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L’evoluzione del processo commerciale nelle Banche di
Credito Cooperativo
Dal modello ‘centrato sul budget’ al ‘servizio globale etico’.
Le attività di consulenza, che abbiamo realizzato nelle Banche di Credito Cooperativo negli ultimi
quattro anni, ci hanno permesso di conoscere nel dettaglio il processo commerciale dominante
adottato per il raggiungimento del budget. Analizzandolo su più livelli, abbiamo rilevato con
evidenza sempre maggiore le criticità che si celano dietro quel modello di sviluppo. In questo
documento intendiamo offrirne una sintesi per proporre, in ottica costruttiva, un’alternativa verso
la quale le banche di credito cooperativo, fedeli al proprio sistema valoriale, potranno orientarsi
nel prossimo futuro.
Abbiamo definito ‘centrato sul budget’ l’approccio che attualmente governa lo sviluppo
commerciale delle BCC. Esso, ovviamente, è declinato secondo modalità diverse in funzione delle
differenze organizzative, strumentali e di mercato. Nonostante le diversità locali, siamo riusciti a
mettere sotto la lente d’ingrandimento gli elementi caratteristici ricorrenti che lo
contraddistinguono, e che illustreremo di seguito.
L’azione commerciale è definita dal budget e da esso guidata. Il budget è naturalmente costruito in
virtù di molteplici esigenze specifiche. Di solito, si estrapolano liste di clienti target per una serie di
prodotti/servizi, come ad esempio quelli in una certa fascia di età senza carta di credito, cui
proporla; mentre i clienti con più di un rid costituiranno il target per una campagna sul consolido;
quelli con PO in scadenza saranno contattati per un investimento adeguato al loro profilo di
rischio, e così via. Naturalmente, ogni realtà definisce i propri obiettivi e criteri di selezione della
clientela: alcuni di essi si tramutano in una vera e propria campagna commerciale, mentre in altri
casi si tratta di liste semplicemente ‘suggerite’ a ogni filiale.
Poiché questo modello di sviluppo finora ha prodotto risultati, è naturale che non vi sia ancora
stata una spinta significativa verso il cambiamento1. L’idea che sta alla base di questa
impostazione è che i focus specifici, ad esempio: “Vendi due carte al mese”, aiuterebbero le
persone ad attivarsi di più di quello che farebbero in assenza di obiettivi. Eppure, le distorsioni che
ne derivano, da un lato non sono in linea con il sistema valoriale del Credito Cooperativo e,
dall’altro, frenano drasticamente lo sviluppo del potenziale commerciale.
1 Un aspetto tipico della percezione umana e della costruzione di idee sulla realtà è il fatto che siamo fortemente
influenzati dai risultati che otteniamo, mentre su di noi hanno poco effetto i risultati potenziali. Questo significa che
tendiamo a trovare conferma della bontà di una nostra decisione in un piccolo effetto positivo che otteniamo, mentre
non teniamo in considerazione i risultati, magari molto maggiori, che quella decisione ci impedisce di ottenere.
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Quali sono le conseguenze dell’approccio centrato sul budget e cosa avviene nella realtà dei fatti?
1. Una prima falla contenuta in questo modello di sviluppo consiste nel fatto che le persone
tendono a focalizzarsi sul prodotto e non sulla consulenza. L’uso retorico del termine
‘consulenza’ non cambia la natura di un’azione che, nel concreto, è una proposta
commerciale pura e semplice. L’urgenza del raggiungimento dell’obiettivo di campagna
sovrasta la teoria secondo la quale sarebbe importante conoscere i bisogni del cliente. Si
dimentica il valore che la banca può portare al cliente a 360 gradi, e spesso si finisce col
dover gestire obiezioni sul costo o sul tasso d’interesse. Le obiezioni non sono il problema,
ma il sintomo di una perdita del valore percepito. Non serve quasi a nulla ricordare alle
persone che quando si trovano di fronte al cliente, oltre alla carta di credito, possono
occuparsi di approfondire altre esigenze. Una volta proposta la carta di credito, una scarica
di dopamina porta al rilassamento delle intenzioni dell’operatore di filiale.
2. Il primo punto ha un corollario diretto: poiché ogni cliente è incontrato per un motivo
specifico, quando non sia il dialogo a portare naturalmente alla luce altri suoi interessi o
quando non sia il cliente stesso a manifestarli in modo attivo, l’appuntamento è altamente
inefficiente. Si dovrebbe contattare il cliente una volta per la targa dell’auto e la polizza RC,
un’altra volta per la carta di credito, un’altra per un PAC, poi per il fondo pensione e così
via. Si tratta di una rappresentazione estremizzata, ma anche quando l’operatore aggrega
due o tre possibili interessi, il modello di vendita non è comunque efficiente se confrontato
con uno sviluppo complessivo del valore per il cliente, che descriveremo in seguito2.
3. Un altro problema è costituito dall’effetto che si genera nel momento in cui s’incontra il
cliente, sapendo che è ritenuto ‘adatto’ per un certo prodotto. Le liste sono normalmente
costruite attraverso criteri demoscopici o, comunque, probabilistici. Se l’obiettivo, ad
esempio, è di aumentare la penetrazione delle carte di credito, è più probabile che sia
interessato un trentenne, libero professionista, anziché un settantenne pensionato. Il
problema di questo input iniziale è la distorsione statistica: ciò che possiamo considerare
corretto statisticamente, non dovremmo utilizzarlo come guida nella relazione con il
singolo cliente. Potremmo trovarci di fronte a un settantenne che invece si appassiona alle
novità tecnologiche ed è entusiasta all’idea di poter fare acquisti on line. Utilizzare
generalizzazioni derivanti dal marketing nell’incontro con un singolo individuo, significa
entrare in relazione con lo stereotipo, invece che con la persona. L’approccio è poco
coerente con i valori nei quali crediamo – ‘la persona al centro’ e non ‘gli stereotipi al
centro’ - e assolutamente inefficace ai fini commerciali.
4. Probabilmente, l’effetto più nefasto della focalizzazione sull’obiettivo di campagna consiste
nel fatto di trascurare una buona parte della clientela. Dalle interviste ai direttori di filiale e
ai loro colleghi abbiamo ricavato, tra le altre cose, la percentuale dei clienti, variabile tra il
2 Una prima formulazione del metodo di consulenza globale etica è contenuto in ‘La vendita consulenziale dei servizi
bancari’, ed Franco Angeli.
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50% e il 70%, che non viene incontrata3. Infatti, le azioni commerciali sono compiute
prevalentemente sui clienti che si presentano spontaneamente in filiale, o su quelli più
conosciuti con i quali gli operatori hanno la sensazione di avere maggiori possibilità di
essere efficaci nella vendita. Considerando che la clientela è un patrimonio fondamentale
della banca, e consapevoli di quanto sia più difficile acquisire un nuovo cliente invece di
conservarne uno già acquisito, non incontrare i clienti espone al rischio di perderli, di
limitare le potenzialità di sviluppo e la generazione di valore per entrambe le parti.
Normalmente, i motivi addotti dagli operatori che li spingono a non contattare i clienti
(“non lo conosco”, “è arrabbiato con la banca”, “avrà esigenze che forse non posso
soddisfare”), sono proprio quelli per cui sarebbe opportuno incontrarli. Perché allora non si
fa? L’approccio centrato sul budget crea inevitabilmente un’urgenza, che porta a
concentrarsi sulle scorciatoie per raggiungere l’obiettivo su cui si sarà valutati. All’interno
di questo sistema, i clienti con i quali c’è una relazione solida sono i preferiti da chi opera in
filiale.
5. L’approccio centrato sul budget è generalmente inserito in una cultura di
deresponsabilizzazione sistemica: poiché la responsabilità è di tutti, quando vi è un merito
ce lo si attribuisce, quando vi è un demerito, la colpa è degli altri4. Siccome le indicazioni
giungono ‘dall’alto’, diventa molto facile sostare nella lamentela e attribuire alle decisioni
direzionali la colpa di qualcosa che non è andato come doveva. I problemi sono la
mancanza di tempo, le liste assegnate sbagliate, le campagne non adatte per la particolare
clientela di questo territorio. Raramente ascoltiamo le persone chiedersi: “Come posso
ottimizzare i miei tempi di lavoro?”, “Come posso portare la mia clientela ad aprire la
mente su una novità?”, “Come posso utilizzare l’applicativo attuale, con i suoi limiti
oggettivi, in modo più efficace?”, ecc. Abbiamo riscontrato che, nel momento in cui le
direzioni commerciali hanno aumentato la pressione sul raggiungimento dei budget, si
sono attivate istanze difensive. Vi sono resistenze perfino quando si chiede d’inserire le
informazioni sulle proprie attività commerciali nel CRM, come se si trattasse di un illecito e
fastidioso tentativo di controllo, un’indebita ingerenza nel proprio ‘orticello’. Figuriamoci
quando dall’alto è richiesto di aumentare il numero delle telefonate settimanali. Il senso di
responsabilità sfuma nella difesa dell’autogestione e nel mal di pancia perché qualcuno ti
dice quello che devi fare. Purtroppo, all’aumento della pressione commerciale cominciano
a manifestarsi anche fenomeni come quello dei ‘risultisti’. Il ‘risultismo’ è quel metodo di
3 Escludendo i momenti in cui tutta la clientela è contattata per adempimenti burocratici. Ma anche in quei casi, in
genere, l’appuntamento si consuma con la raccolta delle firme che è vissuta perfino come una seccatura; l’incontro
non diventa quasi mai l’occasione per dare inizio ad una consulenza.
4 Vi è, infatti, una differenza sostanziale nella distribuzione della responsabilità quando, invece, ogni persona se ne
assume il 100%. Il modello distributivo per cui ogni persona ritiene di essere responsabile di un pezzo soltanto, che sia
l’1% o il 90% poco importa, rende facile non solo l’eteroattribuzione della colpa, ma riduce l’energia che ognuno
investe nel raggiungimento dell’obiettivo.
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lavoro che consiste nel selezionare dalla propria lista di clienti quelli che, con maggiore
probabilità, permettono di raggiungere più facilmente il budget di campagna. Una volta
raggiunto un risultato soddisfacente, gli altri clienti sono gestiti frettolosamente o
nemmeno contattati, indicando invece sul CRM che non sono interessati5. Il fenomeno dei
risultisti è solo l’effetto estremo, e non accettabile, di una deresponsabilizzazione
sistemica. La centratura sul budget è il modello strettamente legato all’organizzazione
piramidale, alla contrapposizione tra Alto e Basso, tra chi decide e controlla, da una parte,
e chi esegue, dall’altra; le priorità della Direzione diventano soltanto urgenze per chi lavora
in filiale.
Nella seconda parte del documento, illustreremo il modello centrato sul servizio globale etico,
spiegando in cosa consista, quali risultati possa produrre e come sia possibile implementarlo in
un’organizzazione che finora è stata guidata dal budget.
Il Servizio Globale Etico
L’anima del Servizio Globale Etico è costituita dal coinvolgimento attivo delle persone nella
costruzione di un valore elevato per la clientela e per la banca. L’obiettivo non è vendere, la
richiesta non è più quella di contattare una lista di clienti per proporgli un prodotto, né quella di
raggiungere un budget. L’obiettivo con cui ingaggiamo le persone è di offrire alla clientela il
massimo valore possibile. Questa intenzione etica, per ragioni tecniche che illustreremo, ha come
conseguenza intrinseca il raggiungimento degli obiettivi economici della banca.
E’ parte di una mentalità superata la contrapposizione tra felicità del consumatore e utile
economico dell’azienda, come se l’azienda potesse raccogliere denaro solo spremendo e truffando
le persone. In realtà, risulta vero proprio il contrario: soprattutto nelle relazioni a medio-lungo
termine, là dove il cliente è coinvolto in un processo di consapevolezza sui propri bisogni, troverà
di suo massimo interesse instaurare una relazione più profonda e duratura con l’azienda.
Il termine ‘globale’ significa che il servizio si rivolge alla globalità dei clienti di ogni filiale, alla
globalità dei potenziali stakeholder del territorio, e alla globalità dei bisogni di ognuno di essi. Il
termine ‘etico’ significa che si non si fanno proposte commerciali se non dopo aver esplorato
insieme alla persona la gamma dei suoi bisogni, e come migliore risposta possibile a essi.
Spesso si pensa all’etica in modo unidirezionale: si ritiene che una vendita non sia etica se si
inganna il cliente, omettendo informazioni o piazzando prodotti truffa. In realtà anche la non
5 Questo modo di procedere crea un danno collaterale in quelle realtà che usano i risultati precedenti per costruire le
campagne successive: infatti, la relazione ‘chiusa’ con ‘non interessato’, quando in realtà non è stato gestito, porta
spesso ad escludere quel nominativo da una lista successiva, e passerà molto tempo prima che sia riproposto come
target. Poco importa se, così facendo, i clienti sono serviti in modo incompleto e molti clienti sono completamente
trascurati.
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vendita può essere non etica. Incontrare una parte di clienti e trascurarne un’altra significa non
offrire un buon servizio alla clientela. Non chiedere a un signore anziano informazioni sui suoi
metodi di pagamento e sull’utilizzo di internet – avendo il preconcetto che le persone anziane
siano avverse alla tecnologia – non è un buon servizio, né un atteggiamento rispettoso. Proporre
un PAC semplicemente perché c’è un budget da raggiungere non è etico, nemmeno se quel
prodotto è di per sé buono: infatti, un prodotto è ‘buono’ nella misura in cui risponde a un bisogno
del cliente. Proporre la polizza RC auto – in campagna – ed evitare di sensibilizzare il cliente sulla
necessità di proteggere la sua vita a 360 gradi, significa fare un lavoro incompleto6. Pensiamo, al
contrario, a un cliente che esca dalla filiale con delle tutele adeguate: egli non finirà sul lastrico nel
malaugurato caso in cui procurasse un danno grave permanente a un terzo. Potremmo affermare
con forza che l’operatore, aiutando quel cliente a tutelare la propria vita, abbia svolto un lavoro di
grande valore professionale e gli abbia fornito un ottimo servizio.
Come si può intuire, un approccio globale etico non è qualcosa che accade da solo, semplicemente
sospendendo le campagne commerciali e lasciando le persone libere di agire come meglio
credono. I clienti devono essere contattati e incontrati, anche quelli che da anni non mettono
piede in filiale. E’ necessario superare le resistenze personali verso la proattività e agire sulle
competenze comunicative per massimizzare i risultati di questa azione. Ogni cliente sarà condotto
attraverso un percorso di consapevolezza che riguarderà tutti gli ambiti di relazione con la banca:
dalla gestione dei risparmi alla previdenza, dalla monetica alle necessità creditizie, dalla protezione
del proprio capitale alla protezione della vita. Significa incontrare il cliente più volte nell’arco
dell’anno, costruire con lui un percorso che non ha più a che vedere con il modo tradizionale di
proporre prodotti7. Questo richiede competenze comunicative avanzate che non possono essere
date per scontate.
Abbiamo evidenziato che questo metodo unisce la soddisfazione del cliente al raggiungimento dei
risultati della banca; aggiungiamo anche che chi lavora in banca con tale approccio trova
naturalmente una maggiore soddisfazione professionale: può sembrare facile retorica, ma c’è una
6 Spesso il timore di essere percepiti come insistenti supera la motivazione a generare valore per il cliente.
Normalmente, chi è incaricato dello sviluppo commerciale è più preoccupato a non passare per quello che vuole
spingere i clienti verso dei prodotti che non stanno cercando, piuttosto che di capire se per quel cliente, quel dato
prodotto sarebbe invece prezioso. Sempre per una questione percettiva, ci sentiamo più facilmente in colpa per aver
proposto un prodotto che pensiamo non essere utile per un dato cliente piuttosto che per il fatto di non avergli
proposto qualcosa che sarebbe potuto essere importante per lui.
7 In genere, oggi, si confonde la consulenza con l’informare il cliente: “Sai, abbiamo ottimi tassi di interesse se ti serve
un prestito”; “ti può interessare una carta di credito? Puoi tenerla fino a fine anno senza costi”. Questo metodo ha un
basso potenziale di efficacia ed efficienza e non è utilizzabile per condurre una consulenza globale etica, in quanto
tende a portare la comunicazione a chiusura, già dopo la presentazione del primo servizio.
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netta differenza tra cercare di centrare dei numeri (di budget), e cercare di offrire valore alle
persone che si incontrano8.
Che fine farà il budget?
Una visione superficiale del modello di servizio globale etico porta spesso alla domanda: “Che cosa
faranno le persone senza un budget che li guidi?”. Ciò che retoricamente essa vuole suggerire è
che le persone, in assenza di una pressione sui numeri, si accascerebbero comodamente nelle loro
poltrone. Innanzitutto, chiariamo che non essere centrati sul budget non significa eliminarlo. Il
budget continua ad esistere, ovviamente. Ogni azienda, per vivere, ha la necessità di raggiungere
degli obiettivi, ma non sarà più il budget a determinare le attività da compiere: il piano di azioni
commerciali è guidato dalla necessità etica di servire al meglio tutta la clientela, mentre il budget
diviene strumento che utilizziamo a posteriori per verificare che l’azione di sviluppo stia
rispondendo anche alle esigenze della banca9.
In diverse sperimentazioni sul campo abbiamo messo a confronto gruppi di persone che
utilizzavano questo metodo, con altri che non lo utilizzavano. Nell’applicazione del nuovo modello
di sviluppo, il budget è raggiunto come naturale conseguenza dell’attività di consulenza. Inoltre,
abbiamo registrato degli incrementi di produttività mediamente del 300%10. I dati possono
sembrare incredibili, ma se mettiamo a confronto ciò che avviene nei due modelli, diventano
plausibili.
1) Passiamo, infatti, dal tentativo di vendere un singolo prodotto alla volta, all’apertura di un
cross selling ampio, che punti a soddisfare le esigenze del cliente in maniera globale, e
l’efficienza è molto maggiore. Il consulente, anziché cominciare l’incontro parlando del
prodotto in campagna, prospetta al cliente questo scenario: “Oggi, le propongo di
8 Questa offerta di valore, vedremo tra poco, è tutt’altro che semplice: non è banale navigare nel mondo delle
percezioni disparate di persone diverse, già bombardate da migliaia di stimoli pubblicitari, cercando di costruire una
relazione di fiducia all’interno della quale far emergere i bisogni che spesso nemmeno loro sanno di avere. Tutto
questo richiede metodo e un’attenzione costante alla qualità della comunicazione. Chi partecipa a questo metodo ha
la possibilità di lasciarsi alle spalle, almeno in parte, l’attività routinaria e godere di una maggiore soddisfazione
professionale.
9 Negli ultimi anni le banche di credito cooperativo, cercando di seguire la scia degli altri istituti di credito, hanno
cercato di importare il modello gestionale guidato dal budget, creando le distorsioni che abbiamo evidenziato. Nei
nuovi modelli organizzativi che prendiamo come riferimento per questo studio, le organizzazioni teal descritte da
Frederic Laloux, vi è il primato del proposito evolutivo: la dimensione etica viene prima e guida le decisioni
dell’azienda; il risultato economico ne è una conseguenza.
10 Il dato costituisce una media in quanto gli incrementi sono meno rilevanti nel caso di prodotti semplici e già venduti
in associazione ad altri prodotti (ad esempio, bancomat o cpi), mentre sono molto più alti nel caso di prodotti più
complessi o meno familiari (ad esempio, piani pensione o polizza ITP da malattia e infortunio).
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considerare le diverse opportunità che la banca può offrirle nei 4 ambiti di cui ci
occupiamo…i sistemi di pagamento, la gestione del risparmio, la protezione dei risparmi e il
credito. C’è un tema da cui preferisce cominciare?”. Lo disegna concretamente, penna alla
mano, su un foglio visibile al cliente.
2) Passiamo dallo sviluppo commerciale di un 30-40 % della clientela della filiale, i clienti più
conosciuti, alla cura dell’intero patrimonio relazionale.
3) Inoltre, la sua efficacia attiene anche alla sfera psicologica: lavorare con un orientamento
alla qualità alleggerisce dall’ansia del risultato e produce una maggiore soddisfazione
lavorativa. I numeri del budget costituiscono un limite superiore al quale le persone
puntano, e una volta raggiunto si rilassano. Il focus sulla qualità, invece, tende a
responsabilizzare le persone, motivandole ad alzare l’asticella della loro professionalità.
Per questi motivi pratici e per le affinità con il sistema valoriale, riteniamo che il nuovo modello
organizzativo sia l’evoluzione più naturale per le Banche di Credito Cooperativo. Realizzare questa
evoluzione richiede però il superamento di alcune abitudini radicate. E’ necessario comprendere
che, per realizzare questi principi, non si può tornare all’approccio relazionale passivo, in reazione
al quale era sorta la necessità di inseguire il modello commerciale aggressivo degli altri istituti.
L’approccio globale in numeri?
Partiamo da uno sguardo ai numeri. Consideriamo una filiale di 4 persone con 1.040 clienti.
Emerge che circa il 50% dei clienti possiede meno di 4 prodotti. Questo dato dovrebbe farci
riflettere sul potenziale di sviluppo del servizio alla clientela, e dunque di sviluppo commerciale.
Consideriamo anche che un cliente medio potrebbe ottenere un vantaggio dal possesso dei
seguenti servizi: internet banking, carta di debito, carta di credito, domiciliazione utenze, piano di
accumulo, fondo pensione, protezione incendio e scoppio e responsabilità civile vita privata,
polizza su invalidità totale permanente e forse anche contro la perdita di lavoro o l’inabilità totale
temporanea. Se ha un po’ di denaro da parte, anche da qualche prodotto d’investimento; forse
anche da una linea di credito o dal consolido di più finanziamenti in essere. Insomma, un numero
di prodotti inferiore a 4 indica che, probabilmente, molti dei bisogni sottostanti ai servizi citati non
sono mai stati esplorati. Plausibilmente, ognuno di quei clienti è stato contattato o intercettato
allo sportello in occasione di una campagna per una proposta mirata.
Ora, analizziamo il tempo che gli operatori possono dedicare alla relazione con i clienti. Partendo
dal tempo assorbito dall’operatività, ed escludendo anche l’attività dello sportello, troviamo, per
questa filiale, circa 2000 ore complessive annuali11. Dentro questo calcolo abbiamo tenuto in
11
Il calcolo è naturalmente una valutazione approssimata che considera questi fattori prudenziali: 1) poiché andremo
a considerare la possibilità di effettuare consulenze vere e proprie alla clientela, da questo calcolo abbiamo escluso il
tempo dedicato al Front Office. E’ vero che l’operatore di FO può svolgere attività commerciali semplici, ma non è
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considerazione il fatto che vi sono giorni di picco e giorni di valle, ferie, malattie, aggiornamenti
formativi. Un’ulteriore correzione che dobbiamo necessariamente inserire in questo calcolo è
dovuta al fatto che parte di questo tempo, anche assumendo un’organizzazione proattiva
dell’agenda, dovrà comunque essere dedicato alla gestione di quello che chiamiamo customer
care e che consideriamo diversamente dallo sviluppo consulenziale12. Anche se puntassimo a
ridurre al 50% del tempo relazionale l’attività di customer care, non avremmo più di 1000 ore
all’anno per gestire le consulenze.
Prendiamo in considerazione di voler utilizzare questo tempo per servire i clienti globalmente,
offrendo a ognuno un percorso completo nelle aree monetica-credito-finanza-assicurazioni e
fissando una serie di incontri successivi nei quali sviluppare adeguatamente i suoi bisogni.
Consideriamo perciò un tempo complessivo annuo di 5 ore per cliente. A prima vista potrebbe
sembrare un tempo eccessivo, ma solo perché lo si rapporta al tipo di vendita tradizionale,
centrata sul prodotto. In realtà nelle 5 ore sono compresi: un incontro dedicato alla gestione del
risparmio, uno successivo per completare la consulenza, firmare documenti e approfondire il tema
della previdenza; un incontro dedicato alla protezione, uno successivo di completamento in cui
rivedere eventualmente alcune polizze possedute dal cliente e completare le sottoscrizioni; un
incontro dedicato alla monetica ed eventualmente a esplorare le necessità di credito. Nelle 5 ore è
incluso anche il tempo da dedicare alle pratiche amministrative che scaturiscono dall’eventuale
vendita. L’ordine con cui sviluppare le diverse aree tematiche varia in funzione dell’interesse del
cliente, ma una consulenza globale, per dirsi tale, non può trascurare quegli approfondimenti13.
nelle condizioni di realizzare una consulenza ampia come noi la intendiamo. Perciò il suo tempo non è stato calcolato.
Delle altre persone in filiale, invece, abbiamo considerato che circa metà del loro tempo sia assorbito dall’operatività,
attività amministrative e di controllo. Perciò, se si tengono in considerazione le ore lavorate di un mese in cui sono
sempre presenti tutte le risorse, troviamo, sommando i tempi delle tre persone, che esse lavorano circa 480 ore.
Mettendo in preventivo le naturali dispersioni di tempo tra una transazione e l’altra, prudenzialmente consideriamo
anziché il 50% esatto, cioè 240 ore, un’ulteriore riduzione a 200 ore. Scegliamo di considerare 10 mensilità lavorative
piene nell’anno, in modo da togliere dal calcolo ferie, malattie, aggiornamenti formativi: otteniamo 2000 ore
complessive da dedicare allo sviluppo della clientela.
12 Consideriamo customer care, quell’attività che consiste nel servire il cliente che si presenta spontaneamente in
banca con una sua necessità specifica. E’ vero che, in parte, questa attività costituisce anche una base per lo sviluppo
commerciale, come nel caso di un cliente che entra per conoscere le condizioni di un mutuo, ma è anche vero che si
tratta di un’attività commerciale destrutturata e che, perciò, preferiamo distinguere da quella consulenziale. Nel
documento ‘più tempo per lo sviluppo commerciale’ affrontiamo nel dettaglio questo tema.
13 Si può pensare che non tutti i clienti siano nelle condizioni di recepire una consulenza in tutte le aree. Se
consideriamo l’esempio di una persona che ha un saldo medio liquido di 1000 euro, potremmo pensare che
l’intervento in area finanza possa esaurirsi nella presentazione di un piano di accumulo e che quindi sia necessario
meno tempo. Forse, però, proprio per la sua difficoltà nell’accantonare denaro, questo cliente potrebbe avere una
necessità latente fortissima di sostenersi nel momento del pensionamento. E poi, chi ci dice che questo stesso cliente
non abbia presso un altro istituto di credito somme importanti investibili? Lo abbiamo giudicato per il suo
abbigliamento o per come ci parla? Per questi motivi, per fare un buon lavoro di consulenza, consideriamo quel
tempo come necessario, almeno il primo anno.
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Una volta curati i bisogni del cliente in modo approfondito, nell’anno successivo sarà necessario
meno tempo per l’aggiornamento e il mantenimento della relazione. Con una semplice divisione
risulta che, nell’arco di un anno, la filiale nel suo complesso, ha la possibilità di seguire
correttamente solo 200 clienti, cioè un quinto del totale.
E’ necessario soffermarci su questo punto per comprenderne bene le implicazioni. Se si utilizzasse
il tempo disponibile per lo sviluppo globale dei clienti nei quattro ambiti di servizio, si potrebbe
servire solamente 200 clienti su 1.040. Agli altri potremmo dedicare tempo solamente sotto forma
di customer care, nel caso si presentassero spontaneamente in filiale. L’analisi porta a una presa
d’atto fondamentale: non è possibile attuare il Servizio Globale Etico semplicemente scaldandosi il
cuore e cercando di essere buoni. Per non ricadere nell’abituale meccanica della proposta
commerciale, le persone devono avere l’opportunità di sviluppare competenze comunicative
complesse. Allo stesso modo, per coltivare la relazione con tutta la clientela, si rende necessaria
un’organizzazione del tempo estremamente proattiva: poiché non possiamo fare una consulenza a
tutti, dobbiamo chiederci chi è strategico incontrare nei prossimi 12 mesi. Chi non possiamo non
incontrare?
La filiale presa in considerazione ha 56 clienti con oltre 100.000 euro di saldo sul conto, altri 127
clienti con un saldo liquido superiore a 50.000 euro, e la maggioranza di essi non è stata vista negli
ultimi 12 mesi. 394 clienti hanno un Indice di Possesso Prodotti inferiore a 3.
Ogni operatore dev’essere consapevole che, finché continuerà a fare sviluppo con i clienti
conosciuti e un numero di prodotti posseduti pari a 8, sta deliberatamente scegliendo di lasciare
fuori dalla porta quelli che invece hanno solo il conto, l’accredito dello stipendio e un rid verso
un’altra banca (quelli meno fidelizzati e a maggior rischio di chiusura conto).
L’attitudine reattiva, ossia il reagire passivamente a ciò che ci portano i clienti, impedisce
concretamente di realizzare ciò che ci siamo proposti. I clienti che non sono stati serviti
continueranno a non essere serviti. E l’effetto non è da imputare unicamente all’indole delle
persone: si tratta, piuttosto, di un effetto del sistema centrato sul risultato a breve. Il poco tempo
a disposizione, unito alla pressione delle scadenze di budget, porta inevitabilmente a cercare brevi
incontri con più clienti ben conosciuti, piuttosto che a curare la relazione con clienti
potenzialmente più difficili. Nell’approccio del servizio globale etico diventa necessaria
un’attitudine proattiva, insieme a competenze relazionali evolute e a un’ottima organizzazione del
tempo, il tutto sostenuto da una forte assunzione di responsabilità sistemica.
Come realizzare la trasformazione?
La forza motivazionale di questo modello risiede nel coinvolgimento delle persone verso un
obiettivo valoriale elevato, da cui derivano risultati di gran lunga superiori a quelli raggiungibili con
il metodo tradizionale, e una maggiore soddisfazione personale. Commetteremmo un errore,
però, se ritenessimo possibile portare, dall’oggi al domani, le persone verso questo nuovo sistema
di gestione del lavoro. Il cambiamento riguarda sia il piano individuale, sia quello sistemico
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culturale, e non vi è dubbio che si tratti di un processo al quale non tutti aderiranno con la stessa
prontezza. Alcuni non sentiranno affatto risuonare questa motivazione etica e, al contrario,
saranno sedotti dalla comodità del sistema gerarchico in cui altri decidono al posto loro.
Dobbiamo tenere a mente che l’evoluzione del modello organizzativo sarà un processo graduale: si
partirà da alcune unità operative ‘pilota’ per poi estenderlo alle altre; inoltre, il processo verrà
diviso in più fasi intermedie. Mettendo da parte le utopie e accettando l’idea di un’organizzazione
che sarà ibrida durante il processo, guardiamo più da vicino quali sono i fattori chiave per mettere
a terra questo modello di sviluppo.
La prima colonna portante è l’atteggiamento proattivo delle persone. Sappiamo che il modello
guidato dal budget coincide con un alto livello di reattività. Le persone reagiscono a degli stimoli
esterni: i clienti entrano in filiale e, indipendentemente dalle vere priorità, assorbono il tempo
degli addetti. Il CRM segnala che è arrivato il momento di chiamare un cliente per via di una
scadenza titoli e, anche in questo caso, si reagisce alla segnalazione. Perfino l’obiettivo di
campagna diventa un’urgenza alla quale rispondere: è un numero definito da qualcun altro, da
raggiungere entro un certo tempo. Per chiamare il cliente che non si vede in banca da mesi, con
elevata liquidità in conto e un basso indice di possesso prodotti, alla fine, non rimane più tempo. Il
modello del servizio globale etico, al contrario, richiede un alto livello di attivazione personale per
non permettere alle tante urgenze quotidiane di allontanarci dal proposito etico14. Proattività
significa saper dire ‘no’ in modo costruttivo, saper rinegoziare i compiti, mantenere al primo posto
le priorità definite dal modello del servizio globale etico: servire tutti i clienti. Sarebbe irrealistico
aspettarsi che le persone modifichino in autonomia la propria attitudine, solo perché orientati a
un valore di business etico.
La seconda colonna è la capacità di governare il processo commerciale. Per realizzare il servizio
globale etico è necessario pianificare le proprie attività in modo da incontrare i clienti che, di volta
in volta, sono prioritari e avere a disposizione un tempo adeguato per realizzare la consulenza.
Tutto questo avviene quando si governa il processo nel dettaglio. La nostra analisi ci ha portato a
confrontarci con questo problema nel momento in cui abbiamo disegnato il processo che va dalla
presa in carico dei clienti di una filiale, alla gestione dell’agenda dei consulenti15. Abbiamo
identificato 12 passaggi chiave e abbiamo evidenziato che non si può dare per scontato che un
collaboratore, a cui chiediamo di fissare un certo numero di appuntamenti, lo faccia nel modo più
opportuno. Come sceglierà i clienti da chiamare? Come gestirà le eventuali lacune di dati o le
sovrapposizioni presenti nella lista? Come gestirà i clienti che entrano in filiale senza
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Allo stato attuale succede che a posteriori, alla domanda: “Perché non hai gestito attivamente la tua agenda?”,
l’operatore risponda: “Perché le incombenze burocratiche mi hanno completamente assorbito e non mi era rimasto
tempo”. Un comportamento proattivo prevede che, in anticipo e non in risposta ad una domanda, la persona
manifesti la difficoltà: “Oggi dovrei fare le telefonate ai clienti per settimana prossima, se mi attribuisci questo
compito non mi rimarrà tempo per portarle a termine”.
15 Questo processo è oggetto del documento: ‘il processo del servizio globale etico’
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appuntamento, in modo da mantenere un’ottima relazione e, al contempo, da abituarli
all’organizzazione per appuntamenti? Come gestirà la richiesta dei colleghi che interrompono
l’appuntamento aumentando la dispersione di tempo? Quando si dedicherà alle telefonate e come
le condurrà? Come gestirà il tempo della consulenza e la sua articolazione in più appuntamenti
successivi? Quale strumento userà come agenda e come lo utilizzerà per gestire la grande quantità
d’informazioni emergente? Sbagliare anche soltanto uno di questi passaggi riduce l’efficacia e
l’efficienza dell’azione e, di conseguenza, anche la motivazione dell’operatore.
La terza colonna è rappresentata dalle competenze. Partiamo da un’immagine metaforica e
paragoniamo il processo a un tubo. Sappiamo che il flusso di un liquido dipende dalla forma di ogni
parte del condotto: ad esempio, un collo di bottiglia posto al termine del tubo tende a rallentare il
flusso in ogni sua parte. Un qualsiasi punto debole del processo tende a inficiare il processo nel
suo insieme. Il modo in cui si effettua la telefonata a una lista di clienti con bassa fidelizzazione e
senza una relazione pregressa, dovrà essere più sofisticato di una chiamata ad un cliente ben
conosciuto. Se mancasse questa competenza, ci troveremmo di fronte a un elevato numero
d’insuccessi. Lo stesso discorso sarebbe ancora più pertinente se parlassimo di consulenza, la
quale presenta un livello di complessità ancora maggiore rispetto a una telefonata. Pensiamo a un
cliente che, fino ad oggi, abbia deciso di non utilizzarci come banca per gestire i risparmi; a un
cliente che abbia sempre ritenuto inutile la carta di credito o che consideri le assicurazioni delle
fregature. Se provassimo ad approcciarlo chiedendogli: “Le può interessare un’assicurazione che
protegga lei e la sua famiglia?”, otterremmo con grande probabilità una conferma della sua idea,
ossia un sonoro “No”. Solo una conduzione scientifica e accurata della consulenza può portare a
un risultato positivo. In mancanza di essa, molti degli appuntamenti considerati strategici
terminerebbero con un nulla di fatto. La sensazione di aver sbagliato target sarebbe forte, così
come il livello di demotivazione; ben presto le persone si convincerebbero che la gestione per
appuntamenti non porta a nulla di buono e che sia più conveniente tornare a bersagliare i soliti
clienti noti. Non vi può essere un vero governo del processo se non è supportato da competenze
adeguate.
La quarta colonna è costituita dalla dimensione sistemica all’interno della quale il processo
commerciale è calato: ci riferiamo sia agli aspetti strettamente organizzativi, che a quelli
riguardanti l’allineamento culturale e manageriale alla nuova prospettiva. Non possiamo negare
che parte del problema legato all’approccio centrato sul budget sia esacerbato da aspetti
organizzativi. L’esempio in cui abbiamo riportato i numeri di una filiale da 4 persone serviva
proprio a dare concretezza a questa riflessione. La grande quantità di attività burocratiche che
assorbe tempo è un esempio di come aspetti, che contornano il processo commerciale, influiscano
su di esso, limitandolo. Ma anche l’apertura continua degli sportelli può essere un esempio di un
limite ambientale alla possibilità che chi opera al front office possa fare consulenza: gli possiamo
anche chiedere di prendere appuntamento con i clienti, ma l’azione non avrebbe una giusta
collocazione logistica; lo stesso ragionamento varrebbe se in filiale mancasse un ufficio in cui
accogliere il cliente con riservatezza. Alcuni di questi aspetti organizzativi possono essere risolti
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all’interno del perimetro della filiale, altri necessariamente devono riguardare un lavoro più ampio
che coinvolga la collaborazione degli uffici interni, la redistribuzione delle mansioni e la
sistematizzazione o informatizzazione dei processi. L’altro aspetto sistemico, più intangibile ma
non meno fondamentale, è l’allineamento manageriale verso questa visione. Se dai Capo area,
dalla Direzione commerciale o dalla Direzione generale giungessero messaggi incongruenti, chi
lavora in filiale si sentirebbe smarrito e tenderebbe a ricorrere alle strategie di sempre. Una
‘campagna prodotto’, ad esempio, anche se costituita in funzione di una necessità specifica e
legittima, distoglierebbe i consulenti dal servizio globale. Come possiamo aspettarci che un
consulente chiami dei clienti che non vengono in banca da oltre un anno, con oltre 100 mila euro
sul conto, se sanno che entro fine mese saranno misurati sulla quantità di PAC venduti? E’
evidente che preferiranno dedicare il tempo disponibile per contattare quei 20 clienti conosciuti,
che probabilmente lo sottoscriveranno.
Sia ben chiaro, non stiamo sostenendo che la banca non possa avere delle necessità di budget, ma
il modo in cui esse si traducono in pressioni a breve termine rischia di essere incongruente con
l’approccio del servizio etico. In questo caso, la necessità per cui s’indice una campagna dovrebbe
essere ricondotta all’interno del modello di consulenza globale etica, per poter centrare lo stesso
obiettivo senza snaturare il nuovo approccio. Allo stesso modo, avremo grandi resistenze se
chiediamo alle persone di organizzarsi per incontrare i clienti su appuntamento e,
contemporaneamente, gli chiedessimo di dare immediata attenzione alla richiesta di un cliente
che si presenta senza appuntamento16. E’ necessario che chi governa i macro processi condivida il
dettaglio di ciò che viene agito in filiale, e costruisca un dialogo generativo continuo per trovare
soluzioni alle difficoltà che emergeranno.
La quinta colonna è quella della responsabilità totale. Proattività e governo del processo sono
obiettivi che si possono raggiungere se alla base vi è la disponibilità, da parte delle persone, a
impegnarsi nel percorso. In questo modello, la proattività si sposa molto bene, anzi si nutre, di un
forte senso di autonomia nel realizzare il proposito del servizio globale etico. Ma è necessario che
all’autonomia corrisponda anche la disponibilità ad apprendere competenze e comportamenti
organizzativi nuovi e più funzionali, e ad attribuirsi la responsabilità di far funzionare il processo.
Non vi è alcuna trasformazione lineare e prevedibile per un’organizzazione complessa: sappiamo
che non tutto andrà liscio dall’inizio; sappiamo che nasceranno difficoltà tecniche, di relazione tra
colleghi e con alcuni clienti. Non che in passato non vi siano state difficoltà, ma siamo consapevoli
che, in un processo di cambiamento, ogni cosa percepita come un nuovo ostacolo possa offrire un
valido pretesto per guardare indietro a ciò che è più familiare. Abbiamo visto che finché la
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Ad esempio, ci sarà un momento in cui, per poter avere appuntamenti, dovrò fare le telefonate. Se non ho la
possibilità di dedicarmi a questa attività, non potrò avere gli appuntamenti. Dunque, necessariamente il cliente che
entra in filiale e chiede di me, in quel momento, dovrà essere accolto diversamente. Questo tema è di strategica
importanza, in quanto una disponibilità ‘tutto e subito’ delle richieste dei clienti, tende a impossibilitare
l’organizzazione proattiva del tempo; perciò questo passaggio rientra nel nostro documento dedicato al processo
commerciale.
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responsabilità è suddivisa, ci si trova frequentemente nella situazione in cui non si sa bene chi
debba agire per risolvere un problema e, in genere, si finisce per attribuire la colpa a fattori esterni
a sé. Immaginiamo una partita di beach volley: la palla supera la rete e i due giocatori della
squadra che riceve si guardano negli occhi, sperando che l’altro si muova per raccoglierla; in
questo modo sicuramente la palla cadrà a terra. La palla sta in gioco se entrambi sono pronti a
scattare; se, quando la ricezione è pessima, l’alzatore si assume la responsabilità al 100% di alzare
bene la palla; se, quando l’alzata non è perfetta, lo schiacciatore dà il 100% per fare punto. Come
si può estrapolare dall’esempio del beach volley, la responsabilità al 100% è un atteggiamento
funzionale a far sì che ognuno, in ogni momento, abbia l’obiettivo di far funzionare bene il
processo (nell’esempio ricezione-alzata-attacco). Alla fine della partita si potrà anche riconoscere
che vi sia stato un problema nella ricezione o nell’alzata, ma durante la partita la palla è rimasta in
gioco nel migliore dei modi.
Riassumendo, questo modello richiede che le persone si muovano con autonomia e iniziativa
personale per la sua realizzazione, ma la libertà funziona bene quando vi sono delle condizioni che
possano sostenerla: senza un sistema allineato, la chiarezza del processo e le competenze adatte a
realizzarlo, la libertà non può che portare ai risultati di sempre. Questi cinque pilastri
interdipendenti si rafforzano e si rendono possibili l’un l’altro.
Mentre cerchiamo di costruire e rafforzare i cinque pilastri, non aspettiamoci una disponibilità
immediata da parte di tutti i collaboratori. Se è vero che questo modello di sviluppo corrisponde
meglio ai principi etici del Credito Cooperativo, è anche vero che, nella quotidianità, le persone
sono abituate da tempo a rispondere a domande molto operative: “Hai contattato i clienti per
proporgli il telepass? Hai raggiunto il budget mensile del credito al consumo?”. Per anni il termine
condivisione ha significato ricevere dalla Direzione informazioni su ciò che occorreva fare.
Possiamo aspettarci realisticamente che una parte del personale guarderà questa nuova proposta
di valore con occhi disincantati, poco disposta a credervi. Alcuni penseranno che si tratti di una
manovra retorica per farli vendere di più. Altri, per tratti personali e storia professionale,
troveranno più comodo rimanere fedeli alle abitudini e alla posizione di sempre17. La
trasformazione non può essere realizzata repentinamente: si tratta di un obiettivo da raggiungere
per gradi, con una progressività che riguarda sia il fatto che le componenti del modello potranno
essere attivate un poco alla volta, sia il fatto che i collaboratori potranno essere coinvolti in fasi
successive, in base alla loro disponibilità di adesione e alle competenze possedute18. L’obiettivo di
questo articolo era di illustrare il nuovo modello a tendere e spiegarne le motivazioni. Nei
documenti che seguiranno approfondiremo nel dettaglio:
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Come afferma Laloux nel suo ‘Reinventare le organizzazioni’, la libertà funziona bene se vi sono competenze per
sostenerla. Aggiunge, inoltre: “Quando le persone investono emotivamente poco nell’organizzazione e nel suo scopo,
quando i dipendenti considerano il lavoro come un peso da ridurre al minimo, allora non ci si dovrebbe sorprendere
che, dando loro la libertà, la prenderanno, ma non si assumeranno le loro responsabilità”.
18 Rimandiamo al documento: ‘coinvolgere i collaboratori verso il modello del Servizio Globale Etico’
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o il disegno del processo del Servizio Globale Etico
o il modello di coinvolgimento del personale verso il Servizio Globale Etico.
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