pag.1 EditorialePublius
pag.2 Nobel a Obama?Giulia Spiaggi
pag.4 Compendio del politico europeo (part II)
Davide Negri
pag.5 Il nuovo governo tedesco e il “nodo di Gordio”
Luca Lionello
pag.6 Storiche elezioni in Giappone
Gabriele Felice Mascherpa
PubliusPer un’ Alternativa Europea
Universitari per la Federazione Europea-Numero 5 - Settembre 2010
distribuzione gratuita
Giornale degli studentidell’Università di Pavia.
Informazione, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi
e di domani
Il quinto numero di Publius, il primo del 2010, esce a set‐tembre dopo una pausa di nove mesi dovuta alle dif;icol‐tà che abbiamo incontrato nel procurarci i fondi per la stampa del giornale. L'anno scorso abbiamo potuto pub‐blicare Publius grazie al con‐tributo dell'A.C.E.R.S.A.T., l'en‐te universitario che ha il com‐pito di ;inanziare iniziative promosse da gruppi di stu‐denti col ;ine di facilitarne la socializzazione.L'esistenza di Publius, come quella degli altri giornali uni‐versitari, non dipende quindi soltanto dall'interesse che riesce a suscitare tra i suoi lettori e dalla volontà del gruppo di studenti che lo tie‐ne in vita, ma anche dagli in‐dirizzi della Commissione A.C.E.R.S.A.T. che si traducono nei bandi che che la Commis‐sione pubblica a gennaio e a maggio di ogni anno. Questi mesi in cui ci siamo impegnati per garantire la
sopravvivenza di Publius sono stati per noi l'occasione per una ri;lessione sull'obiettivo che ci siamo posti iniziando a scrivere un giornale di proposta politica europea, quale è Publius. Siamo infatti convinti che l'importanza di un dibattito politico libero e privo di faziosità sia innegabile, e per questo ci siamo proposti di contribuire a tale dibattito con il nostro punto di vista. Politica signi;ica innanzitutto perseguire il bene comune, nel senso più ampio del termine. Ma il quadro in cui si può perseguire tale ;ine è dato dalle istituzioni esistenti, e innanzitutto dallo Stato: per noi si tratta dello Stato italiano e delle sue istituzioni sovrane. Og‐gi, però, noi viviamo la profonda contraddizione legata al fatto che i con;ini statuali sono delle mura permeabili rispetto ai processi globali e alla pressione esercitata dagli equilibri di potere e dalle forze che dominano a livello in‐ternazionale; ma sono invece delle mura impermeabili per quanto riguarda la possibilità di
fare politica, e quindi di scegliere il bene comune in modo demo‐cratico, libero da in;luenze e condizionamenti. E’ questo il nodo istituzionale che vorremmo mettere in luce in queste pagine: la forza della politica, e quindi la sua capacità di risolvere i bisogni e di andare incontro alle aspetta‐tive dei cittadini, dipende innan‐zitutto dalla solidità e dall'ade‐guatezza delle istituzioni tramite le quali si opera e si agisce come collettività. Il mondo di oggi è una gigantesca arena in cui ai piccoli Stati non rimane che su‐bire il vassallaggio, prima eco‐nomico poi politico, degli Stati più grandi e più forti. E in parti‐colare, per noi europei, c’è solo una possibilità per non soccom‐bere: unirci in un vincolo federa‐le. Solo recuperando a livello europeo, all'interno di un quadro statuale federale, la capacità di agire e di rilanciare un progetto di sviluppo economico, politico e sociale potremo far fronte alle s;ide del XXI secolo, che altri‐menti rischiano di schiacciarci.
Indice
pag.1 EditorialePublius
pag.2 Ma@ia e StatoDavide Negri
pag.4 I rapporti tra Europa e Stati Uniti
Laura Filippi
pag.6 L’Europa e il gigante cinese
Giulia Spiaggi
pag.7 L’Ucraina cambia orizzonti
Nelson Belloni
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Quali sono le origini di un simile cancro del vivere civile? Quali sono i rapporti trastato e ma;ia?
Lo Stato moderno nasce quando la forza coattiva viene prima accentrata nelle istituzioni statali e poi accettata e rico‐nosciuta dai soggetti alle quali si impone;quando l'autorità detentrice del potere viene ritenuta legittima il rapporto tra Stato e cittadini è diretto, senza media‐zioni. Invece quando il monopolio della forza legittima è percepito come inef;ica‐ce e incapace di realizzare le aspirazioni di giustizia sociale, possono sorgere nuo‐vi soggetti che, fungendo da mediatori tra istituzioni e cittadini, si fanno implici‐tamente garanti dell'ordine sociale e po‐litico in determinate aree. Il fallimento e il ritardo dello Stato e della politica nel
promuovere uguaglianza e libertà, gene‐ra nella società una cultura della dif;i‐denza nelle istituzioni che spinge i singo‐li cittadini a ritenere più vicina e giusta un'altra "autorità". Questo è il terreno di coltura di tutte le ma;ie. È così che entra in scena un nuovo soggetto de‐tentore della violenza organizzata caratteriz‐zata dal fatto di essere illegittima, iniqua e arbitraria. Le classi dirigenti locali dove le ma;ie sorgono non si oppongono alla loro ascesa perché essa – la ma;ia – appare in una posizione servente, non sostitutiva alla classe diri‐gente locale. Tale scelta è strategica: la violenza organizzata della ma;ia non de‐ve suscitare di tipo repressivo una rea‐zione politica delle istituzioni di tipo re‐
pressivo e pertanto s rivolge solo contro gli individui o gruppi di individui che non accettano l'ordine sociale‐economico stabilito dalle classi dirigenti (che si ser‐vono della ma;ia) o che la stessa ma;ia
stabilisce in quei settori economici in suo con‐trollo (mercati legali di basso livello economico e mercati illegali, quali commercio di armi, stu‐
pefacenti, usura, prostituzione ed essere umani). Per comprendere pienamente il fenomeno ma;ioso, esso va pertanto in‐quadrato come un problema politico e non più solo come un problema di re‐pressione criminale. Ciò che viene per‐cepito dai mass media e ampli;icato nel pensiero collettivo è solo la ma;ia nella sua versione militare (fenomeni ad alto tasso di violenza), ovvero il braccio ar‐mato di una forma di governo criminale del territorio gestito da persone appar‐tenenti alla classe imprenditoriale e poli‐tica della società, capaci di esercitare un forte controllo sociale.Il problema della strategia di contrasto alla ma;ia ha proprio questo di particola‐re: essa colpisce un veicolo di consenso alla politica. E la politica, secondo il noto principio machiavellico, è un potere ca‐pace di autoconservarsi. Quindi diventa assolutamente necessario prima isolare politicamente il consenso originato dalla ma;ia, per poi attaccarlo con azioni re‐pressive legislative e giudiziarie. Come in un'operazione chirurgica di amputazio‐ne, così anche il contrasto alla ma;ia par‐te dall'amputazione di una fetta di con‐senso dagli equilibri politici di un paese. Due esempi aiuteranno a comprendere.In Italia, la politica anti‐ma;ia degli anni Ottanta e Novanta, in una situazione di
Mafia e Stato
Per questo motivo i nostri articoli, frutto di un lavoro di ri;lessione di gruppo, trat‐tano temi di politica, economia, attualità in un'ottica sopranazionale, perché rite‐niamo necessario ampliare il nostro campo di informazione per capire i limiti e le contraddizioni della politica naziona‐le nostrana ed estera di fronte ai proble‐mi che la globalizzazione e l’interdipen‐denza economica hanno creato.E' giusto che un simile dibattito si svolga in Università? L’Università ha il dovere morale e istituzionale di promuovere il sapere e la conoscenza ai massimi livelli possibili in tutti i campi. Se così è, a mag‐gior ragione essa dovrebbe contribuire
alla formazione di una coscienza politica matura, capace di indicare alle istituzioni l'obiettivo ultimo della politica stessa, cioè il cammino verso la pace e la libertà di tutta l’umanità. Proprio la creazione di uno Stato federale europeo costituirebbe un enorme passo avanti in questa dire‐zione, contribuendo alla creazione di un mondo più equilibrato e meno anarchico. La città di Pavia, e in particolare la sua Università, sono da decenni un centro di elaborazione e diffusione del pensiero federalista, ed è conosciuta per questo non solo in Italia, ma anche in Europa e in altri continenti. Ed è per continuare il lungo e dif;icile cammino che ci hanno
lasciato i nostri predecessori, tra i quali desideriamo ricordare innanzitutto Ma‐rio Albertini, che per tanti anni è stato docente presso la nostra Università, che abbiamo costituito il gruppo "Universita‐ri per la federazione europea" e, con la pubblicazione di Publius, con le confe‐renze e le altre iniziative che stiamo or‐ganizzando, intendiamo impegnarci per‐ché sempre più studenti pavesi condivi‐dano le nostre motivazioni e collaborino con noi per creare un gruppo d'interesse solido e vivace all'interno del nostro ate‐neo.
Publius
Il fenomeno mafioso va inquadrato come un
problema politico
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normalità, avrebbe signi;icato far saltare equilibri e dichiarare una sorta di guerra civile a quella parte del paese che aveva vissuto grazie ad attività illecite e illegali,sostitutive di un lavoro dignitoso e re‐munerato inesistente. Per tal motivo la reazione dello Stato italiano avvenne solo in un clima di emergenza nazionale attraverso una (disorganica) legislazione anti‐ma;ia e la coraggiosa attività della magistratura. Il caso italiano ha dimo‐strato che la formazione della volontà di
contrastare la ma;ia sia stata condiziona‐ta dalla debolezza dello Stato e dall'in‐;luenza dell'equilibrio bipolare USA‐URSS che, rendendo impossibile l'alter‐nanza al governo tra gli attori politici, aveva indotto parte della classe politica a compromettersi con la ma;ia.Invece, la storia del contrasto alle ma;ie negli USA ha dimostrato proprio come il livello di governo federale sia stato un potere sostitutivo e sussidiario alla cor‐ruzione e all'inerzia dei singoli Stati con‐
dizionati dalla presenza della ma;ia. Quando la reazione dei governi locali alla ma;ia venne meno, essa fu recuperata dalle autorità federali, nel momento in cui ebbe suf;iciente coscienza politica delproblema. Per di più l'azione della Federazione fu necessaria in quanto il progresso tecno‐logico e la libera circolazione di persone, merci e capitali all'interno dei territori della Federazione, aveva reso enorme‐mente dif;icile l'azione repressiva delle
60° Anniversario della
dichiarazione SchumanLa pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il con‐tributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni paci;i‐che. La Francia, facendosi da oltre vent'anni antesignana di un'Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L'Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra. L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzi‐tutto una solidarietà di fatto. L'unione delle nazioni esige l'elimi‐nazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l'azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania. A tal ;ine, il governo francese propone di concentrare immedia‐tamente l'azione su un punto limitato ma decisivo. Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzio‐ne franco‐tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi co‐muni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime. La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile. La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro uni;icazione eco‐nomica. Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzio‐ne né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace. Se potrà contare su un rafforza‐mento dei mezzi, l'Europa sarà in grado di proseguire nella rea‐lizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del con‐tinente africano. Sarà così effettuata, rapidamente e con mezzi semplici, la fusione di interessi necessari all'instaurazione di una comunità economica e si introdurrà il fermento di una comunità più profonda tra paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni. Questa proposta, mettendo in comune le produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vin‐colanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea
indispensabile al mantenimento della pace. Per giungere alla realizzazione degli obiettivi così de;initi, il governo francese è pronto ad iniziare dei negoziati sulle basi seguenti. Il compito af;idato alla comune Alta Autorità sarà di assicurare entro i termini più brevi: l'ammodernamento della produzione e il miglioramento della sua qualità: la fornitura, a condizioni uguali, del carbone e dell'acciaio sul mercato francese e sul mer‐cato tedesco nonché su quelli dei paese aderenti: lo sviluppo dell'esportazione comune verso gli altri paesi; l'uguagliamento verso l'alto delle condizioni di vita della manodopera di queste industrie. Per conseguire tali obiettivi, partendo dalle condizioni molto dissimili in cui attualmente si trovano le produzioni dei paesi aderenti, occorrerà mettere in vigore, a titolo transitorio, alcune disposizioni che comportano l'applicazione di un piano di pro‐duzione e di investimento, l'istituzione di meccanismi di pere‐quazione dei prezzi e la creazione di un fondo di riconversione che faciliti la razionalizzazione della produzione. La circolazione del carbone e dell'acciaio tra i paesi aderenti sarà immediata‐mente esentata da qualsiasi dazio doganale e non potrà essere colpita da tariffe di trasporto differenziali. Ne risulteranno gra‐dualmente le condizioni che assicureranno automaticamente la ripartizione più razionale della produzione al più alto livello di produttività. Contrariamente ad un cartello internazionale, che tende alla ri‐partizione e allo sfruttamento dei mercati nazionali mediante pratiche restrittive e il mantenimento di pro;itti elevati, l'orga‐nizzazione progettata assicurerà la fusione dei mercati e l'espan‐sione della produzione. I principi e gli impegni essenziali sopra de;initi saranno oggetto di un trattato ;irmato tra gli stati e sottoposto alla rati;ica dei parlamenti. I negoziati indispensabili per precisare le misure d'applicazione si svolgeranno con l'assistenza di un arbitro desi‐gnato di comune accordo : costui sarà incaricato di veri;icare che gli accordi siano conformi ai principi e, in caso di contrasto irri‐ducibile,;isserà la soluzione che sarà adottata. L'Alta Autorità comune, incaricata del funzionamento dell'intero regime, sarà composta di personalità indipendenti designate su base paritaria dai governi; un presidente sarà scelto di comune accordo dai governi; le sue decisioni saranno esecutive in Fran‐cia, Germania e negli altri paesi aderenti. Disposizioni appropria‐te assicureranno i necessari mezzi di ricorso contro le decisioni dell'Alta Autorità. Un rappresentante delle Nazioni Unite presso detta autorità sarà incaricato di preparare due volte l'anno una relazione pubblica per l'ONU, nelle quale renderà conto del funzionamento del nuo‐vo organismo, in particolare per quanto riguarda la salvaguardia dei suoi ;ini paci;ici. L'istituzione dell'Alta Autorità non pregiudica in nulla il regime di proprietà delle imprese. Nell'esercizio del suo compito, l'Alta Autorità comune terrà conto dei poteri conferiti all'autorità in‐ternazionale della Ruhr e degli obblighi di qualsiasi natura im‐posti alla Germania, ;inché tali obblighi sussisteranno.
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L’European Council on Foreign Relations ha redatto lo scorso novembre un inte‐ressante rapporto che analizza le rela‐zioni politiche ed economiche tra Stati Uniti ed Unione europea e che mostra come siano diverse le aspettative, per quanto riguarda gli USA da un lato e gli Stati europei dall’altro, nei confronti dei rapporti transoceanici.Come fanno notare gli autori del rappor‐to, lo statunitense Jeremy Shapiro e l’in‐glese Nick Witney, il mondo è entrato in una nuova era post‐americana; la guerra fredda è terminata ormai da vent’anni e la crescente globalizzazione ha ridistri‐buito il potere dall’Occidente verso l’Est ed il Sud del mondo.Di fronte a questo cambiamento storico gli Stati Uniti, pur rendendosi conto di non poter più esercitare un dominio in‐contrastato, sono tuttavia determinati a sfruttare lo status di unica potenza glo‐bale che ancora detengono, per realizza‐re una rete di alleanze (network of partnership) che li renda decisivi in tutte le aree del mondo (quella che Madeleine Albright de;iniva ”indispensable nation”). L’amministrazione di Obama, nel perse‐guire questo obiettivo, ha ripetutamente dichiarato di voler lavorare con chiunque possa aiutarla.Questo nuovo approccio nel de;inire le priorità, allocare le risorse e indi‐rizzare le azioni da parte degli Stati Uniti ha delle conseguenze importanti sull’Europa e sui rapporti tra le due sponde dell’Atlantico.
Nella sua prima visita in Europa il Presi‐dente Obama ha infatti incitato l’Europa ad assumersi maggiori responsabilità sia verso se stessa che nei confronti dei pro‐blemi globali, e ha dichiarato: “Noi vo‐gliamo forti alleati. Non stiamo cercando
di essere padroni del‐l’Europa. Stiamo cercan‐do di essere partner del‐l’Europa”. Di fatto, però, gli Stati europei, non sembrano voler tener
conto del fatto che dopo il crollo del Mu‐ro di Berlino l’orientamento americano è cambiato, ed è in ulteriore evoluzione, e
continuano ad impostare i loro rapporti con gli Stati Uniti sulla base di convinzio‐ni che risultano totalmente illusorie.Gli europei sono convinti che Europa e Stati Uniti condividano gli stessi interessi fondamentali e, in particolare, che gli Stati Uniti abbiano un interesse vitale a garantire la sicurezza dell’Europa. Man‐tenere rapporti politici armoniosi con gli USA assume perciò, per gli europei, un’importanza strategica. Dal loro lega‐me con gli USA i governi degli Stati euro‐pei si aspettano un trattamento prefe‐renziale da far valere non solo nel conte‐sto internazionale, ma anche nella com‐
I rapporti tra Europa e Stati Uniti
forze dell'ordine dei singoli Stati e molto facile la possibilità dei singoli criminali di sfuggirle grazie l'attraversamento dei con;ini. Infatti le polizie statali dovevano chiedere l'autorizzazione governativa o, se questa non era necessaria, la collabo‐razione delle altre polizie per poter per‐seguire il singolo sospettato una volta che questi avesse varcato il con;ine con notevole inef;icienza nell'azione repres‐siva contro il crimine. È facile immagina‐re le conseguenze perniciose se la lotta contro le organizzazioni ma;iose fosse stata lasciata esclusivamente ai singoli stati. Ma ciò che ha protetto la salute della politica americana federale dall'in‐;luenza ma;iosa è stata proprio la forza complessiva delle istituzioni americane che hanno reso irrilevante l'in;luenza
ma;iosa sulla politica locale (concentrata in pochi grandi centri urbani) poiché incideva solo minimamente negli equili‐bri politici del paese. Quindi, l'in;luenza delle ma;ie nei processi decisionali poli‐tici è in una relazione biunivoca con la forza e l'autonomia delle istituzioni sta‐tali. La forza delle istituzioni dipende poi sia dai condizionamenti esterni (come nel caso italiano dove l'equilibrio bipola‐re faceva sì che parte della politica do‐vesse scendere a patti con la ma;ia), sia dai condizionamenti interni (dovuto al livello di accettazione delle istituzioni da parte della società in generale). L'in‐;luenza delle ma;ie negli Stati dove è scarsa sia la forza delle istituzioni e forte l'in;luenza dall'esterno, oggi è ampli;ica‐ta dalla globalizzazione e dall'interdi‐
pendenza economica per via della pro‐gressiva erosione di poteri di stabilizza‐zione e di controllo sull'economia da parte dello Stato. La mancanza di con‐trollo della politica statale sull'economia globale sta procurando il ritorno preoc‐cupante in molti paesi di con;littualità sociali, dove la forza della violenza (e non quella del diritto) è un ammortizza‐tore del disordine sociale nella moderna economia globalizzata. Solo la formazio‐ne di una Federazione tra Stati può for‐nire lo strumento istituzionale d'azione necessario a quelle aree ad alta intensità ma;iosa per isolare prima il loro consen‐so politico, per poi agire contro di loro.
Davide Negri
Obama ha incitato l’Europa ad assumersi maggiori responsabilità
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Scheda personaggio - Mario AlbertiniMario Albertini nacque a Pavia nel 1919. Convin‐tosi della necessità storica dell'unità europea, si iscrisse al Movimento federalista europeo nel 1945. Laureatosi in ;iloso;ia nel 1951, si avviò alla carriera accademica insegnando, presso l'Università di Pavia, Storia contemporanea, Scienza della politica, Dottrina dello Stato e Filo‐so;ia della politica. A partire dal 1953 il suo im‐pegno federalista diventò prioritario, prima co‐me stretto collaboratore e poi come successore di Altiero Spinelli. Nel 1959 fondò la rivista di politica "Il Federalista", che viene tuttora pub‐blicata in italiano e in inglese. Alla guida del Mfe italiano dal 1966, fu Presidente dell'Unione eu‐ropea dei federalisti dal 1975 al 1984. Il suo im‐pegno politico e intellettuale ha continuato ad indi‐rizzare la politica del Mfe ;ino alla morte, avvenuta nel 1997.“La distinzione tra unità o divisione non sta dunque nell'assenza
o nella presenza di un'associazione qualunque, ma nel carattere federale o non federale dell'associazione.... Se l'unità è la federazione, ... la costruzione dell'unità europea riguarda la lotta per la fondazione dello Stato federale europeo.; (Mario Albertini, Il signi;icato dell'espressione "Costruzione dell'unità europea", 1961)“Quando una giovane donna o un giovane uomo comincia a chiedersi se deve impegnarsi politicamente, e come deve impegnarsi, ciò che può indurre all'impegno non è l'idea di qualche vantaggio personale, ma l'idea della società nella quale sarebbe giusto vivere. ... col federalismo militante, si può pensare la via per un nuovo impegno politico diverso da quello ormai fallimenta
re del passato." (Mario Albertini, Il federalismo e la crisi dell'impegno politico giovanile, 1981).
petizione con i vicini. Ne segue che cia‐scun Stato europeo ricerca una “relazione speciale” con gli Stati Uniti, almeno nelle aree più importanti per i propri interessi nazionali, convinto di ottenere maggiori vantaggi rispetto ad un approccio collet‐tivo.Negli ultimi tempi, però, le occasioni di incomprensione non sono mancate, e tra queste la guerra in Iraq ha costituito il caso più grave. In generale, dal punto di vista di Washington, gli europei si com‐portano in modo infantile, cercando at‐tenzioni e sottraendosi alle proprie re‐sponsabilità. Inoltre l’Europa ha perso ormai il valore strategico di un tempo e quindi gli americani tendono a rapportar‐si con gli europei sulla base dei risultati immediati che pensano di poter ottenere.Secondo l’analisi dell’European Council on Foreign Relations, gli USA utilizzano quattro diverse tattiche per trattare con l’Europa. Nei rapporti con la Cina, in cui l’Europa non ha un ruolo importante, quest’ultima viene generalmente ignora‐ta. Nelle questioni che riguardano l’Iraq e il Medio Oriente, in cui potrebbe giocare un ruolo importante, ma esiste una forte opposizione interna, l’Europa viene mar‐ginalizzata. Per quanto attiene all’Afgha‐nistan e all’Iran, rispetto ai quali l’America trova facile consenso tra gli europei, l’Eu‐ropa viene coinvolta attraverso il canale più utile – la NATO, l’UE o associazioni create ad hoc – con l’obiettivo di ottenere il miglior risultato per l’America. Nei rap‐porti con la Russia, invece, rispetto ai quali l’Europa è cruciale, ma su cui non riesce a trovare un consenso unanime, l’approccio usuale dell’America è quello di giocare sulle divisioni degli Stati europei, e accrescerle, per far prevalere le proprie politiche.Il caso dell’Afghanistan è riportato come una dimostrazione esemplare del falli‐
mento dei governi europei rispetto al fatto di assumersi la responsabilità di un con;litto che è vitale per la loro sicurezza. Fino al 2008, gli europei hanno speso nel loro insieme in Afghanistan praticamente quanto gli Stati Uniti (4.7 miliardi di dol‐lari contro 5 miliardi di dollari). In quello stesso anno gli europei hanno anche in‐viato più truppe degli americani, arrivan‐do a costituire il 37% delle forze estere in Afghanistan (contro il 54% degli Stati Uniti). Tuttavia gli Stati europei hanno avuto un’in;luenza minima sull’evoluzione delle strategie in Afghani‐stan. I governi europei hanno di fatto giudicato più importante il loro rapporto bilaterale con Washington ed hanno continuato a considerare la cam‐pagna militare una responsabilità degli USA. Il risultato di questo comportamento è stata la perdita dell’appoggio dell’opi‐nione pubblica e la dimostrazione dell’in‐capacità dell’Europa di essere il partner responsabile di cui gli USA hanno biso‐gno.L’European Council on Foreign Relations prende anche in esame le relazioni tra l’Europa e gli USA nell’ambito delle que‐stioni russa e mediorientale, giungendo a conclusioni simili.Eppure, in altri contesti, le relazioni tra l’Europa e gli Stati Uniti sono molto diver‐se. Il rapporto fa notare che “gli Stati membri dell’Unione europea, abituati a mettere insieme i loro interessi economi‐ci, non hanno dif;icoltà a trattare con l’America sulle questioni commerciali, i regolamenti e le pratiche competitive, da quel gigante economico che rappresenta‐no collettivamente. In queste aree le rela‐zioni transatlantiche sono robuste, persi‐no combattive, e procurano in generale
un mutuo vantaggio … Tuttavia nella poli‐tica estera e di difesa, gli Stati membri mantengono un forte senso di sovranità nazionale, partecipando alla NATO come alleati individuali e, nell’Unione europea, concedendo raramente al loro Alto Rap‐presentante, Javier Solana, la possibilità di agire”. Il risultato è “il fallimento del‐l’Europa nel rappresentare un effettivo attore della sicurezza internazionale”. Sempre secondo il rapporto dell’Euro‐
pean Council on Fo‐reign Relations, “men‐tre esiste una crescen‐te consapevolezza che trattare con successo con la Russia o la Cina richiede che gli Stati europei assumano una
posizione comune, essi non riconoscono ancora che è necessario un approccio co‐mune verso gli USA, anche fuori dalla sfe‐ra economica”. Sembra che tra gli Stati europei il tabù dell’autonomia nazionale si manifesti con più forza proprio nei con‐fronti della potenza americana, dalla qua‐le nel passato è dipesa la loro sopravvi‐venza e nei confronti della quale non rie‐scono a cambiare mentalità. Il rapporto dell’European Council on Fo‐reign Relations, pur criticando questo atteggiamento e sostenendo che va contro gli interessi dell’America oltre che a quelli dell’Europa, tuttavia non è in grado di indicare una soluzione ef;icace per supe‐rarlo. Aggiungendo una voce al coro di chi chiede che l’Europa “parli con una sola voce”, propone che gli europei “isolino due o tre argomenti su cui l’UE possa mettersi d’accordo” e che possa presenta‐re agli USA come posizione comune. Il rapporto si spinge a suggerire le questio‐ni dell’Afghanistan, della Russia, del Me‐dio Oriente, dei cambiamenti climatici, della riforma della governance globale e
Nella politica estera e di difesa, gli Stati membri
mantengono un forte senso di sovranità nazio-
nale
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In uno scenario internazionale avviato verso il consolidamento di nuovi equili‐bri multipolari, la Cina è uno dei paesi che si va imponendo grazie al fatto di saper elaborare, e attuare, piani econo‐mici e strategici a lungo termine. Ad esempio, per superare la crisi economi‐ca, il governo ha stanziato miliardi di dollari per sostenere la crescita del pae‐se, che infatti si mantiene intorno al 10%, grazie anche alla politica di svalu‐tazione dello yuan rispetto al dollaro che favorisce le esportazioni. Inoltre il paese ha accumulato ingenti riserve in dollari che ora investe gradualmente per evita‐re che sul lungo periodo diventino un peso insostenibile, vista la crisi america‐na e i dubbi sulla tenuta del dollaro.
Per cambiare lo status di paese produt‐tore di merci a basso costo di scarsa qua‐lità e acquisire credibilità in campo in‐ternazionale, la Cina ha provveduto da tempo a diversi;icare la sua produzione e ad investire in settori ad alto contenu‐to tecnologico. Ad esempio, il Piano
Energetico Nazionale prevede la produ‐zione di pannelli fotovoltaici e turbine eoliche destinate sia all'esportazione sia all'uso interno, con l’obiettivo di incenti‐vare l'uso delle fonti rinnovabili. Il Piano prevede una mag‐giore indipendenza del paese dalle importazioni di petrolio, ed è un segnale di come a Cina sia attenta a l l e impl i caz ion i geopolitiche del problema energetico.
All'estero la Cina punta ad aumentare la propria in;luenza con progetti come la costruzione entro il 2020 di una linea ferroviaria che colleghi Londra e Pechi‐no in due giorni e Singapore in tre, con tre linee, la prima che passa per India e Pakistan, la seconda per Russia ed Euro‐pa e la terza per Vietnam e Tailandia. Con questo sistema sarà possibile tra‐sportare anche carichi di materie prime in modo più ef;iciente e veloce. Questo
progetto si aggiunge a quello, da quasi 530 miliardi di euro, che punta a co‐struire oltre 30mila chilometri di rete nei prossimi cinque anni collegando le maggiori città della Cina con un sistema
ad alta velocità.
Un'altra strategia del governo ri‐guarda la penetra‐zione nel Mediter‐raneo tramite i principali porti
europei e nordafricani con la costituzio‐ne di joint venture e alleanze o con l’ac‐quisizione di quote dei terminal. Pechi‐no, infatti, esporta per mare il 90% delle sue merci. Già la cinese Cosco ha conclu‐so nel 2008 un accordo per controllare due moli nel porto del Pireo per 35 anni al costo di 4.3 miliardi di dollari. Il Pireo presenta infatti costi più contenuti ri‐spetto ai porti del Nord Europa, che ri‐chiedono otto giorni di navigazione in più; è vero che questi utimi offrono ser‐vizi e reti di trasporto migliori, ma pre‐sto anche la Grecia dovrebbe godere di un migliore collegamento alla rete ferro‐viaria europea attraverso i Balcani.
Un'altra zona europea che interessa la Cina è quella balcanica, in particolare la Serbia, il paese chiave della regione, con cui sono stati raggiunti accordi sul piano politico e soprattutto economico. La compagnia elettrica nazionale serba e la Cmec (China national machinery & equipment import & export corporation) hanno ;irmato un contratto in base al quale quest'ultima investirà oltre un miliardo di dollari nel potenziamento della centrale termoelettrica serba di Kostolac. L'accordo prevede, inoltre, il potenziamento della capacità della vici‐na miniera di Drmo attraverso la realiz‐zazione di un terzo impianto. I cinesi hanno anche espresso interesse per la costruzione del secondo ponte sul Da‐nubio a Belgrado, opera fondamentale per i piani di sviluppo della città. I Bal‐cani sono diventati per la Cina la base di partenza per penetrare il mercato euro‐
L’Europa e il gigante cinese
della regolamentazione della ;inanza in‐ternazionale come i temi in cui gli europei possono avere una posizione autonoma e carte da giocare, e che quindi gli america‐ni sarebbero interessati a discutere.Sappiamo come è andata a ;inire: il primo febbraio Obama ha annullato il vertice
euro‐americano, per non ripetere le espe‐rienze deludenti degli scorsi incontri. Il problema, dunque, è che, ;inché non si avvierà la fondazione di una vera Federa‐zione europea, dotata di poteri e risorse tali da permetterle di sostituire le politi‐che estere nazionali, non c’è rappresen‐
tanza unica che tenga: gli Stati europei continueranno a procedere divisi e impo‐tenti, e gli Stato Uniti si rassegneranno a trattare il nostro continente come uno strumento a disposizione delle loro scelte strategiche.
Laura Filippi
La Cina non trova nell’attua-le Unione un interlocutore cre-dibile né un freno alle sue mire
espansionistiche
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Per comprendere gli effetti dei cambia‐menti in atto in Ucraina a seguito dell’ele‐zione del ;ilo‐russo Viktor Yanukovich è necessario analizzare il quadro dei rap‐porti Ue‐Russia‐Usa negli ultimi anni. Se il tentativo di modernizzare l’Ucraina da parte di Viktor Juščenko, sia in senso eco‐nomico di apertura al mercato mondiale, sia in senso democratico di riorganizza‐zione dello Stato – tentativo avviato al tempo della rivoluzione arancione dal 2004, appoggiata uf;iciosamente dagli Stati Uniti –, non ha avuto successo, lo si deve in gran parte al fatto che i il paese si è ritrovato invischiato nei giochi politici della Russia e degli Usa.
La politica estera russa è orientata dal‐l’obiettivo di espandere la propria in‐;luenza, innanzitutto per riacquisire il controllo delle repubbliche ex‐sovietiche, e sfrutta in questo senso il proprio potere nel settore delle forniture energetiche. Dopo l’intervento in Georgia, Mosca ha rafforzato ulteriormente la propria posi‐
zione nella regione, e, mentre boicotta il progetto del gasdotto White Stream aze‐ro‐turkmeno – che dovrebbe attraversare il territorio ucraino senza toccare suolo russo – prosegue nella realizzazione di North Stream e South Stream. Si tratta di due progetti mastodon‐tici che mirano a raffor‐zare ulteriormente la dipendenza europea dal gas russo, dato che la Russia già alimenta il 65% dell'Austria, circa il 40% della Ro‐mania, il 36% della Germania, il 27% del‐l'Italia e il 25% della Francia. Mosca ha sempre ragionato come vera potenza e il principio della ragion di stato viene ben applicato all’economia, che poggia soprat‐tutto sulle forniture energetiche all’este‐ro, che costituiscono l’80% dell’export e che permettono, di fatto, di dividere poli‐ticamente l’Europa. Gazprom, una delle maggiori società mondiali nel settore del‐la produzione di gas naturale, rappresen‐ta un vero e proprio strumento di politica
estera; la partecipazione azionaria dai paesi esteri è stata contenuta entro quote limitate e a tutt’oggi una percentuale del 38% circa, maggioranza schiacciante, è in mano al governo russo. Per i paesi del‐l’Europa orientale le conseguenze di que‐
sta situazione sono evi‐denti: Minsk ha dovuto accettare un raddoppio del prezzo del gas nel 2006 senza poter batter ciglio e i politici ucraini
non possono dimenticare l’anno in cui Mosca ha raddoppiato i prezzi. In questo quadro, la valutazione che viene fatta del‐la politica europea è sprezzante: Sarkozy e la Merkel vengono additati come burat‐tini nelle mani della grande Russia.
Perché questa perdita di ;iducia nella Na‐to e nell’Ue? Basta, ad esempio, osservare la distribuzione dei futuri gasdotti russi. North Stream attraverserà il Mar Baltico per alimentare il nord Europa, e soprat‐tutto la cara amica Germania, senza che
Il paese si è ritrovato invischiato nei giochi politici della Russia e
degli Usa
L’Ucraina cambia orizzonti
peo dell'energia e delle infrastrutture mentre la Serbia ha trovato nella Cina un investitore e un alleato politico per la difesa della sua sovranità sul Kosovo.
Un altro obiettivo che la Cina si pre;ig‐ge è quello di acquisire posizioni van‐taggiose nei negoziati con la Russia per le forniture energeti‐che; a questo scopo, sta cercando di in‐staurare legami eco‐nomici con i suoi vi‐cini. Ad esempio ha investito un miliardo di dollari per la costruzione di strade in Tajikistan e ha accordato un prestito di quasi tre miliardi alla Bielorussia. Un altro paese verso cui rivolge le proprie attenzioni è la Moldavia, a cui la Cina intende concedere un prestito di un miliardo di dollari per la costruzione di infrastrutture e per la creazione di in‐dustrie ad alta tecnologia. Il paese sof‐fre per la crisi economica, dato che il reddito derivante dai guadagni dei la‐voratori all'estero ‐ che rappresenta un terzo del prodotto interno lordo ‐ è diminuito del 30% . La Moldavia, a cau‐
sa della mancanza di materie prime, di un'amministrazione debole e della pre‐senza di un regime separatista in Transnistria, non ha mai attirato grandi capitali esteri. La Cina invece intende sfruttare le potenzialità del paese che è dotato di un'industria tessile competi‐
tiva, di un esteso setto‐re agricolo e di un buon sistema scola‐stico ereditato dal‐l'ex Unione Sovietica. Inoltre il passaggio di merci destinate all'Unione europea
attraverso il paese diminuirebbe i costi di trasporto per la Cina. Ma anche l'Ita‐lia è parte dei piani cinesi: la Cosco ha stipulato un accordo di partnership con l'italiana Msc per la gestione del porto di Napoli; inoltre, ci sono stati incontri con le maggiori compagnie telefoniche italiane in merito alla creazione di una rete a banda larga uni;icata. I cinesi avrebbero comunicato di disporre linee di credito per 102 miliardi di dollari per l’acquisto di apparati di loro pro‐duzione. L’Italia riveste da questo pun‐to di vista una posizione signi;icativa
poiché dall’anno scorso è diventata il principale hub dei dati internet che interessano l’Africa e il Medio Oriente. Già il Portogallo che è corridoio di pas‐saggio per i dati provenienti dall'Atlan‐tico ha scelto l'azienda Huawei Techno‐logies per un progetto di sviluppo della rete nazionale.
Nell'attuare i suoi piani, la Cina non trova nell'attuale Unione un interlocu‐tore credibile né un freno alle sue mire espansionistiche. La sua politica di rapporti bilaterali con i singoli Stati, inclusa la Germania, le permette di sfruttare le dif;icoltà di ciascuno di essi. Ma in questo modo, rimanendo divisi, i paesi europei si condannano all'impo‐tenza di fronte al gigante cinese. Anche questa è una delle ragioni che dovrebbe spingere gli europei a portare a com‐pimento il processo di uni;icazione, creando uno Stato federale che possa trattare alla pari con la Cina e avere un peso negli equilibri mondiali in forma‐zione.
Giulia Spiaggi
La Cina si va imponendo grazie al fatto di saper
elaborare piani economici e strategici a lungo termine
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alcuna diramazione passi per le repub‐bliche baltiche o la Finlandia. South Stream eviterà territorialmente l’Ucraina e alimenterà l’Europa dal sud. Ciò signi;i‐ca che la Federazione russa potrà decide‐re di tagliar fuori quei paesi su cui tenta di ristabilire la propria egemonia (Ucrai‐na, Russia Bianca, Repubbliche Baltiche, ecc.) senza causare allo stesso tempo problemi alla preziosissima e ricchissima Europa occidentale, che, priva di potere politico, si lascia prendere nella morsa e non è più palesemente in grado di essere concretamente di aiuto nei confronti dei paesi dell’ex‐Urss.
In questo quadro, gli Stati Uniti si sono mossi in ritardo: il progetto Nabucco, ossia il gasdotto che dall’Iran e dall’Iraq dovrebbe raggiungere l’Austria senza attraversare la Russia – progetto che essi per primi hanno voluto e sponsorizzato – è in dif;icoltà, grazie all’abile politica di accaparramento delle fonti di gas da par‐te dei russi. Dal punto di vista del rendi‐mento economico sembra un investimen‐to sempre meno promettente, e per primi
gli europei, sensibili alle pressioni di Mosca, sono titubanti a ;inanziarlo; que‐sto però signi;ica che, in futuro, l’Unione europea sarà sempre meno capace di affrontare il grave problema politico del‐l’approvvigionamento energetico. Gli europei si illudono che gli Stati Uniti ven‐gano come sempre in loro aiuto, ma questa volta non sarà così. Come di‐mostra il caso ucraino, il legame Ue‐Nato‐Usa sta saltando. La Russia riac‐quista man mano il controllo dell’area ex‐sovietica, e gli Usa non hanno le risorse e l’interesse per intervenire ulteriormente nella disputa europea. Da parte sua, l’Unione europea, senza una politica energetica unica, non ha nessun progetto serio per diminuire la propria dipenden‐za dal gas russo. Basti pensare che la Germania ha iniziato subito a collaborare con la Russia sin dalla caduta del muro e che oggi in Russia lavorano cinquemila imprese tedesche; le esportazioni di pro‐dotti industriali ad alto valore aggiunto verso Mosca rappresentano una fetta
signi;icativa dell’economia tedesca. Fin‐ché ragionerà e agirà come Stato indi‐pendente (come dimostra la posizione di Angela Merkel e di Guido Westerwelle), la Germania non permetterà nessun cambiamento del legame Berlino‐Mosca, per paura di cedere ai concorrenti il pro‐prio vantaggio economico. A breve ter‐mine, la Germania ha molto interesse a collaborare con la Russia: questa ultima, tramite North Stream, potrà garantire ai tedeschi il controllo dei gasdotti che dalla Germania si rami;icano poi nel resto d’Europa, rafforzando il potere tedesco sul continente.
Ancora una volta l’incapacità dell’Unione di avere una politica di lungo periodo nei rapporti con la Russia dimostra tutta l’in‐suf;icienza dei Trattati in vigore e delle attuali istituzioni europee. Jay nel Federalist ricorda la necessità di unirsi in un'unica sovranità federale per non farsi dividere da chi è più potente e vuole esercitare la propria egemonia, e cita il caso delle poleis greche ai tempi di Filip‐
po il macedone. La veri‐tà è infatti che gli euro‐pei avrebbero a loro volta armi di ricatto nei confronti di Mosca, per‐
ché se essi vivono del gas russo, a loro volta i russi vivono del denaro che gli europei pagano per le forniture, come si è dimostrato anche nel 2006 quando l’Unione ha in parte smorzato il ricatto della Russia nei confronti dell’Ucraina riguardo al prezzo del gas. Che la grande potenza sia la Macedonia di Filippo o la Russia di Putin non fa molta differenza: il punto è capire che, per non lasciare spa‐zio ai miopi interessi nazionali, come quelli tedeschi, che vanno a scapito della libertà di tutti gli europei, bisogna creare in Europa una vera federazione.
Publius - Per un’alternativa europeaNumero 5 - Settembre 2010
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Direttore responsabile: Laura FilippiRedazione: Giovanna Albonico, Nelson Belloni, Federico Butti, Martina Cattaneo, Laura Filippi, Giacomo Ganzu, Luca Lionello, Ga-briele Mascherpa, Laura Massocchi, Davide Negri, Matilde Oppizzi, Carlo Maria Palermo, Giulia Spiaggi, Maria Vittoria Lochi.Stampato presso: Tipografia P.I.M.E Editrice S.r.l
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Periodico trimestrale degli studenti dell’Università di Pavia. Informazioni, riflessioni e commenti sull’Europa di oggi e di domani.Registrazione n. 705 del Registro della Stampa Periodica - Autorizzazione del tribu-nale di Pavia del 19 Maggio 2009
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L’Europa non è più in grado di essere di aiuto
ai paesi dell’ex-Urss
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