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AGORÀIDEE AGORÀIDEE 5 DOMENICA9 GENNAIO 2011

DOMENICA9 GENNAIO 20114

er nessun poeta del secondo Novecento l’ascolto fucosì alto, la tensione così continua, lo scavo cosìfebbrile, disperato e insieme certo che la ricerca èessa stessa il senso, il valore, la sostanza di ogni

opera dell’uomo; e la ricerca sul senso della poesia non è unpuro problema estetico ma morale. E forse il solo Rebora glisi affianca anche nel cinquantennio precedente. Dinnanzi aloro o a pochi altri si avverte le lievità, la distrazione, lasuperfluità di tante altre voci. Rileggiamo le ultime righedell’Introduzione di Mario Luzi. Storia di una poesia diSergio Pautasso: «Luzi dichiara il suo rifiuto di imboccarequella via che, causa l’estenuazione a cui è giunta nelNovecento la parola, pare quasi obbligata al poetacontemporaneo e che conduce al "limbo"». Il leitmotiv ditutto è la Parola. La Parola che domina, determina azioni evicende realissime e trascendenti. La Parola che ispira ilracconto e la dottrina degli autori della Sacra Scrittura. LaParola che si pone di fronte a quelle del Poeta, le suscita ele sgomenta. L’estetica e il pensiero di Luzi ruotanocontinuamente intorno a questo termine che racchiude eillumina ogni dato della storia e della vita. Non v’è altro. Silegge in Naturalezza del poeta (vedi Autoritratto, p. 265):«Infine crolla su / se medesimo il discorso, / si sbriciolatutto / in un miscuglio di suoni, in un brusio. Da cui /pazientemente / emerge detto / il non dicibile / tuo nome.Poi il silenzio, / quel silenzio si dice è la tua voce». È laParola l’unica possibilità, sia essa poetica o religiosa, diconoscenza e di rappresentazione. In Poetica e romanzo, che pure sono pagine non ultime(1973), Luzi si diffondeva in un intero capitolo sul nessotra poesia e religione, così stretto ai suoi occhi da riuscire

«inestricabile». La poesia è alle sue origini manifestazionedel pensiero religioso, e la religiosità è intrinseca allapoesia almeno in quella «fondamentale interrogazione»sull’uomo e sul mondo che costituisce la sua religiositàpeculiare; essa condivide e presta il suo linguaggiometaforico, visionario, intuitivo all’esaltazione e allaprofezia proprie dei libri sacri. È essa, la poesia, che«distrugge la lettera per ripristinare ed espandere lospirito» (perciò questi temi torneranno nel ’90 e nel 2002nella prefazione «Sul discorso paolino» alle Lettere di sanPaolo); «il senso meraviglioso e sofferente della vita è forseil fondamento comune tra queste due esperienze spirituali.[...] L’esperienza religiosa include l’idea di progressioneirreversibile, l’esperienza poetica non ignora le fatiche diSisifo del ricominciamento da zero. In altre parolel’esperienza religiosa dà a chi la vive uno stato, l’esperienzapoetica mette colui che la vive in una virtualità ches’illumina solo dalle parole trovate, le quali non servono piùa chi le ha scritte e non servono per un’altra volta. [...]Eppure questa parola friabile [della poesia] può portare lucealla parola fissa della religione» (lì a p. 39). Solo la Parola,quella divina, chiarisce il mondo e il destino dell’uomo, ilflusso della vita e della storia e i novissimi. E assieme (Colloquio con Mario Specchio, p. 236): «Laparola trovata, trovata nel suo spessore, nella suaautenticità, è giustificazione primaria, la parola che nominama anche fa esistere la cosa, in fondo non so più se èreligione o se è poesia». Tale poetica non poteva nonportare a una lunga, profonda, suggestiva, persino pitica sesi vuol usare un termine anche luziano, riflessione sulPrologo del Vangelo di Giovanni. Ancora Mario Specchio nel

Colloquioosservava (p. 234)a proposito di Peril battesimo deinostri frammentiche la raccolta siapre con l’esergodel prologo diGiovanni e che diquel libro luzianoil motivo centraleè il nome, «ilmistero dellaparola, che èanche misterodella creazione esoprattuttomisterodell’incarnazione».Ma ancora di più,dice lì lo stessoLuzi (p. 190): «IlLogos che si facarne [...] rinnovail linguaggio,testimoniandolo

con sangue, in un certo senso. Questa è la sublimità diquesto Logos, insomma, che si è fatto carne, mi pare». Tutti gli scritti di Luzi e questi soprattutto escono di lì e lìintorno ruotano (le tangibili persistenti tracce ermetichetestimoniano gli spasimi delle gestazioni, le difficoltà acapire e a esprimere, o la necessità di stendere attornol’alone sacro e misterico, l’inattingibilità del mistero). Leloro parole, la loro parola partecipa di questa pregnanza, dilì trae una tensione agonistica (il termine è suo:«L’agonismo, la lama dell’espressione e il timbro, dellaparola» di san Paolo), una sofferenza a chiarirsi, aesplicitarsi, a uscire dalla nostra «angustia mentale» emiseria morale, riconoscendo la nostra «insignificanza», maproprio con ciò ricuperando la nostra «dignità» (così nellaprefazione a Giobbe). Dovunque in queste pagine serpeggiaancora, trasposto nel discorso poetico, il testo paolino dellacreazione che «geme» nelle doglie del parto, e noi stessiche possediamo la primizia dello Spirito, anche noigemiamo nell’attesa dell’adozione e nella speranza di ciòche non si vede, con quel che segue in quel celebrecapitolo della Lettera ai Romani.

P

Non c’è niente di durevole sulla scena umana: il ritualismo simbolico della scena celeste è una contrapposizione. Allerta,

ammonimento, memoria confermata, messa a fuoco dellalezione di un passato recente? Questo dibattono i commentatori

La prospettiva temporaleapplicata all’Apocalisse non regge, slitta, sfugge da ogniparte. Non è omogenea

con il singolare tenore di quelprofetare la misura coerente del tempo umano - e altro nonne conosciamo. Tuttavia se c’è

un accentrarsi e precipitare delleepoche nella vita di Cristo comein un baricentro cosmico, a mepare si raggiunga un incremento

di pathos se la nostra mente si sente presa come in un durofermaglio tra la prima e la definitiva parusìa del Cristo

Una riflessione del grandepoeta fiorentino morto sei anni fa sull’ultimo e più misterioso libro del Vangelo. Metafore e paradossi di un testo che ha segnato in manieraindelebile non solo la teologia ma tutta la cultura occidentale:letteratura e poesia in primo luogo

IL POETA-SACERDOTE CLEMENTE REBORA

di Carlo Carena

S’intitola «Mario Luzi sula Parola di Dio» (a curadi Paolo Andrea Mettel,con introduzione dimonsignor Bruno Forte,edito da Metteliana perconto dell’AssociazioneMendrisio Mario LuziPoesia del mondo;www.marioluzimendrisio.com) il volume che quipresentiamo e cheraccoglie le notesaggistiche religiose cheLuzi scrisse in varieoccasioni. Parlare diDio? È un interrogativoche non cessa disussistere, con la suasfida che indubbiamentesottende. Tanto più cheCristo è già Signoredella Parola. È notol’imbarazzo ed anche losgomento di Mario Luzi(1914-2005), quandoseppe dellacommissione da parte diGiovanni Paolo II per unatto creativo sulla «ViaCrucis» del 1999: «Nonso se sono all’altezza»,fu la sua prima reazione.Poi vinse l’obbedienza

alla poesia non menoche all’alto invito eabbiamo avuto il felicerisultato che sappiamo eche nel libro siripropone. Tral’assolutezza della“Parola di Dio” e laconsapevoleapprossimazione di ognialtro detto, sta un po’ lachiave di questi scrittiluziani: ciò è evidentenell’invenzione poeticadelle fragili paroleumane del «Christuspatiens», ma anchenelle note saggisticheche Luzi in vario tempoha scritto sul «Libro diGiobbe», il «Vangelo diSan Giovanni», le«Lettere di San Paolo»,l’«Apocalisse» (checompare nel libro quicitato e uscì in edizionelimitata nel 2002 per laStamperia Valdonega).In queste paginepubblichiamo ampistralci della riflessionedi Luzi sull’Apocalisse edella postfazione di Carlo Carena.

Luzi come Rebora:ha un fondo religioso il mistero della parola

L’ANALISI

di Mario Luzi

di attesa imminente nell’umanità sonol’epicentro dell’aspirazione. Non c’è niente didurevole sulla scena umana: e il ritualismosimbolico della scena celeste è unacontrapposizione. Allerta, ammonimento,memoria confermata, messa a fuoco dellalezione di un passato recente? Il Vangelointegrato in una teologia stabilita dallaprescienza? Questo si dibatte tra icommentatori dell’Apocalisse. Ma è sempreeccezionale intimazione e imperioso richiamoa una verità che è stata e sarà. Cataclismadel tempo. Ordine dell’eterna, non umana etrionfale stabilità del divino. Resta per me ilmistero della indegnità e colpevolezzapregiudiziale dell’uomo. L’uomo è oggetto dirampogna e di obbrobrio preliminare. Per luiè sempre pronta e imprevedibile lapunizione. Punizione per la sua scelleratezzao punizione per essere?

onflagrazioni immense sono presunte,assestamenti cosmici nei qualiconfliggono male e bene. L’azione diSatana è fortissima, il Tuo regno devecontinuamente venire (advenire). Solose riusciamo a tenere stretto questonesso tra il pericolo imminente e leofferte di scampo, il testodell’Apocalisse può avere presa su di

Cnoi. Esso non è commemorativo, non èincitativo, ma trasfigura una situazionepermanente della Chiesa, o meglio dei devotia Cristo, dell’uomo mortale. Perché l’umanità deve subire tante prove,perché le cornucopie degli angeli versanotutti quei guai sulla specie degli uomini?Qual è il loro debito, che cosa devonoespiare? Questo, torno a ripetere, è il grumooscuro che è difficile sciogliere. Intanto sullamiseria e le pene degli uomini si snoda la

ritualità trionfalistica della Chiesa celeste.Essa, Gerusalemme sovrannaturale, scenderàsulla terra; fino ad allora la giustizia non cisarà. Siamo dunque associati al dramma delmondo? Siamo chiamati ad esserne parte? Odobbiamo per meraviglia assistere a unadefinitiva vittoria? Certo il superiore eventocon la sua rivelazione si sviluppa per l’uomoin forme e prodigi che come tali sipresentano. L’uomo è dunque un attante, siapure non proto ma deutero-agonista. A chetitolo di dignità, abiezione, a che grado diresponsabilità e mistero? Ben poco di"apocalittico" rimane nella nostra correnteaccezione di apocalisse, che intendiamocomunemente come catastrofe, abnormitàmostruosa, rottura incommensurabiledell’ordine e dello schema. Tuttavia un sensoprofondo rimane a legittimare questacorrelazione. I termini di una tragediagenerale dell’uomo possono essere variati,ma permangono gli effetti di unaincalcolabile causalità. L’apocalisse cheabbiamo vissuto nel secolo scorso, nelle suevarie fasi, non ci dice gran che in quanto asvelamento ed è anche troppo banale comeprefigurazione del futuro. Abbiamo vistosoprattutto la distruzione dell’uomo comecreatura; la sua cancellazione come entitàdistinta, la sua nullificazione come individuoin sé compiutbo e dunque la sua riduzione a

numero, la sua svalutazione totale comeessere vivente. Abbiamo visto questo primanel processo aggregativo del capitalismotrionfante, sotto l’aspetto di massificazione;l’abbiamo visto sotto l’aspetto di genocidionazista, nell’universo concentrazionariosovietico; nell’immane scempio perpetratodai Khmer rossi. Ogni volta la grevitàassoluta e irreparabile dell’accadutoschiacciava il nostro pensiero e non lasciavamargine per alcun simbolo e per la suainterpretazione. L’uomo nell’occhio delciclone come noi siamo clamorosamente statiè forse il meno idoneo a ricevere il confortoe l’ammonimento della profezia? Dellaprofezia che lo riguarda?

i riflesso nasce tuttavia il sospettoche la profezia in realtà non loriguardi e che la grande ostensionesia nel cielo per i celesti e sia altermine di una contesa capitale incui il Male sia stato vinto e a Satanarimanga un forte ma angusto potere.L’umanità è vista del resto in grandiammassamenti ed è oggetto di

recriminazione in sé. A questo punto è beneconcederci un’ampia e indefinita premessasulla nostra natura prima di avanzare nelnostro tema: una di quelle premessephilosophiques di cui erano maestri ipensatori illuministi. Ognuno nel propriocampo riprendeva alla base il principio sulleorigini del linguaggio, sull’ineguaglianza tragli uomini, eccetera. In questo caso suicaratteri della religiosità umana sarebbe lamateria della riflessione di fondo.L’eccezionalità dell’Apocalisse infatti èl’effetto dell’enfasi di prodigi e diaspettative impliciti nella religione cometale. Chi riceve senza particolare reattivitàl’Apocalisse, sia essa o no il testo giovanneoche la tradizione ha lasciato alla sua difficileidentità, si investe dell’essenza del sacrocome di un primordio necessario. Ci saràcerto da tener conto di una predilezioneprofetica della mente israelitica, di un filonedella poiesis particolarmente caro allasensibilità e alla fantasia degli Ebrei,tuttavia si entra nel religioso, forse nelreligioso al quadrato, quando sprofondiamonelle pagine dell’uomo di Patmos. Dunque laprima convinzione soggiacente a ogni altrache nel testo si esprime è la certezza di unordine soprannaturale. La seconda è chel’ordine oltre di noi o meglio l’ordinamentoceleste non si limita ad affermareostensivamente e simbolicamente la suaperfezione ma coinvolge l’umanità.Purtroppo è un grande debito che l’umanitàdeve pagare per essere degna. La terza èpiuttosto un sentimento: il sentimentodell’antagonismo. Per quanto l’opera siaconcepita come trionfo finale dell’assolutagiustizia nel grande conflitto, la presenza delMale, la potenza avversa hanno molta forzadi contrapposizione. Il regno di Dio deveavvenire, la figurazione fantastica delmonstrum è un’altra richiesta dell’umano alreligioso nella specie della minaccia e dellaconsolazione, di ciò che incombe, di ciò cheè con noi dalla nostra parte. A parte iriferimenti alle difficili sanguinose vicendedella Chiesa nascente che molti esegetiritrovano, l’Apocalisse è da considerarsi unexemplum ora rituale ora pitico davveroispirato al sacro ed al santo. Il paradossoche colpisce la nostra mens (la nostramentalità occidentale) è che lo "svelamento"inerente alla nozione stessa di apocalisse sisviluppi in una serie di visioni da decifrare.Eppure questa fusione di manifestato e dioccultato entra nella alta poesia dell’Europaa partire da Dante, che non la riesuma,piuttosto ne prolunga la tradizione pocodivulgata ma costante nella cultura religiosa.

D

PARTICOLARE DEL «GIUDIZIO UNIVERSALE» DI MICHELANGELO: AL CENTRO IL CRISTO BENEDICENTE

Tra poesia e profezia

Così ebbe a dire il poetafiorentino: «La parola trovata,trovata nel suo spessore, nella sua autenticità, è giustificazione primaria, la parola che nomina ma anche fa esistere la cosa,in fondo non so più se èreligione o se è poesia. Il Logos che si fa carnerinnova il linguaggio,testimoniandolo con sangue,in un certo senso. Questa è la sublimità di questo Logos,insomma, che si è fatto carne»

Dal cinema alla letteratura, l’immaginazione è piena di visioni. In attesa del 2012

«Iniziato è il giudizio universale / da un lato stannoi capri, / dall’altro presunti agnelli. / I presunti adisdegnar gli opposti / (per non aver avuto asufficienza / furbizia e buona sorte) e, promotoridell’apocalisse, / reputarsi promossi a pieni voti / suscala cosmica!» così Alda Merini (nella foto a lato).

Ma il temadell’Apocalisse (o di unaapocalisse) è benpresente nella culturaletteraria moderna. DaUngaretti a Celan, daEliot (citato inApocalypse Now, il filmche era nelle sale diNew York l’11settembre) da Cardarellia De Libero, da Clémenta Sinisgalli, da Hrabal aBuzzati, da Paasilinna a

Rondoni, senza citare i dossier di riviste e antologieo studi dedicati al tema. Scrive Giuseppe Bartolomeo:«Verranno a prenderci su stelle cadenti / in un giornofuori calendario / scritto con lettere decifrabili / perocchi aperti alla speranza». E chi non ha sentitoparlare della "profezia" dei Maya sul 2012 che ha giàdato la stura a libri appunto apocalittici? Come nonricordare Il giorno del giudizio di Salvatore Satta,Petrolio di Pier Paolo Pasolini, Aracoeli di ElsaMorante, Dissipatio H.G. di Morselli, Il mondo senzanessuno di Carlo Cassola, Il pianeta irritabile di PaoloVolponi? Venendo più vicino a noi, si può ricordare ilracconto L’ultimo capodanno dell’umanità di NiccolòAmmaniti. O, in America, La strada di CormacMcCarthy, le catastrofi di James G. Ballard(Condominium). Il cinema (Permanent Vacation diJarmusch, Matrix) e la televisione, in 24, oltre che lafantascienza hanno spesso anticipato i temi della"catastrofe" e del "deserto" reali. Per De Lillo,Wallace, Gosh, Franzen, le Torri che crollavano eranoin qualche modo "rovine del futuro" a cui erano statipreparati "esteticamente" da Hollywood.

UN ITINERARIO

IL LIBRO E L’AUTORE

Il paradosso che colpisce la nostra mens (la nostramentalità occidentale) è che lo "svelamento" inerentealla nozione stessa di apocalisse si sviluppi in una serie di visionida decifrare. Eppure questafusione di manifestato e di occultato entra nell’altapoesia dell’Europa a partire da Dante, che non la riesuma, piuttosto ne prolunga la tradizione poco divulgata ma costante nella cultura religiosa

Perché l’umanità deve subiretante prove, perché le cornucopiedegli angeli versano tutti quei guai sulla specie degli uomini? Qual è il lorodebito, che cosa devono espiare?Questo, torno a ripetere,è il grumo oscuro che è difficile sciogliere. Intanto sulla miseria e le penedegli uomini si snoda la ritualità trionfalistica della Chiesa celeste

MARIO LUZI RITRATTO A PALAZZO MADAMA NEL 2004 IN OCCASIONE DELLA SUA PRIMA SEDUTA IN AULA, DA SENATORE A VITA

ell’Apocalisse siamo continuamenteposti di fronte a figurazioni. Tuttoaccade figurativamente al ritmodelle dinamiche maestose sequenzefigurali. Lo spettatore assiste mutoalle mutazioni mirifiche, intentoprimamente a coglierne il senso,giacché è stabilito a priori chesiano munite di un potere di

ammonimento e di svelamento. Alla nostracultura è innegabile però che quel linguaggiofilmato parli anche esteticamente, e questaparola va intesa in senso molto comprensivo.A questo aspetto sensibile del testocontribuiscono sia i numeri che le forme e icolori delle figurazioni. Mi rendo conto che èimpossibile per noi riportarci al livello dellasuscettibilità originaria, voglio dire deltempo e della cultura da cui il testoproviene. I numeri o i colori? Chi prevalenella nostra emozione? La numerologia non ècosì intrinseca al nostro pensiero come lo eranel mondo veterotestamentario. Le forme e icolori hanno nella cultura a cuiapparteniamo preso il sopravvento eagiscono anche sui più distratti di noi. Nonha tempo perché li comprende tutti, nondistingue fra passato e presente e vale per ilfuturo imminente e lontano: questo si dicenella letteratura di chiosa e di commento.Anche questa mens con le sue conseguentimisure è da ricuperare o conquistare da noidell’Occidente, figli di una civiltà sostanziatadi tempo e di storia. Credo che sia il primopasso, anzi un vero balzo, il più difficile dacompiere per portarsi al livello. Chi scrivedeve cercare di farlo e di farlo fare. Ecco unprimo effetto apocalittico generatodall’Apocalisse. La prospettiva temporale applicataall’Apocalisse non regge, slitta, sfugge daogni parte. Non è omogenea con il singolaretenore di quel profetare la misura coerentedel tempo umano - e altro non neconosciamo. Tuttavia se c’è un accentrarsi eprecipitare delle epoche nella vita di Cristocome in un baricentro cosmico, a me pare siraggiunga un incremento di pathos se lanostra mente si sente presa come in un durofermaglio tra la prima e la definitiva parusìadel Cristo. Tutto è detto e fatto in attesa di questa, inquesto intervallo. Tutto quell’accumulo disimboli che si organizza in allegorie più omeno trasparenti rischia di sedurre in ungioco superiore la mente se essa perde divista il rapporto con la situazione realestorica e metastorica a cui il testo siriferisce. È proprio quello che accade a noi.Tuttavia c’è un clima di grande inquietudine,di timore, di attesa spaventata del giudizioche si comunica al lettore moderno: nonchéuna minaccia catastrofica che incombe, unordine punitivo negli avvenimenti. Piùdifficile è ritenere questo una necessariaaffermazione del Dio vittorioso, delpantocrator bizantino. Un Cristo vindice cheritroviamo nella tradizione pre-giottesca epre-cavalliniana. Cristo è offeso, è al di làdella misericordia. È una giustizia assolutache deve prevalere. Cristo, generosaelargizione del Padre all’umanità, ha avutotra gli uomini un’accoglienza che esigecastigo, punizione. Questo è comprensibilealla logica di fondo del giudaismo divenutocristiano, ma il Cristianesimo rompe quellalogica. Che cosa si vuole disvelato e nellostesso tempo occultato all’uomo mediantequesta profezia? L’uomo, abbiamo detto, èchiamato in causa come spettatore di untrionfo e di un potere sovrumano. Eppurequesta primaria ostensione di gloria e diforza lo concerne direttamente come oggettodella sua autorità e del suo giudizio.L’umanità è l’elemento vile su cui sirovesciano le calamità e i castighi e lecatastrofi volute dall’ordine e dalla suaparata. Si può presumere che il finedell’Apocalisse sia l’affermazione di unagrande disparità tra il divino e l’umano. E, sì,può essere vero che il simbolismo enfaticonelle sue alternanze e nelle sue sorpresecontinue porti a concludere ciò che asseriscein conclusione la Bibbia della scuola diGerusalemme, cioè che l’Apocalisse è lagrande epopea «de l’espérance chrétienne, lechant de triomphe de l’Église persécutée». Sipuò anche arguire che sia in corso ungrandioso paragone di cui viene detto ecelebrato l’esito finale di trionfo. Satana èpresente ma solo come antagonistacorruttore di anime. Confesso che il minore epiù convenzionale aspetto dell’opera mi pareil preannuncio degli eventi futuri, un aspettoche tuttavia, data la tradizione, non potevamancare. Probabilmente lo stato perenne diinstabilità e di inquietudine, di precarietà e

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