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LE ZONE UMIDE
PROVINCIA DI PAVIAAssessorato Politiche Agricole
Faunistiche Naturalistiche
LE ZONE UMIDEColonie di aironi e biodiversità
della pianura lombarda
L E
Z O N E
U M I D E
Qualità dell’Ambiente
RegioneLombardia
Qualità dell’Ambiente
RegioneLombardia
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Assessore alla Qualità dell’Ambiente
Franco Nicoli Cristiani
Direttore Generale
Antonella Manno
Dirigente di Unità Organizzativa Pianificazione Ambientale e Gestione Parchi
Franco Grassi
Dirigente di Struttura Azioni per la Gestione delle Aree Protette e Difesa della Biodiversità
Pietro Lenna
Qualità dell’AmbienteRegioneLombardia
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PROVINCIA DI PAVIA
Assessorato Politiche AgricoleFaunistiche Naturalistiche
LE ZONE UMIDE
Colonie di aironi e biodiversità
della pianura lombarda
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Capitolo “Aspetti normativi”: Umberto Bressan e Gianni Ferrario,
Regione Lombardia, Direzione Generale
Qualità dell’Ambiente
Disegni: Laura Romagnoli
Foto di: Archivio Provincia di Cremona (7, 10, 11,
13, 14, 16, 19), Enzo Vigo (9, 27, 28, 31,34), Gianni Conca (29, 30, 33), MauroFasola (4, 8, 36, 43), Paola Trovo’ (26, 32),
Umberto Bressan (44)
Impaginazione e stampa: Nuova Tipografia Popolare - Pavia
Citazione: Fasola M., Villa M. e Canova, L. 2003. Le zone
umide. Colonie di aironi e biodiversità nella
pianura lombarda.
Regione Lombardia e Provincia di Pavia. Pp. 142.
LE ZONE UMIDE
Colonie di aironi e biodiversità
della pianura lombarda
Mauro Fasola, Michela Villa e Luca Canova
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Prefazione
L’assessorato Regionale alla Qualità dell’Ambiente è da anni
fortemente impegnato negli interventi di salvaguardia della fau-na lombarda di interesse comunitario.Tra le specie protette di maggior interesse conservazionistico visono senz’altro gli Ardeidi.
È stato proprio con lo scopo di tutelare queste specie orniticheche sono state istituite ben 17 Riserve Naturali e 7 MonumentiNaturali nelle garzaie ove esse nidificano. In quest’ottica la Re-
gione Lombardia, al fine di valutare l’andamento delle popola-zioni di Ardeidi nidificanti, ha voluto avviare il Progetto Regio-
nale di Monitoraggio delle Garzaie di Lombardia svolto in colla-borazione con il Dipartimento di Biologia Animale dell’Universi-tà degli Studi di Pavia.
La concretezza della politica regionale di tutela di queste spe-cie di avifauna è altresì dimostrata dall’ approvazione nell’aprile2001 del Programma Regionale per gli Interventi di Conservazio-ne e Gestione della Fauna Selvatica nelle Aree Protette della Lom-bardia la cui applicazione sta portando alla realizzazione di im-
portanti progetti a favore degli Ardeidi inseriti nell’Accordo di Programma Quadro con il Ministero dell’Ambiente. Questi pro- getti voluti dall’Assessorato alla Qualità dell’Ambiente prevedo-no la creazione di svariate nuove aree a canneto a favore degli
Ardeidi nel Parco Regionale della Valle del Ticino e nel Parco Agricolo Sud Milano nonchè la riqualificazione naturalistica de- gli habitat in prossimità di garzaia nel Parco Adda Sud.Con la partecipazione e pubblicazione di questo testo scientificoriteniamo di contribuire ulteriormente alla tutela di queste specie
di avifauna protetta nonché di favorirne la conoscenza da partedi un pubblico costituito non solo da studiosi ed esperti ma anchedai molti cittadini appassionati che si avvicinano alla realtà del-le Aree Protette Regionali in modo tale da favorirne una fruizionesempre più attenta e consapevole, coniugando quindi la doverosatutela con forme di sviluppo eco-compatibile quale appunto il tu-rismo sostenibile.
FRANCO NICOLI CRISTIANI
Assessore Regionale alla Qualità dell’Ambiente
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Sono ormai diversi anni che l’Assessorato alle Politiche Agri-
cole, Faunistiche e Naturalistiche della Provincia di Pavia si oc-cupa della divulgazione e promozione del patrimonio naturalisticoche caratterizza la nostra pianura. La presenza di diffusi specchid’acqua quali stagni, lanche e paludi arricchisce il territorio pro-vinciale di specie arboree e faunistiche di importanza comunita-ria. Le numerose specie di uccelli la cui vita è strettamente legataalla presenza di acqua trovano, in questa zona, l’habitat ideale
per la nidificazione e la riproduzione.In particolare per gli Aironi, che nidificano nel periodo pri-
maverile e sono presenti anche durante tutto l’arco dell’anno innumerose coppie, è necessario un programma di tutela evalorizzazione degli ambienti umidi. Una corretta gestione delle
garzaie, numerose in tutta la provincia e la realizzazione di pro- getti di salvaguardia e miglioramento ambientale, sono da sem- pre impegno costante e duraturo da parte nostra.
E’ con grande piacere, pertanto, che questo Assessorato hacollaborato con la Regione Lombardia nella realizzazione di un
nuovo libro che sottolinea l’importanza delle Aree Protette pre-senti sul territorio regionale. In quest’ottica, la pubblicazione “Lezone umide - Colonie di aironi e biodiversità della pianura lom-barda” diventa un ulteriore strumento di informazione finalizza-to ad accrescere nel pubblico il rispetto per l’ambiente e la cono-scenza degli affascinanti ecosistemi naturali che ci circondano.
DOTT. RUGGERO INVERNIZZI
Assessore alle Politiche Agricole,
Faunistiche e Naturalistiche
della Provincia di Pavia
PROF. SILVIO BERETTA
Presidente
della Provincia di Pavia
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INDICE
L’importanza delle zone umide minori
della Lombardia ........................................................................................ 9
Premessa ............................................................................................................. 11
Le colonie di Aironi ............................................................................................. 14
Le zone umide planiziali ...................................................................... 19
Le lanche ............................................................................................................. 21
I laghi di rotta fluviale o “bodri” ........................................................................ 33
I fontanili ............................................................................................................ 41
Le cave................................................................................................................. 54
Il recupero naturalistico: un esempio di intervento compatibile
con l’ambiente.................................................................................................. 59
Il bosco igrofilo .................................................................................................... 60
Un esempio di zone umide di origine industriale: gli zuccherifici ................... 63
Il modello di gestione delle garzaie della Lombardia ......... 65
Gli Ardeidi nidificanti in Italia .......................................................................... 67Rilevanza conservazionistica degli Aironi in Lombardia ................................. 74
Colonie presenti in Lombardia ed andamento delle popolazioni ..................... 75
Fattori limitanti la distribuzione delle garzaie................................................. 80
Preferenze di habitat per i nidi .......................................................................... 87
Dinamica delle garzaie ....................................................................................... 89
Obiettivi ed azioni di conservazione: il modello di gestione
delle garzaie lombarde ....................................................................................... 91
Le tecniche di gestione ......................................................................... 99
Obiettivi e priorità .............................................................................................. 101
Gli interventi forestali ........................................................................................ 102
Aspetti idrici ....................................................................................................... 117
La creazione di un nuovo sito............................................................................. 120
Aspetti normativi nella conservazione degli Ardeidiin Regione Lombardia ........................................................................... 125
Riferimenti bibliografici ............................................................................... 138
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L’importanza delle zone umide
minori della Lombardia
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L’IMPORTANZA DELLE ZONE UMIDEMINORI DELLA LOMBARDIA
Premessa
Negli ampi spazi della pianura lombarda, la presenza umana si è dif-
fusa capillarmente in forme molteplici. Gli ambienti naturali di questa
pianura, pochi secoli fa ancora coperta da boschi e paludi, sono stati pro-
gressivamente erosi. La vegetazione spontanea è stata convertita a coltu-
re e le acque sono state domate, fino a far assumere a gran parte del terri-
torio l’attuale aspetto, che è il risultato di bonifiche, coltivazioni intensi-
ve, costruzione di insediamenti e infrastrutture.
Il segno dell’uomo sul territorio si è fatto sempre più marcato e delmanto di foreste e paludi che un tempo ricopriva l’intera pianura non re-
stano che rare testimonianze. Le ridotte dimensioni e l’isolamento di que-
ste aree residue ne minacciano la sopravvivenza e la stabilità; nondime-
no, il ruolo di serbatoi di biodiversità assunto da questi spazi naturali è
fondamentale ed è pertanto necessario non solo fermarne la scomparsa,
ma anche favorirne, ove possibile, il ripristino. L’obiettivo ideale di tali
azioni consiste in una gestione del territorio che stabilisca un dialogo più
equilibrato tra presenza umana e spazi naturali.
Tra le aree naturali residue più rappresentative della pianura padana
vi sono le zone umide, descritte in dettaglio nel successivo capitolo. Si
tratta di ambienti estremamente vulnerabili che, se lasciati alla loro na-
turale evoluzione, sono destinati ad interrarsi ed a scomparire. Nelle pri-
mitive condizioni naturali, il lento processo di interramento era compen-
sato dalla continua formazione di nuovi ambienti dalle caratteristiche si-
mili. Il risultato era la coesistenza di più ambienti collocati lungo un
gradiente evolutivo che andava dagli specchi d’acqua aperta di una lanca
appena formata fino allo stadio finale della foresta planiziale. Nella situa-zione attuale, questo equilibrio si è spezzato a causa delle continue azioni
di bonifica dei suoli e di regimazione delle acque; ne risulta che la maggior
parte delle paludi esistenti è stata prosciugata e che i fiumi non possono
più divagare liberamente nel piano di campagna formando nuove zone
umide.
Le Fig. 1, 2 e 3 mostrano un esempio dei cambiamenti che, negli ulti-
mi secoli, hanno interessato il paesaggio della pianura. Le tre mappe raf-
figurano la stessa zona, attorno all’attuale riserva Naturale “Garzaia del-
la Verminesca”, in provincia di Pavia, e testimoniano i mutamenti delle
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Figura 1. Alla fine del 1700, le aree limitrofe alla Riserva naturale “Garzaia delle
Verminesca” erano già estesamente coltivate. Le risaie (raffigurate dalle campiture azzur-
re) erano meno diffuse rispetto ad ora, mentre i boschi (raffigurati dalle fasce con piccole
macchie che rappresentano gli alberi) erano molto più estesi (riproduzione dalla carta
catastale sabauda del 1775, scala originale 1: 9630) .
Figura 2. Alla fine del 1800, il paesaggio era intensamente coltivato, con grande prevalen-
za delle risaie (raffigurate dalle campiture con tratteggio orizzontale). I boschi erano mol-
to meno estesi rispetto al 1700 (stralcio della carta 1:25.000 dell’Istituto geografico Milita-
re, Foglio 58 IV SE, rilievo del 1883).
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Figura 3. Attualmente, il paesaggio ha conservato le sue secolari caratteristiche di rada
urbanizzazione agricola. Le risaie (le campiture a tratteggio orizzontale) coprono la mag-
gior parte dei terreni. Le zone boscate o con vegetazione palustre (le principali sonoevidenziate con un tratteggio sovrapposto alla mappa) sono ridotte. Dal confronto con le
mappe del 1700 e del 1800, si nota che le zone a vegetazione spontanea sono ora localizzate
in posizioni differenti, per effetto del continuo intervento di bonifica, e del rinnovo sponta-
neo della vegetazione. Tali ambienti semi-naturali risultano comunque localizzati nelle
fasce al centro della mappa, corrispondenti ad antichi corsi d’acqua. La colonia di aironi è
attualmente situata nella zona in nero al centro della mappa (stralcio della Carta Tecnica
della Regione Lombardia, scala 1:10.000, rilievi del 1994).
colture, la riduzione della vegetazione naturale, ma anche il sostanzialemantenimento del paesaggio agricolo della bassa pianura padana.
Le zone umide residue possiedono molteplici valenze: nella monotonia delle
coltivazioni intensive costituiscono infatti elementi di varietà di grande
valore scientifico, paesaggistico e ricreativo e contribuiscono al manteni-
mento degli equilibri naturali e idrologici. La loro scomparsa rappresen-
terebbe la perdita degli ultimi esempi di ambienti tipici e precluderebbe le
possibilità di sopravvivenza per molti esseri viventi.
L’importanza delle zone umide e la necessità di garantire la loro protezio-
ne è ribadita in molte convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito.
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Attualmente le Amministrazioni Pubbliche possono fare riferimento a
numerose disposizioni normative, quali la LR 86/83, che regolano gli in-
terventi di protezione e gestione di riserve e altre aree protette. Altre im-
portanti disposizioni normative, statali e regionali, nonché le misure di
adesione ai programmi agro-ambientali recentemente varati dalla Regio-ne Lombardia, costituiscono un corpus normativo di fondamentale impor-
tanza per favorire la tutela dell’ambiente naturale in un contesto che pro-
muova la competitività dell’impresa agricola e delle attività tradizionali.
Nel caso specifico delle zone umide planiziali, i naturali processi di
evoluzione cui si è ora accennato rendono del tutto inadeguata una politi-
ca di sola protezione passiva. Sono invece necessari interventi di gestione
attiva che, periodicamente, ostacolino il processo di interramento delle
paludi mantenendole ad uno stadio intermedio della loro evoluzione. Lo
specifico contesto di elevata antropizzazione in cui questi ambienti so-
pravvivono, giustifica da un lato la costante attività di gestione delle zone
esistenti e dall’altro la progettazione ed il ripristino di nuove zone umide,
là dove queste siano rimaste vittima delle attività umane.
Le colonie di aironi
Tra gli elementi faunistici di maggior rilievo delle zone umide lombarde
vi sono gli aironi. La conservazione di questi uccelli, che nidificano in colo-nie chiamate anche “garzaie”, richiede il mantenimento e la protezione
degli ambienti ad essi necessari per la nidificazione. Le azioni di protezio-
ne delle garzaie si basano su un approccio ecosistemico, cioè coinvolgono
l’ambiente nel suo complesso, sia esso riproduttivo o di foraggiamento, ed
hanno pertanto un effetto positivo su tutte le componenti delle zone umi-
de planiziali garantendo la sopravvivenza di molte altre specie legate a
questi ambienti.
Interventi di protezione degli aironi coloniali in Lombardia sono stati
intrapresi già da diversi anni, e attualmente la maggior parte dei siti cheospitano colonie di aironi sono protetti. Tutto ciò è stato possibile grazie
anche alla solida base di dati sulla biologia degli aironi, raccolti negli ulti-
mi 30 anni dal Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia.
Le ricerche sulle esigenze ambientali di queste specie, hanno contribuito
a sensibilizzare l’opinione pubblica sugli interventi di conservazione e inol-
tre hanno fornito l’indispensabile punto di partenza per la definizione de-
gli indirizzi di gestione.
Un ruolo fondamentale nella creazione di zone protette è svolto dalla
volontà di azione degli amministratori regionali e locali ai quali competo-no, rispettivamente, sia l’istituzione delle riserve sia la concreta realizza-
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zione degli interventi proposti.
Un buon esempio di intervento integrato è offerto dall’esperienza ma-
turata nel corso degli anni in Provincia di Pavia, ove sono concentrate
numerose colonie. All’inizio degli anni ’80 divenne nota l’importanza eu-
ropea delle popolazioni di aironi nidificanti sul territorio provinciale. A seguito delle ricerche e delle campagne di sensibilizzazione, la Regione
Lombardia ha protetto come Riserve Naturali tutte le colonie di aironi
non ancora incluse in Parchi regionali. La maggior parte di queste riserve
era in Provincia di Pavia, e la loro gestione fu affidata all’Amministrazio-
ne Provinciale. Nel corso degli anni la gestione di queste aree di valenza
strategica ha compreso il riassestamento naturalistico e forestale di alcu-
ne zone, la nuova perimetrazione delle stesse, la costruzione di infrastrut-
ture per la fruizione pubblica e la stesura di convenzioni con associazioni
protezionistiche. Inoltre, in taluni casi, uno stretto rapporto di collabora-
zione con associazioni venatorie e agricole ha favorito la modulazione del
divieto di caccia, l’acquisto di alcuni terreni o il ricorso a forme di comodato.
L’efficacia degli interventi di conservazione e la piena realizzazione
degli obiettivi si raggiungono anche attraverso il diretto coinvolgimento
della popolazione locale, in modo che l’istituzione delle riserve e le restri-
zioni naturalmente connesse alla loro esistenza non vengano percepite
come ostacoli allo sviluppo di un’area. Su questo coinvolgimento si gioca
una delle maggiori sfide connesse alle politiche di conservazione della
natura. Per quanto riguarda i rapporti con la popolazione locale, la crea-
zione di riserve per gli aironi pone problemi di ordine diverso rispetto a
quelli che normalmente vanno affrontati in occasione della creazione di
parchi di grande estensione. Le riserve per la protezione delle colonie di
aironi hanno superfici di pochi ettari ed il nucleo centrale che ospita la
colonia sorge di solito su terreni di scarso valore agricolo. Nonostante ciò,
non sono mancati casi di grave manomissione motivati dalla volontà di
ricavare ulteriori spazi da destinare alle pratiche agricole. Emblematici
sono i casi di Villa Biscossi e di Cascina Isola dove la vegetazione naturale
è stata eliminata e si è cercato di drenare l’acqua dal terreno per impian-
tare pioppeti coltivati. Prima dell’istituzione delle riserve alcune coloniesono scomparse proprio a causa di azioni di questo genere (Fig. 4). In un
territorio intensivamente sfruttato, dove ogni metro quadro di suolo ferti-
le è già da tempo destinato alle coltivazioni, si cercano di frequente ulte-
riori spazi produttivi a scapito delle ultime aree naturali. In questo senso
l’istituzione delle riserve può essere mal vista da chi prospetta un possibi-
le destino differente da quello della conservazione per questi piccoli fazzo-
letti di terra. Ma l’enorme valore complessivo di queste zone umide, tanto
maggiore in quanto immerse nella regione d’Italia con maggiore impatto
antropico, ripaga ampiamente la società, nel suo complesso, del mancato
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sfruttamento a fini agricoli. Inoltre, la presenza della riserva naturalepuò facilmente accompagnarsi a risvolti economici positivi per i proprie-
tari dei terreni in particolare per quanto riguarda l’accesso a contributi
europei o regionali che incentivano forme di agricoltura eco-compatibile.
Nel caso specifico delle colonie di aironi sarebbe comunque errato con-
siderare la realtà agricola in contrapposizione con la vita delle colonie.
Per la vita degli aironi è infatti necessaria la presenza di ampi spazi di
foraggiamento che, nella parte occidentale della pianura lombarda, sono
garantiti dall’enorme estensione delle risaie, la cui coltivazione viene in-
centivata in modo particolare nella fascia di rispetto che circonda le garzaie.Il bosco igrofilo che ospita la colonia quindi non è un elemento estraneo
alla pianura antropizzata, ma è piuttosto un tassello fondamentale di un
unico agroecosistema.
Allo scopo di promuovere la collaborazione tra i soggetti coinvolti (am-
ministrazioni pubbliche, cittadini, piccoli imprenditori locali) alcuni Enti
gestori delle Riserve naturali, come la Provincia di Pavia, hanno tentato
di instaurare varie forme di collaborazione, sia con i proprietari dei fondi
per l’affitto o l’acquisto delle aree, sia con le Aziende faunistico-venatorie
per la gestione dell’ambiente, sia con le associazioni ambientaliste per le
Figura 4. Disboscamento e distruzione del sito di una garzaia. Sugli alberi si vedono alcu-
ni nidi.
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attività di educazione ambientale. L’utilizzo di alcune zone protette a sco-
pi turistici e didattici è promossa dalla Provincia di Pavia in collaborazio-
ne con le locali sedi della Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU) e del
World Wildlife Fund (WWF).
La coesistenza di zone protette e di Aziende faunistico-venatorie puòsorprendere, ma bisogna ricordare che varie zone umide sedi di garzaie si
sono mantenute negli scorsi decenni proprio grazie alla gestione ambien-
tale operata dalle Aziende faunistico-venatorie. Inoltre lo svolgimento delle
normali attività venatorie avviene esclusivamente nei mesi in cui la colo-
nia è disabitata. E’ stato perciò possibile raggiungere accordi che permet-
tono la coesistenza delle esigenze di conservazione e di utilizzo venatorio.
Sono state anzi realizzate proficue collaborazioni tra le amministrazioni e
le aziende per quanto concerne la gestione e la conservazione degli am-
bienti umidi naturali che ospitano sia le specie cacciabili, sia quelle pro-
tette. Il caso delle colonie lombarde di aironi rappresenta uno dei pochi
esempi di fattiva cooperazione attuata in Italia tra istanze
conservazionistiche e venatorie.
Ciò dimostra che una delle principali cause di rarefazione delle specie
animali, la distruzione dell’habitat elettivo, può essere contrastata anche
dalla collaborazione tra ambientalisti e fruitori (cacciatori e pescatori) i
quali invece sono soliti esaurire le loro energie in contrapposizioni che si
prolungano mentre gli ambienti naturali vengono progressivamente di-strutti da pressioni economiche diverse. Resta tuttavia da ricordare che il
reale impatto dell’attività venatoria sulle comunità animali in molti casi
deve essere ancora studiato in dettaglio.
Le esigenze di conservazione dell’ambiente naturale negli ultimi de-
cenni si sono scontrate con richieste contrapposte che provenivano dal
mondo agricolo e venatorio. E’ indubbio che l’azione incisiva di questi anni
ha portato a un radicale mutamento culturale; ne sono buona testimo-
nianza l’attuale rete delle aree protette in Lombardia ed un quadro di
riferimento normativo più raffinato e rassicurante.D’altro canto, anche nel mondo venatorio ed agricolo vanno afferman-
dosi i principi di un uso sostenibile delle risorse, di pianificazione degli
interventi e, più in generale, una visione che favorisce la qualità delle
attività e delle produzioni rispetto all’approccio quantitativo tipico del
passato. La strada per integrare esigenze di tutela ambientale e di attivi-
tà agricola e venatoria è ancora lunga, ma forse non più così tortuosa
come alcuni anni fa. Le esperienze di gestione integrata delle garzaie
pavesi, come i tentativi di accordo fra alcuni parchi regionali e aziende
faunistiche, rappresentano i primi passi di un proficuo cammino.
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Le zone umide planiziali
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LE ZONE UMIDE PLANIZIALI
Le lanche
Genesi della lanca. Quando un fiume, nel tratto inferiore del suo corso,si trova a solcare terre caratterizzate da pendenze ridottissime, tende a
rallentare e divagare serpeggiando nella pianura. Tipica di questa fase è
la creazione dei meandri, anse profonde che interessano il corso principa-
le del fiume. I meandri sono formazioni in continua evoluzione, in quanto
la corrente agisce in modo differenziato sulle due sponde. Sulla sponda
esterna l’acqua scorre rapida generando processi erosivi compensati dal-
l’azione di deposito che prevale invece sulla sponda più interna dove la
corrente è molto debole. Come risultato di questo duplice processo, il me-
andro si incurva sempre di più e i due estremi si trovano sempre più vici-ni. La nascita della “lanca” si verifica quando, spesso in occasione di una
piena, avviene il “salto di meandro” ed il fiume, rettificando localmente il
proprio corso, taglia la lingua di terra che costituisce il lato interno del-
l’ansa. Il braccio di fiume rimasto così separato, detto lanca, non è più
interessato dalla corrente principale, ma mantiene un duplice legame con
il fiume attraverso la falda e attraverso l’estremità più a valle che, almeno
nelle prime fasi di vita della lanca, rimane aperta (Fig. 5). Grazie a ciò è
garantito il lento ma costante ricambio dell’acqua che è ora quasi ferma,
specialmente nella parte più a monte.
Figura 5. La genesi della lanca. La lanca prende origine da un meandro fluviale quando, inoccasione di una piena il fiume rettifica il suo corso (salto di meandro). La lanca neoformata
ha tipicamente la forma a mezzaluna e, nell’estremità più a valle, mantiene i contatti conil fiume.
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Struttura tipica. Le lanche presentano una tipica forma a mezza luna
che permette di identificarne le tracce morfologiche (i cosiddetti
paleomeandri) anche dopo centinaia di anni quando il fiume, in seguito a
piene e divagazioni di vario genere, può scorrere anche ad alcuni chilome-
tri di distanza. L’assenza di correnti influisce sulle caratteristiche diossigenazione delle acque e permette l’insediamento di una ricca comuni-
tà sia vegetale che animale; inoltre le sponde, non più soggette a fenomeni
erosivi, si immergono dolcemente nell’acqua favorendo, grazie alla pen-
denza ridotta, l’attecchimento delle piante. Il fondo è di aspetto limoso
come del resto ci si aspetta in corpi idrici in cui lo scorrimento delle acque
è quasi impercettibile. Questa caratteristica si accentua nel tempo in se-
guito ai depositi di materiale organico in decomposizione che, se partico-
larmente abbondante, può generare processi di eutrofizzazione e di anossia
specialmente nei mesi estivi.
L’evoluzione da lanca a morta. Dal momento della sua formazione la
lanca segue un processo di continua lenta evoluzione durante il quale l’iso-
lamento dal corpo idrico principale si fa sempre più marcato. Il collega-
mento tra il fiume e l’estremità a valle della lanca è destinato a chiudersi
ed il fondo ad innalzarsi progressivamente per i depositi di materiale ve-
getale in decomposizione. Questi stessi depositi contribuiscono a formare
uno strato impermeabilizzante che, a lungo andare, interrompe i contatti
con la falda. A questo punto della sua esistenza la lanca si è trasformata
in “morta” ed è ormai avviata in modo irreversibile verso l’interramento.
Contemporaneamente all’innalzamento del fondo si assiste alla progres-
siva chiusura delle rive e la vegetazione, che dapprima interessa solo le
sponde, si estende a coprire tutto lo specchio d’acqua. Il processo culmina
con la completa scomparsa della lanca destinata a diventare terreno ospi-
tale per il bosco igrofilo caratterizzato da salici ed ontani (Fig. 6).
Problemi di conservazione. Questa in breve è la storia della vita diuna lanca secondo la seriazione naturale che va dal fiume al bosco. Questo
cammino, tuttavia, non riesce quasi mai a svolgersi per intero, in genere a
causa di interventi umani i cui effetti si ripercuotono a vari livelli. La
regimazione degli alvei, infatti, impedisce la naturale divagazione del cor-
so d’acqua che sta alla base della formazione dei meandri prima e delle
lanche in seguito. Non meno gravi sono gli effetti degli interventi di boni-
fica che hanno prematuramente soppresso questi ambienti per guadagna-
re gli ultimi lembi di campagna all’agricoltura. Infine questi ambienti,
anziché essere circondati da estese superfici boscate, sono inseriti in un
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Figura 6. Fasi evolutive di una lanca che ne illustrano il processo di interramento.
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contesto di sfruttamento intensivo del territorio e vedono spesso arrivare
i campi quasi fin sulle sponde; pertanto manca un bosco che si estenda ad
occupare lo spazio della lanca giunta al termine della sua evoluzione. An-
che gli interventi di gestione attiva, necessari affinché le poche lanche
superstiti non muoiano, rappresentano altrettante interruzioni dell’evo-luzione naturale. L’attuale stravolgimento dei cicli di formazione e scom-
parsa delle lanche le rende sempre più rare e preziose. Esse, insieme alle
altre zone umide minori, svolgono l’insostituibile funzione di serbatoi di
vita per l’intera pianura ed il loro valore in termini di biodiversità giusti-
fica interventi di gestione attiva volti a scongiurarne la definitiva scom-
parsa.
Altri aspetti preoccupanti riguardano la qualità delle acque, spesso
alterata dai residui di fertilizzanti e fitofarmaci provenienti dai coltivi
circostanti o dalla presenza di scarichi che stravolgono l’ecosistema con
un carico organico troppo grande per le capacità autodepurative della lanca.
A questi problemi si aggiunge il prelievo per scopi irrigui che impone va-
riazioni nel livello dell’acqua contrarie alle esigenze della vita in questi
ambienti. La salvaguardia delle lanche infine non può prescindere da quella
della vegetazione circostante. Più è esteso il bosco intorno ad esse maggio-
ri sono le potenzialità espresse da questi ambienti; la continuità tra zone
umide e foresta planiziale infatti, oltre a rappresentare la naturale suc-
cessione vegetazionale, crea le condizioni adatte alla vita di una gran quan-tità di specie. Purtroppo questa situazione riguarda ben pochi luoghi in
Lombardia dal momento che, nella maggioranza dei casi, questi territori
sono stati quasi interamente occupati dai campi e, intorno all’invaso, non
sono rimasti che boschetti di pochi ettari.
Flora delle lanche. La varietà della componente vegetale nella lanca è
sorprendente ed è possibile grazie all’esistenza, entro pochi metri, di si-
tuazioni ambientali differenti. Andando dal centro della lanca verso la
riva, il popolamento vegetale muta secondo un modello di zonazione, illu-strato brevemente di seguito. La descrizione dedicata alle fitocenosi della
lanca non vuole essere esaustiva del numero di specie presenti, ma piutto-
sto, attraverso la presentazione di alcune tra le specie più tipiche, dare
un’idea della ricchezza dei microhabitat che caratterizzano questi luoghi.
Nella parte centrale, dove lo specchio d’acqua è libero e la lanca è più
profonda, si possono trovare una zona a vegetazione interamente som-
mersa, che forma il potameto, solitamente seguita da piante che, pur an-
corate al fondo, espongono le foglie ed i fiori sulla superficie dell’acqua;
queste ultime costituiscono il lamineto (Fig. 7). Tra la vegetazione som-
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mersa, le specie più comuni sono i miriofilli (Myriophyllum spicatum e
Myriophyllum verticillatum), il ceratofillo (Ceratophyllum demersum), l’er-
ba tinca ( Potamogeton lucens), la peste d’acqua (con questo nome si indi-
cano comunemente due specie Lagarosiphon major ed Elodea densa) e la
ranocchia minore (Najas minor). Queste piante sono caratterizzate da fu-sti lunghi completamente sommersi che, per abbondanza, formano spesso
lussureggianti praterie subacquee. La vita sottacqua è resa possibile da
spiccati adattamenti per captare luce ed ossigeno come l’assenza di spesse
cuticole o la suddivisione delle fronde in filamenti sottili che massimizzano
la superficie assorbente. L’unica parte di queste piante che si eleva in
modo effimero al di sopra della superficie dell’acqua sono i fiori, solita-
mente poco vistosi, che diffondono, attraverso l’acqua o il vento, prima il
polline e successivamente i frutti. Le specie che caratterizzano il potameto
non si trovano mescolate tra loro ma generalmente si assiste, a seconda
dei casi, alla dominanza di una singola specie, quella che, trovate le condi-
zioni ad essa più favorevoli, riesce ad imporsi sulle altre. Fanno eccezione
il ceratofillo e l’erba tinca che spesso si trovano in associazione.
Gli esponenti più diffusi del lamineto sono l’universalmente nota nin-
fea bianca (Nymphaea alba), il nannufero (Nuphar luteum) ed il
limnantemio (Nymphoides peltata), questi ultimi caratterizzati da fiori di
discrete dimensioni dalle corolle giallo vivo. La struttura di queste piante
è molto simile, ed insieme ai fiori vengono esposte sulla superficie dell’ac-qua le foglie, ampie lamine tondeggianti e cuoriformi collegate al fusto da
lunghi piccioli. In inverno sopravvivono solo i fusti adagiati sul fondo e
parzialmente sommersi dai sedimenti; qui la temperatura non scende mai
sotto lo zero e, non appena le condizioni ambientali lo consentono, spunta-
no le nuove foglie che, a poco a poco, guadagnano la superficie.
Esistono poi altre specie natanti che costituiscono il lemneto e che, a
differenza delle precedenti, galleggiano liberamente senza alcun vincolo
con il fondo. La più diffusa è sicuramente la lenticchia d’acqua, nome sotto
il quale ricadono una piccola felce (Spirodela polyrrhiza) e diverse specieappartenenti al genere Lemna; queste ultime sono piante dalla struttura
assai semplificata costituite da una sola fogliolina tondeggiante da cui si
diparte una piccola radichetta; le fronde si riproducono per gemmazione
dando origine a piccoli aggregati di foglioline unite tra loro. Abbastanza
diffuso è anche il morso di rana (Hydrocaris morsus-ranae) pianta dalla
struttura più complessa e di dimensioni sicuramente maggiori che, al
momento della fioritura, mostra fiori bianchi a tre petali. La strategia
utilizzata da queste specie per affrontare i rigori dell’inverno è molto si-
mile; esse infatti entrano in una fase di quiescenza e si lasciano cadere sul
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fondo dove la temperatura è più alta rispetto alla superficie che presto si
ricopre di una crosta di ghiaccio.
Una specie dalle caratteristiche intermedie tra quelle appartenenti
al lamineto e al lemneto è la castagna d’acqua (Trapa natans); essa si
sviluppa come pianta sommersa ma, al momento della fioritura, invia verso
la superficie dell’acqua rosette di foglie che galleggiano liberamente e por-
Figura 7 . Una lanca in una fase precoce della sua evoluzione. Il canneto è limitato allesponde e gran parte della superficie è occupata da vegetazione appartenente al lamineto.
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Figura 8. Stadio evolutivo avanzato di una lanca. Il canneto ne invade quasi completa-mente il bacino.
tano i fiori. Sia la lenticchia d’acqua che il morso di rana sono general-
mente assenti nelle prime fasi di vita del lago di meandro; essi compaiono
nella parte che per prima interrompe i rapporti con il fiume, dove l’acqua
è quasi stagnante, e si diffondono ovunque inserendosi anche tra gli spazi
lasciati liberi dalla folta vegetazione che colonizza le sponde. Qui tipica-mente si trovano le tife o mazzesorde (Typha latifolia e Typha angustifolia)
e la cannuccia di palude ( Phragmites australis) che formano popolamenti
puri o, più raramente, associati tra loro; in questo secondo caso la cannuc-
cia tende ad occupare la fascia più a riva data la sua capacità di colonizza-
re terreni che, in seguito alle oscillazioni del livello dell’acqua, possono
saltuariamente rimanere emersi.
Tifeto e canneto producono grandi quantità di materiale organico e
sono pertanto tra i maggiori responsabili dell’innalzamento del fondo. Cre-
scono fitti in acque ricche di nutrienti, basse e che si scaldano rapidamen-
te. Queste condizioni inizialmente si riscontrano solo lungo le rive della
lanca ed in particolare nel braccio a monte, quello che per primo ha inter-
rotto i rapporti con il fiume e dove l’acqua e più ferma. Man mano che
aumenta il processo d’interramento le condizioni favorevoli a queste for-
me vegetali aumentano ed esse finiscono per ricoprire l’intera superficie
della morta (Fig. 8).
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Sul suolo intriso di acqua che si trova alle spalle del canneto si esten-
de una fascia dominata dai grandi carici. Le essenze appartenenti al ge-
nere Carex sono più basse rispetto al canneto e fungono da legame tra la
zona più strettamente legata all’acqua e quella più arretrata.
Inframmezzate a canneto e cariceto compaiono specie quali l’iris giallo(Iris pseudacorus), alcuni poligoni ( Polygonum spp), la salcerella (Lythrum
salicaria) ed il campanellino estivo (Leucojum aestivum). Anche in questo
caso l’ampiezza della bordura esterna varia a seconda dell’età della lanca
e si fa sempre più consistente in proporzione al grado di interramento. Il
suolo che si viene via via formando si presenta marcatamente nitrofilo in
accordo con le preferenze di queste specie cui spesso si aggiunge anche
l’ortica (Urtica dioica). A questo livello del percorso di affrancamento dal-
l’acqua, ove sussistono sufficienti condizioni di naturalità, si incontrano le
prime piante a fusto legnoso, tipicamente saliconi (Salix purpurea, S.
fragilis, S.cinerea), e, procedendo a ritroso, salici bianchi (Salix alba) ed
ontani ( Alnus glutinosa) essenze tipiche di terreni molto umidi che posso-
no tollerare periodi di allagamento.
Fauna delle lanche. La lanca pullula di specie animali, dagli uccelli
agli invertebrati, legati alle acque ferme ed alle piante che in esse si tro-
vano. Il risultato dell’intreccio di rapporti tra queste componenti è uno
degli ecosistemi più ricchi e complessi che la pianura sappia produrre, ilcui valore aumenta a dismisura se si considera il contesto di banalizzazione
del territorio in cui queste vere e proprie oasi sono inserite.
Tra i pesci, sono presenti specie tipiche degli ambienti a fondo limoso
ed acque lente, che trovano rifugio e nutrimento tra le folte fronde della
vegetazione sommersa. Tra le più comuni vi sono carpe (Cyprinus carpio),
tinche (Tinca tinca), carassi (Carassius carassius), scardole (Scardinius
erythrophtalmus) e lucci (Esox lucius). Le comunità ittiche maggiormente
diversificate si trovano specialmente nelle lanche relativamente giovani,
dove ancora è aperto il collegamento con il fiume o che sono comunquecaratterizzate da profondità ed estensione adeguate. Questi ambienti non
sono immuni alla contaminazione delle specie alloctone, immesse in pas-
sato per la pesca e che in alcuni casi per voracità e capacità di adattamen-
to si sono diffuse a macchia d’olio rompendo i delicati equilibri autoctoni.
Esempi assai noti sono la carpa erbivora (Ctenopharingodon idellus), il
pesce gatto (Ictalurus melas), il siluro (Silurus glanis), il lucioperca (Sander
lucioperca).
L’ornitofauna è di particolare rilevanza in questi ambienti; i laghi di
meandro rappresentano infatti l’habitat riproduttivo ottimale di molte spe-
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cie e si rivelano un punto di sosta indispensabile a molti uccelli durante la
migrazione. Alcune specie sfruttano questi ambienti anche nei mesi fred-
di come luoghi di svernamento. Qui essi trovano abbondanza di cibo e una
vegetazione sufficientemente fitta che garantisca adeguata protezione. Le
fasce del canneto e del cariceto sono popolatissime; nell’impenetrabilebarriera formata da tifa e cannuccia di palude si ritirano la cannaiola
( Acrocephalus scirpaceus) , la cannaiola verdognola ( Acrocephalus palustris )
ed il cannareccione ( Acrocephalus arundinaceus ) tutti uccelli dalle dimen-
sioni ridotte, abbastanza simili tra loro, la cui presenza è rilevabile delle
potenti e vivaci emissioni canore. Nei canneti delle zone palustri ben con-
servate è possibile udire il caratteristico “ronzio” della salciaiola (Locustella
luscinioides); è proprio il canto infatti che in campagna permette di di-
stinguerla da cannaiola e cannareccione. Tra le canne nidificano anche il
tarabusino (Ixobrychus minutus) (Fig. 9) ed a volte il raro tarabuso
( Botaurus stellaris), gli unici due ardeidi italiani che non hanno abitudini
coloniali. Sempre a proposito di ardeidi è bene sottolineare che spesso le
lanche in buone condizioni di naturalità e con una fascia di vegetazione
sufficientemente ampia a saliconi ed ontano presentano caratteristiche
idonee all’insediamento delle garzaie; tali argomenti saranno diffusamente
trattati nel capitolo ad esse dedicato. Il canneto e il cariceto sono eletti a
dimora anche dal timido porciglione (Rallus aquaticus), un rallide così
chiamato per il verso sgraziato che ricorda il grugnito di un maiale. Tra lafitta vegetazione alle spalle del canneto sono relativamente comuni i
pendolini (Remiz pendulinus) anch’essi piuttosto elusivi, ma di cui non è
infrequente scorgere i nidi: curiosi sacchetti di filamenti vegetali intrec-
ciati che vengono appesi ai rami degli arbusti. Tra la vegetazione delle
rive risuona con insistenza il canto dell’usignolo di palude (Cettia cetti) e
si può intravedere il capo nero del migliarino di palude (Emberiza
schoeniclus) mentre sosta aggrappato al fusto di una tifa. Più legate allo
specchio d’acqua sono folaga (Fulica atra) e gallinella d’acqua (Gallinula
chloropus) specie molto comuni che è facile veder nuotare o camminareagilmente sulle foglie di ninfee e nannuferi. Tra gli abitanti della lanca è
possibile annoverare anche il tuffetto ( Podiceps ruficollis), più raro delle
due specie precedenti che, come queste, costruisce il nido ammassando
sull’acqua detriti vegetali fino a costituire una sorta di piattaforma par-
zialmente ancorata al bordo del canneto o alla vegetazione galleggiante
(Fig. 10). Anche le anatre sono frequenti ospiti delle lanche e degli am-
bienti agricoli limitrofi; alcune specie come alzavola ( Anas crecca) e
moriglione ( Aythya ferina) utilizzano questi ambienti non solo come pun-
to di sosta durante le migrazioni, ma come luogo in cui nidificare o tra-
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Figura 10. Tuffetto Podiceps ruficollis.
Figura 9. Tarabusino Ixobrychus minutus.
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scorrere l’inverno. Le sponde dolcemente digradanti unite alla profondità
delle acque (nei punti centrali di lanche ancora lontane dall’interramen-
to) consentono la presenza di specie tuffatrici come il moriglione ( Aythya
ferina) e la moretta ( Aythya fuligula) insieme a specie di superficie, che si
alimentano sulle sponde dove allungano il collo sott’acqua per raggiunge-re le erbe disponibili. Di queste ultime fanno parte l’alzavola ( Anas crecca)
e il piu’ comune germano reale ( Anas platyrhynchos). Infine in questi
ambienti, specialmente se di una certa estensione, non è difficile avvistare
l’elegante sagoma del falco di palude (Circus aeruginosus) in caccia.
Quando si trovano in buono stato di conservazione, le lanche e la fa-
scia di vegetazione circostante si prestano ad ospitare diverse specie di
anfibi e rettili. La presenza di acque ferme o debolmente correnti è indi-
spensabile al completamento del ciclo vitale degli anfibi che vivono nelle
zone planiziali; anche quelli meno legati all’acqua infatti ne hanno biso-
gno al momento della deposizione delle uova che, se esposte all’aria, si
disidratano.
Oltre alle cosmopolite rane verdi (Rana lessonae e Rana esculenta) si
possono incontrare il tritone crestato (Triturus crestatus carnifex ), che in
acqua passa la maggior parte della vita ed il più raro tritone punteggiato
(Triturus vulgaris meridionalis). Il numero di uova e larve degli anfibi
può risentire pesantemente della predazione dei pesci, pertanto gli adulti
ricercano ambienti ricchi di vegetazione sommersa cui ancorare le uova,ma non eccessivamente ampi e profondi. Queste caratteristiche si riscon-
trano nelle lanche di dimensioni minori ed in cui il processo di interra-
mento è già in stato avanzato. Spesso le femmine scelgono per la deposi-
zione fossi di scolo inseriti nella rete idrica rurale dove però le ampie oscil-
lazioni del livello dell’acqua rischiano di lasciare le uova scoperte. E’ nelle
acque tranquille di paludi ben conservate che si collocano gli ultimi siti
riproduttivi del pelobate fosco ( Pelobates fuscus), un piccolo rospo endemico
della pianura padana a rischio di estinzione proprio a causa della scom-
parsa e della compromissione delle zone umide minori.Per quanto riguarda i rettili, questi ambienti sono frequentati sia dalla
biscia d’acqua (Natrix natrix ), che dalla ben più rara biscia tassellata
(Natrix tassellata), entrambe abili nuotatrici che si muovono anche
sott’acqua alla ricerca di prede, in particolare larve e adulti di anfibi la
prima e pesci la seconda. Tali distinte preferenze alimentari permettono
loro di coesistere negli stessi ambienti senza interferenze competitive. Le
lanche costituiscono gli ultimi rifugi per un altro rettile divenuto un sim-
bolo della compromissione degli ambienti naturali, la testuggine palustre
(Emys orbicularis), fino ad alcune decine di anni fa assai comune in tutta
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la pianura padana. Purtroppo è oggi assai più frequente l’incontro con
un’altra tartaruga d’acqua la Trachemys scripta, originaria dell’America
settentrionale e predatore assai vorace. Si tratta della tartaruga in asso-
luto più venduta dai negozi di animali facilmente riconoscibile per il corpo
striato di giallo e le orecchie rosse. I piccoli di questa specie vengono ac-quistati quando sono lunghi 5 o 6 centimetri, ma, se riescono sopravvivere
agli spazi angusti in cui vengono allevati, crescono rapidamente fino a
trasformarsi in ospiti scomodi e ingombranti di cui i padroni si disfano
liberandoli in natura. L’immissione di questa specie alloctona rappresen-
ta un errore in quanto, per le caratteristiche di voracità e resistenza, ha
costituito un ulteriore elemento di squilibrio a carico dell’ambiente ed ha
peggiorato la già precaria situazione della specie locale.
Difficilmente si riuscirebbe ad avere un’idea della reale ricchezza del-
le forme di vita di una lanca se non si dedicasse almeno un cenno alle
migliaia di invertebrati che ne popolano le acque e le sponde. In acqua
trascorrono tutta la vita piccoli crostacei, molluschi e anellidi; molti inset-
ti inoltre durante la vita larvale sono legati all’acqua da cui escono in
seguito alla metamorfosi che ne cambia radicalmente l’aspetto, le abitudi-
ni alimentari e gli ambienti frequentati. Molti ditteri hanno un ciclo vita-
le parzialmente acquatico; tra i più noti vi sono i simulidi ed i culicidi,
questi ultimi da adulti non sono altro che le tanto odiate zanzare, spesso
così abbondanti da rendere le lanche praticamente inavvicinabili da chinon è adeguatamente protetto. Ma forse l’esempio più noto è costituito
dalle libellule (odonati) di cui le acque ferme della lanca costituiscono il
regno. Comuni sono i coleotteri acquatici (ditiscidi, aliplidi e girinidi) in
cui anche gli adulti presentano spiccati adattamenti al nuoto ed alla vita
subacquea, rinvenibili nella forma idrodinamica del corpo e nelle zampe
posteriori trasformate in potenti pagaie. L’assunzione dell’ossigeno avvie-
ne dall’aria, trattenuta in bolle che rimangono attaccate al corpo durante
il nuoto. Anche i gerridi (emitteri) sono abitanti tipici delle lanche e, scivo-
lando sospesi sulle lunghe zampe, utilizzano la superficie dell’acqua comeun enorme pista di pattinaggio.
Le modalità di alimentazione di questo microcosmo sono le più sva-
riate e si incontrano organismi fitofagi (i molluschi gasteropodi apparte-
nenti alla famiglia dei Neritidae o i coleotteri aliplidi), detritivori
(efemerotteri del genere Caenis), filtratori (come i molluschi bivalvi ap-
partenenti al genere Unio o i ditteri simulidi), ma anche voraci predatori
(quali adulti e larve di libellule, ed i coleotteri ditiscidi).
Può capitare inoltre che nelle lanche si verifichino periodiche fioriture
di una piccola medusa dulciacquicola la Craspedacusta sowerbyi la cui
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presenza è documentata in una lanca nei pressi di Pavia.
Le popolazioni di invertebrati costituiscono la fonte di cibo per anfibi
e pesci svolgendo un ruolo fondamentale per il sostentamento dei consu-
matori primari e secondari che popolano l’intero ecosistema della lanca.
Laghi di rotta fluviale o “bodri”
Genesi e struttura dei laghi di rotta fluviale. Si tratta di raccolte di
acqua ferma più o meno estese (dai 20 ai 100 m di diametro) di forma
approssimativamente circolare che, lungo la bassa pianura padana, co-
stellano l’area golenale del Po e dei suoi affluenti più a valle. I laghi di
rotta fluviale sono elementi che storicamente caratterizzano il paesaggio
planiziale lombardo (province di Lodi, Cremona e Mantova), emiliano e
veneto. Essi costituiscono una delle più forti testimonianze del dialogo tra
fiumi e pianura e segnalano l’area di influenza del fiume nel corso delle
mille divagazioni cui è soggetto nel tempo. In ciascuna provincia è stato
loro attribuito un nome dialettale e, per quanto riguarda il territorio lom-
bardo, sono noti come “bodri” o “foponi” nella zona del lodigiano e del
cremonese e come “bugni” nel mantovano. L’origine di questi piccoli laghi
si pone in corrispondenza di piene eccezionali, quando l’enorme carico di
acqua portato dal fiume supera o sfonda gli argini. In queste occasionisubito oltre l’argine o, più raramente, a cavallo di esso si creano dei moti
vorticosi, il cui asse è perpendicolare al piano di campagna, che letteral-
mente trapanano per svariati metri il suolo creando fosse di sezione
subconica (Fig. 11 a). Quando le acque si ritirano, a testimonianza della
piena, restano queste enormi pozze di acqua ferma profonde in alcuni casi
fino a 15 metri, isolate dal fiume, ma in comunicazione con la falda
sottostante che è stata intercettata durante l’azione erosiva esercitata dal
vortice (Fig. 11 b); un lento, ma continuo, ricambio di acqua è quindi assi-
curato dagli apporti della falda. La formazione dei laghi di rotta fluviale èpossibile anche grazie alla scarsa resistenza opposta dal suolo costituito
in prevalenza da sedimenti sabbiosi.
Evoluzione. Come gli altri ambienti caratterizzati da acque ferme il de-
stino ultimo dei bodri è l’interramento. Il processo è assai lento e, almeno
inizialmente, ostacolato dalla pendenza delle rive che si mantengono rela-
tivamente libere dal canneto, il principale responsabile della produzione
dei detriti vegetali che si depositano sul fondo del bacino e ne determina-
no la progressiva chiusura. A poco a poco i bodri si trasformano; come
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avviene anche per le lanche, il fondo si innalza fino ad interrompere i
rapporti con la falda e la vegetazione di ripa si chiude fino a coprire l’inte-
ra superficie del laghetto. A seguito delle massicce opere di regimazione
delle acque, gli eventi di formazione di nuovi laghi di rotta fluviale sono
sempre più rari. Gli ultimi si sono formati con le alluvioni del 1994 e del2000, ma la maggior parte di essi è stata subito richiusa con mezzi mecca-
nici senza che i processi evolutivi sopra descritti potessero avviarsi. Appa-
re quindi chiaro che il naturale ricambio di questi laghetti attualmente
non si verifica e che i pochi rimasti sono per ciò ancora più fragili e preziosi.
Figura 11 b). Il “bodri” di Torricella del Pizzo (CR) così come appariva poco dopo la suaformazione, in seguito alla piena del 1994.
Figura 11 a). Fasi della nascita di un lago di rotta fluviale.
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Struttura tipica. I laghi di rotta fluviale sono in genere abbastanza
profondi, di aspetto tondeggiante ed hanno rive molto ripide; queste ca-
ratteristiche sono direttamente riconducibili alla loro origine e permetto-
no di distinguerli con facilità dalle lanche. Queste ultime infatti si carat-
terizzano per forma arcuata, profondità minore e sponde dolcementedigradanti. In stretta connessione con gli eventi che li hanno originati,
molti bodri si trovano a ridosso degli argini, che a volte sono stati rimodellati
in modo da comprenderli al proprio interno. Il collegamento con la falda
assicura che il livello piezometrico, a parte le oscillazioni stagionali, sia
relativamente stabile; in tal modo l’acqua è presente costantemente ed in
quantità compatibili con le esigenze vitali degli organismi ospitati.
La pendenza delle rive mal si concilia con l’attecchimento delle
macrofite emergenti e di conseguenza la bordura interna è assai ridotta.
Incastonati in una campagna intensamente coltivata, i bodri possono con-
tare su una esilissima corona di alberi e arbusti oltre la quale hanno subi-
to inizio i campi (Fig. 12). Osservando il panorama della pianura, questi
piccoli elementi di discontinuità risaltano subito per le condizioni di isola-
mento in cui si trovano; la maggior parte di essi infatti è irraggiungibile
da parte della fauna che ha difficoltà di spostamento e, di conseguenza, le
potenzialità di arricchimento della biodiversità si realizzano solo in parte.
Figura 12. Forma dei bodri e distribuzione della vegetazione.
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Problemi di conservazione. Pochissimi bodri si conservano ancora allo
stato naturale. La maggior parte è tradizionalmente utilizzata come baci-
no idrico cui attingere per l’irrigazione dei campi circostanti. Il regolare
emungimento facilita il ricambio idrico al loro interno poiché la quantità
di acqua sottratta crea una depressione che ne richiama una ugual quan-tità dalla falda. Talvolta questi laghetti vengono impiegati per la pesca
sportiva. Se da un lato quest’utilizzo ne ha salvati molti dalla bonifica,
una gestione finalizzata alla pesca sportiva ha dato spazio esclusivamen-
te alle esigenze connesse a quest’utilizzo, che purtroppo raramente coinci-
dono con quelle di una gestione orientata in senso naturalistico. L’intro-
duzione di elevate quantità di pesci appartenenti a specie esotiche si è
spesso rivelata incompatibile con l’instaurarsi di equilibri articolati, ba-
sati sulla presenza di una molteplicità di organismi legati da rapporti
trofici su più livelli. Grandi quantità di pesci, tra cui figurano molti voraci
predatori, incidono negativamente sulle popolazioni dei pochi anfibi che
scelgono questi specchi d’acqua per la deposizione. Inoltre, il taglio rego-
lare della vegetazione sulle sponde per facilitare l’accesso all’acqua può
danneggiare gli organismi che vi trovano un ambiente adatto per riparar-
si o deporre le uova. E’ pertanto auspicabile che in futuro si cerchi
quantomeno di conciliare le esigenze di utilizzo con quelle di una gestione
che ne valorizzi gli aspetti naturalistici, in modo da creare le condizioni
adatte all’insediamento del maggior numero possibile di specie, preferi-bilmente autoctone.
Nei casi peggiori queste preziose raccolte d’acqua sono state trasfor-
mate in discariche dei materiali più svariati oppure cancellate da inter-
venti di bonifica attuati prescindendo dalla valutazione dell’importanza
naturalistica di questi ecosistemi. A questi problemi si aggiungano quelli
comuni anche alle lanche quali il peggioramento della qualità delle acque
a causa della presenza di quantità crescenti di concimi e fitofarmaci dilavati
dalla campagna circostante nella falda o direttamente nell’acqua.
Infine la generalizzata tendenza all’abbassamento delle falde, che da qual-che anno a questa parte si registra in pianura, ha interessato anche i
bodri. La diminuzione delle acque al loro interno al di sotto della quantità
minima necessaria a mantenere integro l’ecosistema, ha messo a rischio
l’esistenza di alcuni di essi.
Flora dei bodri. Vi sono somiglianze fortissime tra la flora tipica dei
laghi di rotta fluviale e quella delle lanche. Le differenze sono ascrivibili
alla diversa sezione del bacino che nei bodri presenta pareti ripide e può
essere anche molto profondo. Tali differenze tendono in ogni caso ad atte-
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nuarsi nelle fasi più avanzate del processo di interramento, quando il lago
di rotta fluviale mantiene la forma tipicamente circolare, ma la sezione si
avvicina sempre più a quella tipica della lanca.
In genere l’area in cui il fondo raggiunge le profondità maggiori resta
libera dalla vegetazione in quanto le piante sommerse non avrebbero lucea sufficienza e quelle che espongono le foglie sulla superficie dell’acqua
avrebbero bisogno di strutture troppo lunghe per collegarsi con il fusto
radicato sul fondo. Le piante appartenenti al potameto, cioè le piante som-
merse, possono essere anche molto abbondanti; le più comuni sono il
miriofillo (Myriophyllum spicatum) e la lingua d’acqua ( Potamogeton
natans) cui si possono aggiungere la peste d’acqua armata (Lagarosiphon
major) e, più raramente, l’erba vescicaria (Utricularia vulgaris).
Nel lamineto spiccano i grandi fiori bianchi della Ninfea alba e quelli
più piccoli, giallo intenso del nannufero (Nuphar luteum) e del limnantemio
(Nimphoides peltata). Le piante liberamente natanti appartenenti al
lemneto sono rappresentate da Lemna minor e Spirodela polyrrhiza e pos-
sono diffondersi su gran parte delle superficie fino a trasformarla in un
tappeto verde brillante. Altre essenze adattate alla vita sull’acqua, già
citate nella parte dedicata alle lanche, sono il morso di rana (Hydrocharis
morsus ranae) e la castagna d’acqua (Trapa natans).
Le piante acquatiche emergenti (Typha latifolia e Phragmites
australis), che costituiscono la bordura interna sono assai scarse, se nondel tutto assenti, a causa della già citata ripidezza delle sponde che ne
ostacola l’insediamento. Tra tife e cannucce di palude trovano spesso spa-
zio altre essenze quali la piantaggine d’acqua ( Alisma plantago aquatica),
il giunco fiorito ( Butomus umbellatus), la veronica d’acqua (Veronica
anagallis aquatica), il coltellaccio (Sparganium erectum), ecc.
Lungo i margini, affacciata allo specchio d’acqua, vi è una ricca bor-
dura esterna in cui spiccano la canapa d’acqua (Eupatorium cannabinum),
la salcerella (Lythrum salicaria), l’iris giallo (Iris pseudacorus), il pepe
d’acqua ( Polygonum hydropiper), il campanellino estivo (Leucojumaestivum).
Sul perimetro dei bodri, spesso si trova una corona di alberi ed arbu-
sti profonda solo pochi metri, a sviluppo discontinuo, composta nella mag-
gior parte dei casi da specie alloctone più o meno acclimatate quali robinie
(Robinia pseudacacia), ailanto ( Ailanthus altissima ), pioppo euroamericano
( Populus canadensis) che riflettono lo stato di compromissione della vege-
tazione nella campagna circostante. In questa fascia tuttavia può esserci
ancora spazio per i rappresentanti più tipici della vegetazione planiziale
come farnia (Quercus robur), acero campestre ( Acer campestris), ontano
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nero ( Alnus glutinosa), pioppo bianco ( Populus alba).
Qui trova condizioni favorevoli il rovo (Rubus ulmifolius) che si dif-
fonde rapidamente anche grazie alla conformazione di questi anelli di ve-
getazione il cui aspetto nastriforme privilegia lo sviluppo di specie asso-
ciate a condizioni di margine. Intorno ai bodri meglio conservati si trova-no anche arbusti quali sanguinello (Cornus sanguinea), biancospino
(Crataegus monogyna), prugnolo ( Prunus spinosa), pallon di neve
(Viburnum opulus).
La vegetazione perimetrale, incalzata dai campi, non riesce a svilup-
parsi in bosco e non offre in genere spunti di particolare interesse. La sua
funzione è tuttavia assai importante in quanto in una campagna dove la
vegetazione spontanea è quasi inesistente, queste ridotte presenze contri-
buiscono comunque alla valorizzazione dello specchio d’acqua, che potrà
così ospitare una fauna più ricca (Fig. 13).
Figura 13. Un lago di rotta fluviale nel suo tipico aspetto; la parte centrale, a causa della
profondità dell’acqua resta libera dalla vegetazione. Si notino i campi che arrivano finquasi sulle sponde.
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Fauna dei bodri. I bodri sono piccole zone umide naturali immerse tra
la monotonia dei coltivi. Il limite maggiore di queste piccole oasi è il già
citato isolamento che si ripercuote sia sui popolamenti faunistici, sia, più
in generale, sulla valenza naturalistica delle aree stesse. La mancanza di
collegamenti con altri siti ad elevata naturalità fa sì che i laghi di rottafluviale, di per sé adatti all’insediamento di specie anche molto esigenti
dal punto di vista ecologico, rimangano di fatto fruibili soltanto da parte
di specie che non hanno problemi di spostamento o che non necessitano di
superfici estese. Tra i vertebrati i più avvantaggiati vi sono sicuramente
gli uccelli che risultano tra gli ospiti di spicco. Sulla vegetazione arborea
ed arbustiva dei i bordi possono trovare un ambiente adatto alla
nidificazione il pendolino (Remiz pendulinus) e, a patto che ci siano alberi
maturi e ricchi di cavità, la cinciarella ( Parus caeruleus) e la cinciallegra
( Parus major). L’abbondanza di arbusti, favorita dall’effetto margine tipi-
co dell’esile anello di vegetazione che circonda l’acqua è apprezzata da
specie che solitamente frequentano le zone di ecotono tra bosco e campa-
gna o le siepi di confine tra i campi. Tra queste è possibile citare la capinera
(Sylvia atricapilla), l’usignolo di fiume (Cettia cetti) o il comunissimo mer-
lo (Turdus merula). Lo specchio d’acqua è frequentato invece da gallinella
d’acqua (Gallinula chloropus), folaga (Fulica atra) e germano reale ( Anas
platyrhynchos), che non di rado vi trovano tranquillità sufficiente per
nidificare. Molti altri uccelli frequentano questi ambienti come luoghi dialimentazione, di sosta, o di svernamento. E’ abbastanza comune che gli
Aironi cenerini ( Ardea cinerea) si appostino pazienti sulle sponde in atte-
sa di catturare qualche preda; mentre, nel periodo delle migrazioni, vi si
possono incontrare svariate specie di passo, per lo più anatidi.
Dove il canneto è riuscito a svilupparsi si insediano piccoli silvidi di
palude, come la cannaiola verdognola ( Acrocephalus palustris) e, più ra-
ramente, il cannareccione ( Acrocephalus arundinaceus) che si rendono ma-
nifesti attraverso un’intensa e potente attività canora. Si tratta di uccelli
comuni anche nei vasti canneti sulle rive delle lanche che tuttavia sannoaccontentarsi anche delle minori dimensioni raggiunte da questi ambien-
ti nei bodri.
Anfibi e rettili, che notoriamente si spostano con meno facilità rispet-
to agli uccelli, soffrono maggiormente gli effetti dell’isolamento di queste
aree. Inoltre le sponde ripide e le acque profonde, spesso ricche di pesci,
sono poco adatte alla deposizione delle uova di anfibi; di conseguenza, tali
stagni risultano abitati quasi esclusivamente dalle specie più comuni (Rana
esculenta e Rana lessonae). Un’ importante azione di collegamento viene
svolta dalle piene fluviali che periodicamente raggiungono queste raccol-
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te d’acqua portando con sé, oltre ai pesci, anche altri animali come la sem-
pre più rara tartaruga palustre (Emys orbicularis) (Fig. 14). L’ittiofauna è
molto simile a quella descritta per le lanche e caratterizzata da specie
tipiche delle acque ferme e scarsamente ossigenate, molte delle quali non
appartengono alla fauna locale, ma sono state introdotte per la pesca.La ricchezza degli invertebrati acquatici ricorda quella descritta a
proposito delle lanche, e conta numerosi insetti, alcuni legati all’acqua
per tutta la vita ed altri durante la sola fase larvale, cui si aggiunge una
nutrita comunità di anellidi e molluschi.
Anche in questi ambienti, come già evidenziato per le lanche, è stato
segnalato l’interessante ritrovamento, di una colonia di meduse
dulciacquicole (Craspedacusta sowerbyi) probabilmente insediatasi in se-
guito ad una piena fluviale.
Figura 14. Testuggine palustre Emys orbicularis.
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I fontanili
Ambienti naturali o artificiali ? I fontanili o risorgive, caratterizzano
ampi settori della pianura padana e offrono l’occasione per l’instaurarsi di
nuclei di naturalità che accolgono particolari forme biologiche ed hannogrande pregio paesaggistico come elementi di rottura della monotonia
agricola della pianura. Eppure, quelli che oggi si distinguono come monu-
menti naturali, originariamente nacquero dall’azione dell’uomo sull’am-
biente e possono pertanto essere visti come punto d’incontro tra uomo e
natura.
Le particolari condizioni idrogeologiche della pianura padana, che stan-
no alla base della straordinaria abbondanza di acqua in queste terre, sono
l’indispensabile presupposto alla nascita dei fontanili, che possono essere
considerati il mezzo con cui l’uomo ha assecondato la naturale tendenza
dell’acqua ad affiorare in superficie, specialmente in corrispondenza dei
piccoli avvallamenti del terreno.
A Nord del Po la pianura è attraversata, dal Piemonte al Veneto, da
una zona di ampiezza variabile tra i 2 ed i 25 chilometri detta fascia delle
risorgive in cui la falda freatica decorre in prossimità del piano della cam-
pagna e tende naturalmente ad emergere. Tale fascia si colloca al passag-
gio tra alta e bassa pianura, che sono caratterizzate da differente struttu-
ra litostratigrafica e differente permeabilità all’acqua. Infatti, i depositialluvionali dell’alta pianura sono formati da elementi grossolani sciolti,
che facilitano il passaggio dell’acqua; parallelamente a questi, ma più in
basso, si collocano i depositi della bassa pianura costituiti invece da mate-
riali più fini, prevalentemente sabbiosi e argillosi che tendono invece a
rallentare fortemente, se non a fermare del tutto, lo scorrere dell’acqua.
Spostandosi da Nord a Sud la permeabilità del suolo si riduce e le acque
della falda, arricchitesi grazie agli apporti ricevuti in corrispondenza del-
la permeabile alta pianura, sono ostacolate dalla mutata struttura dei
sedimenti e tendono a salire verso la superficie topografica, fino ad affio-rare (Fig. 15).
Non si sa con precisione quando l’uomo diede vita ai primi fontanili,
ma già nel Medioevo gli abitanti della fascia delle risorgive avevano l’abi-
tudine di sfruttare il particolare comportamento della falda captando ed
incanalando l’acqua che spontaneamente si offriva sulla superficie del
suolo. Da uno scavo poco profondo, ma spesso ampio anche diversi metri,
e dal successivo convogliamento dell’acqua in un complesso sistema di
canali nacquero i fontanili propriamente detti.
Dal punto di vista strutturale un fontanile è composto dalla “testa”, l’area
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più o meno ampia scavata dall’uomo in cui si raccoglie l’acqua sorgiva, e
dall’“asta”, il piccolo canale in cui vengono indirizzate le acque. La forma
e le dimensioni della testa sono molto variabili. In genere si tratta di un
area ora tondeggiante, ora più allungata, ma sempre sensibilmente più
ampia dell’asta. All’interno della testa lo scavo è stato condotto in mododa intercettare la falda semiaffiorante fino a scendere poco sotto il livello
piezometrico. Sul fondo, per captare le vene di acqua sorgiva, anticamen-
te venivano piantati tini di quercia cui veniva tolto il fondo. In virtù della
differenza di pressione che si crea, l’acqua sgorga ribollendo e dà origine
alle polle o occhi del fontanile (Fig. 16). Oggi i tini sono stati interamente
sostituiti da cilindri di cemento dal diametro variabile e, in alcuni casi, da
lunghi tubi di ferro che consentono di raggiungere le vene di acqua più
profonde. Le pareti di tutte queste strutture di captazione presentano file
di fori che favoriscono il passaggio dell’acqua (Fig. 17).
I fontanili hanno svolto un ruolo centrale nel modellare il volto della cam-
pagna che li ospita; da un lato hanno drenato il suolo circostante che,
impregnato di acqua, presentava in ampie aree i connotati di una palude;
dall’altro hanno permesso lo sfruttamento ai fini agricoli di un’acqua dal-
le caratteristiche particolari grazie alla quale si sono diffuse le marcite,
particolari forme di produzione di foraggio che per secoli hanno caratte-
rizzato il paesaggio di queste terre.
Figura 15. L’estensione della fascia dei fontanili e delle risorgive nella pianura padana. E’
la differente composizione litostratigrafica tra alta e bassa pianura a determinare il feno-meno delle risorgive.
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Figura 16 . Polle di fontanile. In questo caso sono stati impiegati tubi metallici con estremi-tà “a pipa”.
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Le acque di risorgiva. L’acqua che sgorga dagli occhi del fontanile pro-
viene direttamente dalla falda e pertanto si presenta straordinariamente
limpida e con una temperatura relativamente costante durante tutto l’an-
no. La provenienza ipogea ha per lungo tempo assicurato l’assenza di in-
quinanti, ora peraltro non sempre garantita a causa della compromissione
di molte falde superficiali. La temperatura media di quest’acqua varia tra
i 10 ed i 16°
C e subisce oscillazioni assai limitate in quanto il suolo svolgeuna funzione protettiva rispetto alle variazioni superficiali. L’escursione
Figura 17 . Sezione trasversale di un fontanile. La spontanea tendenza dell’acqua ad affio-
rare viene assecondata piantando nel terreno tubi di cemento o di ferro che danno origine
alle polle.
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termica ha un andamento ciclico ritardato di due o tre mesi rispetto a
quello stagionale cui invece sono soggette le acque di superficie. Il calore
accumulato nel suolo durante l’estate si irradia lentamente all’acqua di
falda la cui temperatura registra i valori massimi in autunno; viceversa i
processi di raffreddamento sono successivi all’inverno e le temperatureminime sono tipiche del periodo primaverile.
Le oscillazioni stagionali delle portate riflettono l’andamento di fatto-
ri locali e climatici che generalmente determinano valori minimi in pri-
mavera e che successivamente si elevano in tarda estate e nel corso del-
l’autunno.
Le marcite. Nei mesi freddi l’acqua dei fontanili si presenta tiepida indi-
pendentemente dalle temperature raggiunte dall’ambiente esterno; que-
sta caratteristica ha consentito in passato l’allestimento delle marcite,
prati stabili irrigui il cui ciclo produttivo è prolungato fino a consentire
l’esecuzione di 7, 8 sfalci in un anno.
Non si hanno documenti circa i primi esperimenti di adozione di que-
sta particolare tipologia colturale probabilmente suggerita dall’osserva-
zione del fatto che la vegetazione intorno alle risorgive si manteneva ver-
de durante l’intero corso dell’anno. Le prime notizie certe sull’allestimen-
to sistematico di marcite riguardano i monaci cistercensi delle abbazie di
Chiaravalle e Morimondo. Tale pratica tuttavia non rimase confinata al-l’interno dei monasteri e, tra le fredde nebbie degli inverni padani, inizia-
rono a comparire sempre più spesso questi prati verdi il cui suolo non
ghiaccia mai. L’utilizzo delle marcite si estese più o meno in tutta la fascia
delle risorgive, ove cioè sussistevano le condizioni idonee, e raggiunse la
massima diffusione nel 1700 grazie alle riforme promosse in campo agra-
rio da Maria Teresa d’Austria. La disponibilità di foraggio fresco durante
tutto l’anno diede grande impulso all’allevamento del bestiame la cui tra-
dizione, se pur su basi completamente differenti, si conserva ancor oggi.
La marcita si mantiene grazie ad un complesso sistema idraulico ilcui schema classico prevede che l’acqua giunga attraverso il canale
irrigatore; questo scorre lungo il margine del prato e cede le acque ad una
serie di canaletti ciechi, ad esso perpendicolari, che si insinuano nella
marcita. Il campo che ospita questa straordinaria forma di coltivazione è
organizzato in una successione di piani inclinati posti a coppie, come gli
spioventi di un tetto. Sulla linea di incontro verso cui convergono, in alto,
due piani, corrono dei canaletti detti adaquatori; da essi l’acqua tracima
e, seguendo l’inclinazione del terreno, defluisce lateralmente fino a rag-
giungere i cavi di raccolta, detti coli. Questi ultimi confluiscono nel canale
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emissario ad essi perpendicolare e parallelo invece al canale irrigatore
(Fig. 18). Quando più prati marcitori si trovano vicini possono essere irri-
gati in serie ed in questo caso il canale emissario di una marcita funge da
irrigatore per la successiva.
Grazie a questo sistema il suolo viene ricoperto da un velo di acquatiepida che fluisce lentamente cedendo il proprio calore al terreno e con-
sentendo lo sviluppo del prato anche quando le temperature oscillano in-
torno allo zero (Fig. 19). Solitamente l’irrigazione viene fatta in modo
intermittente con una pausa che coincide con le ore di luce; nelle giornate
particolarmente fredde però, l’acqua scorre ininterrottamente in modo da
assicurare il mantenimento del suolo a temperature miti. In estate gene-
ralmente la marcita viene condotta come un qualsiasi prato stabile.
La rete di canali che supporta la marcita richiede frequenti interven-
ti di manutenzione lunghi e dispendiosi al cui costo si somma anche quello
dell’acqua. Sono proprio questi i principali motivi che hanno determinato
il declino delle marcite, non più redditizie in confronto alle moderne tecni-
che di alimentazione del bestiame.
Figura 18 . Schema di una marcita.
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L’enorme valore culturale e paesaggistico di queste pietre miliari del-
la storia dell’agricoltura in pianura padana è indubbio; esse tuttavia rive-
stono un importante ruolo anche dal punto di vista naturalistico in quan-
to ospitano una ricca comunità di invertebrati (crostacei, insetti, anellidi
ecc.) che costituiscono il nutrimento per molti altri animali. La presenza
delle marcite allevia i rigori invernali ad una grande quantità di uccelli
che le perlustrano in cerca di cibo. Pavoncelle, Aironi cenerini, Garzette,
Beccaccini ed altri ancora si osservano facilmente tra il verde delle poche
marcite superstiti, mentre cercano di placare la fame in uno dei periodi inassoluto più avari di cibo. Anche gli uccelli migratori trovano spesso nel
suolo umido delle marcite l’ambiente accogliente per una sosta.
Flora dei fontanili. Le particolari condizioni che si stabiliscono nel
fontanile determinano un ambiente favorevole all’instaurarsi di condizio-
ni vegetazionali e floristiche peculiari; qui la flora, stimolata dal perdura-
re di temperature miti anche nei mesi freddi, presenta un periodo
vegetativo esteso a tutto l’anno. L’acqua che sgorga limpida dalle polle è
in continuo movimento ed il fondo, almeno inizialmente, rimane libero da
Figura 19. Una delle poche marcite rimaste. Si notino il complesso sistema di canaletti ed
il terreno modellato in modo da formare una serie di piani inclinati.
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sedimenti fini; di conseguenza è favorito l’insediamento di una comunità
differente da quella che si incontra invece lungo l’asta, dove le condizioni
mutano rapidamente.
Il fontanile è un ambiente in rapida evoluzione; per mantenerlo atti-
vo sono necessarie azioni di manutenzione e spurgo relativamente fre-quenti, diversamente tenderà spontaneamente ad interrarsi. Il fondo, ini-
zialmente ghiaioso, si copre di detriti fini ed assume un aspetto fangoso;
le polle si intasano ed emettono quantità decrescenti di acqua che defluisce
sempre più lentamente nella testa, ora caratterizzata da un aspetto meno
limpido e globalmente stagnante. Periodiche azioni di spurgo compiute al
massimo ogni tre o quattro anni, interrompono questo processo e riporta-
no il fontanile allo stadio iniziale.
Il vivace movimento dell’acqua che si crea intorno alle polle risorgive
ne favorisce l’ossigenazione; qui si trovano il crescione (Nasturtium
officinale) e il falso crescione ( Apium nodiflorum), così chiamato per la
facilità con cui un occhio inesperto lo può confondere con la specie prece-
dente. Del crescione sono noti l’uso alimentare e le proprietà terapeutiche
dovute alla ricchezza di vitamina A e soprattutto C. Le due piante si di-
stinguono per la forma dei fiori, a cinque petali e raccolti in piccole
infiorescenze ad ombrello nel falso crescione, a quattro petali e organizza-
ti in cime nel crescione vero e proprio. I frutti sono assai differenti, nel
primo sono piccoli, ovali e raccolti in ombrelli; nel secondo invece compaio-no silique allungate in cui si intuiscono i semi disposti in fila. Queste spe-
cie crescono assai rapidamente fino a diffondersi in tutta la testa del
fontanile e caratterizzano con la propria presenza l’intero popolamento
vegetale fino a costituire, in certi casi, le uniche essenze presenti. Soven-
te, ad essi si accompagnano la menta d’acqua (Mentha aquatica), che in
primavera si ricopre di delicate infiorescenze rosate, e la Veronica anagallis-
aquatica, dalle tipiche spighe di piccoli fiori azzurro-biancastri. Queste
piante formano l’associazione dell’Helosciadetum, che viene presentata
come tipica dei fontanili, sebbene in provincia di Cremona sia stata se-gnalata la presenza della sedanina d’acqua ( Berula erecta), che tende a
sostituire Apium nodiflorum. Tipiche delle sponde sono invece essenze
appartenenti al genere Poligonum, ed altre tra cui il non ti scordar di me
(Myosotis scorpyoides), la cardamine amara (Cardamine amara) e l’orchi-
dea selvatica Listera ovata.
Se le operazioni di spurgo sono rare, dopo circa tre o quattro anni
dall’ultimo intervento, sul fondo iniziano ad accumularsi limi e detriti or-
ganici favorevoli all’insediamento di altre tipologie vegetazionali. Si assi-
ste così alla comparsa della peste d’acqua (Elodea canadensis), del
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ceratofillo (Ceratophyllum demersum), del miriofillo (Myriophyllum
spicatum) intervallati da qualche ranuncolo acquatico (Ranunculus
trichophyllus) oltre che da specie dei generi Potamogeton e Callitriche; i
popolamenti di Lemna la cui estensione nella fase precedente era assai
contenuta, tendono ora a diffondersi con gran rapidità. La maggior partedi queste specie sono già state trattate a proposito della flora di altri am-
bienti umidi quali lanche e paludi. La loro presenza segna la progressiva
transizione dall’associazione dell’Helosciadetum a quella del Myriophyllo-
Nupharetum tipica di questi ultimi ambienti. Sulle sponde dei fontanili
abbandonati iniziano a farsi largo le mazzesorde (Typha latifolia) e le can-
nucce di palude ( Phragmites australis ) a volte accompagnate dal coltellaccio
(Sparganium erectum e S. emersum) e dalla piantaggine d’acqua ( Alisma
plantago-aquatica). Se non subentra alcun intervento umano le rive del
fontanile sono destinate a chiudersi sempre di più ed il processo di inter-
ramento a concludersi nel giro di qualche decennio (Fig. 20).
Figura 20 . Progressivo interramento della testa del fontanile e conseguente modificazionedella vegetazione.
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Procedendo invece lungo l’asta divengono tipici i potamogeti
( Potamogeton sp.), le cui fronde sommerse si piegano al flusso della cor-
rente, associati alla lima (Valnisseria spiralis). Queste specie sono distin-
tive dell’associazione Potameto-Valnisserietum cui sovente fanno da con-
torno l’erba gamberaia (Callitriche sp.), il miriofillo, il ceratofillo ed iranuncoli (Ranunculus trichophyllus e R. fluitans).
Benché l’elemento caratteristico di questi ambienti sia l’acqua è di
grande importanza anche la cortina di vegetazione che si sviluppa ai mar-
gini della testa o lungo le sponde dell’asta; in alcuni casi, purtroppo sem-
pre più rari, questa vegetazione trova ancora lo spazio sufficiente per svi-
lupparsi fino a costituire piccoli boschetti che, nelle situazioni meglio con-
servate, presentano molti dei tratti del bosco igrofilo planiziale. Purtrop-
po le essenze dominanti sono spesso rappresentate dalla robinia (Robinia
pseudacacia) e dal pioppo ibrido ( Populus x euroamericana), entrambe di
origine alloctona.
Fauna dei fontanili. Le limpide acque dei fontanili accolgono un cam-
pionario faunistico di rara ricchezza dove, per le particolari qualità di
ossigenazione e purezza, è possibile rinvenire anche specie tipicamente
appartenenti alla fauna pedemontana. Tra i rappresentanti più significa-
tivi che fungono da indicatori delle condizioni peculiari di questi
microambienti, vi sono senza dubbio i macroinvertebrati (molluschi, pic-coli crostacei, larve di insetti) di cui si è già parlato a proposito delle lanche
e dei bodri (Fig. 21). Qui, tuttavia, in condizioni ottimali, il popolamento si
arricchisce e si caratterizza per la presenza di specie tipiche degli ambien-
ti di risorgiva che vivono solo nelle acque particolarmente pure e ricche di
ossigeno. Non mancano naturalmente rappresentanti dei coleotteri, degli
emitteri e degli odonati; le larve di questi ultimi sono tra i più voraci ed
abbondanti predatori di questi ambienti, temibili anche da parte di piccoli
pesci e girini. Nei fontanili hanno trovato rifugio gli ormai rarissimi gam-
beri di fiume ( Austropotamobius pallipes), vistosi crostacei un tempo as-sai diffusi in tutti i corsi d’acqua della pianura e molto apprezzati sulle
mense locali.
Naturalmente la rapida tendenza all’interramento del fontanile si fa
sentire, oltre che sulla comunità vegetale, anche sui macroinvertebrati i
cui popolamenti variano in composizione al mutare delle condizioni del
fondo, della flora e dei microambienti a disposizione.
Anche l’ittiofauna presente è degna di nota; spesso infatti vi si trovano in
abbondanza specie che, a causa della particolare sensibilità all’inquina-
mento e dell’esigenza di condizioni ambientali particolari, stanno suben-
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do un calo progressivo e generalizzato. Non da ultimo è bene ricordare che
lo status di specie un tempo comuni è ora minacciato dall’immissione di
specie esotiche competitrici o di specie predatrici.
Le presenze più caratteristiche riguardano lo spinarello (Gasterosteus
aculeatus), il vairone (Leuciscus suffia), la sanguinerola ( Phoxinus phoxinus) ed il ghiozzo padano ( Padogobius martensi ) endemico della pia-
nura padana e, dove le dimensioni della testa del fontanile sono adeguate,
tra gli ospiti può comparire anche il luccio (Esox lucius).
In quei fontanili dove il fondale è caratterizzato da sedimenti fini sono
stati segnalati il cobite (Cobitis taenia) e la lampreda padana (Lethenteron
zanandreai) (Fig. 22), specie di grande importanza in quanto endemica e
molto rara. Lo stadio larvale, che si protrae dai 3 ai 5 anni, viene trascorso
sul fondo; qui le larve si infossano lasciando sporgere solo la testa. Questi
organismi sono dei filtratori e sono particolarmente sensibili alla qualità
delle acque; è infatti sufficiente un solo episodio di inquinamento acuto
per sterminarne una popolazione.
Tra i rettili più legati alle acque di risorgiva si segnalano la biscia
d’acqua (Natrix natrix ) e soprattutto la biscia tassellata (Natrix tassellata)
che vincola la sua presenza ad ambienti ben conservati. Per quanto ri-
guarda gli anfibi invece, vale la pena citare la possibile presenza dei tritoni
Figura 21. Alcuni macroinvertebrati che possono popolare le acque di un fontanile.
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(Triturus carnifex e Triturus vulgaris) che qui trovano un ambiente adat-
to alla vita delle larve e degli adulti.
Intorno al fontanile, quando questo è circondato da una cintura di
vegetazione ben conservata, possono trovare spazio molti altri animali la
cui vita è meno strettamente intrecciata all’acqua, ma che non riescono avivere nella campagna circostante, stravolta dalle esigenze della produ-
zione agricola intensiva. L’estensione limitata che, nella maggior parte
dei casi, caratterizza queste cortine di vegetazione, esalta l’effetto margi-
ne, sia perché l’estensione della fascia perimetrale prevale su quella delle
zone interne, sia perché in un raggio limitato si assiste alla transizione
tra ambienti differenti: agricolo, forestale e umido. Di questa specifica
situazione si avvantaggiano le specie tipiche delle zone di margine. Tra
gli uccelli i più frequenti sono la capinera (Sylvia atricapilla), l’usignolo
(Luscinia megarhynchos), l’usignolo di fiume (Cettia cetti) e l’ubiquitario
merlo (Turdus merula). I mammiferi sono invece rappresentati ad esem-
pio dal riccio (Erinaceus europaeus) e dalla donnola (Mustela nivalis).
Dove invece lo spazio per la foresta è più ampio si incontrano alcune
delle specie che popolano i boschi igrofili come picchio rosso maggiore
( Picoides major) e rigogolo (Oriolus oriolus) tra gli uccelli, o moscardino
(Muscardinus avellanarius) e arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus)
tra i piccoli mammiferi. Per quanto riguarda l’erpetofauna, invece, una
copertura vegetale estesa risulta particolarmente adatta per ospitarel’orbettino ( Anguis fragilis), il saettone (Elaphe longissima) o l’endemica
rana di Lataste (Rana latastei) che trascorre la vita nell’umida lettiera
del bosco igrofilo e ricerca pozze di acqua piccole e tranquille solo al mo-
mento della riproduzione e della deposizione delle uova.
Figura 22 . Lampreda padana (Lethenteron zanandreai).
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Problemi di conservazione. Il potenziale contributo dei fontanili alla
biodiversità della pianura lombarda è enorme ed anche il loro valore come
testimonianza storico-culturale è inestimabile. Nondimeno la sopravvi-
venza di questi ambienti è fortemente minacciata da un insieme di fattori
che spesso concorrono a determinarne la definitiva compromissione.Nati per sfruttare a fini agricoli l’acqua delle risorgive, oggi, anche in
seguito all’abbandono delle marcite, vengono completamente trascurati. I
periodici interventi di spurgo, sono infatti troppo dispendiosi e non hanno
alcun riscontro economico diretto per l’agricoltore che se ne voglia fare
carico; l’assenza di manutenzione ha come conseguenza il progressivo in-
terramento.
A ciò si aggiunga che l’acqua di fontanile, tradizionalmente caratte-
rizzata da alti livelli di qualità, è spesso contaminata da varie tipologie di
inquinanti veicolati dall’acqua che percola dai campi circostanti, o da quella
dei canali, spesso ricettori di scarichi, collegati ai fontanili attraverso la
rete irrigua. In occasione di episodi di piena le acque inquinate risalgono
l’asta e raggiungono facilmente anche i fontanili.
Molti fontanili inoltre hanno risentito del fenomeno dell’abbassamento
della falda, che ha interessato ed interessa tuttora ampi settori della pia-
nura. Spesso infatti essi attingono dalla falda più superficiale il cui impo-
verimento ha determinato il drastico calo della portata delle polle con ef-
fetti negativi sulla vitalità dell’intero ecosistema. L’abbassamento del li-vello di falda è il risultato della mutata destinazione d’uso di molte cam-
pagne, ove si è assistito all’ampliamento delle aree urbane industriali.
Questi fattori hanno determinato l’aumento dell’emunzione e contempo-
raneamente hanno diminuito le occasioni di ricarica della falda generate
dalla rete di irrigazione capillare che insisteva sui coltivi preesistenti.
La crescente consapevolezza nei confronti del valore di questi piccoli
ambienti li ha resi oggetto di specifici programmi di censimento,
riqualificazione e tutela spesso promossi dai parchi regionali o dalle am-
ministrazioni locali. In alcuni casi i fontanili sono soggetti a specifica tu-tela come ad esempio il fontanile Nuovo e le Sorgenti della Muzzetta in
provincia di Milano, oppure il fontanile Brancaleone in provincia di
Bergamo. Il quadro generale resta però preoccupante, sia per le condizio-
ni di degrado in cui la maggior parte di essi tuttora versa, sia per il defini-
tivo interramento di molti fontanili che ha determinato la completa scom-
parsa di questi ambienti in molte aree che un tempo li ospitavano.
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Le cave
Cosa sono le cave. Grazie alle cave l’uomo estrae dal suolo torba, ghia-
ia, sabbia, argilla ed altri materiali da impiegare nelle attività edilizie. La
coltivazione di una cava determina sempre rimaneggiamenti assai pesan-ti del territorio in quanto muta radicalmente le linee fondamentali del
paesaggio ed elimina completamente le componenti ambientali
preesistenti.
A seconda della localizzazione e delle caratteristiche del terreno sul
quale sorgono, le cave hanno differente conformazione e generano diffe-
renti impatti sul territorio. Per quanto riguarda l’attività estrattiva nelle
zone di pianura la maggiore distinzione è determinata dai rapporti con la
falda sottostante. Se durante gli scavi si raggiunge la falda le cave si dico-
no “in acqua” o “sottofalda” e, al termine dei lavori, il risultato è la forma-
zione di un lago di cava. Questa tipologia di cava è assai rischiosa in quan-
to, portando la falda allo scoperto, moltiplica i rischi di un suo inquina-
mento.
Quando invece lo scavo non interessa direttamente la falda si parla di
cava “in asciutta” o “soprafalda”; queste ultime possono sorgere sia su
piane alluvionali, sia lungo terrazzi morfologici di origine fluviale o
fluvioglaciale. Nel primo caso la coltivazione prevede l’apertura di bacini
più o meno ampi e profondi il cui fondo si mantiene asciutto, nel secondoinvece la coltivazione prevede l’arretramento progressivo del terrazzo. L’av-
vicinamento del livello di falda alla superficie topografica comporta in ogni
caso una maggiore vulnerabilità dei complessi acquiferi sottostanti, di cui
occorre tener conto al momento della localizzazione della cava, dei succes-
sivi interventi e delle destinazioni previste a fine coltivazione.
Se gestite unicamente secondo una logica di tipo economico commer-
ciale, che valuta esclusivamente il ricavato dei materiali estratti, le cave
si risolvono in interventi che stravolgono e degradano il territorio con un
prezzo assai alto per la collettività. Le cave abbandonate senza alcun in-tervento di ripristino offrono uno spettacolo desolante che i timidi tentati-
vi di ricolonizzazione da parte della vegetazione pioniera non riescono ad
alleviare. Tra gli uccelli che, in mancanza di alternative migliori, si adat-
tano a queste acque si annoverano i cormorani ( Phalacrocorax carbo ) e gli
svassi maggiori ( Podiceps cristatus).
Non mancano purtroppo casi in cui questi buchi nel suolo sono stati
utilizzati come discariche abusive con ulteriori gravi impatti negativi ed
enormi rischi per la falda. A volte i laghi di cava sono utilizzati per l’alle-
vamento e la pesca sportiva, ma quest’utilizzo, a parte gli aspetti ricreati-
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vi, non comporta una riqualificazione significativa, almeno sotto il profilo
naturalistico, dell’ambiente.
Il ripristino e la creazione di zone umide. Fortunatamente da alcuni
anni la legge vincola le autorizzazioni di apertura delle cave alla presen-tazione di progetti di ripristino, volti a mitigare gli impatti negativi legati
a questa attività. Qualora il ripristino non si riduca ad interventi sui soli
aspetti paesaggistici, ma si basi su principi di ricostruzione che tengano
conto del tipo di ambiente e di suolo, può rappresentare una reale e pre-
ziosa occasione di riqualificazione ambientale. In questo paragrafo si ac-
cennerà brevemente ad un particolare aspetto dei ripristini, quelli che
prevedono la ricostruzione di zone umide al posto dei bacini di cava.
La creazione di nuove zone umide si può affiancare a programmi di
tutela e gestione di quelle esistenti, al fine di far fronte alla progressiva
scomparsa delle zone umide naturali dovuta agli interventi di bonifica e
di regimazione dei corsi d’acqua superficiali.
Gli ambienti che ne derivano sono assimilabili alle lanche ed alle morte
e possono parzialmente sopperire alla loro assenza lungo ampi tratti dei
fiumi. La creazione di nuove zone umide rientra negli obiettivi a lungo
termine della conservazione degli aironi, le cui popolazioni sono attual-
mente limitate dalla scarsità di siti idonei alla nidificazione. L’eccezionale
ricchezza e la complessità di questi ambienti li rendono terreno ottimaleper operazioni di salvaguardia e reintroduzione anche di specie minaccia-
te o le cui popolazioni stanno subendo cali preoccupanti.
Per ottenere i migliori risultati e per contenere i costi dei lavori è
necessario che il progetto di ripristino non prenda avvio a conclusione
delle attività di coltivazione della cava, ma proceda in parallelo ad esse.
In tal modo gli scavi, compatibilmente con le esigenze economiche del
cavatore, vengono indirizzati in modo da favorire la sistemazione succes-
siva. L’attenzione alla destinazione finale dell’area di cava può interessa-
re tutte le fasi del progetto a partire dalla scelta del luogo più adatto in cuiaprire la cava. A questo proposito sono particolarmente consigliati gli sca-
vi condotti in corrispondenza degli antichi meandri fluviali, che corrispon-
dono al luogo più adatto dove ricreare, o meglio, riaprire una lanca; natu-
ralmente a patto che questi spazi non siano già occupati da vegetazione
naturale.
Dove le cave sono sottofalda la presenza di acqua è garantita, il suo
livello segue le oscillazioni stagionali della falda e la profondità del “lago”
dipende da quanto il fondo della cava scende sotto il livello dell’acquifero.
Nelle cave di ghiaia però, la separazione ed il successivo scarto dei mate-
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riali più fini, presenti come “impurezze”, possono determinare l’accumulo
sul fondo di limi ed argille e la successiva impermeabilizzazione di que-
st’ultimo. Quando invece le cave sono soprafalda il fondo si mantiene asciut-
to, salvo raccolte più o meno persistenti di acqua piovana. La presenza di
acqua può essere garantita solo mediante apporti esterni derivati dallarete idrica superficiale o comunque da altre raccolte di acqua persistenti.
Il ripristino deve essere finalizzato a potenziare la ricettività sia
vegetazionale, sia faunistica di un determinato sito in linea con le caratte-
ristiche reali e potenziali dell’area in cui si colloca. A tal fine, compatibil-
mente con le dimensioni della cava da ripristinare, si cerca di prevedere il
maggior numero possibile di microambienti diversi al fine di favorire l’in-
sediamento del maggior numero di specie. E’ importante sottolineare che
la conoscenza della biologia e delle preferenze ambientali delle specie che
abitano le zone umide fa parte del bagaglio imprescindibile delle cono-
scenze su cui basare l’intervento.
Le linee generali su cui impostare un ripristino mirano alla realizza-
zione di un bacino di forma irregolare, che eviti cioè rive dritte ed angoli
retti (Fig.23). In particolar modo se la cava sorge in un paleomeandro sarà
importante che la forma del bacino ne segua l’andamento a mezza luna
(Fig. 24). E’ bene quindi che le rive presentino anfratti ed insenature e che
si immergano dolcemente nell’acqua in modo da favorire l’attecchimento
della vegetazione che offrirà rifugio a molti animali. La presenza di unpunto in cui la riva è alta e si immerge bruscamente nell’acqua rimanen-
do libera dalla vegetazione crea l’ambiente adatto alla nidificazione di
specie quali topino (Riparia riparia), gruccione (Merops apiaster) e martin
pescatore ( Alcedo atthis). Inoltre la creazione di isolotti centrali difficil-
mente raggiungibili dai predatori terrestri è importante per fornire agli
anatidi un luogo sicuro per la costruzione del nido. La presenza di
batimetrie differenziate, oppure la compresenza di più bacini con acqua a
vari livelli contribuisce a soddisfare le esigenze di un maggior numero di
specie. In particolare aree coperte da poco più di un velo d’acqua, even-tualmente sottoposte a periodiche asciutte, sono particolarmente adatte
alla sosta dei limicoli. Profondità considerevoli invece offrono ambienti di
alimentazione apprezzati in modo particolare da anatidi dalle abitudini
tuffatrici, dalle folaghe (Fulica atra) e anche dalle sterne (Sterna hirundo).
La presenza dell’acqua, unitamente all’attenzione riposta nel model-
lare le sponde, favorisce l’insediamento spontaneo della vegetazione che,
in breve tempo, ricolonizza l’intera area. Negli spazi che non sono a co-
stante e diretto contatto con l’acqua, il processo di colonizzazione è più
lento; qui tendono ad avere il sopravvento specie esotiche di scarso inte-
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Figura 24 . Recupero naturalistico di una lanca interrata.
Figura 23 . Recupero naturalistico di un lago di cava.
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resse naturalistico. In generale la scelta delle piante da introdurre deve
rispettare l’assetto vegetazionale e floristico circostante, eventualmente
migliorato in modo da riproporre un ambiente il più possibile vicino a
quello naturalmente presente sul territorio in condizioni indisturbate.
Qualora la rinaturalizzazione spontanea fosse ben avviata si rendono ne-cessari interventi leggeri, mirati alla rimozione selettiva delle specie eso-
tiche. Spesso però è necessario predisporre programmi di piantumazione
in cui la scelta delle essenze segue il criterio generale sopra illustrato.
Per consentire lo sviluppo della componente vegetale è importante
che il suolo venga ricoperto dal primo strato di terreno che, al momento
dell’inizio dei lavori di scavo, viene rimosso e conservato per questa fase
del ripristino.
Il successo di tali interventi è sancito dalla formazione di un ecosistema
complesso, molto ricco sia nella componente vegetale, sia in quella anima-
le, le cui specie fondamentali corrispondono a quelle già descritte nei pa-
ragrafi dedicati alle zone umide naturali. Studi specifici, censimenti e
monitoraggi hanno evidenziato il valore di queste aree e ne hanno sottoli-
neato il contributo in termini di incremento della biodiversità della pianu-
ra padana. Gli esempi di interventi di ripristino conclusisi positivamente
non mancano, tuttavia sono ancora pochi rispetto all’incidenza delle atti-
vità estrattive. Tra i primi a muoversi nel senso di un’oculata gestione
delle cave si colloca sicuramente il parco del Ticino che, a partire dai pri-mi anni ‘80, ha pesantemente ridotto l’entità delle attività estrattive ed
ha subordinato le autorizzazioni alla presentazione di progetti di ripristi-
no attentamente vagliati se non addirittura redatti dai tecnici del Parco.
Grazie a tutto ciò oggi sono molte le cave in fase di ripristino e la conferma
della validità della strada intrapresa è data, ad esempio, dal successo del-
le rinaturalizzazioni della cava Torretta a Morimondo. Altri casi degni di
nota sono il parco Palustre di Lungavilla, nell’Oltrepo pavese, nato circa
15 anni fa dall’ intervento di rinaturalizzazione di un gruppo di cave di
argilla; la cava Boscaccio di Gaggiano, nel Parco Agricolo Sud Milano, edun altro caso poco oltre il confine regionale, a Valenza Po (AL), nel territo-
rio del Parco Fluviale del Po e dell’Orba (vedi box).
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Il recupero naturalistico: un esempio di intervento compatibile
con l’ambiente
Il progetto di rinaturazione di cava realizzato nel territorio del Parco Fluviale
del Po e dell’Orba è un esempio particolarmente interessante nell’ambito di que-ste tipologie di interventi e pertanto, sebbene non ricada all’interno dei confini del
territorio lombardo, si è scelto di dedicargli un breve approfondimento. Si tratta in
ogni caso di un ambiente che giace a ridosso dei confini regionali e che si pre-
senta assai simile a quelli tipici della bassa Lombardia.
Grazie a questo intervento di rinaturazione è stato costruito un sistema di
lanche fluviali compreso tra una lanca naturale e l’alveo attivo del fiume Po. La
realizzazione del progetto è stata possibile grazie alla collaborazione tra una
ditta di estrazione di inerti e l’Ente Parco. L’onere di acquisto del terreno (circa 17
ha) è stato sostenuto dalla ditta che ha eseguito le operazioni di estrazione,
modellazione sponde e recupero vegetazionale seguendo le linee di un progettodi valorizzazione naturalistico-ambientale che prendeva a modello le lanche na-
turali. Terminate le operazioni, nella primavera del 1996, la proprietà del fondo è
stata ceduta all’Ente Parco.
L’approccio utilizzato si differenzia nettamente rispetto a quello del recupero
di un lago di cava già esistente in quanto, fin dall’inizio, i lavori di coltivazione si
sono svolti con l’obiettivo finale di realizzare un ambiente la cui morfologia rical-
casse quella delle lanche naturali e fosse in grado di favorire l’insediamento di
una ricca biocenosi attraverso la creazione di un alto grado di diversità ambienta-
le (sponde a pendenza lieve creazione di insenature, penisole, isolotti, ecc.).
Dei 17 ha iniziali, solo 9,5 sono occupati dallo specchio d’acqua, mentre,nella restante parte, sono stati realizzati altri ambienti quali prato arido, prato
umido e bosco. Per il recupero vegetazionale si è proceduto alla piantumazione
di essenze tipiche della lanca reperite parte in vivaio e parte in loco.
Il successo dell’intervento è testimoniato dal fatto che oggi, a pochi anni dal
temine dei lavori, la vegetazione appare ben affermata e anche lo specchio d’ac-
qua è stato riccamente colonizzato fin nella porzione centrale. Dal punto di vista
faunistico le ripetute esondazioni del Po hanno consentito la colonizzazione spon-
tanea delle acque in cui si rinvengono specie quali cavedano, triotto, scardola,
carpa, anguilla, luccio... L’avifauna che utilizza l’area per svernare, nidificare o
come prezioso punto di sosta durante gli spostamenti migratori è particolarmenteconsistente; si segnalano, tra gli altri, alzavola, moriglione, moretta tabaccata,
falco di palude, falco pescatore, cavaliere d’Italia, piro piro piccolo, pantana...
All’interno del Parco, in prossimità dell’area interessata dalla rinaturazione, si
trova una garzaia mista che conta centinaia di nidi i cui abitanti utilizzano i nuovi
specchi d’acqua come ambienti di alimentazione. Tra i mammiferi è di particolare
rilievo la presenza del tasso e della puzzola che, in area planiziale, risulta rara e
localizzata.
Visto il successo dell’intervento è attualmente in fase di realizzazione un
progetto integrativo che interessa una superficie di altri 5 ha.
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Il bosco igrofilo
Intorno alle zone umide planiziali tratteggiate in questo capitolo si trova una
fascia di vegetazione meno strettamente legata all’acqua rispetto a quella già
descritta come caratteristica di questi ambienti.Purtroppo, come si è più volte avuto modo di ricordare, tali spazi risultano
compressi dall’incalzare dei campi coltivati e spesso ridotti a esili sipari dove le
essenze più diffuse sono rappresentate dalla robinia (Robinia pseudacacia),
dall’ailanto ( Ailanthus altissima) e dal pioppo ibrido (Populus x euroamericana).
Nei rari casi in cui la vegetazione è libera di espandersi e di colonizzare un
tratto sufficientemente ampio di territorio si sviluppano formazioni boschive che
rappresentano, se pur in modo parziale e frammentario, quello che un tempo era
il manto forestale che si estendeva sull’intera pianura.
Man mano che cresce la distanza dall’acqua ed i suoli vengono interessati in
misura sempre più marginale dagli eventi di piena, la struttura e la composizionedella vegetazione mutano gradualmente (Fig.25).
In prossimità dell’acqua dominano le specie a portamento cespuglioso costi-
tuite quasi esclusivamente da salici arbustivi (Salix purpurea, S. fragilis, S.
viminalis, S. cinerea, ecc. ). Si tratta di essenze resistenti, che si sviluppano su
suoli caratterizzati da periodi di sommersione più o meno lunghi. In posizione
lievemente più arretrata, si trova il salice bianco (Salix alba) a portamento arboreo,
di cui i primi esemplari si possono già trovare inframmezzati alle specie prece-
denti, in particolare sui margini di lanche e paludi. Nelle aree ancora parzialmen-
te soggette a sommersione il salice bianco tende a dominare, non di rado orga-
nizzato in popolamenti puri, generalmente coetanei e abbastanza fitti. Sui suoliumidi, in cui la falda più superficiale si trova vicina al piano di campagna, ma non
è affiorante, accanto al salice bianco si sviluppano varie specie di pioppo (Populus
nigra, P. alba, P. canescens); questo tipo di bosco si presenta più complesso, con
piante di età differenti e di altezze diverse che, negli esemplari più maturi, posso-
no raggiungere i 30 metri di altezza. Anche lo strato arbustivo si presenta ben
sviluppato e, dove si aprono piccole radure, rappresenta l’elemento dominante;
alcuni degli arbusti più tipici sono il sambuco nero (Sambucus nigra), il sanguinello
(Cornus sanguinea), il pallon di neve (Viburnum opulus), l’amorfa ( Amorpha
fruticosa), la frangola (Frangula alnus).
Man mano che si avanza nel processo di affrancamento dall’acqua, nellearee più elevate, la vegetazione evolve gradualmente verso forme più comples-
se caratterizzate da maggior ricchezza di specie e da una stratificazione verticale
più fitta (Fig. 26). Compaiono in questa fase l’olmo (Ulmus minor ), l’acero campe-
stre ( Acer campestre), il frassino maggiore (Fraxinus excelsior ), il tiglio (Tilia
platyphyllos); ma è sicuramente la farnia (Quercus robur ) a caratterizzare lo sta-
dio climacico della foresta planiziale. Lo strato arbustivo è rappresentato da esem-
plari giovani delle essenze sopra elencate cui si aggiungono nocciolo (Corylus
avellana), biancospino (Crataegus oxyacantha e C. monogyna), cappel di prete
(Euonymus europaeus), corniolo (Cornus mas), lantana (Viburnum lantana) oltre
a varie specie di rovo ed ai già citati sambuco nero, sanguinello, ecc.
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Tipico di questi boschi è anche lo sviluppo di una fitta rete di lianose che ne
rendono l’aspetto particolarmente intricato; tra le più diffuse si possono citare
edera (Hedera elix), vitalba (Clematis vitalba), brionia (Brionia dioica) e l’esotica
Lonicera japonica.
Nelle aree più depresse, sovente coincidenti con i paleomeandri dei fiumi, oin quelle dove la falda freatica tende ad affiorare, il suolo è costantemente intriso
di acqua e spesso presenta caratteristiche di debole acidità. Qui si trovano le
condizioni ottimali per lo sviluppo di popolamenti puri di ontano nero ( Alnus
glutinosa), detti alneti. In genere si tratta di boschi a copertura abbastanza fitta
caratterizzati da alberi la cui altezza varia a seconda dell’età e della forma di
governo cui sono sottoposti. Qui il sole non riesce a penetrare facilmente e, di
conseguenza, lo strato arbustivo è assente e tende a concentrarsi ai margini.
Gli alneti sono abbastanza rari, specialmente nella parte orientale della pianura
lombarda; essi rivestono un ruolo fondamentale nella biologia degli ardeidae in
quanto sono tra i siti preferiti per l’insediamento delle colonie.L’intera successione, così come è stata schematicamente illustrata, in tempi
remoti caratterizzava tutta la pianura; oggi però non dispone più delle condizioni
e degli spazi sufficienti per svilupparsi in maniera completa. E’ tuttavia possibile
rinvenirne frammenti che, a seconda dell’umidità del suolo e dei rapporti con i
corpi idrici superficiali, assumono le caratteristiche dell’una o dell’altra tipologia
descritta. Questi brandelli di bosco molto spesso sono di dimensioni troppo ridot-
te per raggiungere la maturità e la complessità cui sono potenzialmente portati.
E’ inoltre da non sottovalutare la diffusione di specie alloctone di scarso va-
lore naturalistico, ma di grande capacità colonizzatrice.
Quando i boschi planiziali si trovano in continuità con le zone umide minori,ne risulta un ambiente assai complesso, di grande pregio per la varietà delle
specie animali e vegetali che lo compongono.
Per la fauna che abita queste formazioni, un elenco se pur incompleto sa-
rebbe comunque assai esteso e forse di scarso significato in questa sede. Basti
ricordare che, nelle situazioni meglio conservate, sono rappresentati tutti i livelli
della catena alimentare inclusi i predatori di una certa dimensione quali volpi
(Vulpes vulpes), puzzole (Mustela putorius) e tassi (Meles meles). Tra i predatori
non vanno dimenticati i rapaci diurni tra i quali spicca la presenza del lodolaio
(Falco subbuteo) e quelli notturni, in particolar modo l’allocco (Strix aluco). Alcuni
organismi inoltre necessitano per sopravvivere della contemporanea presenzadel bosco igrofilo e di raccolte di acqua; si tratta di specie che, proprio per la
scomparsa degli ambienti idonei, si trovano in condizioni di grande vulnerabilità;
tra i casi più noti, vi è quello della rana di Lataste (Rana latastei ) (vedi paragrafo
sui fontanili). Per i problemi di frammentazione cui si è accennato continuano
tuttavia a rimanere svantaggiate le specie che necessitano di grandi estensioni di
bosco in buone condizioni, quali ad esempio il ghiro (Glis glis) e lo scoiattolo
(Sciurus vulgaris).
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Figura 26. Foresta planiziale.
Figura 25. In questo schema vengono proposti in maniera semplificata i cambiamenti cui
va incontro la vegetazione planiziale nel progressivo affrancamento dall’acqua.
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In aree, come la pianura padana, in cui il suolo è stato via via occupato dai
campi e dagli insediamenti urbani ed industriali, si è assistito alla progressivararefazione degli ambienti naturali ed al radicale cambiamento del paesaggio e
dell’ambiente originari. Gli spazi che un tempo ospitavano ecosistemi complessi
non sono più disponibili e ciò si è tradotto nella progressiva erosione della
biodiversità esistente fino al raggiungimento degli attuali livelli di monotonia e
banalizzazione. Le specie più esigenti sono spesso scomparse, mentre chi ha
saputo adattarsi ai cambiamenti (purtroppo assai pochi organismi rispetto alla
ricchezza iniziale), è stato avvantaggiato in termini di espansione della popola-
zione.
Nell’ambito di questo quadro generale capita di assistere alla nascita casua-
le quanto insperata di situazioni, generate dall’azione umana, che si pongonocome surrogato di angoli di naturalità ormai perduti. Avviene così che l’unica,
forse l’ultima, possibilità di sopravvivenza giunga proprio da dove meno ci si po-
trebbe aspettare.
Queste situazioni, che rappresentano indubbiamente delle anomalie rispet-
to all’andamento generale, sono ben illustrate dall’esempio degli zuccherifici. Gli
impianti di lavorazione della barbabietola hanno un sistema di vasche in cui ven-
gono raccolte le acque di lavaggio e lavorazione del vegetale. In questi bacini le
acque vengono lasciate decantare e successivamente scaricate nei corsi d’ac-
qua in corrispondenza delle piene primaverili, in modo da diluire il più possibile il
carico inquinante. Le attività degli zuccherifici iniziano ad agosto, momento diraccolta delle barbabietole, e si protraggono per alcuni mesi. Esiste pertanto un
periodo che va da aprile ad agosto in cui le vasche rimangono vuote ed affiorano
i fanghi che si sono depositati sul fondo. Si creano così distese limose estrema-
mente tranquille dove l’acqua non è soggetta a sbalzi di livello. I tempi di questa
pausa nelle attività dello zuccherificio coincidono con quelli della riproduzione
per molti limicoli quali il cavaliere d’italia (Himantopus himantopus), piro piro pic-
colo ( Actitis hypoleucos) e molti altri. Il fango delle vasche si popola ben presto di
piccoli invertebrati garantendo agli uccelli una riserva di cibo abbondante. Sulle
rive e sugli isolotti di fango che si formano nei punti più elevati compare una folta
vegetazione erbacea per lo più caratterizzata da specie pioniere in cui dominanole graminacee, l’ortica (Urtica dioica), varie specie appartenenti ai generi Poligonum
e Brassica e la tifa (Typha latifolia).
Un esempio di zone umide di origine industriale:
le vasche di decantazione degli zuccherifici
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Il Modello di Gestione
delle garzaie della Lombardia
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IL MODELLO DI GESTIONE DELLEGARZAIE DELLA LOMBARDIA
Gli Ardeidi nidificanti in Italia
Gli aironi sono uccelli di dimensioni medio-grandi, appartengono alla
famiglia “Ardeidi” e presentano una struttura uniforme con becco appun-
tito, zampe lunghe e sottili, ali ampie, il collo lungo e serpentino che viene
mosso con molta agilità. D’aspetto generalmente slanciato ed elegante,
sono facilmente individuabili per le colorazioni del piumaggio in cui domi-
nano il bianco, il grigio ed il nero.
I maschi e le femmine non sono distinguibili, mentre i giovani di alcune
specie hanno piumaggio che può differire anche marcatamente da quellodegli adulti. Le differenze maggiori si riscontrano nella Nitticora i cui
giovani si riconoscono subito per il piumaggio marrone punteggiato di bian-
co.
In Italia nidificano 7 specie di Ardeidi con l’abitudine di riunirsi in
colonie (Figure da 27 a 33): Nitticora (Nycticorax nycticorax ), Garzetta
(Egretta garzetta), Sgarza ciuffetto ( Ardeola ralloides), Airone cenerino
( Ardea cinerea), Airone rosso ( Ardea purpurea), Airone guardbuoi
( Bubulcus ibis) e Airone bianco maggiore (Egretta alba). Alla stessa fami-
glia appartengono altre due specie presenti in Lombardia, il TarabusinoIxobrychus minutus (Fig. 9) e il Tarabuso Botaurus stellaris (Fig. 34), che,
pur vivendo negli stessi ambienti, sono solitari, cioè nidificano distanziati
in territori individuali.
Le colonie di nidificazione degli aironi possono ospitare una o più spe-
cie, e vengono dette garzaie dal nome dialettale degli abitanti, “garze” o
“sgarze”. In una garzaia si possono trovare da poche decine fino ad alcune
migliaia di nidi. Anche le colonie più popolose però possono insediarsi in
boschetti di ridotte dimensioni, bastano pochi ettari, purché collocati in
aree ricche d’ambienti acquatici naturali o artificiali nei quali gli aironi
trovano i piccoli animali necessari al nutrimento loro e della prole. Le
garzaie lombarde sono tipicamente insediate in ambienti coltivati e pos-
sono coesistere bene con la presenza umana e con le attività agricole (Fig.
35). Da soli o in piccoli gruppi, gli aironi cacciano guadando acque basse e
catturano essenzialmente rane, girini, crostacei e larve di insetti, più ra-
ramente pesci e rettili, con preferenze differenti da specie a specie.
Dopo la stagione riproduttiva conservano abitudini gregarie e si riu-
niscono in dormitori comuni. In inverno migrano nelle regioni a sud del
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Sahara in Africa occidentale, ad eccezione dell’Airone cenerino e dell’Airo-
ne guardabuoi, che invece restano in Italia per tutto l’anno. Anche una
piccola parte di Nitticore e Garzette si trattiene a svernare nell’area me-
diterranea.
Lo studio di questi uccelli, che in Italia è iniziato negli anni ‘70, haportato a chiarire importanti aspetti della loro ecologia, che si sono rivela-
ti utili per indirizzare le scelte di conservazione. Le linee guida per la
conservazione degli Ardeidi nidificanti sono state raccolte in un “modello
di gestione” unitario per gli ambienti umidi planiziali della Lombardia,
che viene descritto in questo capitolo.
Gli aironi nidificano in ambienti umidi naturali, delta, golene fluvia-
li, zone palustri che garantiscono sia risorse alimentari in abbondanza,
sia una vegetazione idonea ad ospitarne le colonie. In Italia la maggioran-
za delle garzaie si concentra nella pianura padana, ove è possibile indivi-
duare le seguenti cinque unità ambientali di nidificazione: zona a risaia
prevalente, corsi dei grandi fiumi, corsi dei fiumi minori appenninici, zona
delle “valli” dell’Emilia Romagna, delta del Po e lagune dell’alto Adriatico.
L’area ove gli Ardeidi nidificanti sono più abbondanti è quella a risaia.
Nonostante siano ambienti coltivati, le risaie offrono agli Ardeidi un vali-
do surrogato agli ambienti umidi naturali, poiché contengono prede in
quantità e poiché offrono ampie superfici di acque basse ove gli Ardeidi
possono cacciare con la loro tipica tecnica di lento guado. Nella pianurapadana occidentale, in particolare nelle province di Pavia, Novara, Vercelli,
Lodi e Milano, vi è la più estesa zona coltivata intensivamente a riso (Fig.
36). Qui le risaie, allagate ogni primavera, offrono ambienti di alimenta-
zione che si estendono per circa 200.000 ha. La specificità della pratica
colturale del riso, che trasforma quest’area in un’enorme palude tempora-
nea, funge da polo di attrazione per migliaia di aironi. In quest’area le
risaie occupano la superficie più estesa d’Europa, e sostentano il 70% del-
le popolazioni di Ardeidi coloniali italiani.
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Figura 28 . Garzetta Egretta garzetta, le penne ornamentali sul dorso si sviluppano nelperiodo riproduttivo.
Figura 27. Nitticora Nictycorax nictycorax, intenta alla caccia in risaia.
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Figura 29. Sgarza ciuffetto Ardeola ralloides , coppia sul nido.
Figura 30 . Airone cenerino Ardea cinerea .
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Figura 31. Airone rosso Ardea purpurea, adulto al nido per l’imbeccata ai pulcini.
Figura 32 . Airone guardbuoi Bubulcus ibis.
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Figura 33 . Airone bianco maggiore Ardea alba.
Figura 34 . Tarabuso Botaurus stellaris.
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Figura 36 . In primavera, le risaie allagate trasformano la pianura in un immenso acqui-trino ove gli aironi trovano ampi ambienti di foraggiamento.
Figura 35. Nella pianura lombarda, le garzaie si insediano di solito in boschi umidi diridotte dimensioni, circondati da risaie. Le attività agricole sono compatibili con la loro pre-senza, anzi le risaie la favoriscono in quanto rappresentano una fondamentale fonte di cibo.
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Rilevanza conservazionistica degli Aironiin Lombardia
La particolare abbondanza di Ardeidi nidificanti nella pianura padana,
rappresenta un elemento di grande pregio naturalistico e paesaggistico,in quest’area fortemente antropizzata e vittima di un processo di
banalizzazione sempre più marcato. In particolare le popolazioni di
Nitticora e Garzetta, rispettivamente con 10.000 e 2.000 nidi rilevati in
Lombardia nel primo censimento completo, compiuto nel 1981, rappre-
sentano una frazione rilevante delle popolazioni censite nell’intera Euro-
pa. Pertanto, secondo i criteri stabiliti dalla convenzione internazionale
di conservazione delle zone umide (convenzione di Ramsar), gli Ardeidi
nidificanti in Lombardia rendono i siti delle colonie di rilevanza
conservazionistica internazionale, in quanto essi ospitano oltre l’1% della
popolazione biogeografica. Sgarza ciuffetto (60 nidi nel 1981) ed Airone
rosso (180 nidi nel 1981) sono una presenza meno imponente, tuttavia,
data la generale scarsità di queste specie a livello europeo, sono da consi-
derarsi comunque discretamente rilevanti. Le popolazioni italiane di Ai-
rone cenerino costituiscono un’eccezione in quanto, pur con 2.300 nidi nel
1999, sulla base di questi criteri hanno minor rilevanza in quanto questa
specie è la più diffusa ed abbondante in tutto il resto d’Europa. L’Airone
guardabuoi ha colonizzato solo dal 1989 la Lombardia, e nel 1999 eranopresenti 70 nidi.
Gli interventi di conservazione a favore di specie localmente abbon-
danti, ma scarse su scala europea sono raccomandabili in considerazione
delle elevate possibilità di successo. E’ provato infatti che, qualora gli in-
terventi di conservazione siano orientati nel centro biogeografico di ab-
bondanza, il rapporto tra mantenimento di elevate popolazioni e investi-
mento necessario raggiunge valori ottimali.
Le popolazioni di aironi che nidificano nella pianura padana centro-
occidentale sono studiate e monitorate da quasi 30 anni. Gli studi hannoriguardato molteplici aspetti della loro biologia riproduttiva, dalle varia-
zioni nella distribuzione delle colonie ai fattori che influenzano la scelta
dei siti di nidificazione. Il bagaglio di conoscenze raccolte è stato l’indi-
spensabile punto di partenza per la progettazione e la realizzazione di
una serie di interventi di gestione volti alla conservazione di queste specie
e degli ambienti necessari alla loro riproduzione.
Queste pagine riassumono le conoscenze generali di interesse
conservazionistico. Si è tentato di delineare una strategia di conservazio-
ne di ampio respiro, che preveda la definizione di priorità d’intervento
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associate ad oneri economici e temporali differenziati. Il risultato degli
studi condotti è un modello di gestione specifico per la protezione delle
garzaie, ma sufficientemente flessibile per essere adattato alle esigenze
territoriali che di volta in volta si incontrano. Tale modello di gestione è
già stato applicato, con risultati incoraggianti, nella progettazione dellagestione di alcune garzaie; pertanto si può contare su una prima base di
dati risultanti dalla sua diretta sperimentazione.
Colonie presenti in Lombardia ed andamento dellepopolazioni
Dal 1972, il Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia
ha intrapreso operazioni sistematiche di censimento delle popolazioni di Ardeidi nidificanti in Italia, e nel 1981 è stato compiuto il primo censi-
mento nazionale. Dal 1988 i censimenti sono divenuti regolari, almeno
per le garzaie di Lombardia e di alcune zone limitrofe, grazie alla forma-
zione di un gruppo di lavoro per il monitoraggio promosso dal Sevizio Ri-
serve Naturali della Regione con la collaborazione di volontari e del perso-
nale dei parchi e delle riserve regionali. I dati raccolti in questo ampio
periodo di tempo consentono di valutare la dinamica complessiva della
popolazione, le variazioni nel numero di nidi in ciascuna garzaia, il tasso
di scomparsa di colonie esistenti e quello di formazione di nuove colonie.
Le località che hanno ospitato colonie di Ardeidi dal 1972 al 1999
sono mappate in Fig. 37, e sono elencate in Tab. 1 con alcuni dettagli su
anni di presenza e numero di nidi. Delle 63 località elencate, in anni re-
centi ne sono state occupate circa 45. Nella lista sono state incluse, oltre a
quelle lombarde, altre garzaie situate in aree limitrofe ma che apparten-
gono alla stessa popolazione complessiva: quelle ricadenti
amministrativamente in Piemonte nella Prov. di Alessandria, ma situate
sulla sponda “lombarda” a sinistra del Sesia o del Po e altre, lungo il Po inProv. di Parma e Reggio, che gravitano troficamente sul territorio lombar-
do.
Con le informazioni a disposizione è possibile delineare l’andamento
generale della popolazione di ciascuna specie. Dal momento che non tutte
le garzaie sono state censite in ciascun anno, per il calcolo dell’andamento
di popolazione si è fatto ricorso ad un indice ricavato dal rapporto tra il
totale dei nidi presenti nel campione di garzaie censite in un dato anno ed
il totale dei nidi censiti in quelle stesse garzaie nel 1981, anno del censi-
mento completo. Di conseguenza il valore assunto dall’indice nel 1981 è
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pari a 1. Il calcolo dell’indice è stato eseguito solo negli anni in cui i censi-
menti hanno riguardato almeno il 75% delle colonie.
L’andamento generale delle popolazioni lombarde di aironi dal 1976
al 1999, è riportato in Fig. 38. L’Airone cenerino è andato incontro ad una
forte e continua espansione numerica, con un incremento di ben 12 voltenel 1999 rispetto al 1981. Anche la Garzetta è in aumento, se pur con un
andamento lievemente fluttuante, e la popolazione, dal 1981 ad oggi, è
quasi quadruplicata. Purtroppo altrettanto non si può dire della Nitticora
che, dopo un moderato aumento negli anni ’80, per tutti gli anni ‘90 è
stata in lento ma costante calo con una popolazione attualmente dimezza-
ta rispetto al 1981. Sgarza ciuffetto e Airone rosso mostrano ampie
fluttuazioni numeriche, ma occorre tener conto del fatto che, in Italia,
entrambe queste specie sono ai margini del loro areale di distribuzione e
che la loro consistenza numerica è assai inferiore rispetto a quella degli
altri Ardeidi coloniali. Sono infatti presenti con un basso numero di nidi e
solo in poche colonie; a ciò sono verosimilmente imputabili l’assenza di
una tendenza definita e le ampie fluttuazioni che caratterizzano le loro
popolazioni. Per l’Airone rosso tuttavia si può intravedere una lieve ten-
denza all’aumento in particolare a partire dal 1990. L’Airone guardabuoi
è comparso come nidificante alla fine degli anni ’80, e il numero di coppie
ha iniziato ad aumentare decisamente solo dal 1999. E’ comunque proba-
bile che la popolazione di Aironi guardabuoi aumenti nei prossimi anni,soprattutto se vi saranno inverni miti che favoriranno la sopravvivenza di
questa specie stanziale. Per le specie che migrano in Africa, cioè Nitticora,
Sgarza ciuffetto e Airone rosso, una parte delle fluttuazioni numeriche
delle popolazioni è causata probabilmente anche a fattori climatici ad ampia
scala. In particolare, un’abbondante piovosità nei quartieri di svernamento
sembra favorire la sopravvivenza degli Ardeidae durante l’inverno, e quindi
potrebbe aumentare la loro abbondanza durante la primavera successiva
nelle aree di nidificazione in Europa.
Dall’anno d’istituzione delle Riserve Naturali sedi di garzaie (1984)le popolazioni di Ardeidi coloniali della Lombardia sono complessivamen-
te molto aumentate, e ciò conforta l’opportunità di proteggere i siti ove si
insediano le colonie.
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Figura 37. Localizzazione di tutti i siti di colonie rilevati dal 1972 al 1999. I nomi delle
colonie sono gli stessi usati nella Tab. 1. In ascissa e ordinata: coordinate chilometriche
del sistema Gauss-Boaga
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Tabella 1. Località di nidificazione degli Ardeidi coloniali in Lombardia enelle zone limitrofe a risaia o lungo i fiumi di confine. Nella colonna “Pre-senza” è segnato l’ultimo anno di occupazione per le garzaie ora scompar-se, o “presente” se è occupata attualmente (al 1999).
PV Isola, Langosco (RN Garz. C.na Isola) presente 625 113 80PV Rinalda, Candia (RN Garz. Rinalda) 91 95 33 5PV Celpenchio, Cozzo (RN Garz. Celpenchio) presente 622 587 10 9 19 AL Valmacca, Valmacca (Parco Fluviale Po) presente 80 20 229PV Verminesca, Castelnovetto (RN Garz. Verminesca) presente 611 295 21 8 76 11PV Basso, Sartirana (RN Garz. Bosco Basso) presente 178 185 6 5 1 11 AL Valenza, Valenza (Parco Fluviale Po) presente 135 26 3 18PV Sartirana, Sartirana (RN Garz. Lago Sartirana) presente 328 135 10 1 33PV Alessandro, Zeme (RN Garz. S. Alessandro) presente 667 491 22 10 21 19VA Biandronno, Bardello ecc. (RN Lago Biadronno) 94 1VA Brabbia, Casale Litta ecc. (RN Palude Brabbia) presente 92 43 12PV Acqualunga, Frascarolo (RN Abbazia Acqualunga) presente 209 160 2 226 8VA Maddalena, Somma L. presente 11
PV Notizia, Mede (RN Garz. C.na Notizia) presente 294 163 4 14MI Robecchetto, Robecchetto (Parco Ticino) presente 162PV Biscossi, VillaBiscossi (RN Garz. Villa Biscossi) 78 400 37PV Tortorolo, Tortorolo presente 103 131 1 43 10PV Portalupa, Vigevano (Parco Ticino) presente 277 165 1 1 32MI Fagiana, Pontevecchio (Parco Ticino presente 2 30 113PV Pia, Tromello 76 3PV Giacomo, Cassolnovo (Parco Ticino) presente 66 146 1 2 202PV Reale, Cassolnovo (Parco Ticino 92 25PV Gallia, Galliavola (RN Garz. Gallia) presente 108 57 43PV Casei, Casei Gerola presente 2 4PV Massimo, Gropello (Parco Ticino) presente 945 264 5 9 9PV Mare, PieveAlb. presente 41 97 13 5MI Cusago, Cusago 85 277 36 5PV Corte, Gropello 84 58PV Zelata, Bereguardo (Parco Ticino) presente 675 225 394 3
PV Zinasco, Zinasco 77 105 25 15PV Lupo, Zerbolo 81 3 5PV Binasco, Binasco presente 90 60 2PV Cava, Casatisma presente 13 5PV Villarasca, Rognano (RN Garz. C.na Villarasca) presente 811 558 14 1 8PV Torbida, Bressana (RN Garz. R. Torbida) 95 2 10PV Carola, S.Genesio (RN Garz. Carola) presente 257 98 3 44PV Chiossa, Lardirago (RN Garz. P. Chiossa) presente 316 156 2 11PV Alessio, S. Alessio (Oasi privata) presente 191 153 4 5PV Vaccarizza, Linarolo (Parco Ticino) 85 543 67 5PV Corteolona, Costa Nobili presente 100 100 2MI Mortone, Zelo B.P. (Parco Adda Sud) presente 6MI Pioppo, Zelo B.P. (Parco Adda Sud) presente 175 60 75PV Badia, Badia 76 100 4MI Comazzo, Comazzo (Parco Adda Sud) 92 3MI Zerbaglia, Turano L. (Parco Adda Sud) presente 260 113 3 124 27MI Monticchie, Somaglia (RN Monticchie) presente 371 117 106PC Pinedo, Caorso presente 148 14 1 6CR Pozzaglio, Pozzaglio presente 7PR Taro, Gramignazzo (Parco Taro) 93 310 15BS Brescia, Brescia presente 75CR Lancone, Gussola presente 5CR Villa Medici, S.G. in croce presente 18 2 2MN Bine, Acquanegra (RN Le Bine) presente 11MN Marcaria, Marcaria (Parco Oglio S.) presente 36 3 2 79 8MN Bellaguarda, Viadana presente 184 76 204MN Pomponesco, Pomponesco (RN Garz. Pomponesco) 86 414 76RE Gualtieri, Gualtieri presente 747 106 2MN Superiore, Mantova (Parco Mincio) presente 58MN Vallazza, Mantova (Parco Mincio) presente 265 63 3 174 26MN Garolda, Ronco Ferraro (Parco Mincio) presente 489 143 10 1 78MN Paiolo, Quingentole 80 600 20MN Revere, Revere presente 36
MN Carbonara, Carbonara Po (RN Garz. Carbonara) presente 561 108 9
Prov. Località, Comune (Eventuale protezione Presenza No. medio nidi dal 1972 al 1999Nitti-cora
Gar-zetta
Sgarzaciuffetto
Aironeguardabuoi
Aironecenerino
Aironerosso
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Figura 38. Andamento delle popolazioni nidificanti di aironi in Lombardia dal 1976 al
1999. Il numero totale di nidi è espresso da un indice, che ha valore convenzionale uguale
a 1 per il 1981, l’anno del primo censimento completo, quando vi erano in Lombardia (nelle
colonie incluse in Fig. 37) un totale di 10.300 nidi di Nitticora, 2.050 di Garzetta, 60 diSgarza ciuffetto, 180 di Airone rosso, e 190 di Airone cenerino. Per l’Airone guardabuoi,
che non era presente nel 1981, l’anno di riferimento per l’indice (uguale a 1) è il 1994,
quando vi erano in totale 10 nidi.
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Fattori limitanti la distribuzione delle garzaie
La distribuzione geografica delle garzaie è determinata dalla dispo-
nibilità di ampie superfici coperte d’acqua raggiungibili durante i voli di
foraggiamento dalla colonia ove gli uccelli nidificanti possono trovare ab-bondanti prede. Entro un’area favorevole poi, la localizzazione precisa della
garzaia è dovuta alla disponibilità di un sito idoneo, protetto dai predatori
e dal disturbo umano, e dotato di substrati arborei per i nidi. L’insuffi-
ciente disponibilità di anche uno solo di questi elementi costituisce un
fattore limitante la possibilità di nidificazione degli Ardeidi.
La pianura lombarda, solcata da grandi fiumi e in buona parte colti-
vata a riso, se pur densamente antropizzata, offre ampie superfici ricoper-
te da ambienti acquatici per lo più artificiali, le risaie, che rappresentano
un serbatoio alimentare particolarmente ricco. Però, in questa situazionedi sfruttamento agricolo intensivo e forte impatto antropico, gli ambienti
a vegetazione naturale palustre o a bosco planiziale, necessari come siti
per le colonie, sono ormai ridotti a piccole isole spesso relegate nei pochi
lembi di pianura difficilmente sfruttabili a fini agricoli. Nella maggioran-
za dei casi essi coincidono con paleoalvei o con zone mantenute in condi-
zioni di seminaturalità a fini venatori. Questi ambienti isolati rappresen-
tano gli unici siti sfruttabili dagli aironi per l’insediamento delle garzaie e
la sempre maggior rarità di questi luoghi costituisce il principale fattore
limitante la nidificazione.
Gli studi indirizzati alla conservazione e gli interventi che ne conse-
guono dovrebbero essere volti a quantificare, mantenere ed eventualmen-
te ricreare le condizioni favorevoli alle popolazioni di Ardeidi, indagando
sia le esigenze che riguardano l’areale trofico, sia quelle legate ai siti di
nidificazione. Questo principio rappresenta la traccia entro cui si sono
mossi gli studi qui illustrati.
La distribuzione delle garzaie in Lombardia (Fig. 37) è in stretta rela-
zione con la disponibilità di ambienti acquatici, come si vede dalla Fig. 39che illustra la differente copertura d’acqua nella pianura. Nella parte oc-
cidentale della pianura, a causa delle estese coltivazioni a risaia, l’acqua
arriva a coprire oltre metà della superficie; altrove, ampi ambienti acquatici
si trovano solo lungo le aste del Po e degli altri fiumi maggiori. Si nota
chiaramente che la presenza di un elevato numero di garzaie di grandi
dimensioni è connessa alla disponibilità di ampie superfici ad acqua. La
vasta estensione delle risaie nella zona occidentale della pianura padana,
rende questo territorio potenzialmente adatto agli insediamenti. La si-
tuazione cambia radicalmente con il passaggio alle zone centro orientali,
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dove gli unici ambienti acquatici di sufficiente estensione per sostenere la
presenza di una colonia coincidono con il corso del Po e dei maggiori af-
fluenti, con l’unica eccezione di piccole zone palustri perifluviali e mode-
ste superfici a risaia situate a NE di Mantova. Le garzaie più grandi si
trovano nella parte orientale della pianura ove sono disponibili maggioriestensioni di ambienti acquatici, quelle di medie dimensioni lungo il corso
del Po, mentre le garzaie più piccole sono ai margini nord e sud, lungo i
corsi d’acqua della pianura più alta.
La quantità di superfici coperte d’acqua che devono circondare una
colonia varia a seconda delle dimensioni della stessa e della produttività
degli ambienti circostanti e deve essere inclusa entro il raggio trofico della
garzaia, cioè entro la distanza massima percorribile dagli aironi per pro-
curarsi il cibo. Tale distanza è di circa 5 km per gli Ardedi più piccoli, ed
arriva a circa 15 km per l’Airone cenerino. Considerando un raggio di rac-
colta del cibo di 5 km, è stato calcolato che una garzaia può insediarsi in
una zona solo se la superficie d’ambiente acquatico entro il raggio trofico è
maggiore del 10% per le garzaie di oltre 400 nidi, come quelle presenti
nella zona a risaia, maggiore del 6% per garzaie di circa 100 nidi, ed è
almeno del 3% per le garzaie più piccole (meno di 100 nidi). Nelle aree con
superfici d’acqua meno estese, in pratica in tutte le zone in bianco nella
Figura 39. Distribuzione degli ambienti di foraggiamento (risaie, fiumi, canali, zone umi-
de). L’area studiata comprende tutta la bassa pianura lombarda, come indicato nel riqua-dro. La scala indica la percentuale di territorio coperto dagli ambienti acquatici.
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Fig. 39, non possono insediarsi garzaie per carenza di zone di alimentazio-
ne. Proprio grazie alla disponibilità di aree di alimentazione, nella zona
delle risaie le colonie si disperdono in tutta la pianura, mentre nella zona
dei grandi fiumi esse dipendono dalle risorse trofiche offerte dai soli am-
bienti fluviali e scompaiono non appena le golene fluviali si fanno strettee la superficie totale degli ambienti acquatici scende sotto i requisiti mini-
mi.
Riassumendo è possibile distinguere due aree con caratteri differenti
nel territorio lombardo: la zona intensamente coltivata a riso, che ha il
suo nucleo in Lomellina, nel Pavese e nelle campagne a ovest di Milano
(d’ora in poi chiamata per semplicità “zona riso”), e l’area centro orientale
dove il riso lascia il posto ad altre coltivazioni che non richiedono l’allaga-
mento periodico del suolo e dove le garzaie seguono il corso dei fiumi mag-
giori (chiamata “zona fiumi”).
Nella zona riso si trovano colonie che in vari casi superano i 1000 nidi
mentre, lungo i fiumi, le colonie non superano mai gli 800 nidi e sono
globalmente più distanziate le une dalle altre.
Si è visto come, nella pianura lombarda, la scarsità di vegetazione
naturale palustre necessaria per l’insediamento delle colonie è l’elemento
che sembra limitare maggiormente la nidificazione degli Ardeidi. Si è per-
tanto ritenuto necessario condurre specifici studi per evidenziare quali
siano i requisiti che rendono un’area a vegetazione naturale idonea adospitare una colonia. A questo scopo, sono state individuate su foto aeree
tutte le zone a vegetazione seminaturale arbustiva o arborea, di superfi-
cie maggiore di 1 ha. Tutte queste zone sono poi state visitate e valutate
in merito alla loro idoneità ad ospitare una garzaia, sulla base delle carat-
teristiche interne all’area stessa, elencate nella colonna a sinistra della
Tab. 2.
Al termine di questi rilevamenti, l’idoneità è stata definita tramite il
confronto tra le caratteristiche rilevate nei siti occupati dalle garzaie e nei
siti non occupati. Sulla base di questo confronto sono emerse tre variabiliin grado di discriminare tra siti occupati e non:
1. l’estensione dell’area occupabile dai nidi, che nelle garzaie è in ge-
nere superiore a 4 ha. Le colonie che si sono insediate su superfici inferiori
sono caratterizzate da maggior instabilità come nel caso di Chiossa (PV) e
Carola (PV);
2. la percentuale di perimetro protetto da acqua o altre barriere, che
difendono dai predatori e dal disturbo antropico. Nelle garzaie infatti la
presenza di protezioni perimetrali è più elevata e spesso raggiunge valori
superiori all’80%;
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3. il grado di disturbo antropico all’interno dell’area, che, nelle garzaie,
risulta minore; sembra invece scarsamente influente l’eventuale disturbo
antropico nelle immediate vicinanze. La presenza di strade, edifici, o il
disturbo associato alle pratiche agricole, ecc., non influenzano negativa-
mente l’idoneità di un sito per una garzaia a patto che si collochino fuoridal suo perimetro.
Sulla base di queste caratteristiche, solo 34 dei 219 siti non occupati
inizialmente individuati si sono rivelati idonei (Fig. 40). Inoltre, il nume-
ro di siti effettivamente disponibili per nuove colonie si riduce ulterior-
mente, quando si considera che molti di essi sono localizzati presso garzaie
già esistenti e quindi non sono occupabili; altri invece, specialmente lungo
il corso dei fiumi minori, non possono ospitare colonie data la scarsità
degli ambienti di alimentazione. Gli interventi di gestione dovrebbero per-
tanto mirare a garantire una rete di siti idonei opportunamente distan-
ziati e distribuiti entro le zone in grado di fornire cibo sufficiente alla vita
delle colonie.
Quest’analisi, condotta sulla totalità della pianura lombarda, ha per-
messo di individuare alcuni requisiti comuni importanti nel determinare
l’idoneità di un sito, ma contemporaneamente ha evidenziato profonde
differenze nel territorio della zona riso e della zona fiumi, alle quali corri-
spondono differenze nel tipo di ambienti occupati dalle colonie.
Tabella 2 . Caratteristiche dei siti delle garzaie e dei siti non occupati.
garzaie siti non occupati garzaie siti non occupati
Vegetazione ontaneti boschi misti boschi misti, saliceto arboreoprevalente saliceti arbustivi saliceti arborei canneto,
saliceto arbustivo
Estensione maggiore di 4 ha sovente inferiore a 4 ha in media 20 ha in media 10 ha
Forma diametro diametro sovente diametro diametronon inferiore a 200m inferiore a 200m 250 m in media inferiore
Presenza di acqua maggiore minore maggiore minore
Perimetro protetto in media 90% in media 50%, 30-80 % 0-30%da corpi d’acqua sovente 0
Presenza di strade nulla o scarsa sovente minore maggiore
o sentieri numerosi
Caratteristiche Lombardia occidentale(prov. PV, LO)
Lombardia orientale(prov. CR, MN)
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Nella zona riso sono presenti molti ontaneti, e alcuni saliceti arbustivi,
ambienti che sono largamente occupati dalle garzaie in quest’area, dove
gli aironi sembrano preferire i lembi residui di foreste planiziali a vegeta-zione igrofila possibilmente con il perimetro protetto da canali e il suolo in
buona parte allagato. La zona fiumi invece appare nettamente più
sguarnita di biotopi a vegetazione palustre rispetto alla zona riso (Fig.
41): sono assenti gli ontaneti, e sono scarsi anche i saliceti arbustivi e gli
altri boschi naturali ad alto fusto. Nella zona fiumi gli aironi apprezzano
particolarmente il saliceto arbustivo ed il canneto (gli unici ambienti uti-
lizzati dall’Airone rosso) che si trovano relegati nei pochi lembi di zone
umide naturali. I tipi di vegetazione più frequenti sono però altri, e sonosfruttati in modo differenziato dalle varie specie. Garzetta e Nitticora in-
fatti utilizzano anche i saliceti arborei, disponibili in grande abbondanza
e concentrati lungo le golene. L’estensione dei saliceti arborei nei siti oc-
cupati da colonie è in media più ampia rispetto ai siti non occupati. Un’ul-
teriore particolarità della zona fiumi rispetto alla zona riso consiste nel-
l’utilizzo dei pioppeti coltivati quale ambiente di insediamento da parte di
Airone cenerino e anche di Nitticora e Garzetta.
Sia i saliceti arborei, sia i pioppeti garantiscono però condizioni di
idoneità a carattere effimero e, pertanto, sono utilizzati solo temporanea-
Figura 40 . Localizzazione delle colonie e dei siti non occupati, suddivisi tra siti apparente-
mente idonei per l’insediamento di una colonia di aironi e siti non idonei.
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mente. Nei saliceti arborei, anche se di dimensioni sufficienti, l’insedia-
mento riguarda solo gli stadi intermedi dell’accrescimento superati i qua-
li gli alberi perdono le caratteristiche strutturali favorevoli al sostegno
dei nidi. Infatti il numero di pulcini allevati con successo in nidi localizza-
ti su salici arborei è molto basso. Da questo punto di vista invece sembrache i pioppi siano particolarmente adatti, sebbene scarsamente protetti e
potenzialmente più soggetti ad episodi di disturbo; ciò contribuisce a spie-
gare perché essi siano sovente preferiti ai saliceti arborei, anche in consi-
derazione del fatto che mancano altre forme vegetazionali idonee come
ontaneto o bosco misto. Anche i pioppeti però sono destinati ad un utilizzo
temporaneo da parte degli Ardeidi in quanto, dopo alcuni anni, o cadono
per deperimento, oppure vengono tagliati al termine del ciclo di coltiva-
zione.
Un’altra caratteristica della distribuzione delle colonie è che esse si
insediano ad una certa distanza l’una dall’altra, allo scopo di evitare la
sovrapposizione e l’affollamento degli areali di alimentazione tra colonie
contigue. Misurando le distanze tra una colonia e l’altra, e tra colonie e
siti idonei non occupati, si è notato che le colonie sono spaziate in modo
abbastanza regolare, mentre i siti non occupati sono distribuiti a gruppi o
si collocano nelle strette vicinanze di una colonia già esistente. In prossi-
mità di garzaie già esistenti infatti, la probabilità che un sito idoneo sia
occupato è molto bassa, anche quando dispone di ambienti di alimentazio-ne circostanti. E’ possibile individuare delle fasce non occupabili intorno a
ciascuna colonia, indipendentemente dalla presenza di siti idonei, la cui
ampiezza varia tra i 4 ed i 10 km a seconda del numero di nidi della colo-
nia e dell’estensione degli ambienti di alimentazione; ovviamente colonie
più grandi e con meno ambienti acquatici a disposizione necessiteranno di
una più ampia fascia non occupabile da altre garzaie. Inoltre sono state
evidenziate ampie aree prive di colonie, nonostante la disponibilità di suf-
ficienti ambienti di alimentazione, dove l’assenza di Ardeidi nidificanti è
verosimilmente dovuta alla carenza di siti idonei. In ampi settori dell’areaesaminata quindi sarebbe probabile l’insediamento di nuove colonie qua-
lora sussistessero le condizioni di idoneità dei siti. In alcune aree della
zona riso, ad esempio ad ovest di Pavia, queste aree corrispondono a setto-
ri dove in passato esistevano garzaie, oggi scomparse in seguito alla di-
struzione dell’ambiente.
Alla luce di queste osservazioni gli sforzi di gestione dovrebbero esse-
re indirizzati alla salvaguardia o al ripristino di siti idonei in aree con
sufficienti disponibilità alimentari, ma opportunamente distanziate dalle
colonie vicine. Interventi su aree prossime a siti già occupati sono invece
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inutili, a meno che l’area occupata rischi di essere compromessa. In tal
caso, data la fedeltà degli Ardeidi alle aree di riproduzione, è opportuno
creare le condizioni per un nuovo insediamento vicino a quello non più
utilizzabile.
Figura 41. Tipi d’ambiente relativamente ai siti delle colonie, ai siti idonei non occupati edai siti non idonei. I saliceti sono a portamento prevalentemente arbustivo nella zona occi-
dentale a risaia, mentre lungo i fiumi della zona orientale prevale il portamento arboreo.
I siti con “altro” sono per la maggior parte costituiti da bosco vegetante su substrato asciutto.
Preferenze di habitat per i nidi
La conoscenza delle preferenze nella scelta dell’habitat in cui costru-
ire il nido all’interno della colonia permette di impostare le scelte di ge-stione in modo da favorire l’insediamento o la permanenza del maggior
numero possibile di specie. All’interno di una garzaia le diverse specie di
Ardeidi selezionano differenti posizioni dei nidi, generalmente disponen-
dosi su più livelli, secondo un ordinamento verticale sulla vegetazione che
rispecchia le dimensioni corporee e le interazioni di dominanza che inter-
corrono tra specie. La Fig. 42 illustra le preferenze tipiche di ciascuna
specie. Le più piccole, in ordine crescente Sgarza ciuffetto, Garzetta e
Nitticora, occupano le posizioni medio basse, sovente tra 5 e 15 m d’altez-
za, entro ontaneti, saliceti ed eccezionalmente pioppeti coltivati. I canneti
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non vengono occupati. La Sgarza ciuffetto inoltre evita i boschi maturi.
L’Airone cenerino, che è il nidificante di maggiori dimensioni, si colloca
negli strati più alti della vegetazione, in genere dai 15 ai 25 m, ed è inoltre
l’unica specie che nidifica anche in boschi più maturi e, nella zona fiumi,
sovente nei pioppeti coltivati. L’Airone rosso invece rappresenta un’ecce-
zione alla regola dell’ordinamento verticale in relazione alle dimensioni
corporee, in quanto, pur essendo per grandezza la seconda specie dopo
l’Airone cenerino, tende ad occupare strati più bassi rispetto agli altri abi-tanti della colonia. Inoltre è l’unica specie ad usare abitualmente i canne-
ti. Questa preferenza può essere vista come il risultato di fenomeni di
segregazione dovuta alla competizione tra specie: la scelta di ambienti
differenti, pur nell’ambito della stessa colonia, riduce le interazioni
competitive tra le due specie di maggiori dimensioni, Airone rosso e
cenerino, che, diversamente, entrerebbero in conflitto. Tuttavia la distri-
buzione verticale non segue altezze determinate in termini assoluti, ma la
scala di localizzazione verticale tra le specie tende a ripetersi in relazione
all’altezza raggiunta di volta in volta dalla vegetazione. La progettazione
Figura 42 . Preferenze per l’habitat dei nidi da parte delle cinque specie di Ardeidi più
abbondanti. Le popolazioni di Airone guardabuoi e Airone bianco sono troppo esigue per-
ché sia possibile evidenziare preferenze; apparentemente l’Airone guardabuoi nidifica in
posizioni simili a quelle della Garzetta.
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Figura 43. Un vasto ambiente umido nella pianura coltivata a riso offre diversi tipi di
vegetazione idonei per la nidificazione degli aironi, quali boschi di ontano e macchie di
saliconi allagati.
di lotti di vegetazione con struttura diversificata all’interno dei biotopi
che ospitano garzaie è consigliabile per favorire la presenza di tutte le
specie di Ardeidi, in quanto attenua le possibili interazioni aggressive e
fornisce una scelta di strati vegetazionali tale da soddisfare le preferenze
di ciascuna specie (Fig. 43).
Dinamica delle garzaie
Osservando le Figure 37 e 39, risulta evidente che il maggior numero
di garzaie si concentra nella zona intensamente coltivata a riso in provin-
cia di Pavia. Nella rimanente parte dell’area in esame le colonie si alline-
ano lungo l’asta del fiume Po ed il basso corso dei suoi maggiori affluenti
(Ticino, Adda, Taro, Oglio, Mincio). Costituiscono un’eccezione alcune
garzaie di nuovo impianto che si estendono a nord lungo il corso del Ticino
(Biandronno, Brabbia, Maddalena, Robecchetto) e una colonia insediatasi
a Brescia presso lo svincolo autostradale. Si tratta per lo più di nuclei di
Airone cenerino.
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La Fig. 44 mostra quali colonie siano stabili, oppure di recente forma-
zione e quali siano scomparse. Non sono qui raffigurate alcune nuove colo-
nie, situate soprattutto lungo Ticino, Po e Taro, che corrispondono a
insediamenti di Airone cenerino e che sono il risultato della grande espan-
sione numerica di questa specie. Un sintetico bilancio per il territorio lom-bardo dal 1972 al 1999, mostra che 22 garzaie sono state occupate stabil-
mente, 5 sono scomparse e 3 nuove garzaie si sono insediate. Inoltre, 7
garzaie sono state classificate come “vaganti” in quanto, a distanza di po-
chi anni, si sono spostate in siti vicini, pur gravitando sulla stessa area.
Nella zona riso le colonie tendono a mantenere una collocazione mol-
to stabile, eventualmente con spostamenti dell’ordine di poche decine o
centinaia di metri all’interno di una stessa parcella di vegetazione natu-
rale. Dove le garzaie si trovavano in appezzamenti di estensione troppo
limitata (colonie di Cascina Isola, Carola e Porta Chiossa) gli spostamenti
si sono indirizzati verso biotopi simili situati nelle immediate vicinanze.
La perdita netta di 5 garzaie nella zona riso è imputabile a fenomeni di
distruzione o manomissione degli ambienti, oppure ad una loro evoluzio-
ne verso forme non più idonee a causa di interramento, di prosciugamen-
to, o di cambiamento della vegetazione. Alcune fasce di territorio, dove si
è assistito alla scomparsa di colonie, sono rimaste prive di nuovi
insediamenti a causa della mancanza degli ambienti adatti. La scarsità
degli ambienti umidi seminaturali necessari per l’insediamento dellegarzaie e il recente incremento delle popolazioni di Ardeidi rendono la
mancanza di siti idonei alla nidificazione un fattore che limita la forma-
zione di nuove colonie.
Nella zona fiumi invece, le garzaie vanno soggette a frequenti
spostamenti di corto raggio, in genere alcuni chilometri, come nel caso
delle garzaie di Carbonara, Garolda, Gualtieri, Taro. La maggiore mobili-
tà delle garzaie nella zona fiumi è dovuta ai differenti ambienti occupati:
ai saliceti arbustivi ed agli ontaneti della zona riso si sostituiscono, nella
zona fiumi, i saliceti arborei ed i pioppeti coltivati, ambienti di idoneitàeffimera che sono abbandonati dopo pochi anni. Di solito un nuovo sito,
anch’esso di effimera idoneità, è trovato nelle immediate vicinanze. Que-
sti ambienti possono ospitare una colonia solo per pochi anni, in quanto i
saliceti arborei golenali evolvono rapidamente verso forme poco adatte al
sostegno dei nidi, mentre i pioppeti vengono abbattuti per esigenze
colturali. Perciò le garzaie non mantengono una singola localizzazione,
ma si spostano intorno a “baricentri” con un rapido susseguirsi di scom-
parse e comparse in aree distanti tra loro pochi chilometri. I baricentri di
presenza delle garzaie appaiono allineati lungo il Po e gli altri maggiori
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fiumi, e sono distanziati con una certa regolarità tra i 15 ed i 25 km. Talefenomeno è dovuto al fatto che le garzaie tendono a discostarsi l’una dal-
l’altra per evitare il sovrapporsi delle aree trofiche ed il conseguente
sovraffollamento.
Le indicazioni di interesse conservazionistico che si possono trarre
dall’analisi della localizzazione delle garzaie sono le seguenti:
• si evidenzia, in tutto il territorio lombardo, la scarsità di ambienti
idonei alla nidificazione che, considerato il forte incremento delle popola-
zioni di Airone cenerino e Garzetta è, a livello locale, il principale fattore
limitante l’insediamento di nuove colonie;
• nella zona a riso, dove le colonie sono stabili in quanto localizzate in
biotopi la cui idoneità è costante nel tempo, esistono le condizioni per la
creazione di apposite Riserve Naturali, per altro in parte già istituite;
• nella zona fiumi la localizzazione delle colonie lungo il Po ed il basso
corso dei principali affluenti suggerisce di concentrare gli sforzi per l’even-
tuale creazione di nuovi biotopi con caratteristiche che ne rendano stabile
l’occupazione, situati lungo la fascia fluviale ed all’interno dei baricentri
individuati come aree tradizionali di insediamento.
Figura 44 . Colonie suddivise per grado di stabilità, dal 1972 al 1999.
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Obiettivi ed azioni di conservazione: il modello digestione delle garzaie lombarde
Gli interventi di conservazione dovrebbero garantire il mantenimen-
to di condizioni favorevoli per tutti i fattori riconosciuti potenzialmentelimitanti, che sono principalmente la disponibilità di siti per le colonie e la
disponibilità di ambienti per l’alimentazione. Attualmente questo secon-
do aspetto non sembra costituire una reale limitazione; inoltre il migliora-
mento degli ambienti di alimentazione comporterebbe interventi sulla
qualità delle acque e sulle pratiche agricole, peraltro onerosi e che tra-
scendono la mera conservazione degli Ardeidi. Tale obiettivo quindi, pur
non abbandonato, scivola in secondo piano rispetto alla ben più urgente
conservazione degli ambienti idonei alla nidificazione. Le azioni in questo
senso sono infatti operativamente più attuabili e costituiscono un obietti-
vo immediato dato che la scarsità di tali ambienti sembra già costituire
un fattore limitante. Inoltre, la salvaguardia e la gestione delle zone umi-
de planiziali consente di raggiungere risultati di portata più ampia ri-
spetto alla sola protezione delle garzaie. Le zone umide residue sono pre-
senze sporadiche e frammentarie che hanno un grande valore storico-
paesaggistico in quanto costituiscono l’ultima testimonianza del manto
naturale che un tempo ricopriva la pianura padana; contemporaneamen-
te hanno un elevato pregio naturalistico-scientifico in quanto contribui-scono ad elevare la biodiversità in un area quasi completamente trasfigu-
rata dall’azione umana. La protezione e la gestione di questi ambienti,
caratterizzati da estensioni limitate (pochi ettari) e dislocati su
appezzamenti di basso valore agricolo ed economico, risulta facilmente com-
patibile con l’utilizzo agricolo intensivo cui è soggetta la pianura lombarda.
La scarsità di ambienti umidi naturali idonei all’insediamento degli
aironi rende necessaria una serie di interventi differenziati nelle modali-
tà e nei tempi di realizzazione, nonché negli oneri economici, che vanno
dalla protezione delle aree occupate, alla gestione attiva volta al manteni-
mento delle condizioni di idoneità, al ripristino di biotopi in cui favorire
l’insediamento di nuove colonie. Alcune garzaie sono vulnerabili perché
sorgono in condizioni non ottimali (pioppeti e saliceti arborei), altre per-
ché vicine al limite minimo dei requisiti ambientali necessari per la
nidificazione; queste situazioni necessitano di interventi differenziati tarati
sulle condizioni ambientali generali dell’area interessata.
Occorre innanzi tutto definire delle priorità d’intervento che rispon-
dano nel modo migliore possibile ad esigenze territoriali distinte. Zona
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riso e zona fiumi si differenziano per l’urgenza degli interventi di conser-
vazione. Tali priorità, in ordine decrescente, potrebbero essere delineate
nei punti che seguono:
• Proteggere tutte le garzaie esistenti in ambienti naturali o
seminaturali e ancora prive di tutela, mediante l’istituzione di zone pro-tette ad adeguato titolo. Nei casi di nidificazione in pioppeto coltivato,
l’istituzione di una zona protetta è inopportuna, dal momento che i pioppeti
sono ambienti a basso valore naturalistico e scarsamente idonei alla
nidificazione degli aironi, probabilmente scelti come unica alternativa
possibile di fronte alla scarsità di ambienti ottimali. Sono comunque op-
portune misure di salvaguardia minima che, a seguito dell’individuazione
tempestiva dei pioppeti occupati, ne evitino il taglio durante il periodo
riproduttivo. Inoltre, quando il pioppeto rappresenta l’unica possibilità di
nidificazione per un ampio raggio, sono da prevedere misure quali la
sensibilizzazione dei conduttori, l’affitto o l’indennizzo per il ridotto reddi-
to, in modo da assicurare la disponibilità pluriennale del sito per gli Ardeidi
nidificanti. Ove invece fossero presenti più appezzamenti contigui a
pioppeto, non sono necessarie misure di salvaguardia, poiché è altamente
probabile che, se in inverno vengono abbattuti gli alberi occupati, l’anno
successivo gli aironi si insedieranno su quelli vicini. Non sono infatti emersi
particolari requisiti tali da discriminare pioppeti occupati e non.
• Nella zona riso, la scomparsa netta di varie colonie richiede unacerta tempestività di interventi specialmente a carico di quei biotopi che,
seguendo i processi di seriazione naturale, stanno evolvendo verso forme
che presto diventeranno inospitali per gli aironi. Come conseguenza della
crescente occupazione del territorio realizzata dall’uomo nel corso dei se-
coli, il processo di ricambio spontaneo delle zone umide è stato interrotto
poiché manca lo spazio per la formazione di nuove zone umide che sostitu-
iscano quelle in cui i processi di interramento attuano una bonifica natu-
rale. Si rendono quindi necessari interventi di gestione attiva delle ultime
aree palustri affinché sia garantito il mantenimento di condizioni idoneeall’insediamento delle garzaie.
• Nella zona fiumi invece le garzaie scomparse nel corso degli ultimi
20 anni sono state rimpiazzate da nuove colonie, per lo più sorte nell’am-
bito dei baricentri di presenza tradizionale. Come già detto, in quest’area
della pianura lombarda gli ambienti umidi naturali idonei per la
nidificazione degli aironi sono quasi assenti e l’unica alternativa possibile
è rappresentata dalle nidificazioni in pioppeti coltivati o, più raramente,
su saliceti arborei. Pertanto, oltre all’immediata protezione di qualsiasi
insediamento, gli interventi di conservazione nella zona fiumi passano
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attraverso riqualificazioni ambientali di ampio respiro e di lunga attua-
zione i cui risultati saranno apprezzabili solo nel lungo periodo.
In conclusione, l’obiettivo più impegnativo ed ambizioso, anche se di
urgenza non immediata, è la costruzione di una rete di biotopi naturali.Questo fine andrebbe perseguito tramite la gestione attiva dei biotopi già
presenti e la creazione di nuovi siti di elevato pregio naturalistico idonei
all’insediamento delle garzaie. La creazione di nuovi siti dovrebbe inte-
ressare tutte le zone della pianura lombarda che offrono aree di alimenta-
zione sufficientemente estese, con particolare riguardo alla zona fiumi che
attualmente è la più sguarnita di ambienti adatti alle colonie. Anche in
questo caso sarà necessaria una gestione attiva dei siti per far fronte alla
naturale tendenza della vegetazione ad evolvere in forme non idonee.
Le osservazioni di interesse conservazionistico che nascono dallo stu-
dio accurato della biologia riproduttiva degli Ardeidi portano a indirizzi
gestionali comuni per tutto il territorio lombardo, che, inevitabilmente,
devono tenere conto delle peculiarità e delle differenze evidenziate tra la
zona riso e la zona fiumi. Le esigenze di questi due distretti territoriali
richiedono la formulazione di un modello che, pur nascendo da un’unica
idea, sia in grado di rispondere in modo flessibile ed esaustivo alle diverse
realtà territoriali cui viene applicato. I punti fondamentali del modello
sono schematicamente riportati di seguito e ripercorrono in gran parte irisultati emersi dallo studio ora illustrato.
1. Gli aironi sono fedeli al sito di nidificazione e le garzaie, salvo even-
ti che le rendono inutilizzabili, sono rioccupate di anno in anno. Nella
zona fiumi, le particolari condizioni di insediamento di alcune colonie at-
tualmente non consentono il mantenimento di una localizzazione fissa
per più anni consecutivi. Gli aironi compiono spostamenti limitati e la
localizzazione delle garzaie gravita intorno ad aree tradizionali di inse-
diamento. La fedeltà degli aironi al territorio crea le condizioni adatte, da
un lato, per l’istituzione di apposite riserve nelle aree idonee già occupatee, dall’altro, per la creazione di nuovi biotopi che conservino nel tempo
condizioni di idoneità per la nidificazione. Questi nuovi biotopi dovrebbe-
ro sorgere all’interno dei baricentri della zona fiumi oppure in aree con
sufficienti disponibilità trofiche, ma attualmente sguarnite di habitat adat-
ti.
2. Il modello prevede l’istituzione di una rete di siti idonei in tutte le
aree in cui sono presenti ambienti di alimentazione sufficientemente este-
si. Dal momento che le aree di alimentazione per gli Ardeidi coincidono
con le zone a copertura acquatica sia naturali, sia artificiali, i siti interes-
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sati dal modello sono esclusivamente quelli circondati da territori in cui
per almeno 5 km la copertura di acqua è pari al 10 %. In pratica l’area
coinvolta dagli interventi di gestione corrisponde, nella Lombardia Sud
occidentale, alle campagne intensamente coltivate a riso e, nella Lombar-
dia Sud orientale, si snoda lungo il corso del Po e dei suoi maggiori af-fluenti nel tratto più vicino alle confluenze. Qui la fascia in grado di ospi-
tare gli insediamenti si estende poco oltre l’area golenale (in media non
oltre i 2 km).
3. I siti oggetto di interventi dovranno essere opportunamente distan-
ziati al fine di ridurre le interazioni competitive tra colonie. Infatti, cia-
scuna garzaia è circondata da una fascia in cui la probabilità di nuovi
insediamenti è praticamente nulla. Per i biotopi in risaia l’estensione di
tale anello varia dai 4 ai 10 km a seconda delle dimensioni della colonia e
dell’estensione degli ambienti di alimentazione che la circondano. Nella
zona fiumi, dove le garzaie sono distribuite lungo i corsi d’acqua, la di-
stanza tra le garzaie aumenta fino a 20-30 km. Interventi su aree prossi-
me a siti già occupati sono giustificabili solo nel caso in cui l’area occupata
sia a rischio di compromissione; in tal caso, vista la fedeltà degli aironi al
territorio, la creazione di un nuovo insediamento vicino a quello presto
non più utilizzabile è particolarmente indicata.
4. La struttura interna ottimale dei biotopi atti ad ospitare garzaie
può essere desunta dalle caratteristiche in grado di discriminare tra sitioccupati e non: estensione, vegetazione arbustiva o arborea, protezione da
predatori terrestri e da disturbo antropico. La soglia minima perché un
biotopo sia adatto ad ospitare una garzaia è di 4 ha; l’area interessata
deve essere protetta su gran parte del perimetro da canali o altro tipo di
barriere fisiche (ad esempio siepi fitte) in grado di rendere l’accesso diffi-
cile a predatori terrestri o intrusi in genere. Importante, almeno nella
zona riso, si è dimostrato l’allagamento di ampie zone dell’area interessa-
ta dalla colonia.
Dal punto di vista del tipo e della struttura della vegetazione, è op-portuno prevedere più lotti con caratteristiche differenti, ciascuno del-
l’estensione minima richiesta per gli insediamenti. I tipi di vegetazione
da favorire cambiano lievemente a seconda della zona in cui si intende
realizzare l’intervento. La progettazione dei siti è volta a garantire le con-
dizioni per la nidificazione di tutte le specie di Ardeidi.
Nella zona riso, lo schema ottimale (Fig. 45) è costituito da due lotti di
vegetazione ad ontaneto (uno giovane e l’altro intermedio, adatti per
Nitticora, Garzetta e Sgarza ciuffetto), un lotto a saliconi arbustivi (prefe-
rito dall’Airone rosso, ma utilizzato anche dalle tre specie precedenti) ed
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un ultimo lotto, eventualmente di estensione inferiore, caratterizzato da
bosco misto maturo (su cui si insedia di preferenza l’Airone cenerino). Ove
possibile può essere aggiunta, a completamento, una zona a canneto e
cariceto, che potrebbe essere utilizzata dall’Airone rosso. Un intervento
ridotto al minimo prevede almeno l’impianto di due lotti. Questo schema èproponibile anche per la creazione di biotopi fuori golena nella zona fiumi
dove i boschi misti, igrofili o mesofili, sono quasi assenti; la loro disponibi-
lità sarebbe presumibilmente apprezzata dagli aironi che avrebbero così
una valida alternativa alla nidificazione in pioppeto coltivato. La percen-
tuale di suolo da destinare ad ontaneto o a bosco misto ad alto fusto an-
drebbe poi valutata di volta in volta a seconda delle necessità e delle ca-
ratteristiche del terreno.
Nella zona fiumi vi è la possibilità di realizzare nuovi siti anche al-
l’interno dell’area golenale, secondo lo schema illustrato in Fig. 46. Men-
tre lo schema per la zona a riso (Fig. 45) è già stato applicato con risultati
incoraggianti, quello per la zona fiumi è ancora in attesa di
sperimentazione. Si consiglia l’impianto di lotti di saliceto arbustivo ed
ontaneto; nelle zone più elevate le essenze ad alto fusto necessarie all’Ai-
rone cenerino saranno in prevalenza pioppo bianco e pioppo nero, preferi-
te per la rapidità di crescita. Nelle zone più vicine al fiume si manterrà la
vegetazione tipica costituita da fasce a salice arboreo, sebbene di pregio
non elevato e scarsamente utilizzato dagli aironi. E’ necessario allestirealmeno due diversi lotti vicini la cui estensione deve essere minimo di 3
ha ciascuno.
5. Un capitolo importante nella gestione delle garzaie riguarda la
fruizione da parte del pubblico. Tra la molteplicità di ruoli svolti da que-
ste aree non bisogna tralasciare quello didattico-ricreativo. Le garzaie
costituiscono infatti un’importante occasione di incontro diretto con la
natura e possono fungere da laboratorio all’aria aperta per studenti di
tutti i livelli o come momento di svago per birdwatchers, fotografi
naturalistici, ecc. L’apertura di questi spazi al pubblico è un momentodelicato ed i rischi ad esso associati vanno attentamente valutati al fine di
contenerli il più possibile. Una presenza umana troppo insistente durante
le fasi di insediamento della colonia infatti potrebbe arrecare agli animali
un disturbo intollerabile e determinare l’abbandono del sito. A questi ri-
schi si può ovviare con la regolamentazione delle visite e l’istituzione di
un’apposita rete di sentieri e capanni che consentano di avvicinarsi ai nidi
impedendo contemporaneamente ingressi indesiderati nelle aree più deli-
cate.
6. Un’ulteriore garanzia di successo per gli interventi di conservazio-
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Figura 45. Schema ideale di sito idoneo per una garzaia, nella zona riso. Lo schema è
applicabile anche nelle aree extragolenali della zona fiumi. La superficie totale a vegeta-
zione naturale dovrebbe essere superiore a 4 ha, ed è ottimale a 10 ha.
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Figura 46 . Schema ideale di sito idoneo per una garzaia, nella zona fiumi. La superficie
dovrebbe essere di almeno 4 ha, ottimale 10 ha.
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ne è rappresentata dall’istituzione di una fascia di rispetto, della larghez-
za di almeno 200 m attorno al perimetro del sito naturale. All’interno di
questa fascia andrebbero previste poche restrizioni, ma tali da garantire
requisiti minimi di tranquillità all’area in cui si trovano i nidi. Nella fa-
scia di rispetto sarebbero quindi vietati gli interventi di bonifica, di tagliodelle eventuali aree a vegetazione naturale e la costruzione di edifici. Sa-
rebbero invece perfettamente compatibili le normali pratiche agricole, con
preferenza ove possibile per la coltivazione del riso in modo da garantire
ambienti di alimentazione ai giovani Ardeidi che hanno da poco lasciato il
nido. E’ invece sconsigliabile l’impianto di pioppi in quanto vi nidifica re-
golarmente la Cornacchia grigia che è tra i maggiori predatori delle uova
di Ardeidi. Gli accessi potrebbero essere regolati in modo da evitare episo-
di di disturbo nel periodo di nidificazione e da limitare l’uso dei fitofarmaci
a quelli appartenenti alle classi di tossicità più basse.
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Le tecniche di gestione
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LE TECNICHE DI GESTIONE
Obiettivi e priorità
A partire dal modello di gestione illustrato nel precedente capitolo edalla meticolosa opera di acquisizione ed elaborazione dati che lo ha pre-
ceduto, sono stati individuati i parametri in grado di rendere un sito po-
tenzialmente idoneo alla nidificazione degli Ardeidae. In questo capitolo
verranno brevemente illustrati gli strumenti e le tecniche che consentono
il mantenimento e/o il raggiungimento di tali parametri. E’ bene premet-
tere che gli interventi di gestione, ripristino e rinaturalizzazione vanno
indirizzati all’ambiente nel suo complesso e coinvolgono aspetti di ordine
diverso (faunistici, forestali, idraulici e idrologici); non da ultimo bisogna
tener conto delle molteplici connessioni con le attività agricole che si svol-
gono sui terreni circostanti il bosco, alcuni dei quali sono inclusi nell’area
di riserva.
L’obiettivo cui tendere è il bosco tratteggiato dal modello di gestione.
Esso è costituito in prima approssimazione da due o più lotti di 3-4 ha
ciascuno al cui interno si trova un bosco coetaneo, tendenzialmente mono-
plano, con spiccati caratteri di semplicità ecosistemica. La sua composi-
zione è poco variata e vede il prevalere di una specie principale (ontano,
salicone, ecc.), che copre almeno l’80% del suolo, cui si accompagnano al-cune essenze di contorno (pioppi, farnie, ...). Attualmente la specie domi-
nante nella zona delle risaie è rappresentata dall’ontano nero, mentre,
nella zona fiumi, ad esso si sostituisce il salice bianco di cui però sono stati
dimostrati, tranne che nelle fasi iniziali della crescita, la scarsa idoneità
al sostegno dei nidi e lo scarso successo riproduttivo a ciò conseguente. La
protezione perimetrale è garantita da canali o fitte siepi, meglio se spino-
se. Fondamentale per la buona crescita delle piante e la protezione degli
aironi è la presenza di suolo intriso di acqua e parzialmente sommerso
almeno per il periodo che coincide con l’insediamento della colonia e lo
svolgimento della nidificazione.
Quelle illustrate in questo capitolo non vogliono essere regole rigide e
immodificabili, quanto piuttosto linee guida risultanti dai dati raccolti sul
campo durante la fase di studio e di prima applicazione del modello. La
conoscenza degli equilibri che legano gli ardeidae ai siti riproduttivi è in-
fatti tutt’altro che esaurita; ciascuna situazione in cui si progetta un in-
tervento è unica e spesso solo parzialmente ascrivibile alle categorie de-
scritte. Queste linee guida vanno pertanto interpretate come suggerimen-
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ti da applicare con elasticità nella definizione delle scelte finali, frutto
dell’analisi in dettaglio di ciascuna situazione, condotta con il supporto di
esperti nei settori interessati.
Nel momento in cui si progetta un intervento e vengono quantificate
le risorse economiche necessarie alla sua realizzazione è necessario defi-nire una scala di priorità riguardanti sia la scelta del sito su cui interveni-
re per primo, sia la definizione, nel’ambito dello stesso sito, degli inter-
venti più urgenti. Per quanto riguarda questo secondo punto è difficile
definire a priori la sequenza delle azioni in quanto gli interventi più ur-
genti dipendono strettamente dalle condizioni del sito in questione; per
quanto riguarda la scelta del sito invece è utile tener presente che le mag-
giori possibilità di successo si accompagnano a situazioni ambientali già
favorevoli in partenza. In quest’ottica alcuni elementi che concorrono a
definire la “massima priorità” per un intervento sono i seguenti:
• l’esistenza di un regime di gestione o proprietà dell’area che consen-
ta l’esecuzione di interventi con forme di finanziamento facilmente acces-
sibili e con limitate difficoltà per la disponibilità delle aree;
• l’esistenza di colonie nidificanti o la loro presenza in epoche recenti,
indice che il sito è potenzialmente idoneo;
• l’esistenza di condizioni alimentari ottimali in termini di distanza
dalla fonte di approvvigionamento e di estensione della stessa;
•
la presenza di lembi già esistenti di bosco misto o di altre formazionivegetali naturali, con la possibilità di un loro miglioramento o amplia-
mento, al fine di ottenere superfici coperte almeno pari a 3 ha;
• l’esistenza di superfici con disponibilità di acqua libera e la possibi-
lità di ottenere un buon isolamento dell’area;
• la possibilità di creare seriazioni vegetazionali mediante la realizza-
zione di collegamenti tra boscaglie ripariali e boschi planiziali, con un’azio-
ne di riqualificazione ambientale generale, che si esplica tramite inter-
venti selvicolturali su formazioni esistenti e nuovi impianti a colmare le
lacune.
Gli interventi forestali
Le tipologie vegetazionali che in Lombardia sono potenzialmente interes-
sate dalla presenza di garzaie sono le seguenti:
- Alneto
- Saliceto arbustivo
- Saliceto arboreo
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- Boscaglia ripariale
- Pioppeto coltivato
- Bosco misto
Non tutte sono caratterizzate dal medesimo livello di idoneità, suc-
cesso riproduttivo, valenza naturalistica. Esse verranno di seguito singo-larmente descritte e saranno tratteggiati gli interventi volti ad avvicinare
ciascuna situazione alle condizioni che, sulla base dell’attuale stato delle
conoscenze, vengono definite potenzialmente idonee. A seconda delle ne-
cessità, gli interventi possono mirare al ringiovanimento, alla semplice
manutenzione, alla ripiantumazione e si differenziano nelle modalità ese-
cutive in base alla presenza o meno dei nidi.
Gli interventi indirizzati a ciascuna delle seguenti categorie, a secon-
da delle necessità, vanno combinati tra loro per la realizzazione di un
ambiente composto da più lotti diversificati.
Alneto. Gli alneti sono boschi dove la specie dominante, non di rado l’uni-
ca, è rappresentata dall’Ontano nero ( Alnus glutinosa) che per sviluppar-
si richiede suoli intrisi di acqua (falda molto superficiale, a tratti affioran-
te). Queste formazioni si caratterizzano per la presenza di uno strato fitto
ed uniforme di piante per lo più coetanee, risultato di un governo a ceduo
in cui non sono state lasciate matricine. La luce del sole, indispensabile
per lo sviluppo dei giovani ontani, non riesce a raggiungere il suolo ed ilrinnovamento spontaneo del bosco è perciò impedito. A seconda dell’età e
delle conseguenti dimensioni delle piante, l’alneto si distingue in:
-“giovane”: età inferiore ai 20 anni, diametro medio delle piante inferiore
ai 12,5 cm ed altezza media dei fusti intorno ai 10 m;
-“a regime” o “intermedio”: età compresa tra i 20 ed i 30 anni, diametro
medio delle piante compreso tra i 12,5 cm ed i 15,5 cm, altezza media
intorno ai 15 m;
-“vecchio” o “maturo”: età superiore ai 30 anni, diametro medio delle pian-
te maggiore di 17,5 cm ed altezza media dei fusti 20 m.L’alneto giovane è quello che presenta la maggiore densità di nidi,
specialmente di Nitticora e Garzetta; anche l’alneto “a regime”, se pur con
una densità di nidi lievemente inferiore, è idoneo per la nidificazione; en-
trambe si presentano come ceduo semplice in quanto i turni di taglio si
avvicendano di consuetudine ogni 30 anni. L’alneto “vecchio” si distingue
dalle forme precedenti in quanto gli alberi sono maggiormente differen-
ziati per dimensioni ed altezza; inoltre presenta un più alto numero di
piante da seme o di polloni affrancati. Anche la massa secca è superiore
rispetto agli stadi più giovani e si nota la presenza, se pur limitata, delle
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più comuni specie accessorie quali farnia, pioppo nero, pioppo bianco e
acero campestre. Tutto ciò denota l’evoluzione verso un bosco caratteriz-
zato da un più alto livello di complessità che tuttavia ha progressivamen-
te perso le caratteristiche di idoneità all’insediamento degli ardeidi ad
eccezione dell’Airone cenerino, di cui sono note le preferenze per gli alberidi grandi dimensioni. La presenza delle garzaie e l’istituzione delle riser-
ve ha svincolato queste aree dai ritmi selvicolturali tradizionali che per
altro non avrebbero tenuto conto della presenza della colonia. Pertanto, in
assenza di interventi opportuni, gli alneti stanno evolvendo verso forme
sempre meno idonee.
Il modello ottimale verso cui tendere è rappresentato da un alneto
“giovane” o al massimo “a regime” in cui i tagli per il rinnovo avvengano
ogni 20, massimo 25 anni. In occasione dei tagli si prevede il rilascio di
circa 200 matricine per ha, scelte tra le piante nelle migliori condizioni e,
nel caso di assenza di piante da seme, tra i polloni ben conformati ed af-
francati. In tal modo si garantisce la presenza di alberi di maggiori di-
mensioni, eventualmente sfruttabili dall’Airone cenerino, che offrono pro-
tezione laterale ai nidi circostanti.
I maggiori problemi legati a questa tipologia vegetazionale sono quel-
li relativi all’invecchiamento; per i motivi sopra illustrati infatti il rinno-
vamento del bosco può avvenire solo artificialmente.
Negli ontaneti che non ospitano nidi e di superficie superiore ai 3 hail taglio potrà interessare superfici estese fino ad un massimo di 5000 mq
(Fig. 47). Nelle tagliate dovrà essere garantita la presenza di 200 matricine
per ha eventualmente anche tramite nuove piantumazioni, che hanno il
pregio di incrementare la variabilità genetica, a patto che si tratti di esem-
plari provenienti dalla pianura padana. Dagli esemplari tagliati invece si
svilupperanno nuovi polloni. Il taglio delle piante deve essere condotto
risparmiando le specie accessorie (pioppo bianco, pioppo nero, farnia, ace-
ro campestre, olmo campestre, ecc.), salvo quelle in cattivo stato
fitosanitario. La presenza di specie accessorie può eventualmente essereincrementata mediante nuove piantumazioni, programmate in modo che
non venga superata la soglia del 20%. La scelta delle specie accessorie è
vincolata al tipo di suolo ed al regime idrologico del sito oggetto dell’inter-
vento. Eventuali esemplari di pioppo ibrido euroamericano e robinia van-
no rimossi. Si consiglia la rimozione progressiva del salice bianco, almeno
per quanto riguarda la zona riso, in quanto scarsamente idoneo; questo,
naturalmente, nel caso in cui la formazione boschiva non possegga uno
specifico valore naturalistico indipendente dalla presenza di garzaie.
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Figura 47 .- Schema ed esempio di intervento per il rinnovamento di un alneto di superficiesuperiore a 3 ha, in assenza di nidi
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Nel caso in cui il bosco da rinnovare ospiti dei nidi, gli interventi as-
sumono un carattere meno radicale in quanto la priorità è assegnata al
mantenimento della colonia. Lo stesso vale per alneti senza nidi ma di
dimensioni inferiori ai 3 ha (soglia di idoneità) sui quali interventi estesi
potrebbero determinare ripercussioni sfavorevoli, specialmente in assen-za di alternative per gli aironi (Fig. 48a). Le limitazioni circa l’estensione
dell’area di intervento si riferiscono alla superficie totale e si fanno meno
restrittive se nell’area occupata dalla colonia sono presenti zone adiacenti
ai nidi, che possiedono i requisiti di idoneità segnalati. Particolarmente
adatte a svolgere il ruolo di zone rifugio sono le estensioni di salicone la
cui presenza in questi siti va il più possibile incoraggiata. Gli aironi (ad
eccezione del cenerino) in questo caso hanno la possibilità di spostare il
punto in cui costruire i nidi, senza per questo abbandonare il sito. Si tenga
presente che, in linea di massima, è bene iniziare gli interventi dal lottonon occupato che richiede lo sforzo minore per raggiungere l’idoneità. In
questi casi si consiglia di operare per fasi successive attraverso l’apertura
di radure che non interessino le zone occupate dai nidi. Esse dovranno
essere ben distanziate tra loro, ampie al massimo 1000mq e con un dia-
metro minimo almeno pari al doppio dell’altezza degli alberi tagliati in
modo da garantire che la luce del sole giunga al suolo. Il taglio può essere
effettuato anche per strisce estese al massimo 2000mq e posizionate per-
pendicolarmente alla fonte di maggior disturbo antropico (una strada, un
agglomerato di case) (Fig. 48b); il lato corto dovrà essere di dimensioniparagonabili al doppio dell’altezza degli alberi. L’apertura di questi spazi,
almeno inizialmente, non deve interessare la fascia esterna dell’area che
è bene invece rinfoltire con arbusti dalle caratteristiche compatibili con
quelle stazionali.
Nel caso in cui siano presenti porzioni di alneto vecchio colonizzate da
Airone cenerino, esse vanno preservate per costituire un nucleo di vegeta-
zione più alta adatto a questa specie, come previsto dallo schema generale
del modello. L’esecuzione dei tagli non deve portare la superficie boscata
totale disponibile per i nidi sotto il limite dei 3 ha, pena il rischio di abban-
dono della colonia. Inoltre, a seconda della forma, le aree boscate non do-
vrebbero scendere al di sotto dei seguenti limiti: 100x300 m se allungate
200x150 m se compatte.
Nelle aree di suolo scoperto si verificherà un rapido e rigoglioso svi-
luppo di specie nitrofile ed infestanti che competono con la crescita della
vegetazione che si intende favorire. E’ pertanto necessario provvedere alla
rimozione di queste essenze per i primi anni successivi all’intervento, fino
a quando le nuove piante non hanno raggiunto una dimensione tale da
non essere più sopraffatte da questo sottobosco infestante.
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Figura 48 a. Schema ed esempio di intervento per il rinnovameno di un alneto di superfi-
cie superiore ai 3 ha in presenza di nidi, o di un alneto senza nidi di estensione inferiore ai
3 ha.a) senza fonti di disturbo (es. strada)
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Figura 48 b. Schema ed esempio di intervento per il rinnovameno di un alneto di superfi-
cie superiore ai 3 ha in presenza di nidi, o di un alneto senza nidi di estensione inferiore ai
3 ha.b) in presenza di fonti di disturbo
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In alcune situazioni si rendono particolarmente indicati interventi di
piantumazione che mirino a ricreare, nel lungo periodo, l’alneto. Ad esem-
pio in garzaie dove questo tipo di vegetazione mostra estensioni assai li-
mitate o si verifica l’opportunità di “legare” due lotti (non necessariamen-
te occupati da alneto) con una formazione boschiva di nuovo impianto. Uncaso particolare in cui va senza dubbio attribuita la priorità all’amplia-
mento dell’alneto si verifica quando questo, pur di estensione inferiore ai
3ha, ospita i nidi. Tale situazione è estremamente delicata ed è pertanto
sconsigliabile intraprendere azioni di rinnovamento prima di aver am-
pliato la superficie idonea per i nidi.
L’alneto è particolarmente indicato in quanto assai gradito agli ardeidi
e testimonianza sempre più rara dei boschi che in passato ricoprivano le
zone di bassa pianura. In particolare la sua assenza dalla zona fiumi figu-
rerebbe tra i fattori che hanno indirizzato la scelta degli ardeidi verso
situazioni non ottimali; sarebbe pertanto opportuno inserirne il ripristino
in un programma di riqualificazione di ampio respiro (cfr. Capitolo 3).
Per gli interventi che prevedono nuovi impianti bisogna innanzi tutto
assicurarsi che le condizioni di umidità del suolo siano tali da consentire
la crescita dell’ontano nero, specie assai sensibile alla mancanza di acqua
in particolar modo durante i primi anni di sviluppo. Per le proposte di
risoluzione di problemi legati alla disponibilità di acqua, si rimanda al
paragrafo successivo. Una volta appurata l’idoneità del suolo che ospiteràle piantine, il progetto di piantumazione prevede l’utilizzo di ontano nero
per circa l’80% e per il rimanente 20% di specie accessorie scelte tra le
seguenti a seconda delle caratteristiche della stazione.
Farnia, Pioppo bianco, Pioppo nero, Olmo
campestre, Acero campestre, Ciliegio selva-
tico, Tiglio europeo, Frassino ossifillo, Carpinobianco, Sorbo torminale
Sanguinello, Biancospino, Frangola, Ligustro
volgare, Corniolo.
SPECIE ARBOREE SPECIE ARBUSTIVE
E’ importante l’utilizzo di piante provenienti da aree il più possibile
prossime a quella di intervento in modo da inserire utili elementi di varia-
bilità genetica senza che tuttavia questi siano eccessivamente marcati e
tali da ledere gli equilibri delle popolazioni autoctone residue. Il sesto d’im-
pianto deve essere fitto e varia da 2.5x2.5 a 3x3 m. Se il reimpianto avvie-
ne su un’area dove già sono presenti alcune essenze adatte (per esempio
frutto di un precedente programma di ripiantumazione solo parzialmente
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riuscito) occorrerà tenerne conto nel definire il numero di piantine neces-
sarie. La distanza tra le piante e la loro disposizione deve essere tale da
consentire il passaggio dei mezzi meccanici che svolgono la manutenzione
nei primi anni; questo accorgimento tecnico può essere trascurato qualora
si preveda, in applicazione delle disposizioni del Piano di Gestione, di in-tervenire manualmente nelle cure d’impianto.
Le prime fasi successive al reimpianto sono molto delicate e necessi-
tano di monitoraggi periodici volti a definire le condizioni delle piantine,
mantenere pulita la fascia di suolo che le circonda, colmare le eventuali
fallanze, impedire lo sviluppo di specie eliofile infestanti, definire even-
tuali interventi accessori che, caso per caso, si rivelano utili per corregge-
re l’impostazione iniziale.
Saliceto arbustivo. Questa formazione è composta per lo più da saliconi,
nome volgare sotto il quale si riunisce più di una specie, in particolare
Salix fragilis e Salix cinerea, che presentano portamento arbustivo. Ad
esse possono associarsi anche esemplari di salice bianco di ridotte dimen-
sioni o perché giovani o perché, per le particolari condizioni del terreno,
non sono in grado di raggiungere la forma arborea. Il saliceto arbustivo
può occupare diversi ambienti sia in golena, a ridosso dei corsi d’acqua,
sia fuori, per lo più in aree depresse corrispondenti agli antichi
paleomeandri, occupati o meno da lanche. Per svilupparsi necessita di unsuolo molto umido, soggetto a periodiche sommersioni. Il saliceto arbustivo
è molto più diffuso nella zona riso che nella zona fiumi e rientra nelle
tipologie vegetazionali di molte garzaie. L’altezza di questi arbusteti va-
ria tra i 3 ed i 5 m e, dove dispongono delle condizioni adatte, essi si svi-
luppano in fitte fasce o macchie di vegetazione con un grado di copertura
molto elevato. Negli spazi lasciati liberi si trovano in abbondanza la can-
na di palude, e, in minor misura, altri arbusti quali sambuco nero e
sanguinello. Non di rado dallo strato arbustivo svettano isolati esemplari
di salice bianco o di pioppo; di solito però si tratta di pioppo euroamericanofrutto della piantumazione di filari esterni.
I saliceti arbustivi rientrano tra le categorie vegetazionali preferite
da tutte le specie di ardeidi coloniali, escluso l’Airone cenerino. A questo
elevato indice di preferenza corrisponde un altrettanto alto successo ri-
produttivo; pertanto, dal punto di vista faunistico, essi rivestono una posi-
zione di grande rilievo.
Per quanto riguarda la gestione, i saliceti arbustivi non richiedono
specifici interventi e, in linea generale, si consiglia di lasciarli all’evolu-
zione naturale con l’unico accorgimento di garantire condizioni di abbon-
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dante e periodica sommersione.
Nelle situazioni in cui essi presentano una buona estensione accom-
pagnata da un andamento frammentario, l’ambiente potrebbe essere mi-
gliorato attraverso l’impianto di alcuni nuclei di alneto o altre essenze
igrofile, che assolverebbero un importante ruolo di diversificazione am-bientale e costituirebbero un sito alternativo per la nidificazione degli
ardeidi. Si ricorda infatti che il modello di gestione prevede l’esistenza di
più lotti adiacenti caratterizzati da tipologie vegetazionali diversificate.
Data la notevole valenza faunistica di questi ambienti ed i relativa-
mente bassi oneri gestionali se ne raccomanda non solo la salvaguardia,
ma anche l’ampliamento attraverso nuove piantumazioni accanto ad al-
tre formazioni boschive, dove potrebbero rivestire anche un ruolo di prote-
zione della vegetazione più interna.
Qualora si preveda il nuovo impianto, le salicacee presentano il gran-
de vantaggio di propagarsi velocemente per talea; il semplice impianto di
astoni di dimensioni non inferiori a 70-100 cm, piantate a 30-50 cm di
profondità nel terreno dà, solitamente, ottimi risultati.
Saliceto arboreo. Questa tipologia vegetazionale è diffusa soprattutto
nella zona fiumi, all’interno della golena, dove occupa la fascia più arre-
trata rispetto a quella che si può definire “boscaglia di ripa” (v. paragrafo
successivo) e risulta di conseguenza interessata solo saltuariamente daifenomeni di esondazione. Si tratta di un bosco scarsamente evoluto dal
punto di vista fisiognomico che spesso assume caratteri pionieristici; l’es-
senza dominante, spesso l’unica, è il salice bianco (Salix alba) che è carat-
terizzato da crescita molto rapida. Molte garzaie della zona fiumi sono
attualmente localizzate, o lo sono state, sui saliceti arborei. Tuttavia alla
potenziale idoneità della localizzazione delle garzaie in ambito golenale si
oppone il problema dell’abbandono dei saliceti che, nel volgere di pochi
anni, raggiungono notevoli dimensioni e, a causa del legno troppo tenero e
flessibile, non sono più adatti a sostenere i nidi. Si ricorda infatti che ilsuccesso riproduttivo degli Ardeidi che hanno costruito il nido su salice
bianco è basso.
L’attuale forma di governo di queste aree è per lo più ad alto fusto; in
passato però sono stati operati tagli sporadici di varia entità che non han-
no seguito una linea gestionale ben definita. Molte di queste formazioni
presentano ampie aree con individui senescenti e/o in cattivo stato
fitosanitario, condizioni probabilmente aggravate dall’eccessiva densità
di piante.
Pertanto gli interventi selvicolturali proposti mirano a ricostruire con-
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dizioni di maggiore idoneità mediante l’inserimento, ove le condizioni am-
bientali lo permettono, di macchie di vegetazione igrofila costituite da specie
diverse dal salice bianco.
Le operazioni di taglio vanno programmate proprio a partire dai lem-
bi più vecchi e più lontani dalle condizioni di idoneità. Per quanto riguar-da l’estensione delle superfici da sottoporre a taglio vale quanto detto a
proposito dell’alneto; da un lato si sottolinea l’importanza di non portare
la superficie boscata totale al di sotto della soglia dei 3 ha, dall’altro si
raccomanda l’adozione delle precauzioni indicate nel caso di presenza di
nidi (interventi su aree ridotte, distanti dai nidi, ecc.).
Per quanto riguarda i nuovi impianti, la scelta delle essenze dovrà
essere compatibile con le caratteristiche della stazione in modo da orien-
tare il nuovo impianto verso il bosco igrofilo o quello mesoigrofilo. Si pos-
sono ipotizzare diverse tipologie compositive che mirano alla creazione di
boschi uniformi in cui a una, massimo due, specie dominanti, presenti in
percentuale all’80%, si affianca un corteggio di specie accessorie la cui
presenza è inferiore al 20%. Ad esempio:
• ontano nero e pioppo nero (insieme a costituire l’80-90% del
popolamento) affiancate da salice bianco, pioppo bianco, tiglio, frassino
ossifillo (le ultime due specie nei punti più elevati)
• pioppo bianco (80%) e ontano nero (10%) con corteggio di tiglio, farnia,
acero campestre ed altre specie accessorie del bosco mesofilo• pioppo nero e pioppo bianco (insieme a costituire l’80% del
popolamento) più altro.
La superficie dei nuovi impianti sarà pari almeno a 3000 mq even-
tualmente ampliabili in caso di successo del rimboschimento a scapito del
saliceto arboreo per il quale si potrebbe anche prevedere, nel lungo perio-
do, la completa sostituzione.
La densità dell’impianto deve essere tale da consentite il passaggio
dei mezzi meccanici che svolgono la manutenzione (2,5 x 2,5 a 3 x 3 m). I
sesti di impianto possono essere regolari o, per dare un maggior effetto dinaturalità, a spirale o disposti su parallele ondulate (Fig. 49). Gli inter-
venti di manutenzione necessari per i primi 4 o 5 anni prevedono l’elimi-
nazione meccanica delle infestanti, in primo luogo Sycios angulatus spe-
cie esotica ad andamento rampicante, ma ormai naturalizzata e molto
diffusa in Lombardia. Successivamente gli interventi di gestione si fanno
più rari (ogni 15-20 anni) e prevedono tagli che favoriscano il rinnovo del
bosco, da eseguirsi con modalità simili a quelle tratteggiate per l’ontaneto.
Si vuole in questo modo mantenere un bosco abbastanza giovane, go-
vernato a ceduo, con densità e struttura mediamente uniformi ad eccezio-
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ne di alcuni soggetti superdominanti che svolgono un importante funzio-
ne di protezione laterale per i nidi e costituiscono il supporto adatto per i
nidi di Airone cenerino.Infine si segnala un’alternativa più estensiva rispetto al taglio e suc-
cessivo reimpianto con modifica della composizione applicabile a quelle
aree a minore priorità di intervento. Per tali saliceti si potrebbe prevedere
un semplice taglio di ceduazione con rilascio di 150-200 matricine per et-
taro. Il fine di tale azione è quello di eliminare i soggetti vecchi e /o in
cattive condizioni, con scopi principalmente conservazionistici.
Boscaglia ripariale. Dal punto di vista compositivo questa formazione è
assimilabile alla precedente in quanto costituita quasi esclusivamente dasalice bianco, e potrebbe essere inserita nella più ampia categoria di bosco
igrofilo, di cui rappresenta una delle prime manifestazioni, a più diretto
contatto con l’acqua. La boscaglia di ripa si sviluppa principalmente in
strette fasce lungo le rive dei fiumi o ne colonizza le isole ed è dotata di
quei caratteri pionieristici di spiccato dinamismo e rapida crescita che le
consentono di svilupparsi con successo nelle aree che più risentono dei
rapidi mutamenti dovuti all’andamento delle piene. A differenza dei salici
bianchi che sorgono in posizione più arretrata e che assumono portamen-to arboreo, questi salici non riescono a superare lo stadio arbustivo, pro-
Figura 49. Schema per sesti di impianto
a) regolare b) a spirale c) a parallele ondulate
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prio a causa delle condizioni di estrema instabilità degli spazi che coloniz-
zano. Oltre agli aspetti faunistici legati alla presenza di garzaie, bisogna
ricordare il fondamentale ruolo svolto dalle boscaglie ripariali nella prote-
zione delle sponde dall’erosione del fiume e nell’attenuazione degli effetti
delle piene sulla vegetazione delle fasce più interne.Le indicazioni gestionali riguardo a queste aree sono di tipo
conservativo, in quanto qualsiasi intervento verrebbe vanificato in breve
tempo dall’azione del fiume; l’indicazione fornita in questo caso è quella di
preservare queste aree lasciandole alla naturale evoluzione ed interve-
nendo solo nella rimozione periodica dei rifiuti non biodegradabili portati
dal fiume.
Pioppeto coltivato. La coltivazione del pioppo è tipica degli ambienti di
golena dove, a scapito della vegetazione naturale, occupa quasi tutti gli
appezzamenti coltivabili, ma la si può trovare di frequente anche fuori da
quest’ambito inframmezzata ad altre coltivazioni. Nella zona fiumi, pro-
babilmente per carenza di alternative, gli aironi sovente si insediano in
questi ambienti artificiali. Nonostante la bassissima valenza naturalistica,
il successo riproduttivo degli aironi nei pioppeti è abbastanza alto; ciò è
verosimilmente dovuto ad una serie di analogie con le garzaie “naturali”
quali l’isolamento di questi appezzamenti dal resto della campagna (effet-
to isola), l’elevata densità, la struttura semplificata (qui fino all’eccesso) emonoplana. Inoltre il pioppo è un albero che ben si presta a reggere i nidi
degli aironi, specialmente in confronto alla più volte sottolineata inade-
guatezza del salice bianco. I problemi legati al pioppeto sono facilmente
intuibili ed in parte già trattati nella parte relativa al modello di gestione.
Prima di tutto la presenza dei nidi mal si concilia con le esigenze colturali
che prevedono il taglio delle piante a fine ciclo di coltivazione. D’altro can-
to, una volta superato il ciclo colturale, lo stato fitosanitario dei pioppi
peggiora rapidamente e sono frequenti gli individui che si schiantano.
Da quanto sottolineato emerge la necessità, pressante specialmentenella zona fiumi, di creare ambienti idonei alla nidificazione che rappre-
sentino un’alternativa meno effimera del pioppeto.
In ogni caso bisogna riconoscere la funzione che i pioppeti stanno at-
tualmente svolgendo e che, con ogni probabilità, continueranno a svolgere
nel breve e medio periodo. Pertanto, qualora queste coltivazioni siano oc-
cupate da una colonia, necessitano di particolari misure di salvaguardia.
Nell’immediato è indispensabile il divieto di abbattimento degli alberi nel
periodo della nidificazione; occorreranno inoltre forme più stabili di tute-
la, nel caso non esistessero nelle vicinanze altri pioppeti colonizzabili. Data
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la provata potenzialità dei pioppi ad ospitare con successo gli aironi, si
potrebbe operare in modo da costituire dei popolamenti a struttura più
complessa e più stabile. E’ possibile raggiungere gradualmente tale risul-
tato orientando la composizione del pioppeto verso quella del bosco igrofilo
o di quello misto planiziale a seconda del tipo di suolo su cui sorge.Nel caso di coltivazioni in corso, il ciclo colturale verrà comunque por-
tato a termine non senza prevedere particolari accorgimenti atti a favori-
re lo sviluppo del rinnovo naturalmente in atto. Andranno pertanto sospe-
se le fresature sugli interfilari ed adottate ripuliture localizzate e periodi-
che che favoriscano lo sviluppo delle giovani piante. L’abbattimento di
fine ciclo avrà piuttosto i connotati di un diradamento che coinvolge mas-
simo il 20% delle piante. Gli obiettivi di variabilità saranno a questo pun-
to conseguiti tramite l’introduzione di alcune specie scelte in base alle
caratteristiche della stazione e secondo le indicazioni già riportate a pro-
posito dei saliceti arborei.
Se invece il fine è quello di recuperare in senso forestale un pioppeto
dismesso è importante, come prima cosa, non eseguire il diccioccamento
di tutte le ceppaie di pioppo in quanto i polloni di ricaccio garantiscono
una certa copertura durante le fasi iniziali del reimpianto. Il progetto di
reimpianto dovrà accordarsi alle caratteristiche stazionali ed essere orien-
tato verso le forme più complesse del bosco misto planiziale o quelle più
semplificate del bosco igrofilo; questa seconda possibilità va privilegiatain particolare in golena e dove le condizioni edafiche sono meno evolute.
Le indicazioni per le modalità del reimpianto sono quelle riportate negli
specifici paragrafi.
Si tenga in ogni caso presente che le azioni di trasformazione dei
pioppeti coltivati in forme vegetazionali più complesse manterranno sem-
pre una percentuale, in alcuni casi anche molto elevata, di pioppi ibridi,
specie introdotta nel nostro territorio per scopi economici e che, in un otti-
ca di riqualificazione ambientale, riveste un ruolo assolutamente secon-
dario. Pertanto, ove possibile, è auspicabile privilegiare le altre forme diintervento illustrate che lasciano maggior spazio alle forme vegetazionali
tipiche delle campagne della bassa pianura lombarda.
Bosco misto. Questa formazione si distingue dalle precedenti per la spic-
cata eterogeneità sia delle essenze presenti, che della struttura della ve-
getazione. La copertura vegetale è in genere abbastanza elevata e la di-
stribuzione spaziale delle chiome è di tipo biplano. Sotto questo nome si
raccolgono formazioni boschive che sorgono su terreno asciutto; nella mag-
gior parte dei casi si tratta di lembi di foresta planiziale mesofila, ma non
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mancano esempi di vecchi parchi storici in cui la presenza di specie esoti-
che è abbastanza marcata. Se ne deduce pertanto che le differenze nel-
l’ambito di questa tipologia vegetazionale sono spesso assai profonde.
Il bosco misto non si presenta come una tipologia ottimale per la
nidificazione degli ardeidi, sebbene ci siano eccezioni di colonie che vi siinsediano da molti anni. Questi ambienti infatti per loro stessa natura
non possiedono le caratteristiche fino ad ora individuate come ottimali
(bosco a struttura semplice, possibilmente monoplano, con una specie do-
minante), inoltre si trovano spesso in condizioni di elevata alterazione dei
parametri selvicolturali ed ambientali, nonché in mediocre stato
fitosanitario.
Le essenze più rappresentate dello strato arboreo sono farnia, piop-
po bianco, pioppo nero, tiglio, acero campestre cui però si accompagnano
esemplari di specie alloctone quali ad esempio Lyriodendron tulipifera,
Aesculus hippocastanum, Platanus acerifoliae, Liquidambar styraciflua,
Cedrus deodara ecc. Nello strato arbustivo predominano invece euonimo,
biancospino, pallone di neve, pado, ...
Gli interventi sui boschi misti vanno principalmente orientati verso il
miglioramento degli esistenti. Un simile indirizzo ha il pregio di generare
effetti positivi di generica riqualificazione dell’ambiente e permetterebbe
inoltre di verificare se a tale miglioramento non corrisponda un aumento
delle preferenze degli ardeidi. Non si dimentichi infatti che, sebbene daidati a disposizione gli aironi mostrano chiare preferenze verso habitat
meno complessi, questo potrebbe eventualmente risultare dal fatto che le
condizioni generali dell’ambiente indagato (pianura fortemente
antropizzata) sono assai scadenti ed alterate.
Per quanto riguarda gli interventi di creazione di un nuovo bosco mi-
sto planiziale, si ritiene che, sebbene questa formazione sia di grande im-
portanza naturalistica, in un’ottica di conservazione degli ardeidi essa ri-
vesta un ruolo secondario. Pertanto, all’attuale stato delle conoscenze, sem-
bra più opportuno concentrare le energie e le risorse sulle altre tipologievegetazionali potenzialmente più idonee ad ospitare le garzaie e sul mi-
glioramento dei boschi misti esistenti.
Dal punto di vista operativo gli interventi mirano a riequilibrare la
composizione di questi boschi ed ad agire sulle condizioni fitosanitarie
soprattutto mediante operazioni mirate di taglio programmate con il sup-
porto di professionisti. Quando possibile, è bene favorire ampliamenti ed
accorpamenti mediante opere di piantumazione condotte su aree di mode-
sta estensione. Il prelievo di soggetti morti o deperienti consentirà di agi-
re sulla densità di copertura in modo ora lieve, ora marcato, secondo un
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gradiente che va dal diradamento fino all’apertura di vere e proprie radu-
re. Queste ultime andranno ad incidere anche sulla composizione del bo-
sco in quanto rappresentano passaggi fondamentali del processo di rinno-
vamento. A seconda delle situazioni e delle necessità è possibile aprire
nuove radure o ampliare quelle che si sono naturalmente create. Il rinno-vo del soprassuolo arboreo può essere interamente spontaneo, ma più spes-
so si rendono necessari interventi di piantumazione delle specie che si
vogliono favorire e di rimozione delle altre. In ogni caso occorre seguire lo
sviluppo vegetazionale e ripulire questi spazi dalla fitta vegetazione infe-
stante che tende a ricoprirli rapidamente ritardando, se non impedendo,
la crescita delle altre essenze.
In linea di massima si prevede la sostituzione delle essenze alloctone
con quelle tipiche della foresta planiziale. Nei parchi storici però, è
consigliabile una differenziazione degli interventi in modo da salvaguar-
dare l’impianto storico del giardino in prossimità degli edifici ed orientare
invece l’intervento verso il recupero a fini naturalistici nelle altre aree.
Si ricorda che il prelievo di alberi morti va di volta in volta valutato
ed eseguito solo quando effettivamente necessario per il miglioramento
della struttura del bosco. Esemplari morti o deperienti infatti sono un
elemento prezioso dell’ecosistema bosco e la loro rimozione da boschi in
buone condizioni, va a scapito della complessità e della ricchezza faunistica
di questi ambienti.
Aspetti idrici
La presenza dell’acqua è fondamentale non solo nelle immediate vici-
nanze delle garzaie, dove svolge il ruolo di ambiente di alimentazione, ma
anche all’interno della colonia stessa. Qui assolve una duplice funzione:
da un lato canali perimetrali e terreno allagato rappresentano una barrie-
ra fisica e garantiscono la protezione del sito, dall’altro il suolo intriso diacqua e soggetto a periodi di sommersione, è condizione necessaria allo
sviluppo della rigogliosa vegetazione igrofila tipica di questi ambienti.
Generalmente le garzaie sono collocate in posizione ribassata rispet-
to alle aree circostanti, (ad esempio in corrispondenza degli antichi
paleomeandri) e questo fa sì che le acque superficiali e sotterranee siano
naturalmente richiamate in queste zone. La falda infatti è prossima alla
superficie ed il terreno è molto umido. Purtroppo però questi siti, come
tutti gli ambienti umidi planiziali, sono stati interessati dall’abbassamento
del livello della falda che ne ha conseguentemente mutato le caratteristi-
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che ambientali. La scarsità di acqua infatti porta al fallimento degli inter-
venti di gestione che implicano azioni di rinnovamento del bosco, ripristi-
no di aree compromesse o ampliamento di quelle esistenti. Gli interventi
di piantumazione di essenze igrofile sono destinati al fallimento se non
viene garantito un apporto idrico costante ed adeguato.I problemi legati alla presenza dell’acqua ed alla sua gestione sono
strettamente connessi all’uso che viene fatto di questa risorsa in tutto il
territorio circostante e pertanto non presentano semplice soluzione. La
disponibilità di acqua all’interno delle garzaie risente delle azioni di boni-
fica e drenaggio messe in atto nei campi intorno, dove un terreno eccessi-
vamente umido rappresentata uno svantaggio, se non un danno. Anche il
prelievo di acqua per esigenze colturali interferisce, in particolar modo
nella zona riso, con la disponibilità idrica generale. Gli aspetti idrici in-
somma, rappresentano un caso emblematico di come la gestione delle
garzaie non possa prescindere dal contesto agricolo circostante.
Il ripristino di condizioni idriche ottimali, laddove la falda è più pro-
fonda e la disponibilità di acqua è inferiore alle necessità, può essere com-
plesso ed oneroso. Verranno di seguito illustrati alcuni suggerimenti di
ordine generale desunti dalle modeste esperienze maturate in questo spe-
cifico settore.
1. Per quanto riguarda la funzione protettiva svolta dall’acqua è im-
portante la manutenzione dei canali perimetrali che dovranno essere sot-toposti a periodico sfalcio della vegetazione sulle sponde e, quando neces-
sario, ad interventi di spurgo che ne impediscano l’interramento. Nelle
colonie in cui si prevedono allagamenti artificiali, l’acqua deve essere
immessa precedentemente all’insediamento della colonia e permanere per
la durata delle attività di nidificazione.
2. La presenza di canali all’interno dell’area o lungo i suoi confini
facilita il drenaggio contrastando così con l’obiettivo di mantenere il suolo
molto umido e potrebbe aggravare i citati problemi di scarsità idrica. Si
possono suggerire in questo caso svariate soluzioni da attuare singolar-mente o in associazione secondo decisioni che vanno prese solo dopo un
accurato studio degli aspetti idraulici e idrologici condotto con l’aiuto di
un esperto:
• Per preservare il livello idrico ottimale ed impedire il deflusso del-
l’acqua si possono realizzare in più punti piccole chiuse regolabili (Fig. 50)
in modo che l’acqua trattenuta tracimi ed allaghi il terreno circostante.
• L’apporto idrico può anche essere garantito mediante derivazione
dalla rete superficiale. Una soluzione di questo tipo comporta tuttavia
l’onere aggiuntivo dell’acquisizione dei diritti d’uso delle acque. Inoltre è
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necessario un controllo preventivo della qualità delle acque che si inten-
dono derivare.
• In alcuni casi, in corrispondenza delle macchie di vegetazione igrofila
che ospitano le garzaie, possono essere presenti teste di vecchi fontanili,
solitamente in stato di avanzato interramento. Questi, opportunamenteriaperti e gestiti, potrebbero garantire un apporto idrico di buona qualità
alternativo alla semplice derivazione da rogge e canali. Inoltre la presen-
za di un fontanile in una garzaia contribuirebbe ad arricchire la biodiversità
di quest’ambiente e costituirebbe una preziosa testimonianza anche dal
punto di vista culturale.
• Dove invece la falda è quasi affiorante e non esiste la necessità di
richiamare o trattenere l’acqua, un livello di allagamento soddisfacente
dovrebbe essere favorito dall’apertura di chiari d’acqua, per esempio nelle
aree occupate da saliceto arbustivo.
Figura 50 . Schema di una piccola chiusa regolabile
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La creazione di un nuovo sito
Quando creare un nuovo sito. La creazione di un nuovo sito idoneo per
la nidificazione degli aironi è un intervento molto impegnativo sia dal
punto di vista operativo, che da quello finanziario. Ciò non significa chetali azioni debbano essere escluse a priori, ma, piuttosto, inserite in un
più ampio progetto di riqualificazione in senso naturalistico del territorio
lombardo, i cui effetti saranno apprezzabili nel lungo periodo. La priorità
di intervento va pertanto assegnata alla gestione delle colonie attualmen-
te occupate per cui valgono le indicazioni fin qui illustrate. Dove all’ab-
bondanza di fonti alimentari non corrisponde l’esistenza di siti idonei, la
creazione di un ambiente adatto ad ospitare una colonia si rende effetti-
vamente necessaria per garantire i migliori risultati nella conservazione
degli aironi. Un altro caso in cui si può prevedere la creazione di un nuovo
sito è lo spostamento di una colonia da un luogo a rischio ad un altro
vicino appositamente allestito. Questo intervento però nella maggioranza
dei casi è sconsigliabile in quanto assai rischioso; non si possiede infatti
alcuna certezza sul fatto che gli aironi scelgano il nuovo sito, in quanto
tali comportamenti rispondono a criteri solo parzialmente chiariti.
Al momento della progettazione occorre verificare l’esistenza di una
serie di condizioni fondamentali, per massimizzare le probabilità di suc-
cesso.
1. In accordo con il modello di gestione bisogna:
- controllare che l’estensione degli ambienti acquatici utilizzabili a scopo
alimentare sia maggiore o uguale al minimo,
- assicurarsi dell’assenza di eventuali altre colonie nelle vicinanze (ad ec-
cezione dei casi di spostamento di una colonia).
2. Inoltre, nota la fedeltà degli aironi al sito riproduttivo, le probabilità di
successo aumentano se si interviene in corrispondenza di una colonia ab-bandonata o nelle sue immediate vicinanze.
3. Occorre infine tenere presente che l’impegno sarà tanto minore quanto
più si interverrà su un sito già parzialmente idoneo. Pertanto, dal punto
di vista forestale, piuttosto che interventi radicali ex novo è meglio preve-
dere piantumazioni di ampliamento a vantaggio di macchie di vegetazio-
ne che già presentano alcune caratteristiche favorevoli all’insediamento
degli aironi. Dal punto di vista della protezione garantita dall’acqua, si
consiglia di scegliere una localizzazione già parzialmente lambita da ca-
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nali, rogge, fossi, ecc. da cui eventualmente derivare l’acqua per ampliare
e, se possibile, completare il perimetro dell’area. Luoghi particolarmente
indicati sono quelli posti a ridosso di lanche, fontanili, laghi di cava oppor-
tunamente ripristinati, ecc.
Le indicazioni forestali non si discostano da quelle fornite nella spe-cifica sezione che andranno combinate per generare un ambiente oppor-
tunamente diversificato come illustrato nel modello di gestione. Lo stesso
vale per le indicazioni relative agli aspetti idrici.
Come attirare gli aironi. Il definitivo successo dell’intervento sarà de-
cretato esclusivamente dalla preferenza dimostrata dagli aironi e dal ri-
petersi della loro presenza per più stagioni riproduttive. Per facilitare l’in-
sediamento della colonia, esistono vari meccanismi che si basano tutti
sull’importanza della stimolazione sociale nei processi che indirizzano le
“scelte” degli uccelli coloniali. Gli aironi, in ultima analisi, si sentiranno
maggiormente attratti da un sito che presenta tracce di una colonia, o che
già ospita altri aironi nidificanti. Per questo è possibile usare dei richiami
che simulino queste situazioni e attirino gli adulti nel nuovo sito.
La stimolazione può essere di tipo visivo, acustico o entrambe combi-
nate insieme. L’utilizzo in contemporanea di richiami di diverso tipo è
importante per incrementare le possibilità di una risposta positiva da parte
degli aironi.Segue una sintetica rassegna dei richiami per i quali si sono matura-
te alcune esperienze e delle indicazioni per la loro realizzazione.
Nidi artificiali. La presenza di nidi finti posizionati sulla vegetazione
rappresenta per gli aironi, un segno inequivocabile della presenza di una
colonia e, presumibilmente, della idoneità di un sito ad accoglierla. Si tratta
di uno dei richiami di più semplice ed economica realizzazione, tuttavia è
consigliabile utilizzarlo in associazione almeno ad un altro. Occorre collo-
care i nidi in modo che abbiano una certa visibilità e nelle posizioni gene-ralmente utilizzate da questi uccelli (sugli alberi più alti, a 4-8 m dal suo-
lo, per l’Airone cenerino; sulla vegetazione arbustiva più in basso, a 2-3m
dal suolo per le altre specie).
Per la realizzazione sono necessari rametti secchi, della rete metalli-
ca e del fil di ferro (o della schiuma poliuretanica). La rete serve da base
per disporre i rami in modo da simulare la forma del nido. In alternativa
possono essere impiegati vecchi nidi di aironi caduti a terra. Essi vanno in
ogni caso fissati al supporto di rete.
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Sagome artificiali. La presenza di ardeidi è un importante richiamo e
può essere simulata con sagome finte di Airone inserite nella vegetazione,
che, per la colorazione in cui domina il bianco, sono ben visibili da lontano.
Purtroppo simili richiami sono difficilmente reperibili in commercio e sono
abbastanza costosi. E’ tuttavia possibile fabbricarli con relativa facilità.La tecnica si basa sull’utilizzo di uno stampo in gesso della forma e dimen-
sioni pari a quelle della specie che si vuole imitare nel quale verrà inietta-
ta schiuma poliuretanica, lasciata indurire e successivamente dipinta con
i colori della specie in questione. Maggiori dettagli vengono forniti in Fi-
gura 51.
Richiami vivi. L’azione di richiamo può eventualmente essere svolta
anche da esemplari vivi tenuti in voliere nel luogo in cui si intende favori-
re la nidificazione. Tale metodo pone tuttavia vari problemi, ed è beneutilizzarlo solo in caso di grande necessità e quando gli altri mezzi qui
illustrati non hanno dato frutti. Mantenere uccelli vivi in voliera è molto
impegnativo, inoltre è fondamentale assicurarsi che il loro reperimento,
spesso difficoltoso, non produca un danno maggiore del vantaggio che si
pensa di ricavare. Gli esemplari infatti possono venire prelevati diretta-
mente in natura e liberati successivamente, solo nel caso in cui non si
tratti di specie presente in poche coppie o in pericolo. E’ sempre meglio
impiegare esemplari infortunati soccorsi presso qualche centro specializ-
zato che, per il tipo di lesione subita, non possono più essere rilasciati in
Come costruire un nido artificiale
1) Tagliare la rete metallica (maglie da 3 o 4cm) in quadrati di 40 cm di lato.
2) Piegare gli angoli verso l’interno e schiacciarli in modo da evitare la presenzadi spuntoni.
3) Fissare alla rete rami di varie dimensioni (da 0,5 a 2cm di diametro) modellan-
doli a forma di nido.
4) Utilizzare schiuma poliuretanica o fil di ferro. In alternativa possono essere
impiegati vecchi nidi di aironi caduti a terra. Essi vanno in ogni caso fissati al
supporto di rete. E’ importante che la rete ed il fil di ferro siano trattati in modo da
non riflettere la luce in quanto l’eventuale luccichio potrebbe allontanare gli ani-
mali (ad esempio rivestiti in plastica verde scuro).
5) Ancorare il nido finto così ottenuto ad un ramo all’altezza desiderata.
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natura, oppure esemplari provenienti da qualche zoo. In ogni caso occor-
rono voliere che consentano ampia libertà di movimento agli uccelli. Per
gli aironi di taglia minore occorre un minimo di 10 individui che devonoessere tenuti in una voliera ampia 10 m x 12 m ed alta 2 (dimensioni
minime per 10 individui). La rete utilizzata deve essere robusta e a ma-
glie di dimensioni tali da non consentire il passaggio di eventuali predato-
ri (circa 2 cm). Qualora gli esemplari in cattività nidifichino, questo rap-
presenta un ulteriore incentivo per gli aironi liberi. Inoltre vi sono buone
probabilità che se i piccoli di tali nidiate, una volta cresciuti, vengono libe-
rati, l’anno successivo tornino a nidificare nello stesso posto. Si è infatti
visto che molto spesso gli aironi tendono a nidificare nella colonia in cui
sono nati.
Figura 51. Sequenza per la costruzione di sagome artificiali
• Costruire un contenitore con 5 pezzi di legno e versare sul fondo un primo strato di
circa 2 cm di pasta di gesso.• Adagiare al suo interno il modello, in questo caso un airone senza le zampe (può
essere di vario materiale, plastica, legno pietra ecc.). E’ importante procurarsi un modello
delle dimensioni corrette e che non sia in atteggiamento di allarme.
• Stendere un sottile strato di sapone o cera sul gesso e sul modello e procedere a
versare il secondo strato di pasta di gesso fino alla metà della sagoma.
• Attendere che il gesso si rapprenda, poi intagliare due coni ai lati del modello. Que-
sti serviranno da incastri per unire con precisione le due metà dello stampo. Incollare sul
lato del modello rimasto libero un cilindretto di plastica.
• Stendere un sottile strato di sapone o cera sul gesso e sul modello e procedere a
versare l’ultimo strato di pasta di gesso fino a coprire completamente il modello. Lo spes-
sore deve essere tale da non nascondere il cilindretto di plastica.• Lasciare indurire il gesso poi estrarre dalla scatola le parti dello stampo e legarle
insieme. Attraverso il foro prodotto dal cilindretto di plastica, iniettare la schiuma
poliuretanica.
• Terminare dipingendo la sagoma ed inserendo le zampe (sono sufficienti due stec-
che di plastica o legno)
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Registrazioni dei canti. Si tratta di una tecnica poco sperimentata e di
utilizzo non semplice. Essa infatti implica la conoscenza dei richiami delle
specie che si vogliono attirare, in modo da utilizzare solo quelli in grado di
stimolare comportamenti associativi. Una volta registrati, questi richia-
mi vengono riprodotti da un registratore associato ad un timer. La ripro-duzione continuata del richiamo infatti produrrebbe l’effetto opposto a
quello desiderato. Generalmente si ritiene sia sufficiente una stimolazione
di circa 10 minuti ogni ora.
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Aspetti normativi nella conservazione
degli Ardeidi in Regione Lombardia
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ASPETTI NORMATIVI NELLA CONSERVAZIONE DEGLI ARDEIDI
IN REGIONE LOMBARDIA
Umberto Bressan* Gianni Ferrario*
Nella normativa ambientale si possono individuare svariate leggi di
supporto per gli interventi finalizzati alla conservazione degli Ardeidi. Da
un lato si trovano norme esplicite riguardo la necessità di tutelare le sin-
gole specie costituenti la famiglia degli Ardeidi e dall’altro disposizioni
che intervengono indirettamente alla loro conservazione mediante la pro-
grammazione di azioni volte al mantenimento o al miglioramento della
biodiversità ed al ripristino delle originarie condizioni di naturalità degliecosistemi. Ai fini della conservazione degli Ardeidi si possono considera-
re le normative che, riprendendo quanto desunto dalle liste rosse stabili-
scono la tutela delle specie in qualche misura minacciate di estinzione, in
stato di conservazione critico o rare. Ai medesimi fini sono presenti sva-
riate normative e regolamenti riguardanti sia la tutela degli habitat d’ele-
zione per queste specie che gli incentivi per la loro riqualificazione
naturalistica.
Si espone una breve nota sulla normativa a favore della conservazio-ne degli Ardeidi che vuole porre qualche esempio sugli strumenti da ana-
lizzare ai fini della loro conservazione utilizzabili dal progettista e pianifi-
catore cui spetta il compito di integrare i vari aspetti della normativa ove
da un lato potrà rinvenire gli elementi “di diritto” per la conservazione di
dette specie (allegati alle normative U.E., nazionali e regionali) e d’altro
canto sia gli strumenti pianificatori (piani dei parchi e delle riserve, delle
ZPS o dei SIC) che quelli tecnico operativi (piano di sviluppo rurale ad
esempio). Particolare importanza rivestono strumenti tecnici e finanziari
dati dalla stessa U.E. per conservare o ripristinare gli elementi di elevatanaturalità ove risiedono le specie prioritarie (LIFE Natura). Per sviluppa-
re un modello di cooperazione internazionale ai fini di monitoraggio e con-
servazione delle specie di interesse conservazionistico è inoltre possibile
utilizzare lo strumento operativo comunitario INTERREG.
* Regione Lombardia, Direzione Generale Qualità dell’Ambiente
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Direttiva Consiglio CE del 2 aprile 1979, n° 409concernente la conservazione degli uccelli selvatici
Conosciuta come “direttiva Uccelli” é la normativa comunitaria qua-
dro di riferimento per ogni livello legislativo finalizzato specificamentealla salvaguardia dell’avifauna.
E’ in questa normativa comunitaria, ormai recepita a tutti i livelli
amministrativi, che è definita la necessità di creare le zone a protezione
speciale (ZPS) deputate alla tutela delle specie ornitiche previste nei pro-
pri elenchi. Essa prevede misure speciali di conservazione per le specie
minacciate, danneggiate dalla modificazione degli habitat o rare di cui
all’allegato I. Tra queste è inclusa la maggior parte delle specie costituen-
ti la famiglia degli ardeidi, con l’eccezione dell’Airone cenerino non consi-
derato in pericolo e dell’Airone guardabuoi all’epoca della direttiva non
ancora presente con popolazioni stabili in territorio comunitario. Per la
tutela delle ZPS è stabilita inoltre la procedura di Valutazione d’Inciden-
za da attuarsi preventivamente la realizzazione di qualsiasi piano o pro-
getto che possa avere incidenza significativa sul sito o che possa pertur-
barne le specie presenti. Detta procedura, in caso di incidenza negativa,
può, in casi estremi, giungere alla conclusione di negare l’autorizzazione
dell’opera.
Direttiva Consiglio CE del 21 maggio 1992, n° 43 relativa allaconservazione egli habitat naturali e seminaturali e dellaflora e fauna selvatiche
Meglio nota come “direttiva Habitat”, essa si prefigge la conservazio-
ne ed il ripristino degli habitat naturali e la salvaguardia della biodiversità
con particolare riferimento agli habitat e alle specie di fauna e flora rite-nuti prioritari per la comunità europea, inseriti rispettivamente negli al-
legati I e II. Da questi è esclusa la classe uccelli in quanto già oggetto di
specifica normativa (la sopracitata 409/79).
Per la realizzazione di detti obiettivi è costituita la rete ecologica eu-
ropea denominata Natura 2000 costituita dalle zone speciali di conserva-
zione per il cui mantenimento gli Stati Membri adottano ogni misura
compensativa necessaria. Strumento attuativo per la conservazione degli
habitat e delle specie prioritarie è il LIFE natura.
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Legge 11 febbraio 1992, n° 157 “Norme per la protezionedella fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”.
Ai sensi della normativa menzionata talvolta in modo riduttivo come
“legge sulla caccia” - mentre in realtà essa prevede disposizioni per latutela di tutte le specie di fauna selvatica oltre a regolamentare appunto
il prelievo venatorio per alcune di esse - tutte le specie di Ardeidi sono
protette e quindi non cacciabili. Il Tarabuso ( Botaurus stellaris ) trovando-
si in stato di conservazione più critico, è inserito tra le specie particolar-
mente protette anche dal punto di vista sanzionatorio, l’abbattimento di
questa specie è infatti sanzionato penalmente.
La legge prevede inoltre - in conformità con la direttiva “Uccelli” -
l’istituzione da parte delle regioni di zone di protezione lungo le rotte
migratorie dell’avifauna (ZPS). Questi istituti sono finalizzati al manteni-
mento ed alla sistemazione ecologica degli habitat ed al ripristino od alla
creazione di biotopi ai fini di conservarne l’avifauna presente.
D.P.R. 8 settembre 1997, n° 357 “Regolamento recanteattuazione della Direttiva 92/43/CEE relativa alla conserva-zione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flo-
ra e della fauna selvatiche”.
Con questa legge lo stato italiano recepisce quanto emanato dalla Co-
munità Europea con la summenzionata “direttiva Habitat”.
L.R. 27 luglio 1977, n° 33 “Provvedimenti in materia di tutelaambientale ed ecologica” e successive modificazioni
Questa normativa prevede una serie di tutele ambientali favorevolialla conservazione degli habitat d’elezione della famiglia degli Ardeidi
(Tarabusino e Tarabuso in particolar modo). Viene infatti stabilito che la
vegetazione spontanea dei corpi d’acqua e delle ripe fluviali non può esse-
re danneggiata o distrutta salvo prevederne lo sfalcio quando le macrofite
siano talmente sviluppate da causare un’eccessiva eutrofizzazione delle
acque. La legge prevede inoltre la tutela della flora spontanea delle rive
dei corsi d’acqua inserita in apposito elenco regionale (Iris pseudacoorus,
Tipha latifolia ad es.). Inoltre a seguito del recepimento della normativa
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comunitaria sulla conservazione degli habitat (D.P.R. 357/97, direttiva
“Habitat”) è stato aggiunto al testo originario un apposito titolo riguar-
dante la conservazione della biodiversità ove si enuncia la politica regio-
nale in materia di conservazione del patrimonio naturale nonché l’avvio
della costituzione della carta della natura, un sistema georeferenziato deidati naturalistici al fine della pianificazione e della gestione integrata del
territorio. Per favorire la tutela degli habitat e delle specie animali e vege-
tali di interesse comunitario è quindi definita la rete ecologica “Natura
2000” che prevede interventi di monitoraggio della biodiversità, di conser-
vazione e di ripristino degli ambienti naturali, nonché la summenzionata
Valutazione d’Incidenza per progetti previsti nelle Zone Speciali di Con-
servazione (ZPS e SIC) previste rispettivamente dalla direttiva “Uccelli” e
dalla direttiva “Habitat” dell’U.E.
Legge Regionale 30 novembre 1983, n° 86 “Piano generaledelle aree regionali protette. Norme per l’istituzione e lagestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturalinonché delle aree di particolare rilevanza naturale eambientale”.
La normativa regionale sulle aree protette istituisce - tra gli altri entiprevisti - le Riserve Naturali, quali zone destinate specificamente alla
conservazione della natura e degli ecosistemi.
Le Riserve Naturali insieme ai previsti Parchi Naturali, sono infatti
le porzioni di territorio lombardo a maggiore valenza naturalistica. Esse
si suddividono in integrali ossia istituite allo scopo di proteggere total-
mente la natura, parziali create allo scopo di tutela un aspetto naturale
specifico (ad es. zoologico, botanico ecc.) o infine orientate nelle quali l’uo-
mo interviene per orientare scientificamente l’evoluzione dell’ambiente
naturale.Molte Riserve Naturali sono state istituite specificatamente per tute-
lare le garzaie presenti in Lombardia, altre volte si preferito utilizzare
l’istituto del Monumento Naturale con la medesima finalità. Per la gestio-
ne di Parchi, Riserve e Monumenti Naturali vi è un apposito Ente gestore.
Talvolta la gestione di una Riserva Naturale è stata affidata ad un’asso-
ciazione di tutela ambientale quali ad esempio LIPU o WWF. Sia i Parchi
Regionali che le Riserve Naturali approvano un apposito piano (Piano
Territoriale di Coordinamento per i primi e Piano della Riserva Naturaleper le seconde). Con detti piani si stabiliscono le destinazioni d’uso e le
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attività consentite o meno in relazione al diverso azzonamento territoriale.
Piani delle riserve naturali (art. 14). Lo strumento pianificatore per-
mette di modulare il regime di tutela ed eventuale fruizione a seconda
delle reali esigenze di conservazione. Nelle riserve naturali integrali non
è consentita l’attività venatoria, mentre in quelle parziali detta attività èconsentita al di fuori della stagione riproduttiva degli Ardeidi coloniali.
Le riserve naturali integrali proibiscono quasi ogni attività, essendo isti-
tuite allo scopo di tutela integrale della natura; l’unica attività consentita
è la ricerca scientifica da svolgersi sotto le direttive dell’Ente gestore. Quelle
orientate permettono il proseguimento delle attività antropiche tradizio-
nali purché compatibili con la conservazione dell’ambiente naturale: qui
l’accesso è consentito per i soli fini culturali. Infine nelle riserve orientate
sono consentite le attività compatibili con la specifica finalità di conserva-
zione prevista (zoologica, botanica ecc.). Le Riserve Naturali sono istituite
con deliberazione di Consiglio Regionale. Di particolare interesse sono i
Piani delle Riserve Naturali sedi di garzaie elaborati secondo le linee gui-
da denominate “Modello di gestione delle Riserve Naturali della Lombar-
dia sedi di garzaie”.
Contenuto di un piano di gestione di una Riserva Naturale. Par-
tendo dalla descrizione della situazione ambientale esistente si individuano
gli obiettivi del piano stesso e le conseguenti proposte di gestione, inclusa
l’eventuale partecipazione di enti terzi - quali ad esempio le associazioniambientaliste. Vengono individuate le scelte strategiche ai fini della con-
servazione dell’ambiente naturale; gli interventi forestali da effettuarsi;
si definiscono le attività interdette e quelle compatibili per le quali é defi-
nita l’opportuna regolamentazione (definendo ad esempio le modalità di
fruizione, il ruolo delle attività agricola o venatoria eventualmente previ-
ste). Infine sono stabiliti gli impegni finanziari conseguenti agli interven-
ti previsti. Da ultimo si indica l’eventuale ipotesi di piano e quant’altro
connesso con la programmazione e la gestione della riserva stessa nel tempo
a venire.Esempio di un piano di gestione di Riserva Naturale. - Dal Piano
di Gestione della Riserva Naturale “Garzaia della Carola”. “Obiet-
tivi del piano: salvaguardare gli ambienti naturali e in particolare, le po-
polazioni di Ardeidi nidificanti ed il loro habitat di nidificazione, orientare
l’evoluzione naturale dell’ambiente verso caratteristiche ottimali per la
conservazione degli Ardeidi nidificanti, attuare tecniche di gestione
forestale del bosco igrofilo, basate su criteri naturalistici e sulle esigenze
ornitologiche, al fine di mantenere o ricostituire tali caratteristiche ottimali,definire e regolamentare l’attività di manutenzione e gli interventi di ge-
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stione per il mantenimento di un regime idrico idoneo alla conservazione
della vegetazione naturale palustre tipica, disciplinare e controllare la
fruizione dell’area a fini scientifici e didattico ricreativi, regolamentare le
attività produttive in forme compatibili con le finalità della Riserva Natu-
rale.”
Legge Regionale 16 agosto 1993, n° 26, “Norme per la prote-zione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrioambientale e disciplina dell’attività venatoria” e successivemodificazioni.
La Legge Regionale della Lombardia riprendendo la normativa na-
zionale (157/92) inserisce gli Ardeidi tra le specie protette ed il Tarabuso
tra quelle particolarmente protette (all. A) rimandando alla Legge Nazio-
nale per quanto concerne il regime sanzionatorio.
L.R. 7 febbraio 2000 Disposizioni attuative per laconcessione di contributi finalizzati alla valorizzazionedelle risorse faunistiche ed ambientali.
Le disposizioni attuative del piano di sviluppo rurale, allo scopo di
favorire la rinaturalizzazione degli habitat e l’aumento della diversità bio-
logica, prevedono contributi ai proprietari di terreni, singoli o associati in
consorzi o cooperative, al fine di realizzare interventi ambientali miglio-
rativi per la vita della fauna selvatica, quali ad esempio: la gestione dei
boschi finalizzata alla prevenzione degli incendi, il recupero di pascoli
abbandonati a favore della fauna alpina, la realizzazione di colture a per-
dere per sopperire alla carenza di sostanze trofiche per gli animali selva-
tici, la salvaguardia della fauna durante le operazioni colturali nei pioppeti,il ripristino ed il mantenimento di zone umide naturali (fontanili, invasi,
stagni, lanche ecc), la differenziazione delle colture, la piantumazione e
conservazione di siepi boschetti e filari ed altre misure di minor interesse
naturalistico.
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Delibera di Giunta Regionale della Lombardia n° 4345 del20.04.2001 “Approvazione del Programma Regionale per gliInterventi di Conservazione e Gestione della Fauna Selvati-ca e del “Protocollo di Attività per gli Interventi di
Reintroduzione di Specie Faunistiche nelle Aree Protettedella Regione Lombardia.”
Detti documenti hanno lo scopo di dotare gli Enti gestori delle Aree
Protette della Lombardia di protocolli tecnico – operativi ispirati a seri
criteri di scientificità per gli interventi di conservazione ed, eventualmen-
te, di reintroduzione di specie animali autoctone, sia vertebrate che inver-
tebrate, considerate prioritarie a causa del proprio critico stato di conser-
vazione, della propria vulnerabilità, per essere minacciate su vasta scala
o localmente estinte.
Il “Programma Regionale per gli Interventi di Conservazione e Ge-
stione della Fauna Selvatica nelle Aree Protette della Lombardia” è un
documento programmatico che individua le specie prioritarie desunte dalle
direttive comunitarie in materia (Direttiva Habitat e Direttiva Uccelli) e
dalla letteratura esistente, riferito all’attuale consistenza faunistica nel
territorio regionale lombardo con particolare riferimento alle aree protet-
te ed alla rete Natura 2000. Con questo documento oltre agli elenchi di
specie prioritarie si individuano da un lato gli interventi più opportuni edall’altro quelli da ritenersi incompatibili per la conservazione delle spe-
cie in declino.
Questo documento tecnico fornisce le linee guida in materia di con-
servazione faunistica vincolanti per gli Enti gestori delle aree protette
lombarde, ed individua a livello regionale uno strumento di indirizzo e
coordinamento per la programmazione e progettazione di azioni a favore
della fauna, inclusi eventuali interventi di reintroduzione faunistica com-
presi anche gli interventi da finanziare con i fondi di cui agli artt. 40 e 41
della già citata L.R. 86/83 nonché con eventuali ulteriori strumenti finan-ziari (progetti LIFE Natura, Accordi di Programma, ecc.).
Per i contenuti tecnico-scientifici ed operativi esso rappresenta un’utile
strumento per valutare la ricaduta - e quindi per orientare le varie opzio-
ni e mitigazioni - di qualsiasi opera, programma od intervento che si attui
in aree a significativa presenza o vocazione faunistica al fine di non alte-
rare gli habitat d’elezione per le specie prioritarie presenti in Lombardia.
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Tratto dal Programma Regionale per gli Interventi di Conservazione e Gestione della Fauna Selvati-
ca nelle Aree Protette della Regione Lombardia
Fenologia
MS Migratrice Svernante (presente soltanto nel corso della migrazione e in inverno)MP Migratrice Parziale (presente in tutto il corso dell’anno, in parte con popolazioni migratrici; si
intende anche nidificante)
ML Migratrice su Lunga distanza (presente esclusivamente nei periodi di migrazione)
MN Migratrice Nidificante (presente soltanto nel corso della migrazione e in periodo di nidificazione)
NR Nidificante Residente (presente in tutto il corso dell’anno, con popolazioni non soggette a
migrazioni)
EO Estivante Occasionale (migratrice occasionalmente presente nel periodo riproduttivo, ma non
nidificante)
Nid nidificante :
Reg qualora presente con popolazioni che si riproducono regolarmente
Pos qualora presente nel periodo propizio alla riproduzione e negli habitat adeguati, ma senza che
si siano finora raccolte prove certe di nidificazioneEst qualora osservata nel periodo riproduttivo, ma senza alcun indizio di nidificazione.
Nome Comune
Tarabuso
Tarabusino
Nitticora
Sgarza ciuffetto
Airone guardabuoi
Airone bianco
maggiore
Garzetta
Airone cenerino
Airone rosso
Nome Scientifico
Botaurus stellaris
Ixobrychus minutus
Nycticorax nycticorax
Ardeola ralloides
Bubulcus ibis
Egretta alba
Egretta garzetta
Ardea cinerea
Ardea purpurea
Fenologia
MS - nid. POS
MN - nid. REG
MP - nid. REG
MN - nid. REG
ML - nid. EST
MS
MP - nid. REG
MP - nid. REG
MP - nid. REG
Prio-
rità
13
9
12
13
9
12
11
10
13
Normative
internazionali
Dir CEE 79/409 - All.1
Dir CEE 79/409 - All.1
Dir CEE 79/409 - All.1
Dir CEE 79/409 - All.1
Dir CEE 79/409 - All.1
Dir CEE 79/409 - All.1
Dir CEE 79/409 - All.1
Normative
nazionali
e regionali
LN 157/92 - P.P.
LN 157/92 - P.
LN 157/92 - P.
LN 157/92 - P.
LN 157/92 - P.
LN 157/92 - P.
LN 157/92 - P.
LN 157/92 - P.
LN 157/92 - P.
Habitat
R 1,1 - S 1,1
R 1,1
R 1,1-1,2-3-10
S 1,1-1,2-3-10
R 1,1
R 10
S 1,1
R 1,1-1,2-3-10
S 1,1-1,2-3-10
R 1,1-1,2-3-10
S 1,1-1,2-3-10
R 1,1-1,2-3-10
S 1,1-1,2-3-10
Strategie
di
Conserva-
zione
B, C, D
B, C
B, C, D
B, C, D
B, C, D
B, C, D
B, C, D
B, C, D
B, C, D
Tipologia
d’intervento
Ba8, Bc2, Bd4;
C1, C4, C6, C7,
C11; D2, D4
Ba8, Ba9, Ba10,
Bc2; C2, C4, C6
Ba7, Bb1, Bb5,
Bc2, Bc13; C2,
C4, C6, C9; D3,
D4
Bb1, Bb5, Bc13,
Bc2; C1, C2, C6,
C9; D4
Ba7, Bc2, Bc13,
Bd4; C1; D4
Ba8, Bc2; C1;
D3, D4
Ba7, Bb1, Bb5,
Bc2, Bc13; C2,
C6, C9; D3, D4
Ba7, Bb1, Bb5,
Bc2, Bc13; C2,
C6, C9; D3, D4
Ba7, Ba8, Bc2,
Bd4; C2, C4, C6,
C9; D2, D4
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Priorità
La Priorità è derivante da un livello di priorità generale e da un livello di priorità regionale.
A tal fine, è stato elaborato un indice sintetico utilizzando come elementi di base i principali attributi
ecologici o attributi biologici, così come definiti dalla letteratura scientifica (Usher, 1986). Tali attri-
buti tengono conto di diversi fattori, dalla rarità all’estensione dell’habitat, dal valore scientifico alla
fragilità ecologica, dalla consistenza delle popolazioni alle tendenze numeriche.
Per ulteriori dettagli si rimanda al documento originale.Habitat
R habitat riproduttivo
S habitat di svernamento
1.1 ambienti d’acqua lentici
2 cespuglieti e praterie
3 boschi e foreste decidue
10 urbanizzato.
Strategie di conservazione:
B Intervento diretto sull’habitat
C Attività di monitoraggio
D Azione sulla componente sociale
Ba7 Mantenimento di zone umide, praterie igrofile e marciteBa8 Creazione e/o mantenimento del canneto
Ba9 Rinaturazione delle depressioni di cava
Ba10 Controllo delle variazioni di livello di bacini e corsi d’acqua regolati da sbarramenti artificiali
Bb1 Rimboschimenti in relazione alla tipologia del bosco originario
Bb5 Interventi selvicolturali volti al ripristino ed al mantenimento di boschi autoctoni (incluse
tipologie specifiche, es. boschi ripariali) ed alla conversione dei boschi cedui in alto fusto
Bc2 Ripristino e ricostituzione di zone umide (estese anche per alcuni ettari), anche all’interno di
aree agricole produttive
Bc13 Incentivazione all’allagamento precoce delle risaie (metà marzo) e limitazione dell’impiego di
cultivar di riso coltivati a secco
Bd4 Protezione dei siti riproduttivi
C1 Monitoraggio dello status delle popolazioni (consistenza, struttura, patologia…)C2 Monitoraggio dello status delle popolazioni per specie con ciclo biologico complesso caratteriz-
zate da cambiamenti di habitat o movimenti (consistenza delle popolazioni svernanti e/o nidificanti
C4 Definizione qualitativa delle potenzialità faunistiche del territorio; verifica della presenza di
specie invertebrate
C6 Verifica della disponibilità di adeguate risorse trofiche
C7 Monitoraggio dei predatori
C9 Monitoraggio dell’habitat (alterazioni fisiche e/o inquinamento; modifiche della struttura de-
gli habitat terrestri, con particolare riferimento alla ricettività per gli invertebrati)
C11 Studi particolareggiati finalizzati ad individuare potenziali interventi futuri
D2 Educazione ambientale e divulgazione in ambito locale
D3 Educazione ambientale e divulgazione a largo raggio
D4 Controllo dei disturbi diretti arrecati alle colonie o ai dormitori (es. navigazione a motore,canottaggio, rafting , ecc)
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Deliberazioni di Giunta Regionale “Istituzioni di Zone aProtezione Speciale sulle rotte di migrazione dell’avifauna”
In conformità alla sopraccitata direttiva CE 79/409 “Uccelli” sono isti-
tuite dalla Direzione Generale Agricoltura in concerto con la DirezioneGenerale Qualità dell’Ambiente le Zone a Protezione Speciale (ZPS) indi-
viduate lungo le rotte di migrazione dell’avifauna al fine di favorirne la
conservazione. In queste zone sono previste speciali misure di tutela ed è
inoltre prevista la sopramenzionata “valutazione d’incidenza” delle opere
che possano comportare modificazioni alla naturalità dei luoghi o pertur-
bazioni sulle specie ivi residenti per la tutela delle quali la zona è stata
istituita. Spesso tali aree coincidono con Riserve Naturali, ma in altri casi
costituiscono nuove vere e proprie aree di salvaguardia per le specie
migratrici.
Piano di Sviluppo Rurale 2000-2006
Si tratta di un programma tecnico operativo approvato dalla D. G.
Agricoltura e Foreste sulla base delle disposizioni comunitarie (regola-
mento C.E. 1257/99). Esso prevede, nell’ambito di azioni volte a favorire
lo sviluppo del comparto agroalimentare, interventi volti alla conserva-zione dell’ambiente naturale. Tra questi ultimi si segnalano le misure
agroambientali che prevedono interventi finalizzati al miglioramento
ambientale del territorio rurale quali ad esempio la costituzione o il man-
tenimento di siepi e filari, macchie e fasce alberate, fontanili, il
rimodellamento delle rive e dei corsi d’acqua artificiali, il ritiro dei semi-
nativi per scopi naturalistici, la conservazione di ambienti agricoli ad alto
valore naturale a rischio di scomparsa, in particolare nelle aree protette
regionali.
Un’altra misura del piano riguarda l’imboschimento delle superficiagricole ed ha come obiettivo da un lato la realizzazione di miglioramenti
ambientali quali l’ incremento della superficie alberata e dall’altro la cre-
azione di opportunità alternative di reddito per gli imprenditori agricoli.
Alcuni di questi interventi, se progettati con particolare attenzione agli
habitat d’elezione degli Ardeidi, possono risultare strategici per la conser-
vazione di queste specie.
Il piano prevede infine la realizzazione di altre misure forestali con
varie finalità tra le quali quella conservazionistiche come la rinnovazionedei boschi di interesse faunistico e naturalistico.
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Il Piano di Sviluppo Rurale prevede infine interventi di tutela del-
l’ambiente in relazione all’agricoltura, alla silvicoltura, alla conservazio-
ne delle risorse naturali, nonché al benessere degli animali.
Il programma del settore Agricoltura e Foreste prevede quindi
finanziamenti finalizzati all’esecuzione di progetti integrati di conserva-zione, recupero e valorizzazione di ambiti rilevanti dal punto di vista
paesaggistico e ambientale (quali corsi d’acqua, zone umide ecc.), situati
nelle zone marginali, individuate dalle aree Obiettivo 2 del Regolamento
CE n. 1260/1999.
Si segnala infine come queste misure possano aderire non solo i sog-
getti privati ma gli stessi Enti pubblici quali consorzi di gestione di Parchi
e Riserve Naturali.
Finanziamenti comunitari
Alcuni programmi comunitari, in particolare i LIFE Natura, permet-
tono di accedere ai fondi dell’U.E finalizzati ad interventi specifici di grande
portata per il miglioramento e la rinaturazione di siti di importanza co-
munitaria di cui alla direttiva Habitat o di sostegno alle specie di fauna di
interesse comunitario.
Il LIFE natura è infatti lo strumento finanziario della Comunità Eu-ropea che permette di conservare gli habitat e le specie relative alla diret-
tiva “Habitat” (92/43/CEE) e le specie relative alla direttiva “Uccelli” (79/
409/CEE) nonché deputato alla creazione della rete di aree protette deno-
minata Natura 2000 finalizzata, appunto, alla conservazione e gestione
delle specie di fauna, flora e di habitat ritenuti prioritari per l’Unione
Europea.
Ogni LIFE deve quindi prevedere una serie di azioni finalizzate a
mantenere o ripristinare gli habitat naturali ed a conservare le popolazio-
ni di fauna e flora selvatiche. Per l’accoglimento della domanda di ammis-sione al finanziamento comunitario è necessario presentare un progetto
dettagliato indicante le tipologie di habitat e di specie che si intendono
favorire, debbono essere dichiarate tutte le criticità presenti allo stato di
fatto nonché elencate tutte le azioni volte al superamento di tali criticità e
al miglioramento delle condizioni naturali.
La comunità europea finanzia generalmente il 50% dei progetti LIFE
Natura, talvolta può arrivare sino al 75% il restante dell’importo è soste-
nuto a livello locale. La Regione Lombardia, Direzione Generale Qualitàdell’Ambiente, è ente cofinanziatore di molti progetti LIFE Natura.
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Tra questi si segnala a titolo esemplificativo per l’attinenza con ilpresente testo, la possibilità di finanziamento di progetti volti al migliora-
mento di habitat di bosco igrofilo (foreste alluvionali residue di Alnion
glutinoso incanae) ove siano presenti garzaie di ardeidi gregari (Nycticorax
nycticorax , Egretta garzetta ecc.). Le azioni previste saranno volte al mi-
glioramento della biodiversità di questi habitat e quindi al sostegno delle
popolazioni di ardeidi ivi nidificanti nell’ottica di una maggiore conserva-zione delle specie a livello del paleartico occidentale.
Gli strumenti normativi e finanziari di supporto per la realizzazione
di interventi di conservazione della biodiversità, della fauna selvatica edin particolare degli Ardeidi e dei loro habitat d’elezione sono quindi molte-
plici e diversificati, i quali, pur in un contesto ridondante e spesso non del
tutto coerente, forniscono comunque un valido supporto per la conserva-zione delle specie ritenute di interesse prioritario ormai dall’intera comu-
nità umana. Sta all’attento pianificatore scegliere lo strumento più ido-neo al caso specifico anche in relazione al contesto sociale ed alle attivitàumane compresenti sul territorio, al fine di addivenire ad una forma di
tutela il più possibile condivisa e, quindi, più efficace.
La normativa e gli strumenti finanziari integrati permettono di realizzare interventi diriqualificazione a favore dell’avifauna quali la creazione di nuove aree a canneto.
In corso di stampa sono state approvate importanti normative in materia. Si segnalaper completezza di documentazione:
• Delibera di Giunta Regionale della Lombardia n° 7/14106 del 8.08.2003 “Elenco deiproposti siti di importanza comunitaria ai sensi della direttiva 92/43/CEE per laLombardia, individuazione dei soggetti gestori e modalità procedurali per l’applica-
zione della valutazione d’incidenza”.• Decisione della Commissione CE del 22.12.2003 “Elenco dei siti di importanza co-
munitaria per la regione biogeografica alpina”.
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Riferimenti bibliografici
Capitolo 1
Fasola M, Zandonella D (red.) 1996. Gli aironi in Lombardia. Ammini-strazione Provinciale, Pavia. Pp. 160.
Skinner J., Zalewski S. 1995. Functions and values of Mediterranean
wetlands. MedWet Publ, no. 2. Tour du Valat, Arles, France. Pp. 80.
Capitolo 2
A.A.V.V. 1991. Ambienti naturali in provincia di Cremona - Provincia di
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