UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in:Scienze della comunicazione: editoria e giornalismo
Elaborato finale:
IL CONCETTO DI DERIVA NEI FILM DI GUY DEBORD
RelatoreChiar. mo Prof. Gianluca Solla
CandidatoMatteo Paolini
VR067330
anno accademico 2010 – 2011
INDICE
INTRODUZIONE................................................................................................................................3
LA DERIVA SITUAZIONISTA...........................................................................................................5
Nascita del concetto di dérive: il flâneur..............................................................................................5
La dérive situazionista..........................................................................................................................9
La pratica della deriva........................................................................................................................17
LA DERIVA NEL CINEMA DI DEBORD........................................................................................23
Con e contro il cinema........................................................................................................................23
Hurlements en faveur de Sade (1952)................................................................................................25
Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps (1959)..................28
Critique de la séparation (1961).........................................................................................................32
La société du spectacle (1973)...........................................................................................................35
In girum imus nocte et consumimur igni (1978)................................................................................39
BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................43
FILMOGRAFIA.................................................................................................................................45
SITOGRAFIA....................................................................................................................................46
2
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INTRODUZIONE
“In tutta la mia vita, non ho visto che tempi agitati, delle estreme lacerazioni nella società, e
immense distruzioni; ho preso parte a tutte queste agitazioni. In tutta la critica strategica,
l’essenziale è di calarsi esattamente nel punto di vista dell’attore; è vero che è spesso molto
difficile. Il difficile è il conoscere tutte le circostanze in cui si trovano gli attori. Il mio metodo sarà
molto semplice. Dirò quello che ho amato; e tutto il testo sotto questa luce, si mostrerà e si farà
facilmente comprendere”1.
L’analisi dettagliata dei film di Debord pone il problema della conoscenza dei testi teorici pubblicati
dai situazionisti. Ecco perchè nella mia tesi, prima di analizzare il film ho ritenuto necessario partire
da alcuni concetti chiave per i situazionisti. Senza questo passaggio, la comprensione dei film non
sarebbe possibile, e risulterebbero solo dei semplici collage di diverse immagini e testi differenti,
apparentemente slegati le une dagli altri. I film sono per Debord un mezzo di propaganda: fare uso
del cinema e servirsi della attrazione popolare per il cinema, della sua potenza espressiva per
abordare le rive dell’avventura rivoluzionaria. Tale percorso ha come momento fondamentale il
presente, grazie al cinema Debord riesce ad ancorare la propria strategia politica sul fotogramma.
Se il presente è la cifra problematica della storia, il fotogramma è l’unità di misura del cinema. Il
momento successivo è per entrambi ciò che è continuo, mentre quello che ci sfugge sovente sono
proprio i legami che tengono insieme questa continuità al particolare presente.
Debord si è molto interessato alla guerra e alle sue varie strategie e ha introdotto alcuni termini e
insegnamenti nella propria vita e nel suo pensiero politico. Distruggere l’arte, combattere contro la
società dello spettacolo e tutte le sue strutture, annientare il tempo spettacolare e con esso il
presente, il tempo in quanto tempo storico ed il fotogramma in quanto grammatica cinematografica.
La presa di posizione nei “tempi agitati” della guarra in corso è fatta di tecniche e strumenti politici
per riuscire a prendere parte al presente: la costruzione di situazioni, il détournement, la
psicogeografie e la deriva. Il mio lavoro si è focalizzato sull’ultima di queste pratiche, la deriva
come movimento nello spazio urbano e come azione sul presente, e sulla sua rappresentazione
cinematografica. Mettere in luce come la pratica della deriva, al di fuori dal suo contesto naturale, la
città, viene trasportata nei film di Debord, creando una continuità di pensiero lungo tutto il percorso
cinematografico del filosofo francese.
1 Détournement dal Panegirico di Guy Debord.
6
I. LA DERIVA SITUAZIONISTA
1. Nascita del concetto di dérive: il flâneur
Nei primi anni Cinquanta l’Internazionale Lettrista, che confluirà nell’Internazionale Situazionista
nel ’57, riconosce nel perdersi in città una concreta possibilità espressiva dell’anti-arte e lo assume
come mezzo estetico-politico attraverso cui sovvertire il sistema capitalistico del dopoguerra. Il
punto di partenza dei situazionisti, di trasformare l’anti-arte in un’azione estetica unitaria e
interdisciplinare, è stato fornito loro dalla «visita» di Dada e dalla «deambulazione» surrealista. Il
concetto di deriva, infatti, nasce come scopo di critica e di superamento della deambulazione
surrealista. Chi però per primo iniziò a porre l’interrogativo, da parte di letteratura e poesia, sul
rapporto tra individuo e spazio urbano, è stato Charles Baudelaire, con la sua opera Les Fleurs du
Mal2. L’opera del poeta francese è sia un nuovo manifesto del vivere lo spazio urbano sia una
premessa per ciò che sarà dopo. Ciò che spinse Baudelaire a interrogarsi sul rapporto tra città e
cittadino è stata la grande opera di ristrutturazione di Parigi, cominciata a fine ‘800, da parte
dell’imperatore Napoleone III3 e da Georges Eugène Haussmann4.
A metà del XIX secolo Parigi si presentava con lo stesso aspetto che aveva nel Medioevo, con
strade malsane e strette. Napoleone III, dopo un soggiorno a Londra, rimase impressionato dalla
ricostruzione della capitale inglese seguita al grande incendio del 1666. L’opera di riedificazione
aveva fatto di Londra un punto di riferimento in materia d'igiene e di urbanistica. Avendo come
modello la capitale inglese, l’imperatore francese cominciò la grande opera di restauro di Parigi. Le
linee guida della ristrutturazione furono principalmente due, la prima di tipo igienistico di
derivazione illuminista, realizzare una migliore circolazione dell'aria e delle persone e il secondo di
tipo politico, liberare cioè il centro della città dalle masse popolari sempre troppo pronte alla rivolta,
come dimostravano le sollevazioni del 1830 e del 1848. L’opera di ristrutturazione e rinnovamento
di Parigi fu affidata a Georges Eugène Haussmann il quale seguì nell’opera di ristrutturazione
l’ossessione per la linea retta, realizzando i grandi boulevards e avenues presenti ancora oggi, e per
la creazione e ristrutturazione di grandi spazi verdi per consentire alla popolazione di respirare aria
pulita. Ciò che però spinse Baudelaire a interrogarsi sul rapporto tra città e cittadino, teorizzando
2 Charles Baudelaire, Les Fleurs du Mal, 1857.
3 Napoleone III, imperatore del Regno di Francia dal 1852 al 1870.
4 Georges Eugène Haussmann, Parigi, 27 marzo 1809 – Parigi, 11 gennaio 1891. Più conosciuto con il nome di Barone Haussmann, ricoprì l'incarico di prefetto del dipartimento della Senna dal 23 giugno 1853 al 5 gennaio 1870.
per primo il concetto di flâneur sono state la costruzione delle barricate per le manifestazioni e
soprattutto la creazione dei passages, che possono essere definiti come gli antenati dei grandi centri
commerciali che ci sono oggi. Infatti, sono una sorta di gallerie commerciali coperte dove erano
presenti numerosi negozi di ogni genere e fin dall’inizio della loro comparsa divennero una delle
maggiori fonti di attrazione della città. Il passage ha modificato completamente il significato
dell'acquisto per una parte consistente della popolazione. Soprattutto la borghesia trasforma
l'acquisto in occasione per vestirsi in modo elegante, per vedere e farsi vedere, caratteristica che
coincide con la voglia di questa classe, in forte ascesa sul piano sociale, di possedere nuovi beni per
accrescere e affermare il proprio status sociale. È con la creazione dei passages che le merci, a
inizio Novecento, perdono la loro connotazione di beni materiali per diventare beni di status
sociale. Con la produzione di articoli di massa, nasce il concetto di specialità e, per la prima volta
nella storia, i consumatori cominciano a sentirsi massa. Cresce pertanto così in modo straordinario
l’elemento circense e spettacolare del commercio. “Il commercio e il traffico sono componenti della
strada. All’interno dei passages, la seconda componente è venuta meno; il loro traffico è
rudimentale”5. Il passage è soltanto strada sensuale del commercio, fatta solo per risvegliare il
desiderio. In questa strada le linfe vitali ristagnano, le merci proliferano ai suoi bordi, intrecciandosi
in relazioni fantastiche come i tessuti di una ferita che non si rimargina.
E proprio perché è una ferita che non si rimargina che Baudelaire introduce la figura del flâneur.
Essa non ha esatta traduzione, la si può tradurre con “vagabondo” o “nomade”, ma servirebbe
giusto per darle una vaga connotazione, il flâneur è qualcosa di più. La traduzione più corretta,
seguendo le indicazioni di Baudelaire stesso, è quella di “botanico da marciapiede”, un conoscitore
analitico del tessuto urbano: “il flâneur è l’osservatore del mercato, il suo sapere è vicino alla
scienza occulta della congiuntura, egli è l’ispettore del capitalista inviato nel regno del
consumatore”6. Il poeta francese attorno al 1850 sosteneva che l’arte tradizionale era inadeguata per
le nuove e dinamiche complicazioni della vita moderna. I cambiamenti sociali ed economici, ora
più lampanti perché vissuti di persona a causa della ristrutturazione di Parigi, richiedevano che
l’artista s’immergesse nella metropoli e diventasse un osservatore attento e analitico della città, ma
con sguardo cinico e distaccato. Il flâneur, infatti, deve immergersi nella folla e osservare le
dinamiche della città senza lasciarsi coinvolgere realmente da ciò che lo circonda, lasciandosi
trasportare esclusivamente dal caso. Per Baudelaire il flâneur si sente a casa propria in mezzo alla
folla, in un’inebriante compenetrazione tra abitazione e strada, tra privato e pubblico. Lì può
8
5 Walter Benjamin, Parigi, Capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino, 1986, p. 87.
6 Ivi, p. 557.
osservare senza essere osservato, raccogliere ed elaborare gli stimoli che gli derivano
dall’immersione nella moltitudine.
Una delle condizioni ottimali per immergersi nel tessuto urbano trasportato dal caso, è per il
flâneur, quella di circondarsi tra le mura domestiche di ogni optional possibile, tutto ciò di cui
potrebbe aver bisogno deve esser a disposizione nella sua casa. In questo modo non è più spinto a
uscire dalla sua abitazione spinto dalla ricerca di un bene materiale e quindi guidato da una meta
prestabilita, ma sarà così libero di lasciarsi trasportare dalle emozioni.
Altra buona premessa per la pratica della flânerie è la solitudine: “il rapporto con la popolazione
residente è piuttosto occasionale perché il flâneur è impegnato in prima persona con realtà spesso
sconosciute, ma senza la necessità di creare legami forti e vincolanti con gli attori presenti sulla
scena”7. Questo però non significa che egli non interagisca con gli altri soggetti, il più delle volte
però la relazione è di carattere strumentale o finalizzato ad accelerare un percorso di decodifica del
genius loci, ovvero quell’approccio fenomenologico rivolto allo studio dell’ambiente, basato sullo
studio dell’interazione tra luogo e identità. Il viaggio deve essere in solitudine, perché viaggiare con
un partner significa convogliare risorse sull’altro, limitando così la propria disponibilità verso
l’esterno e perdere così occasioni di scambio e conoscenza. Camminare in città è, infatti, un atto di
solitudine e di libertà, che rifiuta la velocità dei percorsi imposti dal ritmo urbano massificato, è la
scelta di tempi e pause personali ma, contemporaneamente, rappresenta un’apertura verso gli altri.
Camminare può, infatti, essere anche una pratica socializzante nei luoghi pubblici, la condizione
preliminare dell’essere cittadini, dell’abitare la città anziché esclusivamente gli spazi privati. “Il
marciapiede, la strada chiusa al traffico riservata ai pedoni, diventano terreno dell’incontro, della
vita pubblica, il luogo di maggior vitalità del quartiere”8. Viaggiando con un compagno, per il
flâneur sarebbe impossibile immergersi appieno nel tessuto urbano e, più in particolare nella massa
la quale si estende davanti a lui come un velo e rappresenta l’ultima droga del solitario. La massa
cancella poi ogni traccia del singolo: è l’ultimo asilo di chi è messo al bando; “nel labirinto della
città è, infine, l’ultimo più impenetrabile labirinto”9. Il flâneur cerca sempre di provare emozioni
forti10, ma nello stesso tempo controlla gli eventi in modo da non rimanere mai completamente in
loro balia, di non subire passivamente i condizionamenti del contesto. Il viaggio è quindi visto come
7 Gianpaolo Nuvolati, Lo sguardo vagabondo, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 26.
8 Ivi, p. 14.
9 Walter Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, p. 580.
10 Questo secondo la visione di Nuvolati, Benjamin invece rapporta il flâneur con la problematica della malinconia quando parla del suo «spleen diga di sbarramento contro il pessimismo.
distacco consapevole da una condizione di sicurezza, come spinta verso l’ignoto, la nozione stessa
di flâneur richiama il desiderio di perdersi, ma anche di ritrovarsi. Immergendosi nella massa e
quindi nel labirinto, il flâneur abbandona così le sue certezze e si lascia trasportare dalle sue
emozioni verso l’ignoto. Grazie a questo percorso di smarrimento, perlustrazione e ritrovamento il
flâneur riesce nell’opera che si propone: proporre una ricontestualizzazione e una risignificazione
dei luoghi. Perdersi in un ambiente sconosciuto o nella moltitudine è ritenuto come una
purificazione, come uno scioglimento dai vincoli abituali, come esperienza catartica non può durare
all’infinito, ma deve trovare compimento nella creazione artistica, in un gesto finale che segna la
salvezza del flâneur e corrisponde al suo desiderio di dominare la realtà piuttosto che rimanere
succube. Benjamin, nel capitolo dei Passages dedicato al flâneur, spiega che il disincanto spinge il
flâneur a cogliere, o quantomeno ad avvicinarsi, al significato più autentico dei luoghi, a svelare
trucchi e misfatti che si consumano nel backstage, anziché rimanere abbagliato dallo sfavillio del
palcoscenico dove si compiono i rituali mercantili. Il flâneur esprime un bisogno di emancipazione
e di crescita che non comporta esclusivamente una fruizione in chiave spettacolare e monetaria
della città, ma presuppone un’elevazione legata al rapporto intimo e unico che si genera tra
l’individuo, i luoghi e le popolazioni che li abitano. Ciò che caratterizza i flâneur è lo spirito
provocatorio finalizzato a mettere in crisi la territorialità come elemento fisicamente e
culturalmente vincolante, a contestare i percorsi conoscitivi fondati sull’iper-razionalizzazione della
realtà e a porre un recupero della sensibilità come forma di conoscenza alternativa.
Grazie agli scritti di Baudelaire e all’introduzione del concetto di flâneur si è cominciato a
interrogarsi sul rapporto tra cittadino e spazio urbano. Walter Benjamin adottò il concetto del poeta
francese descrivendolo come un prodotto della vita moderna e della rivoluzione industriale. Anche
Benjamin, prima dei situazionisti, riconosce l’importanza del perdersi in città, “non sapersi
orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa, come ci si smarrisce in una foresta,
è una cosa tutta da imparare”11 . Il concetto di foresta ritorna anche in Parigi capitale del XIX
secolo, nel capitolo “Le strade di Parigi”, nel quale Benjamin sottolinea che per comprendere il
termine «strada», occorre proliferarlo contro a quello più antico di «sentiero». Nella loro mitologica
natura essi sono assolutamente diversi. Il sentiero porta con sé la paura dell’erranza. L’ombra di
questa paura si deve essere posata sui capi dei popoli nomadi. Tuttora, chiunque si avventuri in
solitudine per un sentiero, dinanzi alle sue svolte e alle decisioni imprevedibili, percepisce il potere
che gli antichi indizi avevano sulle orde nomadi. Chi percorre una strada, invece, apparentemente
non ha bisogno di nessuna indicazione o guida. Sulla strada l’uomo non è in preda all’erranza, ma
10
11 Walter Benjamin, Immagini di città, Einaudi, Torino, 2007, p. 77.
soggiace al fascino della striscia d’asfalto che si svolge monotona. “Il labirinto, tuttavia, rappresenta
la sintesi di queste due paure: una monotona erranza”12.
Secondo Benjamin alla base della flânerie c’è la rappresentazione che il profitto dell’ozio ha più
valore di quello del lavoro. “La noia, nel processo di produzione, nasce con la sua accelerazione,
con la macchina. Il flâneur protesta con la sua ostentata rilassatezza, contro il processo di
produzione”13.
2. La dérive situazionista
Prima di parlare della deriva situazionista è necessario avere in mente la nozione di altri concetti
teorizzati da Debord e compagni. Senza sapere il concetto di situazione costruita, di psicogeografia
e di détournement è impensabile riuscire a cogliere appieno il vero significato della deriva. Questo
perché queste quattro definizioni sono strettamente correlate una con l’altra, sono legate da un
legame viscerale in base al quale esse si spiegano e si completano l’una con l’altra. La deriva infatti,
non è altro che un’azione costruita che si basa sullo studio di carte psicogeografiche con lo scopo di
deturnare lo spazio urbano per criticarlo. “La città è lo spazio della costruzione di situazioni; i
mezzi per attuarla sono il détournement, la psicogeografia e la deriva”14.
L’Internazionale lettrista si propone di realizzare una struttura appassionante della vita.
Sperimentiamo comportamenti, forme di decorazione, di architettura, di urbanismo e di
comunicazione atte a provocare situazioni.
Potlach, n. 14, 1954
Situazione costruita: Momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito mediante
l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti.
La situazione è nello stesso tempo un’unità di comportamento nel tempo. È fatta di gesti contenuti
nello scenario di un momento.
Internazionale situazionista, n. 1, 1958
12 Walter Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, p. 670.
13 Walter Benjamin, Illuminationen: Ausgeweahlte Shriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, 1961, p. 258.
14 Gianfranco Marelli, L’ultima Internazionale. I situazionisti oltre l’arte e la politica, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, p. 49.
La situazione è nello stesso tempo un’unità di comportamento nel tempo. È fatta di gesti contenuti
nello scenario di un momento.
Ibidem
Il concetto di situazione fa la sua comparsa nel 1952 quando Guy Debord lo propone per la prima
volta. Grazie all’azione costruita il filosofo francese tenta di iniziare un processo di superamento e
realizzazione dell’arte a causa della rovina dello spettacolo. Un crollo messo a nudo quando lo
spettatore non diventa altro che mero consumatore programmato della logica mercantile. “Tutta la
pratica situazionista vuole che il soggetto ritorni “viveur”, soggetto di una creatività espressa e
incessantemente reinventata dalla conoscienza sensibile”15. Nella costruzione di situazioni si
esprime l’esigenza del superamento della separazione artistica. Il «superamento» “implica un
duplice aspetto: critica e realizzazione, negazione e raggiungimento di un livello superiore”16 I
situazionisti si soffermano soprattutto sul secondo momento implicito nel «superare»: la
realizzazione, l’elaborazione di strumenti e di prospettive che si pongono chiaramente al di là
dell’arte. I lettristi abbandonano la creazione artistica particolare per cercare di realizzare l’arte
nella vita, per tentare di trasformare la vita in opera d’arte, ricercando in essa un grado superiore di
passionalità. La situazione rappresenta l’incipit per la conquista e la trasformazione cosciente della
vita quotidiana. “La costruzione di situazioni sarà la realizzazione continua di un grande gioco
scelto liberamente; il passaggio dall’uno all’altro di quegli scenari e di quei conflitti di cui i
personaggi di una tragedia morivano in ventiquattro ore. Ma il tempo di vivere non mancherà più17.
Questa definizione, sebbene sia approssimativa, traccia le linee guida lungo le quali si svilupperà
poi il concetto di situazione nell’Internazionale Lettrista prima e successivamente
nell’Internazionale Situazionista. Nel concetto di situazione troviamo legati con forza la ricerca di
una passionalità superiore della vita, “noi lavoriamo all’instaurazione cosciente e collettiva di una
nuova civiltà”18 con uno studio degli scenari, degli elementi architettonici e urbanistici, legame che
esprime chiaramente una vocazione spaziale della situazione. Per essere tale non deve solo
strutturarsi nello spazio alla ricerca di un’abbondanza della vita, ma si presenta necessariamente
come una costruzione collettiva, fondata su una “tecnica dei rapporti” e su “forme di
12
15 Sergio Ghirardi, Non abbiamo paura delle rovine, I situazionisti e il nostro tempo, DeriveApprodi, Roma, 2005, p. 36.
16 Mario Perniola, I situazionisti, il movimento che ha profetizzato la «Società dello spettacolo», Castevecchi, Roma, 1998, p. 13.
17 Potlach, Bollettino dell’Internazionale Lettrista, 1954-1957, Nautilus, Torino, 1999, p. 15.
18 Ivi, p. 3.
comunicazione”. La situazione è quindi la costruzione di momenti della vita dei singoli all’interno
della collettività stessa; è un momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito
attraverso l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco d’avvenimenti. I
situazionisti sostenendo già le forme sperimentali di un gioco rivoluzionario, hanno posto le basi del
superamento di una separazione che è al cuore di ogni teoria rivoluzionaria: quella tra individuale il
collettivo, tra l’uomo concreto e la sua comunità naturale.
Altro elemento portante della situazione è il suo carattere di attività. Il “situazionista” è colui che
provoca le situazioni. Nella costruzione di situazioni la passività, intesa come accettazione di una
realtà che viene vissuta come subita, come evento che semplicemente accade, che viene da sé, è
bandita.
La costruzione di situazioni verrà poi definita meglio da Guy Debord nel suo Rapporto sulla
costruzione di situazioni del 1956. “La costruzione di situazioni comincia al di là del crollo
moderno della nozione di spettacolo. È facile vedere a quale punto è legato all’alienazione del
vecchio mondo il principio stesso di spettacolo: il non intervento. La situazione è così fatta per
essere vissuta dai suoi costruttori”19. Debord aveva pensato questo documento per la conferenza che
avrebbe sancito la fine dell’I.L. e la nascita dell’I.S., presentando un’interpretazione della storia
politico-culturale recente caratterizzata dall’assunto di fondo di un’intrinseca relazione tra le
avanguardie artistiche e quelle rivoluzionarie, legando esplicitamente estetica e politica e
richiamando l’una per riattivare l’altra.
Détournement: di elementi estetici e precostituiti. Integrazione di produzioni attuali o passate delle
arti in una costruzione superiore dell’ambiente. È un metodo di propaganda che testimonia l’usura
e la perdita d’importanza delle antiche sfere culturali.
Internazionale situazionista, n. 1, 1958
Il détournement consiste nella riutilizzazione in una nuova unità di elementi artistici preesistenti.
Integra l’arte attuale o passata in una costruzione diversa. In questo senso non è mai potuta esistere
né una pittura né una musica situazionista, ma soltanto un uso situazionista di questi mezzi. “Le due
leggi fondamentali del deturnamento sono la perdita d’importanza d’ogni elemento autonomo
deturnata e l’organizzazione di un altro insieme significante che conferisce a ogni elemento la sua
nuova portata”20 . Per i situazionisti l’arte e la creazione in generale dovrebbero servire
19 Guy Debord, Rapporto sulla costruzione di situazioni, cit. in La rivolta situazionista, p. 53.
20 Sergio Ghirardi, Non abbiamo paura delle rovine. I situazionisti e il nostro tempo, p. 38.
esclusivamente motivi partigiani, e ciò è necessario per finirla con qualsiasi nozione di proprietà
privata in queste aree. Détournement è la libera appropriazione delle creazioni altrui. Détournement
è decontestualizzazione, denuncia la perdita di valore di tutte le espressività artistiche,
contemporaneamente risolve questa caduta di comunicatività delle arti nel riproporre la loro
espressività sotto un nuovo valore linguistico in grado di significare altro da ciò che formalmente
rappresenta. Va da sé che uno non è limitato al correggere lavori esistenti o integrare diversi
frammenti di lavori scaduti in una nuova opera: si può altresì alterare il significato di questi
frammenti in qualunque modo, lasciando gli imbecilli al loro profuso mantenimento delle
virgolette.
L’uso del détournement da parte dei giovani lettristi è posto come “ponte comunicativo fra la
vecchia espressione artistico-letteraria e l’esigenza di una nuova prassi comunicativa”21.
La creazione artistica culturale situazionista si avvale di progetti per l'urbanismo unitario22 e della
costruzione di situazioni nella vita quotidiana. Per i situazionisti può essere fatta un'arte critica con i
mezzi d'espressione disponibili, dai film alle immagini, attraverso un'azione che viene realizzata
nell'ambito che si vuole attaccare.
Il détournement può essere visto come una deriva che procede, però, da un'idea di critica politica o
culturale finendo col modificare oggetti estetici già dati, come ad esempio testi, immagini suoni ecc.
Il détournement effettua delle citazioni, ma con delle variazioni che effettuano uno scarto di senso.
Altra pratica è inserire citazioni fuori contesto, per esempio si possono mescolare piani culturali
diversi (citazioni dotte con elementi della cultura popolare). Un esempio può essere il deturnamento
di un personaggio dei fumetti, media tradizionalmente considerato "popolare", nel cui baloon sono
riportati discorsi sulla lotta di classe o pubblicità i cui protagonisti effettuano analisi contro il
consumismo. I testi o l’immagine citati, risultano così estranei, inattesi e portatori di una nuova
direzione di significato che originariamente non avevano. Il détournement in altri termini è un caso
specifico e particolare di deriva agito però non sulla posizione spazio-temporale del presente, ma
sul piano storico-culturale e mediatico della società dello spettacolo.
Psicogeografia: studio degli effetti precisi del mezzo geografico, coscientemente organizzato o no,
che agiscono direttamente sul comportamento affettivo degli individui.
14
21 Gianfranco Marelli, L’amara vittoria del Situazionismo. Per una storia critica dell’Internazionale Situazionista 1957 – 1972, BFS Edizioni, Pisa, 1996, p. 33.
22 L’idea principale dell’urbanismo unitario è che il comportamento sociale sia legato all’ambiente e allo scenario circostanti, i quali devono essere modificati in senso passionale in modo da intervenire direttamente sulle affettività degli individui.
Internazionale situazionista, n. 1, 1958
L’obiettivo della psicogeografia è di affinare le qualità di godimento del piacere soggettivo. Lo
spettacolo di quasi tutto ciò che avviene nel mondo suscita la collera e il disgusto dei situazionisti,
tanto loro siano nondimeno capaci di trarre vieppiù il loro divertimento da ogni cosa. Sarebbe vano
cercare altro movente alle teorie sull’architettura che non siano la passione e il gioco. “Quelli che a
questo punto credono che siamo degli ironisti la fanno troppo semplice. La vita attorno a noi è fatta
per obbedire a necessità assurde, e tende inconsciamente a soddisfare i suoi veri bisogni”23. Nella
società moderna acquista valore il peso del tempo libero, in quanto tempo necessario all’uomo che
si è già dato come lavoratore (forza-lavoro) e come consumatore (forza-consumo). In questa società
l’uomo ha difficoltà ad accedere al divertimento perché automatizzat con il solo scopo di lavorare
per produrre consumo un pensiero che occupa la mente umanae costantemente24. Un’alienazione
collettiva, che provoca aridimento, miseria e disagio nella vita umana, creata dal sistema
capitalistico, con lo scopo di occupare il nostro tempo libero con la creazione di bisogni indotti. Per
i situazionisti la soluzione per uscire da questa empasse è il ritorno al piacere soggettivo, la
riappropriazione del tempo libero, attraverso il gioco, inteso non nel senso infantile del termine,
infatti Debord e compagni ritenevano il gioco una pratica molto importante, ma il gioco con lo
scopo di soddisfare il desiderio, la cui realizzazione permette di far chiarezza sugli istinti primitivi.
Tempo-lavoro, tempo-produzione, tempo-consumo, tempo libero, sono tutti tempi dettati dalla
società dello spettacolo, ed è impossibile riuscire ad uscirne. Quindi anziché parlare di
“riappropriazione” del tempo libero, in quanto da sempre appartiene alla società dello spettacolo,
per i situazionisti sarebbe più giusto parlare di “annientamento” del tempo libero in quanto tale,
cercando inoltre di annientare gli altri due tempi, quello della produzione e del consumo. Ottenendo
tale annientamento si riuscirebbe ad ottenere una inclinazione del tempo che sarebbe il tempo della
pratica situazionista, il gioco, la deriva, l’architettura, il bar.
Una parte molto importante del godimento soggettivo per i situazionisti è rappresentata dall’alcol.
Come il flâneur, consumatore di oppio e alcol, anche i situazionisti alterano le proprie percezioni
con sostanze stupefacenti, il bere però rappresenta un punto cardine del loro pensiero politico, il
vino è un modo per riuscire ad affinare il godimento soggettivo. Nel terzo capitolo del primo tomo
23 Potlach, Bollettino dell’Internazionale Lettrista, 1954-1957, p. 50.
24 Nel testo “La società è «un uomo in grande»” di Emmanuele Morandi è riportata una citazione di Hannah Arendt tratta da “Vita activa”, testo pubblicato nello stesso periodo in cui si muovevano i situazionisti, la citazione è molto interessante in quanto anche la filosofa tedesca arriva alle stesse conclusioni dei situazionisti “la vita biologica passa sempre per due fasi, quella del lavoro e quella del consumo, possono mutare le loro proporzioni anche al punto che quasi tutta la forza-lavoro umana sia spesa nel consumo, con il concomitante problema del tempo libero”
de Panegirico, Debord spiega l’importanza che hanno avuto nella sua vita e nel suo pensiero, la
grappa, il vino e la birra “ho anche amato, come tutti, l’effetto della leggera ubriacatura e poi molto
presto ho amato quella che va oltre l’ubriacatura violenta: una pace magnifica e terribile, il vero
gusto del passare del tempo”25.
La psicogeografia si presenta come la fantascienza dell’urbanistica, dove si esprime la conoscenza
poetica del viaggiatore-viveur. “Quest’ultimo può fissarvi l’itinerario della sua esplorazione,
determinandovi le sue scelte e la sua valutazione delle sue scoperte e delle sue emozioni”26. Si
andrà così formando una nuova topografia che rappresenta sotto forma di “linee di circolazione” i
limiti psichici che ambiente abitativo impone ai comportamenti affettivi degli abitanti. Quest’analisi
conferma l’importanza che la “produzione dello spazio” occupa nell’amministrazione del potere da
parte della classe dominante; la stessa realtà quotidiana, indagata con i metodi della psicogeografia,
attesta la volontà da parte dell’ordine capitalistico di costruire l’ambiente, non in relazione con le
necessità delle persone, ma in conformità alle esigenze della produzione e del consumo del sistema
economico. “Lo spazio prodotto dalla società capitalista è uno spazio riservato solo alla
circolazione delle merci e alla loro distribuzione”27.
L'idea promossa dalla psicogeografia è dunque la decostruzione degli spazi urbani e la costruzione
di nuovi, le cui caratteristiche principali siano breve durata, mutazione permanente e mobilità.
L’idea si inscrive in un approccio più globale cercando di rimettere in discussione le gerarchie
costruite nella città capitalista. I situazionisti speravano inoltre di cancellare le distinzioni tra
privato e pubblico, fuori e dentro, uso e funzione, e rimpiazzare lo spazio privato con una superficie
fluida, volatile e «non delimitata», attraverso la quale gli spostamenti sarebbero stati fatti secondo
modalità inusuali28. La psicogeografia studia dunque le correlazioni tra psiche e ambiente,
assumendo caratteri sovversivi nei confronti della geografia classica e ponendo al centro dei suoi
scopi la ri-definizione creativa degli spazi urbani. “La psicogeografia è un gioco e allo stesso tempo
un metodo efficace per determinare le forme più adatte di decostruzione di una particolare zona
metropolitana, le forme più adatte a far saltare il reseaux traiettoriale, "il moto-controllo delle forme
16
25 Guy Debord, Panégyque I, Éditions Gérard Lebovici, 1989, in Guy Debord oeuvres, Gallimard, Paris, 2006, p. 1669.
26 Sergio Ghirardi, Non abbiamo paura delle rovine. I situazionisti e il nostro tempo, p. 39.
27 Gianfranco Marelli, L’amara vittoria del Situazionismo. Per una storia critica dell’Internazionale Situazionista 1957 – 1972, p. 26.
28 Eyal Weizman nel suo libro À travers le murs, La fabrique édition, Parigi, 2008, spiega come “l’armata israeliana si è riappropriata del discorso dei situazionisti con dei fini tattici, per legittimare un attacco contro l’habitat mal protetto dei miserabili rifugiati palestinesi. In questo contesto, la trasgressione delle frontiere domestiche rappresenta la trasgressione stessa della repressione dello Stato ” cit. p. 67.
di vita metropolitane" e a sabotare il Codice del Surluogo”29. Attraverso il gioco psicogeografico si
prefigura un nuovo modo di vivere la città, ci si procura gli elementi per una critica radicale
all'urbanistica funzionalista e razionalista delle società spettacolari. La tecnica dell'esplorazione
psicogeografica è la Deriva, un passaggio improvviso attraverso ambienti diversi. Con la Deriva
Lettrista apparve per la prima volta l'esigenza di azzerare lo spazio tramite un "bouleversement"
psichico della città che permettesse la realizzazione della "creatività pura", la terra doveva far
corposenzorgani30 con il nomade, non si trattava più di un automatismo psichico ma di un
divertente gioco per indizi, di corrispondenze tra psiche e territorio, d’infrazioni e nuove
connessioni. “La Deriva Lettrista consisteva dunque in una semplice passeggiata che favorisse
l'ispirazione per la costruzione di una nuova città che avrebbe coniugato il progetto di
"Sconvolgimento dell'Architettura", ovvero il deturnamento del piano simbolico dell’architettura
con "l'Ipergrafologia", intesa come l’esagerato uso di segni riconducendo tutto a segni, la
corrispondenza psico-geografica, dove le forme delle costruzioni sarebbero diventate segni, o
elementi dell'insieme dei caratteri fonetici, lessicali, ideografici”31.
Oltre alla deriva esistono anche altri mezzi della psicogeografia, quali la lettura di vedute aeree e di
piani, lo studio di statistiche, di grafici o di risultati d’inchieste sociologiche. Sono teorici e non
presentano quell’aspetto attivo e diretto proprio della deriva sperimentale. Tuttavia, grazie a loro,
possiamo rappresentare sommariamente l’ambiente da studiare. I risultati di questo studio potranno,
in cambio, modificare queste rappresentazioni cartografiche e intellettuali nel senso di una più
grande complessità, di un arricchimento.
Deriva: modo di comportamento sperimentale legato alle condizioni della società urbana: tecnica
di passaggio frettoloso attraverso vari ambienti. Si dice anche, più particolarmente, per designare
la durata di un esercizio continuo di questa esperienza.
Internazionale situazionista, n. 1, 1958
L’esperienza della deriva è indissolubilmente legata al riconoscimento di effetti psicogeografici sul
soggetto che afferma un comportamento ludico e costruttivo, e favorisce la costruzione di situazioni
29 cit. da http://www.inventati.org/noviglob/calendar/DeRive.html, consultato il 14 gennaio 2012.
30 Inteso come nel pensiero di Deleuze, come l'inconscio, il rimosso del corpo e la sua sempre virtuale potenzialità; esso è cioè il desiderio stesso in quanto riserva di produttività sempre pronta a generare nuove connessioni, rivoluzionando l'esistente in nome di un corpo ancora da fare e sempre a venire.
31 cit. da http://www.lutherblissett.net/archive/274_it.html, consultato il 14 gennaio 2012.
in una dimensione seminomade32. L’architetto situazionista Nieuwenhuys Constant, rielaborò
successivamente la teoria situazionista della deriva per sviluppare l’idea di una città nomade - New
Babylon - portando il tema del nomadismo nell’ambito dell'architettura e fornendo le radici alle
avanguardie radicali degli anni successivi33.
La definizione di deriva, da tutti i punti di vista, oppone la deriva alle nozioni classiche del viaggio
e della passeggiata, nulla però impedisce che un viaggio o una passeggiata vengano deturnati in una
deriva. “Debord descrive la deriva come un semplice «mettersi in movimento» senza uno scopo
preciso o imposto da necessità esterne a noi, sperimentando in tal modo l’effetto détournement che
l’ambiente riceve dai nostri occhi; con ciò egli sottolinea l’aspetto gratuito e perfettamente
individuale di questo metodo”34.
Nella deriva il caso gioca un ruolo importante ma la sua azione è naturalmente conservatrice e tende
a riportare tutto all’alternanza di un numero limitato di varianti e all’abitudine. La sua importanza
diminuisce quanto più l’osservazione psicogeografica si fa sicura.
Né l’individuo né la società diventeranno veramente umani se non a partire da un comportamento
che, alle motivazioni abituali per spostarsi e agire, ai lavori e agli svaghi che questi motivi
comportano, opponga la libertà attiva e pigra di lasciarsi andare alle sollecitazioni del terreno e
degli incontri che gli corrispondono. Come l’arte della flânerie, anche la deriva comprende il
lasciarsi trasportare dal caso ma, al tempo stesso, include la sua contraddizione necessaria: il
dominio delle variazioni psicogeografiche attraverso la conoscenza e il calcolo delle loro
possibilità.
La pratica della deriva è fondamentale nell’esperienza situazionista, dove il desiderio e le sue
creazioni sono privilegiati attraverso il rifiuto assoluto dell’obbligo e del dovere nell’approccio del
vissuto. È la realtà stessa può e deve diventare meravigliosa grazie al superamento dell’arte in uno
«stile di vita» “che susciti in ogni individuo nuove passioni, nuovi desideri, al punto da indurlo al
tempo stesso a modificare radicalmente la propria vita e a trasformare la società”35. È per questo
18
32 Seminomade perché la deriva ha un inizio e una fine, la deriva non ha una forma ciclica e non è dettato da motivi economici per motivi di tradizione storica e culturale come il nomadismo. Grazie ai campi nomadi di zingari di Alba che i situazionisti vedono con i propri occhi la reale possibilità di un diverso modo di abitare.
33 In un interessante testo di Francesco Careri, Constant. New Babylon, una città nomade, Testo e immagine, Torino, 2001, viene raccontata la nascita del pensiero di Constant grazie alle influenze situazioniste, la sua fuoriuscita dall’Internazionale situazionista e soprattutto l’idea visionaria di una città nomade, dove gli edifici sarebbero stati costruiti su binari in modo da spostarsi nel cuore della notte, obbligando così gli abitanti, il giorno dopo, a effettuare delle derive per raggiungere la loro destinazione.
34 Gianfranco Marelli, L’amara vittoria del Situazionismo. Per una storia critica dell’Internazionale Situazionista 1957 – 1972, p. 28.
35 Gianfranco Marelli, L’ultima Internazionale. I situazionisti oltre l’arte e la politica, p. 46.
che i situazionisti hanno criticato la poetica surrealista poiché essa si contraddistinse per una netta
separazione fra la vita reale e vita immaginaria, finendo per sacrificare la vita alla realizzazione di
un sogno meraviglioso e alla grande importanza che i surrealisti riponevano nell’inconscio e al
caso. Queste categorie sono ancora presenti nei situazionisti, ma vengono stemperate e ricondotte
ad un piano di realtà della vita e quindi alla città reale. La deriva è infatti la costruzione e la
sperimentazione di nuovi comportamenti nella vita reale, “la realizzazione di un modo alternativo di
abitare la città, uno stile di vita che si situa fuori e dentro le regole della società borghese e che
intende essere il superamento della deambulazione surrealista”36. Nel surrealismo convivevano
effettivamente sia tentativi di realizzare un nuovo uso della vita che una reazionaria fuga dal reale.
La costruzione di situazioni e la pratica della deriva si fondano invece su un concreto uso dei mezzi
e dei comportamenti che si possono sperimentare direttamente nella realtà. In questo senso
l’importanza data ai sogni è interpretata dai situazionisti come l’incapacità della società borgese di
realizzare nella realtà un nuovo stile di vita. La costruzione delle situazioni e la pratica della deriva
si fondano invece su un concreto controllo dei mezzi e del comportamenti che si possono
sperimentare direttamente nella città. I situazionisti rifiutavano l’idea di separazione tra la vita reale
alienata e noiosa e una vita immaginaria e meravigliosa: è la realtà stessa che doveva diventare
meravigliosa. Per i situazionisti il tempo dell’inconscio e del sogno era finito, bisognava agire e
sperimentare modi di vita superiori attraverso la costruzione di situazioni e la deriva: bisognava
agire e non sognare.
3. La pratica della deriva
Lo scopo della deriva è costruire una cartografia influente che sino ad oggi è mancata e la sua
attuale incertezza, inevitabile fino a quando non verrà portata a termine una mole immensa di
lavoro, non è peggiore di quella dei primi portolani. Si interviene sulla città criticandone
l’organizzazione spettacolare e si trasforma in un nuovo spettacolo, la cui regia è affidata ai
situazionisti. “Non più musei, non più cimiteri né luoghi di culto; non più statue; dalle vie verranno
cancellati i nomi di santi e ministri, eroi della Resistenza e i lampioni saranno muniti di interruttori
disponibili al pubblico; la metropolitana sarà sempre aperta e così i giardini pubblici; e i tetti delle
case e le scale antincendio funzioneranno da passerelle per la realizzazione di derive
psicogeografiche”37.
36 Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Einaudi, Torino, 2006, p. 60.
37 Gianfranco Marelli, L’ultima Internazionale. I situazionisti oltre l’arte e la politica, p. 49.
Nel 1956, ad Alba, dopo essere venuti a contatto con l’universo nomade, Asger Jorn e Guy Debord,
forniscono le prime immagini di una città formata sulla dérive. La deriva lettrista si trasforma in
costruzioni di situazioni sperimentando comportamenti ludico-creativi e ambienti unitari. Débord ha
elaborato delle regole per la deriva, con lo scopo di sfuggire al soggettivismo frenetico dato dal caso
secondo l’automatismo psichico surrealista. Delle regole per andare in contro ad una esplorazione
avventurosa e particolare , per garantire un effetto oggettivo:
- Condividere: essere in gruppo, ma non troppi. Il numero ideale sarebbe un gruppo di due o tre
persone che giungono ad una stessa presa di coscienza, il recupero delle impressioni dei differenti
gruppi dovrebbe permettere di stilare delle conclusioni oggettive. Il gruppo delle persone
dovrebbe cambiare tra una deriva e l’altra. Un numero maggiore di quattro o cinque persone
partecipanti alla deriva diminuirebbe il carattere proprio della deriva poiché si incorrerebbe nel
rischio che la deriva si frammenti in più derive.
- Durata: da qualche ora a una settimana. La durata media di una deriva è una giornata, intesa come
l’intervallo di tempo tra un sonno e l’altro. Questa durata media della deriva ha un solo valore
statistico, “infatti essa difficilmente si presenta nella sua pura essenza in cui si evitano
difficilmente gli interessi, all'inizio o alla fine della giornata, distraendosi per qualche ora con
delle occupazioni banali”38. La deriva si sviluppa però soprattutto in qualche ora deliberatamente
fissata, o anche durante qualche breve istante fortuito o, al contrario, durante più giorni senza
interruzione. Malgrado l’arresto imposto dalla necessità del dormire, alcune derive di una
necessità sufficiente, si sono prolungate per tre, quattro giorni o ulteriormente. È però vero che
durante una deriva così lunga nel tempo, è quasi impossibile di determinare il momento preciso in
cui lo stato d’animo proprio di una deriva lascia il posto ad un’altra. Nel tempo la deriva
dev’essere “costante, lucida; basata sugli influssi e sopratutto eminentemente fuggitiva”39. Nel
nono numero dell’Internazionale situazionista, viene descritta la deriva come una tecnica quasi
terapeutica, ma una deriva continua è un pericolo nella misura in cui si protrae troppo a lungo nel
tempo senza protezione, “rischia di esplodere , di dissolversi, di disintegrarsi. Ed è così la ricaduta
in ciò che si dice la «vita corrente», o per meglio dire, la «vita pietrificata»”40.
- Clima: il bel clima favorisce la pratica. Se il bel clima favorisce la pratica, è anche vero però che
l’influenza delle variazioni climatiche sulla deriva, anche se reale, non è assolutamente
determinante se non nel caso delle piogge prolungate che la impediscono quasi completamente.
20
38 cit. da https://infokiosques.net/lire.php?id_article=357, consultato il 22 gennaio 2012.
39 Potlach, Bollettino dell’Internazionale Lettrista, 1954-1957, p. 39.
40 Guy Debord, Internazionale situazionista, B.P., Parigi, 1964, p. 41.
Anzi, le tempeste o altre specie di precipitazioni sono piuttosto favorevoli.
- Territorio: la portata del campo spaziale delimitato in un minimo di un’unità d’ambienti (un
quartiere), fino ad un massimo di una città e la sua periferia. Nello spazio la deriva dev’essere
“disinteressata, sociale, sempre appassionante”41. In ogni caso il campo spaziale è in primo luogo
funzione delle basi di partenza costituite, per i soggetti singoli, dai loro domicili, e per i gruppi,
dai loro punti scelti per il loro incontro. L'estensione massima di questo campo spaziale non
supera mai il complesso di una grande città e della sua periferia. La sua estensione minima può
essere limitata a una piccola unità di ambienti: un solo quartiere, o anche un solo un piccolo
gruppo di case isolate, se ne vale la pena. L’esplorazione di un campo spaziale scelto presuppone
lo studio di base e il calcolo delle direzioni di penetrazione. È in questo caso che intervengono gli
studi delle carte sia geografiche che psicogeografiche, la riflessione e il miglioramento di queste
carte. Il campo spaziale della deriva è però più o meno preciso o vago a seconda che questa
attività si focalizzi sullo studio di un terreno o sui risultati sentimentali del percorso. Non bisogna
tralasciare il fatto che questi due aspetti della deriva presentano molteplici interferenze è che è
impossibile isolarne uno allo stato puro. “Ma infine l’uso dei taxi, per esempio, può fornire una
linea di demarcazione abbastanza chiara: se nel corso di una deriva si prende un taxi, sia per una
destinazione precisa, sia per spostarsi velocemente di venti minuti verso l’ovest, è per aggrapparsi
soprattutto allo spaesamento personale. Se ci si attiene all’esplorazione diretta di un terreno, si
mette in primo piano la ricerca di un urbanismo psicogeografico”42. In Potlach troviamo uno
scritto di Michèle Bernstein, la moglie di Guy Debord, in cui spiega l'importanza dei tassì nella
distrazione chiamata da loro deriva, dalla quale si aspettano i più probanti risultati educativi. “Solo
il tassì permette un’estrema libertà di tragitto. Percorrendo distanze variabili in un dato tempo,
esso è d’aiuto allo spaesamento automatico. Il tassì non lega il “viaggiatore”, può essere lasciato
non importa dove, e preso dal caso. Lo spaesamento senza scopo, e arbitrariamente modificato per
strada, può andare d’accordo solo con il percorso, essenzialmente fortuito, dei tassì”43.
Sebbene l’uso dei taxi sia gradito dai situazionisti, e anzi come detto poc'anzi, sono utili nella
deriva, come mezzo di disorientamento, i situazionisti criticano l’uso dell’automobile individuale
come mezzo di trasporto, infatti, nel primo numero dell’Internazionale Situazionista, viene definita
principalmente come un giocattolo idiota e secondariamente un mezzo di trasporto. “È
essenzialmente la principale materializzazione di una concezione del benessere che il capitalismo
41 Ibidem.
42 cit. da https://infokiosques.net/lire.php?id_article=357, consultato il 22 gennaio 2012.
43 Potlach, Bollettino dell’Internazionale Lettrista, 1954-1957, p. 20.
sviluppato tende a diffondere alla società nel suo insieme. L’automobile come bene sovrano di una
vita alienata, e, inseparabilmente, come prodotto essenziale del mercato capitalista, è al centro della
stessa propaganda globale”44. Il tempo di trasporto è visto come un lavoro aggiuntivo che riduce
altrettanto la giornata di vita cosiddetta libera, la circolazione deve passare da supplemento del
lavoro a circolazione come piacere. Debord e compagni non tentano di combattere l’automobile
come un male, in quanto la sua estrema concentrazione nelle città porta alla negazione del suo
ruolo, non bisogna ignorarla, ma tanto meno accettarla come tema centrale dell’urbanismo. Bisogna
piuttosto scommettere sul suo deperimento.
È camminando che si riesce a vivere e percepire realmente i luoghi della città, lasciandosi
trasportare alla deriva, come una nave che va alla deriva, anche i situazionisti vanno alla deriva in
una città definita liquida, “un liquido amniotico dove si formano spontaneamente gli spazi
dell’altrove, un arcipelago urbano da navigare andando alla deriva”45. Una città in cui gli spazi della
strada sono le isole del grande mare formato dallo spazio dell’andare. Il termine «percorso» viene
riscoperto da Dada, dai surrealisti e successivamente da Debord per indicare allo stesso tempo l’atto
dell’attraversamento (il percorso come azione del camminare), la linea che attraversa lo spazio (il
percorso come oggetto architettonico) e il racconto dello spazio attraverso (il percorso come
struttura narrativa).46
Camminare in gruppo lasciandosi trasportare dalle sollecitazioni impreviste, passando intere notti di
locale in locale bevendo, discutendo e sognando una rivoluzione che sembrava essere alle porte,
diventa per i situazionisti una forma di rifiuto del sistema: un mezzo per sottrarsi alla vita borghese
e per contestare le regole del sistema dell’arte. La deriva era in effetti un’azione che difficilmente
poteva essere spesa del sistema dell’arte, in quanto consisteva nel costruire la modalità di una
situazione il cui consumo non lasciava tracce. Era un’azione fugace, un istante immediato da vivere
nel momento presente senza preoccuparsi della sua rappresentazione e della sua conservazione nel
tempo. Un’azione che rientrava perfettamente nella logica dadaista dell’anti-arte.
Il gusto della deriva induce a preconizzare ogni sorta di nuove forme di labirinto, fornite dalle
moderne possibilità di costruzione. Il labirinto è la struttura ambientale più stimolante per la deriva
22
44 Guy Debord, Internazionale situazionista, 32 rue de Montagne-Geneviève, Paris, 1959, p. 36.
45 Francesco Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, p. 4.
46 Francesco Careri, assieme al suo gruppo, Stalker, cerca di rianalizzare e riproporre forme di comportamento e attività di ricerca urbana che si richiamano alla deriva situazionista. Stalker è un collettivo che cerca di agire in aree intorno ai margini della città, negli spazi urbani abbandonati e nelle aree e nelle regioni in trasformazione. Anche per Stalker la pratica del camminare è molto importante perché grazie a questa pratica si è capaci di vedere quello che non c’è per farne scaturire qualcosa. Questo gruppo però non è riuscito a cogliere la trasversalità della deriva, il suo essere nodo che travalica i limiti estetici per aprirsi ad altre questioni.
situazionista, in quanto è un gioco sulla base dello spaesamento, da ciò deriva la loro attenzione per
città labirintiche come Venezia o Amsterdam, “alla base sta il tentativo di superare la geometria
euclidea, la quale fonda appunto una visione esclusivamente quantitativa nello spazio”47. Il
perdersi, il lasciarsi trasportare dal caso nel labirinto della città va a creare una serie di ambienti
ludici con lo scopo di abolire ogni separazione tra gioco e vita corrente, tra scherzo e impegno. Il
gioco sarà così non-competitivo, sociale e totale. “Esso non avrà più nulla a che fare con le forme
regressive del gioco che rappresentano i suoi ritorni a degli stadi infantili sempre legati alle
politiche reazionarie”48. Il primo insegnamento della deriva è la sua esistenza in gioco. La
modificazione dell’ambiente fa nascere nuovi stati d’animo, d'dapprima passivamente percepiti, poi
portati a reagire costruttivamente, con l’accrescimento della conoscenza. Per i situazionisti bisogna
sia sfruttare gli scenari attuali, con l’affermazione di uno spazio ludico quale lo fa riconoscere la
deriva, sia costruirne di totalmente inediti. Questa compenetrazione implica la gestione del
détournement architettonico. “La deriva è dunque il tentativo di ribaltare la condizione che
costringe l’individuo a essere abitato, per sperimentare, da un diverso punto d’approccio, le stesse
strutture che lo costringono e lo condizionano”49. La deriva non mira solo alla definizione delle
zone inconsce della città, ma appoggiandosi alla «psicogeografia» intende individuare gli effetti
psichici che il contesto urbano agisce sugli individui.
Il sentimento della deriva è naturalmente connesso con una più generale maniera di prender la vita,
che non di meno sarebbe maldestro dedurre meccanicamente. Le difficoltà della deriva sono quelle
della libertà. Tutto induce a credere che l’avvenire precipiterà il cambiamento irreversibile del
comportamento e dello scenario della società attuale. “Un giorno si costruiranno della città per
praticarvi la deriva. Si possono utilizzare, con dei ritocchi relativamente leggeri, certe zone che
esistono già. Si possono utilizzare certe persone che esistono già”50.
47 Mario Perniola, I situazionisti. Il movimento che ha profetizzato la «Società dello spettacolo», p. 17.
48 Ivi, p. 19.
49 Gianfranco Marelli, L’amara vittoria del Situazionismo. Per una storia critica dell’Internazionale Situazionista 1957 – 1972, p. 27.
50 Guy Debord, Les Lèvres nues, n. 9, novembre 1956
24
II. LA DERIVA NEL CINEMA DI DEBORD
1. Con e contro il cinema
Se è esistita l’Internazionale Situazionista, il merito va riconosciuto al cinema. Infatti è grazie
all’irruzione dell’ala sinistra dei Lettristi guidata da Guy Debord ad una conferenza stampa di
Charlie Chaplin al Paris Ritz nell'estate del 1952, che il Lettrista Isidore Isou denunciò Debord e
compagni, i quali si scissero dall’Internazionale Lettrista, per confluire in quella Situazionista.
Per i situazionisti il cinema è la forma d’arte centrale della nostra società, anche nel senso che il suo
sviluppo viene cercato in un movimento continuo di integrazione di nuove tecniche meccaniche. È
dunque la migliore rappresentazione di un’epoca di invenzioni anarchiche giustapposte (non
articolate, semplicemente addizionate).
Il cinema è stato considerato dai situazionisti come una possibile via verso il superamento dell’arte.
Ma era necessario distinguere nettamente il suo uso attuale, espressione della società dello
spettacolo, da un suo possibile orientamento situazionista. Il cinema si presenta come un sostituto
passivo dell’attività artistica unitaria che adesso è possibile. Conferisce poteri inediti alla logora
forza reazionaria dello spettacolo senza partecipazione, il cinema, nella sua dimensione attuale,
“non fa che rinforzare la passività in cui il potere cerca di relegare il proletariato”51. Non ci si fa
scrupolo di dire che si vive nel mondo che conosciamo per il fatto che ci si trova senza libertà al
centro miserabile dello spettacolo, «perché se ne fa parte integrante». “Quelli che vogliono costruire
questo mondo devono allo stesso tempo combattere nel cinema la tendenza a costruire
l’anticostruzione di situazione e riconoscere l’interesse delle nuove applicazioni tecniche valide in
se stesse”52. La grande importanza attribuita al cinema, da parte dei situazionisti, è dovuta al fatto
che avevano riconosciuto in questo mezzo, una maggiore forza di condizionamento dei mezzi che
mette in azione e comporta necessariamente il suo accresciuto controllo da parte della classe
dominante. Per Debord bisogna quindi lottare per impadronirsi di un settore realmente sperimentale
nel cinema. Il filosofo francese, per impadronirsi di questo settore, nei suoi film ha quindi
sperimentato a tal punto che il suo cinema è stato etichettato dai critici cinematografici con “cinema
sperimentale” e “non-film”, tanto che questi appellativi sono diventati un luogo comune per le
opere cinematografiche di Debord. I film del filosofo situazionista devono però essere considerati
51 Mario Perniola, I situazionisti. Il movimento che ha profetizzato la «Società dello spettacolo», p. 22.
52 Guy Debord, (Contro) il cinema, Editrice Il Castoro, Milano, 2001, p. 65.
dei veri e propri film e bisogna quindi eliminare le etichette date dalla critica.
In Introduction au cinéma de Guy Debord et de l’avant-garde situationniste di Antoine Coppola
troviamo la seguente affermazione tratta dal primo numero de Internazionale Situazionista: “Il
cinema che ha virtualmente dei poteri più forti rispetto alle arti tradizionali, è appesantito da troppe
catene economiche e morali per poter mai essere libero dalle presenti condizioni sociali”53
“Possiamo considerare due distinti utilizzi del cinema: innanzitutto il suo impiego come forma di
propaganda nel periodo di transizione presituazionista; poi il suo uso diretto come elemento
costitutivo di una situazione realizzata”54.
Il cinema è così paragonabile all’architettura per la sua attuale importanza nella vita di tutti, per le
limitazioni che gli impediscono di rinnovarsi, per l’immensa portata che non può mancare di avere
la sua libertà di rinnovarsi, per l’immensa portata che non può mancare di avere la sua libertà di
rinnovarsi. Per i situazionisti bisognava approfittare degli aspetti progressivi del cinema industriale
dal quale si può riuscire ad estrarre la perla nascosta nella fogna del funzionalismo assoluto.
Il cinema secondo i situazionisti permette di esprimere ogni cosa, come un articolo, un libro, un
volantino e o un manifesto. È il motivo per il quale ritengono di essere obbligati ad esigere che ogni
situazionista sia in grado di girare un film, così come scrivere un articolo. “Il cinema si presta
particolarmente bene, fra altre possibilità, allo studio del presente come problema storico, allo
smantellamento del processo di reificazione”55. La realtà storica però non può essere colta,
conosciuta e filmata se non nel corso di un processo complicato di mediazioni che permetta alla
conoscenza di riconoscere un momento nell’altro, il suo scopo e la sua azione nel suo destino, il suo
destino nel suo scopoe nella sua azione, la sua propria essenza in questa necessità. Questa
mediazione è mancata, e doveva necessariamente mancare, al cinema presituazionista, che si è
fermato alle forme cosiddette oggettive, alla ripresa di concetti politico-morali.
“Dopo la formazione dell’I.S., Debord si lancia nella realizzazione di film che spiegavano le nuove
tesi del gruppo, attorno ai temi della separazione, della deriva psicogeografica, della creazione di
situazioni, della rivoluzione della vita quotidiana, dell’urbanismo unitario, dello spettacolo”56. Il
cinema di Debord è essenzialmente il cuore della sua opera. C’è più che una semplice coerenza tra
l’opera scritta, opera cinematografica, l’una nutre l’altra e viceversa, e soprattutto l’opera vissuta, la
26
53 Antoine Coppola, Introduction au cinéma de Guy Debord et de l’avant-garde situationniste, Éditions Gulliver, Paris, 2006, p. 46.
54 Guy Debord, Internazionale situazionista, 32 rue de Montagne-Geneviève, Paris, 1958, p. 9.
55 Guy Debord, Internazionale situazionista, B.P., Parigi, 1967, p. 35.
56 Antoine Coppola, Introduction au cinéma de Guy Debord et de l’avant-garde situationniste, p. 46.
sua vita come un’opera, come la vita consacrata alla poesia ribelle. Sono tutti pezzi dello stesso
puzzle.
La negazione dell’arte non è la negazione della sua storia. Tutta l’opera di Debord si è nutrita di
tutti i mezzi che questa storia dell’arte poteva dargli; per lui non ci sono mai state delle soluzioni di
continuità tra quello che sarà scritto e quello che sarà girato. Quando gli spettatori dei film
commentavano allora che: quello di Debord non era cinema; ma questo film non è cinema! Per
debord la negazione dell’arte è divenuta arte della negazione: la sua arte57. Debord stesso rifiutava
di essere etichettato come regista (a dire il vero rifiutava qualsiasi tipo di catalogazione), celebre
rimane la sua provocazione nel 1953, dopo la proiezione del suo primo film, Hurlements en faveur
de Sade, che affermava che “il cinema era morto”, e più chiaramente possiamo trovare questo suo
pensiero nel suo ultimo film, del 1978, In girum imus nocte et consumimur igni, “a considerare la
storia della mia vita, vedo ben chiaramente di non poter fare ciò che si chiama un'opera
cinematografica". Il filosofo francese però considerava il cinema una macchina commerciale e uno
strumento di pacificazione sociale. Per questo nei suoi film compaiono le sue idee rivoluzionarie, in
cui le immagini sono considerate invasive, poiché ogni forma di rappresentazione spettacolare non
è altro che un impoverimento rispetto alla complessità e intensità della vita. I suoi film (o non-film),
utilizzando essenzialmente delle immagini e delle citazioni deturnate, sono quindi dei veri e propri
manifesti della negazione della società. Debord ha guardato al suo tempo come a una guerra senza
fine in cui la sua intera vita è stata impegnata in una strategia. Ecco perché penso che occorra
domandarsi qual é il senso del cinema in tale strategia. Perché il cinema e non, per esempio, la
poesia, come fu il caso di Isou, che é stato così importante per i situazionisti? La risposta ce la
fornisce Giorgio Agamben: “io credo che ciò abbia a che fare con lo stretto legame che unisce
cinema e storia”58.
2. Hurlements en faveur de Sade (1952)
Guy Debord comincia la sua avventura cinematografica con il film intitolato Hurlements en faveur
de Sade. Già a partire dal titolo Debord inganna lo spettatore il quale per tutto il film si aspetterà di
assistere ad urla e sopratutto che si parli di Donatien Alphonse François De Sade, all’interno del
57 In Guy Debord: de son cinéma en son art et en son temps di Guy-Claude Marie, troviamo un’interessante citazione che rafforza questo pensiero: “Lui la cui opera è precisamente l’insieme indissociabile dei libri, dei film, delle invenzioni, delle amicizie, degli amori... al suo tempo non avrebbe mai avuto altro criterio per la questione di stile, che quello della grandezza, del sublime”.
58 Roberto Turigliatto, Guy Debord (contro) il cinema, Editrice Il Castoro, Milano, 2001, p. 104.
film invece non si trovano né urla né tanto meno riferimenti a Sade. “Grazie a questa piroetta
ironica, Debord fa appello alla dissoluzione di quello che viene chiamato il soggetto al quale il
cinema dei documentari e delle fiction si fanno orgoglio di trattare o di identificare”59.
La prima versione del film comprendeva anche delle immagini, ma nella versione definitiva l’unica
immagine che è rimasta è la scitta a inizio film “Hurlements en faveur de Sade”. Durante la
proiezione dei dialoghi lo schermo è uniformemente bianco. I dialoghi, la cui durata complessiva
non supera la ventina di minuti, sono a loro volta dispersi per brevi frammenti in un’ora di silenzio.
Durante la proiezione dei silenzi lo schermo resta assolutamente nero; e di conseguenza anche la
sala. Le voci che si sentono, tutte inespressive, sono quelle di Gil Wolman, Guy Debord. Serge
Berna, Barbara Rosenthal, Jean-Isidore Isou. Hurlements... contiene diversi tipi di suoni, dalle
citazioni letterarie alle citazioni di diversi stili di scrittura come la lettura di alcuni estratti del
codice civile o di articoli di quotidiani d’informazione; il gioco di parole tra amici, i pensieri
profondi, gli insulti in un collage per contrasto o dissomiglianza, lo rende un documento autonomo
che rispecchia la nostra epoca. “L’uso delle citazioni senza mettere gli autori è la prima forma di
détournement e di lotta contro il copyright capitalista: la citazione anonima è la riattualizzazione”60.
I silenzi e lo schermo nero sono di durata variabile all’interno del film, a volta aumentati, a volte
diminuiti, con lo scopo di mantenere il pubblico in uno stato di indecisione e di spaesamento
durante la visione. L’ultima sequenza, nera e silenziosa è di ventiquattro minuti. La percezione di
questo montaggio è di discontinuità e catapultano lo spettaore in uno stato di spaesamento. Questa
immagine-tempo, costituita dall’interruzione, è classificata da Deleuze come una delle tre
componenti del cinema cerebrale, in quanto tale immagine “mette il pensiero in rapporto con un
impensato, l’inevocabile, l’inesplicabile, l’indecidibile, l’incommensurabile, il fuori o il rovescio
delle immagini hanno sostituito tutto, mentre l’interstizio o l’interruzione hanno sostituito
l’associazione”61.
La deriva è disorientamento; è sperimentare l’effetto détournement che l’ambiente riceve dai nostri
occhi. In Hurlements... questo effetto è dato dalle numerose citazioni deturnate su schermo bianco
con continue interruzioni messe in opera dai silenzi e dallo schermo nero. Queste interruzioni non
sono soltanto una pausa, sono una non-coincidenza, una disgiunzione tra il suono e il senso. Non si
tratta di un'interruzione nel senso della pausa, in un senso cronologico: è piuttosto una potenza
d'interruzione che lavora l'immagine stessa, che la sottrae al potere narrativo per esporla in quanto
28
59 Antoine Coppola, Introduction au cinéma de Guy Debord et de l’avant-garde situationniste, p. 75.
60 Ivi, p. 89.
61 Gilles Deleuze, L’immagine Movimento. Cinema 1, Ububibri, Milano 1984, p. 247
tale. E' in questo senso che Debord lavora con questa potenza dell’interruzione. Le interruzioni
catapultano lo spettatore in uno stato di spaesamento, frammentano il film e non forniscono una
linea guida per la comprensione della pellicola cinematografica. I silenzi però d’altro canto
forniscono anche un tempo di interruzione, un tempo in cui lo spettaore può interrogarsi sul
significato delle frasi deturnate che ha appena ascoltato, senza però venirne a capo, rimanendo in
uno stato di spaesamento e incomprensione per tutta la durata del film e anche a proiezione
terminata.
Lo schermo nero durante i silenzi di “Hurlements en faveur de Sade”
Debord sapeva che Hurlements... non si riduceva solo a questa alternanza di bianco e nero, quello
che lo renderà il film più estremo; questa decostruzione avviene anche per la colonna vertebrale
della parola alla quale assegna uno statuto così particolare. Mostra anche, in maniera
oggettivamente radicale e soggettivamente sensibile, che il film è una costruzione audiovisiva, che
sono la correlazione pensate di questa materia, quelle delle immagini e quelle dei suoni, che fanno
di un’opera cinematografica e che è anche, al di là della pura negazione, di ripensare a tette le
questioni e a tutte le possibilità. “Questa question di cinéma, sia per le proposte teoriche, sia per le
proposte pratiche, resterà presente in tutti i suoi film a venire”62.
62 Guy-Claude Marie, Guy Debord: de son cinéma en son art et en son temps, Librarie Philosophique J. Rvin, Parigi, 2009, p. 45.
3. Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps (1959)
Sur le passage de quelques... è il secondo film di Debord. È girato come un "documentaire à
l'envers", la cinepresa alterna paesaggi vaghi e vedute d’esterno, dove la prevenzione sistematica di
tutto ciò che “degni d’interesse”, crea una sensazione di malessere rafforzata per dei commenti
volutamente senza senso, frasi deturnate, citazioni classiche mescolate con dei dialoghi di un film di
fantascienza e deturnamenti di pubblicità commerciali. Il film comprende una ricostruzione della
forma dgli annunci dei trailer dei film dell’epoca (anni Cinquanta). Seguiamo un incontro
all’interno di un bar, il suo movimento è arbitrariamente tagliato da delle scritte come le “réclames”
pubblicitarie dell’epoca: “Les passions et les fêtes d’une epoque violente”, “Le plus émouvant
suspense” con una musica in sottofondo, allegro di Delalande e i dialoghi seguenti: “quand elle
s’exerce dans un circuit fermé, la liberté se dégrade en rêve, devient simple représantation d’elle-
même...”. Gli annunci pubblicitari preannunciano una pausa come per i film hollywoodiani ma qui
si applica su una scena di vita quotidiana al bar63. La vita quotidiana, presente nella sua totalità è,
per Debord, il non-soggetto per eccellenza. I dialoghi deplorano la desertificazione spettacolare
della vita quotidiana. Ad ogni tema corrisponde la scelta di immagini deturnate nei diversi generi
audiovisivi.
Il titolo Sur le passage de quelques... corrisponde ad una descrizione possibile della vita . “Essa è
inseparabile dal tempo. È qualificando il tempo, programmandolo che lo spettacolo programma
l’uomo”64. La lunghezza del titolo, evidentemente anti commerciale, è una critica che va nello
stesso senso.
Trovare l’oggetto del film è impossibile, in quanto contraddice se stesso ad ogni punto. Può essere
visto come un autodocumentario sulla nascita del gruppo situazionista.
30
63 Il termine “vita” va inteso come potenza qualitativa e non come realtà. I film di Debord, infatti, non sono neo-realisti.
64 Antoine Coppola, Introduction au cinéma de Guy Debord et de l’avant-garde situationniste, p. 76.
“La popolazione sedentaria degli immobili era al riparo dalle influenza della strada. La strada. Il quartiere era rimasto immutato. Era l’ambiente estraneo della nostra storia”65.
Il concetto di deriva lo possiamo trovare in questa immagine del film, che ci mostra una Parigi del
1952, con in sottofondo la citazione qui sopra riportata. In questo frammento di film le persone
passano veloci, entrano ed escono dalla metropolitana con lo sguardo dritto verso il percorso da
fare. Non si fanno coinvolgere dal paesaggio esterno. Non si fanno emozionare da esso. Anche se in
movimento, come ci dice la voce del film, le persone sono sedentarie e immobili rispetto al
paesaggio circostante, alla strada, agli edifici. Nella società dello spettacolo l’anbiente è estraneo
all’uomo, in quanto non si interessa più ad esso.
Nella scena successiva il film si sofferma sulla foto di due coppie, tra questi è presente lo stesso
Guy Debord, intenti a bere del vino seduti intorno ad un tavolo di un caffè. È una parte importante
del film perché mette in luce il pensiero situazionista, l’importanza data all’alcol nella loro lotta
politica, “qui venivano messi in atto il dubbio sistematico nei confronti di tutti i divertimenti e i
lavori di una società, una critica globale della sua idea di felicità”66.
Il concetto di deriva lo possiamo ritrovare quasi a metà film, è presente infatti una lunga
65 Guy Debord, Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps, 1959, minuto 1.
66 Ivi, minuto 3.
panoramica notturna su un incrocio delle Halles67, molto animato e trafficato. È possibile mettere in
rapporto le scene del mercato delle Halles con la polemica antimercantilistica-anticapitalista dei
situazionisti in quanto ad accompagnare le immagini la voce del commentatore parla di “una realtà
illusoria, a partire dalla quale bisognava scoprire la ricchezza possibile della realtà”68. Si può quindi
associare la “realtà illusoria” alle immagini del mercato.
“La nostra vita è un viaggio. Nell’inverno e nella notte. Noi cerchiamo il nostro passaggio. C’erano la stanchezza e il
freddo del mattino, in tale labirinto tanto percorso, come un enigma che dovevamo risolvere. Era una realtà illusoria, a partire dalla quale bisognava scoprire la ricchezza possibile della realtà”69.
In questo spezzone di film la voce parla di labirinto, un enigma da risolvere. Cercando il nostro
percorso noi ci perdiamo e cerchiamo un’uscita da una realtà illusoria per riuscire a trovare la
ricchezza possibile della realtà. Due scene dopo il concetto di deriva viene ripreso, il commentatore
infatti, sempre coadiuvato dalle immagini di Les Halles commenta: “Il rifiuto del tempo e
dell’invacchiamento isolava in anticipo gli incontri in questa zona, accidentale e limitata, dove ciò
32
67 Halles è un quartiere situato nel centro di Parigi, famoso per il mercato.
68 Guy Debord, Sur le passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps, minuto 7.
69 Ivi, minuto 5.
che mancava veniva sentito come irreparabile. L’estrema incertezza riguardo ai mezzi per sussistere
senza lavorare era alla radice di questa fretta che rendeva inevitabili gli eccessi e definitive
rotture”70.
“Gli altri seguivano pedissequamente le strade imparate una volta per tutte, verso il loro lavoro e la loro casa, verso il
loro prevedibile futuro. Per loro, il dovere era già diventato un’abitudine, e l’abitudine un dovere. Costoro non vedevano l’insufficienza della loro città. Ritenevano naturale l’insufficienza della loro città”71.
È curioso come a fare da sfondo a questa considerazione, passano delle immagini di rivolta, in cui
delle persone vengono caricate dalle forze dell’ordine. La voce descrive le persone come dei
soggetti che seguono a testa bassa le abitudini imparate nel corso della propria vita senza vedere
l’insufficienza della loro città anzi, ritenendola naturale. Lo spettacolo aveva ormai trasformato da
tempo la vita degli uomini tanto che ormai il nuovo stile di vita era diventato un’abitudine: il nuovo
“stile di vita” della Società dello spettacolo è quello che ha portato a vivere la città esclusivamente
come un mezzo dove poter soddisfare i propri bisogni, bisogni “imposti” dallo stesso Spettacolo. È
per questo che Debord parla di “insufficienza della città”, perché ormai per le persone è diventata
70 Ivi, minuto 7.
71 Ivi, minuto 10.
solo uno strumento dove poter appagare i propri bisogni.
Sembra come che la voce descriva la situazione attuale di “obbedienza”, mentre le immagini
mostrassero quello che si auspicano i situazionisti, una lotta nei confronti di questa condizione. Nel
passaggio successivo lo speaker ci enuncia ciò che volevano i situazionisti e troviamo la vera
essenza del concetto di deriva: “Noi, invece, volevamo uscire da questo condizionamento, alla
ricerca di un altro uso del paesaggio urbano, di passioni nuove. L’atmosfera di alcuni luoghi ci
faceva sentire i poteri futuri di un’architettura che si sarebbe dovuta creare per avere il supporto e la
cornice di giochi meno mediocri”72. Sullo sfondo di alcune case parigine viene poi descritto
l’ambiente urbano come qualcosa che palesa gli ordini e i gusti della società dominante, con una
violenza pari a quella dei giornali.
4. Critique de la séparation (1961)
Critique de la séparation, aggiunge agli elementi di Sur le passage de quelques... dei fumetti, una
struttura sovraccarica di sottotitoli e di cartoni, cosicché le immagini girate appositamente per il
film, mostrano dei familiari dei situazionisti o la squadra del film. I dialoghi, molto densi, risiedono
dominanti; “il rapporto tra il testo-audio e le immagini contiene l’essenziale della produzione del
senso”73. La somma delle note scritte, visive, somma delle osservazioni concernenti la vita di
gruppo, fanno sì che questo film si indirizzi principalmente agli stessi membri dell’I.S. e a quelli
che vogliono sapere di più su questo gruppo che si presenta come un mito in fase di creazione.
Il titolo Critique de la séparation ripete letteralmente l’impossibilità intellettuale pratica di tagliare
le parti di tutto. Il film introduce il tema della separazione che si trova tra la storia privata
(mantenuta clandestina) e la storia pubblica (manipolata dalle rappresentazioni sociali), tra lo
spettacolo del mondo e lo spettacolo delle informazioni; separazione delle specializzazioni che
organizzano la scienza dell’ignoranza generalizzata, separazione degli spazi di sopravvivenza, dei
piaceri nella campagna e dei parchi giochi dei bambini, dell’amore negli angoli bui del proprio
privato; separazione tra le persone che si incontrano e che, dopo la prima impressione sulle possibili
intenzioni, ritrovano gli automatismi che li condannano alla noia e ad una mutua incomprensione.
Questo in conformità con una vita della quale non si fa più la storia, ma la si subisce consciamente
senza sapere come uscirne, o senza sapere se se ne vuole uscire realmente.
Critique de la séparation “sembra parlare in alcuni momenti di una separazione con un’amante
34
72 Ivi, minuto 13.
73 Antoine Coppola, Introduction au cinéma de Guy Debord et de l’avant-garde situationniste, p. 47.
reale, ma mai realmente evocata direttamente, la si percepisce nei discorsi affettivi che si
autocommentano dalla voix-off ai sottotitoli”74.
“In un film tutto ciò che non è detto per immagini deve essere ripetuto, altrimenti il suo senso sfuggirà agli spettatori. È
possibile. Ma tale incomprensione è dovunque negli incontri quotidiani. Bisognerebbe precisare, ma manca il tempo e non si è mai sicuri di essere stati capiti. Prima di essere riusciti a fare o a dire ciò che bisognava, ci si è già allontanati.
Si è attraversata la strada. Si è andati oltremare. Non ci si può riprendere”75.
A fare da sfondo a questo commento passano delle immagini all’interno di un bar, queste rafforzano
l’idea degli incontri fortuiti. Questo rafforzamento delle immagini che aiutano il commento della
voce, lo troviamo anche poco più avanti nel cortometraggio “nello stesso tempo, è un mondo in cui
abbiamo fatto l’apprendistato del cambiamento. Niente vi si ferma. Appare incessantemente più
mobile; e coloro che lo producono un giorno dopo l’altro contro se stessi possono appropriarsene, lo
so bene”76, l’immagine del movimento è associata ad una pallina di un flipper che si sposta
freneticamente senza mai fermarsi. Questo conecceto di movimento è ripreso subito dopo, il
commentatore: “prima del dominio collettivo dell’ambiente naturale, non ci sono ancora gli
74 Ivi, p. 117.
75 Guy Debord, Critique de la séparation, 1961, minuto 3.
76 Ivi, minuto 5.
individui, ma ombre che abitano le cose, date loro anarchicamente da altri. Noi incrociamo in
situazioni occasionali, degli individui separati che vanno a caso. Le loro emozioni divergenti si
neutralizzano, e mantengono il loro solido contorno di noia”77, il tutto mentre passano le immagini
di una donna che cammina velocemente con lo sguardo fisso su un marciapiede affollato di persone.
“I settori di una città sono leggibili solo a un certo livello. Ma il senso che hanno avuto per noi, personalmente, è
intrasmissibile, come tutta questa clandestinità della vita privata, su cui si possiedono sempre solo dei documenti irrisori”78.
In questo commento troviamo una fondamentale sfumatura della deriva. Alcuni ambienti sono,
infatti, leggibili solo in una determinata situazione, ma troviamo anche un paradosso di questa
pratica. Lo scopo della deriva, infatti, è di creare delle cartine psicogeografiche e quindi di renderle
accessibili agli altri, in questo passaggio invece viene detto che il significato che alcuni ambienti
hanno avuto per noi non sono trasmissibili. “La ricerca di un’attività centrale comincerà a costruire
nuove specializzazioni. E solo alcuni incontri furono segnali venuti da una vita più intensa, che non
36
77 Ivi, minuto 7.
78 Ivi, minuto 8.
è stata veramente trovata”79. Quando il commentatore parla di “vita più intensa” compare la ragazza
presente numerose volte all’interno del film, come se la vita più intensa sia raggiungibile grazie a
lei. Questa idea viene poi smontata sul finire del film, quando ricompare per l’ennesima volta la
stessa ragazza con in sottofondo la voce del commentatore: “la soggettività infelice si rovescia in
una sorta di oggettività: un documento sulle condizioni della non-comunicazione. Per esempio, io
non parlo di lei. Falso volto. Falso rapporto”80. Se ci appoggiamo alla teoria della Jeune-Fille di
Tiqqun, possiamo considerare la ragazza nel film di Debord la Jeune-Fille. La Jeune-Fille secondo
Tiqqun è lo specchio dello Spettacolo e “presa in se stessa non esprime niente, il suo senso è
altrove”81. La Jeune-Filleè il veicolo privilegiato del darwinismo social-mercantile, essa vuole il
migliore dei mondi, putroppo il «migliore dei mondi» non è possibile.
5. La société du spectacle (1973)
Con La société du spectacle prende corpo il progetto di filmare la teoria situazionista. Il film è
composto estratti dello stesso libro, letti da Debord stesso, e di immagini deturnate di film
pubblicitari, di fiction, di documentari e di immagini della televisione. All’uscita del film, i
professionisti attaccarono la pellicola, attaccandola di fare brutta politica; i politici l’attaccarono
perchè non era un buon cinema. In risposta, Debord utilizza le critiche per confermare le sue teorie
nel film successivo, Réfutation de tous les jugements, tant élogieux qu'hostiles, qui ont été jusqu'ici
portés sur le film « La Société du spectacle », nel quale smonta gli argomenti o i pseudo-argomenti
dei suoi detrattori per mostrare a quale punto lo Spettacolo ha corrotto i giornalisti tanto quanto la
classe politica e il mezzo del cinema.
La société du spectacle e l’ultimo film di Debord, In girum imus nocte et consumimur igni, sono dei
film visti dalla critica come un capolavoro contenenti in loro stessi la propria bellezza. “i vecchi
demoni dell’arte comparativa sono ancora la, pronti a catturare il resto di quello che combattono. È
questo che l’obiettivo propriamente rivoluzionario che distingue l’uso delle forme dell’opera in
questi film e le stesse forme ritrovate altrove”82.
79 Ivi, minuto 9.
80 Ivi, minuto 14.
81 Tiqqun, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, p. 77.
82 Antoine Coppola, Introduction au cinéma de Guy Debord et de l’avant-garde situationniste, p. 73.
“Questa coscienza del movimento, nella quale deve essere presente la traccia stessa del movimento, si manifesta attraverso il rovesciamento delle relazioni stabilite fra i concetti e attraverso il détournement di tutte le acquisizioni
della critica anteriore”83.
Debord sceglie di associare le immagini di una marcia di soldati in un campo di battaglia al suo
commento sul movimento. Il filosofo francese si serve quindi di immagini di guerra, da lui presa a
modello per la sua teoria politica, per parlare di movimento. La marcia dei soldati che avanza è
ordinata, composta, tanto che qualche fotogramma prima, si vedono dei partigiani che osservano
l’avanzata dei soldati nemici e fanno dello spirito guardandola. “Che portamento!” dice uno; l’altro
conclude: “Degli intellettuali!”. Le immagini della battaglia scorrono e a sorpresa se bene inferiori
di numero, i partigiani riscono ad avere la meglio sui più organizzati soldati. Il commento in
sottofondo, si focalizza sul concetto di détournement, “ciò che si presenta come détourné,
smentendo ogni autonomia durevoledella sfera del teorico espresso, fecendovi intervenire tramite
questa violenza l’azione che disturba e travolge ogni ordine esistente”84. Il tutto crea una sorta di
38
83 Guy Debord, La société du spectacle, 1973, minuto 12.
84 Ivi, minuto 15.
metafora, come se i pochi partigiani, fossero i situazionisti che mettono in pratica il détournemet,
mentre l’esercito più numeroso e organizzato fosse la rappresentazione della Società dello
spettacolo che ha la peggio sulle tecniche di combattimento dei partigiani/situazionisti.
Ogni volta che debord parla di merce come Spettacolo le immagini che accompagnano il suo
commento sono quelle di donne mezze nude o totalmente nude. Come se nella Società dello
Spettacolo la nuova merce fosse il corpo femminile diventato merce, lo Spettacolo mercifica il
corpo femminile. A rafforzare questa teoria ci si può appoggiare al libro di Tiqqun, Elementi per
una teoria della Jeune-Fille. All’interno di questo libro infatti troviamo la seguente affermazione:
“quando lo Spettacolo proclama che la donna è il futuro dell’uomo, naturalmente è della Jene-Fille
che vuol parlare, e il futuro che predice ricorda solo la peggiore schiavitù cibernetica”85. Nella fase
finale dello Spettacolo, tutto è sessualmente mediato. È verso il coito che tende ormai
esclusivamente l’esistenza del mondo della merce.
85 Tiqqun, Elementi per una teoria della Jeune-Fille, p. 24.
“questa società che sopprime la distanza geografica raccoglie interiormente la distanza, in quanto separazione
spettacolare. Sottoprodotto della circolazione delle merci, la circolazione umana considerata come consumo, il turismo, si riduce fondamentalmente alla possibilità di andare a vedere ciò che è divenuto banale. L’organizzazione economica
della frammentazione dei luoghi differenti è già di per sé la garanzia della loro equivalenza. La stessa modernizzazione che ha tolto il tempo al viaggio, gli ha tolto anche la realtà dello spazio”86.
A fare da cornice a questo commento passano delle immagini di mezzi carichi di turisti, autobus,
traghetti. Questo rafforza il concetto della circolazione umana considerata come consumo, il
turismo. Poco più avanti nel film, Debord parla di urbanismo: “L’urbanismo è questa presa di di
possesso dell’ambiente naturale umano da parte del capitalismo che, sviluppandosi logicamente in
dominio assoluto, può e deve adesso rifare la totalità dello spazio come suo proprio scenario”87, il
commento è rafforzato da numerose immagini di pallazi e grattecieli visti dall’alto. Quando Debord
parla poi più approfonditamente della costruzione di habita per massa, ricompaiono le immagini di
edifici, case evidentemente popolari, vista la loro struttura gigantesca e uniforme.
40
86 Ivi, minuto 34.
87 Ivi, minuto 36.
“La rivoluzione proletaria è questa critica della geografia umana attraverso la quale gli individui e le comunità devono costruire i siti e gli avvenimenti corripondenti dell’appropriazione, non soltanto del loro lavoro, ma della loro storia
totale”88.
Il commento della rivoluzione proletaria è associato all’immagine della Torre di Babele, quella che
secondo la tradizione ebraica ha fatto scaturire la punizione di Dio sugli uomini in quanto l’aveva
vista come una sfida nei sui confronti. Questa associazione di Debord crea una sorta di metafora;
così come la Torre di Babele è una sfida nei confronti di Dio, la rivoluzione proletaria è una sfida
nei confronti della Società dello Spettacolo.
6. In girum imus nocte et consumimur igni (1978)
In girum... non è basato su un testo scritto precedentemente e ritrova quindi la forma di un film
come Sur le passage de quelques personnes... dell’epoca auto riflessiva. Ma questa volta, l’auto
riflessione non porta più a delle tesi dell’avanguardia passata. Debord introduce, alle consuete
88 Ivi, minuto 37.
immagini deturnate, delle vedute di Parigi e Venezia girate da lui stesso. Il tono è nostalgico, nei
confronti di un’epoca passata. Malgrado le preoccupazioni dell’autore per attaccare d’emblée il
mezzo cinematografico e i suoi spettatori mettendo dei riferimenti diretti al pubblico, il film ha
avuto un successo di critica inatteso, “che testimonia il processo di rivalutazione in corso”89.
Noi giriamo in cerchio nella notte e siamo consumati dal fuoco, questo titolo singolare è ripreso e
citato più volte all’interno del film. In girum imus nocte et consumimur igni pare essere il più lungo
palindromo latino. Si possono ricostruire le parole e il senso della frase leggendo le lettere partendo
da sinistra come da destra. È dunque un figura circolare, una figura di ripetizione infinita. La forma
letteraria mima quasi fedelmente il senso.
“Altri sono capaci di orientare e di misurare il corso del loro passato secondo il loro innalzamento in una carriera, l’acquisizione di svariati generi di beni, o talvolta l’accumulo di opere scientifiche o estetiche che rispondevano a una
domanda sociale. Avendo ignorato ogni determinazione di tal sorta, io rivedo, nel passaggio di questo tempo disordinato, solamente gli elementi che lo hanno effettivamente costituito per me: sono giorni e notti, città ed esseri
viventi e, in fondo a tutto ciò, una guerra incessante”90.
42
89 Antoine Coppola, Introduction au cinéma de Guy Debord et de l’avant-garde situationniste, p. 65.
90 Guy Debord, In girum imus nocte et consumimur igni, 1978, minuto 30.
Sia apre con questo passaggio una successione frammentaria di parti riguardanti la pratica della
deriva, così come messa in luce in questa autobiografia di Debord. Ciò che a lui è importato sono
stati gli esseri viventi, le città nei giorni e nelle notti in uno stato di guerra incessante.
“Parigi allora, entro i limiti dei suoi venti arrondissement, non dormiva mai tutta e consentiva alla dissolutezza di cambiare tre volte quartiere ogni notte”91.
In questo punto il commento, si sposta dal discorso generico, per focalizzarsi sulla realtà più vicina
a Debord, Parigi. Il filosofo francese sulle immagini di una Parigi d’altri tempi evoca una città che
non esiste più, concludendo il discorso con “Parigi è morta”.
91 Ivi, minuto 34.
“Ciascuno beveva quotidianamente un numero di bicchieri superiore alle menzogne dette da un sindacato nel corso di uno sciopero selvaggio. Bande di poliziotti, i cui spostamenti improvvisi erano guidati da un gran numero di
informatori, non smettevano di sferrare incursioni con qualsiasi pretesto, ma il più delle volte nell’intento di sequestrare droghe, o di fermare le ragazze minorenni”92.
In questo frammento Debord, sulle immagini di un intervento delle forze dell’ordine in un bar, parla
del piacere e della quotidianità parigina che nel rapporto tra voce e immagini, sembra al di sopra di
quella guerra incessante di cui l’intevento della polizia sembra essere un fenomeno.
4492 Ivi, minuto 47.
In girum imus nocte et consumimur igni - Noi giriamo in tondo nella notte e siamo divorati dal fuoco
In questo passaggio, con sullo sfondo una veduta notturna di un bar, compare il titolo del film. Il palindromo sinonimo di movimento, come è movimento notturno in giro per la città e di incontri fortuiti per bar, la deriva.
“La formula per rovesciare il mondo non l’abbiamo cercata nei libri, ma girando. Era una deriva a grandi tappe, in cui niente somigliava al giorno prima; e che non si arrestava mai. Incontri sorprendenti, ostacoli notevoli, tradimenti
grandiosi, incantesimi pericolosi, non mancò nullain questa ricerca di un altro Graal nefasto, che nessuno aveva voluto”93.
In questo passaggio Debord riprende le immagini del mercato, come nel suo secondo film, Sur le
passage de quelques personnes à travers une assez courte unité de temps, e arriva al punto del suo
metodo filosofico-politico. Cercare di uscire dall’empasse della Società dello Spettacolo, non
attraverso i libri, ma errando per la città. Cercando di creare una nuova mappa della città, non più
basata sul consumo, ma sulle emozioni che riescono a dare alcuni luoghi.
4693 Ivi, minuto 66.
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