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Page 1: RITI Perdersi in una tazza di tèvolgente: Il libro del tè scritto direttamen-te in inglese da Okakura Kakuzò nel 1906 per ilpubblico americano ecaposaldo in-discusso dell'estetica

RITI

Perdersi in una tazza di tèNato come medicinae divenuto bevanda,si è trasformatoin fenomeno socialeUn saggio ne svelala natura profonda

di Gian Carlo Calza

Potrà sembrare strano, ma avoler fare un elenco dei vei-coli principali che testimoni-no l'influsso asiatico in Occi-dente una delle posizionipiù cospicue spetterebbe

senz'altro al tè; e a quello di origine giap-ponese più ancora che cinese o coreano epersino indiano. Certo Cina e India sonodei grandissimi esportatori rispettoall'arcipelago, ma qui, anche se l'elemen-to materiale è determinante trattandosidi un nutrimento, ci si riferisce soprattut-to al fattore culturale. Il tè, nato come me-dicina e divenuto bevanda, si trasformòin un fenomeno sociale ricco e comples-so che ha modificò profondamente, econtinua a farlo, sistemi di pensiero,emozioni estetiche, linguaggi culturali, emodalità di comportamento dall' Asiaall'Occidente e nel mondo.

Intorno al "culto del tè" o, come vienchiamata in Asia, la "via del tè" si è discus-so molto in Giappone proprio grazie allesue ramificazioni in aspetti molteplici del-la società soprattutto a partire dal Quat-tro-Cinquecento. Basti pensare al rappor-to tra zen e cultura del tè che fu strettissi-mo al punto tale che l'uno divenne unamodalità di espressione dell'altro. Fu aquell'epoca che il tè prese a diventare vei-colo di ricerca interiore proprio nei mona-steri zen e da lìsi diffuse tra l'aristocraziadi spada. Passò poi nell'alta borghesiamercantile della regione intorno all'attua-le Osaka quando con Sen noRikyfi (1521-1571),considerato il fondato-re e il più grande esponente della via mo-derna del tè, ne vennero fissati i rituali e leprocedure. E fu a Rikyii stesso che il regi-sta Kei Kumai dedicò il film Morte di unmaestro del tè che gli valse il Leone d'ar-gento al festival di Venezia del 1989. Sullasintonia tra zen e pratica del tè il nipote ederede Sen no Sòtan (1578-1658) scrisse unimportante saggio Il tè e lo zen hanno lostesso sapore dove fin dalle prime battutedichiara: «ogni azione che si svolge nellaseduta del Tè venne a non differire dallaVia dello Zen, e i vari tipi di Tè (...) nondifferiscono dallo spirito dello Zen».

Questo interessante documento è tra-dotto nella sezione antologica del volumeLa cultura del tè in Giappone e la ricerca del-la perfezione. L'autore, Aldo Tollini, attra-verso il tè mira a condurre il lettore versola comprensione di una delle tendenzepiùradicate e diffuse nella cultura giappo-nese. Senza qualche familiarità con que-sto mondo, assai presente anche oggi an-corché di difficile percezione immediata,è vano illudersi di riuscire a sintonizzarsicon uno degli aspetti più profondi e miste-riosi dell'animo nipponico. Eperciò fa be-ne l'autore a trattare non solo di teorie,tecniche e procedure della via del tè, la co-siddetta "cerimonia del tè", ma anche ari-portare ampi brani tolti dai grandi classi-ci giapponesi del tè. Lavia del tè è partico-larmente apprezzata e associata allo zenproprio per il suo privilegiare i risvolti ap-plicativi più che quelli teorici e lo fa attin-gendo da tutte le arti fra cui primeggiaquella della rappresentazione o, si potreb-be dire più felicemente, del rito.

Il Novecento è stato testimone di ungrande interesse universale sia per lo zensia per l'arte del tè. Anzi si può sostenereche quest'ultima abbia in un certo modoanticipato lo sviluppo dell'altro fuoridell' Asia di quasi mezzo secolo. Il veicoloè senz'altro un'opera appassionata e coin-volgente: Il libro del tè scritto direttamen-te in inglese da Okakura Kakuzò nel 1906per il pubblico americano e caposaldo in-discusso dell'estetica del tè oltre l'Asia.

Non tutti sono consapevoli del fatto chela cerimonia del tè fu pratica lungamenteriservata agli uomini e che verso la finedell'Ottocento, nell'epoca dell'occidenta-lizzazione del Paese e del rifiuto dei valoritradizionali rischiò l'atrofia come tante di-scipline e linguaggi culturali della tradi-zione. Fu la genialità del discendente diuno dei tre rami in cui la famiglia di Rikyiisi era divisa dopo la sua morte, il maestroSòshitsu XII degli Urasenke, a far intro-durre nelle scuole femminili la cerimoniadel tè come formazione delle fanciulle damarito, in modo non molto dissimile dal-le finishing schools svizzere della nostratradizione europea. In tal modo la cerimo-nia del tè e con lei la sua arte rifiorironoanche se in modo più semplificato ed este-tizzante rispetto a quello di Rikyii. E il vo-lume di Tollini, di taglio prevalentementestoricistico è ricco di informazioni e sto-rie relative alla cultura del tè soprattuttofra il Cinque e l'Ottocento.

Una cosa però è fondamentale nell'artedel tè al di là di tutti gli studi e di tutte lediscettazioni: non si deve dimenticareche il tè, come il vino del resto (e forseogni cosa), prima ancora che discusso vabevuto e gustato.

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Aldo Tollini, La cultura del tè inGiappone e la ricerca della perfezione,Einaudi, Tornio, pago 2.36, e 2.2.,00.

di Giuseppe Scaraffia

L a prima tazza mi umettale labbra e la gola. La se-« conda bandisce la solitu-dine. La terza dissipa la

pesantezza della mente, confusa da tanteletture. La quarta fa esalare una lieve tra-spirazione, disperdendo dai pori tutte lesofferenze della vita. La quinta mi purifi-ca, la sesta mi apre il regno degli immorta-li. La settima, ah perché non ne posso be-re di pìùl», sospirava ilpoeta LuTung, det-to il "pazzo del tè". Grazie al sinologo Mar-co Ceresa abbiamo ilpiù antico e autorevo-le trattato su questo fluido tema, compo-sto dal poeta Lu Yu, il "dio del tè" sotto ladinastia Tang.

Nel1660 ildiarista Samuel Pepys ordinòper la prima volta una tazza di quella «be-

Per Gogol era la via per l'ascesi,Dostoevskij lo sorseggiavafreddo e non troppo forteEdith Warthon lo condividevacon il suo cane pechinese

vanda cinese di cui mi sono presto ubriaca-to». Secondo Dumas le prime tazze da tèerano state create a Kronstadt, per reagireall'avarizia di chi metteva troppo poco tènella teiera. Quando la debolezza dell'infu-so lasciava trasparire sul fondo della tazzailpanorama della cittadella, il cliente pote-va protestare esibendo il fondo della taz-za: «Si vede Kronstadt!»,

Anche da noi la preparazione del tè man-tiene il suo alone rituale, e il suo risultato,un nulla che profuma di qualcosa, non puònon assumere un significato mistico.L'eco alchemico di questo passaggio

dall'acqua al tè implica un discorso sotter-raneo sul nulla della vita e sulla possibilitàconcessa agli uomini di dargli un profumoe cioè un senso grazie a un intreccio di riti.E come tutti i riti anche quello del tè è ingrado di arrestare per un po' il movimentoincessante dell'esistenza.

Nel 1915ilgiovane Churchill era riuscitoa distrarsi dagli orrori della trincea andan-do a prendere un tè con un amico. I diecichilometri a cavallo necessari per assapo-rare la familiare bevanda non lo avevanominimamente turbato. Chiprende il tè do-mina le circostanze. Durante la sua perma-nenza in carcere, Mérimée offriva tranquil-lamente il tè a chi gli faceva visita.

Il rituale del tè può essere interpretatoin tanti modi diversi anche se chiunque neadotti uno è, come nella religione, convin-to della sua assoluta giustezza. Premurosocon le signore del vicinato come con le da-me del gran mondo, Henry Iames esigevache la zolletta di zucchero destinata alla

sua tazza di tè venisse preventivamentespezzata in due. Più goloso, E.M. Forstercoronava la teiera di sandwich al cetriolo,crumpets, marmellata di fragole, muffin epanna montata.

Per Gogol il tè era solo un preliminareall'ascesi. Per lui il momento migliore permeditare «è subito dopo iltè perché l'appe-tito non vi distragga». Ma per Proust, in-freddolito da un'uscita sotto la neve, il tèera stata la strada imprevista per scioglie-re le catene della memoria. «La vecchiacuoca mi propose una tazza di tè, che nonprendo mai». Poco dopo l'incontro del ca-lore aromatico della bevanda con quellodel pane tostato gli aveva schiuso ilcammi-no della Ricerca del tempo perduto.

Non tutti gli anglomani sono fedeli al tè.Barbey d'Aurevilly ingiungeva a un amico:«Diffida del tè, non abusarne ... è dal tè cheviene l'insonnia ... Si muore prendendotroppo tè». Timori condivisi da Balzac chelo considerava una delle droghe moderne,responsabile del pallore malsano edella te-diosa verbosità delle inglesi. Pur condivi-dendo almeno parzialmente il loro parere,Senancour non poteva fare a meno di rico-noscere che il tè «è molto utile per annoiar-si in modo calmo. Tra i veleni un po' lentiche deliziano l'uomo, credo che sia uno diquelli più adatti alle sue angosce».

Il ruolo sacerdotale di chi prepara il tèpuò indurre chi lo riveste a piccoli abusi dipotere. Edith Wharton stendeva degli ine-splicabili, agghiaccianti silenzi e a voltetrascurava l'ospite per giocare con il suopechinese che beveva il tè dalla tazza del-la padrona.

Molto diverso è il tè dei solitari. Versomezzanotte, Dostoevskij iniziava a lavora-re sorseggiando tè freddo non troppo for-te. Ma quando la fede nel tè crolla, anchel'evanescente liquido sembra vano. Passa-to all'alcol, lo scrittore gridò a chi glieneoffriva una tazza: «Andate al diavolo conla vostra brodaglia!»,

Inutile ribadire l'importanza degli stru-menti del rito. Un grande naturalista co-me il conte de Buffon si premurava di la-sciare il suo servizio da tè in eredità alla«sublime amica», madame Necker, mo-glie del celebre ministro. Due note autriciinglesi, le sorelle Antonia S. Byatt e Mar-garet Drabble, evitano di incontrarsi pervecchie ruggini rianimate da un eventoimperdonabile. Margaret ha parlato inun libro del servizio da tè di famiglia dicui Antonia avrebbe voluto avere almenol'esclusiva letteraria. Le infinite sfumatu-re dei vari brand offrono una serie impre-vista di sorprese. All'eroe della bibbia deldecadentismo, Controcorrente di Huy-smans, bastava annusare il tè per elencarei componenti della miscela.

Ma la condanna del tè sconsacrato bevu-to nei bicchieri di carta o attinto da squalli-di thermos è senza appello. Paul Morandcommentava disgustato l'intruglio che ve-niva servito negli uffici della City e neifoyer dei teatri londinesi, «nero, inondatodi latte, batte il record dell'imbevibilità, fa-cendo morire di vergogna i cinesi che nebevono da quattordici secoli e esportanosolo i meno buoni tra le loro ottanta tipi».

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Lu Yu, Il canone del tè, a c. di M. Ceresa,Quodlibet, Macerata, pagg. 2.2.6,e 2.2..