L'OSSERVATORE E LA TORRE
Racconto liberamente ispirato a Crises di zio Oldfield.Grazie per tutto.
Le onde si distendevano placide lungo la riva, ogni risacca dischiudeva il
profumo fresco e inebriante della salsedine. La notte era appena cominciata. L'aria
era viva, vibrava all'ombra del chiaro di luna; nel buio, gli alberi sussurravano le
parole di una canzone triste e malinconica.
Come ogni sera, Mike se ne stava solitario sul molo, il piede appoggiato su una
delle tante bitte. Erano anni che non trattenevano pi gli scafi alla terra, e questo le
faceva apparire stanche e inutili. Mike si sentiva come loro: il volto logoro e scavato
di chi non riposava da tempo, la totale mancanza di una scintilla vitale.
Immobile, fissava il palazzo nero che, imperioso, torreggiava in mezzo al mare.
Al solito, la luce della finestra all'ultimo piano era accesa; la musica suonava. L'uomo
ormai la conosceva a memoria, sapeva anticipare anche la pi insignificante delle sue
sfumature. Da due anni cercava un modo per farla smettere, eppure non ci era ancora
riuscito; passava cos le sue notti a osservare il palazzo, come se fosse un temibile
nemico da studiare e sconfiggere.
L'osservatore e la torre, ora dopo ora, fino al mattino.
Gli altri abitanti della citt si erano gradualmente assuefatti alla musica, ormai
parte integrante delle loro vite. A volte Mike si era chiesto se non fosse lui l'unico a
sentirla, non comprendeva come ci si potesse abituare a qualcosa di tanto disturbante.
Chiunque abitasse in quel palazzo comparso dal nulla, aveva calato la puntina su
un disco maledetto, e da allora non c'erano mai state pause o interruzioni.
Isterico e imprevedibile come una donna tradita, il brano culminava in cacofonici
passaggi finali che mandavano Mike fuori di testa. Quei suoni penetranti gli facevano
venire voglia di afferrare per i capelli chiunque gli capitasse a tiro e sbattergli la testa
contro un muro, contro uno spigolo, contro una vetrina, fino a fargli schizzare il
cervello dal cranio.
Mike aveva l'impressione che solo allora si sarebbe sentito meglio, eppure non ci
aveva mai provato.
Da quando quelle note si erano impossessate della citt, il cielo aveva virato al
verde, un verde cupo e infetto. Le stelle erano svanite nel nulla, la luna era diventata
gigantesca; non somigliava pi al romantico astro di cui i poeti avevano narrato per
secoli, al contrario, era possente e minacciosa. I suoi enormi crateri sembravano occhi
mostruosi, costantemente puntati sulla terra e sui suoi abitanti.
La gente ne era terrorizzata e, come a rispettare un tacito coprifuoco, rincasava
prima che il satellite si arrampicasse su per il cielo tetro e ammuffito.
Mike non aveva paura. Non gli importava della malvagit della luna, voleva
sapere a tutti i costi chi vivesse nell'appartamento all'ultimo piano. Voleva sapere
perch avesse condannato tutti a quell'insopportabile ascolto, e perch non uscisse
mai dall'edificio.
Un paio di volte aveva tentato di attraversare il mare che divideva domande e
risposte, ma aveva fallito; il mare si era infuriato, gli aveva scagliato contro certi
marosi gonfi di schiuma e di rabbia, che per poco non ci aveva lasciato la pelle.
All'uomo non restava altro che osservare a distanza il suo avversario, nella
speranza di anticiparne le mosse e avere qualche vantaggio su di lui. Tuttavia, per
quanto si fosse sforzato, Mike non era riuscito a cavare un ragno dal buco e la
rassegnazione stava prendendo il sopravvento. Pensava che, forse, avrebbe dovuto
seguire l'esempio dei suoi concittadini, piegare la testa e farsene una ragione. Allora
sarebbe stato tutto pi semplice, avrebbe finalmente passato le sue notti a letto,
avrebbe smesso di cercare spiegazioni. Questi pensieri attraversavano veloci la sua
mente, e con altrettanta rapidit la abbandonavano.
No, si ordinava, non accadr mai. Mai!
Una notte come tante, accadde l'inimmaginabile: la luna si alline perfettamente
al palazzo. Insieme sembravano le lancette di un imponente orologio che segnava la
mezzanotte in punto. L'edificio aveva perso la sua maestosit, non incuteva pi
timore; era la luna a essere terrificante. La sua luce avariata proiettava sulla superficie
del mare ombre sconosciute e raccapriccianti, un sabba di creature deformi che
danzavano impazzite sulle note di quella musica infernale.
Mike, per la prima volta, aveva paura. Se la sentiva crescere dentro, come davanti
ai suoi occhi cresceva la marea. Non voleva che la luna si accorgesse di quanto gli
tremassero le ginocchia e le mani, per nulla al mondo avrebbe voluto dargliela vinta.
Quando le ombre iniziarono a strisciare fuori dall'acqua, Mike sent una scossa
propagarsi lungo la spina dorsale, fino al cervello: doveva scappare. La luna non
conosceva piet, n concedeva grazia, gli avrebbe dato la caccia fino a che non fosse
riuscita a strappargli l'ombra.
Fu allora che, inaspettatamente, la porta del palazzo nero si spalanc. Mike
riusciva a sentire dal molo il suono delle onde che, sfacciate, ne violavano l'ingresso,
per poi venire inghiottite dall'oscurit.
Era la sua occasione.
Chi si nascondeva l dentro lo stava spingendo a entrare; non doveva far altro che
attraversare il mare, varcare la soglia e salire fino all'ultimo piano. Era una sequenza
che aveva consumato allo sfinimento nella sua mente, e che fino ad allora non aveva
avuto alcuna chance di concretizzarsi.
Non puoi scappare, lo raggiunse una voce sconosciuta.
Non puoi scappare, ripet. Devi restare con me, non puoi scappare.
A quelle parole le ombre si ritrassero, assorbite una ad una dalle onde; il mare si
divise in due, senza sforzo, creando un varco verso il palazzo. Mike non aveva pi
dubbi, si trattava di un invito esplicito; senza indugiare oltre, salt gi dal molo.
Verrai a parlare con me, stanotte? lo incalzava la voce dalla torre. Era soave,
tranquilla, mesmerizzante; era la voce di una donna.
Mike, tra i due lembi di mare, si mise a correre pi veloce che poteva.
Rester ad aspettarti, rester e pregher perch tu raggiunga l'altra sponda,
insisteva la voce.
A ogni falcata il mare si richiudeva alle sue spalle, le onde si intrecciavano,
abbracciandosi come amanti desiderosi di ricongiungersi.
L'uomo divor in un lampo l'ultima manciata di metri, gettandosi infine tra le
braccia delle scale d'ingresso, pronte ad accoglierlo; non appena i piedi toccarono il
cemento bagnato, il mare collass, ricucendo con un boato lo strappo che aveva
creato.
Oltrepassata la soglia, il portone si richiuse.
All'interno, l'edificio era ancora pi nero di quanto non lo fosse da fuori, tanto che
Mike cedette al pensiero di un'improvvisa cecit.
Verrai a parlare con me? ripet calma la voce, echeggiando attraverso la
sinistra tromba delle scale.
S, rispose l'uomo in un sussurro, mentre il cuore gli si aggrappava alla gola.
Lo sguardo si alz timoroso verso l'alto, dove tra le pesanti tenebre galleggiava un
puntino luminoso: la luce dell'appartamento.
Mike cominci la sua scalata. Incerto, procedeva a tentoni, cercando conforto
nell'unica guida disponibile, il muro accanto a s. Non aveva mai avuto paura come
in quel momento: il prepotente rumore delle onde si era unito a quello cattivo del
vento; insieme rimbombavano nel vuoto del palazzo e si mescolavano alla musica,
dando vita a un concerto terrificante. La colonna sonora dell'Inferno.
Dopo un paio di rampe, riconoscere i gradini divenne un gesto meccanico; con
sorpresa, l'angoscia fece posto alla determinazione, trasformando l'andatura confusa
dell'uomo in una corsa veloce e disperata.
Pi Mike si avvicinava alla meta, pi la musica diventava forte, cos forte che a
stento riusciva ad avanzare, schiacciato com'era dal peso delle note. Non aveva la
minima idea di quanto tempo gli ci sarebbe voluto per arrivare all'ultimo piano, forse
non ci sarebbe neppure mai arrivato. Chiunque l'avesse fatto entrare voleva giocare
con lui, come un gatto annoiato con un topo troppo curioso.
A Mike sembrava che le scale non solo non terminassero mai, ma che, anzi, si
rigenerassero di continuo, quasi fossero dotate di vita propria. La luce era sempre pi
distante, al contrario la musica era cos vicina da risultare insopportabile.
A quel punto, Mike si ferm.
Che razza di scherzo questo? url. Mi hai chiesto di venire quass! E ora?
Cosa fai, ti tiri indietro?
Nessuna risposta. Stremato, l'uomo croll in ginocchio.
Non uscir mai da qui, si disse. Non uscir mai.
Esausto e demotivato, d'un tratto Mike avvert l'irresistibile desiderio di gettarsi
gi, per la tromba delle scale. Non riusc a plasmare completamente quel pensiero,
ch la voce torn a incoraggiarlo.
Vieni da me, disse, non scappare.
Mike, confuso ed eccitato, sentiva di essere a un passo da quella verit che aveva
sempre inseguito; non poteva mollare, non ancora.
Si rialz a fatica, e decise che avrebbe raggiunto a tutti i costi la sua meta. Non
sapeva davanti a cosa si sarebbe trovato, ma questo non lo spaventava pi.
Era avanzato di un paio di gradini, quando la luce che fino a pochi attimi prima
pareva lontanissima, adesso era a qualche metro di distanza.
Mike si pass una mano sulla faccia, segno che aveva rinunciato a capire le
bizzarre logiche che governavano l'edificio; presto perplessit ed elucubrazioni
mentali vennero abbandonate in favore di una ben pi importante presa di coscienza:
era arrivato a destinazione.
L'appartamento non aveva una porta da spalancare, ci sarebbe potuto entrare
chiunque, se solo la luna, il palazzo o la voce di quella donna glielo avessero
permesso. Mike non era chiunque.
Una volta entrato, l'uomo si trov davanti agli occhi non un appartamento, ma
una stanza, completamente vuota e dalle pareti spoglie. Per anni si era immaginato
quel posto come la lussuosa dimora di qualche eccentrico signore, tanto ricco quanto
sgradevole, che l'avrebbe atteso nella penombra del suo studio, seduto su
un'imponente poltrona in velluto bordeaux, con un sigaro tra le labbra e un bicchiere
di brandy in mano.
La realt aveva invece le sembianze di una stanzetta triste e asettica, che non
ospitava nient'altro se non la lampadina che l'aveva sempre illuminata.
E un grammofono.
L'apparecchio giaceva sulla moquette grigia, e, indisturbato, diffondeva a tutto
volume la musica velenosa che aveva inquinato la citt e la mente di Mike.
L'uomo si guard pi volte attorno, come se da un momento all'altro si aspettasse
di vedere la donna misteriosa materializzarsi nella stanza; oltre a lui, per, non c'era
nessun altro.
Non puoi scappare, irruppe la voce, cogliendolo di sorpresa; veniva dal
grammofono.
L'espressione di Mike si sciolse in un sorrisetto amaro, che trasudava incredulit.
La torre e l'osservatore, ora dopo ora, fino al mattino, recit monocorde il
grammofono, il cui tono si era tinto di una sfumatura maschile spaventosamente
simile a quella di Mike.
L'uomo fiss l'aggeggio con odio feroce, poi sorrise di nuovo; era il sorriso di una
vittoria.
L'osservatore e la torre, ribatt Mike, ora dopo ora.
Non poteva temporeggiare oltre, doveva compiere la missione per cui sentiva di
essere nato: annientare quella diabolica musica.
Fino al mattino.
In citt la musica suonava, come ogni sera.
L'ultima volta che qualcuno vide Mike sul molo, disse che era stato portato via
dall'ombra del chiaro di luna.
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