendounritmodi23ore,inducendo cosí le galline aprodurre un maggiorquantitativo di uova. I nostritentativi di accelerareraffreddori, influenze egravidanze si sono invecerivelatiperlopiúfallimentari.La modernità, a ogni modo,ha dato prova di successispettacolari nella capacità disuperareun ampio spettrodi

limiti temporali («naturali»)ritenuti immodificabili: neitrasporti, nellacomunicazione e nellaproduzione, che, comeabbiamo visto, mostrano icasi piú eclatanti. Anche letecnologie biogenetiche inrealtà non sono altro cheaccelerazioni sensazionali diforme conservative dicoltivazione.

2.Oasididecelerazione.

In secondo luogo, vi sono«nicchie» tanto territorialiquanto sociali e culturali,isole e oasi che non sonoancora state toccate dalledinamiche dellamodernizzazione edell’accelerazione. Esse sonosemplicemente rimaste esenti(del tutto o in parte) daprocessi di accelerazione,

sebbene in linea di principionon ne fossero affattoimmuni. In simili luoghi econtesti il tempo sembra«non essere mai passato»,come si dice riferendosi aisole dimenticate in mezzoall’oceano, a gruppi esclusidallasocietàoasettereligioseche vivono ritirate come gliAmish,oaformeparticolarielegate alla tradizione di unaprassisociale(comeprodurre

il whiskey nella famosapubblicitàdellaJackDaniels).Esisteoggiun’interaindustriapubblicitaria che promuove«prodotti fatti come unavolta»,ossiabenidiconsumocreati e sviluppati secondo latradizione e che hannosuccesso proprio per la loropromessa o immagine didecelerazione, durata estabilità. Tuttavia, molte traqueste oasi di decelerazione

subiscono pressioni che leerodono, a meno che nonvengano deliberatamenteprotette control’accelerazione, ricadendo inquesto caso nella categoria 4(vedisotto).

3.Decelerazionecomeconseguenzadisfunzionaledell’accelerazione

sociale.

Una terza categoriacomprende fenomeni dirallentamento comeconseguenza accidentale diprocessi di accelerazione edinamicizzazione. Ciòimplica di frequente formedisfunzionaliepatologichedidecelerazione, tra cui la piúnota è l’ingorgo stradale, cheproduceunmomentodistasi

quando tutti decidono dimuoversi in fretta,mentre lapiú nuova, come studiscientifici hanno di recentedimostrato, è costituita daalcune forme di depressionepsicopatologica dainterpretare come reazione(deceleratoria) individuale aspintediaccelerazionetroppoestese 17.Vanotatochequesteformedidepressioneeburn-outsonoaumentateinmisura

significativa negli ultimi anniingranpartedellamodernitàglobalizzata (Rosa 2009,2011a).

Possiamo includere inquesta categoria anchel’esclusione strutturale deglioperai dalla sfera dellaproduzione,chemoltospessoconseguedallaloroincapacitàdi mantenere la flessibilità evelocità richieste dallemoderne economie

occidentali: qui parliamo di«decelerazione»nelsensochesono incapaci di restarecompetitivi. L’escluso patiscequi una «decelerazione»estrema nella forma delladisoccupazione (a lungotermine) (Sennett 2000;Jahoda 1988). Anche ifenomeni di recessioneeconomica – non a casochiamatieconomic slowdownsnel mondo anglosassone –

possono essere interpretatiseguendoquestalinea.

4.Decelerazioneintenzionale.

A differenza che nelleforme accidentali dirallentamentotroviamocomequarta categoria formedeliberate e intenzionali didecelerazione (sociale) che

includono movimentiideologicicontroiprocessidiaccelerazione del mondomodernoeiloroeffetti.Similimovimenti hannoaccompagnato quasi ognitappa della storia dellamoderna accelerazione e, inparticolare, dell’accelerazionetecnologica.Cosí lamacchinaa vapore, le ferrovie, iltelefono e il computer e lenuove biotecnologie sono

stati tuttiaccolticonsospettoe persino ostilità; e in tutti icasi, fino a ora, questimovimenti di opposizionehanno fallito (cfr. Levine1998; Schivelbusch 2003). Inquesta quarta categoriaoccorre distinguere altre dueforme di decelerazionevolontaria.

a) Decelerazione(acceleratoria)funzionale.

Da un lato vi sono formelimitate o temporanee didecelerazione, che mirano apreservare la capacità difunzionare e continuare adaccelerare nei sistemiacceleratori. Sul pianoindividuale riscontriamoqueste forme acceleratorie didecelerazione per esempio inmanager o insegnanti inpreda allo stress, che siprendono una pausa in un

monastero o frequentanocorsidiyogachepromettono«riposo dalla gara» per poterpoi partecipare con maggiorsuccesso a sistemi socialiacceleratori. In modoanalogo, parecchia letteraturaconsiglia oggi unrallentamento in alcuniprocessi di apprendimento edilavoroperaccrescereillorovolume complessivo in unperiodo dato, o ancora

raccomanda pause peraumentare le capacità e leforze creative necessarieall’innovazione 18.

Anche sulpianopoliticoesociale diverse forme di«moratoria» a voltesuggeriscono o addiritturaagisconoinmododarisolverealcuni problemi e ostacolitecnologici, politici, legali,ambientali o sociali cheintralciano rinnovati processi

dimodernizzazione(Eberling1996).

b) Decelerazione(opposizionale)ideologica.

Dall’altro lato ci sonodiversi movimenti sociali,spesso fondamentalisti,chesischierano a favore di unadecelerazione (radicale) daitratti spesso reazionari. Lacosa non sorprende se siconsidera che l’accelerazione

appare come uno dei trattidominanti della modernità.Incontriamo qui movimentireligiosi radicali, fanaticidell’ecologia oultraconservatori e anarchici.Per il politico e studiosotedesco PeterGlotz (1998) ladecelerazione è divenuta ilfulcroideologicodellevittimedellamodernizzazione.

Tuttaviaritengopericolosoesemplicisticoridurreilgrido

di decelerazione a meromotivo ideologico, dato cheoggi i piú importantiargomenti a favore delladecelerazione internazionaleseguono le linee di pensierodelladecelerazionefunzionale.L’aspettoprincipalequièdatodal fatto che l’enormeprocessodi accelerazione cheha plasmato la societàmoderna è stato guidato ereso possibile da una ferma

fiducianellastabilitàoinerziadialcune istituzionimodernecentrali come la legge, lademocrazia, il sistemaindustriale del lavoro e forsedalla forma standardizzata o«istituzionalizzata» dellabiografia e del curriculummoderni e dall’istituzionedella famiglia (Rosa 2001;Kohli1990;Bonus1998).Solonella solida cornice formatadaquesteistituzionitroviamo

le condizioni necessarie peruna pianificazione einvestimenti di lunga portatae dunque perun’accelerazione a lungotermine (Harvey 1999;Dörre2009).

Inoltre, come argomentaHermann Lübbe (2009), leprecondizioni dellariproduzioneculturaleinunasocietà dell’accelerazionesono tali per cui una

flessibilità ad ampio raggio èpossibile solo sulla base dideterminati orientamenti eistituzioni culturali cherimangono stabili eimmutabili. Dunque a livellotantodiistituzioniquantodelsingolo individuo – siaculturalmente siastrutturalmente – sembra visiano alcuni limiti allaflessibilizzazione e alladinamicizzazione che nella

tarda modernità, dove lastabilità delle istituzionisembra essere in declino,potrebberoesserearischiodierosione. Ed è abbastanzaprobabile che, piú deglioppositori radicali dellamodernizzazione, siano ilgrande successo e l’ubiquitàdell’accelerazioneaminareederodere i requisitiindispensabili perl’accelerazione futura e la

stabilità della societàdell’accelerazione. Perciòappare verosomile chel’attuale crisi economica nonsia altro che unamanifestazione palese delleconseguenze disastrose dellatendenza tardomoderna aliberarsi di tutte quelleistituzioni e regole chepotrebbero garantire unastabilità (per esempioinfrastrutturale)perfarepiani

e investimenti: la logica delcapitalismo finanziario ingenerale e degli investimentiinparticolareèestremamentemiope e orientata a calcoli abreve termine. Essa mira avelocizzare i ritmi delturnover a tutti i costi,erodendo cosí le condizioniperinvestimentistrategiciealungo termine, «reali» eproduttivi(Dörre2009).

In questo senso la

decelerazione economica epolitica per alcuni aspettipotrebberivelarsianchecomeuna necessità funzionaleindispensabile per la societàdell’accelerazione piuttostocheunareazioneideologicaaessa.

5.L’altrafacciadell’accelerazionesociale:

l’inerziaculturaleestrutturale.

Infine,eforseèlacosapiúsorprendente, nelle societàtardomoderne possiamoincontrare segnali di straniprocessi, o percezioni, chesuggeriscono come, alcontrario dei fenomenidell’accelerazione e dellaflessibilizzazione diffuse (checreano l’apparenza di una

contingenza totale, conopzioni infinite tra cuiscegliere e un’aperturaillimitata rispetto al futuro),non sia di fatto piú possibilealcun cambiamento «reale»,come il sistema della societàmoderna si stia chiudendo ela storia stia arrivando allasuafine,caratterizzatadaunaformadi«stasiiperaccelerata»o di «inerzia polare». Iteorizzatoridiquestadiagnosi

sulle «societàdell’accelerazione»tardomoderne sono PaulVirilio, Jean Baudrillard,Fredric Jameson e FrancisFukuyama. Costorosostengono che le societàmodernenondispongonopiúdi visioni ed energie nuove(prime fra tutte le «energieutopiche») e che perciòl’enormevelocitàdegli eventie delle alterazioni è in realtà

un semplice fenomenosuperficiale, che nasconde astento l’inerzia culturale estrutturaleormai radicatanelprofondo della nostraepoca 19. In particolare, iprincipî interconnessi dellacompetizione, della crescita edell’accelerazione sembranoformare un «triangolostrutturale» cosí solido chequalsiasi speranza dicambiamento culturale o

politico apparecompletamente vana. Unateoriasociologicadellasocietàdell’accelerazionedevequindiinevitabilmente fare i conticon la possibilità di unaparalisi (estrema) nel suostessoschemaconcettuale 20.

17 Cfr. Levine 1998; Ehrenberg1999;Baier2004eiln.26/3(1999)

di «PsychologieHeute» dedicato aZeitkrankheitDepression.

18 Per queste forme accelerantidi decelerazione si veda Seiwert2003.

19 Virilio 1998, 2000. Cfr.Baudrillard 1993; Jameson 1994;Fukuyama 1992. Fukuyama, inrealtà, prende parte a un discorsosulla posthistoire che segue unalunga tradizione risalendo fino aKojève e Hegel. Per il filosofotedesco Lothar Baier (2004) nelle

sue «diciotto tesisull’accelerazione», accelerazione ecambiamento si verificano solo allivello «dell’interfaccia utente»delle società moderne, mentre lestruttureprofondediquesteultimerimangonointatteeimmutate.

20Delineerònellasecondapartedel saggio la mia concezione delrapporto traquest’ultima formadidecelerazione e il processo globaledi accelerazione sociale nellamodernità. Per un resoconto

sistematico ed esaustivo si vedanoanche gli ultimi due capitoli diRosa2005a.

CapitoloquartoPerchéc’èaccelerazionee

nondecelerazione

Ladomandafondamentaleche emerge a questo punto èquale sia la natura del

rapporto tra i processi oradescritti di accelerazione edecelerazione nella societàmoderna. Come ho giàosservato in precedenza, sipuòpensareragionevolmenteaduepossibilità:nellaprima,le forze di accelerazione edecelerazione sono nelcomplesso in equilibrio eincontriamoquindientrambenei cambiamenti dei tessutitemporali della società, senza

che vi sia una chiarapredominanza dell’una odell’altra; nella secondal’equilibrio pende a favoredelle forze dell’accelerazione,se esse mostrano dipredominaresistematicamente su quelledella decelerazione. Taleasimmetria è possibile se lecategorie della decelerazionepossono essere interpretatecome residui o reazioni

all’accelerazione sociale. Ora,nonostante sia difficiledimostrare questa tesi sulpianoempirico,mipropongodi sostenere in questo saggioche è corretta proprio lasecondatesi.

L’argomentazione poggiasulle due affermazioniseguenti: prima di tutto, lecategoriedidecelerazionecheabbiamo enumerato rendonoconto in modo esaustivo di

tutti i fenomeni rilevanti, enessuna di queste forme didecelerazioneassurgealruolodi vera controtendenza ingradodi arginare lemodernespinte all’accelerazione.Esaminiamooraneldettaglioquest’ultimaaffermazione.

Ifenomenielencatisottolecategorie 1 e 2 del capitoloprecedente denotanosemplicemente i limiti(tendenti all’arretramento)

dell’accelerazionesociale;nonsonoaffattoforzeantagoniste.Le decelerazioni dellacategoria 3 sono effettidell’accelerazioneequindi, insecondo luogo, derivati dallaforza di accelerazione. Lacategoria 4a identificafenomeniche,guardatipiúdavicino, si scoprono o essereelementideiprocessistessidiaccelerazione o almenorientrare tra le condizioni di

possibilità della (ulteriore)accelerazione sociale. Laresistenza intenzionale allavelocizzazione della vita el’ideologiadelladecelerazione(4b) sono chiaramentereazioni alla spinta della everso l’accelerazione. Comeabbiamo già sottolineato inprecedenza, tutte le tendenzeprincipali della modernitàhanno incontrato notevoliresistenze e, sebbene non ci

sia garanzia che sarà persempre cosí, finora tutte leforme di resistenza hannoavuto vita breve e sono stateprobabilmente inutili. Perciòl’unicaformadidecelerazioneche non sia derivatadall’accelerazione o natacomereazioneaessaèquellache si riferisce ai processi didecelerazione delineati nellacategoria 5. Questadimensione di decelerazione,

infatti, sembra essere unelemento intrinseco ecomplementare alla stessaaccelerazione moderna; èl’altra faccia della medaglia,che caratterizzaparadossalmentetutteleforzetipiche dellamodernità. Cosíl’individualizzazione haprodotto la paura dellacultura e della società dimassa sradicando forme diindividualismo «vero»,

l’addomesticamento dellanatura ha prodotto la pauradella distruzione della natura(opermano della natura), larazionalizzazione la paura diuna crescente irrazionalitàdiffusaola«gabbiadiferro»e,infine, la differenziazione lapaura della disintegrazione 21.In questo senso l’«inerziapolare» (Virilio 1998) non èuna tendenza inopposizione,

ma un elemento intrinsecoall’accelerazionestessa.

La paura della stasiassoluta ad alta velocità haaccompagnato la societàmodernaintuttalasuastoria,motivando malattie culturaliquali accidia, malinconia,noiaeneurasteniao,aigiorninostri, diverse forme didepressione. L’esperienzadell’inerzia, nella miainterpretazione, nasce o si

intensifica quando icambiamenti e le dinamichenella vita di un individuo onelmondosociale(ossianellastoria sia individuale siacollettiva) non vengono piúvissuti come elementiall’interno di una catena disviluppo dotata di senso edirezione,cioècomeelementidi «progresso», ma come uncambiamentosenzadirezionee«frenetico». Ilcambiamento

dinamico viene quindipercepito quando gli episodidelcambiamentosisommanoin una storia (narrativa) dicrescita, progresso o Storia,mentre la percezione dellastasi è la conseguenzadell’esperienza di episodisenzascopo, slegati tra loroecasuali, di alterazione,trasformazione e variazione.Secondoquestaletturalecosecambiano, ma non si

sviluppano, non vanno «danessuna parte». Cosí ciò cheporta alla patologia delladepressione sul pianoindividuale può anchegenerare la sensazione della«fine della storia(teleologica)» nellapercezioneculturalecollettivadel tempo.Dalmio punto divista questa transizionedall’esperienza culturaledominante del cambiamento

conunadirezione(progresso)alla percezione di unmovimento frammentato efrenetico è un criteriodecisivo per definire ilpassaggio dalla modernità«classica» alla «tardamodernità» 22.

Tuttavia, a questo puntosiamo capaci di determinarelo status, la rilevanza e lafunzione delle forze didecelerazionenellamodernità

come secondarie rispetto alleforze dominantidell’accelerazione sociale. C’èun’asimmetria strutturaleinnegabile tra accelerazione edecelerazione nella societàmoderna, e per questopossiamo giustamenteinterpretare lamodernizzazione come unprocesso in atto diaccelerazionesociale.

21Cfr.Rosa2005a,pp.105sgg.;VanderLooeVanReijen1997.

22Cfr.Rosa2005a,pp.428sgg.eRosa2007.

CapitoloquintoPerchéèimportante?L’accelerazioneela

trasformazionedelnostro«esserenelmondo»

Se l’analisi presentata finqui è corretta, la ragione percui una teoria sociologica

della modernità dovrebbeprestarvi attenzione è subitoovvia:lanostracomprensionedellamodernitàedeiprocessidi modernizzazione èassolutamente incompleta senon ci soffermiamo suicambiamentinelle struttureenegli schemi temporali dellasocietà. E, cosa ancora piúimportante, falliremo nelcomprendere cos’è lamodernitànelsuocomplesso,

se trascuriamo le dinamichedi accelerazione che sono alcuore della società moderna.Ma perché l’accelerazionesociale dovrebbe essererilevante per la filosofiasociale, cioè per un’analisidelle condizioni normative,dellaqualitàedellepotenzialipatologiedellavitamoderna?

È della massimaimportanza, vorreirispondere, prima di tutto

perché la società modernanonèregolataecoordinatadaregolenormativeesplicite,madalla silenziosa forzanormativa delle leggitemporali,chesimanifestanonella forma di scadenze diconsegna, scansioni e confinitemporali. Inoltre, comecercherò di dimostrare nelcapitolo IX, le forzedell’accelerazione, sebbeneinarticolate e completamente

depoliticizzate, tanto dasembrare date dalla naturastessa, esercitano unapressione uniforme suisoggettimodernichesfociainqualcosa di simile a untotalitarismodell’accelerazione.

Insecondoluogoilregimedi accelerazione dellamodernità trasforma, spessoalle spalledeipropri attori, ilrapporto dell’uomo con il

mondo, ossia con gli altriesseri umani e con la società(il mondo sociale), con lospazio e il tempo, con lanatura e il mondo deglioggetti inanimati (il mondooggettivo); infinel’accelerazionemuta le formedella soggettività umana (ilmondo soggettivo) e anche ilnostro«esserenelmondo»(siveda la figura 5 perun’illustrazione delle forze

trasformatricidell’accelerazionetecnologica).Da tutti i punti di vista irapporti cambiano e possonodiventare problematici inconseguenzadell’accelerazione. Ma se lapromessa e il progetto dellamodernità e dell’illuminismoculminano nell’ideadell’autodeterminazionedell’uomo, cioè nellapromessa dell’autonomia

individuale e collettiva, lafilosofia sociale deveindubbiamente prestareattenzioneaquestofenomenodi autonomizzazione, finorapassato inosservato neglistudi di chi riflette sullaqualitàdellavita, suiprincipîdella società giusta e sullepatologiedellavitamoderna.

Figura5.L’accelerazione tecnologica e la

trasformazione dei nostri punti diriferimento. Di conseguenza,l’accelerazione sociale porta acambiamenti nei nostri rapporticon il mondo oggettivo, sociale eanchesoggettivo.

Come abbiamo già avutomodo di osservare,mentre il

tempo pare andare piú infretta e diventare un bene dilusso, lospaziosembrachesistia letteralmente«contraendo»eripiegandosusestesso,perdendoilsensodivastità e resistenza: iviaggiatori modernicombattono contro orari deivoli, tempi di transito,congestioni e ritardi,manoncon l’ostacolo dello spazio. Eseicostimonetarietemporali

per attraversare lo spaziodiminuiscono – ediminuiscono anche i costi-opportunità, dato chepossiamo usare tutti i mezzitecnologici moderni perportareavantiilnostrolavoroquotidianomentreviaggiamo–,pergranpartedelleazionieinterazionisocialilospaziohaperso il suo significatoprimario. Ciò è confermatopiúchecontraddettodalfatto

che, stante questainsignificanza «materiale»delluogoedellospazio,lequalitàsecondarie dello spaziopossono crescere diimportanza.Peresempio,seèeconomicamente irrilevantedove apriamo un call center,lo possiamo benissimocollocareinunazonapienadiattrattive naturalistiche nelpienorispettodell’ambiente.

Il fatto che la prossimità

spaziale non sia piúnecessaria per conservare lerelazioni sociali ha inoltreconseguenze significative perilegamisocialichelepersoneintessono tra loro e quindiancheper le struttureeper ilmondosociale.Lavicinanzaeladistanzasocialeedemotivanonsonopiú legateal fattorespaziale, tanto che il nostrovicino può essere per noi unperfetto estraneo, mentre

qualcuno dall’altra parte delglobo potrebbe essere ilnostro partner piú intimo. Epoi la contrazione delpresente (ossia dei periodi distabilità) in riferimento alleconnessioni sociali e alcospicuo aumento deicontattisocialichelepersonehanno non solo, ma anchegrazie ai moderni mezzi dicomunicazione,conduceaun«sésaturo»nelsensodescritto

da Kenneth Gergen 23. Comeannotava Simmel nelle sueriflessioni del 1903 sulla vitametropolitana, incontriamo eperdiamo di vista cosí tantepersone e costruiamo nuovevie di comunicazione cosíampie che divienepraticamente impossibilerestare emotivamente legati atutti o quasi. Molto di radoabbiamo a che fare conpersone che sono state

testimonidi tutto l’arcodellanostra vita: una cosa, questa,che ha conseguenze anchesulle forme moderne disoggettività (Simmel 1995[1903]).

Quandosiarrivaalmondosoggettivo, il fatto che iparametri culturali estrutturali che definiscono ilmondo socialemutinopiú infretta del cambiogenerazionale–cheilmondo

sociale non rimanga stabileneppurenelcorsodellavitadiun singolo individuo – haconseguenze di vasta portataper gli schemi dominantidell’identità e dellasoggettività. Come hospiegatoaltrove(Rosa2011b),il senso moderno «classico»dell’identità,chesifondavasuun «progetto di vita»individuale esull’autodeterminazione

radicata in «valori forti» ecapacidiorientare ilcorsodiuna vita, tende a essererimpiazzato da nuove formedi «identità situazionale» eflessibile, che accetta laprecarietà di tutte ledefinizioni del sé e deiparametri di identità e nontenta piú di seguire unprogetto di vita, ma tendepiuttostoa«cavalcarel’onda»:bisogna esser pronti a saltare

ogni qualvolta si presentiun’opportunità nuova eattraente. Come spiegaGergen, «si tratta delladifferenza tra nuotare perraggiungere un determinatopunto nell’oceano – domarele onde per conseguire unobiettivo–eabbandonarsi inarmonia ai movimentiimprevedibili delle onde»(Gergen2000,p.XVIII).

Infine la crescita

incredibilenellavelocitàdellaproduzionehacambiatodallefondamenta il rapporto tral’essere umano e l’ambienteche lo circonda: sostituiamogli elementi materiali dellanostra vita (il mobilio e lacucina, la macchina e ilcomputer, l’abbigliamento ele abitudini alimentari,l’aspetto della nostra città, lascuola e l’ufficio, programmie strumenti con cui

lavoriamo)aunavelocitàtaleche si potrebbe quasi parlaredi«strutturadell’usaegetta».Inciòsiamomoltodiversidalmondopremoderno,incuilecose venivano rimpiazzatesolo quando erano rotte onon piú funzionali e spessovenivano riproposte piú omeno nella stessa forma. Percontro, come osservava giàMarx,nelmondomodernoalconsumo fisico si è sostituito

quello morale: rimpiazziamoglioggettiquasisempreprimachesirompano,perchéiritmielevati dell’innovazione lihanno resi datati e«anacronistici»benprimacheil loro ciclo fisico siaterminato. Inquesto senso lanostrarelazioneconilmondodegli oggetti è stataprofondamente trasformatadai ritmidi velocità crescentidelmondomoderno.

È interessante notare cheanche il nostro senso dellastoria biografica e collettivasembra essere cambiato inquesto processo diaccelerazione: la modernitàclassica è iniziata quando ilmutamento sociale è statoabbastanza veloce da far síchegliattorisocialinotasseroche il passato era diverso dalpresenteepotesseroaspettarsiche diverso sarebbe stato

anche il futuro. Allora lastoria sembrava avere unadirezione, abbondavanomodelli di progresso(individuale e politico) e lenarrazioni storicheprendevanolaformadistoriedi progresso. La tardamodernità, di contro, iniziaquando i ritmi delcambiamento socialeraggiungono un andamentodi trasformazione intra-

generazionale: come hocercato di illustrare, in unmondo simile l’impressionedi mutamenti casuali,episodici e freneticisostituisce la nozione diprogresso e di storiafinalisticamente orientata; gliattori sociali percepiscono lalorovitaindividualeepoliticacome qualcosa di volatile eprivo di direzione, come in

una condizione di stasiiperaccelerata.

Sul piano individualeriscontriamo tutto questonelle interviste in cui lepersoneoffronounresocontodella propria esistenza comesequenzadiepisodislegati(divitafamigliareelavorativa,dinuovi luoghi e nuove idee)invece di produrre unracconto di crescita,maturazione e progresso 24.

Cosa ancor piú interessante,nel campo della politica ilnostro senso di una vera epropria sequenza storica disviluppi sembra anch’esso inpericolo: per esempio, neglianni Novanta personecomuni, scienziati e politicisembravano tutti d’accordosul «fatto» che fenomenicome pirateria e torturafossero cose del passato,sebbene esse si

ripresentassero anche nelpresente; e democrazia ewelfare erano cose delpresente e ancor piú spessodel futuro – quando e dovenon fossero (ancora)prevalenti. Consideriamo glistessi temi a vent’anni didistanza: ora abbiamo moltidubbisulfattochepirateriaetortura siano «cose delpassato»; se leggiamo igiornali, esse sembrano

piuttostoesserepresagiper ilfuturo, mentre scienziati epolitici(elagentecomune)cidicono che lo stato socialecome lo abbiamo conosciutoappartiene al passato e cheoggi non possiamo piúpermettercelo; e allo stessomodo, se vista da unaprospettiva non europea, lademocrazia sembradisperatamente lenta einefficaceagestire iproblemi

delXXIsecolo.Eselasimettea confronto con i sistemi(semi)autoritari vigentinell’Asia sudorientale o inRussia, potremmo forse direche ci stiamo avvicinando aun’epoca «postdemocratica».Comunque la mia tesi quinon è tanto che l’ordine èstatoinvertitoocheèdiversoda quello che ci saremmoaspettati vent’anni fa, mapiuttosto che oggi siamo

incerti sulla direzione dellastoria.Tuttiifenomenidicuisièparlato,dallapirateriaallademocrazia,sonopotenzialitàdel mondo, che appaiono escompaiono episodicamente.Ciò, naturalmente, ci riportacon la mente al mondopremoderno, prima dellastorianarrata«alsingolare»dicui parla Koselleck (2009). Èin questo senso, vorrei

sostenere, che possiamoparlaredi«finedellastoria».

In breve, l’accelerazionesociale produce nuoveesperienze del tempo e dellospazio, nuovi modelli diinterazione sociale e nuoveforme di soggettività, e diconseguenza trasforma ilmodo in cui gli esseri umanisono posti o collocati nelmondo, e il modo in cui simuovono e orientano nel

mondo.Ciònonèdipersénébene né male, ma ci ponedinnanziaunosviluppocheèpassatoperlopiúinosservatonella filosofia sociale. Inognicaso, cambiamenti di questaportata conduconopotenzialmente a patologiesociali, cioè a sviluppidistruttivi che causano lasofferenza e/o l’infelicitàdell’uomo.

Da teorico critico, è su

queste che voglio tornare,perché ritengo che siacompito centrale eresponsabilità dei teoricisociali identificare le fontidella sofferenza sociale.Nellaseconda parte del libro miconcentrerò quindi sulleconseguenze che la velocitàha per le versioni oggidominantidellateoriacritica.Nella terza e ultima partemidedicheròancoraunavoltaai

processi di trasformazionepresentati in questo capitolo,cercandodidimostrarechelavelocità esercita in ciascunodegli ambiti toccati (mondosociale, mondo oggettivo emondo soggettivo) unnotevole potenziale dialienazione.

23 «Le nuove tecnologie

rendono possibile mantenererelazioni–diretteoindirette–conun numero sempre crescente dipersone. Stiamo raggiungendo ciòche sotto molti aspetti potrebbeessere visto come una saturazionesociale. Mutamenti di talegrandezza di rado rimangonocircoscritti.Riverberano in tutta lacultura, crescendo lentamente finoalgiornoincuinoinonrimaniamosconvolti nel constatare che haavuto luogouno slittamento e che

nonc’èmododirecuperarequellocheabbiamoperso[...].Quandolasaturazione della cultura siintensifica, tutte le nostreprecedenti teorie sul sé entrano incrisi; i modelli tradizionali direlazione divengono strani. Si staformando una nuova cultura»(Gergen 2000, p. 3; vedi anche lepp.61-62e49sgg.).

24 Cfr. Gergen 2000; Sennett2000;Kraus2002.

PartesecondaL’accelerazionesociale

eleversionicontemporaneedellateoriacritica

CapitolosestoIrequisitidiunateoriacritica

Se, come ho affermato inapertura, il mio scopo èquello di tracciare i

lineamenti di una «teoriacritica dell’accelerazionesociale», è necessario perprima cosa che consideri irequisiti di una versionecontemporanea della teoriacritica, ed è ciò che mipropongoinquestocapitolo.

A mio giudizio unaversionecontemporaneadellateoria critica dovrebberimanere fedele alleintenzionioriginariedeipadri

fondatoridiquestatradizione– da Marx a Horkheimer,AdornoeMarcuse,maanchea figure quali WalterBenjamin ed Erich Fromm,finoaHabermaseHonneth–senzalasciarsieccessivamenteimbavagliare e frenare daconsiderazioni e principîmetodologici,chedelrestoglistessipensatoridellaScuoladiFrancoforte giàmettevano indiscussione, e che comunque

potrebbero non essere piúadeguati a un’analisi dellasocietà contemporanea.Infatti, la convinzione che lametodologia e persino laverità stessa siano sempreancorate e circoscritte a undeterminato contesto storico,oinaltreparolechenoncisiauna verità epistemologicaastorica, e che tutte le formedell’analisi teorica debbanoessere strettamente connesse

alle forme in divenire dellaprassi sociale – unaconvinzione di fondamentaleimportanza per questatradizione di pensiero 25 –richiede che i nuovi approccidella teoria critica nonseguano e ripetanociecamente i presuppostiteorici e metodologici diquelliprecedenti.

Ma quali sono leintenzioni che muovono la

teoria critica? Vorrei quiseguire il suggerimento diAxel Honneth chel’identificazione di patologiesociali sia il fine prioritarionon solo della teoria critica,ma della filosofia sociale ingenere.Ora,secondoi teoricicritici le suddette patologienon vanno interpretate comesemplici distorsionifunzionali o meccanismidisfunzionalidellasocietàche

ne mettono in pericolo lariproduzione (materiale e/osimbolica), perché ciòminerebbe la possibilità diqualsiasi rottura(rivoluzionaria) ecambiamento nellariproduzione sociale. Gliautori di questa tradizionesono invece sempre statimossi anche daconsiderazioni normative.Non si possono però far

derivare le norme chevengono applicate pergiudicare le istituzioni e lestrutture sociali da unaprospettiva astorica edextrasociale. Al contrario, ilpunto di partenza dei teoricicriticidev’essereamioparerela reale sofferenza umana.Con ciò la base normativadev’esseresempresaldamenteancorata nell’esperienzaconcreta degli attori sociali.

Tuttavia la sofferenza nonimplica necessariamenteun’opposizione consapevole.Perciòèsemprepossibilechegli attori sociali soffranosenza comprenderlo conchiarezza: ed è qui chepassano in primo piano leteoriedellafalsacoscienzaelecritiche dell’ideologia.Diventerà chiaro in seguitochelamiareintroduzionedelconcetto di alienazione

attingeaquestatradizione.Inogni caso il progresso deldibattito su questi puntimostra senza lasciar spazio adubbi che la sofferenza el’alienazione non possonoessere determinatedall’esterno,ricorrendoaunaqualche essenza o naturaumana: queste concezionipossono trovare applicazionenel XXI secolo solo sevengono ancorate ai

sentimenti (contraddittori),alleconvinzionieazionidegliattorisocialistessi.

Come ho tentato didimostrare altrove (Rosa2009), la strada piúpromettente per delineareuna versione contemporaneadella teoria critica poggia suuna verifica critica dellepratiche sociali alla lucedelleconcezionidivitabuonafatteproprie dagli attori sociali

stessi. Perciò è miaconvinzione (derivata, fino aun certo grado, dalle operedel filosofo canadese CharlesTaylor, su cui rimando piúdiffusamente al mio lavorodel 1998) che i soggettiumani, nelle loro azioni edecisioni, siano sempreguidati da una qualcheconcezione (conscia e fruttodi riflessione o implicita einarticolata) di «vita buona».

Possiamo funzionare comeattori sociali solo se abbiamoun’idea di dove dovremmoandareedi checosa rende lavita buona e ricca disignificato. Il percorso piúpromettente per una teoriacritica – che, come abbiamoprecisato, non muova daun’idea di natura o essenzaumana, ma dalle sofferenzedelle persone reali causatedallasocietà–sibasadunque

suun confronto critico tra leconcezioni della buonepratichee istituzioni sociali equelle realmente esistenti.Perciòilprimoobiettivodellafilosofia critica devono perforza essere le condizionisociali che, se da un latostrutturalmente inducono isoggetti a inseguiredeterminate concezioni delbene, dall’altro neimpediscono esse stesse la

realizzazione. Cosí, dal miopuntodivistaleideedilibertàediautonomia(individualeecollettiva), intese comeautodeterminazione dellaformadivitadarealizzare,eildesiderio di emancipazionedagli ostacoli politici,strutturali e istituzionali, cheimpediscono la realizzazionedi questa autonomia, dasempre centrali nellatradizione della teoria critica,

non hanno bisogno di esseregiustificati su basi normativeuniversalistiche: la promessadi autonomia eautodeterminazione, l’ideacheaogniindividuodebbanovenir riconosciuti il diritto ela possibilità di trovare unmodo di vivere checorrisponda(«autenticamente») ai suoidesideri,allesueaspirazioniecapacità, e che sulla stessa

base la comunità politicadebba essere organizzatademocraticamente per poterplasmare la società, sono ilcuore della modernità,formano – per citareHabermas – il cuore del«progetto della modernità».Le condizioni sociali cheminano la nostra capacità diautodeterminarci, chelimitanolenostrepotenzialitàdi autonomia individuale e

collettiva, possono e devonovenir identificatee sottopostea critica, in quantoimpedisconosistematicamenteallepersonedi realizzare la loro idea dibene.

Spingendosi innanzi conquesta strategia l’approccioqui suggerito tenta inoltre disoddisfare altri due requisitidella teoria critica: prima ditutto rispetta il criterio della

«trascendenzaintramondana»formulato, tra gli altri, daHonneth (2012). Secondoquesto principio gli attorisociali stessi conservanoancoral’ideadicomesarebbeuna forma migliore di vita edi società, rivelando unaparticolare sensibilità per lepatologie che i teorici criticicercano di identificare epersino qualche conoscenzadeimodi che potenzialmente

permetterebbero di superarlenella prassi quotidiana. Ciòperché è inconcepibile che leidee del bene e le pratichequotidiane degli attori socialirestino a lungocompletamente disgiunte – ameno che non ci si trovi avivere sotto un regime diterrore allo stato puro. Tuttoalcontrario, le istituzionie lestrutture sociali vengononormalmente legittimate da

quelle concezioni del beneche, agli occhi degli attorisociali, forniscono significatoal loro funzionamento.Proprio per questo la miaversione della teoria criticacontiene anche una nozionedi vita sociale come totalitànel senso di una società chesia come un tutto unificato:mentrenonsoloineoliberali,ma anche moltipoststrutturalisti e

decostruttivisti–riprendendocosí il famoso detto diMargaret Thatcher secondocui «non esiste nessunasocietà»,masolounamiriadedi individui (o famiglie) e diazioni alquantocontraddittorie – hanno direcente messo in discussionela possibilità di definire lasocietà in termini sociologicicome una formazioneintegrale, governata da

qualche struttura o leggeunificante, la teoriacriticahasempre sostenuto che quellestrutture, istituzioni e azioniformano unità integrali nelsenso di una formazionesociale, e che è precisamenteil compito della teoriaidentificare e analizzarecriticamenteleleggieleforzeche governano questeformazioni. Affermo perciòche è uno dei grandi meriti

della teoria criticadell’accelerazione sociale ilsaper spiegare letrasformazioni dei regimiproduttiviediconsumodellamodernità – dalla primamodernità a quella «classica»e fordista fino al mondotardomoderno – e, inoltre,dellaformazionedi identitàecultura politica, leggendolecome conseguenze piú omeno inevitabili di un

processo in atto diaccelerazione sociale. Perciò,come sottolineato inprecedenza, la storia dellamodernizzazione è per mestoria di un processo in attodi accelerazione sociale chetrasforma progressivamentelasocietàinunprocessoapiúfasidisviluppo.

Eppure, per lettori avvezziai dibattiti in corso nellateoria critica, tutto ciò

sembrerà alquanto esagerato,poiché le versionicontemporanee di maggiorsuccesso della teoria critica –difese rispettivamente daJürgen Habermas e AxelHonneth – identificano latotalità sociale in dueelementi molto diversi: perHabermasla«sintesi»diognisocietà consiste nelle suerelazioni di comunicazione edi mondo della vita

(Lebenswelt) costruitocomunicativamente, mentreperHonnethnellerelazionidiriconoscimento sociale cheformano labasedellasocietà.Procederò allora a discuterebrevemente il rapporto tra iloro approcci e il mioconcetto di accelerazionesociale. Dal momento chel’accelerazione non è unasostanza, ma un processo,non voglio certo sostenere

che l’accelerazione socialeformi la base, o synthesis,della società moderna, bensílasuadynamis,laforzachelamuovee la logicao leggechepresiedealsuocambiamento.Cosí,sedaunlatononmettoin discussione il fatto che lecondizioni di interazione (dicomunicazione ericonoscimento) formino labase della società, dall’altroaffermochenessunadelledue

può essere analizzata ecompresa adeguatamentesenza tenere in conto ladimensione dinamica e leforze propulsivedell’accelerazionesociale.

25 Per una ricostruzione piúarticolata della tradizione dellateoria critica e dei suoi principî

fondantisivedaGertenbacheRosa2009.

CapitolosettimoL’accelerazioneela«critica

dellecondizionidellacomunicazione»

SecondoJürgenHabermas,nella sua opera di maggioreinfluenza, la Teoria dell’agire

comunicativo (1986 [1981]),le patologie sociali nasconoda distorsioni sistematichedelle condizioni dellacomunicazione. A suo dire ilcompito della teoria critica èquello di identificare tutte leforze (strutturali) di questedistorsioni. Sebbene la suateoria e le sue giustificazionisociologiche emetalinguistiche sianopiuttosto complesse – e nel

dettagliodiscutibili–l’ideadibase è tanto semplice quantoconvincente: il potere e laconoscenza (o le norme e ipostulati di verità) possonoessere giustificati, affermaHabermas,soltantosesono(opossono essere ricostruiticome) il risultato di undiscorsoliberodarelazionidipotere distorcenti, undiscorso, cioè, in cui tutte leargomentazioni possono

essere formulate e decisesoltantosullabaselogicadella«forza non costrittivadell’argomentomigliore».

Ora, è pressoché evidentechelaformulazione,ilfiltraree il soppesare collettivo degliargomenti è un processo cherichiede tempo. Ciò è veroper il mondo della scienza,per il quale si potrebbetranquillamente argomentareche la velocità e successione

diconferenzeearticoliècosíelevata e, cosa ancor piúgrave, il numero di articoli,libriegiornaliècosíenorme,che coloro che scrivono eparlanonell’eradel«pubblicao muori» non hanno quasimai tempo per svilupparedavvero le loro tesi,mentre ilettori e gli ascoltatori siperdono in una miriade dipubblicazioni e presentazioniripetitive e frettolose. Sono

fermamente convinto che,almenonelle scienze sociali eumane, il discorso di rado siuniformi e attenga alla forzapersuasiva degli argomentimigliori, ma convergapiuttosto suuna corsa folle enon controllabile a piúpubblicazioni, conferenze eprogetti di ricerca, il cuisuccesso dipenderà dallestrutturedicooperazionetrai

dipartimenti universitari piúchedallaforzaargomentativa.

Nel mondo politico lasituazione è ancora peggiore.Come hanno chiarito asufficienza sia lo stessoHabermas (1992) sia chisegue la sua idea dellademocrazia deliberativa, laforzapoliticanellamodernitàpuò essere legittimatasoltantoseè ilrisultatodiunprocesso democratico

pluristratificato,chenecessitadi un gran numero di filtri ediarenedidibattito.Nonsolotutti i gruppi sociali, ma daultimo anche tutti gliindividui dovrebbero averel’opportunità di formulareasserzionieargomentazioni,ele argomentazioni politicheandrebbero gradualmentefiltrate e incanalate in unprocesso di deliberazione erappresentazione, fino a

trasformarsi in leggi chetengono unita la comunità.Ma anche senza seguireHabermas totalmente, ècomunque innegabile che lademocrazia sia un processoche prende tempo: formareuna volontà democratica(deliberante) e assumeredecisioni richiedel’identificazione eorganizzazione di tutti igruppi coinvolti, la

formulazionediprogrammietesi, la formazionedivolontàcollettive e infine la ricercacollettiva delle tesi migliori.Nelle condizionitardomoderne di pluralismopostconvenzionalista e dicomplessità globale questoprocesso richiede di fattoancora piú tempo: sonocoinvolte piú persone e piúgruppi, si possono dare perscontatemenocoseeoccorre

prendere in considerazionediverse opinioni e bisogni.Inoltre lecondizioniallabasedella decisione e le sueconseguenze diventano piúcomplesse. Invece, nelprocesso di accelerazionesocialecheabbiamodelineatole risorse di tempo adisposizione dei politicistanno diminuendo, nonaumentando: poiché ècresciuta la velocità

dell’innovazione tecnologica,delle transazioni economichee della vita culturale, occorreprendere un numeromaggiore di decisioni in untempo minore e quindi iprocessi decisionali seguonoritmi piú elevati 26. Dunquegli orizzonti di tempo e glischemi temporali dellaformazione di una volontàdeliberanteedemocraticaelesferedellatecnologia,scienza,

economiaeculturadivergonoverso posizioni opposte. Ilrisultato sembra chiaro: nellapolitica tardomoderna non èpiú(seloèmaistata)laforzadell’argomento migliore adecidere delle politichefuture, ma il potere deirancori, dei sentimentiistintivi, di metafore eimmagini suggestive. Leimmagini sono senza dubbiopiú veloci delle parole,

mettono da parte leargomentazioni ed esercitanoeffetti istantanei, anche selargamente inconsci.L’argomento migliore perdeforza di fronte alle ondedinamiche della formazionediopinioni.Sottoquesta lucenon c’è da stupirsi se starmediatiche come ArnoldSchwarzenegger, NicolasSarkozy o Silvio Berlusconiconquistano incarichi e

potereesesihal’impressionedi trovarsi dinnanzi a una«svolta estetica» in politica:politici emovimenti vinconole elezioni perché sono«cool», non perché hannoidee, programmi e tesiarticolate. Anche le affinitàelettorali sono diventatemolto piú volatili edinamiche: lemaggioranze siformano fabbricando o«tessendo» eventi, non

argomentando. In un certosenso la democrazia stessa ècapacediaccelerare:opinionie maggioranze politichepossono nascere in pochisecondi sulla spinta disondaggi (istantanei) in Tv,alla radio o su Internet. Essiperò non riflettono processidi deliberazione in cui siapossibile formulareargomentazioni, vagliarle,soppesarle e fare una scelta.

Al contrario, riflettonoreazioni«dipancia»chesonoper lo piú se non del tuttoimmuni alla forzadell’argomento migliore.Riassumendo: è possibile chele parole, e persino leargomentazioni – o, comeipotizzaMyerson(2001,p.46;cfr. Rosa 2005a, pp. 249-50),persino il medium delsignificato stesso – sianodiventate troppo lente per la

velocità del mondotardomoderno.Cosíimodellicapitalistici dell’allocazionesono diventati sempre piúinaccessibili e immuni ariflessioni sulla giustizia:mentre è estremamentedifficile mettere alla provacerteargomentazioniafavoreo contro determinatimodellidi distribuzione, questimodelli vengonosemplicemente riformulati di

continuo, a una velocitàmozzafiato, dalle correntisocio-economiche. Non hoqui spazio, tempo epredisposizione d’animo peraddentrarmi nella questione,ma mi pare evidente chechiunque condivida la tesibase di Habermas sullecondizioni dellacomunicazione e le prendacomepuntodipartenzaperlateoria critica dovrà prestare

moltaattenzioneallestrutturetemporali di questecondizioni.

26Sivedanoperconsiderazionipiú ampie Rosa 2005b,Scheuerman 2004, Rosa eScheuerman2009.

CapitoloottavoL’accelerazioneela«critica

dellecondizionidelriconoscimentosociale»

È interessante notare che,mentre il concettohabermasiano di società

giusta (e razionale) implicachiaramentelimitidivelocità,lavisionedellasocietàdiAxelHonneth (2002), basata suschemi giustificabili diriconoscimento reciproco,non è temporalmentelimitata: la comunicazione èconsumo di tempo, ilriconoscimentono,oalmenononnecessariamente. Inognicaso, è innegabile che unateoria critica del

riconoscimento non può allalunga evitare di consideraregli effetti (e le cause)dell’accelerazione sociale.Anzi, continuando atrascurare questi aspetti,credo che Honneth e i suoiseguacinonsianoingradodivedere i modi in cui lecondizioni delriconoscimento socialecambiano nella societàcontemporanea e gli effetti

collaterali di disturbo diquestocambiamento.

Prima di tutto, siccome lavelocità, in quanto normasociale prevalente, è del tutto«naturalizzata» nella societàmoderna – le norme e lestrutture temporali sembranoessere semplicemente «date»,nonsonomaipercepitecomecostrutti sociali epoliticamente negoziabili –,essa serve anche adistribuire

legittimo riconoscimento edisprezzo:chièvelocevinceeguadagna, chi è lento rimaneindietro e perde. Inoltre, dicontro alla tesi di Honnethsecondo cui il disprezzocausato a livello strutturalecreerebbe indignazione eoltraggio, coloro chepatiscono questo disprezzonella corsa della società dirado pensano di subireun’ingiustizia. Poiché la

competizione è strettamenteconnessa alla velocità (per ladefinizione di «prestazione»discussa nel capitolo II) ed èconsiderata il legittimomeccanismo di allocazionealmenonellasferaeconomicadallo stesso Honneth, chiresta indietro non devebiasimarenessunaltroche sestesso.D’altraparte,comehodimostrato, questa logica dicompetizione e potenza è

anche la forza principale cheguida l’accelerazione sociale.Per questo il desiderio diriconoscimento nella societàmoderna è diventatoanch’essounagaradivelocità:poiché guadagniamo stimasociale attraverso lacompetizione, la velocità èessenziale per la mappa delriconoscimento nelle societàmoderne. Dobbiamo essereveloci e flessibili per

guadagnare (e preservare) ilriconoscimento sociale, maallo stesso tempoèproprio ilnostro desiderio diriconoscimento a muovereincessantemente le ruotedell’accelerazione.

Consideriamoladifferenzatramodellidiriconoscimentoe paure del disprezzo oggi equellidell’epocapremoderna.In una società stratificata inclassi i modelli

dell’allocazione e delriconoscimento eranoprefissati: posizioni, privilegi,status e approvazione checiascuno vantava erano inbuonamisura predeterminatidalla sua nascita. Un re, unduca, unmonaco, un soldatoouncontadino:avevanotuttiunaquotapredeterminata(distatus, diritti, privilegi,doveri) sulla mappa diallocazionecheerastrutturata

quasisubaseontologica.Cosíla persona poteva soffrire divenire sistematicamenteesclusa da certi beni eprivilegi, ma questaesclusione era dovuta astrutture del mondo(ontologicamente fondate).Lalottaperilriconoscimento(nel macrocosmo sociale)potevaquindiesserecondottasolo come lotta contro lestrutturesocialiesistenti,cosa

che però probabilmente nonveniva neppure presa inconsiderazione nella vita dituttiigiorni.

Nella società modernainvece la posizione diciascuno nel mondo non èprefissata. La mappadell’allocazione delriconoscimento vieneridisegnata in base allaposizione che l’individuoraggiunge con le proprie

forze. Da esse dipendono lostatus, i privilegi, ilriconoscimentoelaricchezza.Qui (almeno di principio) la«posizione nel mondo» èdistribuita con una lottacompetitiva. Ciò richiede la«dinamicizzazione» delmondo: strutture lavorative efamigliari e «posizioni»religiose e politiche (credo epreferenze) non sono piútrasmesse in totodaipadri ai

figli: le nuove generazionisono viste come fonte diinnovazione. I figlimaschi (ein seguito anche le femmine)sono liberi e persinoincoraggiati a scegliere laprofessione, fondare unafamiglia propria, definire leproprie istanze religiose epolitiche e cosí via. Inconseguenza di ciò ilriconoscimento vienedistribuito «a posteriori», in

accordo con la mappa delleposizioniraggiuntenellagaracon la concorrenza. Lapauradel mancato riconoscimentosiconcentraquindisultimoredei fallimenti professionali esentimentali: non ottenere laposizione desiderata, lamoglie, i bambini, la casa ol’automobile per cui si ècombattuto. Le lotte per ilriconoscimentosibiforcanoalorovoltainbattaglieperuna

posizionemigliore ebattaglieper una ridefinizione delvalore relativo di certeposizioni.

Quando poi il processo diaccelerazionesocialepassadaun ritmo generazionale dicambiamento a unointragenerazionale – come sipassa dalla «modernitàclassica» alla «tardamodernità» nel senso primadescritto – la lotta per il

riconoscimentocambiaformaancora una volta. Oggi nonbasta piú raggiungere laposizionechecisièprefissatinella competizione: lavori efamiglianonduranopertuttala vita, e neppure leappartenenze politiche oreligiose. Cosí non bastaessere un manager, uncaporedattoreounprofessore(alculminedellascalasociale)o un addetto alle pulizie,

guardiaoportiere(scendendoverso il basso della scala). Ilriconoscimento (e tutto ciòche ne deriva: ricchezza,sicurezza,privilegi,ecc.)vienedistribuito in base alleperformance: un managercon un basso rendimentosecondoirapportitrimestrali,un caporedattore che vederidursi il numero dei proprilettori, o un professore chenon pubblica su riviste con

un ranking alto perdonoincessantemente terreno – epresto o tardi possonoperdere il posto. Anche ledonnedellepulizieeiportierivengonoassunticoncontrattiatermineottenutiinbasealleloro performance. In questomodo la lotta per ilriconoscimento passa dallaposizione al rendimento, e ilriconoscimentononèpiúunpunto di forza acquisito una

volta per tutte nella vita, maqualcosachevariconquistatoogni giorno. I trionfi e leimprese di ieri contano pocodomani. Il riconoscimentonon si accumula piú, èsempre in pericolo di venirecompletamente svalutato dalfluire costante degli eventi edallo slittamento deipanorami sociali. Laposizione è importante peraccrescere le possibilità di

mantenere o guadagnarestimasociale,manonèdettoche la si conserverà persempre o che domani avràancoravalore.

Altrettanto vale per ilmondo delle idee: in questalotta eccessivamentedinamica per ilriconoscimento neppurel’individuo manterràposizioni«avita».Incimaallalista, come sappiamo dalle

inchiestesullaculturapoliticaeilcambiamentoelettorale,viè la volubilità politica: lepersone non sono piúsemplicementeconservatori odisinistraoverdietendonoamutare le loro vedutepolitiche in base allaredditività dei partiti e deipolitici. Andamenti analoghisi osservano anchenell’ambito della religione: èsignificativamente in crescita

il cambio di appartenenzareligiosa in base alla«performance» delleistituzioni religiose; a menoche,naturalmente, i credenti,inunadrammaticareazioneaquesta continuadinamicizzazione delpanoramasociale,materialeespirituale, non si trasforminodi botto in «fondamentalisti»per guadagnare un’istanzasolida e duratura da

contrapporre al mondo. Seautori comeAlainEhrenberg(1999) o Axel Honneth(2003) osservano che il sétardomoderno è sempre piú«esausto» – un esaurimentoche trova la sua espressioneempiricamentemisurabilenelnumero crescente di casi didepressione clinica e burn-out – ciò è secondo me ingran parte (anche se nonesclusivamente) attribuibile a

una lotta per ilriconoscimento che,metaforicamente parlando,ricomincia da zero ognigiornoenellaqualenonèpiúpossibile ritagliarsi nicchie oraggiungerealtezzesicure.

Per questo, nellecondizioni di vitatardomoderneeconunritmointragenerazionale delcambiamento sociale, labattaglia quotidiana per il

riconoscimento si ènotevolmente aggravata.Trasformando la proprialogica da una competizione«posizionale» a una«performativa», questabattaglia tiene in scacco isoggetti con un’insicurezzacostante, alti livelli dicasualitàeuncrescentesensodi futilità. Soffrire per ilmancato riconoscimento è laconseguenza di un

arretramento, quindi lepersone temono piú di ognialtra cosa almondodi essere«lasciate indietro»: appenanasce un bambino, i genitoridivengono paranoici per lapauracheilfigliopossaaverequalchetipodi«ritardo».

Riassumendo, se la lottaper il riconoscimento è unaforza motrice costantedell’accelerazione sociale inuna società competitiva, la

sua forma cambiaconsiderevolmente conl’accelerazione delcambiamento sociale. E lalogicadiquestabattaglianonpuòesserecompresadeltuttosenonsitieneincontoquestadimensione temporale.Dunque una teoria criticadelle condizioni delriconoscimento èintrinsecamente connessa auna teoria critica

dell’accelerazionesociale,anziunasuaparteessenziale.

CapitolononoL’accelerazionecomenuova

formaditotalitarismo

La tesi che vorrei quisostenereèchel’accelerazionesociale è divenuta una forza

totalitarianellaedellasocietàmoderna e che quindidovrebbe essere sottoposta acritica come ogni forma digoverno totalitario.Naturalmentenonfacciomio,qui, il termine «totalitario»nel suo riferimento a undittatoreoaungruppo,classeo partito politico; semmai,nellasocietàtardomoderna,ilpotere totalitario rimane unprincipio astratto, ma che

nondimeno sottomette tuttiquelli che vivono sotto il suogoverno. Direi che possiamodefinire un potere totalitarioquando a) esercita pressionisulla volontà e le azioni deisoggetti, b) è impossibilesfuggirgli, ovvero tutti isoggetti sono sottoposti aesso,c) è onnipervasivo, cioèla sua influenza non ècircoscritta a singole areedella vita sociale,ma a tutti i

suoi aspetti e d) è difficile oquasi impossibile criticarlo ecombatterlo.

Di certo chiamiamo«totalitario» un regimequando i suoi cittadini sisveglianonellanottecolpettooppresso da una pauraterribile, aspettando la fineimminente con il cuore ingola e i sudori freddi. Bene,possiamo essere abbastanzasicuri del fatto chemolte piú

persone si svegliano in pienanotte con simili angosce neipaesi occidentali, cosiddettiliberi e sviluppati, di quantoaccadessenell’IraqdiSaddamHussein o accada oggi nellaCorea del Nord. Neppure ledittature piú brutalirealizzanopienamenteipuntib),c)ed).Èsemprepossibileche qualcuno resista, siopponga o almeno riesca aevadere ed eluda i servizi

segreti dei tiranni, chealmeno,quindi,nonregolanoproprio ogni aspetto dellavita.

Con l’accelerazionesocialeèdiverso:comehocercatodimostrare, praticamente nonc’è aspetto della vita socialeche non sia toccato otrasformato dai dettami dellavelocità. La progressionedell’accelerazione sociale,trasformandoilnostroregime

spazio-temporale,puòabuondiritto essere definitaonnipervasivaeonninclusiva:essa esercita la sua pressioneinducendo la paurapermanente di poter perderelabattagliaedinonesserepiúcapaci di tenere il ritmo,ovverodisoddisfareinmodoadeguato le richieste (semprepiúnumerose)checi si trovaa fronteggiare; il timore,quindi,diaverbisognodiuna

pausa e di rimanere perquesto esclusi dalla gara. O,per chi è disoccupato omalato, la preoccupazione dinonriuscirepiúarientrareingara, di essere già rimastiindietro. Se quelli benequipaggiatiechepartonodaposizioni privilegiate devonocorrere piú in fretta chepossono e investire tutte leloro energie per restare ingara, è persino ragionevole

che chi parte da posizionisvantaggiate neppure provi araggiungerli: abbiamo qui ilnuovo gruppo degli esclusi atermine, del cosiddetto«precariato».

Il punto centrale del mioapprocciocriticoèilfattochequesti dettami difficilmentesono riconosciuti e percepiticomeunacostruzionesociale:essi, infatti, non vengonoformulati come asserzioni

normative e regole (che diprincipio possono semprevenire da un lato messe indiscussione, dall’altrocontrastate e trasgredite) enon compaiono nei dibattitipolitici.Iltempovieneancorapercepito come qualcosa dibrutale e di naturalmentedato e le persone, quando sisentonoinritardo,tendonoarimproveraresestessedinonsaperlogestirebene.Il tempo

sembra quindi per suaessenza andare al di là dellapolitica.

Nella terza e ultima partedi questo libro delineerò unateoria criticadell’accelerazione sociale,ricostruendo una criticaideologicadell’autocomprensioneeticaetemporale della societàmoderna (capitolo XII).Partirò però da una critica

funzionalistadell’accelerazione sociale nelcapitolo XI, dove sosterrò latesisecondocuianchealdilàdelle considerazioninormative la velocitàmozzafiato delle interazionisociali tardomoderne rischiadi minare la capacità diautoriproduzione dellasocietà contemporanea. Nelcapitolo XIII proverò adaffermarel’ideacheesistauna

relazione dialettica tra il«progetto della modernità»etico-politico e la promessailluministicadell’autogoverno, da unaparte, e il processo (diammodernamento)dell’accelerazione sociale,dall’altra.Perciò,seèverocheun determinato livello didinamicizzazione del mondoèstato inevitabileperportareavanti il progetto della

modernità, è altrettanto veroche i livelli di velocità delmondo tardomodernotendono oggi a metterlo incrisi. Concluderò delineandouna nuova versione dellateoria critica che provi aristabilire il concetto dialienazione e a contrapporgliil concetto di mondo «cherisuona».

ParteterzaLineamentiperunateoria

criticadell’accelerazionesociale

CapitolodecimoTrevariantidellacriticadelle

condizionitemporali

L’idea di fondare ilcriticismo sociale suun’analisi delle condizioni

temporali della società èbasatasulfattocheiltempoèun elemento onnipervasivodel tessuto sociale. Tutte leistituzioni, strutture einterazioni sociali hanno,infatti, un carattereprocessuale e implicano unimpiantotemporale,quindiiltempo non è solo un ambitoparticolaredelmondosociale,mal’elementocardineintuttelesuedimensioni.Avvicinarsi

alla società attraverso gliaspetti temporali è allora unbuon «trucco» analitico perstabilireun fulcrodianalisiedicriticastabileeunitariopertuttiicampidell’agiresociale.Tuttavia,comeabbiamovisto,il concetto di «accelerazionesociale» si estende oltre lerelazioni temporali, propriocomeilprocessoacceleratoriochene staallabaseè la forzache guida non solo

l’evoluzione temporale dellasocietà, ma anche icambiamenti del tessutosocialeemateriale–perusarela famosa distinzione diNiklas Luhmann tradimensione sociale,temporale e materiale dellasocietà (Luhmann 1984, p.127). Nella mia ottical’accelerazione sociale è ilprocesso cardine dellamodernità e la critica della

società moderna non solopuò,madeveprenderlacomepuntodipartenza.

Parlandoinlineagenerale,ci sono due o, meglio, treforme base del criticismosociale.Primadituttocisonodiverse varianti della criticafunzionalista delle istituzionie delle pratiche sociali. Cosí,per esempio, il tardoMarx emolti marxisti sulla sua sciahanno argomentato che il

capitalismo è attraversato dacontraddizioni interne chenecessariamentedeterminanocrisiserie,lequalialorovoltaportano prima o poi a untracollo nella riproduzionesociale. Inbreve, ilcriticismofunzionalista è basato sullatesi cheun sistema (oprassi)sociale alla lunga nonfunzionerà. Questo assunto èmolto diverso dalla secondaforma di criticismo, la critica

normativa della società.Naturalmente il criticismofunzionalista e quellonormativo possono esserecombinati, ma sul pianoanalitico la separazione ènetta. La critica normativasostiene che una formazioneoaccordosocialenonèbuonoo giustificabile in base adeterminateleggievalori,chedevono essere definiti oidentificati e giustificati

indipendentemente. In realtàesistono due varianti dellacritica normativa: una puòessere etichettata come«morale»,l’altracome«etica».Una critica morale è fondatasuunconcettodigiustiziaelasua argomentazione consistenel dire che le istituzionisociali date portano a unadistribuzione ingiusta(iniqua)dibeni,diritti,statuse/o privilegi. L’attenzione di

solito si concentra sullerelazioni sociali, cioè sulleposizioni relative dideterminati gruppi oindividuirispettoadaltri.

Dicontro,unacriticaeticasi basa su una concezionedella vita buona (o, exnegativo,dellecondizionicheminano sistematicamente larealizzazionedellavitabuona,comeper esempio gli stati dialienazione). Qui non si

argomenta sulla giustizia,masulla possibilità di esserefelici.La criticaalloraprendedi solito la formadell’identificazione distrutture e pratiche cheimpediscono alle persone direalizzareunavitabuona,edèprobabile che tutti i membridella società siano in egualmisura toccati da, diciamo,certe condizioni alienanti.Naturalmente,perunacritica

etica è ancora piú difficiledefinirenormeevalori–ounconcetto di vita buona – chepossa essere consideratogeneralmente accettato ogiustificabile nella societàsotto la lente della critica.Mentre le versionicontemporaneedelcriticismomorale (molti approcciliberali,maanchequellinellatradizione dell’etica deldiscorso) tentano spesso di

formulare concetti«universalistici» di giustiziacome loropuntodipartenza,lecriticheetiche(comequelleformulate da comunitaristiquali Charles Taylor oAlasdairMacIntyre) tendonoad assumere come loro basenormativa concezioni dellavitabuonagiàincorporateneldiscorso e nelle pratichemoderne e quindi limitate aun determinato periodo e

società.Ciòperchélafilosofiasociale moderna non credepiú all’idea che si possaidentificare una «essenza» o«natura» umana invariabile.A ogni modo le critichenormativedevonogiustificareesplicitamente i proprifondamentinormativi.

Di seguito cercherò dimostrare come una teoriacritica dell’accelerazionesocialepossa integrarequeste

tre forme di criticismosociale, in continuità con latradizione delle versioni piúantiche di teoria critica, checercavano sempre dicombinare una criticafunzionale di ispirazionemarxista delle intrinseche einsormontabilicontraddizioni (di classe)della società capitalistica conuna critica morale della suaingiustizia (distributiva) di

base e una critica etica dellavitaalienata(ispirataalprimoMarx)edeifalsibisogni.

Comincerò con un’analisifunzionalista delle patologieche risultano da processi didesincronizzazione. Poipasserò a una criticanormativa(eideologica)dellenorme temporali invisibili.Infine cercherò di delineareuna riformulazione del

concetto di alienazione daunaprospettivatemporale.

CapitoloundicesimoLacriticafunzionalista:

patologiedadesincronizzazione

Sebbene ci si imbattaspesso nella tesi che nellasocietàmoderna piú omeno

«tutti i processi» tendonoall’accelerazione sociale oalmeno a un incremento divelocità (si veda per esempioGleick 2000), questoovviamentenonèvero:comeabbiamogiàvistonelcapitoloIII, ci sono cose che nonpossono velocizzarsi affatto(comegranpartedeiprocessinaturali e geologici), o checomunque non l’hanno fattofinora, o persino che

rallentano, a volte propriocome risposta alladinamicizzazione. Inoltre,anche per quel ventaglio difenomeni che davveroaccelerano, è evidente chepossono farlo in gradazionediversa. Ne risultanoinevitabili frizioni e tensionisulla linea di confine traistituzioni,processiepraticheveloci e lente. Laddove dueprocessi interagiscono, dove

sono sincronizzati,l’accelerazione di uno ponel’altrosottopressione:amenochenonsivelocizzianch’esso,viene percepito come unelemento di disturbo oostacolo. Prendiamol’esempio degli orari di untreno.DiciamocheciservonotreoreditrenoperandaredaAmburgoaCopenaghenepoialtri trenta minuti da lí perraggiungere una cittadina

danese un po’ piú lontana.Ora,seiltrenointernazionalearriva a Copenaghen conventi minuti di anticipo, ilviaggiatore dovrà aspettareventi minuti per prendere lacoincidenza, cosa percepitacome un’assoluta perdita ditempo, oppure anche il«trenino» locale dovràadattarsi e partire con ventiminutidianticipo.Allostessomodo,sesietemoltodi fretta

e volete comprare ungiornale, ma l’edicolanteaveva lasciato il lavoroprecedente per godersi unritmo di vita piú lento,sperimenterete entrambiun’interazionedesincronizzata: voi visentirete terribilmente inritardo e con l’impressioneche tutto ciò vi facciarallentare ancora di piú,mentre il venditore sentirà

cheglivienemessaunafrettaterribile e una pressioneingiustificata.Ecosívia.

Messa in termini piúsistematici, ladesincronizzazioneapparetrail mondo sociale e quelloextra-sociale, ma anche tradiversi schemi di velocitàall’interno della società.Rispetto al primo punto,comehaosservatogiàannifail mio collega tedesco Fritz

Reheis (1996), lavelocizzazione della societàscavalca sistematicamente lacornice temporale dellanatura circostante. Cosí,sfruttiamo risorse come ilpetrolioe il suoloaunritmodi molto superiore a quellodella loro rigenerazione, escarichiamo rifiuti tossicitroppo in fretta perché lanatura possa assorbirli. Ilriscaldamento stesso del

pianeta non è altro che ilrisultato di un processo diaccelerazione fisicadeterminato dalla società:sebbene stiamo esaurendo leenergie immagazzinate inpetrolio e gas, letteralmenteacceleriamo le molecoledell’atmosfera scaldandole, inquanto il calore è causa edeffetto di un rapidomovimento molecolare.D’altra parte può essere

benissimo che il corpo e lapsiche dell’uomo venganoanch’essi sovraccaricati dalritmo sostenuto della società.PerciòautoricomeEhrenberg(1999) o Baier (2004) hannosostenuto che l’aumentodrammatico di depressioni eburn-out appare comereazione al sovraccaricotemporale o agli accresciutilivelli di stress della societàmoderna. Infatti, coloro che

cadonoindepressionevivonouncambiamentodrammaticonella loro percezionetemporale, passando da untempo dinamico, o frenetico,a una palude temporale doveil tempo non sembra piú inmovimento, ma in stasi.Qualsiasi nesso di significatotra passato, presente e futuroappare definitivamentespezzato.

Bisogna comunque essere

oltremodocautinelpostularelimiti fissi all’adattabilitàumana. Quando furonorealizzate le prime ferrovie, imedici erano fermamenteconvinti di aver dimostratoche il corpo e il cervelloumano non reggono velocitàsuperioriai25o30chilometriorarisenzasubiredanniserieiviaggiatoriricavavanoproveevidentidiquestoassuntodalsemplice fatto che si

sentivano male a guardare ivagoni che viaggiavano aquella velocità.Adire il veroanche noi oggi ci sentiamomalequandountrenoviaggiaa25o30chilometri all’ora–perché non sopportiamo diperdere cosí tanto tempo.Abbiamo appreso la tecnicadella «visuale panoramica»,cioè a non fissare lo sguardoallabanchina,perciòamiamoviaggiare ad alta velocità

(Schivelbusch 2003). Allostesso modo, alcuni studihanno riscontrato che igiovani d’oggi sviluppanocapacità multitasking che ilcervello delle vecchiegenerazioni non saprebbereggere.

Tornando alla sociologia,le cose si fanno piúinteressantiquandosiguardaal livello della comunità.Quiè innegabile che sono

possibili diversi gradi diaccelerazione per le diversesfere sociali: la velocità delletransazioni economiche,scopertesocialie innovazionitecnologiche sembra essercresciuta in manieraesponenziale negli ultimidecenni;ilritmodellapoliticainvece non è accelerato pernullaeloèpochissimoquellodella riproduzione culturale,ossia del passaggio

generazionale dellaconoscenza simbolica. Ilmondo occidentale modernofonda la propriacomprensione di sé sull’ideachelapoliticadebbadettareilritmodellosviluppoculturalee sociale. Se vogliamo averesocietà fondamentalmentedemocraticheciòsignificachelapoliticaregolaiconfinieledirezioni in cui operano lascienza, la tecnologia e

l’economia. Ciò richiede unsaldo «ancoraggio dellapolitica al tempo», cioè devevalerel’assuntosecondocuiilprocesso decisionale politicoe l’evoluzione sociale sono, oalmeno possono essere,sincronizzati. Come ho peròspiegato anche altrove (Rosa2005b), la democrazia è unprocesso che consuma iltempo. Ci vuole tempo perorganizzare la cosa pubblica,

per identificare i gruppisocialirilevanti,performularee soppesare tesi, perraggiungere il consenso edesprimeredecisioni.Eoccorretempo per mettere in atto ledecisioni, soprattutto insocietà non totalitarie e nelrispettodellalegge.

In condizionitardomodernequestiprocessirichiedonoancorapiú tempo,perchélesocietàsonosempre

piú pluralistiche e menoconvenzionali.L’organizzazionedelprocessoche crea l’opinione pubblicarichiede piú tempo, se igruppi sono piú eterogenei edinamici e se le condizioniche fanno da sfondomutanoaritmisemprepiúelevati.Piúesse sono instabili, piú siconsuma tempo a pianificaree calcolare. Quindi lo stessoprocesso che fa accelerare i

cambiamenti sociali, culturalied economici rallenta ilprocesso di formazione diunavolontàdemocratica edidecisioneeciòconduceaunanetta desincronizzazione trala politica e la vita edevoluzione socio-economica.Oggi la politica non è piúsentita come il regolatore delcambiamento edell’evoluzione sociale. Alcontrario, la politica

«progressista» – se la parolahaancorasignificatooggi–ècaratterizzata dalla volontàpolitica di rallentare letransazioni e gli sviluppitecnologici ed economici perstabilire o conservare unqualche controllo politico sulritmo e sulla direzione dellasocietà (attraverso strumenticome la Tobin-tax). Dicontro, i liberal-conservatorioptano oggi per accelerare i

processi tecnologici e socio-economici riducendo ilcontrollo politico. In questainversione dell’indicatoretemporale della politica traprogressista e conservatricetroviamo una chiaraespressione delladesincronizzazioneinattotrala politica e le sfere tecno-economiche della società, equindi del fatto che l’idea diguidadapartedellapoliticasi

ètrasformatadastrumentodidinamicizzazione sociale,nella prima età moderna enella modernità classica, abarriera e ostacolo aun’ulteriore accelerazione incondizionitardomoderne.Perquesto il progetto neoliberaledegli ultimi vent’anniperseguiva il progetto direndere piú veloce la società(e in particolare i flussi dicapitale) riducendo o

addirittura sradicando ilcontrolloolaguidapolitica–attraverso misure dideregolamentazione,privatizzazione egiuridificazione.

Desincronizzazioni nociveappaiono non solo tral’economia e le altre sferedella vita, ma ancheall’interno dell’economiastessa: la rapidaaccelerazionedeimercatifinanziaridopole

rivoluzionipoliticheedigitalidel 1989 hanno chiaramenteportatoaunanettarotturatrale velocità sempre crescentideiflussidiinvestimentoedicapitale e il ristagnodell’economia «reale», cioèdella produzione e delconsumoeffettivi.Cometuttisappiamo,questasituazioneèculminata con la crisifinanziaria ed economica del2008, la piú grave dagli anni

Trenta. Se le transazionieconomiche e finanziariepossono essere acceleratequasi all’infinito, non accadelo stesso per produzione econsumo:poteteavereprofitticomprandoevendendoquotein frazioni di secondo, manon c’è equivalente di tuttoquestonellaproduzionereale;e, in modo analogo, poteteacquistare prodotti e serviziin pochi secondi, ma non

utilizzarli. Sembra quindicrearsi un divario crescentetra l’acquisto e il consumo(tra comprare un libro eleggerlo, per esempio, oacquistare un telescopio eutilizzarlo). Come mostreròin seguito, questa forma didesincronizzazione culturaleoffre un punto di partenzamolto favorevole, a mioavviso, per reintrodurre il

concettodi falsibisogninellateoriacritica.

Tuttavia, potrebberoesserci altre forme didesincronizzazionedisfunzionale nel tessutotemporale della tardamodernità. Per esempio,comehanno sostenutoautoriquali Blumenberg (1996) oLübbe (1998), nel caso dellariproduzione culturale: ilpassaggio di norme e

conoscenze culturali da unagenerazione all’altra, chegarantisce una certa dose distabilità e continuità sociale,appare anch’esso come unprocesso che inevitabilmenteconsuma il tempo. Se ilmondo della vita vienedinamicizzatofinoalpuntoincui non c’è piú o c’èpochissima stabilitàintergenerazionale, legenerazioni vivono

virtualmente in «mondidiversi», minacciando untracollo della riproduzionesimbolica della società. Einfine, la capacità creativadella società di dare risposterealmenteinnovativeanuovecondizioni potrebberichiedere una quantitàconsiderevole di risorse ditempo «libere» o comunqueabbondanti, che permettanodi giocare, annoiarsi e

starsene a oziare, perderetempo o in ogni casoimpiegarlo apparentementemale. Potrebbe quindi essereproprio l’instancabile lottadella società moderna percambiare ed essereincessantemente inmovimento a minare la suacapacitàdi innovarsidavveroe adattarsi in modo creativo.In questo senso, sotto lasuperficie iperdinamica delle

società tardomoderne si puòscorgere una forma moltosolida di sclerotizzazione econgelamento.

Riassumendo: una criticafunzionalistadell’accelerazione socialesembra trovare una granquantità di sintomi dipotenziali patologie davelocità attraverso un’analisiapprofondita dei problemi edei processi di

(de)sincronizzazione a tutti ilivelli della vita sociale nellasocietàtardomoderna.

CapitolododicesimoLacriticanormativa:ideologiarivisitata.

Smascherarelenormesocialisegretedellatemporalità

Se ritorniamo ai «classici»della sociologia comeWeber,Simmel o Durkheim,

constatiamo che i padrifondatori della disciplina –cosícomeilorocolleghiEliase Foucault in tempi piúrecenti – erano tutticondizionati da una visionemolto confusa e persinoparadossale delle societàmoderne.Ilparadossoconcuicercavanodivenireapattièilseguente:daunlatolesocietàmoderne sono caratterizzatedaun aumento incredibile di

interdipendenza reciproca; lerelazioni sociali vengonotessute in reti moltocomplesse, incui le catenediinterazioneeinterdipendenzasi allungano sempre piú. Iprocessi di produzione edistribuzione, ma anche dieducazioneeintrattenimento,politicaediritto,coinvolgonoinnumerevoli individui eazioni e risultano da miriadidi decisioni separate

localmente e socialmente.Quindi il bisogno diregolamentazione ecoordinazionesociale–comedi sincronizzazione – èovviamente enorme e superadi gran lunga ilcorrispondente bisogno intutte le altre forme note diorganizzazione comunitaria.Perciò si sarebbe portati acredere che la vita sociale siastrettamente regolata e

controllata da norme socialied etiche molto severe, cheguidano il comportamentoindividuale inmodocosíbenaccordato che tutte quellecatene di interdipendenzesono chiuse e portano avantile loro operazioni senzarotture né interruzioni.Eppure non è questo ciò chetroviamo quando cirivolgiamo alla regolazionenormativa della società.

Semmaiilcontrario:lesocietàmoderne (non da ultimo nelloro stesso modo dipercepirsi) appaiono liberali,individualisticheeorientateaun codice etico restrittivo alminimo. In altre parole:individualismo,liberalizzazione epluralizzazione sono processiche corrispondonoall’aumento osservato diinterdipendenza e implicano

una netta diminuzione dellivello di regolazione moraledella società. Perciò gliindividui nelle societàmodernesisentonocomemaiin altra epoca «liberi»moralmente ed eticamente:nessuno dice loro che cosafare, in che cosa credere,comepensareo amare, comevivere, dove o con chi. Dallaprospettiva dell’ideologialiberale moderna e della

percezione che i singolihanno di sé, sembra chepraticamente non esistanorma sociale, religiosa oculturale che li vincoli; c’èuna gigantesca pluralità diconcezionidella vita buona eun’ampissimalibertàdisceltatra innumerevoli opzioni intuttelesferedellavita.Quindile società e gli individuimoderni si sentonogiustamente «troppo liberi».

Macom’èpossibile tuttociò?Comepossiamoesseretroppoliberi e al contempoeccessivamente coordinati,regolati e sincronizzati, edentrambe le cose a un livellomaivistoprima?

Inrealtànonèpoidifficiletrovare la soluzione a questoapparente paradosso dellamodernità. Perché dietroall’autopercezione oggidominante della libertà si

nascondeun’altra travolgenteconsapevolezza sociale chepuntanelladirezioneopposta.Gli individui, mentrepercepiscono se stessi comecompletamente liberi, sisentono anchecompletamente dominati daunaserieeccessivadirichiestesociali. In conformità albisogno osservato di una piústretta regolazione sociale, gliattoridellesocietàmodernesi

sentonosottopostiapressionie pretese eterogenee eincontrollabili come non èmai avvenuto in nessun’altrasocietà. Oserei dire che danessunapartealdifuoridellamodernità occidentale leazioni quotidiane sono cosíspesso giustificate dallaretorica del «dovere»:legittimiamo sempre ciò chestiamofacendoainostriocchie agli occhi degli altri

richiamandoci a qualcheistanza esterna: «devodavvero andare al lavoroadesso, devo finire dicompilare il modulo delleimposte, devo fare qualcosaper il mio fisico, devoimparare una linguastraniera, devo aggiornarel’hardwareoilsoftware,devostare al passo coi tempi». Lalista è infinita e si arriva acose come «devo

assolutamente fare qualcosaper rilassarmi, calmarmi estaccare un po’»; in casocontrario saremmocostantemente minacciati daun attacco di cuore,depressione e burn-out. «Lavitaquotidianaèdivenutaunmare che ci sommerge dirichieste», afferma Gergen(2000, p. 75); e Robinson eGodbey (1999, p. 33)confermano con le loro

ricerche l’impressione bennota che «ogni annodobbiamocorreresemprepiúin fretta per mantenere ilritmo».

Da quel che ho dettofinoradovrebbeesserechiarochetuttociòèlaconseguenzadella gara di accelerazioneguidata dalla competitività,checitieneprigionieridiunaruota da criceto che vasempre piú veloce e non si

ferma mai. Ma spiega anchecome le società modernesoddisfino il proprio bisognodicoordinazione, regolazionee sincronizzazione delle lorolunghissime catene didipendenza reciproca:implementando le normetemporali, con il dominio diorarie scadenze, ilpoteredelpoco preavviso edell’immediato e la logicadellagratificazioneereazione

istantanee. Queste norme –come molte norme moraliche conosciamo da altresocietà e culture – hannol’effetto principale diprodurre soggetti colpevoli:alla fine della giornata cisentiamo tutti in colpa,perché non abbiamosoddisfattoleaspettative.Nonsiamo mai in grado diarrivare alla fine della nostra«listadicoseda fare»,anzi la

distanza dal fondo diquell’ammasso di roba cresceogni giorno.Cosí, coloro cheinsegnano amanager ed élitead amministrare il tempo eun numero crescente di lifecoach riferiscono che unadelle sfide maggiori è quelladiaiutareiclientiadaccettareil fatto che non esaurirannomai la lista, non svuoterannomai l’account di postaelettronica e a interpretare

questo limite come qualcosadi normale e di sano. Ciòrichiama alla mente glipsicologi che lavorano con icomplessidicolpadipersoneche hanno ricevuto unasevera educazione religiosa.Le chiese sono state (permolti aspetti anchegiustamente) accusate persecolidiaverriempitolatestadei fedeli di sensi di colpa evergogna (mea culpa, mea

maxima culpa). Ci hannoperò anche fornito elementipersperareetrovaresollievo:ci hanno insegnato, prima ditutto,chesiamocolpevolipernaturaechequindinonèperuna nostra mancanzaindividualesesiamodebolie,in secondo luogo, che GesúCristo è morto per i nostripeccati: per quanto siamocolpevoli, c’è comunquesperanza. E infine, come ci

ricorda Weber, con l’istitutodella confessione edell’assoluzione la Chiesacattolicahaalmenofornitoalgregge un mezzo perrisollevarsidalsensodicolpa.Lasocietàmodernainveceno:produce soggetti che sisentono colpevoli senzaattenuazione e perdono.Dobbiamo pagare il prezzoper tutte lenostremancanze,e la massa crescente degli

esclusi dalla ruota del cricetoa causa della disoccupazioneci ricorda quanto alto possaesserequelprezzo.

Eppure queste normetemporali, sebbene siano lenorme dominanti dellasocietà–bastipensarealfattoche l’educazioneèquasi tuttaassimilazione di normetemporali: imparare arimandare il momento dellagratificazione, a rispettare

orari e ritmi, a resistere epersino ignorare i bisogni egli impulsi corporei finchénon arriva il «momentoopportuno»e,primaditutto,a sbrigarsi –, sono moltodiverse dalle normemorali ereligiose che conosciamo dalpassato e da altre culture:sebbene siano chiaramentecostrutti sociali, non sipresentano in una veste eticae neppure come norme

politiche,ma come fatti nudie crudi, come leggi dellanatura che non è possibilemettere in discussione econtrastare. Sembra che lenorme temporali sianosemplicemente «date» e agliindividui tocchi rispettarle omeno. Non c’è dibattitopolitico o morale sul poteredelle scadenze e i dettamidella velocità; e le normecorrispondenti lavorano

come una forza temporalesilenziosa e nascosta chepermetteallasocietàmodernadi pensare se stessa comequalcosa di privo di sanzionieminimamente restrittivo intermini etici. Il «linguaggiosilenzioso» del tempo, di cuiha parlato ormai qualchedecennio fa Edward T. Hall(1969),èabbastanzaefficienteda soddisfare l’enormebisognodiregoledellesocietà

moderne proprio perchérimane tale: silenzioso,inosservato, ideologicamenteindividualizzato enaturalizzato. Già solo perquesto le norme temporaliraggiungono una qualitàquasi totalitaria nella nostraepoca e soddisfano tutti equattro i criteri elencati nelcapitolo IX: a) esercitanopressioni sulla volontà e leazioni dei soggetti, b) è

impossibile sfuggire loro,ovvero tutti i soggetti sonosottoposti a esse, c) sonoonnipervasive, cioè la loroinfluenzanon è circoscritta asingoleareedellavitasociale,maatuttiisuoiaspettied)èdifficile o quasi impossibilecriticarle e combatterle. Perintraprendere una critica diquestenormesocialinascostedella temporalità bisognaallora partire da questo

punto: esse violano lapromessa di riflessività eautonomiacheèilcuoredellamodernità.

CapitolotredicesimoLacriticaetica1:

lapromessainfrantadellamodernità

Se«modernizzazione»puòdesignare un processo dicambiamento che evolve per

lo piú «alle spalle degli attorisociali» – cioè senza che essil’abbiano pianificato e lovogliano e, cosa ancora piúimportante, essendo piú unacausa che una conseguenzadei loro moventi e valori –,innegabileècomunque il suolegame intrinseco con un«progetto della modernità»intenzionale e assiologico.Questo progetto, nelle formericostruite da Jürgen

Habermas, ma anche daCharles Taylor nella suaoperaprincipale,Radicidell’io(1993),onelleconsiderazionidi Johann Arnason (2001), èchiaramente centrato suun’idea e promessa diautonomia nel senso diautodeterminazione etica.L’individuo non dovrebbepermettere che la sua vitavenga predeterminata dapoteri politici e religiosi che

agiscono alle sue spalle (re ochiesa), né da un ordinesociale che ne definisca apriori il posto nel mondo (ilmondo della famiglia, dellapolitica, del lavoro, arte,cultura, religione e cosí via).No, ladirezionedellapropriavitadovrebbeessere inmanoall’individuostesso.

Questa idea, ovviamente,implica e supporta i concettidi individualizzazione e

pluralizzazione e, come èdiventatoevidentenelrecentedibattito sul«comunitarismo», noncontraddiceilfattocheanchei soggetti «autonomi»necessitino di «reti diinterlocuzione» (Taylor),relazionifortiecomunitàpertrovare unmodo ragionevoledivivere.Comeci rammentaHabermas,vièquiunastrettaconnessione con l’idea

politica di partecipazionedemocratica e autogoverno:perché le «macrocondizioni»socio-economiche del nostroagire e vivere non possonoessere controllate dai singoliindividui e devono essereplasmate da una volontàpolitica, se non le si vuoleabbandonare a forze diaggregazione casuali e privedi controllo. L’idea diautonomia, come aveva già

capito Rousseau, può esserepreservata solo se lecondizioni di vita costruitesocialmente possono esserecomprese come il risultatodell’autogovernodemocratico.Inquestosenso,il progetto della modernità ènecessariamente un progettopolitico. Questo progettoimplica anche il desiderio dicontrollare le forze dellanatura: se è

l’autodeterminazione umanache deve plasmare la vita, lerestrizioni «cieche» impostedalla natura devono essereindividuate e rimosse conl’aiutodellascienzamoderna,della tecnologia,dell’educazione e diun’economia forte. Perciò lapromessa della modernitàaccompagna sempre ildesiderio di superare lerestrizioni a una vita

autodeterminata imposte dapovertàemancanzadimezzi,malattia e disabilità,ignoranza e tutte le forme dicondizioni naturali avverse.Anche la nostra aspirazionetutta tardomoderna aplasmare il corpo– il sessooil corredo genetico – seguesemplicemente l’impulsodella modernità e la suapromessadiautonomia.

A questo punto è

importanteosservare che taleprogettoèdiventatopossibilee plausibile soltanto nelcontesto di una società cheera già coinvolta in unprocesso di accelerazionesociale: l’autodeterminazioneindividuale ha senso solo inun mondo che si muovesecondo un ordine socialeontologicamente dato, in cuileclassieglistratisociali(eleautorità politiche e religiose)

sono definiti una volta pertutte e semplicemente siripetono da una generazioneall’altra. Il progetto dellamodernità guadagna inplausibilità e attrattiva con lanascitadell’energia «cinetica»della società, per cosí dire,ossia con l’avvento di unmutamentosocialeaccelerato.Allostessomodo,lanascitadiun’economia capitalistica,produttiva, forte e orientata

alla crescita, e il progressotecnologico e scientifico chel’ha accompagnata hannoprodotto le risorse necessarieper rendere credibile lapromessa di unariconfigurazione politica(redistributiva)dellasocietàedel potere discrezionaledell’individuo.

In breve: il processo dimodernizzazionedell’accelerazione sociale

(competitiva) e il progetto(etico) di autonomia eautodeterminazione si sono,almeno in principio,supportati a vicenda.Naturalmentelamodernitàinun certo senso non ha maimantenuto la promessa:moltissime persone, forse lamaggioranza,nonhannomaigoduto della possibilità dideterminare autonomamentela propria vita, impedite in

ciò dalle pressioni dicondizioni di lavoroeteronome.Questodiscorsosiapplica, a mio parere, nonsoloailavoratorisalariati,maanche ai datori di lavoro e aidirigenti: nessuno di loro hamai potuto controllare leregole del gioco, ma soloimparare a giocare bene. E il«grande compromesso» diaccettare l’eteronomia nellavita lavorativa per avere

l’autonomia in quellafamigliare non ha maifunzionato veramente, comehasottolineatoTaylor(1985).Ciononostante, il «sistemamoderno» di privatizzazioneetica, capitalismo economicoe politica democratica finoall’ultimo trentennio delNovecentoèriuscitoa«tenereinvita il sogno»: lapromessadi una «esistenza pacificata»,per usare la formulazione di

Marcuse, era credibile allaluce dell’attesa di unaconsistente crescitaeconomica, di progressotecnologico, occupazione pertutti, riduzione degli orari dilavoro e di uno stato socialein espansione. La storiapoteva ancora essereinterpretata come unmovimento verso unadirezione dove la battagliaeconomica (quotidiana), la

lottaperlasopravvivenzaelacompetizione socialeavrebberopersoilloropoteredecisivo sulla formaindividuale e collettiva dellanostra vita. Eppure, ilcapitalismoapparivacomeunsistema economicoculturalmenteaccettabilesoloalla luce della fermaconvinzione – propagata econdivisadaisuoisostenitori,da Adam Smith a Milton

Friedman – che il sistemasarebbediventato a tal puntoproduttivo e forte che gliesseri umani alla finesarebbero stati liberi diportare avanti i loro progettidi vita individuali, i lorosogni, valori e obiettivi senzalaminacciadella povertà, deldeclino e del fallimento apendere sulla loro testa.Accelerazioneecompetizionepotevano allora essere

interpretate come mezzi perraggiungere il finedell’autodeterminazione.

Come dovrebbe esserrisultato evidentedall’argomentazionesviluppata nei capitoliprecedenti, la mia tesi è chequesta promessa nella«società dell’accelerazione»tardomoderna non è piúcredibile. Gli individui nonpercepiscono piú la potenza

dell’accelerazione come unaforza liberatrice, bensí comeuna pressione che li rendeschiavi. Certo, per gli attorisociali, l’accelerazione èsempre stata entrambe lecose: una promessa e unanecessità. Nell’etàdell’industrializzazioneèstatasoprattuttounanecessità,maciònondimenohatraghettatonelXXsecoloilsuopotenzialeliberatorio. Oggi, in un XXI

secolo«globalizzato»eancoraagli inizi, la promessa haperso il suo potenziale e lapressione predomina a talpuntochel’ideadiautonomia(democratica) individuale ecollettiva è diventataanacronistica.

Come ho spiegato inprecedenza, si può intenderel’autonomia come promessadi definire obiettivi, valori,paradigmi e pratiche di vita

buona il piú possibileindipendenti da pressioni elimitazioni esterne. Lapromessa, inaltreparole,chela formadellanostra vita è ilrisultato delle nostreconvinzioni e aspirazioniculturali, filosofiche, sociali,ecologiche o religiose, e nondi pressioni «ciecamente»naturali, sociali oeconomiche. Perciò lamodernizzazionenelsensodi

accelerazione sociale eraintrinsecamente connessa alprogetto della modernità peril fatto che dinamiche socialiin crescita e l’aumentodell’energia cinetica dellasocietàservivanoa liberare lagente da queste pressioni: alivello individualeecollettivoquesta energia produceva lerisorse necessarie perrealizzare l’autonomia. Oggisi è scoperto che

l’accelerazione sociale è piúforte del progetto dellamodernità, mantenendosiinalteratamentrelasualogicasi rivolta contro la promessadi autonomia. Nello stadiotardomoderno–almenonellasocietà occidentale –l’accelerazione non assicurapiú le risorse chepermetterebberoall’individuodi realizzare i propri sogni,obiettivi e progetti di vita e

alla politica di realizzare unasocietà fondata sulle idee digiustizia, progresso,sostenibilità, ecc.; semmai siverifica l’esatto contrario:sogni, obiettivi, desideri eprogettidi vitadell’individuovengono utilizzati peralimentare la macchinadell’accelerazione.

Per i soggetti la sfidaprincipaleèdiventataguidaree plasmare la propria vita in

mododariuscirea«rimanereingara»,arestarecompetitivi,a non cadere dalla ruota. Inbase a questa logicacompetitiva si selezionanosempre piú persino lepratichereligiose, ilpartnerela famiglia, gli hobby e leregole per una vita sana. Lavelocità del cambiamentosociale e l’instabilità dellecondizioni di base rendonoconcretamente pericoloso

sviluppare e seguire un«progettodivita».Autonomianel senso di tener fede alleproprie aspirazioniindividuali anche contro lecircostanze è diventatoanacronistico,comeciricordaGergen: in un capitoloappropriatamente intitolatoFuori controllo egli descrivecon acume il passaggiodall’idea «vecchiomoderna»di autonomia al concetto

tardomodernodel«cavalcare»l’ondaconsuccesso:

Devo combattereincessantementecontrolamiatendenza modernista e benallenata a migliorarmi dicontinuo, ad avanzare,svilupparmi e accumulare.Lentamente sto imparando ilpiacere di rinunciare aldesiderio di avere tutto sottocontrollo. Si tratta della

differenza tra nuotare perraggiungere un determinatopunto nell’oceano – domare leonde per conseguire unobiettivo – e abbandonarsi inarmonia ai movimentiimprevedibilidelleonde 27.

Ciò naturalmente nonsignifica che gli individuidella tarda modernitàtendanoaesserepassivi:stareingararichiede lacapacitàdi

«saltare le onde» ogni voltachesipresentiun’opportunitàpromettente,ossia lacapacitàdi giudicare e riflettere.Tuttavia creatività,soggettività e passione nonsono piú al serviziodell’autonomia nel vecchiosenso «moderno», mavengono ora utilizzate permigliorare la nostracompetitività.Politicamenteèintanto diventato chiaro che

nonèpossibile sconfiggere lapovertà e la fame inun’economiacapitalistica.NelXXIsecololeriformepolitichenon hanno piú lo scopo dimigliorare le condizionisocialieplasmare lepolitichedigoverno inbaseaobiettiviculturali o sociali definitidemocraticamente. Lapoliticahainvececomeunicofine quello di mantenere orenderelesocietàcompetitive

e sostenerne le capacità diaccelerazione. Le riformesonoquindigiustificatecome«adattamenti necessari» abisogni strutturali. Ilcambiamento politico ègiustificatodallaminacciachealtrimenti – se nonabbassiamo le tasse opermettiamo l’ingegneriagenetica – saremo i primi acadere e a rimanere indietro,ricacciati in uno stato di

povertà e mancanza. Lapromessa dell’autonomiapolitica di dare forma allasocietà al di là dei bisognieconomicinonèaltrocheunpallido ricordo in questocontesto. Come ho spiegato,ciò dipende dal fatto che lalogica della competizione edell’accelerazione non hafreni e limiti interni: essamobilitaenergie individualiesociali immense,ma alla fine

lerisucchiacompletamente.Èlogico che il punto finale diquesto sviluppo non possaesserecheilsacrificiodituttele energie politiche eindividuali alla macchinadell’accelerazione dellacompetizione socio-economica simbolizzata dallaruota del criceto. Ciò, com’èovvio, corrisponde aun’eteronomia totale, a

un’inversione radicale dellapromessadellamodernità.

Comepossiamoverificare,o almeno rendere plausibile,latesideldivariocrescentetrail progetto dellamodernità –l’autonomia – e il livellotardomoderno diaccelerazione sociale? A mioparere condizioni in cui gliattori sociali sono ancorati aun’idea diautodeterminazione legata a

concezioni etiche, mentre lesuddette condizioni di fattominano la possibilità diseguire o realizzare a livellopratico quell’idea, portanonecessariamente a uno statodi alienazione. L’alienazione,vorrei qui suggerire, puòessere definitapreliminarmente come unostatoincuiisoggettiportanoavanti obiettivi e seguonopratiche che, da un lato,

nessun attore o fattoreesterno costringe loro arispettare – ci sono opzionialternative praticabili –, mache d’altro canto essi nonvogliono e non sostengono«veramente». Cosí cisentiamo alienati quandolavoriamo ogni giorno fino amezzanotte, senza chenessuno ci dica di farlo eanche se ciò che realmente«vorremmo»sarebbeandarea

casapresto(magaril’abbiamoanche promesso alla nostrafamiglia). L’alienazionecrescerà quandoperfezioneremo nuoveriforme dell’istruzione edell’economia o strategiemanageriali a cui non siamo«realmente» favorevoli, oquando licenzieremodipendenti in nome dimaggiori profitti e di unamaggiore competitività:

avevamo molti dubbi suirisultati e avremmo potutoagire diversamente, ma «inqualche modo abbiamodovuto agire cosí». Qualcosadi simile accade in politica:l’alienazione può crescere separtecipiamo a una guerrache «non ci sembragiustificata» (e che nonvogliamo «veramente»), odiamo il nostro sostegnoall’industria dell’automobile

contro ogni ragioneeconomica: ogni volta chefacciamo «volontariamente»qualcosache«nonvorremmorealmente fare». Se questostatopersiste,c’èilrischiochedimentichiamo(individualmente ecollettivamente) quello cheavremmo voluto «realmente»fare, anche se continuiamo apercepire un vago senso dieteronomia, sebbene manchi

la fonte di questa pressioneesterna. Nel prossimocapitolo voglio alloradelineare una teoria critica efenomenologiadell’accelerazionesociale.

27Gergen2000,p.XVIII;corsivomio.

CapitoloquattordicesimoLacriticaetica2:alienazione

rivisitata,ovveroperchél’accelerazionesociale

portaall’alienazione

Come tutti sappiamo, peril giovane Marx il sistemacapitalistico della produzione

risultava nell’alienazionedell’uomo dal suo agire(lavoro), dai suoi prodotti(cose),dallanatura,daglialtriesseri umani (il mondosociale) e infine da se stesso.Alla fine, suggeriva Marx, lamodernità capitalista avrebbeprodottocondizionisocialiincui i soggetti sarebbero statigravementelimitatinelle lororelazioni con «il mondo» esarebbero stati alienati dal

mondosoggettivo,oggettivoesociale.Ora, sappiamo anchequesto, il concetto o «verosignificato» della parola«alienazione» nel discorsosociale non è mai statounivoco e molti marxisticonservatorihannofinitoperrinunciare alla nozione(Schacht 1971; Jaeggi 2005).Allo stesso modo, i sociologiancoradiscutonosulfattocheil capitalismo davvero e

necessariamente crei tutte (oanche solo alcune di) questeproclamate forme dialienazione. Tuttavia, inquesto capitolo conclusivointendo presentare una tesicheriprendeinbuonaparteleargomentazioni di Marx:tenterò di mostrare chel’accelerazionesocialeimplicascavalcarecerticonfinialdilàdei quali gli esseri umanidivengono necessariamente

alienati non solo dal loroagire, dagli oggetti con cuilavorano e vivono, dallanatura, dal mondo sociale eda se stessi, ma anche daltempo e dallo spazio.Spostando l’analisi verso unaprospettivatemporale,lasceròapertaladomandaselalogicadel cambiamento temporalesia (puramente) economica ono. Come ho suggerito nellaprimapartedel saggio, credo

che le forze che guidanol’accelerazione sociale nellasocietà moderna sorpassinol’ambito del capitalismoeconomico, ma questaconvinzione non è essenzialeperlamiaargomentazione.Inchemodol’alienazionecresceattraverso la velocità?Esaminiamolo punto perpunto.

1.Alienazionedallospazio.

Come ho già spiegato, ilcuore del concetto dialienazionecheintendousarequi poggianella relazione trail sé e ilmondo: l’alienazioneindica una distorsionestrutturale profonda dellerelazioni tra il sé e ilmondo,dei modi in cui il soggetto èposto o «collocato» nelmondo. Ora, in quanto

soggetti con un corpo, gliesseri umani inevitabilmentefanno esperienza del mondocome un’entità spazialmenteestesaepercepisconosestessicome spazialmente collocati.Però, come hanno osservatoPaul Virilio (1998, 2000) emolti altri, nell’età della«globalizzazionedigitalizzata»la vicinanza fisica e quellasociale progressivamente siseparano: chi ci è vicino

socialmente non ha piúbisogno di esserci vicinoanchefisicamenteeviceversa.Allo stessomodo la rilevanzasociale è semprepiú separatadalla prossimità spaziale.Perciò per molti, se non pertuttiiprocessi,lacollocazioneopalcoscenicospazialenonèpiú rilevante e neppuredeterminabile.ComehadettoAnthony Giddens (1994), si

assisteauno«svincolamento»daltempoedallospazio.

Ora, tutto ciònon implicanecessariamente una«alienazionedallospazio»,mala rende possibile. Èinteressante,peresempio,chei direttori d’albergoriferiscanodicomecapitilorosempre piú spesso di doveraiutare gli ospiti che sirivolgono alla reception incerca di orientamento,

chiedendo in quale paese ecittà si trovano al momento.Per prendere «confidenza»con un determinato spazioterritoriale, per sentirci «acasa»inunmondospaziale,cioccorrono talune forme diintimità: il significato dellaparola tedescaHeimat indicasecondo me esattamentequesto, che siamo in intimitàcon un certo spazio,nonostante vi siano parti e

segmenti che non usiamo eche non ci servono. Similiforme di intimità econfidenza richiedono peròtempo per svilupparsi: se vimuovete e ricollocate dicontinuo, presto o tardiperderete la connessione conuncertospaziogeo-socialeinquanto tale: avete bisogno disapere dov’è il supermercatopiú vicino, il droghiere, lascuola, l’ufficio e la palestra,

ma gli spazi intermedirimangono «silenziosi» nelsenso dei «nonluoghi» diMarcAugé(1993):essinonciraccontano storie, non cirestituiscono ricordi, nonsono connessi alla nostraidentità. Ciò alla fine saràveroanchepermolti spazidiintimità, per esempiol’arredamentodellacucina:setenete lo stesso frigo o fornoper decenni, ne conoscerete

l’aspetto, l’odore, il suono,persino i limitie idifetti.Mase ne cambiate due all’anno,non vi interesseranno piú leloro caratteristicheindividuali: vi basterà saperecome quei dannatimarchingegni funzionano.L’accelerazione sociale creadunque maggiore mobilità edistacco dal nostro spaziofisico o materiale, ma

alimenta anche l’alienazionedaesso.

2.Alienazionedallecose.

Con ciò ci siamo giàspostati nello spazio dellecose. Il mondo delle cosecontiene almeno due tipi dioggetti: quelli cheproduciamo e quelli cheusiamo e consumiamo. Gli

esseri umani, vorreisostenere, almeno con alcunioggetti hanno rapporticostitutivi molto intimi (T.Habermas 1999). Quelli concuiviviamo,infatti,diventanoin qualche modo costitutividella nostra identità. I nostrirapporti con il mondo dellecose variano però con lavelocitàdeiritmidiricambio.Se tenete i calzini,l’automobile o la radiolina

portatile per decenni, oalmenoperanni;o,vedendolasotto un’altra prospettiva,presumetedi tenere l’auto, laradiolina o i calzini – o ilcomputero il telefono– finoachenonsarannoconsumatio si romperanno, è moltoprobabile che essi diventinouna parte di voi e, viceversa,che voi diventiate parte diloro. Un’auto che avete voistessi aggiustato, calzini che

avete voi stessi cucito, sonocose che vi appartengono dipiú e che assumono uncaratterepiúindividualizzato:in breve, le interiorizzate.Esse vengono «portatedentro»edesperiteintutteledimensioni sensoriali, eportano tracce della vostrapresenza.Diventanopartedelvostro vissuto quotidiano,della vostra identità e storia.Inquestosensol’iosiestende

nelmondomaterialeelecosedivengonoabitantidell’io.Peradottare la terminologia diTaylor (2009), si potrebbesostenere che l’io rimane inun certo senso «poroso»:gettare via queste cose è unattochetoccal’identità.

Ora, nelle societàdell’accelerazione le cosenonvengono piú riparate:possiamo facilmenteaumentare laproduzione,ma

non la conservazione e ilservizio. Riparare un oggettodiventamoltopiúcostosochefabbricarneunonuovo.Moltioggetti, inoltre, diventanotecnicamente sempre piúcomplessi e non siamo ingrado di ripararli da soli.Inoltre, con l’accelerazionedel cambiamento sociale il«consumomorale» delle coseprende il sopravvento suquello fisico: tendiamo a

buttar via e rimpiazzareautomobili, computer, vestitie telefonimolto prima che sisiano fisicamenteesauriti.E icalzini indossati due o trevolte appena, l’auto portatadalmeccanicoanchesolopercambiare una gomma e iltelefono cellulare in cui nonabbiamo mai neppureimpostato l’ora, di certo nondivengonopiúpartedinoi.Cirimangono «alieni». Ciò non

implica necessariamentealienazione, ma la determinase diviene per noi il modoprincipale o unico direlazionarci col mondo dellecose.

La mia tesi è proprio cheesso diventa il modoprincipale. Lo vediamosoprattutto nell’ambito dellanostra esperienza lavorativa.Quando acquistai il mioprimoPc, gli diedi unnome.

Ero sicuro che l’avrei tenutoconmepermoltissimotempoe cercavo di farci amicizia.Dare unnome alle cose è unsegno inequivocabile deltentativo di prendereconfidenza,diappropriarsene.Mi sentivo male all’idea didoverlo dare via perchéconsumato «moralmente».Ora non so piú neppure diche tipo sia il computer cheuso, che odore o che aspetto

abbiaoqualisuoniemetta,senonsonoinufficio.Enonmiinteressa quanto durerà. Lostessodicasidelmiocellularee del portatile. Qui succedequalcos’altro: mentre il miocellulare, il portatile o l’Ipoddiventanosemprepiúpotenti,la distanza tra noiinevitabilmente cresce. Nelmio vecchio portatile sapevocome impostare l’ora, nelnuovo no; non mi sono mai

preso il tempo di scoprirlo.Con le vecchie musicassette,sapevo come registrare unacanzone dalla radio, mentrecon le nuove tecnologie nonlo so fare. Nel vecchiocellulare sapevo comecambiare la suoneria, nelnuovono.

Cosí, se le cose diventanopiú sofisticate, iodiventopiústupido rispetto a esse: hoperso la mia conoscenza

pratica e culturale. Questa èuna conseguenza naturaledell’incessante svalutazionedell’esperienza attraversol’innovazione.Misentoanchealienato dalle cose che miappartengono, nel senso chemi sentomale perché non letratto nel modo giusto. Misento colpevole nei loroconfronti. Sono cosí preziosee intelligenti e io le trattocome un idiota. E tutto ciò,

purtroppo,non riguarda solol’hardware, ma anche ilsoftware. Conoscevo davverobene la vecchia versione diWord.Eroalcorrentediogniopzione, ogni trucco.Riuscivo a fare tutto ciò chemi serviva. Avevofamiliarizzato abbastanzabeneancheconilsistemaXP,sfruttandolo adeguatamenteper imieibisogniquotidiani.Nei confronti di Vista mi

sento invece un completoanalfabeta:nonsocomeusarei collegamenti, come inseriregrafici e tabelle, ecc.Detto inbreve: il nuovo software e iorimaniamo del tutto alieni, elo stesso capita con il mionuovoorologio,ilmionuovoIpod o il mio nuovomicroonde.

Ovviamente gli individuidel giorno d’oggi cercano dicompensare queste fastidiose

esperienze di alienazioneacquistando oggetti cari edesclusivi, come un vasoesotico,ungrandepianoforteo un telescopio di ultimagenerazione, pensati perdurare a lungo. Ma moltospesso non si raggiunge mailaporositàeinveceacrescereèilcomplessodicolpa:questecose costano cosí tanto e noiabbiamo cosí poco tempo eattenzione per loro. E cosí

viviamo, ci muoviamo elavoriamo in e attraversooggetti che ci rimangonoalieni.

2.Alienazionedalnostroagire.

Non c’è quindi dameravigliarsi se a un certopunto cominciamo a sentircialienati anche dalle nostre

stesseazioni.Seilcontrariodi«sentirsialienati»è«sentirsiacasa» (inun certo luogo, concerte persone o certe azioni),allora possiamo dire chemoltospessononcisentiamoa casa nel fare le cose chefacciamo. L’alienazionepotrebbe derivare qui da duecause. La prima è quella cheabbiamo appena discusso eche si lega a prodotti estrumenti tecnologici: nella

vita moderna abbiamocostantemente a che fare conun equipaggiamento e deglistrumenti – e con operazionida risolvere – che nonabbiamo mai realmenteimparato a maneggiare e dicui non ci siamo mairealmente appropriati. Cosí,anche se scrivo questo testocon ilmio nuovo netbook, ilcomputer fa cose strane: ilcursoreall’improvvisosaltain

avanti in modi per me deltutto misteriosi, creando unsensodi alienazioneanche inuna di quelle rare attività incui di solito mi sentocompletamente «amioagio»,scrivere un libro. StamattinahopresounaereodaViennaa Zurigo, ma senza sentirmimai del tutto sicuro delleprocedure e degli orari. Lostesso accade con il modulo

delleimposteealtriformularichedevocompilare.

Di solito l’alienazionenasce qui dal fatto che nontroviamo mai il tempo perinformarci realmente benesullecosechedobbiamofare.Ognimanuale,ognicontrattoche firmiamo (soprattutto inInternet) e ogni pillola cheinghiottiamo, inizianosempreconl’invitoa«leggereattentamente le seguenti

informazioni prima diprocedere»; ma noi nonleggiamo mai il manuale, ilcontratto e le condizioni diutilizzo o il fogliettoillustrativo (fino in fondo)prima di agire. Lo stessosovraccarico di informazioniè causa del nostro senso dialienazione (che la si vogliachiamare cosí o meno) nelmondomoderno.

Tutto questo si applica

nonsoloallepiccoledecisionie cose tecnologiche, maanche, e maggiormente, allegrandi decisioni della vita:pensate al neodiplomato chedeve scegliere a quale corsoiscriversi all’università. Ogniguida che consulterà gli daràlo stesso innocente consiglio:«Prima cerca di capire cosavuoi veramente e come puoifare per arrivarci. Poi studiacon attenzione i cataloghi e i

programmi delle universitàche offrono i corsi checerchi». Grande consiglio. Senon fosse che i ragazzi ancorpiú spesso degli adulti nonsannoesattamentedichecosahanno bisogno e che cosavogliono fare della loro vita.In secondo luogo, anche seoptanoperuncampodistudi,quale università offre ciò dicui hanno bisogno? E, terzo,non avranno mai abbastanza

tempo per studiare econfrontaretuttiiprogrammiofferti. Inevitabilmente,quindi, cominciano tutti conla coscienza sporca: silancianoinciòcheconosconoa metà, anche se avrebberodovutoepotutoinformarsiinmodo completo. Lo stessodicasi di quasi tutte ledecisionibasilaridellavita:visiete mai informati inmanieraesaustivasuchecosa

diceunareligionesuuncertotema, e quindi su qualereligione si adatta meglio aivostri bisogni e alle vostreconvinzioni 28? Siete sicuri divivere con il partner giusto?O, a livelli piú bassi: avetescelto la compagnia diassicurazioni migliore, ilconto in banca piúvantaggioso, il migliorefornitore di energia opensione integrativa (o

servizio di assistenza per ivostri genitori anziani)? O,ancormeno ambizioso: avetealmenofiducianelfattochelecondizionioffertedallavostraassicurazione, banca eclausola pensionistica sianobuone?Esenonècosí:comepotete «sentirvi a casa»quandotrattatequestecose?

Il lettore potrebbe peròsostenere che la tesidell’alienazione posta in

questi termini sia un po’stiracchiata e concordoanch’iochenonsitrattadellafonte principaledell’alienazione nel mondodelle azioni e delle pratichequotidiane moderne.All’inizio ho definitol’alienazione il sentimento di«nonvolererealmenteciòchestiamo facendo», anche se ilnostro atto dipende solo danoi, da una nostra libera

decisione e volontà.Immaginiamo un giornocometantial lavorooacasa:molto spesso accendiamo ilcomputer con la (migliore)intenzione di fare qualcosachereputiamodavveroutileeimportante e che vogliamoproprio fare. Per esempio, iooggi ho acceso il Pc perscrivere questo libro suaccelerazione e alienazione.(A dire il vero non so se è

realmente quello che vogliofare adesso – o se nonpreferirei per esempioascoltareilnuovoalbumdegliU2 che ho appena acquistato–masonoinritardodiquasidue anni nella consegna!)Però prima di mettermi ascrivere sono andatovelocemente a consultarealcunisitidiinformazione:hodato un’occhiata alla Cnn,cercato i risultati del

campionato di calcio tedescoeguardatounapagina con leultime novità di rockprogressivo.Ora,non sodirese volessi realmente navigarein questomodo – avevo unastrana sensazione mentre lofacevoequesto lievesensodimalcontento cresceva a ogninuovo «click» che facevo –perché non ho finito dileggere neppure uno degliarticoli. Certo potreste dire

che questo è un mioproblema,chehounavolontàdeboleechetuttoquestononha nulla a che fare construtturesocialialienanti.Be’,potreirisponderedicendochemilioni o miliardi dinavigatori in rete vivono lastessa esperienza alienante emalataechelamiadebolezzaindividuale c’entra quindiassai poco. Ma accetto ilrimprovero, per il momento.

Perché le cose peggioranonettamente con il passosuccessivo: controllo la miacasella di posta elettronica.Da quel momento, peralmeno 90 minuti, faccioqualcosa che non ho certovoglia di fare. Non c’èbisogno che scenda neidettagli, perché il lettore saesattamentedichecosaparlo:volevo scrivere il mio libro,invece mi sono messo a

spedire ogni tipo di file erisposta, e ho «contratto»un’intera serie dipreoccupazionieangoscecheprimanonavevo.Allafinemisono rimasti solo trentaminutiperillibro.

Comunque questa formadi distrazione da (edispersione di) quello che«davvero vogliamo fare» èosservabile non solo inriferimento ad attività legate

alla tecnologia. In quasi tuttigli ambiti, i dipendenti (e idatoridilavoro)silamentanoche il tempo realmentededicato al loro «mestiereprincipale»siriduce:imedicihannopoco tempoper i loropazienti, gli insegnanti peristruire ed educare, gliscienziatiperfarericerca,ecc.Alla fine la tesi che nonriusciamomai a faredavveroquello che volevamo poggia

sul fatto che, come hoosservatonellaprimapartediquesto saggio, la lista delle«cose da fare» cresce in ogniambito della vita di anno inanno.La«retoricadeldovere»esprimecongrandechiarezzaquesto sentimento diffuso dialienazione: tendiamo agiustificare qualsiasi cosafacciamo con scuse come«dovevopropriofarloadesso»(leggerelenotizie,aggiornare

il computer, compilare ilmodulo delle imposte,comprare nuovi vestiti e cosívia) e questo dimostra chesentiamo tali attività comeeteronome. Ciò corrispondestatisticamenteallamentochei ricercatori sentono fare dapersone di qualsiasi grupposociale inpraticamente tutti ipaesisviluppati:«nonhomaitrovato davvero il tempo perfare le cose chemi piacciono

di piú» 29. Cosa interessante,perché detta da persone chetrovano il tempo di guardarelaTv(onavigare inInternet)per tre e piú ore al giorno!Ora, naturalmente, potrestedire che, se è cosí, allora lepersonepreferisconodavveroguardare la Tv piuttosto chesvolgere le altre attività chedichiaranoinvecedipreferire(suonare il violino, fareun’escursione, andare a

trovare gli amici o andare ateatro a sentire un’opera diWagner).Manonècosí:datiraccolti in studi suisentimenti e i livelli disoddisfazione delle diverseattività suggeriscono conchiarezza che le personedavvero amano quelle altreattivitàpiúdiquantononcisiimpegnino. Il livello dipiacereedi soddisfazionenelguardare la Tv è di contro

eccezionalmente basso (cfr.Kubey e Csikszentmihalyi1990). Comunque vogliamointerpretare questo stranorisultato 30, il fatto è che lepersone, a quanto sembra, dirado «fanno quello chedavvero volevano»; alcontrario, si impegnano –senza che nessuno licostringa, ovviamente – inattivitàchenonamanomolto.Questo è un caso

paradigmatico di alienazionenel senso definito inprecedenza: le persone fannovolontariamente quello chenonvorrebbero«realmente».

Questa strana e in fondonuova forma di alienazionedalle nostre azioni risulta,secondo me, dalla logicaautopropellentedell’accelerazione e dellacompetizione. In un mondostrutturato da imperativi di

velocità, non solo siamoincoraggiati a cercarerealizzazioni a breve terminedei nostri desideri (guardarela Tv) piuttosto cheun’evoluzione a lungotermine di essi (suonare ilviolino); siamo anche spinti,come ho già spiegato, adacquistare «potenzialità» eopzionipiúchebeni,eciòpercompensare il consumo«reale» con acquisti sempre

piúfrequenti:nontroviamoiltempo di leggere I fratelliKaramazov, ma compriamoL’idiota di Dostoevskij. Nonci prendiamo il tempo perimparare a usare il nostrotelescopio (sarebbe unaperdita di tempo anchequesta: in quattro delle nottiin cui pensavamo di usare iltelescopio le nuvole copronoil cielo; la quinta notte ètroppofredda,nellasestanon

ci sentiamo bene; la settimatiriamofuori il telescopio–eci accorgiamo che èdifficilissimo persino trovarela luna in quel minuscolosegmento di cielo chevediamo attraverso la lente),macompriamounamacchinafotografica da fissare sullalente. Cosí le nostre forzepotenziali, opzioni epossibilità cresconoincessantemente, mentre le

nostre capacità reali o«realizzate» diminuisconoprogressivamente.Possediamo piú libri, Cd,Dvd, telescopi,pianofortichein passato, ma non li«digeriamo». Perché digerireè un’altra attività checonsuma tempo e noi cisentiamo sempre piúobbligati a risparmiarlo ecompensiamo il consumonon realizzato con nuovi

acquisti.Beneperl’economia,male per la vita buona – eovviamente un punto dipartenza eccellente perriconsiderare il concetto di«falsibisogni».

Allafine,però,tendiamoadimenticare quel che«davvero»volevamofareechidavvero volevamo diventare:siamo cosí dominati daltentativo di scalare la «listadelle cose da fare» e

impegnati in attività diconsumo da gratificazioneistantanea (come fareshopping o guardare la Tv)che perdiamo il senso dellecose che sono per noi«autentiche» e care. Perciò,come ha spiegato una voltaÖdön von Horvath, alla fineabbiamo la sensazione diessere qualcuno di moltodiverso e non abbiamo maitrovatoil tempodiesserenoi

stessi. Ciò introduce ad altredue forme di alienazione:quella da sé e quella, moltoparticolare,daltempo.Partiròdaquest’ultima.

4.Alienazionedaltempo.

Cometuttisappiamobene,mentre possiamo misurareoggettivamente il temposcandito dall’orologio,

l’esperienzadel tempo, la sua«durata interna» è unfenomeno molto sfuggente esoggettivo. Mezz’ora puòrisultare incredibilmentebreve o drammaticamentelunga, a seconda dellecircostanze e delle attività incui siamo coinvolti. In ognicaso, le ricerche empiriche cioffrono alcuni risultatiabbastanza sostanziosi (esorprendenti) sulla nostra

esperienzainternadeltempo.Anche ricorrendo alla nostraesperienza personale e allamemoriapossiamofacilmenteverificare il fenomenochiamato «il paradossosoggettivo del tempo». Essoindica che il tempodell’esperienza e il tempo delricordo possiedono qualitàinverse:sefatequalcosachevipiace veramente e ricevetemolte impressioni fresche,

intensee stimolanti, il tempopassadisolitomoltoinfretta.Ma se guardate indietro,verso sera, avretel’impressione che quella siastata una giornata moltolunga.Pensate,peresempio,aun viaggio di vacanza daStoccolma alla riviera ligure.Partite la mattina presto,prendete un traghetto e poil’aereo fino a Monaco diBaviera, fate un giretto della

città,sorvolateleAlpiepoi,lasera, vi godete un buon caffèseduti in un bar sulMediterraneo. Andando adormire, avrete l’impressionediesserepartitidaStoccolmaalmeno due o tre giorniprima. Ciò perché un tempo(breve) che passarapidamente si trasforma inuntempoesteso(lungo)nellamemoria. Ed è vero anchel’inverso. Pensate a una

giornata trascorsa in stazionead aspettare un trenoannoiandovi o in un ufficioperrisolverequalchefaccendaburocratica, magari conqualche ulteriore perdita ditempo se restate imbottigliatinel traffico.Mentreaspettate,il tempo sembramiracolosamente distendersi:vi sembrerà di essere statiseduti in macchina per ore,anche se alla fine le lancette

sarannoandateavantisíenodi dieci minuti. Quandoandrete a letto dopo unasimile giornata, avrete peròl’impressione di esserviappena alzati, come se ilgiorno si fossemiracolosamente dissolto «inun nulla». Il tempo lento elungo dell’esperienza si ètrasformatonellamemoria inun tempo molto breve (cfr.Flaherty1999).

Finoaquestopunto,nulladi particolarmente nuovo orivoluzionario. Ma è adessoche le cose si fannointeressanti: nel mondotardomodernodeimediapareche queste forme «classiche»di esperienza temporalelungo/breve e breve/lungovengano progressivamentesostituitedaunanuovaformadiesperienzache,edèlacosainteressante, segue lo schema

del «breve/breve»: pensate acosaaccadequandotornateacasa e decidete di fare«rapidamente» zapping tra icanalidellaTv.Andràafinirechelofareteperore,ochevilascerete catturare da unthriller,eancheinquelcasoiltempo passerà senza cheneppure ve ne accorgiate,esattamente come è accadutoconilviaggio.Epropriocomeconilviaggio,riceveretemolti

stimolie forse ilvostrocuorebatterà all’impazzata quandoall’angolodellaviacompareilkiller. Però, non appenaspegnerete la Tv, il temponon comincerà a estendersi(come col viaggio), bensí sitrasformeràquasiinunnulla.Quando andrete a letto, iltempo trascorso davanti allaTv sarà evaporato, comenell’esperienza lungo/breve;se la vostra giornata consiste

perlopiúnelguardarelaTv,visembreràdiesserviappenaalzati. Quindi, quello cheemerge è uno schemabreve/breve:iltempopassainfretta nell’esperienza, ma sicontraeanchenellamemoria.

Ora, se ciò accadesse solocon la Tv, non sarebbe nulladi che. Già sappiamo che loschermo televisivo ci faquesto strano effetto. Ma iosostengo che lo schema

breve/breve è molto piúcomunenelmondodellavitatardomoderno.Peresempiosiha un’esperienza identicanavigando in Internet ogiocando a (alcuni tipi di)videogiochi. Cerchiamo perunattimodicapire leragionidi questa inversioneesperienziale del tempo.Credoche ladifferenza tra laTveilviaggiosiaduplice:perprima cosa, il viaggio

coinvolgetuttiinostrisensi,èun’esperienza corporea sottotutti i punti di vista. Inveceguardare la Tv èun’esperienza«desensualizzata»: quasi nonmuoviamo la testa, tuttopassa davanti ai nostri occhida una prospettiva moltolimitata e non catturiamosensazioni con la pelle, ilnaso, ecc. In secondo luogo,la storia o le storie in cui ci

immergiamoguardandolaTv(ogiocandoaunvideogioco)sono decontestualizzate: nonhanno nulla a che fare conquello che siamo, con chisiamo, come ci sentiamo econ il resto della nostra vita.Non «rispondono» in modosensatoainostristatid’animoe alle nostre esperienze.Perciò,durantequelleattività,prendiamo parte a «episodiisolati» di azione e di

esperienza. Questi episodinon lasciano «traccemnestiche» nel nostrocervello: poiché non sonorilevantiperlanostravitaelanostra identità nel suocomplesso,enonaggiungononulla alle nostre esperienzepassate, tendiamo adimenticarceli subito (epossiamo permettercelo).Questa tendenza a cancellare(oanonlasciare)traccenella

memoria è una cosa moltoutile in una societàdell’accelerazione, dovel’esperienza è per lo piúanacronistica e inutile edobbiamo essere semprepronti ad affrontare il nuovoel’imprevisto.Masembrachesia la presenza o assenza ditraccemnestiche(profonde)adeterminare se il tempo ciapparebreveolungo.

Ora, se ciò è vero e

rilevante, abbiamo buoneragioniperdiagnosticareunatendenza generalizzata versouno schema breve/brevedell’esperienza temporaletardomoderna.Siamosemprepiú impegnati in attività econtesti completamenteisolati gli uni dagli altri.Magari andiamo in palestra,poi in un parco a tema, einfine al ristorante e alcinema, allo zoo, a una

conferenza, a un incontro dilavoro, al supermercato, ecc.Tuttequesteattivitàrisultanoepisodi isolati di azione edesperienza che non si leganotra loro in modo integrato edotato di senso. Alla fine cirammentiamoastentodiaverfattotuttoquesto.

Walter Benjamin avevaidentificato questa tendenzagià quasi un secolo fa. Intedesco egli poteva

distinguere tra Erlebnissen(cioèepisodidiesperienza)edErfahrungen (esperienze chelasciano un segno, che siconnettono alla nostraidentità o sono rilevanti peressa e per la nostra storia;esperienze che ci toccano ecambiano chi siamo). Esuggeriva che ci stavamoavvicinando a un’epoca riccadi Erlebnissen e povera diErfahrungen.Ciascunodinoi

può distinguerle facilmentenellapropriamemoria.ComespiegavaBenjamin,ciservono«souvenir», tracce mnesticheper ricordare i sempliciepisodidellavita,mentrenondimenticheremo mai leesperienze vere nel sensodelle Erfahrungen. Ora,continuaBenjamin,nonèuncaso che i turisti modernicerchino souvenir. Devoconfessare che io stesso,

molte volte, ho bisogno diconsultare lamia agenda persapere se sono stato o no inunacerta città (o conferenza,se è per questo). Non potreidirloricorrendosoloallamia«memoriainterna».

Quello che Benjamin nonpotevaprevedere,però, è cheanche i souvenir funzionanosolo se ci sono traccemnestiche «incise»,emozionalizzate. Di certo

vogliamoconservaresouvenire foto che ci ricordano ilnostroprimoamore,ilnostroprimo viaggio all’estero dasoli;macominciamoa esserestufi di tutti i souvenir e lefotografie che abbiamoraccolto negli anni. Essi nonci dicono piú nulla, cilasciano«freddi».Nonhannoil potere di destare in noialcunaemozione,perchénonsono altro che tracce esterne

di episodi di esperienza pernoi privi di significato.Dunque, come Benjaminpronosticava, diventiamosempre piú ricchi di episodidi esperienza,ma semprepiúpoveri di esperienze vissute.Ne consegue che il temposembra «sfuggir via daentrambeleestremità»:scorreveloce e scompare dallamemoria. Questa potrebbeaddirittura essere la

spiegazione chiave per lanostra percezionetardomoderna dell’elevatavelocità del tempo. Comeriscontrato già nel caso dellenostre azioni e dei nostrioggetti,quelchemancaquiè«l’appropriazionedeltempo»;dimentichiamo di fare deltempodellenostreesperienzeil «nostro» tempo, cosí gliepisodi dell’esperienza e iltempo dedicato a essi ci

restano alieni. Tuttavia, unamancanza di appropriazionedelle nostre azioni edesperienze non può cheportare a forme piú o menogravidialienazionedasé.

5.Alienazionedaséedaglialtri.

In un certo sensol’accelerazione conduce

direttamente alladisintegrazione e all’erosionedelle nostre relazioni sociali:non riusciamo a integrare gliepisodi delle nostre azioni edella nostra esperienza (edegli oggetti che acquisiamo)nellatotalitàdiun’esistenzaediconseguenzasiamosemprepiú staccati e sganciati daltempo e dallo spazio dellanostravita,dallenostreazioniedesperienzeedallecosecon

cui lavoriamo e viviamo.Come ha illustrato in modoconvincenteKennethGergen,l’io tardomoderno incontracosí tante altre persone (perstrada,al telefono,viae-mail,ecc.) in un tempo cosí brevedafinirepersentirsi«saturo»:

Nella società dei contattiimmediati il ventaglio dellepersone con cui si avevanorapporti era piú o meno

stabile. Si verificavanocambiamentiacausadinascitee morti, ma spostarsi da unacittà a un’altra – per nonparlarediregioneostato–eradifficile.Ilnumerodirelazionimantenute oggi si pone inforte contrasto con tuttoquesto.Contando i famigliari,il telegiornale del mattino, laradio ascoltata in auto, icolleghi sul treno e i giornalilocali, l’uomo medio nelle

primedueoredellagiornatasitrova di fronte a cosí tantepersone (in termini diimmagini) quante il suopredecessore in un mondobasato sulla comunitàincontrava in un mese(Gergen2000,p.62).

Per mezzo delle tecnologiedel secolo, il numero e lavarietà di relazioni in cuisiamo coinvolti, la frequenza

potenziale dei contatti,l’intensità espressa dellarelazioneeladurataneltemposono andate costantementecrescendo. Quando questacrescita diviene estrema,raggiungiamo un effetto disaturazione(ibid.,p.61).

Come risultato, diventastrutturalmente improbabilecheci«relazioniamo»davverogli uni con gli altri. Se avete

poco tempo, sarete forsedisposti a scambiareinformazioni con altri ecooperareconlorointerminipiú o meno strumentali, mal’ultima cosa che vorrete fareèascoltare la storiadella lorovita o i loro problemipersonali. Andiamo a berequalcosa,sí,masenzacercaredi andare sul personale e distabilire relazioni profondenel senso di veri «assi di

risonanza» (Taylor 2009).Queste cose richiedonotempo per essere costruite esono dolorose da sciogliere,entrambi fattori problematiciin un mondo di incontri dibrevedurata.

Che l’alienazione da sépossa rappresentare alloraunpericolo imminente per lasocietà tardomodernadell’accelerazione è quasievidente da quello che

abbiamo detto finora. Sesiamo alienati dallo spazio edaltempo,dallenostreazionied esperienze, dalle altrepersoneedalnostrorapportocon loro, è molto difficileevitare un senso di profondaalienazione da noi stessi.Perché, come hanno espostoin maniera convincenteCharles Taylor e altriesponenti del cosiddettocomunitarismo liberale (e

molti altri prima di loro), ilnostro senso dell’io nascedallenostreazioni,esperienzee relazioni, dal modo in cuisiamo collocati (e cicollochiamo) nel mondosociale e spazio-temporale enel mondo delle cose (cfr.Rosa 1998 e 2005a, pp. 352sgg.). Tutti gli episodi delnostro agire e della nostraesperienza, tutte le opzioniche abbiamo, le persone che

conosciamo e gli oggetti cheacquisiamo sono il materialegrezzo per molte narrazionipossibili di noi stessi, permolte storie che potremmoscegliereperdefinirelanostraidentità. Nessuna di questestorie sembra peròconclusiva, perché nessuna èveramente appropriata. (Nonc’è da stupirsi, quindi, sesiamo poco propensi adascoltarelestoriedellavitadi

altre persone…)Chi siamo ecomecisentiamodipendedaicontestiincuicimuoviamoesembra che non siamo piúcapaci di integrare queicontesti nella nostraesperienza e azione. Ciò puòfacilmente portare a un«esaurimento dell’io» opersino a burn-out edepressione, come suggerisceEhrenberg (1999; cfr. Rosa2005a, pp. 388-89). Se è

«l’importanzadiciòchecistaa cuore» che costituisce lanostra identità (Frankfurt1988), la perdita di un similesenso, di una gerarchiapersistente di rilevanza edirezione, non può cheportare a una distorsione nelrapporto con il nostro io.L’alienazione dal mondo el’alienazione da sé non sonodue cose separate, ma duefacce della stessa medaglia.

Esse persistono quando gli«assidirisonanza»tral’ioeilmondodivengonosilenziosi.

28 Sono perfettamente consciodel fattochenonèquesto ilmodoincuiicredentiriflettonosullalororeligione. Essi non scelgono unDio, bensí vengono scelti da (un)Dio. Da questo punto di vista le

relazioni religiose rimangono inrealtà«premoderne».

29 Per una prova statistica sivedaRosa2005a,pp.213-35.

30 Per un tentativo diinterpretazione si veda ibid., pp.222sgg.

Conclusione

Questo saggio, com’èovvio, ha presentato unresocontomoltounilaterale e

parziale della vitatardomoderna. Ha dicontinuo sottolineato ipericoli e le trappole esorvolato sui vantaggi e leopportunità della velocità.Inoltre l’idea centraledell’alienazione è ancoraconcettualmente confusa efilosoficamentesottosviluppata. In ogni caso,l’esercizio non aveva lapretesa di arrivare a una

nuova e compiuta versionedella teoria critica, ma discavareilterrenoederigerelefondamenta per essa sottodue punti di vista: prima ditutto,sperodiaverconvintoillettore del fatto che ci siabisognodiun’analisiediunacriticaonnicomprensivadellestrutture temporali dellasocietà (tardo)moderna. Insecondo luogo, era miaintenzione dimostrare la

possibilità di reintrodurre ilconcetto di alienazioneall’interno della teoria criticacontemporanea. Questareintroduzione può essereottenuta, credo, senzaricadere in concezioniessenzialiste della natura odell’essenza umana. Ciò dacui siamo alienati per effettodei dettami della velocità, hoargomentato, non è il nostroessere interiore

immodificabile e inalienabile,bensí la nostra capacità diappropriazionedelmondo.

Se,peresempio,èverochein quanto cittadini-consumatori tardomodernitentiamo di riparare allamancanza di appropriazionecon acquisti sempre piúnumerosi e una confusionetraconsumoeacquisto,allorapotremmo avere una basenon paternalistica e non

perfezionista per una criticacontemporaneadell’alienazione e dei falsibisogni.Nonsitrattadelfattoche il teorico sociale ha unamisteriosa conoscenza dei«nostri» veri bisogni, mapiuttosto che il soggetto-consumatorestessomanifestaforme di insoddisfazione ecompensazione che possonoessere analizzate, tra altre,attraverso un’attenta

introspezione. Inoltre, talecritica dell’«alienazionecausata dal tempo» non hacomepresupposto ilconcettofuorviantediuna soggettivitàlibera da tensioni, conflitti eseparazioni intrinseche.Come hanno esposto inmaniera convincente i criticidell’idea di una «veraautenticità», da HelmutPlessner a Adorno fino aipoststrutturalisti

contemporanei, possonoesistere ben pochi dubbi sulfattochequalsiasitentativodieliminazione politica eculturale dell’alienazioneporta a forme totalitarie difilosofia,culturaepoliticaeaforme autoritarie dipersonalità.

Certo, la soggettivitàumana è inevitabilmentedecentrata, spaccata, piena ditensioniedefinitadaconflitti

insolubili tra desideri evalutazioni. A ogni modo, idettami tardomoderni divelocità, competizione escadenzecreanoduedilemmichegiustificano il verdettodiuna nuova forma dialienazione degna di criticasociale: in primo luogo, talidettamirisultanoinschemidicomportamento edesperienza che, come hotentato di dimostrare, non

sono creati dall’una odall’altra serie di valori edesideri, ma restano davvero«alieni» ai soggetti. Insecondoluogo,alcontrariodialtri tipi di regimi socio-culturali come la Chiesacattolica, il contestotardomodernonon offre ideeo istituzioni di potenziale«riconciliazione»: tutti gliinsuccessi e i difetti ricadonosugli individui. Una

conseguenza di ciò è che isoggetti in contestitardomoderniadaltavelocitàsono sempre meno in gradodi riconciliare e allineare idifferenti orizzonti temporalidella propria vita: schemi,strutture, orizzonti easpettativedellenostreazioniquotidiane,perquantosiamocapacidipadroneggiarli,sonosempre piú divisi dalleaspettative e dagli orizzonti

che sviluppiamo per la vitanel suo insieme, dallaprospettiva temporale delnostro piano di vita; inoltre,come ho tentato diargomentare, manchiamo diun senso di connessionesignificativo tra le struttureindividuali del tempo e ilnostro posto nel tempostorico (figuriamocicosmologico).

Pertanto, una critica delle

strutture temporali dellasocietà, dei suoi motori diaccelerazione e delle sueconseguenze alienanti è, amio modo di vedere, ilcandidato piú promettenteper un possibile futuro dellateoria critica. Potrebbepersino sembrare l’unicaopzione razionalmentedisponibile inunmondo cheèdiventato troppoveloceperun’analisiscrupolosadellesue

caratteristiche. Che ilmondosembri troppo sfuggente,tanto per una progettazionepolitica quanto per laricostruzione razionale el’appropriazioneepistemologica, amioparere,nonè la causama il risultatodiun’alienazioneilcuinucleoè una completa distorsione(temporale) della relazionetardomoderna tra l’io e ilmondo.

Per i soggettitardomoderni, il mondo(incluso l’io), è diventatosilenzioso, freddo,indifferente o addiritturaripugnante.Ciò,comunque,èindice di una forma dialienazione totale se la«responsività» nella relazionetra sé e il mondo è l’ esattocontrario dell’alienazione.Quello di cui abbiamobisogno, com’è ovvio, è un

resoconto completo di qualeaspetto possa avere una vitanonalienata.Perilmomento,non possiedo nemmeno unabozza di tale resoconto. Aogni modo, sono convintocheil«silenzio»delmondo,la«sordità»nellarelazionetrasée mondo sia lapreoccupazione piúpersistente e piú minacciosain tutte le diagnosi di«patologia» reperibili nelle

analisi di critica sociale dellamodernità: l’idea che non sipossafaraltrosenonurlareavuoto nel mondo e aspettareuna risposta che potremmonon ricevere mai non èsoltanto la radice dellenarrazioni esistenzialistedell’assurdo, come inCamus,ma costituisce il nucleocentrale del concetto dialienazione del primo Marx,della preoccupazione di

Weber per il disincanto,dell’analisi dell’anomia diDurkheim, della narrazionedellareificazionediLukács(eMarcuse e Honneth) e dellapaura del dominio completodella ragione strumentale diAdornoeHorkheimer.

Mimesi, l’antidoto diAdorno, è, a mio parere,definito proprio dallacontroidea di un approccioreciproco «responsivo» tra sé

e mondo. Fino a oggi, nellastoria dell’uomo occidentale,sembranoesistereduegrandiforme culturali, o sistemi, ingrado di rendere il mondo«responsivo»:lareligione,checoncede l’esistenza di una opiú divinità «responsive», el’arte – la poesia e,innanzitutto,lamusica–che,nella definizione deiromantici, sveglia ilmondoelo invita a reagire con il

canto 31. Pertanto, è possibileche il «ritorno alla religione»tardomoderno, cosí comel’aspetto peculiare della«musicalizzazione»onnipervasiva della vitaquotidiana – non c’èsupermercato, ascensore oaeroporto che sia privo dimusica; eunnumero sempremaggioredipersoneinluoghipubblici che sembranosollecitare l’esperienza di

«autorisonanza» con gliauricolari,mentrenellostessomomento, per il semplicefatto di farlo, dimostranocompletanonrisonanzaperenei confronti dell’ambiente –sono infatti sintomi di undisastro di risonanzatardomoderno.

Da questo, mi pare,consegue l’idea che una «vitabuona» in fin dei contipotrebbeessereunavitaricca

di esperienzemultidimensionali di«risonanza»; una vita chevibra lungodistinguibili«assidi risonanza», per usareun’ultima volta il termine diTaylor. Quegli assi possonoevolversi in una relazione trailsoggettoeilmondosociale,il mondo degli oggetti, lanatura, il lavoro, ecc.Risonanza in questo senso di«altro dall’alienazione» è,

com’è ovvio, un concettoesistenzialista o emotivopiuttostochecognitivo:cheilmondo risuoni con noioppureno,nonparedipendamolto dal contenutocognitivo della nostraconcettualizzazione dellarelazione tra sé e mondo. Alcontrario,ilfattoditrovareomeno plausibili o attraenti lestorie su un Dio benigno ouna «piú profonda» natura

incantata dipende con ogniprobabilitàdalnostro «esserenel mondo» precognitivo: sepercepiamo questo mondocomepocoallettante,freddoeindifferente, quelle storiegodono di poca credibilità.Nondimeno,èpiuttostoovviochelestrutturecognitivedellanostraconcezionedell’ioedelmondo abbiano una certainfluenza anchesull’esperienza che abbiamo

del mondo. Se credete, peresempio, che Satana siasempre in agguato dietrol’angolo, potreste iniziare apercepire il mondo come unluogoostile.Esecredetenelleteoriedellasceltarazionale,lequali sostengono che l’unicoobiettivo degli esseri umanisia soddisfare (in manierastrumentale) le propriepreferenze e funzioni-utilità,non dovreste sorprendervi di

trovare il mondoestremamente«silenzioso».

Tutto ciò, è chiaro, inquesto momento è meraspeculazione. Speculazioneche tuttavia ritengoabbastanza interessante dastimolare ulteriori ricerchenel campo della teoria criticadell’accelerazione edell’alienazione.

31 «Schläft ein Lied in allenDingen, |dieda träumen fortundfort, | und die Welt hebt an zusingen, | triffst Du nur dasZauberwort»(«Dormeuncantointutte le cose, che sognano esognano, e il mondo inizia acantaresetrovilaparolamagica»).Questo breve testo di JosephFreiherr von Eichendorff èprobabilmente la poesia piúparadigmatica (epiúspessocitata)delromanticismotedesco.

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L

Il libro

A VITA MODERNA È

in costanteaccelerazione. Glistrumenti che ci

permettono di risparmiaretempo hanno ormairaggiunto un enorme livellodi sviluppo grazie alletecnologie di produzione ecomunicazione, eppurel’impressione di non avereabbastanza tempononèmaistata cosí diffusa. In tutte lesocietàoccidentali,lepersonesoffrono della mancanza ditempoesisentonoindoveredi correre ancora piú in

fretta, non tanto perraggiungereunobiettivo,mapernonperdereposizioni.Questolibroesaminalecausee gli effetti dei processi diaccelerazione della nostraepoca individuandone treaspetti, tecnico, sociale eindividuale. Secondo Rosal’insiemeditaliprocessiportaa gravi forme di patologiasocialelegatealrapportoconiltempoelospazio,lecosee

leazioni,lapercezionediséedegli altri. Subendo lapressione di un ritmoinesorabile, ognuno di noiaffronta il mondo senzaessere in grado di contenerequella coazione impersonalealla velocità e allacompetizione che non èseparabile da disagio einsoddisfazione.L’accelerazione è diventatainsomma una «potenza» che

dominainmodototalitariolasocietàmoderna.Essadivorai nostri «sogni, obiettivi,desideri e progetti di vita»stritolandoli entro gliingranaggi del suoinarrestabile movimento.Cosa possiamo fare perriappropriarcidimomentidiesperienza umana nonalienata, di «buona vita»conforme alle nostreaspirazioni e desideri piú

veri?

Sommario:Introduzione. Parte prima.Una teoria dell’accelerazionesociale. Parte seconda.L’accelerazione sociale e leversioni contemporanee dellateoria critica. Parte terza.Lineamenti per una teoriacritica dell’accelerazionesociale. – Conclusione. –Bibliografia.

L’autore

Hartmut Rosa (1965)insegna Sociologia eScienze politicheall’Università Friedrich

Schiller di Jena e dirige ilMax-Weber-Kolleg aErfurt. Tra le suepubblicazioni ricordiamo:Beschleunigung. DieVeränderung derZeitstrukturen in derModerne (SuhrkampVerlag, 2005) e ha curato,conW.Scheuerman,High-Speed Society: SocialAcceleration, Power andModernity (Pennsylvania

State University Press,2008).

TitolooriginaleAlienationandAcceleration:TowardsaCritical

TheoryofLate-ModernTemporality

OriginalEnglishEditionpublishedin2010byNSUPress.Germantranslationpublishedin2014bySuhrkampVerlagunder

thetitleBeschleunigungundEntfremdung.

©2013SuhrkampVerlag,Berlin©2015GiulioEinaudieditore

s.p.a.,TorinoIncopertina:CyrilEdward

Power,TheVortex,incisionesulinoleum,1931.Collezione

privata.(Foto©OsborneSamuelLtd,London/BridgemanImages

/MondadoriPortfolio).

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EbookISBN9788858419250