0411gennaio
24gennaio2010
Quindicinale di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
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»» Un Paese di eretici,l’Italia di Goffredo Fo f i
»» ’ndrangheta Spa,il business di R o s a rn o
»» Giovanni Maria Bellu, il fantasma di Po rt o p a l o
»» Fotografare la guerr a ,Z i zola punta l’obiettivo
»» Prison Va l l ey, dal carcerep a rte la ri voluzione web doc
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Senza fi s s ad i m o ra
Senza fi s s ad i m o ra
Le difficoltà economiche e l’evoluzione tecnologicahanno trasformato il giornalismo. Oggi sopravvivechi meglio riesce a interpretare il cambiamento.Ma è ancora possibile vivere di informazione?
Le difficoltà economiche e l’evoluzione tecnologicahanno trasformato il giornalismo. Oggi sopravvivechi meglio riesce a interpretare il cambiamento.Ma è ancora possibile vivere di informazione?
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 20102
inchiesta
di Enrico Turcato
Il mercato dell’informazione è chiuso. I g i o rnali taglianoi costi e mandano in pensione i vecchi cro n i s t i . Il va l o redella pubblicità condiziona le assunzioni. I giovani pre c a rifanno informazione senza tutela.Sarà Internet la svo l t a ?
E R C H I S I A F F A C C I A S U L M E R C A T O del lavoro le
prospettive non sono incoraggianti e quelle
future fanno rabbrividire chiunque sogni di
fare il giornalista. «In questo momento - spie-
ga Roberto Natale, presidente della Fede-
razione nazionale della stampa italiana (Fnsi)
- il mercato è praticamente chiuso. Le previsioni future sono criti-
che. Servirebbe una pesante ristrutturazione dell’editoria italiana.
Soprattutto c’è la necessità di riformare l’accesso alla professione.
Non ha senso che in media ogni anno ci siano 1.400 nuovi
giornalisti iscritti all’albo dei professionisti e che meno di
300 provengano dalle scuole di giornalismo. Da dove arri-
vano tutti gli altri? È normale che sia in crescita il numero
dei precari».
A novembre 2009 risultano iscritti all’Ordine dei giornalisti
più di 83mila tra praticanti, pubblicisti e professionisti. Con 19.784
tesserati, la Lombardia è la regione che ne conta di più. Il Molise,
con 447, quella che ne ha di meno. Le posizioni aperte all’Istituto
nazionale di previdenza dei giornalisti (Inpgi) sono, invece, solo
26mila. Dall’indagine Una vita da giornalista precario, s v o l t a
dall’Ordine a fine 2008, emerge che solamente un terzo ha un con-
tratto a tempo indeterminato. I precari sono più di 5mila, mentre
quelli che lavorano e svolgono informazione senza essere minima-
mente disciplinati e tutelati sono 20mila.
«Giorno dopo giorno stanno diminuendo i contratti a tempo
indeterminato, sostituiti da quelli a termine - racconta L o r e n z o
Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine -. Gli edi-
tori stanno riducendo all’osso la presenza in redazione di giornalisti
assunti con contratti a tempo indeterminato e ricorrono in modo
massiccio ai contratti a termine». Gli editori tagliano per contenere
i costi, naturalmente. «Gli investimenti pubblicitari sulla stampa
sono precipitati - osserva Paolo Pozzi, responsabile comunicazio-
ne e stampa dell’Odg Lombardia -. Nel 2008 sono calati del 20%
rispetto al 2007. Nel 2009 di un ulteriore 18% . Èuno scenario pes-
simo. Solo per il secondo trimestre del 2010 è attesa una lenta ripre-
sa. Così, taglio dopo taglio, siamo arrivati a questo punto. In Italia
abbiamo almeno 20mila giornalisti precari».
A un anno dagli Stati generali del-
l’editoria, convocati a Roma nell’ottobre
del 2008, non si intravede ancora un’in-
versione di rotta. «Anche la firma del con-
tratto collettivo di aprile non ha cambiato
le cose - aggiunge Natale -. Se gli editori
non tornano a investire, per il bene del
giornalismo e non solo dei loro interessi,
la crisi non passerà». La crisi dell’infor-
mazione, in ogni caso, è un feno-
meno globale. Per Mario Cala-
b r e s i, direttore de La Stampa,
cresciuto all’Ifg di Milano, la crisi dell’editoria è devastan-
te anche oltre oceano.«Negli Stati Uniti, Washington Post
e New York Times, quotidiani di primo piano, stanno riducendo
il personale a ritmi impressionanti. Uscire dallo stallo è possibile,
ma occorre lavorare per integrare al massimo la versione carta-
cea del giornale con quella online. La formula è obbligata: il sito dà
le notizie, il giornale le approfondisce, la pubblicità investe su
entrambi. Èun intero sistema che va ricostruito».
In questo scenario, chi esce dalle scuole di giornalismo sem-
bra leggermente avvantaggiato. Quelle riconosciute dall’Or-
dine sono 14: tre a Milano, una a Roma, Urbino, Perugia,
Napoli, Sassari, Bologna, Salerno, Padova, Torino, Bari,
Teramo. «Nonostante la crisi dell’editoria, i dati dicono che il 20%
degli assunti annuali arriva dalle scuole di giornalismo - osserva
Pozzi -. Chi ha fatto una scuola inizialmente ha stipendio basso e
collaborazioni saltuarie, ma dispone anche degli strumenti, della
preparazione e della versatilità per essere competitivo nel mercato
del lavoro».
Beppe Lopezda 15 anni studia l’evoluzione del giornalismo
italiano. «In Italia è l’intero sistema dell’informazione che si sta tra-
sformando - spiega -. Il giornalismo è uno dei comparti lavorativi
più colpiti dal cambiamento tecnologico. Con l’introduzione mas-
siccia dell’informatica e dei sistemi di composizione, le redazioni si
ritrovano con il 50% delle persone in più di quelle che effettivamen-
P
Sc r ive reda pre c a r i o
te servirebbero per fare un giornale. Internet ha cambiato tutto. Per
esempio, R e p u b b l i c aha 400 giornalisti, ma ne basterebbero 200
per il quotidiano».
Nelle redazioni è cambiata soprattutto l’organizzazione
del lavoro. Lopez distingue tre fasi storiche. Nella prima
il giornalista faceva tutto, comprese le mansioni artigia-
nali. La seconda, quella attuale, è caratterizza-
ta da specializzazioni sempre più particolari. La redazio-
ne si è divisa in sezioni: c’è chi fa desk e chi scrive. La terza
fase è quella in cui in redazione si farà solo desk e “cucina”
dei pezzi, mentre a scrivere saranno solamente collaborato-
ri esterni. Quelli che oggi sono redattori, inviati, cronisti divente-
ranno collaboratori esterni. E ne risentiranno anche gli stipendi. Il
futuro è fatto di freelance che scrivono per più testate. Insomma,
una marea di precari.
«A precario - corregge Lopez -preferisco il termine f r e e l a n c e.
Comunque sia, i precari oggi sono tali perché
i giornali hanno costi eccessivi, hanno ecces-
sive presenze parassitarie al loro interno. In
realtà avrebbero bisogno di giovani per
aggiornarsi, ma non hanno soldi per assu-
merli. Gli editori dovrebbero svecchiare,
puntando sui nuovi giornalisti. In futuro
avremo molti precari, magari pagati meglio
che in passato, ma senza sicurezze e senza
contratti lunghi. Il mercato editoriale ora
permette solo questo. Se un giovane pensa di
fare il giornalista per avere un lavoro remu-
nerativo e un’occupazione stabile ha sbaglia-
to tutto. La mia generazione era così, oggi no.
Invece se si parla di passione, di interesse per
il giornalismo, il discorso è diverso. Questo
lavoro si fa solo a queste condizioni, altri-
menti è tempo perso».
Internet salverà i giornali o li affosserà definitivamente? « Non
credo aggraverà la loro crisi - conclude Lopez -, ma per quanto riguar-
da l’occupazione abbiamo davanti un periodo molto duro. Per la tele-
visione, invece, è un’altra storia. Anche se tutte le tv hanno troppi
assunti. Ultimamente vanno di moda le produzioni esterne. Sempre
più spesso affidate ai freelance».
Carlo Annese è stato a lungo inviato della Gazzetta dello
S p o r t prima di diventare, a febbraio del 2007, responsabi-
le della redazione Altri Mondi, una novità azzeccata per la
“rosea”. Tre pagine quotidiane dedicate a cronaca, politi-
ca, cultura e spettacolo, per allargare gli orizzonti infor-
mativi del giornale sportivo per eccellenza. Le soluzioni
per superare l’attuale congiuntura, secondo Annese, ci sono: «I
giovani giornalisti devono iniziare a investire su loro stessi - spie-
ga -. Le nuove tecnologie danno infinite possibilità, il blog può
essere lo strumento per farsi notare e imparare il mestiere. Ana-
lizzare, osservare e proporre idee trasforma il blogger in impren-
ditore di se stesso». Il modello è quello dell’Huffington Post, che
ha superato il Washington Post per numero di utenti unici: «Il
fenomeno del giornalismo partecipativo sta avendo successo, ed
è basato sulle notizie che provengono proprio dai blog - osserva
Annese -. Anche se privi di contratto fisso e garanzie, i blogger che
contribuiscono agli aggregatori di news hanno un guadagno
garantito. Ovviamente alla pratica di blogger va abbinato uno stu-
dio specifico per diventare giornalisti».
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 3
In futuro giornali e tivù vivranno di contributi esterni realizzati daifreelance. Saranno servizi pagatibene, ma i contratti sicuri finiranno
Per sap e rne di piùPrima Comunicazione p u bb l i c a
p e riodicamente i dati di diffusione dei
g i o rnali e degli investimenti pubb l i c i t a ri .
Il sito è w w w. p ri m a o n l i n e . i t ; Problemi
d e l l ’ i n f o r m a z i o n e (Il Mulino); B e p p e
L o p e z, G i o rnali e democrazia (Glocal
E d i t ri c e ) ;
O M I N I E D O N N E C H E non fanno
parte del mondo dei media, che
con il proprio lavoro fanno
della loro visione del mondo
una pratica quotidiana: sono
minoranze, ma a loro non importa di esserlo.
Sono queste le “minoranze etiche” che
Goffredo Fofi ha incontrato nella sua vita, e
che secondo lui «salvano questo Paese, perché
le vere rivoluzioni sociali e politiche nascono da
un’esigenza etica di amore per il prossimo».
Vivono coraggiosamente fuori dalla cultu-
ra dominante, eppure sono assolutamente
immerse nella vita collettiva. Non si indignano
solo aderendo a un astratto sistema di pensie-
ro, ma «legano la propria ricerca a una qualche
forma di intervento sociale», come scrive nel
racconto-intervista La vocazione minoritaria,
dove il direttore de Lo straniero ricorda le varie
realtà minoritarie del cattolicesimo sociale,
delle comunità valdesi, ma anche dei gruppi
laici.
Oggi c'è qualcuno che dice “non accet-
to” che agisce in modo auto diretto e se
c'è, quali sono queste minoranze?
L'Italia è un paese strano, dove la cultura
è nata nelle corti. Quei poteri ci hanno sempre
impedito di fare le riforme e per questo di ere-
tici ne abbiamo avuti tanti e continuiamo ad
averne. Questi eretici non sono figure di
punta, “personaggi”. Quando una personalità
viene fagocitata da un sistema di comunicazio-
ne totalmente sballato come il nostro, e diven-
ta “televisione”, “divo”, la sua carica di denun-
cia si spegne. La grande presenza di eretici non
è tanto sul piano culturale, quanto piuttosto sul
piano sociale. L’Italia è strapiena di gruppetti,
associazioni che mimano la democrazia ma
non la fanno: è soltanto un modo per scaricare
solitudine, tensioni, insoddisfazioni personali.
Quindi cosa bisogna fare?
Bisogna cercare quella minoranza di asso-
ciazioni, gruppi e iniziative che sono serie.
Conosco gruppi di preti, miei amici, che agisco-
no in modo straordinario, ma anche gruppi di
studio laici che operano in modo radicale, sen-
sibilizzando le opinioni. Minoranze di questo
tipo impediscono all’Italia di andare a fondo.
Oggi i giovani in Italia hanno ancora la
possibilità di sognare, di concretizzare
delle speranze?
Credo di sì, anche se oggi il sistema peda-
gogico imposto da famiglia e media li condizio-
na molto. Esistono, infatti, migliaia di gruppi
musicali di giovani auto organizzati che inventa-
no le loro canzoni, scrivono la loro musica incu-
ranti degli standard, attraversano la giovinezza
facendo cose che creano loro stessi. Sono giova-
ni vivi e disponibili, lavorano in gruppo, creano
legami. Iniziative che, invece, non si trovano nel
mondo del cinema, molto più individualista.
Una crisi può avere un risvolto positivo
anche a livello culturale?
Non lo so. Siamo afflitti da una maggio-
ranza enorme “eterodiretta” da tv e pubblicità,
dal mercato, dai politici, dalle banche, dalle
mafie. Poi c’è una minoranza vera, seria, che gli
antichi chiamavano “minoranza etica”, che
inserisce un elemento di contraddizione per
portare liberazione anche agli altri. In Italia
queste minoranze ci sono e sono anche molto
più diffuse di quanto si pensi. Non fanno politi-
ca, non hanno in mano i grandi strumenti,
eppure riescono a produrre cose straordinarie.
Poniamo che il berlusconismo finisca
domani. Da quali valori potremmo
ripartire? Che cosa ci aspetta?
Non lo so. Bisogna “tagliare le teste”, svuo-
tare i cervelli e ricominciare daccapo, discuten-
do. Il problema è soprattutto diseducare dal
male e dalla stupidità di cui ci hanno imbott i t o
in questi ultimi anni.
Quella minoranza eticache tiene a galla l’Italia
C o munità fuori dalla cultura dominante, m i n o ra n zec ri s t i a n e,“ e re t i c i ” e anticonform i s t i . È n e l l ’ i m p e g n odella parte impegnata del Paese che va cercata la nu ova visione del futuro. L’analisi di Goffredo Fo fi
U
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 20104
l’intervista
DI cHIARA aVESANI E vALERIO bASSAN
Per sap e rne di piùGoffredo Fofi è nato a Gubbio
nel 1937, è un saggista e critico teatrale
e cinematogra fi c o.Ha contri buito alla nascita
di riviste storiche come i Q u a d e rni Piacentini
e Linea d'ombra. È dire t t o re della rivista
Lo stra n i e r o,da lui fondata nel 1997,
e collabora con le riviste Pa n o ra m a,
I n t e rn a z i o n a l e e Film T V.
O N U N A F O T O G R A F I A
si può cambiare il
mondo? Forse no,
ma senza i fotore-
porter nessuno
conoscerebbe gli
squarci di vita che si nascondono
tra le pieghe della guerra. Con la
sua macchina fotografica,
Francesco Zizola ha racconta-
to le maggiori crisi ed i conflitti
degli ultimi vent’anni.
Qual è la foto a cui tiene di
p i ù ?
È difficile dirlo. Le fotografie
sono come dei figli, quindi dire
che una è la migliore significa
sminuire le altre. Ci sono però
delle foto che ho scattato in con-
testi di conflitto che mi hanno
aiutato più di altre a sottolineare
l’assurdità della guerra. Una di
queste ritrae il Soldato Thomas,
ed è stata fatta nel 2003 in una
Baghdad appena conquistata
dagli americani. Il nome del sol-
dato è scritto sulla divisa, e lui
guarda l’obiettivo ridendo, col
pollice in su, un gesto di gioia per
aver svolto bene la sua missione.
E qual è questa missione? Si
vede alle sue spalle, è un pezzo di
città che brucia. Ecco, questa
foto è il ritratto di una realtà cru-
dele e tristissima.
Cos’è una buona fotogra -
f i a ?
L’immagine è un metodo di
comunicazione efficace per
entrare nella mente delle perso-
ne, più immediato rispetto ad
altri, come quello della letteratu-
ra. Il linguaggio migliore è quello
della fotografia non artefatta,
che si rifà alla vita che scorre.
Una buona foto giornalistica
deve avere un doppio valore:
essere da un lato un documento,
dall’altro un simbolo capace di
farci riflettere sul presente e sul
f u t u r o .
Quali tecniche preferisce
u s a r e ?
Come molti fotoreporter
uso macchine leggere e discrete,
poco visibili, e cerco di fare in
modo che la mia presenza non
sia notata, o meglio, ignorata.
Questo per poter cogliere con più
spontaneità e discrezione
momenti di vita umana, quoti-
diana o straordinaria.
C’è un ricordo particolare
legato a una foto che le è
rimasto impresso?
Ricordo un episodio legato
a una fotografia che scelsi di non
scattare. Ero in Thailandia, in un
monastero buddista, dove veni-
vano raccolti dei malati termina-
li di Aids. Decisi che fotografare i
malati non avrebbe aggiunto
nulla alla storia che stavo rac-
contando e avrebbe offeso la
dignità di quelle persone che
vivevano i loro ultimi momenti
di vita. Giravo quindi con il
monaco che mi faceva da guida,
e avevo la macchina fotografica
in spalla, non pronta allo scatto.
Uno dei pazienti però disse alla
mia guida, che mi faceva anche
da interprete, di chiedermi di
fotografarlo perché voleva
lasciare un ricordo di sé e della
sua esistenza. Allora presi la
macchina per fare quello che mi
chiedeva, ma in quel momento
l’uomo morì.
Come mai ha scelto questo
mestiere?
Ho sempre avuto una forte
attrazione per il linguaggio delle
immagini e soprattutto per la
fotografia che rappresenta gli
esseri umani. Da bambino ebbi
modo di vedere una foto sul
genocidio degli ebrei che mi col-
pì: si vedevano moltissimi corpi
di prigionieri morti. In seguito
altre foto mi hanno spinto sulla
strada del fotoreportage di guer-
ra, come quella di Nick Ut della
Associated Press che rappresen-
ta una bambina nuda che scappa
da un villaggio vietnamita in
fiamme, ustionata dal napalm.
Quella immagine ha colpito le
coscienze di diverse generazioni
e mi ha reso consapevole dell’as-
surdità della guerra, rafforzando
la mia passione per il linguaggio
fotografico. Onestamente, non
credo sia mai successo che una
fotografia abbia cambiato il
mondo. Però credo che un’im-
magine fotografica possa far
riflettere e dare un contributo a
far riflettere sugli eventi che ci
c i r c o n d a n o .
Le immagini sonoun mezzo potenteper comunicarel’assurdità dellaguerra. E devonoessere insiemeun documento e un simbolo per far riflettere
D e n t ro una fo t ogra f i atutto l’orro re della guerra
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 5
Per sap e rne di piùFrancesco Zizola
è n ato a Roma nel 1962, h a
l av o rato per l’agenzia Magnum
e nel 2007 ha fondato con altri
colleghi l’agenzia Noor (luce)
con sede ad A m s t e rd a m .
Ha vinto numerosi i premi
i n t e rn a z i o n a l i : il "World Pre s s
Photo of the Year" nel 1996,
sette " World Press Photo"
di cat e go ria e quattro
"Pictures of the Year Awards".
cdi Floriana Liuni
fotogiornalismo
O NU N AM A N OC O L P I S C EI LT A V O L O.
Francesco Forgione p a r l a
della dimensione extragiudi-
ziaria ed extrapenale che la lot-
ta alla mafia deve assumere.
«Perché - dice - non tutto è
pena, e il contrasto alla cultura mafiosa deve pas-
sare per una rieducazione sociale».
Nel suo ultimo libro, Mafia Export, l’ex pre-
sidente della Commissione parlamentare anti-
mafia - 49 anni di cui venti spesi sul fronte della
lotta alle mafie - ha disegnato la prima mappatu-
ra globale della criminalità made in Italy, segna-
lando le presenze di clan ’ndranghetisti, camorri-
sti e mafiosi nelle capitali del pianeta.
Da esperto della mafia calabrese, ha le idee
chiare sulle violenze di Rosarno. «Ha fatto tutto la
’ndrangheta - spiega -, le motivazioni razziali tira-
te in ballo dai media non c’entrano niente. Perché
a Rosarno, il paese delle arance di carta e del clan
Bellocco, non c’è tanto da discutere di razzismo,
quanto della mafia che tiene sotto scacco un inte-
ro territorio».
«La ’ndrangheta ha sparato per creare una
rivolta funzionale all’allontanamento della comu-
nità nera, che non è più tollerata dalla popolazio-
ne; e la popolazione calabrese è l’humus sociale nel
quale la ’ndrangheta è egemone. Quei cittadini che
scendono in piazza per rivendicare l’immagine
pulita di Rosarno non sono mai scesi in piazza con-
tro i Bellocco. E nel corteo c’erano i figli e
i figliocci dei boss mafiosi. La dimostra-
zione che la regia della rivolta è della
’ndrangheta».
Adesso chi raccoglierà le arance?
Le arance non verranno raccolte e gli
imprenditori prenderanno i soldi dall’Unione
europea per l’integrazione del mancato raccolto.
Fra tre mesi avremo nuovi lavoratori: bianchi,
comunitari provenienti dalla Bulgaria o dalla
Romania, regolari ma ugualmente controllabili.
Il governo avrà segnato un punto a suo favore nel-
la lotta contro i clandestini e la ’ndrangheta avrà
salvaguardato la pax mafiosa.
Nessuno era al corrente di quello che acca-
deva a Rosarno?
Si sapeva da anni, come si sapeva che negli
ultimi mesi ci fosse un malessere nella comunità
nera. Le arance di carta di Rosarno esistono da
decenni, così come il controllo della ’ndrangheta
sui contributi europei all’agricoltura e alle impre-
se. Ciò che non esiste e non è mai esistito sono i
controlli della politica e della pubblica ammini-
strazione.
Gli arresti dell’ultima ora all’interno del
clan Bellocco sono una coincidenza?
C’era un’inchiesta già aperta, ma gli ultimi
fatti di Rosarno hanno certamente dato un impul-
so. Non dobbiamo dimenticarci che in questo ter-
ritorio lo Stato è quasi assente.
Lei scrive che la ’ndrangheta è la
mafia più potente. Come è riuscita a sur-
classare la camorra e Cosa
Nostra?
La ’ndrangheta non è mai
stata una mafia minore, ma è
sempre stata sottovalutata. Negli
anni in cui Cosa Nostra era impegnata nello stra-
gismo, la mafia calabrese ha saputo sfruttare le
opportunità economiche offerte dalla globalizza-
zione e, intuendo l’esplosione di un nuovo mer-
cato della droga legato al passaggio dall’eroina
alla cocaina, ne è diventa il broker a livello inter-
nazionale.
In che modo la tradizione di un gruppo
criminale diventa la sua forza?
È tutto frutto della globalizzazione. L’iden-
tità forte della ‘ndrangheta è data da una struttu-
ra legata alla famiglia di sangue, struttura che
non produce pentiti. Ma che offre, sul mercato
criminale mondiale, un’enorme disponibilità di
soldi e la credibilità di un’organizzazione che non
è un colabrodo di collaboratori di giustizia. Nien-
te a che vedere, dunque, con Cosa Nostra ocon la
Camorra.
Le arance della mafiahanno un gusto amaro
R o s a rno è un terri t o rio ostaggio della ’ndra n g h e t a .D i e t ro un episodio di ra z z i s m o, ci sono gli intere s s id i retti della più potente e ra m i ficata org a n i z z a z i o n ec riminale italiana. L’analisi di Francesco Fo rg i o n e
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 20106
criminalita’ organizzata
di Cristina lonigro
C
Per sap e rne di piùFrancesco Forgione,M a fia Export .
Come ’ndra n g h e t a ,Cosa Nostra e Camorra
hanno colonizzato il mondo (Baldini Castoldi
D a l a i ) ;Nicola Gratteri e Antonio Nicasio,Fra t e l l i
di sangue (Mondadori ) ;Davide Carlucci e
Giuseppe Caruso,A Milano comanda la
’ n d ra n g h e t a .
Rosarno, in Cala-
bria, è dal 1992 che
gli immigrati stagio-
nali, impegnati da
ottobre a febbraio nella raccolta
delle arance nella piana di Gioia
Tauro, subiscono violenze,
estorsioni e rapine. A raccontar-
lo è il libro curato da A n t o n e l l o
M a n g a n o, Gli africani salve -
ranno Rosarno. E, probabil -
mente, anche l’Italia. Il 12
dicembre 2008, dopo il feri-
mento di due lavoratori della
Costa d’Avorio, gli africani di
Rosarno protestarono già una
volta contro un sistema mafioso
che gioca sull’assuefazione della
cittadinanza per esercitare il
proprio dominio.
Come dimostra anche la
rivolta dei nigeriani di Castel
Volturno in Campania, sono
spesso gli immigrati a opporsi
allo strapotere della criminalità.
In Calabria la ’ndrangheta colpi-
sce gli extracomunitari perché
sono i più deboli. Forse per que-
sto gli unici movimenti antima-
fia di pi azza degli ultimi anni al
sud, sono stati organizzati pro-
prio da quegli immigrati africani
nel tentativo di dimostrare che
poi tanto deboli non sono.
«Dal nostro arrivo fino ad
oggi, nei viali, nelle piazze, a vol-
te nei luoghi di lavoro e nei ghet-
ti, 24 ore su 24 (anche durante il
riposo notturno), siamo vittime
di soprusi razzisti:
ragazzini mino-
renni che ci spu-
tano in faccia, bri-
gate clandestine in moto-
scooter». Lo scrissero gli
africani di Rosarno in una lette-
ra del 1999 al sindaco G i u s e p-
pe Lavorato, denunciando la
difficoltà anche solo di trovare
un posto dove dormire . «Per
paura la brava gente si rifiuta di
affittarci le case, e così bisogna
rifugiarsi in ghetti senza acqua,
elettricità e usando come letti
dei cartoni raccolti per strada».
Rosarno è un piccolo conte-
nitore di tutte le più scottanti
problematiche del nostro tem-
po. Il libro di Mangano ne ana-
lizza gli aspetti giuridici, storici,
geopolitici (le migrazioni dal-
l’Africa all’Europa) e socio-eco-
nomici (lavoratori inseriti in un
contesto mafioso).
Già nel 2008, all’interno del
rapporto sugli immigrati occu-
pati in agricoltura nelle regio-
ni meridionali, M e d i c i
senza frontieree v i d e n-
ziò che la condizione
degli stagionali resta
un nervo scoperto
ipocritamente nasco-
sto. Per Mangano, quanto suc-
cesso in Calabria può rappre-
sentare una svolta. «L’esempio
di quei ragazzi africani, che lavo-
rano per soli 25 euro al giorno,
può riuscire a risvegliare
coscienze sopite e il senso dello
Stato dimenticato. In una paro-
la, può essere contagioso».
Davvero gli africani salve-
ranno Rosarno, e probabil-
mente anche l’Italia?
Basta vedere quello che sta
succedendo oggi in questi posti:
sono tornate le città bianche,
cioè senza più neri. Le pagine di
cronaca sono riempite di arresti
e macchine incendiate. Il titolo
del libro non è provocatorio, ma
è semplicemente una constata-
zione confermata dagli ultimi
fatti: in queste zone del Sud gli
immigrati sono gli unici a ribel-
larsi allo sfruttamento e allo
schiavismo.
Attraverso quale meccani-
smo finiscono nelle mani
della criminalità?
Non finiscono nel giro della
criminalità solo perché stanno
cercando in tutti i modi di ribel-
larsi. Spesso gli immigrati arri-
vano a Rosarno dopo essere stati
licenziati nelle fabbriche del
Nord e aver perso il permesso di
soggiorno. Trovare impiego nel-
l’agricoltura al Sud è l’unica per
guadagnarsi da vivere.
Prima degli scontri di
Rosarno, come era il rap-
porto tra gli immigrati e la
cittadinanza?
Finché gli africani sono
rimasti zitti e silenziosi a lavorare
tutto è andato bene. Ma quando
si sono ribellati e hanno denun-
ciato la loro situazione di sfrutta-
mento il rapporto con la cittadi-
nanza si è incrinato. Ma questa è
una cosa che succede da a n n i .
Il lavo ro degli stag i o n a l is a l verà ancora Ro s a rn o
immigrazione
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 7
di Paolo Massa
Per sap e rne di piùSullo sfruttamento degli
i m m i grati nella raccolta di pro-
dotti agri c o l i , il fi l m P u m m a r ò,
1 9 9 0 , regia di Michele Placido;
il documentario di M a t t e o
G a r r o n e,Te rre di mezzo, d e l
1997 (Fa n d a n g o ) ; Gabriele Del
G r a n d e, Mamadou va a mori re
( I n finito Edizioni); V l a d i m i r o
P o l c h i, Blacks Out - Un giorn o
senza immigrati ( L a t e r z a
E d i t o re ) ;
a
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 20108
giornalismo
di Lorenzo Bagnoli
S I S T O N O N O T I Z I E
che hanno la
disgrazia di con-
fondersi, di
diluirsi nel tem-
po, di perdere in
qualche modo la propria forza.
Così a volte gli archivi dei giorna-
li non sono più i luoghi della
memoria ma i sepolcri delle tra-
gedie dimenticate».
Giovanni Maria Bellu,
oggi condirettore dell’U n i t à, nel
2001 indagò, come inviato di
R e p u b b l i c a, sul naufragio “fanta-
sma” di un barcone di migranti
avvenuto nel Natale 1996. Cinque
anni dopo, Bellu scoprì che a Por-
topalo, paese nella punta sud della
Sicilia, si conosceva il luogo dove
riposava il relitto e che i pescatori
recuperavano i cadaveri degli
annegati, per poi ributtarli in acqua
senza sporgere denuncia.
Fu uno di loro, S a l v o
L u p o, a contattare Bellu. Aveva
ritrovato nella rete da pesca il tes-
serino d’identità di A n p a l a g a n
G a n e s h u, un tamil che perse la
vita in quella tragedia di fine ’96,
e sentiva il dovere morale di rom-
pere il silenzio di Portopalo.
Giovanni Maria Bellu ha
raccontato questa storia di
migranti dimenticati, di omertà
paesane e di criminalità interna-
zionale prima in due articoli, poi
per esteso nel libro-reportage I
fantasmi di Portopalo.
In che modo si è articolata la
sua inchiesta?
Ci sono state due fasi. Nella
prima attraverso le dichiarazioni
di pescatori rimasti anonimi e di
autorità portopalesi, ho acquisi-
to la certezza che il naufragio del
Natale 1996 era ben noto a tutti.
Questo è stato il momento la
svolta, il vero scoop. Nella secon-
da parte, la più spettacolare,
abbiamo scoperto il relitto della
nave naufragata grazie all’aiuto
della cooperativa N a u t i l u s.
Perché sono passati cinque
anni dal naufragio all’inizio
dell’inchiesta?
Perché per rispolverare
quella storia fu necessario Salvo
Lupo. All’inizio del 2001 duran-
te una battuta di pesca, Lupo tro-
vò nelle reti il tesserino di Anpa-
lagan Ganeshu. Si rivolse all’uffi-
cio marittimo di Portopalo ma le
autorità lo snobbarono.
Pochi mesi dopo trovò sul
giornale La Sicilia,
accanto a un articolo
che parlava di sua figlia
Giusy, vincitrice del pre-
mio Miss teenager, un pezzo in
cui si raccontava della prima
udienza del processo per l’unico
imputato del “naufragio di Nata-
le 1996”. È allora che il pescatore
decise di contattare la stampa
tramite un suo amico. C o m e
reagì la comunità portopa-
lese alla pubblicazione dei
r e p o r t a g e ?
Le autorità locali
se la presero con Sal-
vo, la cui vita è cam-
biata radicalmente.
Su di lui circolavano
voci assurde, come
quella che fosse stato
pagato mezzo miliar-
do di lire per la sua
collaborazione con
R e p u b b l i c a. In più
c’era Don Calogero
P a l a c i n o, parroco
della chiesa di San
Gaetano da Raddusa,
che lo accusava di aver
infangato il buon
nome del paese. Anni
prima, come assesso-
re allo sport in quota
al centrosinistra, Lupo aveva
interrotto la pratica di girare gli
esigui fondi comunali a Don
Calogero. Erano i “Don
Camillo e Peppone di Porto-
palo”. Si pose anche il
problema della mia
presenza fisica in paese:
mi conoscevano tutti e
non sarei più riuscito a cavare
un ragno dal buco. Quindi la
mattina in cui uscì il primo arti-
colo, R e p u b b l i c a inviò da Roma
Attilio Bolzoni per capire le
reazioni del paese. Da cosa dipe-
se l’ostilità delle autorità nazio-
nali? La spiegazione è di tipo
politico: l’Italia era stata riman-
data di un anno per l’ingresso nel
trattato di Schengen a causa del-
le sue frontiere, ritenute un cola-
brodo. In questo clima le autori-
tà italiane avevano interesse che
questa notizia non trapelasse e
girarono la testa dall’altra parte.
È stato agevolato dall’ap-
partenere a una testata
importante come R e p u b b l i -
c a?
Nella prima parte dell’in-
chiesta no. Quando sono arrivato
a Portopalo per vedere se ciò che
mi aveva assicurato Lupo (cioè la
storia dei cadaveri ributtati in
mare dai pescatori) fosse vera, ho
detto genericamente che ero un
E
L’in ch i e s t ana u f ragat a
G i ovanni Maria Bellu ri p o rta a galla tutta la ve ri t àsulla tragedia di Po rt o p a l o.Quasi trecento migra n t is c o m p a rsi nella notte di Natale del 1996.Un re l i t t oripescato da un mare di omertà profondo dieci anni
giornalista, inviato per scrivere
un pezzo sulla storia e le meravi-
glie di Portopalo. Non c’è modo
migliore per non avere una noti-
zia scabrosa che mostrare espli-
citamente interesse. Se il tempo
era riuscito a far metabolizzare
quella vicenda al paese allora la
storia sarebbe emersa con natu-
ralezza. L’appoggio di R e p u b b l i -
c a, invece, fu fondamentale per il
ritrovamento del relitto: il gior-
nale aveva i mezzi per affrontare
quella spesa. Grazie alla disponi-
bilità della cooperativa N a u t i l u s
ottenemmo il noleggio di un
robot che scandaglia il fondo
marino e pattuimmo con loro un
costo di tre milioni al giorno per
tre giorni di noleggio. È raro però
che sia un giornalista a spingere
per il ritrovamento di un reperto.
Solitamente il lavoro si concentra
solo sui testimoni.
Il fatto di pubblicare nomi e
cognomi non le è costato
una querela?
Alcuni provarono a smenti-
re senza riuscirci, ma
non querelarono. Però
bisognava salvaguarda-
re Lupo. Fu questo uno
dei motivi che mi spinse
a cercare il relitto: una volta sco-
vato, nessuno avrebbe più potu-
to formulare illazioni contro Sal-
vo Lupo. Il ritrovamento, infatti,
ammutolì i suoi detrattori.
Quando l’opinione pubblica
comprese la reale portata
dello scoop?
Il botto anche a livello inter-
nazionale c’è stato quando ho
potuto mostrare le immagini del
relitto. Rovistando negli archivi
mi stupì molto che il naufragio
non era per niente fantasma:
c’erano i testimoni, si sapeva tut-
to. Solo che questa notizia aveva
avuto un percorso sfortunato nei
normali meccanismi dell’infor-
mazione. C’era stato un atteggia-
mento scettico delle autorità e
scarsa attenzione da parte dei
giornali. La notizia riprese vita
soltanto con le foto del relitto:
questo testimonia la forza sover-
chiante dell’immagine sulla paro-
la scritta.
Cosa può fare il giornalismo
investigativo più delle
inchieste giudiziarie?
L’inchiesta giornalistica cer-
tifica la validità del lavoro giudi-
ziario e può valicare i confini ter-
ritoriali, che invece sono impre-
scindibili per le procure naziona-
li. La magistratura, infatti, può
indagare all’estero solo nel caso
esistano accordi di collaborazio-
ne internazionale. I Paesi coin-
volti nella mia inchiesta sono fuo-
ri dagli accordi giudiziari italiani,
ma la pressione mediatica per-
mise ai magistrati italiani di otte-
nere dal ministro della giustizia
l’autorizzazione per occuparsi
del caso.
Che cosa dà in più la
realizzazione di un
libro rispetto a un
reportage sul quoti-
diano?
Con un libro si ha l’occasio-
ne di ricostruire delle dinami-
che, cosa che nel giornalismo
accade raramente per motivi di
tempo. Quando ho raccontato la
scena del naufragio, il momento
più complesso da ricostruire, ho
letto tutte le 107 deposizioni dei
superstiti raccolte dalla magi-
stratura greca. Attraverso la
combinazione delle testimo-
nianze dei sopravvissuti e dei
familiari delle vittime è emerso
quel quadro così movimentato.
Mi ha entusiasmato la scom-
messa narrativa di incrociare i
fatti veri con le testimonianze dei
protagonisti ed esserne il narra-
tore in prima persona. Per chi
come me è approdato al giorna-
lismo attraverso la passione per
la letteratura, la pratica quotidia-
na sta alla scrittura come la pro-
fessione di postino a un amante
delle passeggiate: ti pagano per
camminare, ma hai delle regole
e dei percorsi da rispettare.
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 9
La mia indagine è nata per caso:in paese tutti sapevano la verità,ma solo un pescatore ha avutoil coraggio di rompere il silenzio
Per sap e rne di piùGuido Coscino e
Giuliana La Franca, Il viaggio di
Adamo - Naufragi e accoglienza
a Po rt o p a l o ( D o c u m e n t a ri o,
G i n ev ra Bentivoglio Editori a ) ;
Sergio Taccone, D o s s i e r
Po rtopalo - Il naufragio del
N atale 1996 (Eos edizioni).
La web tv del vicinoè sempre la più ve rd e
liberta’ di stampa
ascono nei condomini,
parlano con la voce
della gente comune,
non dei professionisti,
e sono in continua crescita: sono
le web tv e ricordano, a chi le ha
conosciute, le radio libere degli
anni Settanta, che, senza soldi,
inondarono l’etere con la musica
e le storie che R a d i o R a inon pas-
sava. Oggi l’etere è ingombro e
vecchio, il campo di gioco è inter-
net e in Italia il fenomeno delle
“micro web tv” nell’ultimo anno è
dilagato. Sono televisioni di quar-
tiere, che si rivolgono alle quattro
vie entro cui vivono gli autori,
appassionati e non professionisti,
che parlano dei personaggi e del-
le cose che accadono intorno a
loro. I mezzi sono ovviamente
digitali: una videocamera amato-
riale, un computer per montag-
gio e postproduzione e meno di
100 euro per acquistare un domi-
nio internet, uno spazio da riem-
pire. L’autosostentamento è uno
status, sebbene ci siano alcune
eccezioni che riescono ad ottene-
re finanziamenti pubblici o ricavi
pubblicitari.
Giampaolo Colletti, idea-
tore di A l t r a t v, il progetto bolo-
gnese che monitora il fenomeno
dal 2004, parla di un incremento
esponenziale nell’ultimo anno:
«Le micro web tv italiane nel
2008 erano 42 - sottolinea -, oggi
sono 161». La diffusione territo-
riale, secondo lo studio di
A l t r a t v, risulta abbastanza capil-
lare. Calabria e Basilicata sono il
fanalino di coda, ma Sicilia,
Puglia, Campania e Lazio si piaz-
zano molto bene, insieme a Emi-
lia Romagna, Piemonte e Lom-
bardia. I contatti mensili vanno
dai mille ai 5mila».
Èinteressante notare come
la presenza di una micro web tv
sia in qualche modo correlata con
la libertà di stampa: «La moltipli-
cazione di questa offerta infor-
mativa dal basso - conferma Col-
letti - è direttamente proporzio-
nale alla libertà di stampa reale o
percepita all’interno di un deter-
minato territorio».
Le micro web tv fanno cro-
naca, ma anche politica: M e s s i -
na web tv, per esempio, ha docu-
mentato l’alluvione del primo
ottobre 2009. Le “tv dal basso”
seguono i consigli comunali,
monitorano lo stato del quartie-
re e denunciano le irregolarità
delle amministrazioni. Insom-
ma, la vocazione è totalmente
sociale. A Senigallia D i s c o
V o l a n t e, web tv creata e gestita
da un gruppo di disabili, va in
strada per denunciare le barriere
architettoniche. I videomaker
impegnati sul ristretto territorio
agiscono contando solo sulle
proprie idee e sui propri mezzi,
con una missione puramente di
d e n u n c i a .
ondomini buona-
sera e benvenuti
al nostro Tg, F i n e -
s t r A p e r t a. Dai
rubinetti degli
ultimi piani, l’acqua esce con
pochissima pressione. Per capi-
re di che guasto si tratti, siamo
qui nella saletta al seminterra-
to». Si apre così il telegiornale di
T e l e t o r r e 1 9, la prima tv condo-
miniale interamente realizzata e
finanziata da un gruppo di con-
domini bolognesi.
L’idea è di G a b r i e l e
G r a n d i che in via Casini 4, nel
quartiere San Donato, dà il via
nel 2001 a questo originale
esperimento di tv condominia-
le autoprodotta, senza scopi di
lucro e in cui è bandita la pubbli-
cità. La realizzazione tecnica è
semplice ed economica: basta
collegare un videoregistratore o
una telecamera a un modulato-
re di frequenza e trasportare il
segnale attraverso un cavo lun-
go 18 piani, fino all’antenna cen-
trale nell’attico del palazzo. In
questo modo il segnale di T e l e -
t o r r e 1 9 raggiunge tutti i 72
appartamenti della Torre. Così,
oltre ai Tg nazionali di R a i e
M e d i a s e t, la portinaia del pian
terreno o l’ingegnere al terzo
piano possono scegliere di vede-
r e F i n e s t r A p e r t a, il notiziario
fai-da-te che presenta news sul
condominio e sul quartiere, ma
anche approfondimenti cultu-
rali e ricreativi. Il tutto nell’arco
di un’ora e mezza.
Durante la settimana si
alternano poi 6 film scelti dai
condomini e gli approfondi-
menti di Spazio Aperto, con le
ricette della signora del decimo
piano o i servizi che allargano lo
sguardo ai problemi della città.
Le salette comuni del palazzo
sono adibite a studi di registra-
zione e i condomini più intra-
prendenti si improvvisano con-
duttori o cameraman, spesso
con risultati davvero eccellenti.
È nato così un percorso che
rompe la dipendenza passiva
dei telespettatori dal piccolo
schermo, che appiattisce la sen-
sibilità critica verso i contenuti
proposti, che si tratti di spetta-
colo, di informazione, o di pub-
blicità. «La TV ce la facciamo
noi. Scegliamo i film da vedere e
realizziamo i servizi di informa-
zione sulla vita del palazzo e del-
la zona, nella speranza di raffor-
zare il senso di appartenenza
alla comunità condominiale che
già da prima esisteva e che è sta-
ta condizione indispensabile
per dar vita al “gioco”».
Le microweb tv di quartierein espansione:nel 2009 sono q u a d r u p l i c a t e .Una crescita che potrebbeessere legata alla diminuzionedella libertà di stampa
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 201010
di Fabrizio Aurilia
n
Per sap e rne di piùw w w . a l t r a t v . t v, il sito che
dal 2004 monitora le micro web tv.
w w w . . p a e s e c h e v a i . t v, il sito che
riunisce tutte le web tv in un unico
spazio we b.
C o n d o m i n iin diretta,il notiziarioè in cantina
di Simona Peve re l l i
C
U N A M A N C I A T A
di chilometri
da Denver, in
Colorado, ci so-
no uomini che
lavorano a due dollari l’ora.
Un affare. Sono i detenuti
entrati nei bracci dei peniten-
ziari privati, industria che
negli Stati Uniti non conosce
crisi. Dietro a queste sbarre
ultramoderne, controllare i
prigionieri costa pochissimo,
come conferma il manager
delle carceri private dello Sta-
to della Virginia, Russell Boo-
ras: «Il segreto delle spese di
gestione irrisorie sta nell’ave-
re un numero minimo di
guardie per il numero massi-
mo di reclusi». Un panopticon
al servizio del business.
David Dufresnee P h i-
lippe Brault, videogiornalisti
francesi, hanno viaggiato nel
distretto delle prigioni del Colo-
rado: 13 case circondariali, tra
cui il Supermax, soprannomi-
nata l’Alcatraz delle rocce, dove
vivono 36mila detenuti. I due
ne hanno raccontato i mecca-
nismi di funzionamento nel
web documentary Prison Val -
l e y, in uscita ad aprile, prodot-
to da Upian, casa che ha finan-
ziato alcuni fra i più significati-
vi esperimenti multimediali,
come G a z a / S d e r o te T h a n a t o -
r a m a.
«Il nostro intento - spie-
ga Alexandre Brachet, fon-
datore e responsabile di
U p i a n - è quello di mostrare
cosa significa fare soldi sulle
spalle dei detenuti. Il docu-
mentario è presentato come
un road movie e i personaggi
che si incontrano nel corso del
viaggio offrono, progressiva-
mente, informazioni sul tema
generale».
Il format è stato scelto per
integrare cinema d’inchiesta e
interattività: «Il reportage è
fruibile online come fosse un
programma tv o un prodotto
cinematografico. Tuttavia, a
intervalli più o meno regolari,
la narrazione si interrompe,
permettendo ai vari utenti di
interagire fra loro e con i per-
sonaggi del video. Ad esem-
pio, sarà possibile scegliere
quali domande porre nel cor-
so delle interviste, oppure
selezionare gli ambienti in cui
m u o v e r s i » .
Il documentario offre
contenuti extra molto curati,
dalle statistiche comparate
fino a un portfolio di immagi-
ni in slide show. Alexander
Brachet non nasconde che in
Prison Valley questo aspetto
sia molto curato: «Cerchiamo
di offrire un prodotto che
sfrutti le potenzialità del web
2.0 facendo dialogare profes-
sionalità diverse. All’origine,
come ogni servizio di appro-
fondimento, ci sono gli autori,
giornalisti puri. Ma passo
dopo passo si affiancano figu-
re importanti come web
master, creativi provenienti
dal mondo dei videogame, ed
esperti tecnici, per la trasfor-
mazione del video in anima-
zione flash».
Il profilo del documenta-
rio multimediale che Alexan-
dre Brachet, insieme al grup-
po di U p i a n, sta tracciando è
in divenire: «In questo
momento siamo davvero
all’inizio: ogni progetto gene-
ra, in sostanza, un nuovo for-
mat. Per il futuro la chiave è
riuscire a coniugare l’innova-
tiva partecipazione degli uten-
ti con la cura e la forza delle
storie da narrare».
Ma sarà proprio l’ultimo
dei nati tra gli stili narrativi a
salvare le tasche e lo spirito di
un giornalismo in perpetua
crisi finanziaria e d’identità?
«Assolutamente no, almeno
per il momento. L’obiettivo,
intraprendendo un percorso
come il nostro, è quello di
coprire le spese. Certamente
l’indipendenza finanziaria è
una questione fondamentale,
soprattutto per chi produce
reportage integrati e comples-
si. Ma in questa fase di transi-
zione il nuovo mercato non è
ancora capace di reperire,
autonomamente, le risorse
essenziali».
«Per continuare a lavora-
re su questa strada - prevede il
responsabile di U p i a n - è
necessario il sostegno di fondi
pubblici. E, in prospettiva,
anche della cooperazione
internazionale fra case di pro-
d u z i o n e ».
era una volta la guida tv, carta
lievissima e colonne di canali
via etere fissati con l’inchiostro.
La nuova frontiera degli stru-
menti per orientarsi fra i programmi
oggi è on demand. K o b r e g u i d e . c o m,
sito web americano di radice california-
na, ordina per categorie le testate
migliori del videogiornalismo online. Il
materiale, dai profili culturali del N e w
York Times, ai documentari del N a t i o -
nal Geographic,fino ai reportage d’es-
sai del Bombay Flying Club, è cliccabile
e fruibile in tempo reale.
K o b r e g u i d e . c o m , insomma. riprende
tutti i servizi video, gli audio slideshows,
i web documentary e tutto ciò che la
multimedialità giornalistica immette in
rete. L’idea di un contenitore per il
videogiornalismo online l’ha avuta per
primo Ken Kobre, professore di foto-
giornalismo all’Università di San Fran-
cisco, ora caporedattore della guida.
Insieme alla redazione, Ken Kobre ha
pensato a una bussola capace di limitare
la dispersione del giornalismo telemati-
co nel mare magnum dell’informazione
online. Unica regola: sono ammessi
solo prodotti di livello superiore. Come
si legge nella presentazione, «le imma-
gini ferme o in movimento, l’audio, la
scrittura, l’editing e la narrazione devo-
no rispondere alla migliore qualità del-
l’industria giornalistica».
Le vite reclusedi Prison Valley
Poche guardie e detenuti sfru t t a t i : i vizi dellec a rc e ri private svelate da un web documentari o.In cui utenti e protagonisti possono intera g i re
multimedia
Ko b reg u i d e,solo tv di qualità
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 2010 11
di Gregorio Romeo
di Gregorio Ro m e o
Per sap e rne di piùw w w. u p i a n . c o m
w w w. p ri s o nva l l ey. a rt e . t v / e n
Per sap e rne di piùU n ’ a l t ra guida alle web tv:
h t t p : / / w w i t v. c o m / p o rt a l . h t m.
A
c
B B I A M O V I S T O GA Z A
infinite volte nelle
inquadrature stan-
dard dei tg, ma non
l’abbiamo mai vista
davvero. È l’impressione che si ha
non appena si approda su d a g a -
z a . o r g. E si vive questo lembo di
terra “da dentro”.
È il 6 gennaio 2009, l’undice-
simo giorno dall’attacco israeliano
contro la striscia di Gaza. Nessun
testimone è ancora riuscito a
penetrare il blocco imposto alla
stampa internazionale. Poi,
improvvisamente, una falla. In
pochissimi riescono a passare: tra
loro c’è Stefano Savona, video-
reporter palermitano. Lui, una
delle pochissime telecamere euro-
pee all’interno della Striscia, è
l’unica italiana. Dal valico di
Rafah al cuore del conflitto, ha
seguito fino alla fine - il 18 genna-
io - quello che Hamas ha definito
“massacro di Gaza”: la morte di
1001 palestinesi e di dieci soldati
israeliani. Savona ha montato le
riprese sul posto, poi le ha carica-
te sul cellulare e le ha inviate come
m i n i d o c u m e n t a r i .
Contemporaneamente, in
Italia, con l’aiuto della casa di pro-
duzione P u l s e m e d i a, è nata una
vera e proprio web-tv, seguita da
utenti provenienti da 61 paesi e
con 10mila contatti a servizio.
Savona, testimone invisibile e
muto, ha fotografato giornate di
vero caos, smentendo le dichiara-
zioni ufficiali di un attacco mirato
a soli obiettivi militari. Ha realiz-
zato così 23 clip, organizzate in
capitoli per date e luoghi che, in
un secondo momento, sono
diventate 80 minuti di documen-
tario, poi acquistato dalla R a i.
Piombo fuso, dal nome in codice
dell’operazione israeliana, lo scor-
so anno ha ricevuto il premio della
sezione Cineasti del presente al
festival di Locarno.
«D a g a z a . o r g rimane uno
spazio aperto sul web - spiega
Fausto Rizzi, produttore di
P u l s e m e d i a -. Oggi stiamo cer-
cando le risorse per proseguirlo,
non solo con la consulenza di
Stefano, ma utilizzando anche
contributi di altri registi che nel
frattempo ci hanno contattato».
«Racconto le tragedie con-
temporanee superando cronaca,
tv e attualità», ha detto il reporter.
L’occhio di Savona, infatti, ha
deciso di incorniciare tutto quello
che rimaneva sul campo dopo le
breaking news sull’ultimo raid
missilistico israeliano in territorio
palestinese. Voleva andare ben
aldilà di quell’illustrazione spesso
pronta per essere banalizzata e
consumata. Savona non ha dato
giudizi, ma ha semplicemente
lasciato parlare i fatti. Basta guar-
dare un bambino palestinese del
clan Samouni che, seduto tra le
macerie che nascondono i cada-
veri dei suoi cari, seleziona proiet-
tili da una scatola di latta; o guar-
dare un ragazzo che accende un
fuoco nella stanza che fino a pochi
giorni prima era la sua sala da
pranzo, e aspetta che l’acqua
cominci a bollire per farsi un tè.
D aga z a . o rgL’ o p e razione “Piombo Fuso” è stata documentata da un giornalista palerm i t a n o. Le sue immagini sonostate rilanciate da una web tv seguita da 61 paesi.Un re p o rtage duro che ha vinto il Fe s t ival di Locarn o
Rivista quindicinale realizzatadal Master in Giornalismodell’Università Cattolica - Almed© 2009 - Università Cattolicadel Sacro Cuore
d i r e t t o r eMatteo Scanni
c o o r d i n a t o r iLaura Silvia Battaglia, Ornella Sinigaglia
r e d a z i o n eFabrizio Aurilia, GiudittaAvellina, Chiara Avesani,Lorenzo Bagnoli, ValerioBassan, Marco Billeci, RaffaeleBuscemi, Salvo Catalano,Francesco Cremonesi, GiuliaDedionigi, Tiziana De Giorgio,Viviana D’Introno, Fabio DiTodaro, Tatiana Donno, RobertoDupplicato, Fabio Forlano,Carlotta Garancini, IvicaGraziani, Andrea Legni, FlorianaLiuni, Cristina Lonigro,Pierfrancesco Loreto, AlessiaLucchese, Daniela Maggi, PaoloMassa, Daniele Monaco,Michela Nana, Ambra Notari,Tancredi Palmeri, Cinzia Petito,Simona Peverelli, GregorioRomeo, Alessia Scurati, LuigiSerenelli, Alessandro Socini,Andrea Torrente, EnricoTurcato, Roberto Usai, CesareZanotto, Vesna Zujovic
a m m i n i s t r a z i o n eUniversità Cattolica del Sacro Cuorelargo Gemelli, 120123 - Milanotel. 0272342802fax 0272342881m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m
progetto graficoMatteo Scanni
service providerw w w . u n i c a t t . i t
Autorizzazione del Tribunale
di Milano n. 81 del 20 febbraio
2 0 0 9
in rete
di Giulia Dedionigi
MAGZINE 4 | 11 gennaio - 26 gennaio 201012
A
Per sap e rne di piùw w w. p u l s e m e d i a . i t /
p i o m b o f u s o
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