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Page 1: Viva l’errore · andasse in stampa. L’occhio cadde subito su un’accostata per retromarcia, anziché per contromarcia, di una divisione di in-crociatori. Raccontare in questa

risulta dal credito di firma. L’immagine, ineffetti, è insolita ed inedita, ma l’unicocommento che i lettori del nostro mensile(molti dei quali sono stati imbarcati pro-prio su quelle navi) potranno formulare è,inevitabilmente, quello delle vecchie bar-zellette della “Settimana enigmistica”,ovvero: “Senza parole”. Concludiamo con un’ultima osservazione,questa volta di segno opposto. Durante glianni Novanta apparve un altro libro, sem-pre in inglese, relativo alle vicende aerona-vali nel Mediterraneo. L’editore, britannico,si assunse l’onere di procurarsi le immagi-ni necessarie, pagandole a caro prezzo, at-tingendo alla prestigiosa raccolta custodi-ta dall’Imperial War Museum di Londra. Ineffetti il corredo fotografico in parola siapre con una bella immagine, nella paginaprecedente (Foto B), che ritrae, da un’an-golazione non comune, le navi da battagliaWarspite, Royal Sovereign e Resolution incompagnia della portaerei Illustrious. Sullaqualità dell’istantanea, eccellente, non c’èniente da dire. Sul fatto che tutte le unitàmaggiori in questione abbiano partecipatoalla guerra nel Mediterraneo idem. Il pro-blema è che quei bastimenti non hanno

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mai navigato insieme nello spazio compre-so tra Gibilterra e Suez. Quella foto è statainfatti scattata nell’Oceano Indiano e rap-presenta, in realtà, un documento unicopoiché fu presa in occasione della ritirataprecipitosa intrapresa da quella squadraall’apparire, nell’aprile 1942, di una flottanipponica oltre Singapore. Dopo aver per-so una portaerei, due incrociatori e svaria-to altro naviglio minore e mercantile, i bri-tannici si rifugiarono nell’ancoraggio di Ki-lindini, nel Kenya, rimanendo laggiù perquasi due anni. Ancora oggi le storie dellaRoyal Navy si vergognano assai di quellavicenda, tanto da relegarla regolarmentein poche righe di nota, scritte rigorosamen-te in caratteri piccolissimi evitando, nelcontempo, di illustrarla in omaggio al con-cetto: niente immagini, niente di fatto.Ancora una volta, pertanto, l’errore hacolpito sia pure, questa volta, con effettibenefici nei confronti della storia. Accet-tiamo, pertanto, di buon grado la presen-za, inevitabile, degli errori. Sono, in fin deiconti, compagni di viaggio bizzarri, ma tal-volta preziosi, oltre che fonti inesauribili dibuon umore.

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La presenza, a sua volta, apparsa clamo-rosamente lo scorso anno, nelle pagine diuna pregevole ristampa di un famoso librosulla storia della Marina italiana durantela seconda guerra mondiale, di un incro-ciatore lanciamissili in mezzo alle istanta-nee di diverse corazzate della Regia Mari-na rappresenta, per contro, un peccatoveniale. In fin dei conti ci sono stati (e cisono) tanti di quei Doria e Duilio, che edi-tori e curatori, non essendo tenuti, perlegge, a verificare il contenuto delle pro-prie opere, possono tranquillamenteconfonderli, anche se sarebbe bello che,di tanto in tanto, si tratti di floricoltura odella Targa Florio, interpellassero un com-petente prima del classico “visto si stam-pi”, ormai contratto quasi dappertutto auno sbrigativo “si stampi” e basta. Un po’più grave è, casomai, la foto ripro-dotta in questa pagina (Foto A) e tratta daun volume inglese di qualche anno fa de-dicato alla Marina italiana degli anniTrenta. Sputasentenze come pochi, il te-sto in parola propose al lettore un’imma-gine della squadra italiana fatta saltarefuori, alla fine, grazie alla cortesia dell’Uf-ficio Storico della Marina Militare, come

D ata la natura serena e non accade-mica di queste pagine è possibiletoccare, di tanto in tanto, anche ar-

gomenti leggeri, se non addirittura frivoli.Uno di questi è senz’altro l’errore: nemicoinsidioso e sempre in agguato, tanto nel-l’ambito della storia navale quanto inqualsiasi attività o interesse umano. Lecause degli errori sono infinite, al pari del-le loro categorie. Tra le tante spiccano,tuttavia, quelle legate ai refusi tipograficie alle grafie errate, oltre che all’ignoranzadelle lingue straniere o morte e alle pure esemplici fesserie.L’avvento dell’elettronica ha peraltro com-plicato ulteriormente le cose. Chi scriveriuscì, una ventina d’anni fa, per un bene-volo caso della sorte, a ottenere da un edi-tore la copia della bozza di un proprio arti-colo, uno dei primissimi, subito prima cheandasse in stampa. L’occhio cadde subitosu un’accostata per retromarcia, anzichéper contromarcia, di una divisione di in-crociatori. Raccontare in questa sede ilmio successivo dialogo telefonico sur-reale con una gentile redattrice digiuna di

nautica, ma incrollabile nelle fede nutritanei confronti del proprio correttore auto-matico inserito nel computer, sarebbespassoso, ma inutile. Il povero autore, alleprime armi e destinato ad essere distruttoper sempre dall’arcigno ambiente dellastoria navale nostrana se una cosa delgenere fosse apparsa nero su bianco, riu-scì, alla fine, a spuntarla, ma confessoche quella volta me la vidi proprio brutta.Celebre, per contro, fu l’accesso d’ira fu-nesta che un celebre e assai pompato au-tore manifestò, oltre trent’anni fa, negli uf-fici di un noto mensile, oggi defunto, neiconfronti di un giovane redattore in provadestinato, in seguito, a una bella carrieraletteraria ed universitaria. Incaricato di il-lustrare un pezzo, velenosissimo, nei con-fronti dei vertici della Marina italiana diogni età il poveretto, tradito dal colore bludella divisa, aveva pubblicato in aperturadel pezzo una fotografia del “GeneraleBenedetto Brin”. Per colmo di scalognaquell’episodio, irrimediabile essendo giàuscita la rivista e contestato vivacementeall’apprendista, era l’ultimo di una serie di

sfortunate coincidenze che rischiavanodi far traboccare definitivamente il vaso adanno di quel disgraziato, oltretutto concarico di famiglia. In seguito a una felicecoincidenza, tuttavia, Franco Bandini,mio amico e maestro nonché collaborato-re della stessa testata, udì gli strilli e in-tervenne tempo un attimo da par suospiegando al direttore che BenedettoBrin era, in effetti, un generale del GenioNavale e che pertanto l’incolpevole re-dattore non aveva fatto altro che riporta-re, diligentemente, l’annotazione, corret-ta, vergata a matita dietro la fotografia.Tutto andò a finire a tarallucci e vino eciascuno proseguì per la propria strada.In realtà il redattore, accuratamente di-giuno di cose militari, aveva sbagliatotout court e l’annotazione sul retro dellafoto, scritta imitando gli svolazzi della cal-ligrafia del tempo, l’aveva fatta di pugnolo stesso Bandini allo scopo di tagliarepreventivamente la testa al toro. Il fattopoi che Brin fosse davvero un Generale(GN) era, a sua volta, soltanto una felicecoincidenza sul genere, per intenderci,del celebre miracolo di Santa Elisabettad’Ungheria.

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Verbigrazia... pensieri in libertà, con licenza de’ Superiori e privilegio

Viva l’erroredi Enrico CernuschiSocio del Gruppo di Savona

Foto B

Foto A