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Sintesi di intervento al seminario interregionale PdCI “Il diritto alla salute:

tra realtà e possibili prospettive”

Condivido pienamente la relazione del compagno Mauro Alboresi, che pone alla

nostra attenzione, questioni centrali sul fronte della tutela del diritto alla salute.

Negli ultimi vent’anni, la continua propaganda neo liberale e capitalista in Italia, ha

indotto nella popolazione un’assuefazione al pensiero antidemocratico, secondo il

quale bisognerebbe curare in relazione alle risorse economiche disponibili,

accentandolo acriticamente come un dato di fatto. I Comunisti hanno il dovere di

dire che non è così, che uno stato civile e avanzato fa esattamente il contrario:

cerca le risorse economiche in relazione alle necessità di cura. Dobbiamo capire

perché il popolo non si arrabbia, o lo fa solo in parte, di fronte al fatto che i governi

degli ultimi anni hanno preferito spendere in armamenti, in grandi e inutili opere di

cementificazione selvaggia, in iniqui supposti salvataggi delle banche e quant’altro,

piuttosto che nel diritto alla salute. Sicuramente perché vi è una difficoltà,

tristemente soggettiva, a correlare gli sprechi di sistema a favore dei centri di potere

privato con l’effettiva de-strutturazione della sanità pubblica, ma anche perché non

vi sono forze rappresentative di massa che si contrappongano decisamente a questo

scempio. E’ necessaria un’azione su scala nazionale del nostro partito, che deve

costituire un traino per tutte le componenti sociali e politiche che intendano

condividere un percorso di lotta in tal senso. Tutto ciò risulta difficile a causa della

frammentata articolazione regionale della sanità, che ha creato modelli sanitari e

contesti locali molto diversi fra loro. Sembra difficile anche il coinvolgimento degli

enti locali nei territori; in parte, perché essi vengono spesso relegati a semplici

ratificatori di scelte prese più in alto, e in parte, per quella che si manifesta come

un’evidente sudditanza degli amministratori locali agli apparati dirigenziali dei partiti

di appartenenza. Ecco perché iniziative come quella di oggi sono fondamentali per lo

svilupparsi di una linea comune d’intervento, sulla base di un confronto costruttivo

fra realtà regionali diverse. Nella Regione Marche il sistema sanitario sta subendo

rapidissime trasformazioni di tipo strutturale in senso regressivo, non solo per i tagli

operati dal governo centrale, ma per il nuovo indirizzo politico della giunta regionale

dovuto all’atteggiamento del PD, che alle ultime elezioni ha estromesso dalla

coalizione i Comunisti e SEL, cedendo al ricatto dell’UDC e dando luogo ad una

maggioranza composta da PD,UDC e componenti dell’allora IDV ora passati al Centro

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Democratico. Sintetizzo in alcuni punti le problematiche che affliggono la sanità

della Regione Marche, maggiormente rapportabili a un contesto su larga scala.

Sostanzialmente i marchigiani stanno subendo una controriforma messa a punto

scientificamente per garantire agibilità al comparto privato, oltre che per mantenere

e potenziare carrozzoni al servizio delle forze politiche. L’assessorato alla sanità è

affiancato dall’Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR), che inizialmente avrebbe

dovuto svolgere funzione di sintesi rispetto alle tredici zone territoriali. Le tredici

zone territoriali sono state accorpate in Aree Vaste (AV), per lo più sovrapponibili

alle province. Attualmente l’ASUR ha personalità giuridica e il proprio ampio quadro

dirigente, le Aree Vaste non hanno personalità giuridica, ma hanno il loro quadro

dirigente, le zone territoriali in linea teorica non dovrebbero più esistere, ma in

pratica hanno mantenuto quasi in toto il loro apparato burocratico. Chiaramente

non finisce qui, perché viene mantenuta anche l’Agenzia Regionale Sanitaria (ARS),

con una moltitudine di motivazioni create “ad hoc”, e il suo bel quadro dirigente.

Basti pensare che l’ARS si occupa della formazione del personale, e lo fa così bene,

che nelle varie assemblee da noi promosse, la larghissima maggioranza dei sanitari

intervenuti non ne conosceva neanche l’esistenza. ASUR e ARS costituiscono un

dispendio di risorse economiche grandissimo fra affitti e stipendi d’oro. Insisto sulla

questione dei dirigenti perché dichiariamo da tempo, come descritto in numerosi

documenti, la nostra piena opposizione ad un sistema di assunzione basato sulla

spartizione delle poltrone in base alle tessere di partito, e non tramite bando

concorsuale atto alla valutazione delle capacità e delle competenze necessarie per

assurgere a ruoli cosi decisivi. Pur affermando con determinazione che il ruolo della

politica deve essere centrale nell’amministrazione della sanità (salute) pubblica,

bisogna che questa si serva di tecnici competenti e preparati al di là

dell’appartenenza politica e non di yes-men a uso e consumo delle convenienze.

Abbiamo presentato una proposta di legge regionale per l’abolizione dell’ASUR e

dell’ARS, l’attribuzione della personalità giuridica alle Aree Vaste e la coincidenza

territoriale fra ambiti sociali e distretti sanitari. La nostra proposta rimane bloccata

da mesi in commissione sanità con uno stop imposto da ragioni politiche, non certo

tecniche. Da un mese circa, abbiamo lanciato una petizione popolare, che individua

nella nostra proposta, un utile strumento per evitare l’aumento dei tickets sanitari e

per limitare i tagli previsti dal nuovo piano sanitario regionale. Riteniamo

inaccettabile, che come soluzione ai tagli del governo centrale, la nostra regione

proceda in senso unilaterale alla chiusura di ospedali e al ridimensionamento della

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rete di emergenza e di servizi al cittadino, mentre fondi utili alla comunità vengono

sperperati per mantenere o elargire privilegi.

Sempre nella nostra regione, i favori al comparto privato, che non può che gioire

dello smembramento di quello pubblico, si moltiplicano a vista d’occhio. Il punto più

alto si tocca con il “Progetto Marche distribuzione per conto”, che prese forma

qualche tempo fa grazie ad un accordo fra giunta regionale, Co.D.In e FederFarma.

Tal progetto affida la distribuzione di alcuni farmaci in PHT alle farmacie private, che

riscuotono per questo un margine di guadagno intorno al 7,50% (si parla di milioni di

euro) a discapito della distribuzione diretta nelle strutture pubbliche. Fra l’altro

questo presuppone anche una consegna del farmaco in tempi differiti. Abbiamo

presentato mozioni e dato luogo ad iniziative proponendo un inversione di rotta, un

incentivazione della distribuzione diretta dei farmaci in oggetto, ma per ora la

regione si è limitata ad abbassare leggermente la percentuale di guadagno delle

farmacie e a non inserire nel progetto i farmaci in fascia H come qualcuno

proponeva. A chi poteva essere affidata la supervisione della “distribuzione per

conto” se non all’ARS?

Un ulteriore problema da risolvere è quello concernente l’allungamento delle liste

d’attesa, che coincide inevitabilmente con l’aumento della mobilità passiva fuori

regione e con l’esodo dell’utenza verso il privato. Abbiamo proposto con forza

l’aumento di turni lavorativi che consentissero un utilizzo maggiore di presidi e

macchinari per diagnosi e cura, ma ci è stato risposto che sarebbe troppo oneroso.

Questo concetto rappresenta un vecchio paradosso inaccettabile. La struttura

privata elargisce prestazioni con l’obiettivo di avere utili cospicui, la struttura

pubblica può adagiarsi su un più semplice pareggio fra uscite ed entrate. Per le

strutture private convenzionate è previsto un rimborso sull’utenza esente da ticket.

Se i costi concernenti il personale, il materiale e così via sono gli stessi, come è

possibile che il pubblico perda la competizione con il privato? Nella nostra regione

alcune prestazioni costano addirittura meno nel privato che nel pubblico, basti

pensare alle visite medico-sportive per attività agonista, ma potrei fare diversi altri

esempi. Tornando alle liste d’attesa il “governo Spacca” ha spacciato come soluzione

il Centro Unico di Prenotazione (CUP) Regionale, che in linea di principio era

assolutamente condivisibile, ma nella sua applicazione si è dimostrato ben diverso

dalle aspettative. A nostro giudizio bastava una spesa davvero irrisoria relativa ad un

software di rete e al coinvolgimento graduale delle farmacie e dei piccoli presidi

ambulatoriali sul territorio, invece si sono spesi numerosi milioni di euro per

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costruire un nuovo inutile baraccone. Le lunghe liste d’attesa sono causa di una

profonda iniquità: chi può pagare, anche rinunciando al proprio diritto all’esenzione,

riesce ad usufruire di una prestazione in tempi minori, mentre chi non può

permetterselo perde tempo utile per avere un servizio che potrebbe salvargli la vita.

Ultimo punto che voglio affrontare, ma ce ne sarebbero molti altri, riguarda il

profondo cambiamento dei rapporti fra ente e lavoratori. L’introduzione di contratti

che definisco, purtroppo inappropriatamente, “anomali”, ha reso caotico il sistema

delle assunzioni e delle relazioni fra categorie. Vi sono contratti diretti con

professionisti già in servizio su altre strutture private; fenomeno che eleva le

possibilità di utilizzo del pubblico come centro di reclutamento per prestazioni

specifiche in altri siti. Si riassumono operatori (per lo più medici) in pensione, per

fornire prestazioni anche routinarie; questo permette a qualcuno una doppia

entrata remunerativa e ad altri l’impossibilità di accedere al mondo del lavoro,

inoltre influisce negativamente sulla formazione delle nuove unità e quindi, a lungo

termine, sulla qualità dei servizi erogati dalla sanità pubblica. In alcuni casi si

procede addirittura all’assunzione diretta da parte delle stesse unità operative, che

usano l’ente come mezzo compiacente. Spesso si utilizzano modalità folkloristiche di

coinvolgimento popolare quasi accettabili dal punto di vista umano, con iniziative di

raccolta fondi come lotterie, cene, spettacoli teatrali e quant’altro, che consentono

una copertura economica per borse di studio o contratti di lavoro precari e

sottopagati a vantaggio (o svantaggio) di numerose figure professionali, ma si

aumenta drammaticamente la possibilità di donazioni che celano azioni di

sponsorizzazione per contratti “ad personam”. Il tutto coronato da una drastica

riduzione del personale effettivo con il conseguente sfruttamento delle risorse

umane ridotte all’osso.

Non so ancora quante di queste nostre denunce, riflessioni e proposte possano

aiutare ad una convergenza del nostro Partito su azioni a livello nazionale, ma è

fuori da ogni dubbio, che siano necessarie iniziative immediate e dirompenti dei

comunisti su larga scala, contro l’opera distruttiva perpetrata ai danni del diritto

inalienabile alla salute, con la ricerca di un fronte di lotta più ampio possibile.

Bologna, 30 novembre 2013

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Sandro Carucci

Partito dei Comunisti Italiani

Comitato Regionale Marche