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R CULT ■ 48

DOMENICA 15 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Nessuna via della guerra, negli Usa, èsembrata tanto tortuosa quanto quellaseguita da Barack Obama: seppure

lastricata di buone intenzioni. La via dellaguerra è il titolo del libro di Marvin Kalb che nona caso il Washington Post definisce “puntuale”: enon solo per la tempistica. Kalb è un piccolomito del giornalismo Usa, uno degli ultimi“Murrow’s Boys”, i ragazzi cresciuti alla corte tvdi Edward Murrow, il conduttore famoso graziea Good Night, and Good Luck di George Clooney.L’ultimo presidente a chiedere una

dichiarazione di guerra al Congresso, ricapitolaadesso Kalb, fu Franklyn Delano Roosevelt, nellaSeconda Guerra Mondiale. Da allora, ogniCommander in Chief ha sempre fatto ricorso aipoteri presidenziali. Harry Truman non dichiaròmai la guerra di Corea, che doveva essere“un’azione di polizia” e durò tre anni e fece54mila morti. Neppure John Kennedy chiese ilpermesso per affondare l’America nel Vietnam.Sì, George W. Bush ottenne l’“autorizzazione”all’uso della forza in Afghanistan e (con provetarocche) in Iraq: ma sempre senza dichiarare

alcunché. Così, per questo presidente Nobeldella Pace, costretto a spingersi in Siria per nonsmentire la linea rossa da lui stesso tracciatacontro i gas, la scelta di passare dal Congresso,sulla carta contrario, oggi appare ancora piùcontradditoria. Fino a far sorgere quel sospetto:«Che sia un cinico espediente per sfuggire allasua stessa promessa di agire?». No, nessuna viadella guerra è sembrata tanto tortuosa quantoquella di Obama: soprattutto perché lastricata dibuone intenzioni.

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Le critiche degli altri

La tortuosavia di Obamaper andarein guerra

FRANCESCO ERBANI

Il saggio

CONFONDERE LA LAGUNA

di Lidia FersuochCorte del Fontego, pagg. 36, euro 3

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ANTONELLO GUERRERA

Amsterdam, un sognoche diventa irrealtà

Il racconto

CHIAMATE DA AMSTERDAM

di Juan VilloroPonte alle Grazie, trad. di Enrico Passoni, pagg. 82, euro 10

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In Italia di Juan Villoro, giornalista e scrittore messicanoclasse 1956, giungono spesso libri molto agili. Ma non perquesto superficiali, anzi. L’ultimo arrivato è Chiamate da

Amsterdam, un racconto lungo (o romanzo breve) cheavvinghia il lettore. Qui non siamo nell’Amsterdam di CeesNooteboom, ma neanche in quella sfiorata – e “terminale” – diMcEwan. In Villoro Amsterdam è solo il sogno infranto di unacoppia messicana inaspettatamente a pezzi. Un sogno che poisi tramuta in un pellegrinaggio di difficoltà, oscure trame esoprattutto nelle telefonate dell’ex marito e artista semifallitoJuan Jesús all’anacronistica consorte Nuria. Missive vocaliinviate da una cabina spacciata per “olandese” (lui fa finta diessere ad Amsterdam, ma è sotto casa di Nuria), che in realtà èsolo la maschera di un amore annacquato da rimpianti e tedioesistenziale. Tanto che Juan Jesús per settimane dà «a Nuria lapossibilità di vederlo, con il cappotto imbrattato vecchio di diecianni e l’espressione sconvolta di chi ha troppo freddo e non è inOlanda, i capelli scompigliati da un vento che non soffia».

Un grande amore per il luogo e una meditata e coltapassione hanno spinto Lidia Fersuoch a scrivere questopiccolo libro sulla Laguna di Venezia. È un libro

competente e battagliero, come altri della collana dell’editoreCorte del Fontego intitolata “Occhi aperti su Venezia”.Fersuoch, presidente di Italia Nostra, mette in guardia dalleconseguenze che la minima rottura di un equilibrio secolare fraterra e acqua può produrre per la Laguna e per la sopravvivenzadi Venezia. E non di piccole, bensì di grandi rotture è popolatol’orizzonte. Basta citarne una: l’ipotesi sciagurata di scavare uncanale (Contorta Sant’Angelo) per consentire alle giganteschenavi da crociera di raggiungere il porto senza passare per laGiudecca. Un nuovo canale che si affianca a quello dei petroli, ilcui scavo fu tra le cause dell’inondazione del 1966, e che hasconvolto la morfologia lagunare. La storia ha insegnato poco.Ma la vera salvaguardia della Laguna, spiega Fersuoch (cheillustra anche l’opzione zero come ipotesi per le navi), non puòche interrogare tutti sul futuro di Venezia: tornare a essere unacittà o infilarsi definitivamente nel vortice di un turismo vorace.

Così si può salvarela Laguna di Venezia

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STEFANO BARTEZZAGHI

SUSANNA NIRENSTEIN

L’estremismolinguisticodi Bergonzoni

Fuori di testo

Abituale abitatoredi palchi di teatri efestival in qualità

di performerdell’estremismolinguistico, AlessandroBergonzoni ha pure unaspinta a sperimentare lepiù diverse forme, generie mezzi di espressione:dalla raccolta di testicomicamente surreali alromanzo, all’aforisma,all’arte visiva, alla rubricagiornalistica (sulVenerdì), a radio e (inpassato) tv. Ora arriva allapoesia, pure implicita intutti gli altri suoi testi. Lasua prima raccolta,appena pubblicata daGarzanti, ha un titolo cheunisce Eros e Thanatosnel neologismo L’Amorte(ricorda Jacques Lacan?Sì, e Lacan ha infattiusato amourir e amort). I neologismi sono rari,nei titoli dei libri, e inonsense sono poco piùfrequenti. Ma il nonsensee l’invenzione linguistica,come anche il gioco diparole, sono chiavi dilettura insufficienti per illavoro di scrittura diBergonzoni. Proprio iltitolo “l’amorte” lodimostra: è un gioco,forse? Fa ridere? Non haforse senso? Se Scialojaha scritto “versi del sensoperso”, Bergonzoni hascritto “versi del sensolatente”: lo sfuggire è ilmodo di essere del lorosenso.

ANGELO AQUARO

denheim 1939), nei ricordi fami-liari affiorati lungo il sonno cata-lettico de Il ragazzo che volevadormire, nel suo faticoso appro-do all’ebraico una volta arrivatoin Israele, primo momento diuna nuova identità densa di do-mani eppure così ardua: e noi nevogliamo sapere di più, sempredi più, per capire gli abissi dell’u-manità e i picchi del coraggio edella resistenza, forse ancheperché Appelfeld ha vinto, è so-pravvissuto a tanto, e sa narrar-celo senza mai ustionarci col fuo-co, a bassa voce.

In fondo, dopo aver letto tantidei suoi libri, credevamo di cono-scere tutto di quell’infanzia as-surda e tormentosa come un’in-venzione di Kafka, (e infatti Ap-pelfeld ha una sorta di identifica-zione con lo scrittore di Praga),ma — e come poteva essere altri-menti? quanto si può sapere diun’esperienza tanto estrema? —non è così. Qui, nel nuovo Fioridelle tenebre, (accolto con grandiplausi da Ian Buruma sulla NewYork Review of Books, piuttostoche da David Leavitt sul New YorkTimes), eccoci per la maggiorparte del tempo in uno sgabuzzi-no, al freddo, in silenzio, con Hu-go, un ragazzino di 11 anni, in pe-renne ascolto di suoni, movi-menti, parole che possano rive-lare una minaccia.

Il tempo presente scandisceogni piccolo avvenimento. Sia-mo lì. Aldilà della porta c’è la ca-mera di Mariana, una delle put-tane di un bordello ai margini diuna città ucraina senza nomedurante la seconda guerra mon-diale. Tutto potrebbe precipitareda un momento all’altro. E’ statasua madre Giulia a portarlo inquel posto così strano per unbambino. Una mamma affet-tuosa, colta, una signora ebreanota, come il suo sposo, per l’i-dealismo, la grande generositàmostrata verso i bisognosi e per lalaicità assoluta, genitori simili aquelli di Appelfeld che non hamai smesso di tormentarsi perquegli ebrei figli dell’Haskalà, l’il-luminismo ebraico, che ruppero

E

Il piccolo ebreoche vissein un bordello

prodigio scaturito dalle macchiedella memoria e dai sogni dell’ot-tantenne israeliano Aharon Ap-pelfeld, dall’ordito del silenzioascoltato quand’era un bambi-no di otto anni, solo, in fuga dalghetto nei boschi e nelle pieghedella campagna ucraina duran-te la Shoah, per tre anni. Un mi-racoloso frutto letterario natodal disastro, dalla perdita, dallospaesamento conseguente, daun esilio per sempre: del restoPhilip Roth ha definito la mate-ria dei suoi romanzi il disorien-tamento di un eterno rifugiatoin una terra di ebrei rifugiati. E’così: Appelfeld ci riporta nellafaglia di quella solitudine sem-pre esposta ad essere travolta dauna nuova frana, da nuoveesperienze impensabili, schia-vo, come è stato, di briganti, ladridi cavalli, contadini cattivi, pro-stitute, senza mai rivelare di esse-re ebreo, un isolamento chiuso aogni idea di futuro, un nucleocreativo che ci cattura con la suaforza centripeta, dentro la fore-sta, le derive di Storia di una vita,unico tra i suoi 41 romanzi total-mente autobiografico, dentro lasua incredulità verso gli ebrei cheper amore di assimilazione nonvolevano capire quel che gli stavasuccedendo (come in Ba-

cco, ancora un

Il richiamo al surrealismodel titolo, Cadavere squi-sito, è anche la chiave dilettura del nuovo giallo di

Luigi Carletti (il precedente siintitolava Prigione con pisci-na). La scomposizione creati-va usata dagli artisti francesi èinfatti il leitmotiv di una storiacomplessa che non lascia tre-gua, perché composta di tantimicroracconti che comincia-no con un piccolo indizio e poisi allargano a macchia d’olio.Anche stavolta Carletti, gior-nalista e manager editoriale,ambienta il suo noir a Roma,tra le strade del centro, su ter-

razze dove si tocca il cielo conun dito. C’è un cadavere chenon si trova, ce n’è uno che ap-partiene al passato, ci sonomorti d’altro genere, antichiomicidi passati per disgrazie.

Il protagonista si chiamaNicola Maria Sadler, dettoNick, guru della comunica-zione e della pubblicità, tom-beur des femmes, una ex mo-glie malata, un rapporto hardcon la cognata, un amorenuovo che improvvisamentesparisce. Dal suo apparta-mento a picco sui tetti dellacapitale tra via del Babuino evia Margutta le tracce di Dora,

giovane e bellissima pittrice,dopo una banale litigata si so-no perse, così come quelle delgatto Aramis che appartiene(forse) all’anziana nobildon-na che vive nello stesso palaz-zo di Nick, in compagnia diuna serie di vecchi, rumorosifrigoriferi, tutti funzionanti.Lei bizzarra, un po’ strega, as-somiglia alla Novella Pariginidegli ultimi tempi e il suo al-loggio ha i colori, le cupezze, levetrate luminose e gli angolibui dell’atelier della ritrattistadi felini dagli occhi grandi. Unbancario sassofonista con lapassione di suonare en plen

airprobabilmente è stato am-mazzato dalla moglie e dalsuo amante, però il suo corponon si trova. E poi c’è un qua-dro misterioso che raccontadi un rapporto a tre finito ma-le, anzi malissimo, e di un ra-gazzino appassionato, inna-morato dell’arte, sacrificatoper il buon nome della fami-glia. I parenti serpenti di que-sto romanzo, che ha i trattidella commedia all’italianama a poco a poco si trasformain un sofisticato thriller psico-logico, hanno le sbiadite sem-bianze di una madre ostaggiodei ricordi e di una coppia di

filippini e, soprattutto, del-l’ingombrante presenza delfratello farmacista, sangui-gno esemplare di maschiocon Suv.

Con l’aiuto di una cronistaindomita e di un commissarioromantico, avvilito dalla pos-sibile sparizione del leggen-dario Caffè Notegen in via delBabuino, i vari pezzi del Cada-vere squisitosi ricompongonosotto gli occhi di Nick, che nericonosce gli autori. Che poisono i colpevoli. È la fine o for-se solo l’inizio di un altro in-cubo?

ALESSANDRA ROTA

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Il curioso caso del cadavere squisito in via del Babuino

IL LIBRO

Cadavere squisitodi Luigi CarlettiMondadoripagg. 276euro 15,90

IL LIBROFIORI DELLE TENEBRE

IL THRILLER

IL LIBRO

Fiori delletenebre diAharonAppelfeldGuanda, trad. diE.Loewenthalpagg. 303 euro20