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L'economia della generativit
Possiamo benedire la crisi?
La disgregazione del modello socio-economico sorto nel corso degli anni '80 e
affermatosi dopo la crisi del Muro di Berlino ormai conclamata. La crisi finanziaria
scoppiata quattro anni fa si trasformata, dapprima, in crisi economica, poi in crisi
occupazionale e in crisi sociale per arrivare a far traballare alcune democrazie.
Televisioni e giornali, inseguendo una cronica con tonalit drammatiche, amplificano
l'ansia diffusa e rischiano, pi o meno inconsapevolmente, di aggravare la situazione.
Come tutte le crisi di questo genere, al fondo c'
un crollo della fiducia. Nella grandeTorre di Babele che abbiamo edificato negli anni della globalizzazione sembra regnare
un caos da panico dove si cercano vie d'uscita individuale al crollo che rischia di
travolgere tutti e tutti.
Il sentimento diffuso un misto tra sconcerto, rabbia, paura. Non si capisce quello che
sta accadendo, non si riescono ad attribuire le responsabilit, non si riesce a prevedere
il futuro. I nostri sistemi esperti sono in panne cos che a prevalere sono sentimenti
negativi, a loro volta forieri di nuovi problemi.
In un momento difficile come quello che stiamo attraversando, facile limitarsi a
maledire. Come se tutto fosse da buttare o come se il problema fosse semplicemente
ritornare indietro a quando le cose "funzionavano" (o almeno cos sembrava).
Ma, quanto pi avanziamo nel mare ignoto della crisi, tanto pi ci rendiamo conto,
come sempre accade nella storia, che la soluzione non quella di far ripartire la
macchina. La transizione in corso, per quanto difficile e incerta, la via per arrivare a
costruire un mondi nuovo. Auspicabilmente migliore di quello (molto problematico) che
abbiamo lasciato.
Per questo maledire non serve a nulla.
In realt, se non si arriver, un po per volta, a benedire questo tempo - cio a coglierne
anche gli elementi promettenti - non sar possibile riattivare la crescita. E questo
perch la crescita si fonda sempre su una certa capacit di attivazione delle energie
psichiche personali. questo uno dei grandi insegnamenti lasciati in eredit da Weber,
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il quale parlava di spirito del capitalismo per indicare il fatto che la risorsa soggettiva
costituisce il presupposto di ogni ondata di sviluppo.
Guardare alla crisi come opportunit significa, dunque, capire che a essere chiamate in
causa sono la nostra stessa libert, la nostra intelligenza, la nostra creativit, tutti
aspetti che devono essere mobilitati per portarci oltre le profonde contraddizioni che
hanno attraversato la stagione ormai alle nostre spalle, contraddizioni che sono poi
all'origine di quanto sta accadendo. Proprio per questo, per, per benedire necessario
disporre di una critica del tempo che viviamo. Perch solo da qui, da una comprensione
delle cause profonde della sbandata che abbiamo preso, possiamo sperare in una uscita
positiva e non regressiva.
Espansione
Nella prima globalizzazione, i Paesi sviluppati hanno esportato lavoro e capitale in quelli
emergenti, sfruttando la propria superiorit, economica, tecnologica, politica,
culturale, coinvolgendo i paesi terzi nell'ordine economico capitalistico1. Questo modello
di sviluppo adottato negli ultimi decenni dalle democrazie occidentali, sul piano
internazionale, non funziona pi, proprio in ragione del suo successo, che ha portato ai
mutati equilibri geo-economici, e di conseguenza politici.
Sul piano interno, una crescita basata sul consumo individualizzato, e a debito, non ha
margini significativi di crescita ulteriore. Il modello deve, dunque, essere ripensato, in
un quadro in cui molti paesi occidentali si trovano stretti tra esigenze antagoniste
rispetto a diversi punti operativi: smaltire un debito e, nello stesso tempo, alimentare la
crescita, mantenere un equilibrio finanziario e rilanciare loccupazione.
Il problema che, pensandosi come volont di potenza, il cittadino del capitalismo
tecno-nichilista non pi abituato ad obbedire a norme morali e ad esercitare la propria
responsabilit; al contrario, egli sistematicamente sollecitato a "liberarsi" e ad
esprimere se stesso e la propria autenticit nel rispetto delle norme formali e delle
procedure tecniche di funzionamento. Su queste basi, l'"economia psichica" degli ultimidecenni ha organizzato, in modo sistematico, lo sfruttamento del desiderio (per
definizione mai esauribile) che, ridotto in godimento, diventato, per cos dire,
produttivo. Nellimmaginario della libert contemporanea, libero colui che sa
1Non parlo di neocolonialismo, perch lo sfruttamento avvenuto senza un dominio politico militare esplicito e
tramite un diretto coinvolgimento dei paesi terzi che ha permesso ad essi quel salto nello sviluppo che ha mutato le
condizioni geo-economiche globali.
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esprimere se stesso, sciolto dai condizionamenti esterni e dalle limitazioni imposte da
una qualsivoglia autorit.
In questo modo, negli ultimi due decenni il capitalismo tecno-nichilista ha sviluppato un
immaginario della libert che si radica nellidea di apertura come esposizione ed
esplorazione. La libert non consta tanto di una volont, di una decisione che costruisce
una biografia unitaria e congruente, capace di imprimere una direzione di senso, quanto
dellessere aperti all'inatteso e alla sorpresa oppure del performare oltre ogni limite; ci
implica la disponibilit ad andare oltre se stessi e a non avere limiti, almeno nella parte
di cui siamo coscienti. Come contemporanei, noi, pi che "cercare"secondo il vecchio
modello soggettivistico "troviamo". Tutto quello che possiamo fare trovare, in un
mondo che riconfigura di continuo il paniere delle alternative. In un mondo che cambia
rapidamente, la libert
di scopo non si d
nella modalit
tipica del passato, ossia quelladel soggetto che predetermina i propri scopi e li persegue in modo convinto,
mettendoci tutto se stesso, ma consiste piuttosto nellessere sempre disponibile ad un
eventuale nuovo scopo che nemmeno si conosce, ma che comunque ci disponiamo ad
abbracciare.
Per essere liberi occorre, dunque, essere aperti, persino al di l della propria volont e
dei propri disegni: necessario essere disponibili allevento che mi viene incontro, mi
sorprende e mi sovrasta. Io sono, dunque, tanto pi libero quanto pi non pongo limiti a
priori a ci che posso incontrare. In questo modo, ci che si determina unespansione
senza signoria, dove il motore non pi interiore ma esteriore: sono gli avvenimenti, gli
incontri, le combinazioni che attraversiamo a segnare la nostra vita. A noi il compito di
vederle, di coglierle, di goderne appieno.
C. Melman (2002) ha parlato di un Io senza gravit. M. Recalcati (2011) di un Io senza
inconscio. Ma, al di l delle scelte lessicali, i termini della questione sono chiari:
l'economia psichica del mondo contemporaneo si configura in modo tale che, per la
prima volta, invece della rimozione del desiderio, l'ordine sociale afferma lingiunzione
a godere. L'economia psichica del tecno-nichilismo , dunque, costituita dallimperativo
super-egoico del godere che segna il passaggio dal dovere al piacere come principio di
realt. Titolati ad una espansione senza limiti, vaghiamo alla ricerca di una realt
capace di "fare resistenza" e, in questo modo, di darci dimostrazione di esistere. Perch,
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come scrivono Benasayag e Schmidt (2008) l dove tutto possibile, nulla esiste. Non a
caso gli psicanalisti parlano di "clinica del vuoto" ad indicare la difficolt dell'individuo
contemporaneo a sostenere il desiderio come comando.
Seconda globalizzazione e collasso dell'economia psichica tecno-nichilista
Il collasso finanziario avvenuto nell'autunno del 2008 mette fine alla stagione espansiva
che ha caratterizzato gli ultimi decenni. Bruscamente si passa dalla espansione alla
contrazione.
Dal punto di vista del debito, l'interruzione avvenuta negli ultimi anni ha ormai
definitivamente compromessa la fiducia necessaria a mantenere la dinamica espansiva.
Qualunque soluzione alla fine si trover, una cosa certa: e cio che non si potr pi far
finta di nulla, come invece si
potuto fare in questi anni.D'altro canto, i mutati equilibri economici e politici internazionali, di cui la crisi
acutizza la consapevolezza, definiscono lera di una "seconda globalizzazione". Pur
conservando un notevole vantaggio, i paesi avanzati si dibattono in uno stato di
difficolt da cui stentano ad uscire. Il Giappone ha alle spalle oltre un decennio di
stagnazione che ha prodotto un enorme debito pubblico e si trova ora a dover gestire
anche le conseguenze dello tsunami; l'Europa alle prese con un passaggio difficilissimo,
con bassissimi tassi di crescita elo spettro del default che si aggira per il continente,
minacciando la tenuta dell'euro; gli USA fanno i conti con le distorsioni profonde del
modello di sviluppo: alto debito pubblico, bilancia dei pagamenti fortemente negativa,
tassi di disoccupazione in crescita, crisi del mercato immobiliare. USA che si trovano, da
un lato, con un alto grado di esposizione finanziaria rispetto al resto del mondo - la sola
Cina al momento della crisi deteneva il 23% dei titoli di Stato americani e ne rimane
anche oggi il primo creditore - e, dall'altro, con una difficolt crescente a sostenere i
costi dellunilateralismo. Sull'altro versante, negli ultimi anni, le previsioni ancora
ottimistiche sulla crescita dei paesi emergenti nascondono i tanti nodi che rimangono dasciogliere. Se vero che lo sviluppo di questipaesi potrebbe indurre effetti ridistributivi
maggiori su scala planetaria e stravolgere la gerarchia geopolitica ed economica globale,
resta da vedere la loro capacit di tenuta del ritmo di crescita, che appare minacciata
innanzitutto dallinstabilit politica derivante dallaumento delle disuguaglianze
allinterno di questi paesi. La capacit di sostenere uno sviluppo accelerato dipende,
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infatti, non solo dalla creazione di un ampio mercato di consumo interno e di alleanze
trasversali tra questi paesi, ma anche da riforme istituzionali a favore dello sviluppo
sociale, umano e ambientale: ovvero, in ultima istanza, dal progresso della
democratizzazione che permetta di stabilire un nesso tra crescita e giustizia sociale.
D'altro canto, ancora non chiaro quale ruolo questi paesi vorranno giocare sullo
scenario internazionale, quanto adotteranno politiche di potenza o di collaborazione,quanto chiederanno di assumersi responsabilit di governance mondiale, quanto saranno
disposti ad assumersenegli oneri. Tutto ci porta alla conclusione che, nella "seconda
globalizzazione", la mera espansione non si potr pi assumere con un dato di fondo,
dato che i processi saranno molto pi contrattati. Oltre all'economia torner a contare
la politica e a fianco della tecnica riacquisteranno peso il dialogo e la negoziazione.
Sul piano culturale, una contrazione destinata a durare diversi anni destinata a
incidere sui comportamenti diffusi.Dal lato del consumo, si osserva che una quota, minoritaria ma significativa e crescente,
di consumatori cerca il modo di delineare, rispetto al benessere e alla felicit
individuali, una scala gerarchica diversa, in grado di interrompere la differenziazione pi
superficialesia essa quantitativa (elaborata a partire dallintensit della soddisfazione
provata nel consumo di certi beni) oppure qualitativa (capace di realizzare un piacere
individuale, spirituale o fisico) e di intrecciare la domanda di felicit individuale e di
autenticit con un'offerta rispettosa di alcuni criteri valutativi (come la sostenibilit
ambientale, lequit e la giustizia sociale, l'attenzione agli aspetti relazionali). Le
attitudini innovative che da tempo si vanno sviluppando dal lato delle pratiche di
consumo sono un sintomo, certo ancora flebile e tuttavia significativo, dell'emergere di
nuove domande sociali che lo stesso atto del consumare pu contribuire a soddisfare;
domande volte prima di tutto alla valorizzazione del contesto ambientale e sociale. Ci
lascia pensare che tali attitudini innovative possano preludere al superamento del
modello dell'iperconsumo individualizzato, in cui il bene consumato non rappresenta
altro che il soggetto che lo acquista e in cui, di conseguenza, latto di consumo rimane
chiuso tra il soggetto-consumatore, in cerca di soddisfazione, e l oggetto-prodotto. G.P.
Fabris, forse con un eccesso di enfasi, parla a questo proposito di una terza fase della
societ dei consumi, coesistente con le precedenti, "che ha come protagonista non un
soggetto passivo, vittima del mercato e delle sue logiche, incapace di acquietare il
costante aumento per i consumi... il nuovo protagonista non pi volto a rivendicare i
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propri diritti, ad ampliare la sfera della propria discrezionalit e del best buy, ma un
consumatore impegnato e critico, che rende etico l'atto di acquisto, che rivede i propri
modelli di consumo e i propri stili di vita all'insegna di nuove consapevolezze. In lui la
sensibilit civica evolve dal modo depressivo della rinuncia per approdare alla proattiva
salvaguardia...con richiesta di misura e di durata, di lotta allo spreco, di rivalutazione
della semplicit, di domanda di beni e servizi a contenuto relazionale, di sobriet, di
attenzione alle miserevoli condizioni di vita di altri esseri umani" (Fabris,2010: 67).
Dal lato delle imprese, si osserva che una buona parte del mondo imprenditoriale ha
cominciato a comprendere la necessit di un riposizionamento nella direzione di un
modello di impresa pi attento alle dimensioni sociali e ambientali e, come tale, capace
di internalizzare le esternalit e assumere, direttamente nella strategia dimpresa, la
valorizzazione delle risorse contestuali. In un recente numero monografico, l'Harvard
Business Review d il suo autorevole sigillo a queste nuove sensibilit indicando i sette
parametri che qualificano quella che viene definita la "buona azienda"(Kanter, 2011: 35-
6):
- centralit delle finalit e dei valori, veri e propri cuscinetti protettivi contro
l'incertezza e il cambiamento;
- orientamento al medio-lungo periodo, secondo l'idea di sviluppo sostenibile;
- capacit di stimolare le motivazioni intrinseche e di promuovere
l'autoregolamentazione o la regolazione orizzontale;
- attenzione per la dimensione sociale considerata come via per apprendere e
innovare;
- valorizzazione delle risorse umane di cui si favorisce l'auto-organizzazione;
- disponibilit a forme di partnership pubblico-privato in nome di interessi pubblici
particolarmente delicati.
Per una nuova economia psichica generativa
Non si uscir dalla crisi tornando indietro, ma andando avanti. Il problema non
tornare al settembre 2008, facendo ripartire la macchina. Oltre a non essere possibile,
non desiderabile.
Si tratta, piuttosto, di fare una traversata. A partire dalla lezione che la crisi intende
insegnarci: apparentemente liberatoria, la condizione di libert diffusa di cui abbiamo
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goduto e che abbiamo pensato come ab-soluta ha le sue trappole sia a livello soggettivo
che collettivo. La crisi, in fondo, ci parla di questo.
Lungo il percorso che occorrer tracciare negli anni che ci aspettano si tratter di
costruire nuovi equilibri economico-politico e di trovare nuove forme istituzionali. Ma
tutto ci sar possibile solo a partire da un diverso immaginario della libert e, per
questa via, dal radicarsi di una nuova economia psichica. La crisi strutturale
dell'espansione preme, infatti, per una ristrutturazione del piano culturale e simbolico.
Per dirla con Weber, ci serve un nuovo spirito, dato che l'immaginario della libert
forgiato dalla logica espansiva, materialista e individualista, si rivela ormai non solo
deludente ma semplicemente insostenibile. Dallo stato di crisi a cui giunta, questa
idea di libert non pu che evolvere verso qualcosa daltro, pena rinunciare a esistere. Il
punto che la decisione rispetto alla direzione da prendere costituisce, a sua volta, un
atto di libert: per questo, la libert dei liberi si presenta, oggi pi che mai, come una
sfida impegnativa.
Significativamente uno dei maggiori psicologi sociali del Novecento E. Erikson (1982;
1995) riconosce nellet adulta la fase in cui avviene il superamento di quella logica
identificatoria, autoreferenziale e confusa, propria dei movimenti espansivi, in nome di
altre dinamiche, pi appropriate alle esigenze della crescita. Egli parla a proposito della
possibilit di una evoluzione, con let matura, verso la generativit che, opposta
alla stagnazione, va vista come una tappa dello sviluppo verso lo stadio della maturit
da parte di un individuo, di una organizzazione, di una societ.
Intesa in questo senso, la libert generativa pu suggerire la direzione per uscire dalla
crisi attuale.
Il passaggio dalla adolescenza alla maturit, per non implodere, richiede lincontro e lo
scontro con la realt (intendendo questultima come vita), la cui riammissione pu
condurre agenerare qualcosa di nuovo, un mondo prima sconosciuto.
Non a caso il richiamo evocato dal termine stesso va, anzitutto, alla vita. La generativit
si caratterizza, infatti, per la capacit di mettere al mondo e di curare e custodire ci
che viene fatto esistere. Essa dunque attraversata da una pro-tensione contrassegnata
dai tratti del dispendio e della gratuit, come mostra la sua preoccupazione di creare e
dirigere una nuova generazione (Erikson, 1995: 249): preoccupazione da intendersi, in
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senso lato, come cura delle premesse favorevoli per allestire le condizioni in chiave
sostenibile verso il futuro (attenzione generazionale), innovativa (geniale) e di
eccedenza (che riapre la generosit) della convivenza sociale rispondendo alle sfide
del tempo, senza regressioni allindietro. Rischio, peraltro, che lo stesso Erikson prevede
nellindicare la generativit come una potenzialit che potrebbe essere addirittura
offuscata dal suo contrario, cio dalla stagnazione, ossia da un ripiegamento passivo
nellinazione, nellimproduttivit e nellimpoverimento culturale: tratti emergenti
laddove si cade nel vicolo cieco di soluzioni de-generative, semplicistiche e deprivanti,
che mirano a una qualche forma di contenimento della libert piuttosto che di
assunzione del rischio della libert e, pi in particolare, di una libert che
probabilmente non abbiamo ancora conosciuto e fatto esistere.
Generare implica, dunque, la volont del soggetto, il quale pu immettere novit e
discontinuit nellambiente. Esprimendo il sovrappi dell'iniziativa personale, la
generativit ha a che fare con la possibilit di agire diversamente perch disponibili a
pagare il costo di quellazione e, quindi, di agire in libert. Ma, al contempo, essa
chiede la disponibilit a riconoscere che questo atto creativo pu avvenire solo dentro e
grazie ad un mondo che lo costituisce e lo abilita. Generare significa far esistere
qualcosa in un modo da demistificare la volont di potenza di una libert che si
concepisce come inizio assoluto e autoreferenziale (Botturi, 2009).
La generativit, infatti, non costituisce una mera prerogativa individuale n
autoreferenziale. Non cos, del resto, nemmeno dal punto di vista biologico. Tanto
meno quando si tratta di generativit sociale, di una generativit cio che avvia dei
processi senza un termine definito, poich hanno a che fare con aspetti della vita
individuale e collettiva che si ripropongono continuamente dentro le relazioni (come,
per esempio, la costruzione dellidentit, la realizzazione di unopera,
listituzionalizzazione di pratiche, ecc.). Gli studi, a proposito, mettono in luce la
crucialit della dimensione relazionale e, in senso ampio, del contesto ambientale. Ed
per questo che, come attori, siamo poi anche interpellati ad assumerci la responsabilit
per le generazioni successive, sia dal punto di vista delle realizzazioni che della
trasmissione di significati.
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Di fronte alla crisi storica che stiamo attraversando, la relazionalit della nostra
condizione, pur essendo sempre problematica, non pu pi essere ignorata, pena
l'aggravarsi dei problemi legati alla convivenza - aggravamento dovuto alla pericolosa
tendenza a rimuovere la realt che costituisce uno dei difetti di fondo del tecno-
nichilismo.Al contrario, essere generativi comporta il comporre la libert di scopo
tendenzialmente dissipativa dellintorno nonch del S - con lesigenza di lasciare
traccia in un modo discreto, rispettoso cio di chi sta attorno o verr dopo di noi.
Tutto ci contempla la possibilit di assumere che l'esistenza dell'altro non una
proiezione del proprio desiderio o un ostacolo alla propria soddisfazione, ma anzitutto
dimora della propria identit. Il "prendersi cura", con le svariate tonalit che articolano
questa dinamica, permette di personalizzare le esperienze che si compiono,
ricomponendo luniversale con il particolare, lindividuale con il sociale, la libert con il
legame.
L'ipotesi che avanzo che questa idea di generativit, continuando a parlare di libert,
pu essere in grado di liberare nuove energie psichiche all'interno delle societ mature,
dando vita ad una nuova stagione di crescita, anche (ma non solo) economica.
Qualitativamente diversa da quella alle nostre spalle.
Prima di tutto, dimensione individuale e dimensione sociale si intrecciano
profondamente nel delineare la generativit, in un equilibrio che mantiene il valore di
entrambe i poli. Pertanto, la generativit non si riduce ad azione pro-sociale o
altruistica che entra in scena, in genere, solo in un secondo momento, ma riguarda
qualcosa che investe e d spazio alla soggettivit in quanto soggettivit che si
comprende, per sua natura, relazionale in s e, di conseguenza, anche sempre
generativa (o, al contrario, degenerativa): soggettivit generata mediante il
riconoscimento e la stima di altere capace, a sua volta, di riconoscere e stimare di
generare la soggettivit dellaltro. Citando ancora la prospettiva lacaniana, "questo
significa che l'universo del desiderio, diversamente da quello del godimento, non mai
un universo chiuso; significa che l'Altro sempre coinvolto nel desiderio, che il
desiderio si nutre non di oggetti, ma di legami (Recalcati, 2011b:22).
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In secondo luogo, generare vuol dire star dentro senza venirne sommerso in una
situazione, una storia, un ambiente naturale, un contesto relazionale. Significa curare
ci che viene fatto esistere e riconoscere, al contempo, che qualcosa ci supera e pu
esistere a condizione di immergerci nella concretezza della realt come vita nel suo
essere processo e forma, potenza e limite, funzione e significato. Essere generativi
significa, in questo senso, accettare il rischio di mettere al mondo un valore che vale la
nostra stessa vita e che pure mai potremo possedere: che sia un figlio, una scuola di
pensiero, un'impresa, una associazione, un'opera d'arte, una famiglia, generare vuol dire
entrare nel flusso della vita e quindi accettare che il generato trover le sue vie,
diverse, in tutti i casi, dalle nostre. In questo modo, la libert generativa capace di
spendersi, fino allo spasimo, senza per farsi catturare dalla tentazione mortifera
dell'ossessione del controllo. Da questo punto di vista, occorre passa dal consumo
all'investimento, dalla rendita alla produzione, dal godimento immediato al desiderio di
senso.
In terzo luogo, la libert che guadagna la sua maturit - diventando generativa -
consapevole che linvestimento sul futuro significa anche tensione oltre il limite della
propria finitezza, attraverso quelle tracce di s lasciate nelle proprie azioni, relazioni,
realizzazioni. In questo senso, essa sta dentro la vita reale quale ambiente che offre una
dimora (Heim) di cui si prende cura, ospitando a sua volta quell ambiente in s,
contribuendo a generarlo e rigenerarlo continuamente, con lattenzione a contrastare le
patologie che sempre possono insorgere nel momento in cui avviene uno sbarramento
che si trasforma in chiusura rispetto allalterit. Questo prendersi cura si dirige verso
realt concrete, esito della combinazione variabile di spazialit fisiche e simboliche
(come per esempio la casa, la famiglia, la citt, un territorio, i legami, la natura), ma
esito anche di diversi campi del sapere, quadri valoriali e autorit, forme culturali e
istituzionali, ammettendo lesistenza di un prima, di un adesso e di un dopo, in relazione
a cui si assume la responsabilit del proprio darsi restando aperti ae in ascolto di - ci
che non prevedibile pur se non genericamente indistinto. Tale libert pertanto una
esperienza anzitutto relazionale e di responsabilit, di risposta anche ma mai
meramente (o, comunque, non solo) tecnica alle questioni, accettando piuttosto di
esserne coinvolti, di lasciarsene interpellare e, per questa via, di restituire un senso.
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Infine, come hanno messo in luce gli studi di di MacAdams, Hart e Maruna 2, la
generativit fa nascere qualcosa che ha e si d tempo in un mondo in cui tutto
istantaneo e gli d uno slancio di lungo periodo: dunque, qualcosa che risponde a chi
verr dopo di noi, andando al di l dellistante. Le modalit proprie dellazione
generativa divengono quelle del creare, mantenere e donare. Ne consegue che la libert
che accetta la sfida della generativit, mentre fa esistere e cura ci che crea, non lo
trattiene presso di s, ma lo lascia a disposizione di altri, senza tuttavia che termini la
responsabilit nei suoi confronti. E questo perch non termina lessere situati e immersi
nella relazione del rispondere-a-qualcosa e a-qualcuno, ben al di l dellidea dellessere
umano come dotato genericamente della libert quasi che questultima sia una qualit
che si aggiunge a tante altre che ci contrassegnano. Piuttosto, la persona
un essere-di-
libert, la cui individualitstrato portante della libert - una forma che, nel limite,
rimanda continuamente ad altro da s, tanto che il limite (proprio della forma) diviene il
varco per entrare in rapporto con la realt.
In tutti questi modi, la libert generativa pu diventare capace di un rinnovamento
continuo di quella presenza cui la forma rimanda: la realt della vita, nel suo essere
mistero e limite, e perci pi della forma, pur sempre, al tempo stesso, forma la cui
definitezza rimanda, come presenza, all'altro da s, cio ad un infinito.
In questa dinamica, la libertgenerativa n meramente passiva ma nemmeno
meramente attiva, e, in questo senso, "deponente"non trova la sua espressione, il
suo senso n nella totale apertura incondizionata agli eventi, fino a rifuggire qualsiasi
forma, n nella chiusura autoreferenziale e statica di una forma divenuta sostanza,
bens nella dinamica propria della vita nel suo uscire da s pur rimanendo se stessa,
evitando quindi che lindividuo si frammenti nei suoi prodotti o si lasci assorbire da
sistemi (culturali, sociali, tecnici) che lo sovrastano oppure si chiuda in difesa passiva
rispetto a ci che altro da s per non lasciarsene contaminare.
2Si veda, in particolare, McAdams D., Hart H. M., Maruna S., 1998.
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Trovando la sua dimora nel limite, la libert generativa cos capace di compiere il
miracolo di spostare l'asse della crescita dall'espansione - puramente materiale,
individuale e quantitativa - all'eccedenza - qualitativa, relazionale, spirituale. E, per
questa via, essa capace di dare vita ad una nuova economia psichica capace di
sostenere una nuova stagione di sviluppo. Il tutto ad una condizione: che, nel frattempo,
diventiamo capaci di costruire forme istituzionali in grado di "ospitare" e far fiorire
questo diverso immaginario della libert.
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