IL LIBRO FIORI DELLE TENEBRE la Laguna di Venezia Il ...€¦ · n grande amore per il luogo e una...

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R CULT 48 DOMENICA 15 SETTEMBRE 2013 N essuna via della guerra, negli Usa, è sembrata tanto tortuosa quanto quella seguita da Barack Obama: seppure lastricata di buone intenzioni. La via della guerra è il titolo del libro di Marvin Kalb che non a caso il Washington Post definisce “puntuale”: e non solo per la tempistica. Kalb è un piccolo mito del giornalismo Usa, uno degli ultimi “Murrow’s Boys”, i ragazzi cresciuti alla corte tv di Edward Murrow, il conduttore famoso grazie a Good Night, and Good Luck di George Clooney. L’ultimo presidente a chiedere una dichiarazione di guerra al Congresso, ricapitola adesso Kalb, fu Franklyn Delano Roosevelt, nella Seconda Guerra Mondiale. Da allora, ogni Commander in Chief ha sempre fatto ricorso ai poteri presidenziali. Harry Truman non dichiarò mai la guerra di Corea, che doveva essere “un’azione di polizia” e durò tre anni e fece 54mila morti. Neppure John Kennedy chiese il permesso per affondare l’America nel Vietnam. Sì, George W. Bush ottenne l’“autorizzazione” all’uso della forza in Afghanistan e (con prove tarocche) in Iraq: ma sempre senza dichiarare alcunché. Così, per questo presidente Nobel della Pace, costretto a spingersi in Siria per non smentire la linea rossa da lui stesso tracciata contro i gas, la scelta di passare dal Congresso, sulla carta contrario, oggi appare ancora più contradditoria. Fino a far sorgere quel sospetto: «Che sia un cinico espediente per sfuggire alla sua stessa promessa di agire?». No, nessuna via della guerra è sembrata tanto tortuosa quanto quella di Obama: soprattutto perché lastricata di buone intenzioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA Le critiche degli altri La tortuosa via di Obama per andare in guerra FRANCESCO ERBANI Il saggio CONFONDERE LA LAGUNA di Lidia Fersuoch Corte del Fontego, pagg. 36, euro 3 © RIPRODUZIONE RISERVATA ANTONELLO GUERRERA Amsterdam, un sogno che diventa irrealtà Il racconto CHIAMATE DA AMSTERDAM di Juan Villoro Ponte alle Grazie, trad. di Enrico Passoni, pagg. 82, euro 10 © RIPRODUZIONE RISERVATA I n Italia di Juan Villoro, giornalista e scrittore messicano classe 1956, giungono spesso libri molto agili. Ma non per questo superficiali, anzi. L’ultimo arrivato è Chiamate da Amsterdam, un racconto lungo (o romanzo breve) che avvinghia il lettore. Qui non siamo nell’Amsterdam di Cees Nooteboom, ma neanche in quella sfiorata – e “terminale” – di McEwan. In Villoro Amsterdam è solo il sogno infranto di una coppia messicana inaspettatamente a pezzi. Un sogno che poi si tramuta in un pellegrinaggio di difficoltà, oscure trame e soprattutto nelle telefonate dell’ex marito e artista semifallito Juan Jesús all’anacronistica consorte Nuria. Missive vocali inviate da una cabina spacciata per “olandese” (lui fa finta di essere ad Amsterdam, ma è sotto casa di Nuria), che in realtà è solo la maschera di un amore annacquato da rimpianti e tedio esistenziale. Tanto che Juan Jesús per settimane dà «a Nuria la possibilità di vederlo, con il cappotto imbrattato vecchio di dieci anni e l’espressione sconvolta di chi ha troppo freddo e non è in Olanda, i capelli scompigliati da un vento che non soffia». U n grande amore per il luogo e una meditata e colta passione hanno spinto Lidia Fersuoch a scrivere questo piccolo libro sulla Laguna di Venezia. È un libro competente e battagliero, come altri della collana dell’editore Corte del Fontego intitolata “Occhi aperti su Venezia”. Fersuoch, presidente di Italia Nostra, mette in guardia dalle conseguenze che la minima rottura di un equilibrio secolare fra terra e acqua può produrre per la Laguna e per la sopravvivenza di Venezia. E non di piccole, bensì di grandi rotture è popolato l’orizzonte. Basta citarne una: l’ipotesi sciagurata di scavare un canale (Contorta Sant’Angelo) per consentire alle gigantesche navi da crociera di raggiungere il porto senza passare per la Giudecca. Un nuovo canale che si affianca a quello dei petroli, il cui scavo fu tra le cause dell’inondazione del 1966, e che ha sconvolto la morfologia lagunare. La storia ha insegnato poco. Ma la vera salvaguardia della Laguna, spiega Fersuoch (che illustra anche l’opzione zero come ipotesi per le navi), non può che interrogare tutti sul futuro di Venezia: tornare a essere una città o infilarsi definitivamente nel vortice di un turismo vorace. Così si può salvare la Laguna di Venezia © RIPRODUZIONE RISERVATA STEFANO BARTEZZAGHI SUSANNA NIRENSTEIN L’estremismo linguistico di Bergonzoni Fuori di testo A bituale abitatore di palchi di teatri e festival in qualità di performer dell’estremismo linguistico, Alessandro Bergonzoni ha pure una spinta a sperimentare le più diverse forme, generi e mezzi di espressione: dalla raccolta di testi comicamente surreali al romanzo, all’aforisma, all’arte visiva, alla rubrica giornalistica (sul Venerdì), a radio e (in passato) tv. Ora arriva alla poesia, pure implicita in tutti gli altri suoi testi. La sua prima raccolta, appena pubblicata da Garzanti, ha un titolo che unisce Eros e Thanatos nel neologismo L’Amorte (ricorda Jacques Lacan? Sì, e Lacan ha infatti usato amourir e amort). I neologismi sono rari, nei titoli dei libri, e i nonsense sono poco più frequenti. Ma il nonsense e l’invenzione linguistica, come anche il gioco di parole, sono chiavi di lettura insufficienti per il lavoro di scrittura di Bergonzoni. Proprio il titolo “l’amorte” lo dimostra: è un gioco, forse? Fa ridere? Non ha forse senso? Se Scialoja ha scritto “versi del senso perso”, Bergonzoni ha scritto “versi del senso latente”: lo sfuggire è il modo di essere del loro senso. ANGELO AQUARO denheim 1939), nei ricordi fami- liari affiorati lungo il sonno cata- lettico de Il ragazzo che voleva dormire, nel suo faticoso appro- do all’ebraico una volta arrivato in Israele, primo momento di una nuova identità densa di do- mani eppure così ardua: e noi ne vogliamo sapere di più, sempre di più, per capire gli abissi dell’u- manità e i picchi del coraggio e della resistenza, forse anche perché Appelfeld ha vinto, è so- pravvissuto a tanto, e sa narrar- celosenzamaiustionarcicolfuo- co, a bassa voce. In fondo, dopo aver letto tanti deisuoilibri,credevamodicono- scere tutto di quell’infanzia as- surda e tormentosa come un’in- venzione di Kafka, (e infatti Ap- pelfeld ha una sorta di identifica- zione con lo scrittore di Praga), ma — e come poteva essere altri- menti? quanto si può sapere di un’esperienza tanto estrema? — non è così. Qui, nel nuovo Fiori delle tenebre, (accolto con grandi plausi da Ian Buruma sulla New York Review of Books, piuttosto chedaDavidLeavittsul NewYork Times), eccoci per la maggior parte del tempo in uno sgabuzzi- no, al freddo, in silenzio, con Hu- go, un ragazzino di 11 anni, in pe- renne ascolto di suoni, movi- menti, parole che possano rive- lare una minaccia. Il tempo presente scandisce ogni piccolo avvenimento. Sia- mo lì. Aldilà della porta c’è la ca- mera di Mariana, una delle put- tane di un bordello ai margini di una città ucraina senza nome durante la seconda guerra mon- diale. Tutto potrebbe precipitare da un momento all’altro. E’ stata sua madre Giulia a portarlo in quel posto così strano per un bambino. Una mamma affet- tuosa, colta, una signora ebrea nota, come il suo sposo, per l’i- dealismo, la grande generosità mostrataversoibisognosieperla laicità assoluta, genitori simili a quelli di Appelfeld che non ha mai smesso di tormentarsi per quegli ebrei figli dell’Haskalà, l’il- luminismo ebraico, che ruppero E Il piccolo ebreo che visse in un bordello prodigio scaturito dalle macchie della memoria e dai sogni dell’ot- tantenne israeliano Aharon Ap- pelfeld, dall’ordito del silenzio ascoltato quand’era un bambi- no di otto anni, solo, in fuga dal ghetto nei boschi e nelle pieghe della campagna ucraina duran- te la Shoah, per tre anni. Un mi- racoloso frutto letterario nato dal disastro, dalla perdita, dallo spaesamento conseguente, da un esilio per sempre: del resto Philip Roth ha definito la mate- ria dei suoi romanzi il disorien- tamento di un eterno rifugiato in una terra di ebrei rifugiati. E’ così: Appelfeld ci riporta nella faglia di quella solitudine sem- pre esposta ad essere travolta da una nuova frana, da nuove esperienze impensabili, schia- vo, come è stato, di briganti, ladri di cavalli, contadini cattivi, pro- stitute,senzamairivelarediesse- re ebreo, un isolamento chiuso a ogni idea di futuro, un nucleo creativo che ci cattura con la sua forza centripeta, dentro la fore- sta, le derive di Storia di una vita, unico tra i suoi 41 romanzi total- mente autobiografico, dentro la sua incredulità verso gli ebrei che per amore di assimilazione non volevano capire quel che gli stava succedendo (come in Ba- cco, ancora un I l richiamo al surrealismo del titolo, Cadavere squi- sito, è anche la chiave di lettura del nuovo giallo di Luigi Carletti (il precedente si intitolava Prigione con pisci- na). La scomposizione creati- va usata dagli artisti francesi è infatti il leitmotiv di una storia complessa che non lascia tre- gua, perché composta di tanti microracconti che comincia- no con un piccolo indizio e poi si allargano a macchia d’olio. Anche stavolta Carletti, gior- nalista e manager editoriale, ambienta il suo noir a Roma, tra le strade del centro, su ter- razze dove si tocca il cielo con un dito. C’è un cadavere che non si trova, ce n’è uno che ap- partiene al passato, ci sono morti d’altro genere, antichi omicidi passati per disgrazie. Il protagonista si chiama Nicola Maria Sadler, detto Nick, guru della comunica- zione e della pubblicità, tom- beur des femmes, una ex mo- glie malata, un rapporto hard con la cognata, un amore nuovo che improvvisamente sparisce. Dal suo apparta- mento a picco sui tetti della capitale tra via del Babuino e via Margutta le tracce di Dora, giovane e bellissima pittrice, dopo una banale litigata si so- no perse, così come quelle del gatto Aramis che appartiene (forse) all’anziana nobildon- na che vive nello stesso palaz- zo di Nick, in compagnia di una serie di vecchi, rumorosi frigoriferi, tutti funzionanti. Lei bizzarra, un po’ strega, as- somiglia alla Novella Parigini degli ultimi tempi e il suo al- loggio ha i colori, le cupezze, le vetrate luminose e gli angoli bui dell’atelier della ritrattista di felini dagli occhi grandi. Un bancario sassofonista con la passione di suonare en plen air probabilmente è stato am- mazzato dalla moglie e dal suo amante, però il suo corpo non si trova. E poi c’è un qua- dro misterioso che racconta di un rapporto a tre finito ma- le, anzi malissimo, e di un ra- gazzino appassionato, inna- morato dell’arte, sacrificato per il buon nome della fami- glia. I parenti serpenti di que- sto romanzo, che ha i tratti della commedia all’italiana ma a poco a poco si trasforma in un sofisticato thriller psico- logico, hanno le sbiadite sem- bianze di una madre ostaggio dei ricordi e di una coppia di filippini e, soprattutto, del- l’ingombrante presenza del fratello farmacista, sangui- gno esemplare di maschio con Suv. Con l’aiuto di una cronista indomita e di un commissario romantico, avvilito dalla pos- sibile sparizione del leggen- dario Caffè Notegen in via del Babuino, i vari pezzi del Cada- vere squisito si ricompongono sotto gli occhi di Nick, che ne riconosce gli autori. Che poi sono i colpevoli. È la fine o for- se solo l’inizio di un altro in- cubo? ALESSANDRA ROTA © RIPRODUZIONE RISERVATA Il curioso caso del cadavere squisito in via del Babuino IL LIBRO Cadavere squisito di Luigi Carletti Mondadori pagg. 276 euro 15,90 IL LIBRO FIORI DELLE TENEBRE IL THRILLER IL LIBRO Fiori delle tenebre di Aharon Appelfeld Guanda, trad. di E.Loewenthal pagg. 303 euro 20

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DOMENICA 15 SETTEMBRE 2013

la Repubblica

Nessuna via della guerra, negli Usa, èsembrata tanto tortuosa quanto quellaseguita da Barack Obama: seppure

lastricata di buone intenzioni. La via dellaguerra è il titolo del libro di Marvin Kalb che nona caso il Washington Post definisce “puntuale”: enon solo per la tempistica. Kalb è un piccolomito del giornalismo Usa, uno degli ultimi“Murrow’s Boys”, i ragazzi cresciuti alla corte tvdi Edward Murrow, il conduttore famoso graziea Good Night, and Good Luck di George Clooney.L’ultimo presidente a chiedere una

dichiarazione di guerra al Congresso, ricapitolaadesso Kalb, fu Franklyn Delano Roosevelt, nellaSeconda Guerra Mondiale. Da allora, ogniCommander in Chief ha sempre fatto ricorso aipoteri presidenziali. Harry Truman non dichiaròmai la guerra di Corea, che doveva essere“un’azione di polizia” e durò tre anni e fece54mila morti. Neppure John Kennedy chiese ilpermesso per affondare l’America nel Vietnam.Sì, George W. Bush ottenne l’“autorizzazione”all’uso della forza in Afghanistan e (con provetarocche) in Iraq: ma sempre senza dichiarare

alcunché. Così, per questo presidente Nobeldella Pace, costretto a spingersi in Siria per nonsmentire la linea rossa da lui stesso tracciatacontro i gas, la scelta di passare dal Congresso,sulla carta contrario, oggi appare ancora piùcontradditoria. Fino a far sorgere quel sospetto:«Che sia un cinico espediente per sfuggire allasua stessa promessa di agire?». No, nessuna viadella guerra è sembrata tanto tortuosa quantoquella di Obama: soprattutto perché lastricata dibuone intenzioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le critiche degli altri

La tortuosavia di Obamaper andarein guerra

FRANCESCO ERBANI

Il saggio

CONFONDERE LA LAGUNA

di Lidia FersuochCorte del Fontego, pagg. 36, euro 3

© RIPRODUZIONE RISERVATA

ANTONELLO GUERRERA

Amsterdam, un sognoche diventa irrealtà

Il racconto

CHIAMATE DA AMSTERDAM

di Juan VilloroPonte alle Grazie, trad. di Enrico Passoni, pagg. 82, euro 10

© RIPRODUZIONE RISERVATA

In Italia di Juan Villoro, giornalista e scrittore messicanoclasse 1956, giungono spesso libri molto agili. Ma non perquesto superficiali, anzi. L’ultimo arrivato è Chiamate da

Amsterdam, un racconto lungo (o romanzo breve) cheavvinghia il lettore. Qui non siamo nell’Amsterdam di CeesNooteboom, ma neanche in quella sfiorata – e “terminale” – diMcEwan. In Villoro Amsterdam è solo il sogno infranto di unacoppia messicana inaspettatamente a pezzi. Un sogno che poisi tramuta in un pellegrinaggio di difficoltà, oscure trame esoprattutto nelle telefonate dell’ex marito e artista semifallitoJuan Jesús all’anacronistica consorte Nuria. Missive vocaliinviate da una cabina spacciata per “olandese” (lui fa finta diessere ad Amsterdam, ma è sotto casa di Nuria), che in realtà èsolo la maschera di un amore annacquato da rimpianti e tedioesistenziale. Tanto che Juan Jesús per settimane dà «a Nuria lapossibilità di vederlo, con il cappotto imbrattato vecchio di diecianni e l’espressione sconvolta di chi ha troppo freddo e non è inOlanda, i capelli scompigliati da un vento che non soffia».

Un grande amore per il luogo e una meditata e coltapassione hanno spinto Lidia Fersuoch a scrivere questopiccolo libro sulla Laguna di Venezia. È un libro

competente e battagliero, come altri della collana dell’editoreCorte del Fontego intitolata “Occhi aperti su Venezia”.Fersuoch, presidente di Italia Nostra, mette in guardia dalleconseguenze che la minima rottura di un equilibrio secolare fraterra e acqua può produrre per la Laguna e per la sopravvivenzadi Venezia. E non di piccole, bensì di grandi rotture è popolatol’orizzonte. Basta citarne una: l’ipotesi sciagurata di scavare uncanale (Contorta Sant’Angelo) per consentire alle giganteschenavi da crociera di raggiungere il porto senza passare per laGiudecca. Un nuovo canale che si affianca a quello dei petroli, ilcui scavo fu tra le cause dell’inondazione del 1966, e che hasconvolto la morfologia lagunare. La storia ha insegnato poco.Ma la vera salvaguardia della Laguna, spiega Fersuoch (cheillustra anche l’opzione zero come ipotesi per le navi), non puòche interrogare tutti sul futuro di Venezia: tornare a essere unacittà o infilarsi definitivamente nel vortice di un turismo vorace.

Così si può salvarela Laguna di Venezia

© RIPRODUZIONE RISERVATA

STEFANO BARTEZZAGHI

SUSANNA NIRENSTEIN

L’estremismolinguisticodi Bergonzoni

Fuori di testo

Abituale abitatoredi palchi di teatri efestival in qualità

di performerdell’estremismolinguistico, AlessandroBergonzoni ha pure unaspinta a sperimentare lepiù diverse forme, generie mezzi di espressione:dalla raccolta di testicomicamente surreali alromanzo, all’aforisma,all’arte visiva, alla rubricagiornalistica (sulVenerdì), a radio e (inpassato) tv. Ora arriva allapoesia, pure implicita intutti gli altri suoi testi. Lasua prima raccolta,appena pubblicata daGarzanti, ha un titolo cheunisce Eros e Thanatosnel neologismo L’Amorte(ricorda Jacques Lacan?Sì, e Lacan ha infattiusato amourir e amort). I neologismi sono rari,nei titoli dei libri, e inonsense sono poco piùfrequenti. Ma il nonsensee l’invenzione linguistica,come anche il gioco diparole, sono chiavi dilettura insufficienti per illavoro di scrittura diBergonzoni. Proprio iltitolo “l’amorte” lodimostra: è un gioco,forse? Fa ridere? Non haforse senso? Se Scialojaha scritto “versi del sensoperso”, Bergonzoni hascritto “versi del sensolatente”: lo sfuggire è ilmodo di essere del lorosenso.

ANGELO AQUARO

denheim 1939), nei ricordi fami-liari affiorati lungo il sonno cata-lettico de Il ragazzo che volevadormire, nel suo faticoso appro-do all’ebraico una volta arrivatoin Israele, primo momento diuna nuova identità densa di do-mani eppure così ardua: e noi nevogliamo sapere di più, sempredi più, per capire gli abissi dell’u-manità e i picchi del coraggio edella resistenza, forse ancheperché Appelfeld ha vinto, è so-pravvissuto a tanto, e sa narrar-celo senza mai ustionarci col fuo-co, a bassa voce.

In fondo, dopo aver letto tantidei suoi libri, credevamo di cono-scere tutto di quell’infanzia as-surda e tormentosa come un’in-venzione di Kafka, (e infatti Ap-pelfeld ha una sorta di identifica-zione con lo scrittore di Praga),ma — e come poteva essere altri-menti? quanto si può sapere diun’esperienza tanto estrema? —non è così. Qui, nel nuovo Fioridelle tenebre, (accolto con grandiplausi da Ian Buruma sulla NewYork Review of Books, piuttostoche da David Leavitt sul New YorkTimes), eccoci per la maggiorparte del tempo in uno sgabuzzi-no, al freddo, in silenzio, con Hu-go, un ragazzino di 11 anni, in pe-renne ascolto di suoni, movi-menti, parole che possano rive-lare una minaccia.

Il tempo presente scandisceogni piccolo avvenimento. Sia-mo lì. Aldilà della porta c’è la ca-mera di Mariana, una delle put-tane di un bordello ai margini diuna città ucraina senza nomedurante la seconda guerra mon-diale. Tutto potrebbe precipitareda un momento all’altro. E’ statasua madre Giulia a portarlo inquel posto così strano per unbambino. Una mamma affet-tuosa, colta, una signora ebreanota, come il suo sposo, per l’i-dealismo, la grande generositàmostrata verso i bisognosi e per lalaicità assoluta, genitori simili aquelli di Appelfeld che non hamai smesso di tormentarsi perquegli ebrei figli dell’Haskalà, l’il-luminismo ebraico, che ruppero

E

Il piccolo ebreoche vissein un bordello

prodigio scaturito dalle macchiedella memoria e dai sogni dell’ot-tantenne israeliano Aharon Ap-pelfeld, dall’ordito del silenzioascoltato quand’era un bambi-no di otto anni, solo, in fuga dalghetto nei boschi e nelle pieghedella campagna ucraina duran-te la Shoah, per tre anni. Un mi-racoloso frutto letterario natodal disastro, dalla perdita, dallospaesamento conseguente, daun esilio per sempre: del restoPhilip Roth ha definito la mate-ria dei suoi romanzi il disorien-tamento di un eterno rifugiatoin una terra di ebrei rifugiati. E’così: Appelfeld ci riporta nellafaglia di quella solitudine sem-pre esposta ad essere travolta dauna nuova frana, da nuoveesperienze impensabili, schia-vo, come è stato, di briganti, ladridi cavalli, contadini cattivi, pro-stitute, senza mai rivelare di esse-re ebreo, un isolamento chiuso aogni idea di futuro, un nucleocreativo che ci cattura con la suaforza centripeta, dentro la fore-sta, le derive di Storia di una vita,unico tra i suoi 41 romanzi total-mente autobiografico, dentro lasua incredulità verso gli ebrei cheper amore di assimilazione nonvolevano capire quel che gli stavasuccedendo (come in Ba-

cco, ancora un

Il richiamo al surrealismodel titolo, Cadavere squi-sito, è anche la chiave dilettura del nuovo giallo di

Luigi Carletti (il precedente siintitolava Prigione con pisci-na). La scomposizione creati-va usata dagli artisti francesi èinfatti il leitmotiv di una storiacomplessa che non lascia tre-gua, perché composta di tantimicroracconti che comincia-no con un piccolo indizio e poisi allargano a macchia d’olio.Anche stavolta Carletti, gior-nalista e manager editoriale,ambienta il suo noir a Roma,tra le strade del centro, su ter-

razze dove si tocca il cielo conun dito. C’è un cadavere chenon si trova, ce n’è uno che ap-partiene al passato, ci sonomorti d’altro genere, antichiomicidi passati per disgrazie.

Il protagonista si chiamaNicola Maria Sadler, dettoNick, guru della comunica-zione e della pubblicità, tom-beur des femmes, una ex mo-glie malata, un rapporto hardcon la cognata, un amorenuovo che improvvisamentesparisce. Dal suo apparta-mento a picco sui tetti dellacapitale tra via del Babuino evia Margutta le tracce di Dora,

giovane e bellissima pittrice,dopo una banale litigata si so-no perse, così come quelle delgatto Aramis che appartiene(forse) all’anziana nobildon-na che vive nello stesso palaz-zo di Nick, in compagnia diuna serie di vecchi, rumorosifrigoriferi, tutti funzionanti.Lei bizzarra, un po’ strega, as-somiglia alla Novella Pariginidegli ultimi tempi e il suo al-loggio ha i colori, le cupezze, levetrate luminose e gli angolibui dell’atelier della ritrattistadi felini dagli occhi grandi. Unbancario sassofonista con lapassione di suonare en plen

airprobabilmente è stato am-mazzato dalla moglie e dalsuo amante, però il suo corponon si trova. E poi c’è un qua-dro misterioso che raccontadi un rapporto a tre finito ma-le, anzi malissimo, e di un ra-gazzino appassionato, inna-morato dell’arte, sacrificatoper il buon nome della fami-glia. I parenti serpenti di que-sto romanzo, che ha i trattidella commedia all’italianama a poco a poco si trasformain un sofisticato thriller psico-logico, hanno le sbiadite sem-bianze di una madre ostaggiodei ricordi e di una coppia di

filippini e, soprattutto, del-l’ingombrante presenza delfratello farmacista, sangui-gno esemplare di maschiocon Suv.

Con l’aiuto di una cronistaindomita e di un commissarioromantico, avvilito dalla pos-sibile sparizione del leggen-dario Caffè Notegen in via delBabuino, i vari pezzi del Cada-vere squisitosi ricompongonosotto gli occhi di Nick, che nericonosce gli autori. Che poisono i colpevoli. È la fine o for-se solo l’inizio di un altro in-cubo?

ALESSANDRA ROTA

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il curioso caso del cadavere squisito in via del Babuino

IL LIBRO

Cadavere squisitodi Luigi CarlettiMondadoripagg. 276euro 15,90

IL LIBROFIORI DELLE TENEBRE

IL THRILLER

IL LIBRO

Fiori delletenebre diAharonAppelfeldGuanda, trad. diE.Loewenthalpagg. 303 euro20