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20 LUGLIO - AGOSTO 2009 OK Arte Milano

Fiori del buio“Il tempo delle ninfee” Monet a Palazzo Reale

Poi Monet divenne cieco. Per tutta la vita il visibi-

le aveva ossessionato la sua ricerca, lo aveva portato a interrogare la “fuggenza”, a scomporre la molteplicità infinita delle sempre diver-se variazioni luminose, per tentare di ritrovarne l’oscu-rità radicale dalla quale es-

Mauro De Sanctis se stesse si rifrangono. Poi divenne cieco. Fu la cata-ratta a gettare progressi-vamente un’ombra sui suoi occhi, a condurlo per ma-no verso la regione dove la luce viene meno, nella te-nebra, nella terra in cui il visibile si toglie per lasciare emergere il volto – terribile – del vuoto che ne prende il posto. Ma questo il mae-

stro parigino l’aveva presa-gito. Già vent’anni prima di scoprire la malattia, nella sua tenuta di Giverny, egli aveva cominciato a lavo-rare alla realizzazione del suo giardino giapponese, lo schermo d’acqua e piante, la «rovina vegetale» in cui specchiarsi per ritrovar-ne di nuovo immagini, ri-flessi; per andare incontro alle ombre. Monet si stava preparando per una disce-sa agli inferi. Molte del-le testimonianze di questo viaggio, molti dei dipinti di questi paesaggi acquati-ci sono ospitati dallo scorso 30 aprile e fino al 27 set-tembre prossimo a Milano, sale nobili di Palazzo Reale, dov’è allestita una ras-segna di venti capolavo-ri provenienti dal Museo Marmottan di Parigi. Accanto alle tele dell’ar-tista francese, sessanta stampe (esposte a rotazio-ne) di Hokusai e Hiroshige di proprietà del Museo Guimet approfondiscono la riflessione sull’influenza che l’arte giapponese del-la tradizione ukiyo-e ha avuto sull’opera e sul pen-siero di Monet, che di ta-li stampe possedeva una collezione di 276 pezzi.“Il tempo delle ninfee” è il titolo scelto per la mo-stra dall’ideatrice e cura-trice Claudia Zevi. Le sale

espositive si aprono ad un allestimento che sceglie una diffusa penombra dal-la quale le singole opere emergono inondate da un solo fascio di luce: non è un caso che l’osservatore sia accompagnato attraverso le tenebre. Bisogna calarsi tra i fantasmi: lo specchio d’acqua immota e torbi-da diviene l’unico oriz-zonte possibile; lì i riflessi, le immagini delle cose che ne riverberano salgono alla superficie da un fondale in cui il limo si carica delle va-lenze di primordiale poten-za creatrice. Sul fondo dei suoi inferi, l’artista incon-tra gli dèi. Monet dipinge paesaggi interiori: lo sguar-do di cui è in cerca non è altro che il suo. Vaga nel re-gno delle ombre, chiedendo loro di parlargli di sé stesso, di lasciar trasparire il sem-biante che tradisca la sua più intima natura, il respi-ro di ciò che ad un tempo

essi simulano e dissimula-no. Come un giapponese. «Lo zazen non “fabbrica” un Buddha, “manifesta” Buddha». Qui il punto di massimo contatto e di mas-sima distanza tra Monet e il Giappone, qui il senso del contrappunto di esperien-ze artistiche attraversate da un identico respiro teso ad aneliti diversi. Se l’occiden-tale pone se stesso dentro le cose e le cose dentro di sé, l’orientale si colloca ac-canto alle cose, negli spa-zi vuoti lasciati dalla cosa stessa, nelle sue pause di silenzio. Il parigino si tro-va sul versante della produ-zione, della manipolazione del reale allo scopo di gene-rarne del Nuovo, di diven-tare quel Nuovo; Hokusai e Hiroshige si situano in-vece dal lato della contem-plazione, non “fabbricano”, ma “manifestano”, non vo-gliono diventare qualcosa, ma risvegliare ciò che esiste

già dall’inizio. Il Giappone rispetta la misura delle co-se perché diafana e capace di far trasparire la dismisu-ra che la fonda; l’occiden-te forza tale misura opaca e demonica nella direzio-ne della stessa dismisura. Il Giappone è ebbro di virtù, Monet è ebbro di poesia. Così, nelle tele del parigino, i fiori delle ninfee si aprono sullo specchio d’acqua, nel punto di incontro tra mon-do che sale e mondo che scende, tra luce e ombra, senso e non-senso. Carne viva nella vacuità delle te-nebre: sbocciati dagli in-feri a rivelare un mistero altrimenti insondabile e subito di nuovo nasco-sto, frutti di un viaggio di dannazione senza il qua-le non si apre all’uomo al-cuna possibilità di salvezza, accessori radicalmente ne-cessari alla manifestazione di un invisibile per sem-pre perduto. Fiori del buio.

Il presente-futuro dell’architettura è all’insegna dell’eco-sostenibilità

Che sia necessario ripen-sare il nostro modo di

costruire e di vivere ormai lo sanno tutti. I rifiuti in-vadono il pianeta, come l’inquinamento. Anche nei ghiacciai dell’Antartide si trovano sostanze tossiche. Per questa ragione il no-stro architetto Renzo Piano è stato chiamato a realiz-zare il più grande edificio eco sostenibile del mondo. Nel Golden Gate Park di San Francisco Renzo Piano ha terminato di realizza-re l’avveniristica sede del-la California Academy of Sciences. Con il suo pro-getto l’importante istitu-zione scientifica è potuta diventare certamente un modello e un riferimento

per l’architettura dei mu-sei in particolare e per un nuovo modo di costrui-re in generale. Per comin-ciare, il 90% dei materiali usati è riciclato ed è anche riciclabile. L’edificio è in grado di risparmiare il 30% dell’energia normalmen-te usata da una struttura di quest’ampiezza. Pannelli solari producono gran par-te dell’energia fornendo an-che quella necessaria a una stazione di ricarica di auto elettriche. All’interno del-la costruzione trova posto persino una foresta pluvia-le. Dopo dieci anni di lavo-ri l’edifico ha ricevuto la più alta certificazione di eco sostenibilità mai conferita, il Platinum-Level LEED. Sullo straordinario tetto vi è un immenso prato verde,

dove sono state piantate un milione e mezzo di pian-te locali, e una mensola di vetro ospita 55mila celle fo-tovoltaiche per produrre energia. Oltre a questo vi è un acquario, un planeta-rio, un museo di storia na-turale, una biblioteca, un archivio scientifico e persi-no dei laboratori di ricerca. Come immaginano le cit-tà, i nuovi talenti dell’ar-chitettura chiamati dal canale televisivo america-no History Channel a par-tecipare al concorso “ City of the future”? Pensano a città organiche, a foreste urbane, a metropoli che “cresceranno” con le bio-tecnologie. Piante dal DNA modificato saranno in gra-do di produrre strade, tutto questo grazie all’elettroni-

Bar Il Cortiletto di Achille Cennamiall’interno dell’Accademia di Brera

Clara Bartolini

Dalla California Academy firmata Renzo Piano alle città futuribili dei ricercatori più visionarica avanzata unita alla foto-sintesi molecolare. Le città avranno grattacieli sem-pre più alti e malgrado ciò saranno sempre più ver-di. Biomimicry è la parola d’ordine, si potrebbe tra-durre, imitare i meccani-smi usati dalla natura. Tra i progetti più avveniristi-ci quello di una natura dai mille tentacoli che avvol-ge la città vecchia e produ-ce energia. MEtreePOLIS, questa, secondo i nuovi ri-cercatori, sarà Atlanta nel 2108. Per saperne di più sulla California Academy vale la pena di visitare il si-to www.calacademy.org, e per conoscere un futuro metropolitano tutto da so-gnare: www.history.com/content/cityofthefuture, e buona visione futuribile.