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GIOVEDÌ 30 GENNAIO 2014

la Repubblica

DIARIODI REPUBBLICA

In principio furono “catoble-pi”, prima di assumere lesembianze di boiardi, i gran-di feudatari aristocraticirussi di cui Ivan il Terribile

tentò di ridimensionare il potere.Il catoblepa è un animale fantasti-co descritto da Plinio il Vecchio,emblema del rapporto patologicotra due entità, riesumato dal ban-chiere Raffaele Mattioli dopo lanascita dell’Iri, quando si scoprìche le banche possedevano le in-dustrie e le industrie possedevanole banche. Il groviglio incestuosodel “catoblepismo”. Un neologi-smo ricomparso nelle tesi di Fa-brizio Barca per la candidatura al-le primarie del Pd derivante dalnome dell’inquietante animale,che viene citato anche in “Super-giovani”, canzone di Elio e le Sto-rie Tese. La genia animalesca haresistito agli insulti del tempo edella storia e si perpetua ancoraoggi in una generazione di post-boiardi, ricchi, potenti e per nulladisposti ad abbandonare i propriconfortevoli feudi. Come dimo-stra, ultimo esempio, la vicendadel presidente dell’Inps AntonioMastrapasqua.

Tutto era cominciato nell’ago-sto del 1927, quando Benito Mus-solini giunse a Pesaro su un’AlfaRomeo guidata personalmente e,affacciato a un balcone, annunciòla difesa del cambio della lira a“quota 90”. Fu il disastro econo-mico. Così nel 1933 nacque, conl’Istituto per la ricostruzione in-dustriale, lo Stato padrone: ac-ciaiere e asfaltatore, costruttorenavale, monopolista dei trasportimarittimi, ma anche pasticciere eproduttore di orchidee. I primi ca-toblepi furono Alberto Beneducee Donato Menichella, presidentee direttore generale dell’Istituto,che ebbero tra l’altro il merito dipreparare una squadra di mana-ger di alto profilo e di riconosciu-ta onestà. Oscar Sinigaglia in-ventò l’acciaio italiano, finito infi-ne nelle mani dei Riva, esempiovivente di come il privato possaspesso essere peggio del pubbli-co; Fedele Cova, sostenuto condeterminazione dal piccolo e rin-ghiante decisionista democristia-no Amintore Fanfani, costruì inpochi anni l’Autostrada del Sole;Guglielmo Reiss Romoli, lanciò latelefonia, nonostante l’opposi-zione di Menichella, nel frattem-po diventato governatore dellaBanca d’Italia, che odiava il telefo-no e chiedeva: «Ma a chi serve te-lefonare in un paese di contadinie pastori?».

Quasi mezzo secolo dopo, al-l’incedere di Tangentopoli e delleprivatizzazioni, al vertice dell’Isti-tuto sedeva Franco Nobili, un excostruttore fedelissimo di Giulio

E. SCALFARIG. TURANIRazza padronaBaldini & Castoldi1998

EUGENIOSCALFARILa passionedell’eticaMondadori2012

Intervisteai potentiMondadori1991

L. BISIGNANIP. MADRONL’uomo che sussurra ai potentiChiarelettere2013

ALBERTOSTATERAIl TermitaioRizzoli2009

C. GERONZI M. MUCCHETTIConfiteorFeltrinelli2012

GUIDO CRAINZIl paese realeDonzelli2012

VALERIOCASTRONOVO(a cura di)Storia dell’IRILaterza2012

Il gioco delle partiRizzoli2012

NICOPERRONEEnrico MatteiIl Mulino2012

GIULIOSAPELLIStoriaeconomicadell’ItaliacontemporaneaBruno Mondadori2012

LIBRI

Quegli eterni potentitra economia e politica

BOIARDI

Addio, figlio mio, muoio... Ora inizierai a regna-re. Non domandare in che modo sono arriva-to al trono... Non c’è bisogno che tu lo sappia.

Tu regnerai secondo il diritto, come mio successore,come mio figlio primogenito... Figlio mio! Mio adora-to figlio! La corona ti arriva in tempi difficili. È forte ilperfido pretendente! Si è armato di un nome minac-cioso. Intorno a te congiure dei boiardi, tradimentidell’esercito... Fame e morte... Ascolta, Fëdor: noncredere ai consigli dei boiardi sediziosi, diffida delleloro relazioni segrete con la Lituania, punisci il tradi-mento senza pietà, puniscilo senza misericordia; am-ministra severamente la giustizia, amministrala conrettitudine, difendi come un soldato la vera fede, ab-bi religioso rispetto per i santi di Dio. Conserva la tuapurezza, Fëdor, in essa troverai il tuo potere e la tuaforza, e la solidità della tua ragione, la tua salvezza.

SILLABARIOBOIARDI

ALEKSANDR PUŠKIN

Il caso Mastrapasqua e le nomine nelle società pubblicheriportano d’attualità la “razza padrona” che resisteanche nell’era dei partiti debolie delle privatizzazioni

Impossibile dire quanto sia costatal’“Operazione Orchidea”una delle tante follie che hannoportato il paese nel baratro

FollieMolti sono sopravvissutiin una prateria sconfinatadi partecipazioni che nessunosa censire con precisione

Prateria

ALBERTO STATERA

Andreotti, all’Eni regnava Gabrie-le Cagliari, fiduciario di BettinoCraxi morto poi suicida in carcere,e all’Efim, che era stato il feudo diAldo Moro con il presidente PietroSette, Gaetano Mancini un ex se-natore socialdemocratico, cugi-no dell’ex segretario socialistaGiacomo Mancini. “Ente spazza-tura”, l’avevano soprannominatoperché era il ricettacolo di tutte leschifezze pseudo-industriali d’I-talia. Ma, al suo scioglimento,nessuno poteva immaginare ditrovare negli armadi un buco di 18mila miliardi di lire, come al solitopagato da tutti gli italiani. E come

era già avvenuto per l’Egam, unente di gestione, come si chiama-vano allora, inventato dall’ex se-gretario democristiano FlaminioPiccoli, un coacervo incredibile diminiere, siderurgia, meccano-tessile, l’ex Sir di Nino Rovelli e laLiquichimica. Il “trivellatore dellaNazione”, come fu soprannomi-nato il suo presidente, si chiama-va – ironia della sorte – Einaudi.Naturalmente – dio ce ne scampi -non Luigi, ma Mario Einaudi. Unsignore la cui eredità gravò poi peranni sull’Iri superstite e sull’Eni,che aggiunsero nefandezze a ne-fandezze. Che fare delle miniere

chiuse dell’Amiata? E dei minato-ri? Semplice, giardinieri di pianteda appartamento e soprattuttoorchidee, in un sistema di 50 etta-ri di serre alimentato da converti-tori di fonti geotermiche dell’E-nel, collocato su un brullo terreno,troppo freddo d’inverno e troppocaldo d’estate. Nessuno ha maisaputo quante decine di miliardicostò a noi tutti l’“operazione or-chidea”, solo una delle mille folliecriminali dello Stato imprendito-re, che hanno condotto l’Italia inun baratro melmoso prodottonon solo dalla politica, ma più ingenerale da una classe dirigente

incapace e corrotta.Il prototipo del primo grande

boiardo dopo l’epoca dei catoble-pi in realtà è Enrico Mattei, l’uomoche i partiti li usava “come un taxi”pagando la corsa, che Guido Carlidescrisse così: «Era impossibilenon rimanere colpiti da Mattei.Non era mai sereno. Era un osses-so, un invasato. Completamenteposseduto dall’idea di affrancarel’Italia dalle compagnie petrolife-re americane, pervaso da spiritoanticapitalistico, contrario allaconcorrenza. Era per la naziona-lizzazione dell’energia elettrica.Non aveva alcuna fiducia nel mer-

CARICATURASotto:Caricaturadelbanchieredi HonoréDaumier(1835)In alto asinistra:I boiardiin missioneincisione delXVI secolo

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politica, le ricette del professorGianfranco Miglio. Poi scompar-ve tra la Svizzera e il Canada a cu-rare le sue ricchezze.

C’erano una volta i boiardi, quei“funzionari privilegiati” che – co-me scriveva Ernesto Rossi – «fannoliberamente nei loro feudi buro-cratici quel che meglio credonocon i quattrini dei contribuenti».Non pochi sono sopravvissuti inuna prateria sconfinata di parteci-pazioni pubbliche che nessunoriesce neanche a censire con preci-sione. Ma l’ultima poltrona zari-sta, tra tante da boiardini, è forsequella dell’amministratore dele-gato dell’Eni, il più grande gruppodi questo paese. I suoi predecesso-ri alla politica davano ordini, maPaolo Scaroni, che rivendica ilquarto mandato, dopo la condan-na ai tempi di Tangentopoli e inse-guito da svariate inchieste giudi-ziarie, ordini preferisce prendernedal suo mentore, il faccendiereLuigi Bisignani, pluripregiudicato,soprattutto quando si tratta di gra-tificare il potere di politici che sugliaffari petroliferi hanno sempregettato un occhio più che interes-sato. Resterà negli annali della Re-pubblica delle banane l’intercetta-zione nella quale l’amministratoredelegato dell’Eni chiede al suo fac-cendiere di riferimento consigli sucosa dire al presidente del Consi-glio Berlusconi in un imminenteincontro.

L’Eni, l’Enel, la Finmeccanica, lePoste e altre centinaia posizioni dipotere nei feudi burocratici. Il gio-vane rottamatore segretario del Pdha chiesto le “schede” per compul-sarle. Ora sì che Matteo Renzi è allavera prova. La “prova del boiardo”.

[email protected]

Inseguito dall’ira del sovranodall’invidia malvagia dei boiardila sua vita votò alle sofferenzeI demoni, 1873

Fëdor Dostoevskij

La Russia ha ereditato dall’Urssanche i boiardi: svolgono ancoraun fondamentale ruolo politicoImperium, 1993

Ryszard Kapuscinski

La confusione tra “pubblico”e “partitico”, gli enti parastatali,il sistema dei “boiardi di Stato”L’anno di Craxi: o di Berlinguer?, 1984

Eugenio Scalfari

Le tappe

I Diari onlineTUTTI i numeri del“Diario” di Repubblicasono consultabili su In-ternet in formato pdfal l ’ indir izzo webwww.repubblica.it. Ilettori potranno acce-dervi direttamente dal-la homepage del sito,cliccando sul menu“Supplementi”.

Gli autoriIL SILLABARIO di Alek-sandr Puškinè tratto daBoris Godunov (Marsi-lio). Alberto Statera hascritto Il Termitaio (Riz-zoli). Franco Bernabèèun banchiere e dirigented’azienda italiano, ha la-vorato, tra le altre, perFiat, Eni e Telecom.

L’IRI E L’ENINel 1933, sotto il fascismo,nasce l’Iri (Istituto per laricostruzione industriale)Nel 1953 arriva un altro ente pubblico, l’Eni

GLI ANNI 50-60Con lo sviluppo economicocrescono le partecipazionistatali, soprattutto nelcampo delle infrastruttureProtagonisti Mattei e Cefis

TANGENTOPOLIDopo lo scandalo degli anni90 cadono diversi boiardi di Stato. Nel 1993 vienesciolto il ministero dellePartecipazioni Statali

OGGIIl caso Mastrapasqua,uomo dalle tante poltrone e coinvolto in un’inchiestasu rimborsi gonfiati, riapreil caso dei “boiardi di Stato”

LUCIAANNUNZIATAIl potere in ItaliaMarsilio2011

GIORGIORUFFOLOLo specchiodel diavoloEinaudi2006

ERNESTOROSSII padroni del vaporeKaos2001

NUNZIAPENELOPEVecchie potentiDalai2007

GIUSEPPETURANILa nuova razza padronaSperling & Kupfer2004

GIANCARLOGALLIIl padrone dei padroniGarzanti2006

P. MADRONC. ROMITIStoria segretadel capitalismoitalianoLonganesi2012

ROBERTONAPOLETANOPadroni d’ItaliaSperling & Kupfer2004

FABRIZIOBARCAIl capitalismoitalianoDonzelli1999

S. RIZZOG. A. STELLALa castaRizzoli2007

LIBRI

cato. Sembrava un grande capita-no di ventura, un Giovanni dalleBande Nere». Dopo di lui, mortoammazzato, venne Eugenio Ce-fis. Anche lui i partiti li comprava,come aveva fatto Mattei con lacreazione della corrente di Basedella Diccì e con gli ex fascisti scis-sionisti, finché non si convinseche invece conveniva spazzarlivia per fare dell’Eni, a quei tempigrande centro di spionaggio, latecnostruttura delle autonomieautoritarie. Chissà se davvero futentato anche da un colpo di Sta-to, quando beveva un po’ inge-nuamente, nel disprezzo per la

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Parla Franco Bernabè che è stato al vertice di Eni e Telecom

Franco Bernabè, classe 1948, trentino dinascita, torinese d’adozione, è il “ma-nager carsico”, secondo la definizionedel Foglio. Entra ed esce di scena. Oggi

è fuori dopo essersi dimesso dalla Telecompresa dagli spagnoli. Sulla scena ha guidato laprivatizzazione dell’Eni negli anni Novanta,poi ha difeso, sconfitto, Telecom dall’assaltodell’Opa “padana” di Roberto Colaninno & co.Considera quella del “boiardo” «un’espres-sione dispregiativa» legata a un’epoca chenon c’è più. Incontriamo Bernabè nella sededella sua FB Group, società di investimenti, aRoma poco lontano dal ministero del Lavoroalle prese con l’“affaire Mastrapasqua”, ilboiardo della nuova specie, il boiardo post-in-dustriale.

Come è cambiato, Bernabè, il rapporto trala politica e l’economia tra la prima e la se-conda Repubblica?

«Negli anni del dopoguerra il sistema dellepartecipazioni statali ha rappresentato unaformidabile spinta alla industrializzazionedel Paese. L’idea di togliere allo Stato la gestio-ne diretta delle imprese per affidarle ad enti digestione (l’Iri o l’Eni), separati dalla politica, èstata un’innovazione formidabile. Ce l’hanno

copiata Francia e altri Paesi. In quegli anni hacostituto un modello virtuoso che ha permes-so all’Italia di dotarsi di un significativo appa-rato infrastrutturale, autostrade, energia, te-lecomunicazioni. Iri ed Eni hanno creato unacultura manageriale ispirata a principii mo-derni, importati dagli Stati Uniti. Le parteci-pazioni statali sono state una scuola di mana-gement, mentre le imprese private dell’epocaerano organizzate secondo criteri arretrati epaternalistici. Nella Fiat di Vittorio Vallettanon c’era un’organizzazione manageriale».

L’epoca che descrive lei non dura moltissi-mo.

«A cavallo tra la fine degli anni Sessanta e iprimi anni Settanta la politica avvia il suo con-trollo pervasivo sulle partecipazioni statali. Sicorrompe il sistema. Nell’arco di un decenniodegrada tutto. I manager sono molto più de-boli. Alla guida dell’Iri arrivano personaggimediocri come Giuseppe Petrilli, tipico uomodi raccordo con la politica, senza alcuna visio-ne imprenditoriale. Gli anni successivi sonoancora peggio: i fondi neri dell’Iri, lo scadaloEni Petronim. Gli anni ottanta, il Caf. La poli-tica prende il sopravvento. Fino al 1992, quan-do con un’azione stranamente coraggiosa, ilgoverno Amato decide di privatizzare».

Probabilmente le privatizzazioni chiudo-no la grande stagione dei cosiddetti boiardi diStato. Chi sono stati?

«La trovo una definizione molto strana, di-spregiativa. Appartiene a un’altra epoca. Era-no gli uomini che la politica metteva dentro leaziende pubbliche per fare da cinghia di tra-smissione. Ma c’è da dire che in quella stagio-ne i manager pubblici sono quasi tutti inge-

gneri».Cosa vuol dire? Che gli ingegneri sono più

condizionabili dalla politica rispetto a uneconomista, per esempio?

«Il grado della propria autonomia dipendeda sé, dalla propria forza, dal proprio caratte-re. No, ciò che voglio dire è che quella è una sta-gione nella quale la missione dei manager erafare: autostrade, impianti siderurgici, pozzipetroliferi».

Ci sono ancora i boiardi?«Dopo il 1992 le cose sono cambiate radi-

calmente. Per alcuni versi nello smantella-mento delle partecipazioni statali si è andatianche troppo avanti. La trasformazione deglienti in spa ha risolto alla radice il problemadelle interferenze della politica nella gestionedelle aziende».

Lei pensa davvero che oggi i manager cheguidano le aziende pubbliche, da Scaroni aConti, siano così autonomi dalla politica?

«Sono totalmente autonomi. Che qualcu-no poi vada a cercarsi alcune sponde è un al-tro discorso. Guardi, oggi le nostre società par-tecipate dal Tesoro assomigliano molto al mo-dello delle public company».

Ma non crede che ci sia ancora bisogno di

un ruolo pubblico nell’economia? «Certo. Io credo che sia stato un errore

smantellare l’Iri. Tanto che quando mi fu affi-data la missione di liquidare l’Eni, io, control’opinione del governo, non l’ho voluta scio-gliere e l’ho portata alla quotazione. Mi pareche i risultati mi abbiano dato ragione».

Per una nuova stagione di interventismostatale servirebbe anche una politica all’al-tezza. Considera all’altezza l’attuale classepolitica?

«La politica è totalmente scomparsa. Ha ri-nunciato a esercitare il suo ruolo legittimonella determinazione delle scelte di politicaindustriale. Il ministero dello Sviluppo è statosvuotato. L’attività regolatoria in diversi setto-ri è stata lasciata alle Authority indipendenti ele lobby hanno preso il sopravvento in Parla-mento».

Si sta riaprendo la stagione delle nominenelle aziende partecipate dal Tesoro. Le con-siglierebbe a manager internazionali del ca-libro di Vittorio Colao o Andrea Guerra di pas-sare al vertice delle nostre grandi impresepubbliche?

«Un manager deve conoscere la comples-sità del business e i meccanismi di funziona-mento di un’azienda. O li conosci in profon-dità o galleggi».

Dunque, non glielo consiglia?«No, non glielo consiglio. D’altra parte nel-

le grandi corporation americane il ceo, il chiefexecutive officer, viene scelto dall’interno e ilpresidente arriva da fuori per esercitare unruolo di garanzia anche nei confronti degliazionisti».

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“Oggi i capi azienda possono essere completamenteautonomi. Se qualcuno va a cercare sponde è soloperché gli fa comodo. Il grado di libertà di ciascunodipende solo da sé, dal proprio carattere”

Autonomia

“NOI, MANAGER CRESCIUTIALLA SCUOLA DELLO STATO”

ROBERTO MANIA

CONSIGLIOLa riunionedel consigliodisorveglianzadipintodel pittoretedescoFerdinadBrutt(1900)