OK ARTE Giugno Luglio 2012

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MAGAZINE GRATUITO DI ARTE E CULTURA Per informazioni e pubblicità: 347 4300482 [email protected] www.okarte.net Giu - Lug 2012 Anno XI N.2 Milano e il design Saloni 2012, grande “kermesse” della creatività. Vicende, figure e fenomeni che hanno accompagnato e sostenuto gli sviluppi cultu- rali, sociali ed economici del nostro paese. L’opera in pri- ma pagina è dell’Architetto Giuseppe Belluardo. Museo del Novecento Il linguaggio contempo- raneo dell’arte in tre mostre promosse dal Comune di Mi- lano: “Tecnica Mista” curata da Marina Pugliese, “Beppe Devalle – Collage degli anni Sessanta”, “Il Disegno della Scrittura: i libri di Gastone Novelli”. Como, Villa Olmo La dinastia dei Brue- ghel: la straordinaria con- cretezza del racconto; il gu- sto di descrivere gli uomini nella loro vita quotidiana, anche la più semplice, met- tendone in luce gli aspetti grotteschi, ridicoli. Fino al 29 luglio 2012. OK

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M A G A Z I N E G R A T U I T O D I A R T E E C U LT U R AP

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Milano e il designSaloni 2012, grande

“kermesse” della creatività. Vicende, figure e fenomeni che hanno accompagnato e sostenuto gli sviluppi cultu-rali, sociali ed economici del nostro paese. L’opera in pri-ma pagina è dell’Architetto Giuseppe Belluardo.

Museo del NovecentoIl linguaggio contempo-

raneo dell’arte in tre mostre promosse dal Comune di Mi-lano: “Tecnica Mista” curata da Marina Pugliese, “Beppe Devalle – Collage degli anni Sessanta”, “Il Disegno della Scrittura: i libri di Gastone Novelli”.

Como, Villa OlmoLa dinastia dei Brue-

ghel: la straordinaria con-cretezza del racconto; il gu-sto di descrivere gli uomini nella loro vita quotidiana, anche la più semplice, met-tendone in luce gli aspetti grotteschi, ridicoli. Fino al 29 luglio 2012.

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Pedala veloce la Dosolina... “Angel dei poupon”

Ma chi è Dosolina? La leggenda la descrive come una magnifica ragazza dagli occhioniblu...

molto ingiuste nozze pochissimo tempo dopo il primo incontro. Fuggono da Son-drio a Milano dove Dosolina, forte e voli-tiva, dopo infinite angherie subite dal ma-rito decide di mollarlo. L’autogestione, nell’immediato anteguerra, è quasi im-possibile per una donna sola, a maggior ragione se colpevole dell’abbandono del tetto coniugale. C’è una sola possibilità per tirare a campare: lavorare sul marcia-piede. Dosolina lo fa. Complice dell’ami-ca Luisa, specializzata in contrabbando, la fanciulla smercia sé stessa ed anche altra roba, trasportandola a suon di “sbicicletta-te” nella vicina Svizzera. Ma, come spesso accade, in chi ha vissuto una vita cattiva si annida un cuore d’oro, e siccome niente

Milena Moriconi Milena Moriconi

La Callas continua a perseguitare i melomani con l’intento di spaventarli a morte!

Milano, Naviglio Grande

Teatro alla ScalaEterna dimora della Callas

La storia è quasi “musicale”, trattando-si di 2 spiriti che si aggirano in uno dei

più famosi teatri al mondo: la nostra Sca-la. I teatri, con lunghi corridoi, accoglien-ti platee e scomodi loggioni semibui, ma soprattutto con grovigli di umidicci cor-ridoi sotterranei, ben si prestano a spunti letterari, a cominciare dal famoso Fanta-sma Dell’Opera, opera di Gaston Leroux del 1910. Qui Erik lo sfigurato, abitato-re dei meandri dell’Opera di Parigi, pas-sa dal ruolo di assassino a quello di melo-dioso cantore, possedendo, per doverosa necessità di umana compensazione, una voce impareggiabile, che spazia da toni cavernosi a gorgheggi seducenti coi quali ammalia la sua adorata Christine. Ma questo è un brutto personaggio, ben diverso dai leggiadri fantasmi della nostra Scala. Parliamo, niente popò di meno, che di due grandi soprani, la Malibran e la Callas, antagoniste non dirette, visto il vissuto anagrafico. La prima, spagnola, nasce nel 1808 e muore giovanissima nel 1836, ma in tempo per lasciare tracce incancellabi-li di grande canto, a cominciare da quel-la Norma, ripresa poi per ben 89 volte dalla Callas, con altrettanta maestria. Ma perché queste dive, concentrato di pas-sionalità e bravura, dovrebbero arrivare, da morte, ad un contenzioso impossibi-le in vita? Si dice che la Malibran, invidio-

scii di seta, con l’intento di spaventarli a morte. Come mai? Si parla di un diver-tente episodio risalente al 1955, alla fine dell’opera la Traviata, con regia di Luchi-no Visconti, interpretata con sconvolgen-te bravura da una Callas nel pieno della sua potenza espressiva. Quella sera i so-stenitori di un’altra “grande” dell’epoca, Renata Tebaldi, denigratori della Callas e

per fiori, stringendoseli al petto con subli-me espressione di ringraziamento. Venu-ta a conoscenza dell’affronto, la rabbia è implacabile. Anche da fantasma, Maria non molla, e se non sono più i vecchi “Tebaldini” a fre-quentare la Scala, certamente qualche fi-glio o nipote da terrorizzare gira sempre.

sa della concorrenza postuma della Cal-las, si presenti alla Scala, anche lei in veste di puro spirito, allo scopo di infastidirla, mentre la Callas seguita a perseguitare i melomani, con melodici sussurri e fru-

sempre presenti ai suoi spettacoli per po-terla fischiare, decidono di offenderla con meno rumore ma con più cattiveria: le lanciano mazzi di ravanelli belli rossi che il soprano, notoriamente miope, scambia

si butta via, anche quello si deve sfruttare. Siamo in piena seconda guerra mondia-le ed il razzismo divampa. Dosolina de-cide che portare oltralpe dei bimbi ebrei, condannati a morte, le assicurerà soddi-sfazione in terra e un posto in paradiso. E’ così che iniziano, con freddo, con afa, con pioggia, con vento, di giorno e di notte, i suoi viaggi lungo i navigli, con gerle pia-gnucolanti e maleodoranti di pannolini sporchi. Non si contano i bimbi salvati da questa santa donna. Ma i soldati tede-schi non impiegano molto ad interrogarsi su quelle lunghe, belle gambe, sempre in-tente a pedalare e pedalare, quei dorati ca-pelli al vento, quel sorriso smagliante. Ma dove va quella bellissima donna? I solda-ti capiscono e sparano, colpendo Dosoli-na al fianco. Ma lei non si arrende. Man-cano solo pochi chilometri al confine e pianti di neonati, innocenti ed affamati, si levano dal cestone. Dopo tutti questi tribolamenti, non si può morire proprio ora. Dosolina ce la fa! Passa il confine e, il tempo di consegnare la “merce” a chi di dovere, muore. Ma, ancora oggi, Dosoli-na è lì, lungo i navigli, col suo altruismo, a tendere l’orecchio per catturare anche il più piccolo dei piagnistei, pronta a risalire sulla sua bici e rimettersi a pedalare velo-ce per salvare una vita dopo l’altra.

Scorre lenta l’acqua dei navigli, fine merletto di canali che, per secoli, ha

permesso a Milano di stendere un lungo braccio verso la Svizzera, a nord, e verso il mare, a sud. Collegamenti e trasporti, fra cui quello preziosissimo del marmo rosa di Candoglia, usato per la costruzione del nostro Duomo, resi possibili sfruttando la navigazione di questi canali, nati nel lontano 1100, che molto interessarono anche un illustre ospite degli Sforza, Le-onardo da Vinci, che ne migliorò lo sfrut-tamento in modo da “..condurre in mi-glior modo le acque da un loco all’altro..”. Scorre lenta l’acqua, ma molto veloce pe-dala invece la Dosolina sulla sua bici, co-steggiando i navigli su su, fino in Svizze-ra, con un bagaglio ben più prezioso del marmo rosa. Ma chi è Dosolina? La leg-genda la descrive come una magnifica ra-gazza dagli occhioni blu, che si innamo-ra di un pelandrone con cui convola a Disegno di Alessandro Ghezzi

Piazza della Scala, Milano, stampa del XIX secolo

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Palazzo Clerici sorge in una zona tra le più antiche della città meneghina, nel-

la via che anticamente conduceva a Como ed era detta “contrada del prestino dei Bos-si” (via Clerici, 5).Una posizione non casuale per l’edificio, visto che la famiglia era proprio originaria di Cavenago nel comasco e si trasferì a Mi-lano dopo aver accumulato una certa ric-chezza con il commercio della seta. L’asce-sa sociale della famiglia fu piuttosto celere ed in breve tempo arrivò ad occupare un posto di rilievo nel patriziato locale. Il ca- Francesca Mariano

postipite Giorgio I, per dimostrare lo status raggiunto e dar lustro alla posizione della famiglia, volle investire nella costruzione di imponenti dimore tra Como e Mila-no, come ancora oggi si possono ammira-re quelle di Niguarda, Tremezzo sul lago di Como e a Castelletto di Cuggiono. La co-struzione di Palazzo Clerici a Milano ebbe inizio nel 1653 con l’acquisto della residen-za messa in vendita dai Visconti di Somma Lombardo, la quale subì restauri e aggiunte di altre costruzioni nel tempo, fino al 1695, quando si raggiunse l’estensione attuale.

La Chiesa di San Calimeroa trifora che conferiscono luce e leggerez-za all’ambiente.Della decorazione medievale e del corre-do pittorico dei secoli successivi resta dav-vero poco. Nella zona absidale troviamo un brano d’affresco di gusto tardogotico del XV secolo attribuito a Cristoforo Mo-retti, che raffigura la Madonna col Bambi-no e due Sante: la figura di Maria, seduta su di un trono ricoperto da un drappo ros-so, pare ritagliata lungo i contorni del man-to blu, mentre la Santa di destra risalta per il suo abito alla moda con cintura a vita alta e i capelli biondi intrecciati e raccolti. Nella terza cappella a destra è collocata la tela del XVI secolo “Natività” di Marco d’Oggio-no, che imposta il soggetto sullo sfondo di un brano paesaggistico di stampo leonar-desco; è molto riuscito il gruppo in primo piano con due angeli che si prendono cura

Facciata neoromanica e interno ottocentesco a navata unica

Stefano Pariani

Storia di Palazzo ClericiUna dimora patrizia nel cuore di Milano

Dedicata ad uno dei primi Vescovi della città, la Chiesa di San Calime-

ro, nell’omonima via, ha origini antichissi-me: edificata nel V secolo, venne succes-sivamente ricostruita in forme romaniche tra l’XI e il XII secolo, di cui oggi restano solo il fianco meridionale e la parte absi-dale. Nel corso del Seicento la chiesa subì l’ennesima ricostruzione ad opera di Fran-cesco Maria Richini, cancellata più tardi dal discusso intervento di Angelo Colla (1882/84), che volle recuperare le forme romaniche. Ciò che vediamo oggi è una facciata neo-romanica a capanna e in mattoni scoperti, con tre grandi monofore e tre portali, quel-lo centrale preceduto da un protiro. L’in-terno, sempre frutto del rifacimento ot-tocentesco, è a navata unica con cappelle laterali, sopra le quali sono poste aperture

L’edificio ebbe il suo massimo splendo-re nel corso del Settecento quando venne completamente modificato ad opera del marchese Anton Giorgio Clerici, il quale ne fece una delle dimore più sfarzose della Milano dell’epoca, con la realizzazione tra l’altro della famosa anticamera degli spec-chi con il soffitto affrescato da Giovanni Battista Tiepolo nel 1741. Il vasto affresco della sala, detta anche galleria per la dimen-sione molto allungata, rappresenta la corsa del Sole attraverso il cielo abitato da diver-se divinità dell’Olimpo: considerato una-

del Bambino e San Giuseppe che guarda con benevolenza la scena. Di scuola sei-centesca lombarda è una drammatica ed essenziale Crocefissione attribuita al Cera-no, posta nella prima cappella a destra: lo sfondo cupo e privo quasi di ogni elemen-to paesaggistico fa rivivere il dramma della morte, che pare impresso sul volto di Ma-ria, quasi una maschera tragica impietri-ta dal dolore. Sempre del Seicento un San Francesco che riceve le stimmate di Fran-cesco Paino. E’ rimasta invece intatta al sus-seguirsi dei restauri la cripta della seconda metà del Cinquecento, che conserva i re-sti di San Calimero. Ricca di colonne ed ar-chi a tutto sesto, deve la sua decorazione ai “Fiammenghini”, che dipinsero sulle volte tondi entro i quali sono raffigurati i Vesco-vi di Milano santificati.

venne data in locazione ai governanti del Ducato, ovvero all’Arciduca Ferdinando d’Asburgo Lorena e all’Arciduchessa Ma-ria Beatrice d’Este, rappresentanti dell’Im-peratrice Maria Teresa d’Austria a Milano. Quando la coppia si trasferì a Palazzo Re-ale, l’edificio rimase di proprietà del gover-no che lo cedette nel 1813 a quello napole-onico. Recuperato durante la restaurazione dagli austriaci, il palazzo passò ai piemon-tesi dopo l’unificazione italiana e dal 1862 divenne sede della Corte d’Appello.

Nell’anticamera degli specchi il soffitto affrescato da Giovanni Battista Tiepolo nel 1741: la corsa del Sole tra le divinità dell’Olimpo

nimemente capolavoro del Tiepolo a Mi-lano, l’opera venne celebrata anche nella celebre guida della città del 1787 redatta dall’allora segretario di Brera, Carlo Bian-coni. Per i lavori di rinnovamento del palaz-zo milanese, Anton Giorgio Clerici dilapi-dò il patrimonio familiare e alla sua morte, avvenuta nel 1772, l’edificio passò di pro-prietà ad un ramo secondario della stes-sa famiglia. Successivamente la residenza

San Calimero. Foto di Giovanni Dall’Orto

TiepoloPalazzo Clerici

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Maurizia D’Ippolito

GIOVANNI CERRILo sguardo dentro, lo sguardo fuori

Orari: da martedì a venerdì dalle 15,30 alle 19,00mattina e sabato su appuntamento

Catalogo in galleria

Dal 21 maggio al 21 giugno 2012

Via Vigevano 35 - 20123 MilanoTel. (+39) 339 3916899E-mail: [email protected]: www.area35artgallery.com

Inaugurazione

Lunedì 21 Maggio dalle ore 18,00

Olivares Ma�eo Carlodi

Galleria d’arte

Performance live painting in Rho: Venerdì 18 MaggioSabato 19 MaggioDomenica 20 Maggio

Mostra: 5 al 20 MaggioInaugurazione: Sabato 5 Maggio ore 17

w w w. g a l l e r i a q u a d r i f o g l i o. n e t

Maurizia D’Ippolito nasce a Monfalcone (GO) dove

completa gli studi liceali. Si laurea a Trieste. Attualmente abita a Latisa-na dove crea le sue opere. La passio-ne per i colori e il disegno trovano una felice realizzazione con svaria-te tecniche: collage, tempera, acque-rello, incisione, tecniche miste. Ne-gli anni, la necessità di esplorare nuove ricerche espressive e creative, porta l’artista a privilegiare il dise-gno geometrico e la luce cangiante delle stagnole policrome. Nascono così delle vere e proprie opere d’ar-te scartando cioccolatini, caramel-le o altro. Attualmente, oltre ai lavo-ri con il collage di stagnole, l’autrice prosegue la ricerca di materiali di recupero eterogenei da assembla-re per riuscire ad esprimere i propri stati d’animo. Da diversi anni la pit-trice espone le proprie opere in mo-

stre personali e col-lettive con un buon successo di critica. Scrive di lei Mario Micozzi: “Mauri-zia D’Ippolito di-pinge, con provata esaustiva manuali-tà elegante e raffi-nata, paesaggi visi-bili e non visibili e cioè non sempre ri-conducibili ai luo-ghi necessariamen-te reali perché sono dentro e fuori la vi-sione della ogget-tualità d’impatto e di quella riflessa come in uno spec-chio. Sono soggetti realizzati nel rispet-to della piena ar-

monizzazione tra luce, colori e for-me espressivamente geometrizzate, se anche essi sottendono ad una for-te tensione emotiva dell’anima e vi-vacità ‘dicotomica’ del pensiero. Si intuisce come i contenuti domi-nanti della ricerca di D’Ippolito sia-no la riappropriazione legittima del-la identità dei luoghi dell’anima e dell’intelletto, malgrado la defibril-lazione del tessuto sociale”.Concludiamo la presentazione dell’artista con le parole di S. Carne-los: “Come una nave che per oltre trent’anni ha viaggiato per lidi ine-splorati, in cerca di esperienze uni-che e irripetibili, facendo tappa por-to dopo porto, Maurizia D’Ippolito, con la sua visione libera e creativa, è protagonista di sperimentazioni di linguaggi, a partire dalle forzatu-re prospettiche “vangoghiane”, fino allo sbriciolamento della forma “pi-cassiana”, destrutturando la rego-la compositiva, componendo i pia-ni, presentando attenzione alle fasce cromatiche”. [email protected]

L’autrice dipinge paesaggi visibili e non visibili con provata manualità elegante e raffinata

Paesaggio 45, cm. 18 x 51 tecnica mista, stagnole, carte e vetri

Paesaggio, cm. 39 x 12 tecnica mista, stagnole, carte e vetri

Al centro del cuore, cm. 36 x 60,5, tecnica mista, acrilico e vetri su legno

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The Abramovic MethodArte come esperienza psicofisica

Attualmente è la più nota e acclama-ta performer internazionale, l’artista

che usa come strumento di lavoro il corpo e tutto ciò che questo è in grado di soppor-tare, trasformando l’esprienza in arte. Mari-na Abramovic, artista serba classe 1946, ha scelto la sede di Milano per proporre e “di-vulgare” il suo metodo, il suo modo di fare e di intendere l’arte. La mostra-performan-ce ha preso il via il 21 di marzo nel Padi-glione di Arte Contemporanea di Milano e terminerà il 10 giugno. Con il corpo, ar-gomento e strumento d’espressione, scan-daglia i limiti fisici e mentali del suo essere, con le sue esibizioni ha sopportato il dolo-re, lo sfinimento e il pericolo in un inces-sante indagine ed esplorazione delle com-plesse trasformazioni emotive e spirituali che avvengono nell’animo umano nel mo-mento in cui vive situazioni e momenti di estrema tensione. Nel 1997 vince il Leone d’oro come miglior artista alla Biennale di Venezia per la sua straordinaria video-in-stallazione-performance Balkan Baroque. L’installazione che la Abramović ha ide-ato e della quale era protagonista l’ha vi-sta per tre giorni spazzolare con sangue di

maiale un enorme cumulo di ossa di muc-ca nel periodo in cui la guerra civile dila-niava la sua terra natale: l’ex-Iugoslavia. Per apprendere appieno il percorso e il lavo-ro di ricerca di Marina ascoltiamo le sue parole: “Nella mia esperienza, maturata in quaranta anni di carriera, sono arrivata alla conclusione che il pubblico gioca un ruo-lo molto importante, direi cruciale, nella performance”. ”Senza il pubblico, la perfor-mance non ha alcun senso perché come sosteneva Duchamp, è il pubblico a com-pletare l’opera d’arte. Tutti coloro che inve-ce decidono di vedere le installazioni senza necessariamente essere partecipi possono entrare al Padiglione di Arte Contempora-nea in ogni momento durante gli orari di apertura e osservare le performance. Il Me-todo dell’Abramovic, esplora anche il sem-plice atto dell’osservare, ed è per questo

motivo che una serie di telescopi, permet-teranno di vedere dal punto di vista macro-scopico e microscopico coloro i quali sce-glieranno di cimentarsi con le interactive installations. Ecco dunque spiegato il me-todo Abramovic: artista – pubblico perfor-mer- spettatore in un inedito triangolo nel quale ognuno “gioca” un ruolo fondamen-tale nel rendere l’esperienza arte. Questa ambivalenza del pubblico e questa compe-netrazione con l’artista costituiscono dun-que il cuore del lavoro dell’Abramovic che ha preso forma definitiva dopo l’esperien-za del MoMa di New York nel 2010 dal ti-tolo “The Artist is Present”. L’artista si esi-

biva ogni giorno nelle ore di apertura del museo: seduta in assoluto silenzio a un ta-volo nell’atrio, invitava i visitatori a seder-si di fronte a lei per tutto il tempo deside-rato. Marina non aveva alcuna reazione di fronte ai partecipanti, tuttavia il loro coin-volgimento costituiva il completamento dell’opera, permettendo di vivere un’espe-rienza personale con l’artista e con la per-formance stessa. In una recente intervista Michelangelo Pi-stoletto, interpellato a proposito della Abra-movic ha dichiarato: “Marina si immet-te nel funzionamento biologico della vita, approfondisce le dinamiche dei rapporti tra gli esseri umani.” La ricerca incessante sull’uomo inteso come essere globale “psi-cofisico”, l’esplorazione dei limiti affascina, coinvolge e stimola, anche chi si è poco o mai interessato all’arte contemporanea.La performance è appunto il momento più estremo in cui si esplicano le esperien-ze della Body Art. Come scrive l’antropo-logo V. Turner: “La materia base della vita sociale è la performance, la presentazione di sé nella vita quotidiana, il sé è presentato mediante la performance di ruoli, median-te la performance che li infrange, e median-te la dichiarazione a un pubblico della tra-sformazione di stato salvata o condannata, innalzata o liberata”.

Mariantonia Ronchetti

Per informazioni e prenotazioni: «Serate Musicali» - Galleria Buenos Aires, 7 (MM1 Lima) MilanoUFF. BIGLIETTERIA – TEL. 02 29409724 (LUN./VEN. 10.0 0-17.00) E-MAIL: [email protected] Verdi del Conservatorio– Via Conservatorio

MAGGIO 2012Lunedì 21 maggio 2012 – ore 21.00 Pianista STEPHEN HOUGH L. v. BEETHOVEN Sonata n. 14 in do diesis minore op. 27 n. 2 “Chiaro di Luna” S. HOUGH Sonata per pianoforte “broken branches” A. SCRIABIN Sonata n. 5 in fa diesis maggiore op. 53 F. LISZT Sonata in si minore

Venerdì 25 maggio 2012 – ore 21.00

Progetto BRAHMS (I) Violinista LEONIDAS KAVAKOS Violinista ALEXANDER HOHENTHAL Violista DIEMUT POPPEN Violista HARIOLF SCHLICHTIG Violoncellista PATRICK DEMENGA Violoncellista GIOVANNI GNOCCHI J. BRAHMS Sestetto per archi n.1 in si bemolle maggio-re op. 18 Sestetto per archi n.2 in sol maggiore op. 36

Lunedì 28 maggio 2010– ore 21.00 Pianista EDUARD KUNZ D. SCARLATTI 10 Sonate S. RACHMANINOV Lilacs LiebesleidF. LISZT Consolations 1-6 Rapsodia Ungherese n. 12

GIUGNO 2012Lunedì 4 giugno 2012 –ore 21.00

ORCHESTRA DEL CONSERVATORIO DI GENO-VA – Direttore ANTONIO TAPPERO MERLO Pianista ANDREA BACCHETTI D. SHOSTAKO-VICH Ouverture Festiva per orchestra op. 96G. GERSHWIN G. BIZET M. RAVEL Fantasie sulla Carmen Bolero

Mercoledì 6 giugno 2012 – ore 20.30 (Auditorium Verdi – L.go Mahler) Violinista UTO UGHI Pianista MARCO GRISANTI G. TARTINI F. MENDELSSOHN Sonata in fa maggiore (1838)P.I. CIAIKOVSKI Trillo del Diavolo Tre pezzi op. 42 – Meditazione – Scherzo – Melodia S. PROKOFIEV Le «Serate Musicali» si riservano variazioni per cause tecniche o di forza maggiore

SERATE MUSICALI Stagione 2012

Marina Abramovic21 marzo 2011 – 10 giugno 2012

Milano, PAC Padiglione di Arte Contemporanea

Info: Lunedì: 14:30 -19:30da martedì a domenica: 9:30 -19:30

il giovedì aperta fino alle 22:30www.theabramovicmethod.it

® Laura Ferrari

® Laura Ferrari

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M O S T R E A M I L A N O

Al piano terra del

Museo, curata da Marina Pugliese, la mostra “Tecnica Mista”, 29 marzo– 9 settembre 2012, si propone di far ca-pire come e perché gli artisti hanno inventa-to nuove tecniche come il collage, l’assemblaggio e il fotomontaggio, oppure utilizzato nuove classi di materiali o di dispositivi, quali la plastica e il video, la per-formance, l’uso del suono e l’installazione. I temi affronta-ti riprendono quelli contenuti in un saggio pubblicato da Bruno Mondadori nel 2006, Tecnica mista, che per l’oc-casione funge da catalogo; per i più piccini e non solo vi sono una breve pubblicazione di Panini Editore, una serie di laboratori didattici e un audioguida per meglio com-prendere quest’arte contemporanea. La mostra propone anche opere del patrimonio del Museo del Novecento

Il linguaggio contemporaneo dell’arte

Shadow Play di Hans-Peter Feldmann e NON NON NON Retrospettiva di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi

regolato da una consecutio temporum fissa, ma diventa-va capace, anche in pittura, di reggere choc visivi e tempo-rali mai prima immaginati. Le opere in mostra riflettono bene la “ricerca iconografica” dell’artista.La terza mostra, allestita nelle teche degli Archivi del No-vecento, al 4° piano del Museo, si intitola “Il Disegno della Scrittura: i libri di Gastone Novelli”, 29 marzo – 17 giugno 2012. Curata da Marco Rinaldi, l’esposizio-ne è dedicata ai libri realizzati dall’artista, compresi quelli da lui illustrati con opere di grafica e disegni, in cui si evi-denzia l’impegno civile e politico dello stesso, quale te-stimonianza, ricca e preziosa, del complesso rapporto tra immagine e scrittura e di come questo rapporto sia im-portante nella comunicazione del linguaggio di Novelli.Per l’occasione, è uscito il volume: Gastone Novelli. Cata-logo generale. I. Pittura e scultura a cura di Paola Bonani, Marco Rinaldi, Alessandra Tiddia (Silvana Editoriale)Le mostre, promosse dal Comune di Milano, sono realiz-zate in collaborazione con Electa e Civita e rese possibili grazie alla sensibilità degli sponsor Bank of America Mer-rill Lynch e Finmeccanica. Info: www.museodelnovecento.org

poco note come Rossogiallonero (1968) di Carla Accardi, appena restaurate come Coma (2000) di

Alexander Brodsky, nuove donazioni come la Scul-tura da prendere a calci (1960) di Gabriele De Vecchi e

le opere di Andrea Mastrovito e Marta dell’Angelo. Nella Sala Focus è ospitata la seconda mostra, “Beppe

Devalle – Collage degli anni Sessanta”, 29 marzo – 7 ottobre 2012, a cura di Flavio Fergonzi. Sono

quindici collages realizzati nei primi anni Sessan-ta e Salem (1965), un recente dono dell’artista

al Museo. Beppe Devalle, con ritagli di news magazines americani o di vecchie riviste di

moda, con eleganza e sapiente disposizio-ne ha dato vita a delle vere e proprie opere

d’arte. Opere che risposero a quei tempi a una nuova esigenza artistica, cui la pit-

tura non sapeva dare risposte. Devalle, più tardi, capì che quei prelievi foto-

grafici, e quegli accostamenti, pote-vano costituire per la pittura una

specie di nuovo trattato di armo-nia: capì, insomma, che il sog-

getto poteva non essere più Giuliana de Antonellis

Beppe Devalle, Audrey Banana, 1964, collaggio su carta

Ricerca artistica:la forza della poesia

3mostre al Museo del Novecento

Abbiamo bisogno di poesia, di lirica e di autenticità senza affettazioni? Bene, c’è un luogo a Milano che

fino al 10 giugno da spazio a questo sentire: è Hangar Bi-cocca. Spazio espositivo innovativo e sempre all’avan-guardia nella presentazione dell’arte contemporanea con un progetto ambizioso: portare l’arte dai circuito per gli specialisti ad un pubblico più ampio. Fino al 10 giugno 2012 è possibile visitare le mostre “NON NON NON”, retrospettiva di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, e “Shadow Play” installazione di Hans-Peter Feldmann. Molti gli elementi che legano questi artisti, primo fra tut-ti il loro modo di prendere posizione di essere contro, di non conformarsi. Gianikian e Ricci Lucchi si servono di

materiale d’archivio – film etnografici, coloniali, di propa-ganda – che analizzano e rifilmano con la “Camera Anali-tica” di loro invenzione, ribaltandone il significato e il sen-so comunicativo. In questa visione muta, ma fortemente eloquente, i popoli sottomessi – armeni, rom, colonizza-ti, etnie locali – e i personaggi anonimi diventano i pro-tagonisti della Storia (con la S maiuscola) di ogni epoca. Feldmann è una delle figure più importanti dell’arte con-cettuale, la cui produzione è caratterizzata da un lavoro di archiviazione e catalogazione attraverso cui l’artista docu-menta ogni aspetto della vita quotidiana. Proprio la sua at-titudine critica davanti al mondo dell’arte e della cultu-ra lo porta nel 1980 ad abbandonare il circuito artistico e ad aprire un negozio di oggetti curiosi a Düsseldorf, atti-vo fino agli anni ‘90, quando ricomincia a riavvicinarsi al mondo dell’arte. In Bicocca porta un’installazione com-plessa, un tavolo lungo 20 metri costellato da piedistalli girevoli su cui volteggiano oggetti e figure di varia natu-ra, da giocattoli a piccoli elettrodomestici. Le luci a faretto illuminano le figure, proiettando le differenti ombre sul-la parete bianca retrostante. Il risultato visivo è lirico e no-stalgico al tempo stesso: un teatrino delle ombre capace di narrare infinite storie, un moderno mito della caverna di platoniana memoria. Del percorso artistico di Gianikian e Ricci Lucchi invece la mostra riunisce sette installazioni video, presentate per la prima volta contemporaneamente in un allestimento concepito e realizzato ad hoc. Nell’am-bito della rassegna sono presenti inoltre dei disegni ad ac-querello inediti, tra cui un rotolo di carta lungo 15 metri su cui gli artisti hanno rappresentato antiche favole arme-ne raccontate dal padre di Yervant Gianikian. Senza giudi-zi, senza critiche solo arte e poesia.Info: Hangar Bicocca12 aprile – 10 giugno 2012 Via Chiese 2 Milano: Giovedì – Domenica dalle 11 alle 23 Ingresso gratuito. www.hangarbicocca.org

Mariantonia RonchettiFeldmann

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OKM O S T R E A M I L A N O

Dario Fo Lazzi e sberleffi

Maschere, quadri, bozzetti teatrali, arazzi e collage ci rendono più consapevoli del mondo di Dario Fo

La figura di Dario Fo, questo è certo, non ha mai smesso di stupire. Dopo

aver studiato presso la milanese Accade-mia di Brera, sin dai primi anni cinquanta lavora come autore di testi per spettaco-

li televisivi e radiofonici. Nello stesso giro di anni incontra e sposa Franca Rame, co-nosciuta in una compagnia teatrale e da lì in poi compagna di sempre, sulla vita e sul lavoro.Fo, attraverso la scrittura, dichiara se stes-so, esprime la propria opinione, forte – non esente da critiche, al punto che l’edi-

posti sono andati esauriti nell’immediato.Invece, fino al prossimo 3 giugno, è aperta la mostra “Dario Fo a Milano. Lazzi sber-leffi e dipinti”, un evento che si focalizza sulla sua produzione pittorica e più stret-tamente artistica, dagli anni della forma-zione ai nostri giorni. E allora maschere, quadri a colore acrilico, bozzetti teatrali, arazzi e collage ci rendono più consape-voli e partecipi del mondo del loro crea-tore. Ma c’è di più: proprio come avviene per il lato più poetico della produzione di Fo, intesa a riprendere e rivedere la gran-

cisare che questa esposizione è un omag-gio nei suoi confronti che il nostro Paese gli doveva. Dario Fo, in una dichiarazione rilasciata nella stessa occasione, aggiunge: “Io ho fatto mostre in tutto il mondo. In America, in Russia, Svezia, Norvegia, Fin-landia […] il buco era Milano. Per me è un transito, non è un arrivo, perché pen-so di non fermarmi; i giorni della mostra saranno la cosa che mi interessa, perché

zione di Canzonissima del 1962 (da lui scritta, diretta e presentata) fu interrotta e censurata.È candidato al Premio Nobel per la Lette-ratura già nel 1975, e finalmente nel 1997 ne viene insignito; oggi, all’età di 86 anni, Fo è punto di riferimento della cultura ita-liana: autore di pièces teatrali, tra cui Mi-stero Buffo (1969), rielaborazione della Commedia dell’Arte settecentesca, e di li-bri – il più recente Boccaccio riveduto e scorretto (2011), ha l’instancabile vitalità di chi non finisce mai di stupirsi e di far-si domande.Non è, dunque, un caso che attualmente il Comune di Milano dedichi un omag-gio a questo grande uomo, puntando le luci su un altro aspetto della sua creativi-tà, la pittura.A Palazzo Reale si organizza uno “spetta-colo complesso”: dal 13 al 18 marzo è sta-to possibile incontrare il maestro all’inter-no dell’iniziativa “Bottega d’artista”, volta a ricostruire il suo atelier personale - tutti i

de tradizione del passato, manipolata at-traverso lo specchio del presente, anche la sua pittura è un grande documento della storia dell’arte passata.Finalmente un’occasione per incontra-re un aspetto creativo di Fo ancora for-temente trascurato in Italia; non a caso l’assessore Boeri, durante la conferenza stampa di presentazione, ha voluto pre-

Dario Fo a Milano Lazzi, sberleffi e dipinti

a cura di Felice Cappa 24 marzo – 3 giugno 2012

Milano, Palazzo RealePiazza Duomo (MM1, MM3)

Orari: lunedì 14.30-19.30da martedì alla domenica, 9.30-19.30

giovedì e sabato fino alle 22.30Ingresso: 9/7,50/4,50 euro –

intero/ridotto/ridotto speciale

Silvia Colombo

Marina Kaminsky

Marina Kaminsky, siberiana d’origi-ne, da tempo residente a Milano e

attivamente presente sulla scena artistica meneghina, è una pittrice che si è fatta ap-prezzare per la solida struttura della ricer-ca, affidata ora al colore ora a una violenta possibilità di scomposizione della forma. Marina Kaminsky è stata selezionata alla 54° edizione della Biennale di Venezia per presentare una sua opera al Palazzo delle Esposizioni di Torino. Nelle sue elaborazioni giocano l’intensi-tà del gesto e del colore. Come si coglie nelle sue opere, la pittrice mette grande cura nell’utilizzo del colore. Mostra un senso artigianale che è già per sé garan-zia del suo impegno. Il risultato è di sin-cerità, anche se la sua pittura resta aperta

ad arricchimenti di linguaggio che appa-gano con accesa e incisiva espressività. In abbondanza, anche il ricorso al blu, l’au-trice l’ha persino messo nella denomina-zione del suo studio di a Milano: “Atelier M.K. in Blu”. Ogni mercoledì del mese Marina acco-glie nel suo Atelier non solo gli amici, ma tutti gli appassionati d’arte per trascorrere delle serate piacevoli ed informali accanto ad un buon bicchiere di vino. Ricordiamo le date dei prossimi appunta-menti d’arte: mercoledì 16 maggio e mer-coledì 20 giugno dalle ore 18:00.via S. Maria Valle, 4 - [email protected]@gmail.com

voglio vedere la gente, voglio sapere che cosa pensa davanti a dei quadri che non sono mai stati messi su un muro”.Dario Fo chiama, esprime il desiderio di essere presente il più possibile all’interno degli spazi espositivi per entrare a contat-to con la sua opera che, a sua volta, si rap-porta al pubblico. Lui chiama e Milano – d’obbligo – risponde.

Aldo Caserini

Intensità e gestualità

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D E S I G N

Giuliana de Antonellis

La Triennale e i Saloni 2012

Il punto nodale de ”I Saloni 2012” è la Triennale di Milano in viale Alema-

gna 6, un luogo deputato ad accoglie-re le novità e a trasmetterle in tutto il mondo, sia che si tratti di arte o di ar-chitettura, di design o di innovazione tecnologica.Il mondo dei “creativi” guarda con in-teresse a quanto è stato proposto du-rante questa grande kermesse e dalle risultanti di affluenza e di scambi si ri-esce a capire quali idee hanno succes-so e come esse influenzeranno il mer-cato.Al visitatore, all’artista, all’architetto, al designer, al giovane studente, al bam-bino curioso la Triennale offre nel mese di aprile tutta una serie di ma-nifestazioni a tutte le ore, apre le porte ed accoglie come una grande madre.Ma andiamo con ordine. Dal 14 aprile 2012 al 24 febbraio 2013 si inizia con la quinta edizione del Triennale Design Museum dal titolo TDM5: Grafica italiana, ove si por-ta avanti il percorso di promozione e valorizzazione della creatività italiana, estendendo la ricerca a una storia che è sempre stata considerata minore e ancillare, per restituir-le la giusta autonomia. TDM5: Grafica italiana rappresenta quindi un’opportu-nità per presentare vicende, figure, fenomeni che hanno accompagnato e sostenuto gli sviluppi culturali, sociali, economici e politici del nostro paese, che rimangono an-cora relativamente poco conosciuti, nella loro ricchezza, al di fuori delle comunità specializzate.Dal 17 aprile al 17 giugno 2012 si prosegue con De Pas, D’Urbino e Lomazzi. Il gioco e le regole, un pro-getto MINI&Triennale Creative Set, un omaggio al grup-po storico De Pas, D’Urbino e Lomazzi attraverso una selezione di pezzi iconici che ne evidenzia l’importan-

ve idee legate al comfort e alla multifunzionalità, ha par-tecipato ad eventi di risonanza mondiale, quale l’Expo di Osaka, contraddistinguendosi sin dagli anni ‘60 per un approccio progettuale anticonvenzionale e un design dal sapore ludico e ironico, dal forte valore espressivo. Fra i loro progetti più famosi la poltrona gonfiabile Blow del 1967, le strutture pneumatiche, abitative ed espositi-ve, degli stessi anni, la poltrona Joe del 1970 (un guanto-ne da baseball in onore del giocatore Joe Di Maggio) e l’appendiabiti Sciangai del 1973, trasposizione ingrandi-ta delle bacchette dell’omonimo gioco. Dal 1966 ad oggi sono stati sviluppati oltre 2000 progetti che spaziano dal design industriale all’arredamento, dagli allestimenti

so spazio, nel medesimo luogo. Oggetti da cercare. Come in una sorta di quête, o di caccia al teso-

ro, un po’ ludica e un po’ se-ria, questi piccoli oggetti di

servizio, talora disegnati e realizzati appositamen-te per questa occasione

(la panchina per i vigili del fuoco, la piantana per estin-

tore) non sono collocati nella dimensione inevitabilmente ar-

tificiosa dell’esposizione “dedicata”, ma sono disseminati – a volte nasco-

sti, altre volte sfacciatamente esibiti – nel-le pieghe dell’edificio, spesso là dove effet-

tivamente servono (le sedie per i guardiani, la mensola che valorizza un muro e ne fa un nuovo

spazio espositivo) e non là dove meglio potrebbero essere visti dal visitatore.

Per giocare e ritornar bambini è stata allestita la mostra “PinkVision – Art Science and Bricks”, dal 17 al 29

aprile, di VisionLab Triennale di Milano, in collaborazio-

OK

La rivista bimestrale “Ok Arte” è edita da 11 anni dall’Associazione Culturale Ok Arte.

Il taglio editoriale è mirato a valorizzare la Cultura e i Tesori nascosti del nostro Paese,

a partire dalle tradizioni più suggestive a noi vicine.

Ok Arte è la “vetrina” ideale dove pubblicizzare mostre, artisti, designer, rassegne, eventi.

La rivista “OK ARTE” è leggibile anche sul portale www.okarte.net - www.okarte.it di ampia visibilità

visitato da migliaia di lettori ogni giorno.Sul portale trovi l’elenco

dei punti di distribuzione delle copie. Un vero e proprio

“Compagno di Viaggio nel mondo dell’Arte”tel. 347-4300482 [email protected]

MILANO E IL DESIGN

Grande “kermesse” della creatività

te apporto nella storia del design italiano sia dal punto di vista della ricerca e della sperimentazione, che dal punto di vista professionale. Lo Studio, nato nel 1966, ha porta-to avanti negli anni importanti ricerche sulle tecnologie industriali, ha collaborato con diversi imprenditori aper-ti alla sperimentazione sui materiali e ha elaborato nuo-

all’urbanistica e all’architettura.Nell’arco di pochi giorni, dal 17 al 22 aprile, il TMDS ha presentato Lorenzo Damiani - Prova a prendermi/Catch Me If You Can una mostra composta da ogget-ti sparsi in luoghi diversi, sempre all’interno della Trien-nale, ma non “allestiti” nello stesso ambiente, nello stes-

Vicende, figure, fenomeni che hanno accompagnato e sostenuto gli sviluppi culturali, sociali ed economici del nostro paesene con LEGO®. Il progetto Art Science and Bricks mette in gioco i mattoncini LEGO®, un gioco per tutti, e ha in-vitato a giocare 45 Artiste e Scienziate, che hanno svilup-pato, in completa libertà di ispirazione e realizzazione, 45 opere con il kit di 7140(!) mattoncini di dotazione .Il meglio della creatività industriale e professionale dal 17 al 22 aprile, alla Triennale, al Triennale Design Museum e alla Triennale Bovisa ha mostrato al pubblico quanto il design influenza la nostra vita quotidiana.

Poltrona Joe

Concorso Osaka

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Una porta sul futuro

Salone del Mobile 2012. Il 3% di pubblico in più, il 70% di presenze straniere, un successo che conferma l’Ita-

lia e Milano il centro del mondo del design che esprime il bisogno di rinnovamento, dà spazio a nuovi modi di in-tendere la realtà. Un luogo storico come Palazzo Clerici si fa portavoce, grazie a Domus, del progetto “the future in the making”, che persegue obiettivi multiculturali e multi esperienziali mescolando design, gastronomia, energia so-lare e 3D, arte e molto altro. Presenta, tra gli altri, Dirk Van-der Kooy con la linea Endless prodotta dal vivo con un robot che fonde la plastica. Markus Kayser con una mac-china a controllo numerico che usa l’energia solare e la sabbia come materia di produzione. Josè Ramon Tramo-yeres che applica la tecnologia 3D per la gastronomia. In questo contesto esordisce il nuovo progetto “BE OPEN”, ideato dall’imprenditrice Russa Elena Baturina, obiettivo coinvolgere anch’essa artisti e designer, filosofi e urbani-sti, letterati e industriali di tutto il mondo. Se il momento storico che stiamo attraversando è difficile, solo la capacità creativa e globalizzata di schiere di giovani e meno giovani eccellenze, può trovare la capacità visionaria di ripensare il futuro. Una scommessa davvero affascinante che presup-pone un rinnovato coraggio e una capacità di immaginare

MILANO E IL DESIGN

Tra internazionalità, multifunzionalità, tecnologia e soprattutto giovani

Schnabel, alla designer Patricia Urquiola, all’imprendito-re Alberto Alessi, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Su questo fronte il padiglione Satellite ha portato avanti un processo che coinvolge la tecnologia più avanzata per la realizzazione di manufatti sperimentali. Sono stati sele-zionati per partecipare 750 giovani provenienti da 38 pa-esi. Nessuno disegna più con la matita, i loro progetti tec-nologici sono confezionati al computer e i loro prodotti sono già coperti da brevetto. La curatrice del Salone Satel-lite, Marva Griffin Wilshire, afferma giustamente che oggi non si può vivere senza tecnologia. Per questo, sul sito Co-smit.it, è visionabile un catalogo curato da Susanna Len-grenzi che si è piazzato nei primissimi posti tra i cataloghi visionati in Italia. Il 18 Aprile, ha parlato in una confe-renza sul tema Pao-lo Antonelli, senior curator del Moma a New York, su design unito a tecnologia e comunicazione. Il 19 i giovani del Bric che raggruppa Bra-sile, Russia, India e Cina, hanno raccon-tato ciò che sta avve-nendo nei loro paesi in veloce trasforma-zione. In questo rin-novato contesto intellettuale, la Libreria Bocca conside-rata dal Fai luogo da proteggere, presenta il “progetto Shi on” piccole opere (ne sono già state vendute 250) che do-vrebbero nell’intento dell’autore Shuhel Matsuyama, cir-condare il globo con il loro antico significato di amicizia e armonia. Anche Cappellini, è uno di quegli imprenditori che ha puntato su giovani designer emergenti, provenien-ti da paesi meno industrializzati. Menti fresche, ancora ca-paci di “sognare”. Gli indiani Sahil & Sarthak hanno idea-to per lui la poltrona Stork; il brasiliano Zanini De Zanine la seduta Trez; i cechi Jan Plechac e Henry Wielgus la se-duta Circle. Foscarini presenta le sue nuove “luci”, proget-tate da Vincente Garcia Jimenez, in modo travolgente e ci-nematografico su un’infinità di schermi. Moroso non è da meno, con le sue contaminazioni che mescolano da tem-po elementi occidentali e africani, della spagnola Urquio-la. Tanti modi per dire “salviamo il mondo”.

Clara Bartolini

Dove di casa è il mobile50 edizioni archiviate con successo, 2mila e cinque-

cento aziende espositrici provenienti da tutto il mon-do: letti, armadi, tavoli, sedie, tinelli, soggiorni, comodini, comò, tavolini, divani, poltrone, consolle, credenze, com-plementi da giardino, librerie, salva-spazio, specchi, casset-tiere, mensole. E poi, piani cottura, elettrodomestici, cap-pe, sanitari, docce, vasche, lavabi. E ancora, oggettistica, elementi di decoro, tessili, accessori. Come saranno do-mani gli oggetti con i quali divideremo il nostro spazio do-mestico, lo abbiamo già visto oggi nei Saloni.L’edizione di quest’anno arriva in un periodo che ci vede

spogliati di tante certezze. Questa condizione ha pesato sull’approccio di molte del-le persone che hanno visitato i padiglioni in quel di Rho. Se prima della crisi il Salone era il serpente tentatore che ci spingeva ad addentare la mela avvelenata, convincendo-ci che il divano doveva essere cambiato con la stessa fre-quenza con cui si alternano le stagioni, ora le cose non stanno più così. Nulla ci vieta di sognare, però, che quel sofà – visto a Rho – con la presa usb e il collegamento wifi un giorno possa essere nostro.

soluzioni che portano a considerare il design, non soltan-to un fatto meramente estetico ma sociale e “politico”. Per questo, alle conferenze organizzate da “BE OPEN”, han-no partecipato: dallo chef Carlo Cracco, all’artista Julian

Massimo Zanicchi

Foto di A. Cimmino Courtesy Cosmit spa

Foto di C. Morello Courtesy Cosmit spa

Foto di A. Russotti Courtesy Cosmit spa

D E S I G N

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Tramite l’emulazione del suo più intimo sentimento, l’artista trascende dal motivo geometrico sino a raggiungere velature metafisiche

Nell’intenzione di un’autonomia ar-tistica del tutto propria, nei riferi-

menti di un’arte volta al Concettuale e al Minimal, nelle nette incisioni della for-ma ermeticamente chiusa, nell’elusione alle innumerevoli transizioni tra l’interno e l’esterno interpretabili come metafore dello scambio e della comunicazione visi-va, si esplicano i principi con cui si svilup-pano le creazioni di Clelia Cortemiglia.Le sue opere, già presenti in importanti gallerie d’arte pubbliche e private, sia ita-liane che estere, caratterizzano il panora-ma artistico contemporaneo tra il XX e XXI secolo. Lo scorso aprile l’artista ha esposto le sue creazioni in una mostra personale presso la Galleria “Il Collezio-nista” di Roma. Clelia Cortemiglia per-corre una strada che evidenzia l’evoluzio-ne della sua arte visiva astratta mediante la volontà di sottrarre, l’arte medesima, ai vincoli formali e culturali che ne costitui-scono la tradizione. La scelta di rinunciare di conseguenza al naturalismo, alla mimesi (post-impressio-nismo ed espressionismo), alla prospet-tiva (cubismo), al passato (futurismo) e alla forma (informale), rappresenta sen-za dubbio il baluardo di una volontà arti-

La linea retta nella luce del divenire

Clelia

I N E V I D E N Z A

stica maturata attraverso una risoluzione stilistica propria dell’Astrattismo-Neopla-stico. Tramite l’emulazione del suo più in-timo sentimento, Clelia Cortemiglia tra-scende dal motivo geometrico sino a raggiungere velature metafisiche, basa i suoi principi di definizione “plastica pura” come una nuova prospettiva stilistica for-male, volta alla semplice combinazione geometrica e sull’intimo equilibrio di rap-porti tra linea e colore, definiti mediante ritmi di rettangoli e blocchi cromatici. Gli elementi da lei creati ne sono gli indi-catori, come la centralità del cerchio e le dualità dei colori Bianco/Oro e Nero/Oro che richiamano ad una superficie ru-vida aggraziata, nella quale riflette la pu-rezza e la nobiltà della rievocazione al me-tallo per eccellenza: l’oro.La sua fedeltà alla linea retta è assoluta, là dove la prevalenza del bianco esprime una candida emozione di infinito e armo-nia compositiva, i cerchi e gli innumere-voli solchi rievocano lo spazio assoluto e irreale della tela bianca.Attraverso la dialettica della forma, Clelia Cortemiglia, fa eccellere il suo linguaggio tra spazialismo assoluto ed ermetismo del segno. L’uso della luce e dello spazio, ap-

plicato ad un intreccio di sfumature, sol-chi e tonalità cromatiche che variano dal bianco al nero, dal nero al grigio e che en-fatizzano l’oro come il colore simbolo di regale divinità, lasciano spazio a senti-menti fruibili di eternità, compostezza e nobiltà morale. Richiamando le teorie del celebre pittore Mondrian (“Nell’astrazione di tutte le for-me e di tutti i colori, cioè nelle linee rette e nei colori primari nettamente definiti”) si esalta l’espressività pittorica della Cor-temiglia, la quale si reincarna e rivive nel-le sue tele sottoforma espressivo-plastica, dove il geometrismo-razionale e concre-tista ne caratterizza la sua pittura astratto-contemporanea. Oltre all’uso del colore, le opere si ba-sano sull’unità di tempo e dello spazio, progettando le proprie creazioni artisti-che per non essere solamente percepite come pure e semplici pitture e/o sculture ma come forme, colore e suono attraver-so gli spazi. Come il suo grande “Maestro” e “Amico” Lucio Fontana le ha insegnato, Clelia Cortemiglia assimila e reinterpre-ta i “Concetti Spaziali”, dove il tema del-lo spazio era affrontato attraverso la perfo-razione o il taglio del supporto di volta in Maria Callas

Valentina Cortese

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volta usato (carta, tela, zinco, rame ecc.).Attraverso una ricerca pittorica costan-te che si riconduce ad uno “strutturali-smo geometrico” multiforme e informale, la Cortemiglia, dimostra di saper pla-smare delle immagini irreali pienamente astratte. All’opposto della tecnica chiaroscurale l’artista con quegli sprazzi di luce incan-descenti e solenni, porta a far emergere i volumi determinando un movimento in profondità verso l’esterno. La luce fisica incide su quelle superfici “ruvide” ricolme di grazia che rievocano antichi splendori attraverso l’utilizzo di lastre dorate, sino-nimo di suggestione simbolica. Ricordiamo una sua bellissima mostra intitolata: “Spazio, Luce, incanti e spiri-tualità nel ritratto femminile”, inaugurata quest’anno in occasione della festa delle donne presso il museo “Guido Guidi” di Forte dei Marmi. Le opere esposte erano dedicate a perso-naggi illustri nel mondo dell’arte e dello spettacolo come: Maria Callas, Mina, Va-lentina Cortese. L’artista esalta la qualità straordinaria di queste pitture mantenendo l’innesco sen-sibile entro un assoluto pudore, osten-tando la sua dimensione più introversa e silenziosa, rivolgendo al contempo lo sguardo verso cadenze legate ai rapporti umani e interpersonali. I fotogrammi che riproducono i volti delle persone da lei scelte e la successione delle sequenze costituiscono una “sequenza di sintesi” delle diverse fisionomie.

Spazio luce, in acrilico e oro in foglia del 1999

La linea retta nella luce del divenire

Cortemiglia

I N E V I D E N Z A

SEGRETERIA DI STATOdal Vaticano 14 dicembre 2009

Gentile Signora,è qui pervenuto per il cortese tramite di S.E. Mons. Gianfranco Ravasi, Presidente della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, un suo quadro dal titolo “Spazio luce” (in acrilico e oro in foglia del 1999), che Ella ha gentilmente donato al Santo Padre Benedetto XVI perché sia destinato alla Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani.Il Sommo Pontefice mi incarica di farle giungere le espressioni della Sua riconoscenza per il cortese dono, che ha apprezzato, e per i sentimenti di filiale venerazione che l’hanno accompagnato e, mentre formula voti di proficua attività artistica ispirata ai perenni valori del Vangelo, invoca, per intercessione della Vergine Maria, ogni grazia e consolazione celeste e impartisce di cuore a Lei e alle persone care una speciale Benedizione Apostolica, pegno della grazia e della pace recata agli uomini dal Signore Gesù nel Suo Natale.Con sensi di profonda stima.

Fernando Filoni

Ernesto D’OrsiMina

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Giancarlo Bressan

L’artista Giancarlo Bressan è nato a Verona, vive e opera a Milano.

Ha svolto a lungo un’attività riguardante la ricerca nel settore della chimica organica, mantenendo sempre vivo l’interesse per la pittura, creando così un varco tra le sue conoscenze scientifiche e l’interpretazio-

I N B R E V E

Cubello Cubello

Dialogo tra artistiDue artisti,

Claudio Cu-bello e Fausto Cu-bello, rispettiva-mente zio e nipote, si confrontano in un dialogo all’in-segna dei nuovi linguaggi dell’arte contemporanea.Le opere di Clau-dio Cubello non nascono da una progettualità pre-definita, ma dal suo istintivo e irresistibile richiamo del colore, che nelle sue tele ha una suggesti-va fluidità. Le ampie e dinamiche colature imprimono movimento ai piani cromatici e li sollecitano nella loro raffinata ritmicità. È come se la mano dell’artista fosse guidata da stimoli e impulsi quasi “inconsapevoli”, che portano a un risultato di grande forza cromatica ed espressiva. La libertà assoluta contro ogni ideologia. Il risultato sono del-le grandi tele che comunicano una enorme forza creativa, dove la materia pittorica tra-volge la tela come lava infuocata e irruen-

ta, creando solchi e nuove strade per arrivare alla nostra anima. Fausto Cubel-lo, classe 1986, sta per laurearsi pres-so l’Accademia di Belle Arti di Frosi-none, vive a Rocca d’Evandro, un pae-sino dell’entroterra casertano, ed ha già partecipato a diver-si concorsi nazio-

nali, come il Premio Arte laguna di Vene-zia, il concorso calcografico di Gorlago e il Premio Pandosia a Cosenza, ottenendo menzioni speciali. Conosce e utilizza di-verse tecniche pittoriche medievali e rina-scimentali (tempere grasse e magre) ed è esperto di tecniche calcografiche (xilogra-fia, puntasecca, litografia). I soggetti delle sue opere sono essenzialmente personaggi fantastici caratterizzati dal tema della meta-morfosi. Info: MaMo Galleria - via Plinio 46, Milano 0239448222 [email protected]

vsne della realtà profonda, di cui ci racconta-no le sue opere. Lavora da alcuni anni sul-la rappresentazione del paesaggio e sulla pittura en plein air, di luoghi e personaggi fantastici, che fanno riferimento alla pittu-ra surrealista. L’artista narra, attraverso una pittura pura di tipo naif, di luoghi naturali

riportati alla loro es-senza primordiale, di luoghi e personaggi legati al mondo oni-rico, supportati sem-pre da paesaggi in-cantati creati con le “nuances” della na-tura stessa. L’osser-vazione di aurore bo-reali, albe, tramonti, riportano l’artista ad una pittura quasi me-ditativa, dove si av-verte nel colore, nella luce e nella materia, il suo paesaggio inte-riore. Una spirituali-tà che va oltre i limiti fisici dei luoghi rap-presentati e ritrova nella materia pittori-ca il suo infinito.

Valeria Modica

Claudio Cubello

OSVALDA

L’era insci bela, la sciura Osvaldache la stava in la mia portasemper alegra,se la gh’aveva no la luna storta!El so marì faseva el faturinma il suo fio l’era semper vestiche pareva un principin

L’era piena de guai, la sciura Osvaldaun dì se scepava un rubinettl’alter un lampadari o la persianagh’era semper un via vai a cà sual’idraulico, l’elettricista, el tappezzèpora Osvalda che la stava in la mia poretacul so fiolin che pareva un principin

Una sera de Nuvember so mari, papà del fiulin vestì me un principinanca se faseva el faturin,ll’era in gir per consegne in muturinperò gh’era un gran nebbiuninscì l’han tirà sota in general Guvun.

Quai d’un l’ha vist scappà viaa tutta birra un macchinunma l’ha minga ciapà la targaperchè gh’era un gran nebbiunin general Guvun.

Lacrim e disperasiune la se strepava i cavel, la pura Osvalda!E dopo un mes l’han vista anda viacul so fiulin, che pareva un principincunt un sciurunch’el g’aveva un macchinun.

L’era trop bela, la sciura Osvaldala s’è più vista in la mia portacul so fiulin vesti me un principinl’idraulico e il tappezzè poden pu fagh i riparasiune inscì g’an semper un gran magun

Alessandro Ghezzi

Poesia

Se dovessi definire Maria Corte con una sola parola, senza dubbio direi “delica-

ta”. Delicata, nel tratto, nella voce, nel gesto. Delicata nei sentimenti, nell’anima. Ma-ria è una creatura trepida. Basta rubarle un lampo improvviso degli occhi, un lampo di cui lei stessa si imbarazzerebbe un pochi-no, per capire che una timidezza infinita, che un infinito rispetto e amore per gli altri la frenano: benchè io creda, che tutto som-mato le piaccia di essere proprio così come appare. La sua incisione è lo specchio di quest’anima calda e sommessa: tutto ap-pare, delicato, paziente preciso. Dalle om-bre degli alberi, delle case delle pieghe dei campi, escono luci che paiono luci d’inver-

no, quando la neve e il gelo paralizzano il mondo. Luci nitide, ferme, dalle quali i par-ticolari, i dettagli, emergono quasi tornas-sero a vivere dopo un letargo lunghissimo. Io mi figuro Maria mentre lavora: china su se stessa, assorta, caparbia, instancabile. E alla fine, come sorpresa. Sorpresa di aver li-berato la luce dalle ombre dei suoi bellis-simi alberi, dalle pieghe della sua bellissi-ma terra. Mentre io non mi sorprenderei se, da questi tratti delicati e gentili, un gior-no esplodesse il vulcano che dorme in fon-do a lei. Dopotutto, anche la timidezza e il riserbo sono spesso un messaggio: solo chi ha poco o niente di dentro, è un fuoco di artificio continuo..

Maria CorteIncisioni suggestive

Edgarda Ferri

Giuseppe Belluardo

Giuseppe Belluardo è un architetto che vive e lavora tra l’Italia e la Cina, con

oltre 23 anni di esperienza nella progetta-zione di strutture residenziali, di ospitali-tà, di villaggi, spazi ad uso commerciale e architettura del paesaggio in Europa e in Cina. E’ un esperto di bio-architettura e di tutti gli elementi che rispettano il territorio e la natura per un sano costruire. Negli ulti-mi quattro anni ha lavorato in Cina (Shen-zhen e Shanghai) attraversandola per qua-si tutto il suo territorio per lo sviluppo di diversi progetti di scala medio grande. In Cina ha approfondito l’applicazione del Feng Shui alla progettazione. Inoltre si inte-ressa dei rapporti tra la musica e l’architet-tura, apportando il concetto di “Armonia” sul modo di concepire lo spazio costruito e quello circostante. Oltre alla professione di architetto ha svolto e svolge attività di re-latore sull’architettura ecologica, sulla ge-obiologia, sui principi del Feng Shui, sulla storia e la progettazione del giardino occi-dentale e la simbologia nell’architettura e nei giardini. [email protected]

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OK

Sarà capitato anche a voi di vedere un quadro di Picas-so e pensare “Ma che diavolo aveva bevuto questo pri-

ma di mettersi al lavoro?”. In cerca di qualche suggerimen-to sul contenuto dell’opera, avrete indagato sul titolo e le idee vi si saranno chiarite. Ma non troppo. Perché nell’im-magine ingarbugliata, avrete intravisto solo qualche mini-ma traccia dell’oggetto della rappresentazione.La prossima volta che vi capiterà di trovarvi a rivivere l’esperienza di osservare un Picasso cercando di capir-ci qualcosa, tenete a mente che il pittore cubista nel mo-mento in cui si mette all’opera immagina di far ruotare fra le mani il soggetto da rappresentare – cosa o persona che sia – nel tentativo di coglierne non un solo aspetto, ma di

percepirlo nella sua glo-balità. In parole povere, se volessi ritrarre un sala-me, non dovrei limitarmi a trasporre su tela quanto mi trovo davanti al naso, ma dovrei osservarlo da tutte le prospettive possi-

bili e poi tentare di farle convivere tutte insieme sulla tela. Chi osserverà il risultato penserà di avere di fronte agli oc-chi un garbuglio più simile a un piatto di spaghetti che a un insaccato. Ma questo, solo perché non gli è mai capitato di vedere un salame in contemporanea da venti lati diversi.

Condivisibile o meno, questo era il rapporto che, secon-do Picasso, legava la realtà alla sua rappresentazione. Ne era così convinto che non esitava a farsi beffe di chi osava sostenere il contrario. Un aneddoto che circola sul web, e che tra le fonti autore-voli vanta un manuale di neuro-linguistica pubblicato in Gran Bretagna negli anni Novanta ancora in commercio, ne offre una significativa conferma. Picasso, a un collezio-nista che gli aveva rivolto l’invito a dipingere le cose come realmente sono, rispose con una domanda. Ovvero, come secondo lui le cose fossero realmente. Il tizio non si perse d’animo. Recuperato il portafoglio dalla giacca, lo aprì ed estrasse una fotografia. Ritraeva sua moglie. «Così come realmente è» aggiunse l’uomo por-gendo il ritratto al pittore.Picasso con la faccia tosta e l’arguzia che lo contraddi-stinguevano rispose più o meno con queste parole: «Vi-sto che questo è il suo esempio di arte realistica, ne posso dedurre che sua moglie sia alta grossomodo cinque centi-metri, bidimensionale, senza braccia né gambe e senza co-lori eccezion fatta per qualche sfumatura di grigio». Non è dato sapere cosa rispose il collezionista. La tesi di Picasso non fa una piega, ma resta il fatto che per noi esseri umani un’immagine figurativa tende ad es-sere più fedele al suo modello rispetto alla versione cubi-sta. Nonostante volesse farci credere che il suo stile fosse Massimo Zanicchi

M O S T R E

Adolfo WildtA Forlì le sculture dell’artista milaneseConosciuto come maestro di Lucio Fontana, Adol-

fo Wildt (1868-1931) è qualcosa di più di questo e di uno dei nomi che hanno popolato il panorama artisti-co milanese del tempo. Scultore sempre attivo nella città natale, una Milano a cavallo tra Otto e Novecento, inizia la sua formazione solo una manciata di anni dopo l’Uni-tà d’Italia, prima presso la bottega di un barbiere, poi di un orafo e di un marmista, proseguendo presso lo studio di Giuseppe Grandi.

ma – carattere che sconta vivendo talvolta al limite del-la povertà – stringe legami con alcuni dei personaggi di maggiore spicco, tra cui D’Annunzio, suo collezionista, e Pirandello, per cui realizza le maschere dei suoi “Sei perso-naggi in cerca d’autore”; immortala tra gli altri Arturo To-scanini e Vittore Grubicy De Dragon. prendendo slancio dalla scultura antica: gli occhi delle sue figure scompaiono, lasciando spazio a dei vuoti vacui, compensati dall’essen-za quasi caricaturale delle sopracciglia aggrottate dell’uno o dei capricciosi riccioli della barba dell’altro.Questo, in sintesi, è solo un assaggio di ciò che la mostra “Wildt. L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt”, alle-stita presso i Musei San Domenico di Forlì e a cura di Fer-nando Mazzocca, Paola Mola e Antonio Paolucci, inten-de mettere in luce. Certamente l’opera dello scultore milanese, ma anche tut-

Wildt. L’anima e le formeda Michelangelo a Klimt

28 gennaio – 17 giugno 2012

Forlì, Musei San Domenicopiazza Guido da Montefeltro, 12

Orari:da martedì a venerdì. 9,30-19sabato, domenica e festivi: 9,30-20

Ingresso:intero 10 euro; ridotto: 7 eurosito internet: www.mostrawildt.it

Silvia Colombo

te le relazioni che egli, come uomo e come artista, ha in-tessuto attorno a sé. Un dialogo con il tempo presente – il gruppo sarfattiano di Novecento, Klimt, De Chirico, Mar-tini – ma certamente anche un’assimilazione ragionata del passato, da Fidia a Michelangelo, da Bernini a Canova.

Prendendo slancio dalla scultura antica, gli occhi delle sue figure scompaiono, lasciando spazio a dei vuoti vacuiLa sua prima scultura, “La vedova”, un ritratto della mo-glie, risale agli anni Novanta dell’Ottocento e non possie-de ancora lo slancio vitalistico ed espressionista che carat-terizzerà la produzione successiva. Anzi, manifesta quella pietas e quella delicata bellezza formale che risente, alme-no nella posa e nel panneggio del velo sul capo, di innega-bili influssi canoviani (La Vestale). Virtuoso del materiale lapideo, che sotto le sue mani si plasma sino ad assumere morbide sembianze superficia-li, Wildt nel 1922 fonda la Scuola del Marmo, corso serale che già l’anno successivo entra a far parte del programma didattico dell’Accademia di Brera. Personalità volontariamente al di fuori da qualsiasi sche-

Realtà al cubo ovvero, più realista del re

Nei quadri di Picasso non vedete quello che ci vedeva lui? Il problema è che non sapete come guardarli

più realista del re, la sensazione è che i quadri di Picasso potranno anche descriverci la realtà ma ce la descrivono come diventerebbe se qualcuno la facesse passare attra-verso un frullatore. Sfido chiunque a distinguere una pera da una mela dopo che sono state frullate. Ma come per la frutta, anche per le immagini di Picasso, un buon motivo per frullarle ci deve pur essere. Quel buon motivo si chiama sperimentazione. Il vero pro-pellente alla base dell’evoluzione che ha portato l’uomo dal tracciare righe rozze sulle pareti delle caverne al dipin-gere quadri come “La primavera” di Botticelli.

Wildt, Monumento funebre bonzagnim

Pittori piuttosto pittoreschi

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OKI N E V I D E N Z A

Un forte influsso dalla filosofia “esistenzialista” fluttua nel pensiero di questo artista riservato e profondo“La materia di cui sono fatti i pensie-

ri è il seme dell’artista. Sogni che hanno origine dal pennello del pittore. E, poiché l’occhio è la sentinella del cervello, trasmetto le mie più intime percezioni tra-mite l’arte, la mia visione del mondo”.Le parole del grande pittore Arshile Gorky non potrebbero descrivere meglio la poetica che inonda la pittura ed il fare artistico di Paolo Ciabattini. Imprendito-re e architetto che approda alle arti visive in qualità di artista solo in età “matura” ma che decide coraggiosamente di farne la sua passione, il suo motore di ricerca inte-riore, il suo hic et nunc. Traspare il suo es-sere nelle tele che dipinge con un potente intimismo, quasi a svelarci un mondo in-teriore permeato da piccoli segreti cosmi-ci che collegano il suo universo privato, interiore, ad una più forte esigenza di tra-smettere al fruitore l’altro universo, quello parallelo. Svelare le percezioni recondite che, come affermato da Gorky nella fra-se dell’incipit, vengono filtrate dalla reti-na dell’occhio attraverso la sinergia che si crea nel cervello umano. Quelle percezio-ni, secondo Ciabattini, se scevre dai giu-dizi della mente, possono mostrarsi pure; come pura è la visuale a noi circostante e trasfondersi poi nel colore, sulla tela, tra-mite il segno, il disegno, la materia. Le sue opere astratte sono il frutto di anni di stu-di ed approfondimenti che hanno portato

L’astrazione che tende all’infinito

paolol’artista a superare la soglia del figurativo per approdare all’astrattismo come segno di una maturazione spontanea che lo ha dolcemente catturato e che altro non è se non il normale passaggio artistico ed in-trospettivo.L’influenza dell’Espressionismo Astratto è intensa ma sicuramente adagiata sulla personalità introspettiva dell’artista Cia-battini che ha sviluppato nel tempo un messaggio stilistico molto personale ed unico. Lo storico dell’arte Alan Jones de-finisce la corrente dell’Espressionismo Astratto come: “lotta verso l’infinito subli-me” e quella lotta è profondamente insita nell’artista Ciabattini.Il prodotto artistico di questa corren-te è notevolmente variegato ma una sor-ta di marcato “individualismo” (si pen-si a Mark Rothko) è innegabile. Il senso

non è negativo dell’accezione “individua-lista”, tutt’altro. E’ il potente desiderio di voler trasmettere i propri sentimenti, le proprie emozioni, il proprio spirito, elimi-nando per quanto possibile le influenze del mondo esterno e quelle della propria mente, lasciandosi cullare dalla percezio-ne del proprio “sé”.Tre varietà si denotano nell’”Action Pain-ting” che nacque in America negli anni ’50 e che ritroviamo nelle tele delle “Ri-frazioni”, dei “Segni” e delle “Città Amor-fe” di Paolo Ciabattini.La prima è caratterizzata da strati sottilissi-mi di colore che si sovrappongono crean-do un effetto in parte traslucido e che pos-sono essere considerati “astratti” ma non necessariamente “espressionisti” (Mark Rothko, appunto).La seconda, come in Willem De Koo-

Rifrazioni cm. 70 x 50

Rifrazioni cm. 150 x 100

Rifrazioni cm. 100 x 50

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OKI N E V I D E N Z A

stridenti. Come è lo stridere della vita. I movimenti della pennellata sono liberi e talvolta pregni di quell’automatismo di matrice surrealista che dà libero sfogo alle pulsioni, alle sensazioni provenienti dai nostri neuroni. L’astrazione di Paolo Ciabattini è certa-mente, come da lui stesso ammesso, se-gnica-gestuale e solo talvolta rimanda alla colorfield abstraction (o pura astrazione).La matericità delle tele è tenue, dotata di delicati colpi di spatola e di colore posto “a corpo” in piccole incanalature vertica-li e orizzontali, fino ad intrecciarsi, scon-trarsi, incontrarsi in gesti autoreferenziali, casuali ed improvvisati tanto da rifiutare ogni costrizione formale o razionale. Non penso di errare nell’affermare che anche un forte influsso dalla filosofia “esistenzia-lista” fluttua nel pensiero di questo artista riservato, criptico e profondo.

Si pensi a quanto esposto da Jean-Paul Sartre nel suo trattato filosofico L’essere e il nulla che si basava su una serie di opposi-zioni e paradossi caduchi e piuttosto sem-plicistici ma che proprio per questi moti-vi furono tanto popolari. Sartre pensava che, mentre tutte le azioni sono soggette a un giudizio morale, non esistono prin-cìpi morali oggettivi. La libertà sta nel-la scelta, anche se questa scelta potrebbe essere né razionale né deliberata. Tra le cose cui attribuiva maggiore importanza vi era l’impegno o l’assunzione di respon-sabilità. Soltanto questo – impegnarsi in qualcosa che oltrepassi l’interesse per-sonale - avrebbe potuto sollevare l’esse-re umano dal fardello della non esistenza. Ecco quindi come mai il sentire filantro-pico di Paolo Ciabattini ci viene mostrato con tale intensità nelle sue opere. L’impe-gno e la responsabilità dell’individuo-ar-

tista è per lui un richiamo in-teriore che si deve manifestare nel messaggio artistico ed uma-no insito nelle sue opere.Paolo Ciabattini anela alla rap-presentazione aulica e vera del suo essere, del suo divenire e del suo percepire in modo sen-sibile.Dunque non resta che osser-vare il suo sito ed attendere la prossima, imminente mostra personale che ci consegne-rà vibrazioni, sensazioni o me-glio “rifrazioni” umane, ricche di talento e di quell’anelito di “ri-nascita” che Ciabattini arti-sta ci permette di esperire gra-zie all’intenso coinvolgimen-to emotivo che suscitano le sue opere d’arte. www.paolociabattini.it

L’astrazione che tende all’infinito

Ciabattini

Massimiliano Bisazza

nig, con le sue “donne concre-te” e dipinte invece in modo “espressionista” la cui manife-sta corporeità si inserisce nel-la tradizione iconografica del nudo femminile. Per giungere alla terza, Jackson Pollock ne è un palese esempio, dove l’ar-te gestuale dei leggendari drip painting è composta da strati di colore versato o sgocciolato che talvolta implica elementi fi-gurativi.La concezione è bidimensiona-le e senza dubbio vi è un rifiuto totale della mimesi naturalisti-ca. Il colore è usato come mas-sima espressione psicologica, libero, con variazioni che pos-sono essere cupe e con croma-ture accese ricche di tonalismi, a volte stridenti. Volutamente Rifrazioni cm. 150 x 100

Rifrazioni cm. 150 x 100

Rifrazioni cm. 300 x 120

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Brueghelun “brand” di successo

Ugo Perugini

gli aspetti grotteschi, ridicoli. Lo dimostra , tra le altre, l’opera dal titolo “Villaggio con contadini e animali”.Sulla stessa falsariga continua l’opera Pie-ter il Giovane, nei cui lavori da una parte si accentuano i caratteri caricaturali (effi-

conosce Federico Borromeo che acquista molte sue opere. Nei suoi lavori vi sono trasformazioni importanti e per la prima volta compare una natura morta, tanto da essere definito “Brueghel dei fiori”. Anche gli altri figli che si dedicarono alla pittu-

tadino intento a bere e fumare.La Mostra è molto ben allestita. La semi-oscurità delle sale mette in rilievo attraver-so un perfetto gioco di luci i colori vivi dei quadri. Altro non si vede che le immagi-ni le quali emergono con evocativa sugge-

M O S T R E

La straordinaria concretezza del racconto, l’attenzione al rapporto con il reale

ra non dimenticarono di mantenere vivo il marchio “Brueghel”, vendendo i dipin-ti ereditati e producendo nuove creazioni con il proprio stile personale.Da segnalare, poi, Jan van Kassel, figlio di una sorella di Jan il Giovane, che si specia-lizzò in dipinti di piccole dimensioni con soggetti quali animali, insetti, uccelli, fio-ri e allegorie. Nel lavoro “Studi di farfal-le e altri insetti” da ammirare la precisio-ne scientifica con cui gli animali vengono riprodotti. Senza dimenticare, per finire, David Teniers, il Giovane, che aveva spo-sato Anna, una figlia di Ambrosius Brue-ghel, il quale si specializza in scene di ge-nere, vita dei campi, interni di osterie, come nell’opera “Contadini in una taver-na”, dove rifà se stesso come fosse un con-

stione dalle tele. Uno straordinario percor-so che va letto non tanto e non solo in un rapporto cronologico quanto in relazio-ne ai vari abbinamenti tematici ed emoti-vi che vengono di volta in volta proposti e favorisce, nella intimità della scenografia realizzata, la scoperta dei numerosi parti-colari di cui tutte le opere sono ricchissi-me. E’ un gioco graditissimo degli occhi, ad esempio, analizzare uno per uno i visi e le espressioni dei numerosi personaggi ri-tratti nella “Festa di matrimonio all’aper-to” di Pieter Brueghel, il Giovane.Alla Mostra, sostenuta come main spon-sor da Unicredit, si affianca anche un pro-getto teatrale per un approfondimento di-dattico che parte dall’opera di Bosch per analizzare i vizi capitali da Plauto a Pinoc-chio.

C’è da perdersi nel ricostruire la ge-nealogia della famiglia “Brueghel”.

Dal capostipite Pieter, il Vecchio, a Pie-ter, il Giovane, quindi il figlio Jan, che a sua volta ebbe undici figli, di cui cinque ma-schi, i quali si dedicarono anch’essi alla pittura. Senza dimenticare nipoti e paren-ti acquisiti, tutti portatori di originali con-tributi creativi. Insomma, una famiglia che diventa nel tempo una redditizia azienda di produzione artistica che si caratterizza per uno stile inconfondibile, “il marchio Brueghel”, sia pure modulato a seconda delle diverse sensibilità dei pittori. La mo-stra di Villa Olmo a Como ha provato con successo a tenere insieme il genio di que-sta nobile stirpe, contribuendo a far cono-scere l’epoca d’oro della pittura fiamminga del Seicento, attraverso un progetto uni-co nel suo genere, mai realizzato prima, che verrà poi esportato in altri importanti Musei del mondo, come quelli di Tel Aviv, Praga e Miami.Prima di entrare nel mondo di Brueghel, non si può non fare riferimento a Hiero-nymus Bosch, di cui possiamo ammirare per la prima volta nel nostro Paese, il capo-lavoro “I sette peccati capitali”. Il percorso espositivo della mostra ruota proprio at-torno a questa opera, visto che in passato spesso le opere di Pieter Brueghel furono attribuite a Bosch. Ma la differenza è so-stanziale. Nelle opere di Bosch prevale un atmosfera cupa e misteriosa, ricca di sim-boli alchemici, di segni astrologici, di vi-sioni allucinate. In Pieter, al contrario, quello che colpi-sce è la stra-ordinaria

concretezza del racconto, l’attenzione al rappor-to con il reale, il gusto di descri-vere gli uomini nella loro vita quotidiana, anche la più semplice, mettendone in luce

Il gusto di descrivere gli uomini nella loro vita quotidiana, anche la più semplice, mettendone in luce gli aspetti grotteschi, ridicoli

cacissimo in questo senso il tondo “L’adu-latore”), dall’altra non mancano accenni a

registri più solenni e austeri. I temi più caratteristici

restano comun-que quel-

li delle

feste dove ancora una volta

è la gente la protago-nista. Si veda “Festa di matrimo-

nio all’aperto”. Jan Brueghel, il Vecchio, fi-glio di Pieter, viaggia in Italia e a Milano

La dinastia Brueghel a cura di Sergio Gaddi e Doron J. Lurie

aperta fino al 29 luglio 2012

Orari: da martedì a giovedì: 9-12 da venerdì a domenica: 9-22

Ingresso: Intero 10 €; ridotto 8 €sabato, domenica e festivi: 9,30-20

Ingresso:intero 10 €; ridotto 7 €sito internet: www.mostrawildt.it

Jan Brueghel il Giovane, Allegoria dell’udito, 1645-1650 ca., olio su tela, 57 x 82,5 cm

Pieter Brueghel il Giovane, L’Adulatore, 1592 ca., olio su tavola circolare, diam. 18,5 cm

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Michela Lupattelli, Laura Scaringi, Marilena Scavizzi, Fran-cesca Sirianni, Stefano Solimani.

Ed ancora, Bucintoro Cultura Art&salE, in collaborazione con lo Studio Charles Matz di New York e con l’Accade-mia delle Belle Arti di Venezia ed il suo Presidente Luigi-no Rossi, dal 24 marzo al 24 aprile, ha portato ai Magaz-zini del Sale “Through my window”, una straordinaria mostra personale del fotografo coreano Ahae. L’esposizione, in tour itinerante a livello mondiale iniziato

Rembrandt Maestro della luce

Le Scuderie del Castello Visconteo di Pavia ospitano fino al 1° luglio la mostra “Rembrandt incidere la luce.

I capolavori della grafica”. L’esposizione, curata da Laura Aldovini, presenta quaranta incisioni, molte delle quali autografe del grande maestro olandese, accanto ad alcune della sua bottega e tutte provenienti dalla prestigiosa colle-zione del marchese Luigi Malaspina di Sannazaro (1754-1835), che costituisce oggi il nucleo fondante dei Musei Civici di Pavia.Composta da circa cinquemila opere che spaziano dal ‘400 all’’800, la raccolta di stampe del nobile pavese ven-ne infatti donata alla sua morte, costituendo di fatto la fon-dazione del primo museo nella città lombarda.L’esposizione permette dunque di ammirare non solo opere celeberrime del maestro olandese, ma anche di sco-prire un vero e proprio tesoro, esposto per la prima vol-ta a Pavia.Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Leida, 1606 – Am-sterdam, 1669) viene generalmente considerato uno dei più grandi pittori della storia dell’arte europea e il più im-portante di quella olandese: fin da giovane ottenne rico-noscimenti come pittore ritrattista e le sue vicende perso-nali furono segnate da lutti, tragedie familiari e da crescenti difficoltà economiche che lo costrinsero infine sul lastrico. Eppure l’arte di Rembrandt non risentì di queste avversità, ma sembrò trarne in qualche modo un giovamento: pa- Francesca Mariano

Gli artisti? I nuovi profeti

Nel magico contesto del carnevale veneziano, un titolo al-trettanto magico che si richiama alle profezie del calenda-rio Maya: “La fine del mondo tra Apocalisse e Apoca-tàstasi, gli artisti? I nuovi profeti”. La mostra, curata da Alberto D’Atanasio, ha portato nella coreografia unica del Magazzino Gardini un gruppo di artisti che hanno trovato soddisfazione in una partecipazione significativa di visita-tori. Catalogo a cura di Fabio Versiglioni edito da “Futura Edizioni”, Perugia, con un testo filosofico a cura di Valen-tina Orlando e un testo storico-artistico a cura di Alber-to D’Atanasio.Gli artisti con opere pittoriche: Alessandra Angelini, Fabri-zio Berti, Daniela Biganzoli, Luisa Caeroni, Claudia Carducci, Donadella - Lella Casolari, Giovanni Casamassima, Gabriele

Cavagna, Ubalda Committeri, Dadagaben (Grazia Marino), Luca Dall’Olio, Luigi De Cicco, Gabriella Fabbri, Matteo Fio-rucci, Maty Galafate, Max Gasparini, Claudio Guadagna, Li Jin, Michela Lupattelli, Monica Maffei, Elvio Marchionni, Vin-cenzo Martini, Antonietta Meneghini, Paolo Monizzi, Ciro Pa-lumbo, Annalisa Picchioni, Luigi Piccioni, Alfio Presotto, Eli-sabetta Sabbati, Laura Scaringi, Francesca Sirianni, Stefano Solimani, Massimiliano Studioso, Alessandro Testa, Loreta Te-odorova, Rodolfo Tonin; con installazioni e sculture: Pier-giorgio Baroldi, Toni Bellucci, Roberto Denti, Gabriella Fabbri,

M O S T R E I N I T A L I A

ammirare una serie di ritratti e autoritratti che colpiscono per la grande capacità di introspezione, come “Ritratto di Jan Six” (1647) e “Autoritratto alla finestra”(1648), o le ce-lebri scene sacre, come “La morte della Vergine”(1639), la “Resurrezione di Lazzaro” o “La stampa dei cento fiorini” (1649 ca.) e l’incisione, ancora enigmatica nel suo signifi-cato, de “Il Faust”(1652 ca.). Tre opere di Albrecht Dürer (1471-1528), tra cui la xilografia con “La morte della Ver-gine”, sono proposte in questa sede come illustre confron-to con il maestro olandese. Il catalogo della mostra, edito da Silvana Editoriale, oltre ai saggi introduttivi di Susanna Zatti e Laura Aldovini, presenta brevi ma puntuali schede tecniche delle opere.Dopo la sede pavese, “Rembrandt incidere la luce. I ca-polavori della grafica” sarà ospitata dal Museo Storico del Castello di Miramare di Trieste dal 7 luglio al 7 ottobre 2012.

Venezia 2012 -Bucintoro Cultura – Art&salE con Ahae Da New York a Parigi

Silvano Seronelli

Un sapiente uso della luce, impiegata per sottolineare dettagli importanti e sempre funzionalealla comprensione del soggetto trattato

Rembrandt, Autoritratto con la sciarpa al collo, 1633

rallelamente alla pittura l’artista si dedicò con gran fervo-re, anche con l’intento di vendere rapidamente le sue ope-re, all’incisione, prediligendo l’acquaforte e la puntasecca. In breve tempo Rembrandt portò entrambe le tecniche a importanti livelli espressivi, soprattutto grazie ad un sa-piente uso della luce, impiegata arbitrariamente per sotto-lineare in maniera non convenzionale dettagli importanti e sempre funzionali alla comprensione del soggetto trat-tato. Questo è il caso, come spiega la curatrice, de “l’Auto-ritratto con sciarpa al collo” (1633) esposto in mostra, in cui l’artista, ponendo il proprio volto in ombra, ne illumi-na solo una guancia e gli occhi fissi sull’osservatore.Tra i vari capolavori esposti in mostra il visitatore potrà

La fine del mondo tra Apocalisse e Apocatàstasi

Pamela Lafragòla, Alberto Lazzaretti, Elisa Lorenzelli, Rug-gero Marrani, Paolo Monizzi, Pier Giuseppe Pesce, Paolo Ri-naldi, Marilena Scavizz; con opere multimediali e fotogra-fiche: Nicola Bertagni, Roberto Denti, Matteo Fiorucci, Maty Galafate, Remo Giombini, Paolo Lazzaroli, Elisa Lorenzelli,

l’anno scorso, ha già trovato spazio al Grand Central Ter-minal di New York, alla National Gallery di Praga ed in al-tre prestigiose sedi.La prossima tappa della mostra di Ahae sarà il mitico Lou-vre di Parigi.

Dopo i successi del 2011, Meridiano Acqua Meridiano Fuoco e The Future of Promise, le due grandi mostre

internazionali nel contesto della Biennale di Venezia Arti Visive, anche nel 2012 sport & culture, l’ambizioso pro-getto che vuole accompagnare Reale Società Canottieri Bucintoro 1882 nel futuro di Venezia e della sua interna-zionalità, ha riportato nuova e preziosa linfa ai Magazzini del Sale nel kilometro della cultura veneziana.Bucintoro Cultura – Art&salE, sotto l’appassionata regia del suo coordinatore Piergiorgio Baroldi, ha portato nei saloni sociali altri due eventi di grande prestigio.

Ahae, Anatra mandarina maschio 2011

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Eventi d’Arte

LA CASA DELLE IDEE

CASAIDEA ospita fino al 20 maggio 2012 un’inedita mostra personale di Tony Dallara. La serata inaugurale dello scorso 15 aprile è stata caratterizzata

dalla vivacità e dall’euforia del numeroso pubblico che ha accolto con grande calo-re il famoso artista. Il sig. Giuseppe Acerbi, titolare di CASAIDEA, ha fatto gli ono-ri di casa con il solito garbo e la sua squisita cordialità che lo contraddistingue. Tra i graditi ospiti intervenuti per l’occasione, ricordiamo Giuseppe Russo, sindaco di Tavazzano con Villavesco, che è stato tra i primi ad apprezzare le iniziative cul-turali promosse presso lo spazio espositivo. La mostra curata da Francesca Bellola, diret-tore editoriale della rivista Ok Arte, è stata presentata da Ugo Perugini che ha riassun-to con efficacia e competenza, la vita artisti-ca di Tony Dallara.In questa esposizione sono presenti oltre una ventina di opere che racchiudono il lun-go ed a volte contrastato percorso di Dallara

nell’arte, caratterizzato da continue sperimentazio-ni non usuali alla ricerca mai banale dell’infinito. Dallara è un cantante fa-moso quasi per caso. In realtà fin da ragazzo si in-tuiva la sua versatilità: so-

cato al tema del VIVERE nel privato e nella comunità. Il tema affrontato è molto attuale e sfizioso: “La cucina come spazio fisico nell’ambiente domestico e la tradizione gastronomi-ca culinaria del Lodigiano”. Gli altri temi che verranno svilup-pati nel corso dell’anno, saranno il VERDE, l’ENERGIA e la FESTA. Ad ogni incontro partecipa un relatore qualificato che affronta il tema proposto con un taglio di ampio respiro, per conoscere e approfon-dire l’argomento da diversi punti di vista, sulla base di studi ed esperienze signifi-cative. Relatrice dell’evento del 13 Maggio è stata la prof.ssa Egeria Di Nallo. Il Suo profilo è degno di nota: Professore ordinario di sociologia dal 1980, dopo un pe-riodo di insegnamento a Parma e diverse esperienze tra le quali quella di antropo-loga nella Selva Amazzonica, viene chiamata a Bologna alla Facoltà di Scienze Poli-tiche e qui rimarrà ricoprendo vari insegnamenti e cariche, fra cui la Direzione del Dipartimento di Sociologia. Fondatrice, nel 2004, dell’Associazione per la tutela e valorizzazione del patrimo-nio culinario gastronomico tipico d’Italia, è autrice del programma Home Food che tutela e preserva, attraverso le Cesarine, il cibo tipico e la tradizione gastronomi-ca che si tramanda nelle famiglie, collegandosi al territorio e alla sua cultura, re-cuperando l’idea della cucina nella sua valenza più ampia e metaforica. Perché il cibo, dice, è sempre espressione della storia dell’uomo e del suo territorio, e si por-ta dietro concetti che vanno ben oltre il semplice atto di alimentarsi: appartenen-za, identità, senso del vivere sociale. Buoni cibi, insomma, per buoni pensieri.Al dibattito, moderato dal dott. Emanuele Plata, Presidente dalla Fondazione PLEF, ha partecipato anche il Sindaco di Tavazzano con Villavesco, Giuseppe Russo.Partner dell’evento Scholtès, noto brand la cui storia è costellata di continui succes-si che rivelano una costante tensione verso l’eccellenza professionale, nella creazio-ne e lavorazione di elettrodomestici per la casa dal design unico ed inconfondibile. Con esempi di “cucina attiva”, si dimostra come preparare in soli 3 minuti, una do-rata e croccante pizza, grazie all’utilizzo della pietra refrattaria in dotazione, che ri-produce perfettamente le condizioni di un vero forno a legna.Il rinfresco è stato offerto da CASAIDEA, con la collaborazione di Convivium, Ac-cademia Piacentina di cucina, fondata dal presidente Antonella Rota, che riunisce un gruppo di amici legati dalla passione per la buona cucina.

CASAIDEA, riconosciuto punto di riferimento nel settore dell’architettura, dell’ar-redamento e dell’antiquariato ha recentemente restaurato la“Chiesetta del Vian-

dante” di Tavazzano risalente al 1626, per trasformarla in uno spazio polivalente de-nominato la “CASA delle IDEE”. L’ambizioso progetto è stato illustrato dal titolare dell’azienda, il sig. Giuseppe Acerbi alla fine del 2011. Con il recupero dell’antica strut-tura, CASAIDEA è impegnata a promuovere un progetto di particolare significato per il rilancio dell’azienda, con l’ausilio di strette collaborazioni con ambienti pubblici e pri-vati che permetteano di concretizzare gli obiettivi culturali e informativi e favorire l’in-tera comunità ed il territorio.In questa “location” davvero suggestiva la famiglia Acerbi ha ideato un ricco calenda-rio di eventi culturali, artistici, aziendali, convegni, patrocinati dal Plef (Planet Life Eco-nomy Foundation).Il 13 maggio alle ore 17.00 si è tenuto il secondo appuntamento di un percorso dedi-

gnava infatti, di iscriversi all’Accademia di Brera per diventare un artista. Così, mentre negli anni sessanta incideva dischi e viaggiava per il mondo, nei ritagli di tempo fre-quentava il quartiere di Brera e gli studi degli artisti più rappresentativi di quel periodo. Stringe una forte amicizia con Roberto Crippa che si consoliderà nel tempo, conosce Lucio Fontana, Remo Brindisi, Piero Dorazio, Enrico Baj, solo per citarne alcuni. In questo periodo si dedica alla pittura cercando sempre il confronto con gli altri pitto-ri suoi amici. Discute sulle teorie dell’astrattismo e sull’utilizzo di nuovi materiali come

la plastica, il catrame liquido ecc. per affrontare la tematica a lui cara dello spazio. La sua prima mostra risale al 1960 presso la Galle-ria Cairola di Milano. Da allora ha esposto anche all’estero in paesi quali Canada, America, Giap-pone, Corea, ottenendo consensi ed apprezza-menti più che in Italia. Dichiara lo stesso Dallara quasi con rammarico: “Difficilmente quando un personaggio è noto in un campo riesce ad otte-nere la stessa credibilità in un altro”. Dino Buzza-ti, scettico, trascinato da un amico a vedere il suo studio dichiarò: “Quando si dice che Tony Dalla-ra è un buon ragazzo, si registra puntualmente la verità. Non mi è mai capitato di vedere una per-sona di così vasta popolarità che appaia cosi rigo-rosamente immune dall’influsso nefasto del suc-cesso”.

Tony Dallara, desiderio di infinito

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OKM O S T R E

silenzio che quasi induce alla riflessione se non alla meditazione. Cosa ne pensi?Condivido certe tue interpretazioni. E’ vero che le immagini di pianeti, lune, bu-chi neri, possono provocare in chi li guar-da sensazioni di silenzio, pace, quiete. In realtà, come ci hanno illustrato alcuni scienziati, nel cosmo c’è un rumore di fon-

Tony Dallara, non solo musica

maestri, oltre che amici, e che rappresen-tano quanto di più significativo sia emerso dal periodo storico delle “Avanguardie”. Ma torniamo all’astrattismo. Frequentan-do questi pittori, intorno ai primi anni Sessanta, Dallara non può non rimane-re colpito e affascinato dalle esplorazioni spaziali di quel tempo. Ecco, allora, che nei suoi quadri vengono riportate immagini della luna, con i suoi crateri, i suoi “mari”,

Tavazzano celebra l’artista con un’ampia rassegnaNon è facile presentare Tony Dal-

lara pittore senza fare riferimento alla sua carriera di cantante e personag-gio dello spettacolo, conosciutissimo in Italia e nel mondo. Dallara è un’icona del-la musica leggera e uno dei più prestigio-si precursori di cambiamenti nella sen-sibilità del gusto musicale ma anche del costume italiano. Ci sono canzoni (ad es. “Come prima”) che ormai sono entrate

sorta di ritrosia e pigrizia mentale per cui facciamo fatica a immaginare che una per-sona sia in grado di eccellere in campi di-versi. Gli Stati Uniti, e New York in partico-lare, sono un Paese e una metropoli che tu ami, che hai frequentato e dove hai conosciuto molti personaggi dello spettacolo, come ad esempio Marilyn Monroe. Ce ne vuoi parlare?Nel 1961 venne in Italia Jane Russel, che aveva appena girato alcuni film con Ma-rilyn Monroe (Il mio corpo ti scalderà, Gli uomini preferiscono le bionde). Alcu-ni produttori decisero che avrei fatto una tournée di sei mesi con lei. Poi la stagione sarebbe proseguita l’anno dopo con Ma-rilyn. Allora andai in America, nel genna-io 1962, per prendere accordi con lei. La conobbi di persona e fu un’emozione in-credibile. Marilyn era più di una donna

Ugo Perugini

La pittura e la musica sono forme d’arte che si esprimono attraverso i colori

nell’immaginario sonoro collettivo, capa-ci di individuare da sole (con poche note) un’epoca, un periodo storico, perfino il ca-rattere di una generazione, che chiedeva di potersi esprimere senza filtri e senza ipo-crisie. Con voce chiara e forte. Per questo motivo, può apparire quanto-

rese con tecniche plastiche del tutto origi-nali, dei pianeti, immersi in pulviscoli me-teorici, tutte immagini vivide, ricche di sfumature coloristiche, calate in una inevi-tabile solitudine che ancora non angoscia ma fa riflettere.

Chiediamo a Dallara, cos’hanno in co-mune per te la pittura e la musica?Sono entrambe forme d’arte che si espri-mono fondamentalmente attraverso i co-lori. Sia una canzone che un quadro ac-quistano la loro peculiare espressività attraverso l’uso combinato e significativo dei cromatismi che nella musica si rivela-no attraverso l’uso di diverse tonalità, l’at-tenzione ai chiaroscuri, al volume, all’in-tensità, ecc.Tu hai sostenuto che la ricerca dell’in-finito, che testimoni attraverso le tue opere, é anche un’esigenza religiosa. Ma cosa intendi esattamente?Io credo che l’uomo abbia bisogno di ten-dere verso lo spazio, verso l’infinito perché è qui che più facilmente può trovare rispo-ste alle questioni più profonde su cui da sempre si è interrogato, cioè la sua origine e il suo destino. Nei miei quadri propongo una specie di viaggio spaziale attraverso i misteri della vita. Noi abbiamo accennato al fatto che le tue opere suscitano una sensazione di

meno singolare che la sua scelta creativa in chiave pittorica sia l’astrazione, intesa come necessità di alzare lo sguardo verso un cielo immaginario o immaginato. Que-sta è l’impressione che ci coglie, osservan-do le opere esposte nella mostra personale curata da Francesca Bellola ed inaugura-ta lo scorso 15 aprile e aperta fino al 20 maggio 2012, presso CASAIDEA, azien-da che si occupa di Architettura, Arreda-mento e Antiquariato nello spazio esposi-tivo “Casa delle Idee”, nella “ex-Chiesetta del Viandante” a Tavazzano con Villave-sco (LO).Il suo rapporto con l’arte non è sporadi-co o velleitario bensì radicato, anche con collaborazioni e amicizie di assoluto rilie-vo: basti a questo proposito citare alcuni artisti, abituali frequentatori del quartiere di Brera, come Enrico Baj, Remo Brindisi, Roberto Crippa, Gianni Dova, Lucio Fon-tana, Giuseppe Migneco, che furono suoi

affascinante, era già un mito. Le strinsi la mano e… per una settimana non me la la-vai più! Purtroppo, però, le cose andarono di-versamente dal previsto…Il 5 agosto 1962 accadde quello che sap-piamo. Io, allora, le dedicai una canzone “Norma mia”, perché il suo vero nome era Norma Baker. Poi ho anche realizzato al-cuni quadri che la ritraggono insieme a di-versi oggetti che fanno parte del suo im-maginario.

do, continuo, assordante, fatto di esplosio-ni cosmiche, radiazioni ad alte frequenze. Molti grandi maestri della pittura come Crippa, Fontana, ecc. hanno creduto nel tuo lavoro. Pensi che avresti potuto ottenere qualcosa di più in questo am-bito? E se sì, cosa eventualmente è man-cato?Ritengo che in Italia abbiamo ancora una mentalità piuttosto chiusa. Pensiamo che non sia concepibile che un cantante pos-sa essere anche un valido artista. C’è una Un momento dell’inaugurazione

Francesca Bellola e Tony Dallara

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OKC U LT U R A

Clara Terrosu

Dessau, grazie a Basedow. L’importanza dell’unità psicofisica sarà ribadita da Guts Muths che attribuisce all’attività ginnica il merito di stabilire l’armonia tra il corpo e lo spirito nella sua opera “La ginnastica per la gioventù”.Seguirà il Romanticismo, che nel corso del 19° secolo rivaluterà il sentimento e la fan-tasia e terrà in grande considerazione la ginnastica, vista nella società tedesca come un mezzo per rivalutare la nazione. Nel li-bro “L’arte ginnastica tedesca” Jahn si rifà ai greci ed ai romani, affermando che l’atti-vità ginnica favorisce la vita in comune ed il patriottismo.Trascorreranno ancora alcuni anni, prima che il barone francese Pierre de Couber-tin, grande appassionato di sport, investen-

do buona parte dei suoi capitali, riesca a far risorgere il mito delle Olimpiadi. Dopo 2672 anni dalla prima edizione dei giochi olimpici dell’antica Grecia, il 6 aprile 1896 ad Atene, saranno celebrati i “Giochi della I° Olimpiade dell’Era Moderna”. I principi ispiratori di De Coubertin considerano lo sport strumento di crescita fisica e morale dei giovani, che li educa al sacrificio, alla di-sciplina ed alla responsabilità, senza nulla togliere all’autonomia ed alle capacità de-cisionali del singolo.

Le donne e l’era modernaIl barone De Coubertin non invitò alcu-na donna atleta alle olimpiadi, così il “gen-til sesso” ebbe, all’interno dello stadio, un ruolo marginale e piuttosto umile, come

Seconda Parte

ostacolo alla pratica dello sport; solo re-centemente si è scoperto e dimostrato che non è così, ne è la prova la nostra Valentina Vezzali, campionessa mondiale di scher-ma nel 2005, dopo soli 4 mesi dal parto.In realtà il rapporto donne e sport ha ra-dici molto antiche; ne sono la prova alcu-ni mosaici romani rinvenuti nella Villa del casale di Piazza Armerina, comune sicilia-no in provincia di Enna. E’ probabile che la pratica sportiva femminile si possa far ri-salire ad almeno 2000 anni prima di Cri-sto nel bacino del mediterraneo, anche se limitata a corsa, ginnastica a corpo libero, con nastri e bastoncini.

Il 18° secolo illumina le tenebre dell’igno-ranza con la ragione e la pedagogia avrà

un pilastro nell’Emilio di Rousseau. Sarà la Germania ad ottenere i maggiori progres-si in campo ginnico, con la creazione del-la prima scuola pubblica dove s’insegna l’educazione fisica: il Philanthropinum di

L’attività GINNICAIlluminismo e Romanticismo, la partecipazione delle donne

nell’era moderna

Miró! Poesia e luce

sorreggere gli allori durante le premiazioni. La filosofia romantica ottocentesca, infatti, considerava la donna una creatura langui-da e malinconica, destinata alla vita dome-stica, alla procreazione ed allevamento dei figli. Le arti femminili erano il ricamo, la poesia, i giochi da tavolo, la musica, grazie alla quale era concesso qualche passo di danza. Un ulteriore ostacolo era costituito dall’abbigliamento, gli abiti erano ampi e la morale proibiva di mostrare la pelle nuda, a parte qualche scollatura per la sera. Pra-ticamente risultava quasi impossibile alle donne il godere della libertà di movimen-to per correre, saltare e lanciare.La prima Federazione Sportiva Femminile Internazionale nacque in Francia nel 1921 per promuovere l’agonismo fra donne. A Parigi nel 1922 ed a Goteborg nel 1926 si tennero i Giochi Mondiali Femminili che rischiarono di oscurare le Olimpiadi Ma-schili. Il comitato Nazionale Olimpico li-beralizzò la partecipazione delle donne nei Giochi di Amsterdam del 1928. Qui le at-lete si cimentarono nei tornei di scherma (fioretto, spada e sciabola), tennis e tiro con l’arco. La partecipazione aumente-rà gradualmente: ad esempio nel 1952 ad Helsinki solo la metà dei paesi partecipan-ti invieranno una rappresentanza femmi-nile e nel 1968, a Città del Messico, le con-correnti non supereranno il 12% (845 su 7.200 atleti) nonostante la massiccia pre-senza delle atlete dei paesi socialisti.Si pensava che la maternità costituisse un

Dal 16 marzo al 10 giu-gno il chiostro capitolino

del Bramante ospita una delle più grandi rassegne italiane de-dicate all’artista catalano Joan Miró. L’esposizione, curata da María Luisa Lax Cacho, è sud-divisa cronologicamente e te-maticamente tra le nove sale del percorso, dove si può am-mirare la produzione degli ulti-mi trent’anni della vita dell’arti-sta a Maiorca, dove la Fundació Pilar i Joan Miró possiede molte opere dell’artista, concesse in via del tutto straordinaria per l’an-teprima italiana. Vengono pre-sentati oltre 80 lavori mai giun-ti prima in Italia, tra cui 50 olii di sorprendente bellezza e di gran-de formato, ma anche terrecot-te, bronzi e acquerelli; tra i capo-lavori, gli olii “Donna nella via” (1973) e “Senza titolo” (1978), i bronzi come “Donna” (1967) e schizzi come quello per la de-corazione murale per la Harkness Com-mons-Harvard University.L’opera di Miró offre complessivamente una personale interpretazione surrealista dei temi pittorici tradizionali, caratterizza-ta da una semplificazione oltrechè stilisti-ca anche poetica e fiabesca del reale, in cui memoria e inconscio sono codificati in gesti segnici pressoché elementari talvol-ta inquietanti, talvolta gioiosi. Artista spagnolo (1893 – 1983) cono-

sciuto anche per i suoi bronzi e cerami-che, Miró s’interessa dapprima all’impres-sionismo ed al fauvismo, per abbracciare in seguito le suggestioni cubiste picassia-ne, nonostante il più profondo richiamo per il dadaismo di Tzara. Nel 1924, grazie all’amico Masson, aderisce indissolubil-mente al surrealismo con opere sospese nell’incanto della suggestione inconscia, slegandosi mano a mano dal desiderio della rappresentazione ed indirizzando-

si verso un lirico astrattismo raggiunto mediante calibra-ti gesti grafici deformanti ed evocativi del naturale. Non solo la pittura in senso stret-to però interessa l’artista, che infatti si dedica a disegni per balletti, ai papiers collés con inserzioni materiche e rea-lizza moltissime illustrazio-ni anche per opere di C. Tza-ra. Poco prima della guerra civile spagnola, Miró esegue una serie di peintures sauva-ges affollate di figure grotte-sche e mostruose e, stabili-tosi tra Barcellona e Palma di Maiorca, realizza la serie del-le Costellazioni, guazzi che ispirano a Breton parallele composizioni poetiche. Dal 1944 si dedica assiduamen-te alla ceramica, realizzan-do poco dopo la grande de-corazione murale per l’Hotel Terrace Palace di Cincinna-

ti e lavori di portata monumentale come quello per il palazzo parigino dell’Unesco del 1958. Nelle sale espositive romane è stata ricre-ata l’ambientazione dello studio Sert tan-to caro all’artista, e vengono riproposti anche tutti gli oggetti, i pennelli e gli stru-menti che Miró usava nella sua attività ar-tistica e che si sono conservati grazie all’at-tività della Fundació Pilar i Joan Miró.

Carla Ferraris

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OKI N E V I D E N Z A

La ricerca dell’artista friulana è tutta imperniata su valo-ri e suggestioni ottico-cinetiche e rapporti ritmici, in-

tesi in senso prevalentemente grafico, ma divenuti compo-nenti fondamentali per una pittura “astratto-geometrica” che comporta tuttavia una precisa sequenza di immagi-ni disposte in successione ritmico-musicale. Le sue com-posizioni sono tessiture giocate sul contrasto “colorico” in continuità con il linguaggio “aniconico”, nell’intento di scoprire qualcosa della “realtà interiore”, non visibile ad oc-chio nudo e non riconducibile, quindi, a forme conosciu-

Adriana CollovatiDimensione spaziale

te. Accanto al raffinato, sottile e sinuoso gioco stilistico del segno grafico, svettano le soluzioni compositive forma-li dell’artista, che al di là del puro rapporto fenomenolo-gico delle linee-forme, investono in modo globale l’inte-ra concezione dello spazio umano. Il ritmo compositivo dell’artista pur muovendosi secondo una precisa scansio-ne spaziale, crea strutture e forme, finemente eseguite, che evocano presenze sfuggenti alle logiche della realtà uma-na, per offrirsi totalmente al piacere estetico della perce-zione visiva. L’autrice espone due nuove opere nell’ambito della cor-rente artistica “Il Metaformismo” al Mu.MA - Galata Mu-seo del mare di Genova dal 10 maggio al 31 agosto 2012. Vedi foto dell’opera intitolata: ”Legami mitologici: Ulisse ed il mare dell’inconscio collettivo” (tecnica mista su tela, cm. 100 x 70). Fabio Tedeschi

L’arte musiva o del mosaico è l’arte di realizzare mo-tivi e figurazioni per decorare pareti e pavimenti. Le

sue origini sono assai remote e si rifanno ai reperti arche-ologici provenienti dalla città di Urak in Mesopotamia nel 3.000 a.C. L’artista ha riportato in auge l’arte musiva “Opus Sectile” realizzandola con criteri innovativi.L’opus sectile è considerata una delle tecniche di orna-mentazione marmorea, per costruire pavimentazioni e de-corazioni murarie a intarsio, più raffinate e prestigiose, sia per i materiali utilizzati (marmi tra i più rari e quindi costo-si) che per la difficoltà di realizzazione, dovendosi seziona-re il marmo in fogli assai sottili (“crustae”). Questa tecnica fu largamente impiegata fino al medioevo per poi disperdersi.Enrico Fraschetti ha ripreso l’arte musiva “Opus Sectile”

Enrico Fraschetti“Opus Nova”

non più come vasta superficie parietale, ma adattandola come quadro portatile in pietra naturale. L’autore ha il me-rito di trovare soluzioni tecniche geniali perché il quadro marmoreo, possa avere una propria collocazione, con un normale gancio da muro, su ogni tipo di parete. Anche l’ultima sua creazione intitolata “Love dream”, è sta-ta realizzata con la tecnica ispirata all’antichissima “Opus Sectile” in pietra naturale definita dall’autore “Opus Nova”. Fraschetti rifiuta gli usuali meccanismi di mercato e pre-ferisce tramandare alle nuove generazioni, con passione e generosità, le tecniche che ha affinato per non disperdere le conoscenze acquisite sull’arte musiva.www.efras-opusnova.com F.B.

Le partecipazioni di Roberta Musi, pittrice, grafica, sce-nografa dal talento indiscusso, ad eventi di grande ri-

levanza, sono in continua ascesa. Dopo l’invito ad esporre una sua opera alla 54° edizione della Biennale di Venezia curata da Vittorio Sgarbi presso il padiglione Italia di Tori-no, ha presenziato con una sua nuova creazione ad “Arte e Moda Italiana nel Mondo” presso la Camera dei Deputati a Roma con l’intervento di Gianfranco Fini e di Santo Ver-sace. Il Cardinale Arcivescovo di Milano ha inviato all’ar-tista una lettera di ringraziamento per il suo operato, in

Roberta Musi Il crocefisso

particolare per la mostra collettiva intitolata “L’immagine dell’Umanità sofferente” inaugurata lo scorso 30 marzo al Cenacolo di Bagutta a Milano. E’ un sogno che si realizza anche per Franco Tarantino, pregevole artista nonché ide-atore e curatore della collettiva dedicata al Crocefisso. Alla mostra dedicata al compianto amico Domenico Montal-to, hanno aderito trentacinque pittori e scultori professio-nisti. Roberta Musi è stata selezionata, insieme ad altri va-lidi artisti, per partecipare al concorso indetto da Roberto Formigoni allo scopo di ornare con “Il crocefisso” (vedi foto), le sale del nuovo Palazzo della Regione Lombardia.Il prossimo appuntamento dell’autrice sarà presso CA-SAIDEA, azienda artigianale che si occupa di architettu-ra, arredamento e antiquariato a Tavazzano con Villavesco (LO) dove inaugurerà una mostra personale domenica 17 giugno alle ore 17.00. F.B.

Come gocce di ottimismo, le tele realizzate da Regina Di Attanasio ci introducono in scenari di fiaba e in

universi cromatici in sospensione tra il suono della vita e il silenzio. L’esperienza pittorica dell’autrice comunica il sen-so profondo della “joie de vivre” con campiture ed accen-ti non più fauvisti, ma temprati dalla sintesi e dalla legge-

Regina Di AttanasioAttimi di felicità

rezza cromatica. Regina Di Attanasio ha presentato le sue opere in una mostra personale tenutasi dal 17 al 30 aprile scorso nel Salone Bernini della Galleria Spazio Museale di Sabrina Falzone a Milano. Quello che colpisce a prima vi-sta nelle opere dell’artista è l’esplosione di colori che la tela è in grado di raccogliere e di rimandare al fruitore. Nata nel 1955, Regina Di Attanasio si occupa di arte figu-rativa attraverso il linguaggio della pittura ad olio. Eredita l’abilità esecutiva dei grandi maestri della pittura dell’Ot-tocento, ai quali dedica un’ampia parte della propria pro-duzione artistica, ripercorrendo le tracce storiche delle correnti pittoriche del XIX secolo, dai Macchiaioli agli Im-pressionisti, senza dimenticare la lezione del paesaggismo romantico inglese e tedesco. Regina Di Attanasio è stata selezionata nel 2010 per il Pre-mio Città di New York. Ha esposto in Francia, Portogal-lo, Germania e in diverse città italiane (Roma, Milano, Pa-lermo, Ferrara, Spoleto, etc.). Attualmente vive e lavora a Cesena. www.paintingclouds.it

Sabrina Falzone

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OK

Direttore responsabileAvv. Federico Balconi

Direttore editorialeFrancesca Bellola

Relazioni PubblicheIlaria Ricotti

Marketing Consultant Antonio Negroni

Progetto Grafico e impaginazioneKerr Lab

Stampato dalla IgepVia Castelleone 152

CR Testata OK ArteReg. Tribunale di Milano del 6 maggio 2008 n. 283

Informazioni e pubblicità [email protected] ARTE sede in c.so Buenos Aires 45 presso agenzia Cattolica

Hanno Collaborato:Clara BartoliniMassimiliano BisazzaAldo CaseriniSilvia ColomboGiuliana De Antonellis

Ernesto D’OrsiSabrina FalzoneCarla FerrarisEdgarda FerriAlessandro GhezziLuca ImpellizzeriFrancesca MarianoIvana MetadowValeria ModicaMilena MoriconiStefano ParianiUgo PeruginiAntonio PurpuraMariantonia RonchettiSilvano SeronelliFabio TedeschiClara TerrosuMassimo Zanicchi

StaffOK

I T I N E R A R I I N L O M B A R D I A

Edicole votive nel lodigiano

A passeggio nella campagna lodigiana, ricca di scorci suggestivi e di paesag-

gi da scoprire, è possibile, anzi quasi certo, incontrare e ammirare una delle migliaia di edicole votive dedicate alla Madonna, i cosiddetti “Madonnini”. Alcuni di questi sono delle vere e proprie opere d’arte, costruite per ringraziare di un miracolo che la tradizione popolare ripor-ta ancora fino ai giorni nostri; a chiedere protezione per i raccolti e le messi frut-tuose; per invocare acque in abbondanza necessaria all’irrigazione dei campi. Non a caso infatti quasi tutte le Madonni-ne sorgono vicino a un ruscello, un cana-le, una roggia. L’acqua come elemento di purificazione spirituale, ma anche come elemento fondamentale per il ciclo della vita che si ripropone con i nuovi raccolti, i nuovi frutti della terra. Fino agli anni sessanta molte di queste Edicole erano punto d’incontro per fun-zioni religiose, soprattutto a Maggio, mese per tradizione dedicato alla Madonna, ma anche il mese in cui la terra ha bisogno di protezione dai temporali troppo violen-ti, le grandinate o la siccità. Molte di que-ste piccole costruzioni prendono il nome dalle cascine vicine e sono state costrui-te per testimoniare fatti religiosi particola-ri. Così è, ad esempio, per il Madonnino del Catanzino sulla Roggia Codogna, una derivazioni del canale della Muzza. Si rac-conta che nella prima metà del ‘600, du-rante la dominazione spagnola, una ra-gazza fosse inseguita dai soldati e, proprio quando sembrava che per lei non ci fos-se più via di scampo, una luce folgorante fermò i malintenzionati facendoli fuggi-re. Questa luce venne interpretata come presenza della Madonna a protezione della fanciulla e per ringraziare di questo presunto miracolo, fu costruita l’Edicola. L’immagine raffigura l’assunzione in cie-lo della Beata Vergine Maria con angiolet-ti e affianco S. Pietro e S. Rocco. Vicino a questa Edicola ce n’è un’altra, costruita come ringraziamento di un altro fatto mi-racoloso. Risale alla fine del 1700 quan-do, durante la raccolta del fieno, i buoi trainanti un carretto, furono aggrediti da uno sciame di api. Impazziti iniziarono a

to del Soprannaturale. Quella però che io preferisco è una semplice costruzione vi-cino a Lodi Vecchio in località Le Gual-dane. Circondata da ortensie sempre ben curate e fiori freschi, contiene una Ma-donnnina in atteggiamento accogliente; diventa il punto di arrivo di una passeg-giata, una riflessione, un pensiero!

correre trainandosi dietro il carretto pie-no di fieno e, solo per miracolo, i contadi-ni che stavano lavorando nei campi, non vennero schiacciati da un ponticello in le-gno che resse il peso dei buoi impazziti. Così nel 1801 fu costruita la Madonnina dei Buoi, una delle migliori Edicole come architettura e stile. Un punto di riferimen-to a protezione dai pericoli della peste, del colera e della carestia è il Madoninno de-dicato a S. Rocco a Bertonico. Costruito nel 1500, riedificato nel 1700, è un com-plesso abbastanza ampio con alcuni dise-gni che si fanno risalire al ‘600, ma che un restauratore improvvisato con tanta pas-sione, ma poca competenza ha involonta-riamente deturpato.Un’altra Edicola costruita per ottenere clemenza dalle calamità naturali, è quella della Madonna dell’Aiuto a Brembio. Co-struita prima del ‘700 è collegata al pas-saggio dei Lanzichenecchi, che distrusse-

Ivana Metadow

ro la vicina cascina Taccadizza. Quasi tutti i Madonnini vengono cura-ti dagli abitanti delle cascine vicine, che li accudiscono con devozione e amore. Sono sempre ricchi di fiori freschi e piante odorose. Sono il simbolo di una devozio-ne popolare e di una tradizione alla ricer-ca della protezione e dell’incoraggiamen-

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I Madonnini: invocazione, protezione e ringraziamento

Lo scrivo col cieloIl giorno 11 marzo 2012, presso il “La-

boratorio sperimentale per le arti vi-sive” di via Plinio 46 a Milano, la nostra collaboratrice Ivana Metadow ha pre-sentato il suo libro “lo scrivo col cielo”. Alla presenza di un pubblico attento e numeroso, dopo una breve presenta-zione da parte del presidente dell’asso-ciazione culturale “Ok Arte” Alessandro Ghezzi, l’autrice ha letto, accompagna-ta musicalmente dalla chitarra del ma-

estro Fabio Albertani, alcuni brani del libro. Le struggenti note ed il profon-do contenuto degli scritti hanno creato forte emozione tra i presenti.

Chi fosse interessato al libro potrà con-tattare la prof.ssa Valeria Modica pres-so il laboratorio sperimentale – tel. 02/39448222, che sarà lieta di conse-gnare con il volume un originale acqua-rello creato per l’occasione.

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OKI N E V I D E N Z A

Nuovo orientamentoUna nuova esigenza sociale urgente che emerge tra le

altre è la ricerca di un orientamento di tipo personale e sociale che molti oggi non hanno o si ritrovano in modo confuso e frammentato. Gli eventi socio politici degli ultimi decenni non ne hanno prodotto uno costruttivo, basato su valori sociali, possibili punti di riferimento educativi per la società. Anzi, le uniche indicazioni continuamente sottese e alimentate dai mass media e da modelli di comportamento sociale irresponsabili sono stati il consumismo sfrenato, il possesso, il potere e i falsi idoli, gli investimenti su strumenti finanziari derivati. Tutto ciò ha prodotto i risultati catastro-fici che tutti noi sappiamo e che perdureranno per anni. A tale fenomeno si è aggiunta una aberrante politica irrespon-sabile con eventi che tutti noi appuriamo dai giornali giorno dopo giorno. Si è perso un orientamento corretto, guardandolo dal punto di vista nautico, abbiamo perso la rotta: quella che si pensava una giusta tendenza si è rivelata un falso orientamento. Tutti sappiamo però che una rotta va scelta in base a dei punti di riferimento veri, concreti adatti e immaginati, affinché in futuro producano risultati positivi per tutti gli individui: i governanti avrebbero dovuto con responsabilità e coraggio progettare e programmare un futuro di equo benessere basato su principi etici validi. Ciò non è stato fatto: l’opportunismo e l’egoismo l’individua-

Le cinque epoche del film italiano

La black-commedia all’italiana de “I mostri”1963. Il bel paese si è ormai lasciato alle spalle i tempi

foschi del dopoguerra e va incontro, speranzoso e fie-ro, verso un futuro di floride e incoraggianti prospettive. Siamo a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, il perio-do del cosiddetto “Miracolo Economico”: si agogna un sempre migliore lifestyle mentre John Fitzgerald Kenne-dy, al di là dell’oceano, ammira il nostro incremento dei tassi di reddito; d’estate si va tutti al mare, ci si fa la tele, l’auto all’ultimo grido, la bella casa con dentro una bella famigliola e, perchè no, pure l’amante. “I mostri” di Dino Risi, sceneggiato lucidamen-te dai mostri sacri Age-Scarpelli con i contributi tra gli altri di Scola non-ché di un Petri alle prime armi, inaugura il fortuna-to filone del “film a episo-di” ed è per certi versi, il lato oscuro di questa ton-da e luminosa luna, il riso amaro (e qui nulla c’en-tra il precedente neorea-lista che vede anch’esso protagonista Gassman), diventando un prontua-rio cinematografico omnicomprensivo delle debolezze e dei vizi d’un paese, una sorta di radiografia d’un paese che sta per ammalarsi. “Il mondo è tondo e chi non gal-leggia va a fondo” si pontifica di fronte ai figli. E’ evidente che si faccia riferimento a un’Italia che fa i conti col cam-biamento di valori etici e il suo conseguente spaesamen-

to di fronte ad esso e che quindi non esita a sfoggiare con vanto qualsiasi suo basso istinto. Siamo lontani anni luce dalla sincera filantropia d’ispirazione cattolica della Resi-stenza (quelli dei preti e dei generali che si fanno riempire di piombo per amor patrio, almeno al cinematografo). E’ quell’italietta del furbo che trionfa sull’onesto che rimarrà tale, ahi noi, fino ai giorni nostri. Le più acerrime freccia-te sembrano essere quelle scagliate contro il sistema poli-tico di allora (la DC l’avrebbe fatta da padrona per un altro quarto di secolo): nell’episodio “La giornata dell’onorevo-

Si è già in piena era “non Parlamento, Pappamento si chia-ma”, la preistoria della cosiddetta “casta politica” delle mo-netine scagliate ai politici, delle barzellette sporche sulle donne, dei miracoli, dei Roma & Padania ladrona e com-pagnia bella. A Tognazzi e Gassman (il primo molto più abile, alme-no in questo contesto) va il plauso di essersi resi maschere grottesche per raccontare quegli anni così lontani eppure così vicini di vita(ccia) italiana.

Rubrica del Prof. Purpura

Luca Impellizzeri

lismo, il falso benessere hanno portato alla bramosia del potere mentre la ricchezza di pochi ha creato una errata percezione della realtà. Oggi molti di noi si sentono traditi, offesi, delusi, arrabbiati e molto preoccupati per la fiducia mal riposta negli anni in chi ha gestito la cosa pubblica e per un futuro incerto da affrontare. Oggi la società è alla ricerca di un nuovo orientamento. Gli individui hanno il diritto e il dovere di crearsene uno basato su punti di riferi-mento sociali concreti, corretti e veri, quali quelli di vera affettività, di assunzione di responsabilità, di diritti, ma anche di doveri, di giustizia, di scelte spesso difficili da fare perché costellate da sacrifici, ma con esito positivo e costruttivo, che possano alla fine essere di gratificazio-ne per gli individui nella consapevolezza di aver costruito qualcosa di valido per sé e per i propri figli. La storia che verrà scritta nei prossimi anni non ci farà certamente onore come quella passata, l’uomo dovrà trovare la forza per un rinnovamento con una presa di coscienza e consapevo-lezza nuova, rivolta soprattutto al sostegno dei più deboli e alla costruzione di una corretta etica e morale sociale. Alcuni presupposti che possono influire su una nuova presa di coscienza: responsabilità nel fare il proprio lavoro al meglio per sé e la comunità, qualsiasi esso sia perché tutti sono importanti, soprattutto quando sono servizi rivolti al

sociale; scelte fatte con saggezza e in rapporto alle proprie possibilità; rapporti sociali basati su veri affetti senza ipocrisia e con disinteresse; manifestazioni affettive con i propri figli, basate sul dialogo e non su regali futili: i giovani devono conoscere, tra l’altro, il valore delle cose, dei soldi e degli affetti; investire sulla cultura, la conoscenza, l’arte, la letteratura, la musica ecc. perché sono aspetti formativi per l’uomo, che dovrà tramandare ai propri figli il bello della nostra realtà, e da cui possano trarre stimoli per nuovi modelli da seguire. Un nuovo orientamento, pertanto, che ci porti ad una corretta rotta, ognuno faccia la propria parte con serietà e consapevolezza!

le”, un’azzimato Tognazzi s’inventa impegni lunghi tutta una giornata per far slittare il ricevimento di un onesto ge-nerale (uomo d’altri tempi, guarda caso) che ha scoperto una certa speculazione e quindi vuol denunciarla all’uffi-ciale, troppo indaffarato com’è in affarismi e ruoli di fac-ciata per occuparsi realmente della cosa pubblica.

da “I Mostri” di Dino Risi

Bar Il Cortiletto di Achille Cennami

all’interno dell’Accademia di Brera

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OK

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Giada Paolini

Gli scatti fotografici di Giada Paolini catturano attimi fuggenti, momenti indelebili della propria trasfor-

mazione interna. Intensamente attratta dal proprio uni-verso interiore, costellato da continue mutazioni, cambia-menti; non abbandona mai però l’attenzione verso ciò che accade all’esterno e che investe l’essere umano nella sua interezza. Gli autoscatti effettuati con la sua Nikon D7000 nel suo obiettivo da 50mm sono un continuo divenire di propri autoritratti artistici che con grande impatto ci sve-lano alcuni segreti tra i più reconditi della sua anima. Vo-glia di comunicare, condividere i propri stati emozionali e grazie a questo processo imparare a conoscersi meglio:

scie sempre “filtrate”, ripulite, qua-si epurate da scatti con influenze “modaiole” che rasentano il ge-sto Pop a scatti interiorizzati in chiave quasi espressionistica. Im-magini. Immagini con funzione poliedrica ma con lo stesso uni-co fine. Quel fine tanto decanta-to dai classici greci a tal punto da iscriverlo sul tempio dell’Oracolo di Delfi: “Conosci te stesso”. Non stupirebbe se l’arte di Giada Pao-lini fosse definita “oracolare” del proprio mondo interiore e non stupisce dunque che sia apprez-zata sia in Italia (presente alla 54° Biennale di Venezia – Padiglione Italia) che all’estero (Berlino, Pal-ma di Maiorca, Barcellona..) con un certo afflato sia dal pubblico che dalla critica. Allora non resta che “addentrarsi” negli autoscatti di questa artista forlivese che col proprio corpo, mani, viso, curan-do ogni particolare scenografico autonomamente, ci dona la pia-cevolezza di un anomalo viaggio quasi ludico che non mancherà di stupirci.www.giadapaolini.com

Massimiliano Bisazza

I segreti dell’anima

questo è il “viaggio” compiuto dall’artista nelle sue opere. Un transfert, a volte in quel lato cupo, oscuro, goticizzato, di “baconiana” derivazione ma che conduce sempre verso un sentiero di luce, di speranza, ad un chiaro messaggio di positività. In tal modo Giada Paolini esorcizza le proprie paure e le intime negatività che fanno parte della natura umana e ne ricava chiare derivazioni conscie ed incon- sssssst

Broken brains