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SICILIANETA’ SICILITUDINE E SICILIANISMO DI
Alphonse Doria
Giovedì 17 novembre 2005 leggo nella pagina Cultura e
spettacoli del quotidiano LA SICILIA, un intervista a Silvana
Grasso dal titolo: Silvana e l’anarchico disìo. Questo articolo mi
ha colpito per due motivi fondamentali: La questione della Lingua
Siciliana e la Sicilianità. Il bravo intervistatore pone la seguente
domanda: -Che cosa ha il siciliano che l’italiano non ha?
Risposta: -Animus e anima. L’italiano “letterario” di oggi ha il
fascino di un cadavere in fase d’autopsia.
Domanda: -Disìo, come gli altri suoi romanzi, è impreziosito da
sapiente uso del siciliano. Eppure, per chi cresce e
studia in Sicilia, non sempre il siciliano è considerato
sapiente. Per molti è una sorta di tabù, ed è divieto
parlare siciliano a scuola o, peggio ancora, a casa.
Perché? Da dove, secondo lei, nasce la vergogna?
Risposta: - (…)La vergogna è non flagellare una scuola così,
che impone a una lingua il cilicio dell’abitudine, del
tedio, della mortificazione espressiva.
La Scrittrice Grasso
ha trovato nel suo
linguaggio la vitalità
linguistica, come Verga ieri
come Camilleri oggi,
utilizzando, liberando, quel
Siciliano ingabbiato in
quella lingua artefatta
dell’italiano che ci costringe
a tradurre continuamente dal nostro pensiero siciliano allo
strumento lingua italiano. E fin quando scriviamo allora esce
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quella forma meccanicista, che avvolte ha fatto la fortuna della
letteratura siciliana in italiano, ma quando parliamo lì nascono i
problemi, gli intercalari, le parole non parlate, tratte chissà da
quale circolare ministeriale, eccetera. Ricordo ancora le interviste
di Leonardo Sciascia alla radio… Lo sappiamo che la fortuna della
lingua italiana è la televisione, ma lo stesso mezzo la sta
depredando, la sta straziando con tutti gli abusi linguistici e i
barbarismi che molta gente mediocre protagonista di questo mezzo
compie continuamente. Il siciliano diventa sempre più letteratura,
sempre più cult. E il motivo è nella scoperta dell’anima che ha
questa lingua, quella forma di liberazione della nostra entità
sicilianità che spesso riteniamo rilegata dentro noi.
SICILIANITA’ Sempre nello stesso articolo, continua l’intervista,
Domanda: -Che cosa è la sicilianità?
Risposta: -Una perdizione, un suicidio, una mappa di vaccini,
la prece a un mostro mitologico che, dopo millenni
di letargia, faccia fiero pasto dei mostriciattoli
d’oggi, titani per transgenia. Io, ovunque nel mondo,
dico come prima cosa “sono siciliana!” Però confesso
che non so se me ne servo più come una medaglia
sul petto o come una fucilata.
In queste parole vi è il senso della nostra sicilianità, (o
sicilianetà) in queste parole, vi è la soluzione del problema. E
come? Vedremo in seguito. Proprio l’altro ieri ho finito un
indagine archeologica nel territorio di Siculiana, che spero di
mettere a disposizione per la necessaria tutela dei beni culturali
scoperti. Mentre proseguivo nel territorio, nei paesaggi tra i loculi
dei nostri avi, scavavo dentro me ed ho ritrovato la riserva dove i
nostri antichi si sono rifugiati. Le pietre dei cupuluna o delle
tombe scavate nelle montagne, narrano di questo straordinario
popolo indigeno chiamato Sicano, che ha vissuto in simbiosi con
la sua terra fin che ha potuto, e per un caso straordinario, ma non
unico, ha coesistito con civiltà molto più evolute. Poi ha dovuto
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abbandonare la terra, i suggestivi paesaggi dove vivevano e
onoravano i propri morti i propri centri di raccolta alimentare per
andare ad abitare i centri urbani dei colonizzatori.
TRATTO DA: INDAGINE ARCHEOLOGICA SUPERFICIALE
DEL TERRITORIO DI SICULIANA
“Allora viene spontaneo mettere a confronto come mai una
civiltà che viveva in clan in piena simbiosi con la natura,
abbandona i suoi morti i suoi posti per sempre? Un popolo
dedito alla agricoltura alla
pastorizia, dall’oggi al domani,
scompare totalmente dalle
campagne. E nessuna riforma
agricola nei vari secoli riportò ad
abitare le campagne siciliane. Il
motivo si può ascrivere nel
cambiamento strutturale del
territorio siciliano. In primo
luogo soggetta alle continue
colonizzazione dei vari popoli:
Fenici, Greci e Romani; la
Sicilia fu deturpata nella
sottrazione non solo della
rendita, ma anche del capitale di
tutto il legname della grande
foresta. Tale legname fu la
fortuna e la risorsa principale di questi popoli che costruirono
imbarcazioni riuscendo ad espandersi in tutto il mondo. Fu una
sciagura mortale per il nostro Popolo Siciliano. La mancanza di
foresta cambiò il clima e la natura stessa del territorio. I grandi
corsi d’acqua si prosciugarono, quasi, alcuni fiumi come il
Canne navigabile divenne un fiumiciattolo, molti divennero
torrenti, “che dopo le rovinose piene invernali, si riducono nel
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periodo estivo ad un piccolo filone, con frequenti
sparpagliamenti di lenta scorrevolezza, stagnanti in molti punti,
ricchi di vegetazione palustre, ideale ricetto per gli anofeli,
principali vettori dell’endemia malarica in Sicilia. (…) Ciò rese
l’Isola, fin dai tempi remoti, soggetta alla malaria e spinse gli
insediamenti urbani verso le alture.” Tratto dal-LA MALARIA
IN SICILIA di Carmelo Vetro.
Ecco dove sono andati a finire i Sicani, in centri
urbani nelle alture da dove ogni giorno si spostavano per andare
a coltivare le terre. Presto le organizzazioni dei clan indigeni si
trasferirono in questi centri urbani coabitati anche dai
colonizzatori. Da questo momento nasce la riserva mentale
sicanasicula e le regole del clan ben distinte da quelle del centro
urbano e del potere costituito.
(…) Il popolo Siciliano si libera definitivamente
della malaria solo con il DDT americano del 1945, pagato a caro
prezzo sia con le vite umane che con la distruzione di beni
materiali sotto il loro nefasto bombardamento.
(…) Approfondiamo ancora di più sul Popolo Sicano,
purtroppo lo possiamo fare con le indagini già eseguite nei vari
scavi e ritrovamenti di altre zone. Viene evidente una teoria,
senza niente di consistente comprovante, però analizzando un
sottile distinguo tra cultura indigena e dei visitatori, che l’epoca
neolitica indigena è convissuta con le varie epoche che si
succedevano di conseguenza importate dai visitatori. Un po’
come è successo in America quando gli europei sbarcarono nel
nuovo continente esportando una evoluzione storica ben diversa
dalla indigena. Possiamo considerare un concetto di progresso
tecnologico più avanzato. Alla fine i visitatori (d’America)
dominarono e distrussero più di cinquemila nazioni lasciando
loro delle piccole riserve territoriali per l’agonia finale. I nostri
clan indigeni Siciliani vivevano in questi villaggi, venivano
intaccati leggermente dalla cultura dei visitatori, ma rimaneva
integra la loro. Le frontiere di questi sviluppi sono le isole Eolie
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con il commercio dell’ossidiana. Eppure i bronzetti, di
inconfutabile manifattura indigena, di Sant’Agata di Militello,
di Centurie e di Vizzini, sono databili nell’età del ferro (settimo
secolo a.C.), appena prima della completa sopraffazione
ellenica. La civiltà Siciliana conviveva con quella dei visitatori,
perché conveniva nello scambio produttivo di derrate alimentari,
tanto da coesistere in simbiosi città come Akragas e una miriade
di villaggi dislocati in tutto il territorio limitrofo. In conclusione,
quando il popolo indigeno ha dovuto abbandonare i propri
villaggi per integrarsi nei centri urbani dei colonizzatori lasciò
dentro la sua cultura, le sue regole, quelle del clan di
appartenenza. Così il Siciliano ha avuto dentro di sé la sua
riserva, non riserva territoriale, ma mentale.
(…)E’ come una riserva, simile a quella territoriale degli indiani
d’America, o degli aborigeni australiani, noi l’abbiamo nella
nostra mente, ed è lì che ci rifugiamo per rimanere ad esistere
come Popolo. Nello sguardo silenzioso, nel pensiero non detto, lì
vi è la riserva dove ogni
indiano di Sicilia si rifugia
come difesa della sua identità.
Questa riserva di pensiero ha
anche i suoi lati oscuri, però
saputa utilizzare come
strumento è efficace per
lasciarci liberi pensatori e
distaccati da ogni lanterna
ideologica nella giusta distanza
tanto quanto le nostre ali non si brucino.
Mi viene d’aggiungere, quando ci dicono del nostro
buonumore, delle nostre battute che provengono dal nostro
modo di sentirci infondo liberi nella mente. Perché Budda
sorride? Perché sa di essere libero!
Il mio intento è di comunicare il senso di coerenza
che si ritrova con se stessi in questi luoghi, ancora integri. Dove
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lo sguardo volge in uno spazio tra presente e passato nel
ritrovamento della propria terra dove liberare quello spirito
relegato nella riserva mentale che noi Siciliani siamo costretti, e
abituati a fare vivere. Il mio intento è di suscitare ai giovani
l’entusiasmo della ricerca delle proprie orme passate in questa,
forse, unica realtà che è la Sicilia con i suoi multi strati storici.
Capire che questo è il nostro oro da vendere ai viaggiatori di
tutto il mondo. Adesso da proteggere, difendere, dai continui
assalitori pronti a distruggere per il loro basso interesse. Come
abbiamo visto tutto il passato vive in noi, nelle nostre parole,
nelle nostre tradizioni, nei nostri pensieri, nei nostri sguardi,
nella nostra terra, non è un male! E’ solo l’oro dei Siciliani. E
ogni paesaggio è il luogo d’incontro tra quei beni materiali da
custodire e quei beni immateriali, quella ricchezza spirituale che
è in noi.” Si conclude così la mia indagine, ho ben capito che
questo non è stato altro che l’inizio, perché, intanto il dovere di
ognuno di noi che ha preso coscienza di questa sicilianità ha il
dovere di recuperare la storia che è nei nostri luoghi, prima che
qualcuno, con intento politico o basso intento economico la
cancelli. E’ nostro dovere andare a scavare nei nomi dei
rivoluzionari indipendentisti del 1848, ci accorgeremo che ogni
paese ne ha tanti, magari mascherati da eroi unitari… E rendere
partecipi gli altri della nostra storia come Popolo di Sicilia dal
neolitico ad oggi. Vi accorgerete che l’effetto su di voi sarà quello
della coerenza, quell’emozione che vi farà stare bene nei vostri
momenti di solitudine, e bene con gli altri nella luce della vera
conoscenza e non quella mistificata dei colonizzatori di turno.
Le regole del clan sicano al di sopra delle regole dei
colonizzatori, convivere, accettarle ma non riconoscerle come
proprie. Il concetto di giustizia del clan e non dei colonizzatori. Fu
questo interiorizzare per convivere che ci permise di rimanere
ancora vivi e non sterminati definitivamente come gli Indiani
d’America. Ma ora siamo stati scoperti. Ora la sicilianità viene
attaccata continuamente, cancellando la nostra memoria storica e
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culturale, con gli insulti più razzisti e odiosi. Ci accusano nei
nostri geni, nella nostra concezione di Popolo, come terribili
assassini, odiosi mafiosi. Facendo parlare con storpiata
intonazione siciliana tutti i personaggi cattivi di questo mondo, nei
film, nelle pubblicità e perfino nei cartoni animati. Attentare alla
nostra sicilianità significa attentare alla nostra entità. Voglio
ricordare le conclusioni sulla sicilianità in DON FABRIZIO E LA
VERITA’ pubblicato ne-L’ISOLA dove il pubblico ministero
Roberto Scarpinato viene riportato, il quale definisce la società
siciliana autista in questo senso: “(…)quando un popolo non
trova possibilità di identificarsi in una entità collettiva che si
chiama patria Stato o nazione”. Enzo Papa mette queste parole come epigrafe al suo La Sicilia
nella testa (Siracusa, Edizioni dell'Ariete, 1991) "Ordunque, amico
caro, la / Sicilia non esiste. Essa è una / favola, un’invenzione: la /
Sicilia, quella vera, è nella / testa".
Questa è la sicilianità la presa di coscienza di questo stato si può
manifestare con la sicilitudine oppure con il sicilianismo.
SICILITUDINE La sicilitudine è l’amarezza di questa sicilianità, il sentire dentro
questa riserva mentale e non uscirne fuori, o per mancanza di
coraggio, o perché corrotti, o peggio ancora, perchè ammorbati
dalla rassegnazione.
“Sicilitudine è la solitudine di un popolo che porta in sè un
sentimento di pessimismo ed un legame unico con la propria
terra, un senso fortissimo di appartenenza, un orgoglio e una
dignità irrinunciabili al di là della povertà. I paesaggi e la loro
bellezza, la vitalità della natura, la religiosità, l'amore e le
donne, la disperazione del lavoro che manca, il male, l'esilio: la
Sicilia con le sue storie di vanto e le sue strade di fango.” WWW.UNDO.NET rilevato il 29.12.2005- Istituto Italiano di
Cultura Whashington. Un esempio valido della sicilitudine è
Sciascia, dove l’autore cerca nel suo interiore una via d’uscita a
quest’amarezza, una soluzione per varcare la soglia della riserva
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mentale, ma, a mio avviso ha scelto la via sbagliata, quella della
Ragione, sistema filosofico che lo portò alla incoerenza politica
affermando che la Sicilia non è redimibile. E affermando
all’ingegnere MIGNEMI che lui non lottava cause perse come
quella sicilianista. Sciascia era andato a cercare a Mignemi per
ottenere delle informazioni di prima mano sull’E.V.I.S. tutto si
concluse con un nulla di fatto. La sicilitudine scisciana, a mio
avviso, porta anche alla rivalsa della non accettazione e della
sofferenza continua della cattività territoriale siciliana.
Confrontandola con la sicilitudine di Tomasi di Lampedusa ne- Il
Gattopardo non è così deleteria. Perché la sicilitudine de Il
Gattopardo è quella del morbo della rassegnazione (vedi DON
FABRIZIO E LA VERITA’). La rassegnazione in mano ai
colonizzatori di turno, diventa uno strumento forte contro la
Sicilia. Vi è un’altra sicilitudine da confrontare quella di Verga.
Non per niente il più grande esponente del verismo, l’Autore nella
sua sicilitudine, non abbandona la verità, riuscendo a dare degli
stimoli di ricerca e di studio sulla storia del Popolo Siciliano.
Anche se lui stesso chiama ciclo de-I vinti i suoi romanzi, non vi è
rassegnazione politica, ma denunzia. I vinti sono i personaggi nei
loro percorsi di vita.
Fa parte della sicilitudine anche la mafia, è il lato oscuro
della sicilitudine, è l’effetto deterrente dello stato di cattività,
ormai stravolta dall’origine rispetto dei codici d’onore del clan
sicanosiculo, nel rifiuto delle regole del colonizzatore. La mafia è
solo deturpazione di qualsiasi rispetto, solo qualunquismo dedito
alla criminalità, sfruttata, dal 1860 ad oggi, come braccio armato
dei colonizzatori di turno, contro qualsiasi forma di rivalsa politica
del Popolo Siciliano, comoda solo a chi la ha strumentalizzata
come Gladio e come sicari di personaggi scomodi ai vari governi.
Sono argomenti che meritano approfondimento, ma
spero di essere più conciso possibile.
SICILIANISMO
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Il sicilianismo è la presa di coscienza a pieno della
sicilianità e il cercare di trovare una soluzione politica, in senso
lato, per uscire fuori dalla riserva mentale e riconquistare la
propria Terra. In queste parole vi sono millenni di lotta, di rabbia,
di trionfi e di fallimenti. Molti gli equivoci e le
strumentalizzazioni, tanto che, spesso noi Siciliani siamo caduti
dalla padella alla brace. Secondo me è ora di tirare le somme, di
farci i conti e di guardarci un po’ negli da uomini a uomini, da
Siciliani a Siciliani. Ormai non è più tempo di errori e di passi
falsi che possano fare indietreggiare la presa di coscienza politica
sicilianista.
Cosa significa essere sicilianisti? Cercare una
soluzione politica, sentirsi nel giusto, sentirsi il peso della
responsabilità storica di oggi da Siciliani.
La questione siciliana è principalmente identitaria,
in secondo luogo: politica e sociale. A questo proposito chi
l’accomuna alla questione meridionale non è un sicilianista,
pertanto non può usufruire di alcun credito da parte dei veri
sicilianisti. Vedi l’ultimo arrivato l’M.P.A. del signor Lombardo,
con il suo qualunquismo centrista a Bari, già omologato e forse
costruito a doc per fermare le fievole ma autentiche iniziative
sicilianiste.
Chi sono i sicilianisti? Forse dei sognatori,
principalmente gente che ha sofferto, l’allontanamento degli altri
perché scomodi, gente caparbia che non si arrende e che nella
millenaria lotta ha versato anche il suo sangue per un idea di
giustizia e libertà, di immenso amore per la propria Terra, in un
sentimento di partecipazione come figli, insieme ai milioni di
fratelli Siciliani sparsi in tutto il mondo dalla diaspora italiana,
dell’Arcipelago Nazione Sicilia.
L’individualismo nella lotta politica, in questa
ultima fase di Repubblica Italiana, non ha permesso grandi
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successi. Non andrò a tediarvi più di tanto sui percorsi storici degli
ultimi anni, ma andare al dunque.
Spesso tra sicilianisti nascono idee progetti, la prima
cosa che chiedo, visto le mie possibilità economiche, “Chi
finanzia il progetto?” Perché la politica, purtroppo si fa con i soldi,
allora molti progetti rimangono nello stato larvale, solo idee, al
massimo chiacchiere. Quando un progetto prende piede e diventa
proposta elettorale, la sempre mancanza di fondi crea le difficoltà.
Una di queste difficoltà è l’inserimento di un elemento estraneo
con il conseguente fallimento del progetto. Allora dobbiamo
parlare di cose fattibili di concetti pratici, anche se possono
sembrare a primo acchito paradossali.
La mia idea è di concretizzare la Nazione Siciliana,
con delle ambasciate nel proprio territorio, con tanto di
ambasciatori atti al rilascio di passaporti e varia assistenza ai
Siciliani extracomunitaria nella propria Terra. Considerando che la
nostra libertà è una riserva mentale, costituiamoci Nazione nella
nostra riserva, organizziamoci le nostre ambasciate e chiediamo
l’adesione a tutti i Siciliani di tutto il mondo, tramite il benedetto
internet, l’adesione. Chi aderirà sarà cittadino siciliano con tanto
di passaporto. Tale documento avrà forse un valore simbolico ma
sarà l’inizio, un passo verso la concretezza ad uscire dalla riserva
mentale, prima che ci distruggono come Popolo. Sarò forse pazzo?
Il 27 novembre 2005 ho avuto l’onore e la felicità di
incontrare, delle persone
stupende, fratelli di lotta:
Angelo SEVERINO redattore
del giornale L’ISOLA,
Francesco Maria Turco
giornalista (figlio del grande
NATALE TURCO) e
l’ingegnere GIUSEPPE
MIGNEMI, tra gli ultimi
rimasti dei combattenti
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dell’E.V.I.S. Questo incontro ha dell’incredibile come persone di
età ed estrazione sociale diversa si incontrano accomunati in un
sentimento di fratellanza in un concetto cardine NAZIONE
SICILIANA.
Mignemi, nonostante la sua età ha ancora una
tenacia che solo negli anziani indipendentisti siciliani ho
riscontrato come: Rosario Fasanaro, Turi Lima, Turi Dell’Ala e
altri ancora. Canepa non lo ha voluto portare in montagna a
rischiare la pelle, ma gli ha lasciato una eredità: continuare la lotta
a qualsiasi costo. E mai rassegnatosi con dignità e orgoglio fa
fronte ancora al suo impegno, portato avanti a mio avviso di fatti
più che parole. Ed è un fatto LA DICHIARAZIONE DI
INDIPENDENZA. “Dal 2 marzo 1989, per legge mondiale
delle Nazioni Unite, esecutiva in Italia (881/77, la Regione
Siciliana è Stato Sovrano”.
Il proclama è un manifesto gigante dai contenuti
(che io Alphonse Doria sotto firmo accettandolo integralmente)
rivolto ai Siciliani. Riportarlo integralmente è troppo ambio, ma
sottolineo solo due espressioni: “Al Questore di Palermo ho
chiesto Poliziotti in divisa, ma disarmati, sotto la mia
responsabilità. Aiutatemi anche Voi il 1° aprile 1989 a vivere un
giorno di Gandhi, anziché un giorno di Lenin. (…) Nel nome
della NAZIONE SICILIANA vado ad abbattere la dittatura della
mediocrità, offrendo collaborazione al Governo siciliano, e non
vengo con gli ideali siciliani dei nostri Padri dell’Indipendenza
per fare politica, -io l’impolitico-, ma per fare la Storia!Noi non
dobbiamo restaurare soltanto lo Stato di Diritto, ma creare
anche una Società di Diritto, e non lo faremo certo da rettili
striscianti, bensì da Uomini eretti e virili! (…)
Vista la quinta alinea del PREAMBOLO dei Due Patti;
Visto l’art. 4 seconda alinea della legge 881/77;
Visto il mio Messaggio N. 1al Presidente Consiglio Superiore
Magistratura, On. Cossiga del 10-1-1989;
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Visto il mio Messaggio N. 2 al Presidente della repubblica On.
Cossiga del 3 marzo 1989;
Per una SICILIA DEI SICILIANI, da Catania, gridando VIVA
LA SICILIA, così ho sanzionato e promulgato.
Il Capo provvisorio dello Stato Sovrano Regione Siciliana
MIGNEMI ” Io non solo riconosco Mignemi ma lo invito come
Capo della Nazione Siciliana a prendere pieni poteri nella
costituzione delle Ambasciate Siciliane, ansioso ad essere il primo
ad avere il Passaporto Siciliano con la sua prestigiosa segnatura
con tanto di timbro a secco della nostra mitica Trinacria.
Chi vuole aderire a questo progetto di Libertà manti un e-mail a:.
Siculiana 31 dicembre 2005
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