RITI Perdersi in una tazza di tèvolgente: Il libro del tè scritto direttamen-te in inglese da...

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RITI Perdersi in una tazza di tè Nato come medicina e divenuto bevanda, si è trasformato in fenomeno sociale U n saggio ne svela la natura profonda di Gian Carlo Calza P otrà sembrare strano, ma a voler fare un elenco dei vei- coli principali che testimoni- no l'influsso asiatico in Occi- dente una delle posizioni più cospicue spetterebbe senz'altro al tè; e a quello di origine giap- ponese più ancora che cinese o coreano e persino indiano. Certo Cina e India sono dei grandissimi esportatori rispetto all'arcipelago, ma qui, anche se l'elemen- to materiale è determinante trattandosi di un nutrimento, ci si riferisce soprattut- to al fattore culturale. Il tè, nato come me- dicina e divenuto bevanda, si trasformò in un fenomeno sociale ricco e comples- so che ha modificò profondamente, e continua a farlo, sistemi di pensiero, emozioni estetiche, linguaggi culturali, e modalità di comportamento dall' Asia all'Occidente e nel mondo. Intorno al "culto del tè" o, come vien chiamata in Asia, la "via del tè" si è discus- so molto in Giappone proprio grazie alle sue ramificazioni in aspetti molteplici del- la società soprattutto a partire dal Quat- tro-Cinquecento. Basti pensare al rappor- to tra zen e cultura del tè che fu strettissi- mo al punto tale che l'uno divenne una modalità di espressione dell'altro. Fu a quell'epoca che il tè prese a diventare vei- colo di ricerca interiore proprio nei mona- steri zen e da si diffuse tra l'aristocrazia di spada. Passò poi nell'alta borghesia mercantile della regione intorno all'attua- le Osaka quando con Sen no Rikyfi (1521-1571),considerato il fondato- re e il più grande esponente della via mo- derna del tè, ne vennero fissati i rituali e le procedure. E fu a Rikyii stesso che il regi- sta Kei Kumai dedicò il film Morte di un maestro del tè che gli valse il Leone d'ar- gento al festival di Venezia del 1989. Sulla sintonia tra zen e pratica del tè il nipote ed erede Sen no Sòtan (1578-1658) scrisse un importante saggio Il tè e lo zen hanno lo stesso sapore dove fin dalle prime battute dichiara: «ogni azione che si svolge nella seduta del Tè venne a non differire dalla Via dello Zen, e i vari tipi di Tè (...) non differiscono dallo spirito dello Zen». Questo interessante documento è tra- dotto nella sezione antologica del volume La cultura del tè in Giappone e la ricerca del- la perfezione. L'autore, Aldo Tollini, attra- verso il tè mira a condurre il lettore verso la comprensione di una delle tendenze piùradicate e diffuse nella cultura giappo- nese. Senza qualche familiarità con que- sto mondo, assai presente anche oggi an- corché di difficile percezione immediata, è vano illudersi di riuscire a sintonizzarsi con uno degli aspetti più profondi e miste- riosi dell'animo nipponico. E perciò fa be- ne l'autore a trattare non solo di teorie, tecniche e procedure della via del tè, la co- siddetta "cerimonia del tè", ma anche ari- portare ampi brani tolti dai grandi classi- ci giapponesi del tè. La via del tè è partico- larmente apprezzata e associata allo zen proprio per il suo privilegiare i risvolti ap- plicativi più che quelli teorici e lo fa attin- gendo da tutte le arti fra cui primeggia quella della rappresentazione o, si potreb- be dire più felicemente, del rito. Il Novecento è stato testimone di un grande interesse universale sia per lo zen sia per l'arte del tè. Anzi si può sostenere che quest'ultima abbia in un certo modo anticipato lo sviluppo dell'altro fuori dell' Asia di quasi mezzo secolo. Il veicolo è senz'altro un'opera appassionata e coin- volgente: Il libro del tè scritto direttamen- te in inglese da Okakura Kakuzò nel 1906 per il pubblico americano e caposaldo in- discusso dell'estetica del tè oltre l'Asia. Non tutti sono consapevoli del fatto che la cerimonia del tè fu pratica lungamente riservata agli uomini e che verso la fine dell'Ottocento, nell'epoca dell'occidenta- lizzazione del Paese e del rifiuto dei valori tradizionali rischiò l'atrofia come tante di- scipline e linguaggi culturali della tradi- zione. Fu la genialità del discendente di uno dei tre rami in cui la famiglia di Rikyii si era divisa dopo la sua morte, il maestro Sòshitsu XII degli Urasenke, a far intro- durre nelle scuole femminili la cerimonia del tè come formazione delle fanciulle da marito, in modo non molto dissimile dal- le finishing schools svizzere della nostra tradizione europea. In tal modo la cerimo- nia del tè e con lei la sua arte rifiorirono anche se in modo più semplificato ed este- tizzante rispetto a quello di Rikyii. E il vo- lume di Tollini, di taglio prevalentemente storicistico è ricco di informazioni e sto- rie relative alla cultura del tè soprattutto fra il Cinque e l'Ottocento. Una cosa però è fondamentale nell'arte del tè al di là di tutti gli studi e di tutte le discettazioni: non si deve dimenticare che il tè, come il vino del resto (e forse ogni cosa), prima ancora che discusso va bevuto e gustato. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Aldo Tollini, La cultura del tè in Giappone e la ricerca della perfezione, Einaudi, Tornio, pago 2.36, e 2.2.,00. di Giuseppe Scaraffia L a prima tazza mi umetta le labbra e la gola. La se- « conda bandisce la solitu- dine. La terza dissipa la pesantezza della mente, confusa da tante letture. La quarta fa esalare una lieve tra- spirazione, disperdendo dai pori tutte le sofferenze della vita. La quinta mi purifi- ca, la sesta mi apre il regno degli immorta- li. La settima, ah perché non ne posso be- re di pìùl», sospirava il poeta Lu Tung, det- to il "pazzo del tè". Grazie al sinologo Mar- co Ceresa abbiamo il più antico e autorevo- le trattato su questo fluido tema, compo- sto dal poeta Lu Yu, il "dio del tè" sotto la dinastia Tang. Nel1660 il diarista Samuel Pepys ordinò per la prima volta una tazza di quella «be- Per Gogol era la via per l'ascesi, Dostoevskij lo sorseggiava freddo e non troppo forte Edith Warthon lo condivideva con il suo cane pechinese vanda cinese di cui mi sono presto ubriaca- to». Secondo Dumas le prime tazze da tè erano state create a Kronstadt, per reagire all'avarizia di chi metteva troppo poco tè nella teiera. Quando la debolezza dell'infu- so lasciava trasparire sul fondo della tazza ilpanorama della cittadella, il cliente pote- va protestare esibendo il fondo della taz- za: «Si vede Kronstadt!», Anche da noi la preparazione del tè man- tiene il suo alone rituale, e il suo risultato, un nulla che profuma di qualcosa, non può non assumere un significato mistico. L'eco alchemico di questo passaggio dall'acqua al tè implica un discorso sotter- raneo sul nulla della vita e sulla possibilità concessa agli uomini di dargli un profumo e cioè un senso grazie a un intreccio di riti. E come tutti i riti anche quello del tè è in grado di arrestare per un po' il movimento incessante dell'esistenza. Nel 1915ilgiovane Churchill era riuscito a distrarsi dagli orrori della trincea andan- do a prendere un tè con un amico. I dieci chilometri a cavallo necessari per assapo- rare la familiare bevanda non lo avevano minimamente turbato. Chi prende il tè do- mina le circostanze. Durante la sua perma- nenza in carcere, Mérimée offriva tranquil- lamente il tè a chi gli faceva visita. Il rituale del tè può essere interpretato in tanti modi diversi anche se chiunque ne adotti uno è, come nella religione, convin- to della sua assoluta giustezza. Premuroso con le signore del vicinato come con le da- me del gran mondo, Henry Iames esigeva che la zolletta di zucchero destinata alla sua tazza di tè venisse preventivamente spezzata in due. Più goloso, E.M. Forster coronava la teiera di sandwich al cetriolo, crumpets, marmellata di fragole, muffin e panna montata. Per Gogol il tè era solo un preliminare all'ascesi. Per lui il momento migliore per meditare «è subito dopo iltè perché l'appe- tito non vi distragga». Ma per Proust, in- freddolito da un'uscita sotto la neve, il tè era stata la strada imprevista per scioglie- re le catene della memoria. «La vecchia cuoca mi propose una tazza di tè, che non prendo mai». Poco dopo l'incontro del ca- lore aromatico della bevanda con quello del pane tostato gli aveva schiuso il cammi- no della Ricerca del tempo perduto. Non tutti gli anglomani sono fedeli al tè. Barbey d'Aurevilly ingiungeva a un amico: «Diffida del tè, non abusarne ... è dal tè che viene l'insonnia ... Si muore prendendo troppo tè». Timori condivisi da Balzac che lo considerava una delle droghe moderne, responsabile del pallore malsano e della te- diosa verbosità delle inglesi. Pur condivi- dendo almeno parzialmente il loro parere, Senancour non poteva fare a meno di rico- noscere che il tè «è molto utile per annoiar- si in modo calmo. Tra i veleni un po' lenti che deliziano l'uomo, credo che sia uno di quelli più adatti alle sue angosce». Il ruolo sacerdotale di chi prepara il tè può indurre chi lo riveste a piccoli abusi di potere. Edith Wharton stendeva degli ine- splicabili, agghiaccianti silenzi e a volte trascurava l'ospite per giocare con il suo pechinese che beveva il tè dalla tazza del- la padrona. Molto diverso è il tè dei solitari. Verso mezzanotte, Dostoevskij iniziava a lavora- re sorseggiando tè freddo non troppo for- te. Ma quando la fede nel tè crolla, anche l'evanescente liquido sembra vano. Passa- to all'alcol, lo scrittore gridò a chi gliene offriva una tazza: «Andate al diavolo con la vostra brodaglia!», Inutile ribadire l'importanza degli stru- menti del rito. Un grande naturalista co- me il conte de Buffon si premurava di la- sciare il suo servizio da tè in eredità alla «sublime amica», madame Necker, mo- glie del celebre ministro. Due note autrici inglesi, le sorelle Antonia S. Byatt e Mar- garet Drabble, evitano di incontrarsi per vecchie ruggini rianimate da un evento imperdonabile. Margaret ha parlato in un libro del servizio da tè di famiglia di cui Antonia avrebbe voluto avere almeno l'esclusiva letteraria. Le infinite sfumatu- re dei vari brand offrono una serie impre- vista di sorprese. All'eroe della bibbia del decadentismo, Controcorrente di Huy- smans, bastava annusare il tè per elencare i componenti della miscela. Ma la condanna del tè sconsacrato bevu- to nei bicchieri di carta o attinto da squalli- di thermos è senza appello. Paul Morand commentava disgustato l'intruglio che ve- niva servito negli uffici della City e nei foyer dei teatri londinesi, «nero, inondato di latte, batte il record dell'imbevibilità, fa- cendo morire di vergogna i cinesi che ne bevono da quattordici secoli e esportano solo i meno buoni tra le loro ottanta tipi». © RIPRODUZIONE RISERVATA Lu Yu, Il canone del tè, a c. di M. Ceresa, Quodlibet, Macerata, pagg. 2.2.6,e 2.2..

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RITI

Perdersi in una tazza di tèNato come medicinae divenuto bevanda,si è trasformatoin fenomeno socialeUn saggio ne svelala natura profonda

di Gian Carlo Calza

Potrà sembrare strano, ma avoler fare un elenco dei vei-coli principali che testimoni-no l'influsso asiatico in Occi-dente una delle posizionipiù cospicue spetterebbe

senz'altro al tè; e a quello di origine giap-ponese più ancora che cinese o coreano epersino indiano. Certo Cina e India sonodei grandissimi esportatori rispettoall'arcipelago, ma qui, anche se l'elemen-to materiale è determinante trattandosidi un nutrimento, ci si riferisce soprattut-to al fattore culturale. Il tè, nato come me-dicina e divenuto bevanda, si trasformòin un fenomeno sociale ricco e comples-so che ha modificò profondamente, econtinua a farlo, sistemi di pensiero,emozioni estetiche, linguaggi culturali, emodalità di comportamento dall' Asiaall'Occidente e nel mondo.

Intorno al "culto del tè" o, come vienchiamata in Asia, la "via del tè" si è discus-so molto in Giappone proprio grazie allesue ramificazioni in aspetti molteplici del-la società soprattutto a partire dal Quat-tro-Cinquecento. Basti pensare al rappor-to tra zen e cultura del tè che fu strettissi-mo al punto tale che l'uno divenne unamodalità di espressione dell'altro. Fu aquell'epoca che il tè prese a diventare vei-colo di ricerca interiore proprio nei mona-steri zen e da lìsi diffuse tra l'aristocraziadi spada. Passò poi nell'alta borghesiamercantile della regione intorno all'attua-le Osaka quando con Sen noRikyfi (1521-1571),considerato il fondato-re e il più grande esponente della via mo-derna del tè, ne vennero fissati i rituali e leprocedure. E fu a Rikyii stesso che il regi-sta Kei Kumai dedicò il film Morte di unmaestro del tè che gli valse il Leone d'ar-gento al festival di Venezia del 1989. Sullasintonia tra zen e pratica del tè il nipote ederede Sen no Sòtan (1578-1658) scrisse unimportante saggio Il tè e lo zen hanno lostesso sapore dove fin dalle prime battutedichiara: «ogni azione che si svolge nellaseduta del Tè venne a non differire dallaVia dello Zen, e i vari tipi di Tè (...) nondifferiscono dallo spirito dello Zen».

Questo interessante documento è tra-dotto nella sezione antologica del volumeLa cultura del tè in Giappone e la ricerca del-la perfezione. L'autore, Aldo Tollini, attra-verso il tè mira a condurre il lettore versola comprensione di una delle tendenzepiùradicate e diffuse nella cultura giappo-nese. Senza qualche familiarità con que-sto mondo, assai presente anche oggi an-corché di difficile percezione immediata,è vano illudersi di riuscire a sintonizzarsicon uno degli aspetti più profondi e miste-riosi dell'animo nipponico. Eperciò fa be-ne l'autore a trattare non solo di teorie,tecniche e procedure della via del tè, la co-siddetta "cerimonia del tè", ma anche ari-portare ampi brani tolti dai grandi classi-ci giapponesi del tè. Lavia del tè è partico-larmente apprezzata e associata allo zenproprio per il suo privilegiare i risvolti ap-plicativi più che quelli teorici e lo fa attin-gendo da tutte le arti fra cui primeggiaquella della rappresentazione o, si potreb-be dire più felicemente, del rito.

Il Novecento è stato testimone di ungrande interesse universale sia per lo zensia per l'arte del tè. Anzi si può sostenereche quest'ultima abbia in un certo modoanticipato lo sviluppo dell'altro fuoridell' Asia di quasi mezzo secolo. Il veicoloè senz'altro un'opera appassionata e coin-volgente: Il libro del tè scritto direttamen-te in inglese da Okakura Kakuzò nel 1906per il pubblico americano e caposaldo in-discusso dell'estetica del tè oltre l'Asia.

Non tutti sono consapevoli del fatto chela cerimonia del tè fu pratica lungamenteriservata agli uomini e che verso la finedell'Ottocento, nell'epoca dell'occidenta-lizzazione del Paese e del rifiuto dei valoritradizionali rischiò l'atrofia come tante di-scipline e linguaggi culturali della tradi-zione. Fu la genialità del discendente diuno dei tre rami in cui la famiglia di Rikyiisi era divisa dopo la sua morte, il maestroSòshitsu XII degli Urasenke, a far intro-durre nelle scuole femminili la cerimoniadel tè come formazione delle fanciulle damarito, in modo non molto dissimile dal-le finishing schools svizzere della nostratradizione europea. In tal modo la cerimo-nia del tè e con lei la sua arte rifiorironoanche se in modo più semplificato ed este-tizzante rispetto a quello di Rikyii. E il vo-lume di Tollini, di taglio prevalentementestoricistico è ricco di informazioni e sto-rie relative alla cultura del tè soprattuttofra il Cinque e l'Ottocento.

Una cosa però è fondamentale nell'artedel tè al di là di tutti gli studi e di tutte lediscettazioni: non si deve dimenticareche il tè, come il vino del resto (e forseogni cosa), prima ancora che discusso vabevuto e gustato.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Aldo Tollini, La cultura del tè inGiappone e la ricerca della perfezione,Einaudi, Tornio, pago 2.36, e 2.2.,00.

di Giuseppe Scaraffia

L a prima tazza mi umettale labbra e la gola. La se-« conda bandisce la solitu-dine. La terza dissipa la

pesantezza della mente, confusa da tanteletture. La quarta fa esalare una lieve tra-spirazione, disperdendo dai pori tutte lesofferenze della vita. La quinta mi purifi-ca, la sesta mi apre il regno degli immorta-li. La settima, ah perché non ne posso be-re di pìùl», sospirava ilpoeta LuTung, det-to il "pazzo del tè". Grazie al sinologo Mar-co Ceresa abbiamo ilpiù antico e autorevo-le trattato su questo fluido tema, compo-sto dal poeta Lu Yu, il "dio del tè" sotto ladinastia Tang.

Nel1660 ildiarista Samuel Pepys ordinòper la prima volta una tazza di quella «be-

Per Gogol era la via per l'ascesi,Dostoevskij lo sorseggiavafreddo e non troppo forteEdith Warthon lo condividevacon il suo cane pechinese

vanda cinese di cui mi sono presto ubriaca-to». Secondo Dumas le prime tazze da tèerano state create a Kronstadt, per reagireall'avarizia di chi metteva troppo poco tènella teiera. Quando la debolezza dell'infu-so lasciava trasparire sul fondo della tazzailpanorama della cittadella, il cliente pote-va protestare esibendo il fondo della taz-za: «Si vede Kronstadt!»,

Anche da noi la preparazione del tè man-tiene il suo alone rituale, e il suo risultato,un nulla che profuma di qualcosa, non puònon assumere un significato mistico.L'eco alchemico di questo passaggio

dall'acqua al tè implica un discorso sotter-raneo sul nulla della vita e sulla possibilitàconcessa agli uomini di dargli un profumoe cioè un senso grazie a un intreccio di riti.E come tutti i riti anche quello del tè è ingrado di arrestare per un po' il movimentoincessante dell'esistenza.

Nel 1915ilgiovane Churchill era riuscitoa distrarsi dagli orrori della trincea andan-do a prendere un tè con un amico. I diecichilometri a cavallo necessari per assapo-rare la familiare bevanda non lo avevanominimamente turbato. Chiprende il tè do-mina le circostanze. Durante la sua perma-nenza in carcere, Mérimée offriva tranquil-lamente il tè a chi gli faceva visita.

Il rituale del tè può essere interpretatoin tanti modi diversi anche se chiunque neadotti uno è, come nella religione, convin-to della sua assoluta giustezza. Premurosocon le signore del vicinato come con le da-me del gran mondo, Henry Iames esigevache la zolletta di zucchero destinata alla

sua tazza di tè venisse preventivamentespezzata in due. Più goloso, E.M. Forstercoronava la teiera di sandwich al cetriolo,crumpets, marmellata di fragole, muffin epanna montata.

Per Gogol il tè era solo un preliminareall'ascesi. Per lui il momento migliore permeditare «è subito dopo iltè perché l'appe-tito non vi distragga». Ma per Proust, in-freddolito da un'uscita sotto la neve, il tèera stata la strada imprevista per scioglie-re le catene della memoria. «La vecchiacuoca mi propose una tazza di tè, che nonprendo mai». Poco dopo l'incontro del ca-lore aromatico della bevanda con quellodel pane tostato gli aveva schiuso ilcammi-no della Ricerca del tempo perduto.

Non tutti gli anglomani sono fedeli al tè.Barbey d'Aurevilly ingiungeva a un amico:«Diffida del tè, non abusarne ... è dal tè cheviene l'insonnia ... Si muore prendendotroppo tè». Timori condivisi da Balzac chelo considerava una delle droghe moderne,responsabile del pallore malsano edella te-diosa verbosità delle inglesi. Pur condivi-dendo almeno parzialmente il loro parere,Senancour non poteva fare a meno di rico-noscere che il tè «è molto utile per annoiar-si in modo calmo. Tra i veleni un po' lentiche deliziano l'uomo, credo che sia uno diquelli più adatti alle sue angosce».

Il ruolo sacerdotale di chi prepara il tèpuò indurre chi lo riveste a piccoli abusi dipotere. Edith Wharton stendeva degli ine-splicabili, agghiaccianti silenzi e a voltetrascurava l'ospite per giocare con il suopechinese che beveva il tè dalla tazza del-la padrona.

Molto diverso è il tè dei solitari. Versomezzanotte, Dostoevskij iniziava a lavora-re sorseggiando tè freddo non troppo for-te. Ma quando la fede nel tè crolla, anchel'evanescente liquido sembra vano. Passa-to all'alcol, lo scrittore gridò a chi glieneoffriva una tazza: «Andate al diavolo conla vostra brodaglia!»,

Inutile ribadire l'importanza degli stru-menti del rito. Un grande naturalista co-me il conte de Buffon si premurava di la-sciare il suo servizio da tè in eredità alla«sublime amica», madame Necker, mo-glie del celebre ministro. Due note autriciinglesi, le sorelle Antonia S. Byatt e Mar-garet Drabble, evitano di incontrarsi pervecchie ruggini rianimate da un eventoimperdonabile. Margaret ha parlato inun libro del servizio da tè di famiglia dicui Antonia avrebbe voluto avere almenol'esclusiva letteraria. Le infinite sfumatu-re dei vari brand offrono una serie impre-vista di sorprese. All'eroe della bibbia deldecadentismo, Controcorrente di Huy-smans, bastava annusare il tè per elencarei componenti della miscela.

Ma la condanna del tè sconsacrato bevu-to nei bicchieri di carta o attinto da squalli-di thermos è senza appello. Paul Morandcommentava disgustato l'intruglio che ve-niva servito negli uffici della City e neifoyer dei teatri londinesi, «nero, inondatodi latte, batte il record dell'imbevibilità, fa-cendo morire di vergogna i cinesi che nebevono da quattordici secoli e esportanosolo i meno buoni tra le loro ottanta tipi».

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Lu Yu, Il canone del tè, a c. di M. Ceresa,Quodlibet, Macerata, pagg. 2.2.6,e 2.2..