Il carbone nella storia del progresso umano
La storia del carbone inizia nell’era primitiva quando veniva impiegato per scopi di riscaldamento e si snoda
nei tempi antichi sino a noi segnando in modo evidente la storia dello sviluppo umano.
Alcuni storici ritengono che il carbone fosse addirittura usato e commercializzato in Cina migliaia di anni fa;
ci sono prove dell’esistenza di una miniera di carbone nella zona nord-est della Cina, che pare fornisse
materia prima per la fusione del rame e per coniare le monete intorno al 1000 a.C.
Il primo riferimento storico che ci è pervenuto sul carbone in Occidente appartiene al greco Teofrasto. I
greci lo utilizzavano in polvere e mischiato al vino per curare il mal di denti !
Alcuni archeologi hanno trovato tracce di utilizzo del carbone in epoca romana in Inghilterra risalenti al 400
d.C.: pare che esso fosse utilizzato non solo per scopi di riscaldamento ma anche per creare monili e
ornamenti di vario genere dato il suo colore nero lucente.
Nel tardo Medioevo il carbone era usato nelle officine dei fabbri, ed inoltre per produrre calce, sale e
persino birra (per esempio in Inghilterra). Questo combustibile forniva quel minimo di energia necessaria
alla vita domestica e all’esigua produzione industriale.
In realtà il carbone acquisisce importanza intorno al 1750, con la Rivoluzione Industriale, durante la quale
diviene la fonte energetica predominante. La crescita della sua produzione, che è di 20 volte tra il 1850 e il
1914, segue parallelamente lo sviluppo dell’industrializzazione, non soltanto in Inghilterra (cuore di questo
processo storico senza precedenti) ma anche in Europa, per poi giungere in tutti gli altri continenti.
È grazie all’ampia disponibilità di carbone che l’invenzione della macchina a vapore di James Watt riceve
impulso: è con il carbone, infatti, che si alimenta il fuoco in grado di trasformare l’acqua in vapore. La forza
motrice del vapore permette innumerevoli impieghi: nell’industria siderurgica, in agricoltura, nell’industria
tessile e per i trasporti (locomotive a vapore).
All’inizio del 19esimo secolo il carbone veniva anche utilizzato per l’illuminazione pubblica mediante il
cosiddetto “gas di città” ricavato dal carbone attraverso un processo di gassificazione.
Tale applicazione era frequente soprattutto nelle grandi aree urbane come Londra, fino all’avvento
dell’illuminazione elettrica.
Il primo impianto di produzione elettrica alimentato a carbone entrò in funzione nel 1882 a New York,
grazie a Thomas Edison, e forniva elettricità per illuminare le abitazioni.
Nel corso del novecento l’utilizzo del carbone si concentra sempre più nell’ambito industriale e negli ultimi
decenni continua a prevalere il consumo di carbone nell’industria (principalmente elettrica, siderurgica e
del cemento), che si attesta all’80% nel 2007, mentre decresce l’utilizzo per riscaldamento e scompare
quello per il trasporto.
EVOLUZIONE STORICA DEI CONSUMI FINALI DI CARBONE PER SETTORE
(Fonte: IEA World Energy Statistics 2009)
Le principali applicazioni industriali hanno luogo soprattutto nella generazione elettrica (attualmente il
carbone contribuisce al 40 % circa della produzione di elettricità nel mondo) e nell’ambito siderurgico (70%
della produzione di acciaio).
Genesi e tipologie
Il carbone è un combustibile solido di natura sedimentaria ovvero derivante dalla stratificazione e dal
deposito di vegetali di origine preistorica modificati da pressioni e temperature crescenti con la profondità
della crosta terrestre.
Il carbone è una fonte energetica non rinnovabile poiché ha impiegato milioni di anni per trasformare
l’energia originariamente presente nelle piante vissute nelle epoche preistoriche quando la terra era
parzialmente coperta da foreste.
Col trascorrere delle ere geologiche, il materiale vegetale (soprattutto legno) sepolto da una coltre
sedimentaria nelle paludi ed accumulato in ambiente anaerobico (ovvero in assenza di ossigeno), a seguito
di complesse trasformazioni chimico-fisiche è diventato la roccia di colore bruno/nero conosciuta oggi
come carbone.
(Fonte: National Energy Education Development Project)
In effetti, il carbone pur avendo l’aspetto di una roccia è
prevalentemente costituito da materiale organico, la cui struttura e
composizione dipendono dalla materia vegetale originale e dalle
condizioni in cui è avvenuto il processo di carbonificazione (o
carbogenesi). Da un punto di vista chimico non è possibile definire
una struttura propria e specifica per il carbone, in quanto questa
varia notevolmente da un tipo di carbone all’altro e da un
giacimento all’altro.
La struttura, proposta da Solomon una ventina di anni fa, è puramente indicativa e ci può dare una idea di
come sia costituita la frazione organica di un carbone. In realtà la stessa frazione organica si configura
anche a livello microscopico in sotto-strutture differenti, note come forme macerali, che altro non sono che
vestigia delle antiche strutture vegetali che le hanno originate e del lungo processo che le ha trasformate; i
loro stessi nomi spesso ne ricordano l’origine (resinite, sporinite, cutinite, …).
Fonte: elaborazione SSC
Vi è poi una frazione inorganica del carbone (denominata ‘ceneri’), generalmente minoritaria, ma che può
in taluni casi raggiungere o superare il 30% della massa totale di un campione. La tipologia e la quantità
delle impurezze minerali presenti nel carbone riflettono la natura dell’ambiente geologico nel quale il
carbone si è formato. Queste sono costituite, in misura generalmente prevalente, da minerali argillosi.
Un discorso a parte può esser fatto per quanto concerne lo zolfo: questo elemento può essere presente sia
in forma organica, sia in forma inorganica, principalmente come pirite; il rapporto fra lo zolfo inorganico e
l’organico è generalmente di 60 a 40.
Carbonio Idrogeno Ossigeno Potere calorifico (daf)
(base secca – senza ceneri)
(kcal/kg)
Legno (cellulosa di
base) 50 6 44 2500-3000
Torba 60 max 6 34 3200-4000
Lignite 67 6 27 3500-7000
Litantrace 85 5 10 7500-8500
Antracite 94 3.5 2.5 9000-9200
In base alle condizioni ambientali in cui ha luogo il processo di formazione del carbone ed il suo perdurare,
il materiale vegetale può trasformarsi in torba, lignite, litantrace e antracite, forme di carbone
caratterizzate da un crescente tenore di carbonio, un minore contenuto di idrogeno ed ossigeno ed un
maggiore contenuto energetico (potere calorifico), come evidenziato dalla tabella.
Diversi sono i criteri internazionali di classificazione del carbone. Una delle metodologie maggiormente
utilizzata anche commercialmente è quella dell’ASTM (American Society for Testing and Materials) che
suddivide il carbone in antracite, bituminoso, sub-bituminoso e lignite in base al contenuto di carbonio ed
al potere calorifico.
CLASSIFICAZIONE CARBONE – ASTM
(applicabile per contenuto di carbonio fisso >48% e potere calorifico inferiore > 15,500 btu/lb)
(1) : Frazione carboniosa non volatile
(2): Btu/lb è un’unità internazionale di misura del potere calorifico corrispondente a 0.556 kcal/kg.
A scopi statistici IEA (International Energy Agency) recepisce la classificazione utilizzata dal Commissione
Europea,che molto più semplicemente suddivide i carboni in due classi sulla base del potere calorifico e di
altri parametri: ‘hard coal’ (carboni più pregiati ed evoluti con potere calorifico > 5700 kcal/kg su base secca
e senza ceneri) e ‘brown coal’ (ligniti ed gran parte dei sub-bituminosi).
Il carbone maggiormente utilizzato e commercializzato internazionalmente è il carbone bituminoso (ovvero
il litantrace) , che in base alle proprie caratteristiche trova impiego soprattutto nella generazione elettrica
e produzione di cemento (‘carbone da vapore’ o ‘steam coal’ o ‘carbone energetico’) o nella produzione
siderurgica (‘carbone metallurgico’ o ‘carbone da coke’ o ‘coking coal’).
Copyright © 2009 World Coal Institute
Il carbone sub-bituminoso, ed ancor di più la lignite, sono utilizzati per la generazione elettrica
generalmente presso impianti nelle vicinanze delle fonti estrattive, alla luce del loro scarso potere calorifico
e dei costi elevati che sarebbero necessari per il trasporto del combustibile rispetto al suo modesto
contenuto energetico.
Un’eccezione è il carbone sub-bituminoso Indonesiano, che per il suo straordinariamente basso contenuto
di zolfo e ceneri, suscita appetibilità anche per il commercio internazionale.
L’antracite, caratterizzata da alto potere calorifico e contenuto di carbonio, è usata in alcuni processi
industriali (metallurgia, produzione zucchero etc.) ed il suo volume estrattivo è decisamente inferiore a
quello delle altre tipologie.
Estrazione e trattamento preliminare
L’estrazione del carbone, a seconda della natura e della conformazione geologica del deposito, avviene
prevalentemente secondo 2 metodi:
miniera a cielo aperto (“surface” o “opencast mining”)
miniera sotterranea (”underground” o “deep mining”).
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A livello mondiale il 60% dell’estrazione di carbone avviene con tecniche sotterranee, anche se buona parte
dei principali attori del mercato internazionale del carbone in realtà operano principalmente in grossi bacini
a cielo aperto: in Australia 80 % della produzione utilizza metodi opencast, negli USA il 67 %, quasi la
totalità in Colombia ed il 49% in S.Africa.
Le tecniche vengono selezionate in base a considerazioni di sicurezza ed efficienza estrattiva (ovvero
economiche) e dipendono particolarmente dallo spessore, giacitura e profondità dei filoni da cui il carbone
è estraibile. Uno degli indicatori principali è lo ‘strip ratio’ ovvero il rapporto esistente fra lo spessore di
terreno da rimuovere (‘cappello’ o ‘overburden’) al di sopra del filone di carbone da estrarre (‘seam’) e lo
spessore stesso del filone. Talvolta, in condizioni di disuniformità della vena all’interno dell’area mineraria,
entrambi i metodi possono essere utilizzati.
La tecnica di estrazione a cielo aperto viene impiegata quando la presenza di carbone giustifica
l’investimento minerario e lo stripping ratio è sufficientemente basso, ovvero quando la vena di carbone è
sufficientemente spessa e posizionata ad una profondità limitata. Il “surface mining” consente di
recuperare più del 90 % di carbone presente in un giacimento, grazie alla sua semplicità: si procede, infatti,
frantumando lo strato sovrastante con l’utilizzo di esplosivo e rimuovendolo opportunamente per far
emergere il deposito di carbone sottostante.
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Nelle operazioni di surface mining, per rimuovere lo strato di overburden si utilizzano spesso macchine
escavatrici gigantesche (dragline) dotate di benna strisciante, collegata ad un braccio che permette di
raggiungere 80-100 mt di distanza e manovrata da funi metalliche. Queste attrezzature, dal valore unitario
di 50-100 milioni dollari, possono raggiungere le 2,000 tonnellate di peso e rimuovere ca. 100-110
tonnellate di materiale per volta grazie alle dimensioni notevoli della benna, ovvero 4-5,000 m3 di
materiale rimosso all’ora.
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Il materiale inerte viene successivamente trasportato in luoghi di raccolta su camion di grandi dimensioni,
per un futuro riutilizzo la fine di ristabilire le condizioni ambientali al termine della vita della miniera.
La vena di carbone, riportata alla superficie, viene frantumata con un piano programmato di piccole cariche
di dinamite, recuperato tramite mezzi meccanici e condotto con camion o nastri trasportatori nelle aree di
stoccaggio della miniera.
Per quanto riguarda l’estrazione “underground mining” i due principali metodi sono: “room and pillar” e
“longwall mining”.
Il primo prevede che il carbone venga estratto creando una serie di camere (room) all’interno della vena
carbonifera e lasciando dei pilastri (pillar) di carbone a sostegno della miniera. Il metodo “room and pillar”
consente l’avvio della produzione molto rapidamente, con l’aiuto di apparecchiature mobili che hanno un
costo inferiore.
Le principali tecniche di estrazione underground sono invece:
room and pillars
long-wall.
Con il metodo ‘room and pillars’ il carbone viene estratto in profondità lasciando dei pilastri (pillars) a
sostegno degli strati sovrastanti. Il tetto libero dell’area scavata è rinforzato da piastre metalliche fissate
attraverso lunghi bulloni (‘bolting’). Tecniche più moderne consentono in alcuni casi il recupero successivo
del carbone contenuto nei pilastri, che può anche rappresentare il 40% del volume estraibile.
Con la tecnica longwall, l’estrazione del carbone avviene tagliando e rimuovendo frontalmente una sezione
del filone che può variare dai 100 ai 300 m di lunghezza. In questo caso vengono impiegati macchinari
idraulici autoavanzanti che fungono da supporto al tetto della miniera fin quando il carbone viene estratto.
All’avanzamento della macchina il tetto retrostante della miniera viene lasciato crollare.
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Il carbone estratto (ROM = Run Of Mine) viene convogliato generalmente tramite nastri trasportatori ad
aree di stoccaggio dedicate o direttamente ad impianti di frantumazione e vagliatura per renderne
uniforme la pezzatura.
In linea di massima la pezzatura ideale per l’utilizzo in impianti industriali è da 0 a 50 mm.
Il carbone può essere sottoposto anche a trattamenti di ‘lavaggio’ (‘coal washing’ o ‘coal beneficiation’)
che ne riducono le impurità contenute e ne esaltano le caratteristiche chimico-fisiche per un miglior utilizzo
alla combustione o nei processi siderurgici.
Uno degli scopi fondamentali del lavaggio del carbone è la riduzione del suo contenuto minerale (ceneri) ,
che si presenta sotto 2 forme:
intrinseco (originatosi a partire dal materiale vegetale da cui si è formato il carbone stesso e che
non è possibile eliminare con metodi fisici)
estrinseco (per esempio pezzi di roccia, argilla, pirite ed altre inclusioni che si depositano all’interno
delle fessure della vena carbonifera o che derivano dalle operazioni minerarie).
Il lavaggio del carbone è generalmente realizzato per separazione gravimetrica (ovvero per gravità) delle
frazioni leggere da quelle più pesanti, impiegando a tal scopo sospensioni e soluzioni di differente peso
specifico.
I sistemi meccanici di pulizia del carbone sfruttano il fatto che il carbone ha un peso specifico inferiore (1.2-
1.7 gr/cm3) rispetto alle impurità (es. la pirite ha peso specifico di 5 gr/cm3), che pertanto si depongono sul
fondo e possono essere rimosse.
Ad esempio, nel metodo ‘dense medium separation’ si utilizza generalmente una sospensione di magnetite
per separare il carbone dai frammenti di minerale.
Altri metodi, come i cicloni, sono utilizzati per frazioni più piccole di carbone e sfruttano sostanzialmente lo
stesso principio (differenza di peso specifico) tramite però l’applicazione della forza centrifuga.
Le fasi di preparazione del carbone sono finalizzate al miglioramento delle sue caratteristiche qualitative ed
alla sua omogeneità , che in fase di combustione si traducono in una maggiore stabilità della fiamma,un
maggiore grado di efficienza del processo e minori emissioni.
Dopo l’estrazione e l’eventuale processo di lavaggio, il carbone viene generalmente stoccato presso il sito
minerario o trasportato e stoccato presso il porto di imbarco, nel caso di spedizione marittima.
Trasporto e stoccaggio
Il sistema di trasporto verso gli utilizzatori finali dipende dalle distanze che devono essere coperte. Per
distanze brevi, il carbone è trasportato mediante autocarri e nastri trasportatori; per distanze maggiori,
invece, si usano mezzi ferroviari fino al porto di imbarco e navi per il raggiungimento del porto di
destinazione.
In effetti le aree minerarie possono essere localizzate a distanze dal porto di imbarco che generalmente
variano da 120-150 km in Colombia, 135-250 km in Australia, 500-600 km in S.Africa fino ai 4,300 km in
Russia (dalla Siberia centrale ai porti sul Mar Nero o sul Baltico).
La disponibilità dei vagoni e l’affidabilità del sistema ferroviario sono spesso fattori cardine nel trasporto del
carbone e in taluni casi risultano essere fattori limitanti delle capacità di esportazione.
I trasporti internazionali dai porti di esportazione vengono effettuati su navi carboniere di diverse
dimensioni (‘bulk carriers’) .
La classificazioni delle navi mercantili è definita da diversi parametri quali la capacità di carico, le
dimensioni/ingombri fuori tutto, che definiscono la possibilità di transito in stretti naturali, canali artificiali ,
ma anche l’accessibilità ai porti di attracco:
Handysize (10-35,000 tonn)
Panamax (60-80 000 tonn)
Capesize (oltre 100,000 tonn).
La nomenclatura delle navi rispecchia i limiti che le loro dimensioni impongono al loro passaggio:
Panamax significa che la nave può passare attraverso il canale di Panama.
Capesize è una nave che lungo il tragitto Australia-Europa deve fare il giro di Capo di Buona
Speranza
Handysize (handy in inglese significa maneggevole) indica la maneggevolezza e versatilità della
stazza della nave
Copyright © 2009 Rio Tinto
Uno degli aspetti principali connesso al trasporto marittimo è rappresentato dal pescaggio delle nave,
ovvero dalla distanza tra il fondo della nave e la linea di massimo carico che definisce la parte immersa.
Questa misura caratteristica deve essere compatibile con la profondità dello specchio d’acqua antistante le
banchine del porto e con le vie di accesso per consentirne l’accesso.
In taluni casi, per ovviare alla mancanza di banchine in aree marittime aventi fondali poco profondi, che
non permettono l’attracco di navi delle dimensioni necessarie ai ricevitori, si procede ad operazioni di
transhipment (trasbordo da un mezzo marittimo ad un altro). La nave, pertanto, viene ancorata in rada ed il
carbone scaricato su chiatte o navi di dimensioni minori tali da permetterne l’attracco al terminale di
sbarco.
Altri parametri presi in considerazione per il corretto svolgimento delle operazioni marittime sono:
l’air draft, ovvero la distanza verticale tra la linea di immersione e il punto più alto della nave
la lunghezza della nave (‘LOA’ – Length Over All)
la larghezza (‘beam’).
Anche tali caratteristiche possono limitare la possibilità di accesso ai porti di imbarco o sbarco. Ad esempio
il termine Newcastlemax identifica quei “carriers”, le cui dimensioni permettono loro l'attracco al porto di
Newcastle in Australia. In questo scalo, uno dei maggiori a livello mondiale per il trasporto del carbone, il
limite è dato dalla larghezza fuori tutto della nave che non può essere superiore a 47 m.
La possibilità di trasportare il carbone in navi maggiormente capienti permette ovviamente un’economia di
scala.
Per questo motivo i maggiori paesi esportatori hanno costanti programmi di investimento per il
potenziamento delle infrastrutture portuali, che, nei casi migliori, permettono di caricare navi capesize in
tempi ragionevolmente brevi e raggiungere economicamente anche destinazioni relativamente lontane.
I fattori che infatti qualificano i terminali di caricazione sono:
- pescaggio presso l’area di imbarco, lunghezza molo e impianti tali da soddisfare anche le stazze
maggiori,
- rata di imbarco (tonnellate che l’impianto di banchina riesce a caricare giornalmente) elevata,
- aree di stoccaggio sufficienti per contenere i volumi di carbone in attesa della nave e strutturati in
modo da mantenere cumuli separati per i diversi produttori
- sistemi di miscelazione di carboni diversi, quando richiesto.
Ad esempio i principali terminali di caricazione per il traffico internazionale di carbone sono:
- S.Africa : Richards Bay Coal Terminal
- Colombia : Porto Bolivar, Puerto Drummond
- Australia : Newcastle, Darlymple Bay, Hay Point, Gladstone
- USA : Baltimora, Norfolk, Newport News
- Indonesia : Tanjoun Bara, North Palau Laut.
La stessa problematica si ripresenta ai porti di sbarco, dove il pescaggio e gli altri parametri logistici ed
infrastrutturali già citati ne determinano la capacità di sbarco e la flessibilità di ricezione delle navi.
Per quanto riguarda le successive fasi di trasporto, il carbone, giunto al porto di destinazione, viene ripreso dalla nave e generalmente convogliato ad aree di stoccaggio interne all’impianto dell’utilizzatore tramite nastri trasportatori (salvo il caso di centrali situate lontano dalla costa, che richiedono l’utilizzo di camion o ferrovia). Quella dello stoccaggio è una fase delicata perché in certe condizioni il carbone lasciato a terra per lunghi
periodi (generalmente oltre i due mesi) può dare luogo a fenomeni di autocombustione. Per evitarlo i
cumuli sono monitorati costantemente (controllo delle temperature) e soggetti ad operazioni di
compattamento con mezzi meccanici.
Inoltre il carbone viene immesso nell’area di stoccaggio e ripreso per l’invio alle caldaie attraverso
macchine di messa a parco e ripresa (‘stacker - reclaimer’) che si muovono su binari o ruote.
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Per ridurre eventuali dispersioni di polveri nel tragitto dalla nave all’impianto, gli impianti più moderni
utilizzano scaricatori continui e nastri trasportatori, relegati in vani appositi, sigillati verso l’ambiente
esterno e mantenuti in depressione, per il convogliamento in carbonili coperti, generalmente sotto forma
di cupole in alluminio e acciaio (coal dome).
Questo sistema, sicuro e totalmente automatizzato, prevede che la movimentazione del carbone venga
effettuata mediante comandi a distanza dalla sala di controllo e permette di evitare qualunque dispersione
di polvere nell’intorno, rendendone anche l’impatto visivo delle strutture più gradevole.
Riserve, produzione e consumi
RISERVE
È consuetudine diffusa fare una distinzione tra RISORSE e RISERVE quando si parla di statistiche e
valutazioni sulla disponibilità di carbone.
Le risorse sono intese come quantitativo di carbone che è presente in un giacimento. Contrariamente alle
riserve, l’analisi delle risorse non prende in considerazione la fattibilità economica delle operazioni di
estrazione.
Le riserve si suddividono in riserve provate e riserve probabili, a seconda del livello di certezza dei risultati
attribuibili alle attività di esplorazione. I criteri applicati includono, per esempio, la regolarità della vena
carbonifera in termini di qualità e spessore e la presenza o meno di discontinuità geologiche (falde, ecc ).
In particolare per riserve provate si intendono le riserve che è possibile sfruttare in modo tecnologicamente
ed economicamente conveniente. La loro valutazione può essere soggetta a cambiamenti a seconda del
prezzo del carbone: se il prezzo del carbone è basso, infatti, le riserve provate diminuiscono a causa di un
prevedibile minore ritorno dell’investimento.
Allo stesso modo, le riserve provate aumentano se vengono scoperti nuovi giacimenti o a seguito di migliori
tecnologie estrattive che riducano i costi unitari di estrazione e permettano di raggiungere risorse
inaccessibili fino a quel momento.
Le stime sulle riserve di carbone, essendo valutazioni soggette a numerosi fattori, variano nel tempo e a
seconda degli organismi che le formulano. Per esempio, secondo il World Energy Council esse ammontano
a 826 Gt (miliardi tonnellate), mentre una quantità leggermente superiore è indicata da International
Journal Coal Geology che le distingue in Carboni (754,7 Gt) e Ligniti (207Gt).
In termini temporali questo significa che c’è abbastanza carbone per soddisfare il fabbisogno nei prossimi
150 /170 anni, agli attuali ritmi di produzione.
Il carbone è il combustibile fossile più diffuso e meglio distribuito al mondo, con riserve presenti in più di 70
Paesi e concentrate soprattutto negli USA (che da sola possiede il 30 % di tutte le riserve), in Russia, in Cina,
in Australia, in India ed in Sud Africa che dispongono di riserve con quantitativi maggiori di 45 miliardi di
tonnellate :
Fonte : 2007 Survey of Energy Resources, World Energy Council
PRODUZIONE
Secondo il World Coal Institute, nel 2008 la produzione mondiale di carbone è stata pari a:
- Hard Coal: 5,85 miliardi tonnellate
- Brown Coal/Lignite: 0.95 miliardi di tonnellate
La Cina copre un ruolo decisamente primario, come illustrato dai dati pubblicati da BP nel 2009, che
peraltro evidenziano le variazioni intervenute nelle produzioni e nei consumi del carbone e delle altre fonti
fossili tra il 2007 e il 2008 cioè prima del concretizzarsi dell’ultima crisi economico-finanziaria :
Produzione : Carbone +5,3%, Gas naturale + 3,8%, Petrolio grezzo + 0.4 %
E’ evidente la forte crescita nei due principali paesi asiatici: la Cina ed India hanno aumentato la loro
produzione nel 2008 rispettivamente del 10% e 7% contro una media globale del 5%.
Stando ai dati dell’International Energy Outlook 2009 dell’EIA, buona parte della domanda di carbone in
nei principali paesi produttori continuerà ad essere soddisfatta dalla produzione domestica, anche se già
nel 2009 la Cina è diventata una netta importatrice e nel 2010 l‘India ha aumentato notevolmente la sua
quota d’importazione
A livello mondiale, a produzione di carbone è prevista aumentare di circa il 30% rispetto ai valori del 2007,
grazie in particolar modo ad una raddoppio dei volumi da parte della Cina ed un aumento della produzione
di 2.1 volte da parte dell’India, a fronte di un progressivo declino della produzione europea.
Produzione 2008 dei primi 10 paesiMtep % 2008 sul 2007 R/P anni
%
Cina 1414,5 42,5 10,0 41
USA 596,9 18,0 1,3 224
Australia 219,9 6,6 0,3 190
India 194,3 5,8 7,0 114
Fed.Russa 152,8 4,6 2,8 481
Sud africa 141,1 4,2 0,8 121
Indoneria 141,1 4,2 5,3 19
Polonia 60,5 1,8 -3,3 52
Kazakhistan 58,8 1,8 17,1 273
Ucraina 40,2 1,2 0,4 438
Totale mondo 3324,9 100,0 5,3 122
R/P anni esprime il numero di anni di possibile estrazione calcolato sulla
quantità annuale estratta nel 2008
Fonte : dati BP statistic Review 2009- Elaborazione SSC
CONSUMI
Nel 2008, nonostante la crisi finanziaria che ha determinato la recessione globale più grave del dopoguerra,
i consumi di carbone sono cresciuti per il decimo anno consecutivo (+3.1% rispetto al 2007) da 2.2 miliardi
ton olio equivalenti (toe) a 3.3 miliardi toe ovvero un aumento di circa il 50% nel decennio. Il carbone si
conferma, dunque, come la risorsa energetica primaria più rapidamente in crescita con un trend positivo
previsto anche nei prossimi anni:
Fonte: IEA – World Energy Outlook 2008
A questa performance del carbone hanno contributo in maniera significativa il rapido aumento di consumi
di Cina e India, e con peso minore di Sud Corea, Giappone che hanno fatto un massiccio ricorso
all’importazione.
In particolare la Cina ha contribuito per l’85% a questa crescita annua: ben +92 milioni toe sull’aumento
annuo di +109 mil toe.
Nel 2008 il consumo di carbone in Cina ha superato i 1,400 milioni toe rappresentando ben il 43% del
consumo mondiale.
Fonte: dati BP statistic Review 2009 – Elaborazione SSC
Attualmente nel mondo l’80 % di carbone è consumato in ambito industriale (produzione energia elettrica,
siderurgica, cemento etc.), una quota costantemente cresciuta negli ultimi decenni.
Uno degli utilizzi principali è quello per la generazione elettrica, della quale il carbone è la fonte primaria e
copre circa il 40 %, del fabbisogno.
Anche in Europa il carbone è utilizzato principalmente in ambito industriale e rappresenta la fonte
principale di generazione elettrica, contribuendovi per il 27%.
In Italia il carbone copre solo il 13 % della produzione elettrica. Rispetto all’Europa, il nostro Paese si colloca
in una posizione di netta distanza e di svantaggio competitivo perché il ridotto consumo di carbone è una
delle cause dell’elevato costo della generazione base-load. A conferma di questo, si pensi che l’Italia è
21esima (0.289 tep procapite) nella graduatoria dei consumi specifici di carbone per abitante nella Ue-27
(0.646 tep procapite).
Di seguito sono rappresentati i fuel mix utilizzati per la generazione in Italia, nella Unione Europea a 27 e
nel Mondo.
Il futuro del carbone apre ad una serie di scenari che l’Unione Europea ha elaborato tra il 2007 e il 2008.
Essi pongono in rilievo che la domanda di carbone per la generazione elettrica dipenderà fortemente dalle
politiche energetico/ambientali che adotteranno i singoli Paesi membri e dallo sviluppo delle CCT-Clean
Coal Technologies .
Il ruolo di rilievo che il carbone continuerà ad assumere è comunque confermato dal piano europeo
”Trends to 2030-Update 2007” che prevede cospicui investimenti in impianti a carbone in termini di nuova
potenza installata (+55 GW fino al 2030). Questo rappresenta un’enorme sfida per l’industria
termoelettrica, soprattutto per quanto riguarda l’applicazione delle CCT, ed, in particolare, delle tecnologie
CCS.
20%
15%
20%
5%
40%
R innovabili
Nuc leare
C arbone
G as
Olio
2008 : Mix G eneraz ione elettric a Mondo
18%
28%
24%
3%
27%
Ue 27
21%
13%
12%
55%
Italia
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