SE LO CONOSCI LO EVITI
“Se lo conosci lo eviti”. Recita così il titolo della campagna contro l’AIDS, che, a distanza di pochi anni ha
portato i suoi frutti, con un notevole abbassamento del numero delle persone infettate. Grazie alla prevenzione.
Purtroppo così non è stato per l’amianto. Utilizzato in tutto il mondo nelle lavorazioni dei più diversi manufatti,
la Peste del terzo millennio, come è stato definito, ha colpito un numero indefinito di persone. Il picco è previsto
tra il 2030 e il 2050.
La sicurezza nelle fabbriche ha ceduto alle logiche del potere economico; i produttori alle lobby mondiali; le
istituzioni hanno girato la testa dall’altra parte, lì dove bisognava bonificare anzitempo.
L’amianto, tuttavia, oggi si può combattere con le armi della consapevolezza del pericolo e dei danni che
produce, della prevenzione lì dove ancora lo si lavora, e della bonifica totale dei siti contaminati. Ma, soprattutto,
si può evitare di morire di amianto solo smettendo di farne uso.
Amianto, cresce la consapevolezza
Aumentano associazioni e organismi a tutela dei lavoratori esposti alla fibra killer. E aumenta anche la
conoscenza dei casi a rischio. Se ne parla in questo dossier
di Luc ia S ch inzano pubblicato il 4 ma rzo 2013
È sempre più forte la consapevolezza che “davvero si muore di amianto”, come ha detto
adAmbient&Ambienti il prof. Giorgio Nebbia, ambientalista fin nel più profondo di ogni sua fibra. E la
consapevolezza che si fa sempre più convinta e che richiede misure decise trova spazio in questo
dossier – il secondo – che Ambient&Ambienti dedica all’amianto.
Se nel primo dossier ci siamo
concentrati su casi locali come
quello dell’ex Fibronit e della
Bridgestone di Bari per poi
allargarci agli altri luoghi che
hanno ospitato le fabbriche della
morte, questa volta cogliamo i
segnali di quanto si sta sviluppando
in altre parti del mondo,
soprattutto negli Stati Uniti, che
vantano il triste primato di 10mila
morti all’anno per malattie asbesto-
correlate e che non hanno ancora
una legislazione che tuteli i
lavoratori esposti alla fibra-killer.
Proprio dagli USA arriva la testimonianza di Linda Reistein, fondatrice dell’ADAO (Asbestos
Disease Awareness Organization) l’associazione da anni impegnata nel sensibilizzare la popolazione e
gli organi politici sugli effetti letali dell’amianto (non tutti sanno che il crollo delle Torri gemelle nel
New York. Nel crollo delle Torri gemelle sono state disperse nell'aria 2mila tonnellate di amianto
2001 a New York mise in circolo
2mila tonnellate di amianto). E
dagli Stati Uniti abbiamo raccolto
anche le considerazioni del
prof. Ronald Gordon,presidente
del neonato International
Asbestos Observatory. Una
considerazione è d’obbligo: se in
Italia vantiamo una legislazione
all’avanguardia sul tema, se in
Europa si monitora con
attenzione il problema, se negli
Stati Uniti c’è ancora molto da
fare, la spinta all’associazionismo diventa fondamentale per ottenere comportamenti comuni tali da
tutelare le vittime di chi con l’amianto ha convissuto.
Ci siamo rivolti anche a studiosi italiani per capire quali strategie mettere in campo per difendersi
dall’amianto, dallaprevenzione a livello domestico alle ricerche in corso per combattere il mesotelioma
– o almeno per limitarne gli effetti – ; dallosmaltimento dei materiali contenenti la fibra
allabonifica e messa in sicurezza degli edifici. Abbiamo toccato con mano quanto sia lungo e
complicato da parte delle Pubbliche Amministrazioni individuare e monitorare gli scarti di amianto –
solo in Puglia ci sono ancora 5mila capannoni con coperture in Eternit. Abbiamo riportato alla luce
situazioni come quella delle 22 scuole milanesi che potrebbero essere addirittura abbattute; abbiamo
ricordato le fasi del processo contro i dirigenti dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato –
conclusosi giusto un anno fa con la storica condanna dei “padroni”; abbiamo ricordato anche le lotte
degli operai della fabbrica barese Fibronit, lotte raccolte in un libro bianco che racconta passo passo le
vicende di operai, sindacati, magistrati, enti locali. E abbiamo voluto lanciare una proposta
provocatoria: perchè non fare di quelle rovine “blu” che ancora stanno lì un museo civico
permanente che ricordi, come un particolare museo dell’olocausto, gli orrori di cui la società del
benessere è capace?
I "muri blu" della vecchia fabbrica della Fibronit, a Bari
Piano Regionale Amianto,
stanziati 2 mln di euro a
sostegno dei comuni pugliesi
.
di G iuseppe Lavopa pubblicato il 4 ma rzo 2013
«Combattere lo smaltimento illecito del cemento
amianto è il primo irrinunciabile passo per arginare il
problema da un lato e per aumentare la
consapevolezza e la cultura della legalità rispetto al
tema dall’altro». Mosso da questa considerazione,
l’Assessorato pugliese alla Qualità dell’Ambiente,
rappresentato da Lorenzo Nicastro, ha destinato lo
scorso anno i proventi dell’Ecotassa all’attuazione di
un Piano Regionale Amianto.
«Gli 870mila euro dei fondi Ecotassa – ha dichiarato tuttavia Nicastro – si sono rilevati insufficienti a
soddisfare le richieste che sono giunte dai comuni; si è pertanto dovuto ricorrere ad altre risorse». Al
primo bando di accesso ai fondi del Piano Nazionale Amianto hanno infatti risposto 47 comuni, di cui
38 con istanze perfettamente in linea con gli obiettivi per un importo finanziato di quasi 1,9 milioni di
euro; a ciascuno di essi è andato un importo non superiore ai 60mila euro. I fondi erogati ai
comuni, uniti a risorse degli enti locali hanno incentivato le rimozioni dei manufatti di amianto, anche
piccoli, dalle proprietà.
«Sulla scorta del successo di questa iniziativa – annuncia l’assessore – abbiamo individuato ulteriori 2
milioni di euro, all’interno del Programma regionale per la tutela dell’Ambiente, che permetteranno
anche ad altri comuni di attingere ai fondi: l’obiettivo è ampliare sempre più lo spettro di azione e
cercare un più ampio coinvolgimento degli enti locali e dei privati cittadini».
Combattere l’amianto in tutto il
mondo: uniti si può
La migliore soluzione per evitare di morire di amianto consiste nella cessazione dell’impiego di questo
materiale. Con l’incontro della cultura latina con quella anglosassone sono state messe le basi culturali
sociologiche e giuridiche per metterlo al bando
di G iann i Avvantagg ia to pubblicato il 4 ma rzo 2013
Nel 2006 la World Health Organization (WHO) ha dichiarato ufficialmente che la migliore soluzione
per eliminare le patologie asbesto-correlate consiste nella cessazione dell’impiego di tutti i tipi
diamianto. Non esiste un livello di esposizione minimo rispetto al quale il rischio di contrarre malattie
da asbesto sia scongiurato. A sostegno delle tesi dello WHO, lo stesso anno interviene anche
l’International Labour Organization (ILO),
sostenendo l’eliminazione dell’uso dell’amianto a
360° e la bonifica degli ambienti di vita e di lavoro
per prevenire l’insorgenza futura di malattie e morti
causate dall’asbesto, visti i lunghi tempi di
latenza. Solo in Europa sono 500mila le persone
che potrebbero morire di malattie asbesto-
correlate nei prossimi trent’anni.
Nel corso dei lavori della Conferenza Internazionale
organizzata dall’Osservatorio Nazionale
Amianto il 15 novembre 2012, presso la Camera dei Deputati, dal titolo Lotta all’amianto – Il diritto
incontra la scienza, si è sentita la necessità di costituire un’organizzazione internazionale che unisca
sinergie, conoscenze scientifiche e obiettivi giudiziari raggiunti, per contrastare le lobby dell’amianto,
che fuori dai confini europei e negli Stati Uniti in particolare – sono più di 10mila gli americani che
ogni anno muoiono per malattie asbesto-correlate – sono ancora molto forti e operative.
«Pochi uomini senza scrupoli hanno avvelenato e contaminato non solo il continente europeo ma
continuano a farlo in altri continenti – avverte l’avvocato Ezio Bonanni presidente dell’Associazione
Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) -. Ecco perché una organizzazione internazionale di uomini e
donne che a testa alta combattono i produttori di amianto, assassini della nostra civiltà, della nostra
cultura oltre che di esseri umani».
Ecco che dal dialogo con il prof. Ronald Gordon, direttore del Dipartimento di Patologia della Mount
Sinai School of Medicine di New York – intervenuto al meeting nella capitale – e con il suffragio del
prof. Giancarlo Ugazio, del prof. Renato Sinno, del prof. Pietro Sartorelli del comitato tecnico
nazionale dell’ONA, nasce l’International Asbestos Observatory (IAO). Ne abbiamo parlato con
l’avv. Ezio Bonanni
L'auletta dei parlamentari a Palazzo Montecitorio dove si è tenuto l'incontro
Avvocato Bonanni, con quali presupposti nasce
la IAO?
«Occorre mettere in relazione uomini e culture e
credere e lottare per il progresso non solo
economico ma anche umano e morale, con
l’incontro della cultura latina con quella
anglosassone e con la sintesi di tutti i valori che
esprimono, riportati all’attualità e proiettanti nel
futuro. Queste sono le basi culturali e non solo
sociologiche e giuridiche – alla Conferenza
internazionale è intervenuto anche l’avvocato John Eaves, il cui studio vanta sedi in mezzo mondo –
per mettere al bando l’amianto e quella idea di civiltà che si fonda solo sul progresso identificato con
l’incremento del profitto che invece nega l’uomo che tradisce le sue stesse basi, morali e culturali e non
solo umane e scientifiche».
Perché ha scelto proprio gli Stati Uniti e il professor Gordon come partner?
Negli Stati Uniti presso il Mount Sinai di New York
ha studiato e lavorato il prof. Irving J. Selikoff, che
nel 1964 organizzò una conferenza internazionale nel
corso della quale tenne un intervento che
impressionò così tanto, da far raggiungere l’unanimità
scientifica sulla tesi del nesso causale tra l’esposizione
all’amianto e il mesotelioma. A quel simposio
internazionale – occasione, per molti scienziati indipendenti di acquisire dati fondamentali di
conoscenza e di consapevolezza dei danni che l’amianto è in grado di determinare in tutti gli organi
del corpo umano – intervenne anche il prof. Enrico Vigliani, che guidava la delegazione italiana e che
illustrò la situazione nel nostro Paese. Fermo restando che l’aspirazione dell’International Asbestos
Observatory è quella di articolarsi in tutti i continenti».
Cosa l’ha spinto a scegliere il professor Gordon per dirigere il Comitato tecnico scientifico
internazionale?
«Ronald Gordon mi è stato presentato dall’avvocato Audrey P. Raphael di New York in occasione del
mio impegno al 29th Annual International Symposium On Acupuncture, Electro-Therapeutics, & The Latest
Related Medical Topics And Advancements presso la Columbia University nell’ottobre del 2011 e ci siamo
intesi subito».
La stretta di mano tra il professor Gordon, di fronte, e l'avvocato Bonanni a suggellare la nascita dello IAO
Quali sono i programmi della IAO?
«L’ International Asbestos Observatory, oltre a
Comitato tecnico scientifico internazionale
presieduto dal prof. Gordon, sarà una rete di
associazioni – la sede probabilmente sarà a New
York, presso la Mount Sinai School – che si prefigge
di mettere al bando l’amianto in tutti i Paesi del
pianeta, interdire le lobby, assicurare alla giustizia i
criminali produttori e utilizzatori dell’amianto, per
cercare di porre fine all’olocausto delle vittime
dell’asbesto, e di perseguire e realizzare il rischio
zero, secondo l’equivalenza già affermata dal prof.
Ugazio: ambiente pulito uguale salute, ambiente contaminato uguale malattia. Per il mesotelioma in
particolare non c’è una soglia sotto la quale il rischio si annulla».
Avvocato Bonanni un’ultima domanda: lei è stato più volte già negli Stati Uniti, ha sentito
parlare dell’associazione Asbestos Disease Awareness Organization (ADAO) e della sua CEO
signora Linda Reinstein?
«Sì, la conosco e abbiamo già preso contatti per una prossima stretta collaborazione».
Come accennato dall’avvocato Bonanni, lo IAO nasce per volontà anche del professor Ronald
Gordon che abbiamo raggiunto telefonicamente alla Mount Sinai School a New York.
Professor Gordon, in seguito ai risultati positivi della Conferenza internazionale di Roma a
novembre scorso, è stato istituito l’International
Asbestos Observatory (IAO) e lei é
statonominato presidente del comitato
scientifico. Lei crede che le leggi in materia
potrebbero essere uniformate dalla sinergia tra
l’ONA e lo IAO?
«Mi auguro che il Comitato internazionale non solo
renda possibile i cambiamenti nella legislazione in
Italia, ma in tutta Europa e nel mondo, dal momento che l’amianto è un problema mondiale».
In Italia, per l’esposizione professionale, il limite di soglia è ancora 100 fibre/litro. Lei pensa
che, come scienziato, si potrebbe eliminare completamente il rischio di malattie, portando
l’esposizione a zero, dal momento che una singola fibra può essere dannosa e, in ogni caso,
ogni esposizione si aggiunge alle altre?
Ezio Bonanni
Ronald Gordon
«Il livello di 100fibre/litro è 10 volte i livelli indicati dal governo qui negli Stati Uniti. Inoltre, c’è una
dichiarazione del nostro governo che ogni livello oltre lo zero è dannoso e contribuisce allo sviluppo
della malattia. Anche il livello minimo è abbastanza alto in Italia; l’amianto è dappertutto, nelle
costruzioni, nel sistema idrico ecc. Poco o niente è stato fatto per ridurre la presenza di amianto sia in
Italia, sia in tutta Europa. Il problema è grave non solo per i lavoratori ma anche la grande massa».
Professor Gordon, l’Osservatorio Nazionale Amianto ha scelto di espandere il suo lavoro in
diversi Paesi europei e negli Stati Uniti d’America, dove lei ha accettato di presiedere il
comitato scientifico. Quali misure lei pensa dovrebbero essere prese per indurre tutti i Paesi a
bandire l’amianto e sconfiggere le lobby, visto che in molti stati del pianeta è ancora usato?
«Farò quello che posso in base agli studi passati e
all’evoluzione delle conoscenze scientifiche per
convincere i governi europei così come quelli in
Africa, Asia, Russia ecc. che fino a quando
continueranno a utilizzare l’amianto ci sarà sempre
un aumento delle malattie associate all’esposizione.
Questo include il manifestarsi di tumori in diverse
parti del corpo, in particolare nei polmoni e, nello specifico, mesoteliomi e asbestosi. Comprovando
queste malattie con i fatti, mi auguro che i governi, come quello degli Stati Uniti vieti l’uso di questo
materiale molto dannoso».
Come potrebbe la neonata associazione internazionale suscitare l’interesse delle istituzioni del
mondo scientifico americano, che sono la forza motrice del progresso?
«Il neo costituito gruppo scientifico si adopererà per aggiornare i vecchi dati con nuove scoperte di
scienziati di tutto il mondo, compresi quelli che fanno parte di questa commissione».
“Asbestos: Still Legal and Lethal
in the USA”
Linda Reinstein ha conosciuto Ambient&Ambienti grazie a Facebook e ci scrive dagli Stati Uniti. Ha
fondato l’ADAO prima che un mesotelioma le portasse via suo marito Alan. Nel suo racconto la tragedia
amianto negli States
di redaz io ne pubblicato il 4 ma rzo 2013
Nel 2003, dopo aver sofferto per nove mesi i sintomi e dopo molteplici visite mediche, a mio marito,
Alan Reinstein, è stato diagnosticato un mesotelioma mortale. All’epoca, non avevo mai sentito parlare
prima di quella malattia e come la maggior parte degli americani, pensavo che l’amianto fosse stato
dichiarato illegale da molto
tempo negli Stati Uniti. Putroppo
mi sbagliavo.
Ho trasformato il mio profondo
dolore e la mia rabbia causati
dalla diagnosi del mesotelioma di
Alan in azione, fondando
l’ADAO(Asbestos Disease
Awareness Organization –
Organizzazione per la
Consapevolezza delle Malattie
causate dall’Amianto). A causa di
un’esposizione all’amianto, Alan è
morto tre anni più tardi accanto a
me e a nostra figlia allora tredicenne. Quasi un decennio dopo la diagnosi di Alan, i principi cardini
dell’ADAO sono rimasti inalterati: educazione, supporto e solidarietà.
Negli Stati Uniti, più di 10mila americani muoiono ogni anno a causa di malattie asbesto-
correlate. Il 25% di queste morti è causato da mesotelioma. I fatti sono inconfutabili: l’amianto è un
noto cancerogeno umano and non vi è un alcun livello sicuro di esposizione ad esso. Negli anni ’70,
diverse leggi riguardanti la salute pubblica sono state emanate; nonostante ciò, da allora, pochi passi
verso il divieto d’uso dell’amianto sono stati compiuti negli Stati Uniti.
Nel 1989, l’Ente Nazionale per
la Protezione Ambientale degli
Stati Uniti (United States
Environmental Protection Agency)
ha emanato una norma decisiva
per il divieto della maggior parte
dei prodotti contenenti amianto.
Tuttavia, nel 1991, questa norma è
stata invalidata dal Quinto Circolo
della Corte d’Appello di New
Orleans (Fifth Circuit Court of
Appeals in New Orleans).
Attualmente, gli unici tre prodotti
proibiti che contengono amianto sono: isolante per pavimenti, isolante per pareti e carte per l’edilizia.
L’ultimo intervento fatto dal governo federale per proteggere il popolo americano dall’esposizione
all’amianto è stato una dichiarazione sui pericoli che quest’ultimo comporta, da parte del ministro della
Salute americano (Surgeon General).
All’insaputa di molti americani, gli Stati Uniti continuano a far uso di amianto. L’Istituto
Americano di Geofisica (USGS) ha stabilito che all’interno degli Stati Uniti l’impiego di amianto nel
2001 è aumentato del 13%, e 140 tonnellate di crisotilo sono state importate e stoccate negli USA per
un utilizzo futuro. L’impiego di amianto negli Stati Uniti è stato stimato quasi intorno alle 2.000
tonnellate. I prodotti da costruzione rappresentano il 60% dell’intero consumo degli USA e il cloro-
soda all’incirca il 35%.
Incommensurabile è il danno
causato dall’uso di amianto
all’interno degli Stati Uniti.
L’11 settembre del 2001, quasi
3.000 persone persero la vita a
causa degli attentati terroristici,
ma il numero dei morti continua
a crescere. Nel momento in cui
crollarono le Torri Gemelle,
detriti derivanti da materiale
edilizio coprirono tutta la zona di
Lower Manhattan, esponendo
migliaia di altre persone ad agenti
cancerogeni tristemente noti, tra cui vi erano oltre 2.000 tonnellate di amianto. Tuttora, residenti
della zona e lavoratori dei servizi d’emergenza continuano a morire di tumori legati all’esposizione
all’amianto subita l’11 settembre.
E l’esposizione ambientale, lavorativa e privata continua ancora. Malattie causate dall’amianto,
contratte sul posto di lavoro non sono casuali. C’è differenza tra un operaio che cade da un’impalcatura
e tra un lavoratore esposto ai rischi dell’amianto. Gli operai impiegati per la manutenzione
delle gallerieche scorrono sotto la superficie della capitale Washington D.C., sono rimasti esposti
all’amianto a lungo tempo subendone le conseguenze. Infatti, la polvere d’amianto era così spessa che il
sovrintendente ai lavori era in grado di scrivere il proprio nome sulle tubature. Questo è un tragico
esempio di violazione dei diritti dei lavoratori. Nonostante il governo federale abbia emanato multiple
citazioni, gli operai hanno continuato ad essere esposti all’amianto.
Nel Maggio del 2010, il presidente del Comitato Tumori Americano ha pubblicato un’importante
relazione di duecento pagine intitolato “Riduzione dei rischi di cancro per cause ambientali: cosa
bisogna fare” (Reducing Environmental Cancer Risk: What We Can Do Now). Il Comitato ha stabilito che
“operai impiegati nel settore edilizio hanno undici volte più probabilità di contrarre il mesotelioma,
causato dall’esposizione all’amianto sul posto di lavoro”. Tumori contratti sul posto di lavoro sono
sempre più alla ribalta sui quotidiani.
Disastri ambientali, causati o no dall’uomo, espongono il popolo americano all’amianto. I primi
soccorritori e residenti furono esposti al pericolo dell’amianto, sia in occasione della distruzione e ri-
pulizia in seguito all’uragano Sandy, sia quando la città di Joplin, nello stato del Missouri, fu colpita da
un tornado. Infatti, furono rimosse 2.600 tonnellate di amianto dalla sola città di Joplin. La miniera
“WR Grace Vermiculite” di Libby, nel Montana, è stata la causa di un alto prezzo economico ma
soprattutto di vite umane. Quasi due terzi degli abitanti della cittadina ha sofferto o è morta per colpa
dell’amianto e il governo ha speso più di 450milioni di dollari per risanare la zona dall’inquinamento
tossico.
L’obiettivo principale della
fondazione ADAO è la
sensibilizzazione del pubblico.
Grazie al fatto che circa il 90%
della popolazione mondiale abbia
accesso alla rete informatica,
ADAO si adopera tramite la
pubblicazione online di dati e
informazioni riguardanti, appunto,
la sensibilizzazione del pubblico.
La prevenzione dell’esposizione
all’amianto è particolarmente
difficile a causa della microscopica
dimensione delle fibre di amianto, dell’errata visione dell’uso sicuro dell’amianto e del lungo periodo di
latenza delle malattie. ADAO mostra liberamente immagini che mostrano 20mila fibre di amianto a
confronto con un chicco di riso o di un capello umano. ADAO inoltre condivide in tutto il mondo
immagini che mostrano come identificare l’amianto in casa.
Il dolore sprona l’azione. Vi sono solamente due modi per bloccare le malattie mortali legate
all’amianto: prevenzione e cura. È doloroso vedere con quale lentezza si muovono i legislatori per porre
fine ad uno dei più grandi disastri creati dall’uomo. ADAO è impegnata nel prevenire l’esposizione
ambientale, occupazionale e privata. Come afferma la relazione dell’Associazione Internazionale della
Sicurezza Sociale del 2011, il rapporto sul potenziale “spesa-beneficio” per gli investimenti in campo
preventivo potrebbe essere pari ad 1:2,2 e forse anche maggiore in alcuni casi.
La cooperazione per la prevenzione è fondamentale. Lapagina online “Condividi la tua esperienza”,
dell’ ADAO, è in continua espansione. Pazienti e familiari di tutto il mondo condividono volentieri le
proprie storie riguardanti diagnosi, cure mediche e, nella maggior parte dei casi, la morte. Questo
processo di catarsi, rafforza i legami di
cooperazione della comunità e
indubbiamente influenza le politiche
governative.
Dal 22 al 24 marzo prossimi, l’ADAO
terrà a Washinton D.C. laNona
Conferenza Annuale Internazionale
sulla Sensibilizzazione al Problema
dell’Amianto (9th Annual International
Asbestos Awareness Conference), durante la
quale medici, scienziati, esperti, avvocati,
pazienti e relativi familiari discuteranno
delle “Nuove Tendenze e Tecniche di
Prevenzione e Trattamenti delle
Malattie Legate all’Amianto”.
Linda Reinstein
(Linda Reinstein ha co-fondato
l’organizzazione no-profit ADAO
(Asbestos Disease Awareness
Organization – Organizzazione per la
Consapevolezza delle Malattie causate
dall’Amianto) nel 2004, in seguito alla
diagnosi a suo marito Alan di un mesotelioma causato dall’esposizione all’amianto. Dopo la morte di
Alan nel 2006, la signora Reinstein continua a rivestire la carica di presidente dell’ADAO, facendo da
testimonial principale per la campagna di sensibilizzazione mondiale e da supporto alle comunità e alle
loro iniziative. Riconosciuta come esperta con più di 35 anni di attività no-profit alle spalle nel costruire
e fare da supporto alla comunità, Linda Reinstein sviluppa e realizza tuttora campagne mediatiche per
sensibilizzare il pubblico riguardo i pericoli dell’esposizione all’amianto e, inoltre, si presta come
portavoce dell’ADAO difronte a organi governativi sia nazionali, sia internazionali, come il Congresso
degli Stati Uniti e le Nazioni Unite.)
Traduzione in italiano a cura di Guido De Mola
Amianto: un minerale prezioso
noto sin dall’antichità
Intervista al Prof. Rocco Laviano, docente di mineralogia applicata all’Università degli Studi di Bari,
per conoscere meglio questo minerale così prezioso per il suo molteplice uso e molto pericoloso per la salute
dell’uomo
di Anto ne l lo F io re pubblicato il 4 ma rzo 2013
Utilizzato fin dall’antichità,
l’amianto è stato sempre
considerato un elemento
misterioso e prezioso. Con
l’amianto i Persiani e
i Romaniavvolgevano i cadaveri
da cremare e realizzavano stoppini
per le lampade. Una credenza
popolare attribuiva alle fibre di
amianto un’origine animale: “lana
della salamandra”; grazie al potere
del suo mantello fatto di amianto,
l’animale poteva sfidare senza
danno il fuoco.
Abbiamo intervistato il Prof. Rocco Laviano, docente di mineralogia applicata presso il Dipartimento
di Scienze della Terra e Geoambientali dell’Università degli Studi di Bari, per conoscere meglio questo
minerale così prezioso per il suo molteplice uso e molto pericoloso per la salute dell’uomo.
Professor Laviano, quali sono
i minerali fibrosi noti
commercialmente con il nome
di amianto? Quali i più
diffusi?
Amianto (dal greco áµίαυτος=
incorruttibile) o asbesto (dal
greco άσβεστος= inestinguibile) è
il nome commerciale attribuito
ad alcuni minerali silicati idrati
quando cristallizzano in maniera
fibrosa. In questa definizione
sono contenuti almeno trenta
Amosite
minerali, di cui soltanto sei hanno avuto importanza tecnologica e commerciale. Questi ultimi
appartengono a due diversi gruppi mineralogici: il “gruppo del serpentino” per il solo Crisotilo; il
“gruppo degli anfiboli” per Amosite, Antofillite, Crocidolite, Tremolite, Actinolite. Il Crisotilo, la Crocidolite e
l’Amosite hanno avuto una notevole importanza industriale, mentre i rimanenti sono stati usati
saltuariamente.
I minerali fibrosi si trovano in natura sotto forma di vene o fasci di fibre nella roccia madre. All’abito
cristallino di tipo fibroso si accompagnano altre peculiari caratteristiche quali la possibilità, unica fra le
fibre minerali, di essere tessute e le capacità d’isolamento nei confronti di elettricità, vibrazioni, suoni e
calore. Questi minerali hanno anche la proprietà di dividersi longitudinalmente in lunghe e sottilissime
fibre, impropriamente dette fibrille, ed è questa la causa della loro pericolosità nei confronti dell’uomo.
Quali sono le rocce che contengono i minerali amiantiferi? Ci sono giacimenti sfruttati anche
in Italia?
I più importanti giacimenti si trovano in Canada, nella regione del Quebec, nell’ex URSS, nel distretto
di Bazhenov, negli Urali e nella regione di Tuwa, in Siberia, in Rodesia, in Cina, negli USA, in
Iugoslavia, in Italia, in Grecia e a Cipro. Simili a questi, ma più modesti, si trovano anche in Europa e
Australia. Ricordiamo anche i giacimenti in rocce precambriane (il precambriano o archeozoico è l’era
più antica della storia della Terra) della Rodesia e del Sud Africa. In Italia ci sono giacimenti di amianto
a fibra lunga in Val Malenco (Sondrio) e a fibra corta presso Balangero nelle valli di Lanzo (Torino).
Quali proprietà chimico-fisiche di questi minerali ne hanno diffuso l’utilizzo?
L’enorme diffusione dell’uso dell’amianto era ed è dovuta alle sue eccellenti e svariate proprietà
tecnologiche, quali ad esempio:
- resistenza meccanica (flessibilità, trazione);
- resistenza all’usura e buone caratteristiche di frizione;
- resistenza agli agenti corrosivi;
- resistenza alle alte temperature (incombustibilità);
- resistenza all’azione di agenti batterici;
- isolamento elettrico;
- proprietà fonoassorbenti;
- proprietà termoisolanti;
- alto potere adsorbente;
- facilità di lavorazione e applicazione.
È una convinzione errata quella che i minerali di amianto siano indistruttibili. Infatti, sebbene abbiano
un’elevata resistenza rispetto ad altri minerali, sono anch’essi sensibili sia all’attacco chimico che
termico. Nonostante le loro relativamente alte temperature di fusione, i minerali di asbesto vengono
completamente decomposti a temperature intorno ai 1.000°C o minori secondo la varietà.
Quali sono stati i principali
utilizzi?
L’amianto è stato utilizzato in
centinaia di materiali e prodotti, che
spesso sono riportati in letteratura
comeAsbestos Containing
Materials (ACM): il Federal
Register americano elenca oltre
3mila oggetti finiti che contengono
amianto. I principali settori
industriali in cui si utilizzava
amianto sono quelli legati alla
produzione di:
cemento-amianto;
prodotti tessili (filati, tessuti, nastri e feltri)
materiali d’attrito (freni e frizioni)
carta e cartoni.
L’utilizzo forse più diffuso era quello di prodotti di cemento-amianto. Infatti, negli Stati Uniti
d’America l’USEPA ha censito la presenza di materiali contenenti minerali di amianto in 31mila scuole
e in 733mila edifici amministrativi e commerciali.
Oggi sono presenti in commercio materiali di amianto o contenenti amianto?
Dobbiamo tenere alta l’attenzione e la vigilanza sui materiali importati sopratutto dai Paesi di
grandissima importanza economico-commerciale; è importante che tutti i materiali importati da Paesi in
cui l’amianto non è vietato siano muniti di una dichiarazione che certifica l’assenza di amianto.
Quali sono le tecniche di analisi e le difficoltà di campionamento per una corretta diagnostica?
Nel Decreto Ministeriale 6 settembre 1994 (allegato):“Normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio,
il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie”sono
contenute le indicazioni sulle tecniche analitiche e di campionamento. Il documento fa riferimento a
due tipi di indicazioni:
Asbestos Containing Materials (ACM)
a) “norme prescrittive”
b) “norme indicative”, da intendersi
come linee guida non prescrittive.
Le tecniche analitiche di riferimento
vanno intese come indicative.
Le tecniche microscopiche – ottiche o
elettroniche – permettono di fare
distinzione tra le varietà asbestiformi e
quelle non asbestiformi di uno stesso
minerale ma forniscono dati solo in
termini di numero di fibre presenti in
un campione. La conversione da
numero di fibre a valore ponderale –
che costituisce l’espressione più
adeguata dei risultati per un’analisi di campioni di massa – è soggetta a numerosi errori soprattutto se si
impiega la microscopia ottica. Questi errori possono essere contenuti se si utilizza la microscopia elettronica
a scansione (SEM) integrata da microanalisi a Raggi X del campione. Viste le difficoltà di campionamento
e analisi dei materiali contenti amianto e vista la pericolosità del minerale per la salute umana, per tutte
le fasi dal campionamento all’analisi è necessario avvalersi di personale tecnico molto qualificato.
Da questa breve intervista si comprende perché l’amianto, grazie alle sue eccezionali proprietà chimiche
e fisiche, sia stato così largamente utilizzato e sia stato considerato un minerale prezioso e utile per
l’evoluzione tecnologica dell’umanità. Come spesso succede, però, anche le sostanze naturali e preziose
posso nascondere un aspetto pericoloso. La pericolosità può essere limitata ed eliminata solo con
laconoscenza e la consapevolezza, due stadi evolutivi del pensiero che possono portare a compiere
scelte alternative meno redditizie per alcuni ma sicuramente meno pericolose per la salute di tutti.
Crisotilo
L’amianto; quanto ha a che fare
con la vita?
Ne parliamo con il professor Giorgio Nebbia, docente di Merceologia e noto ambientalista
di F rancesca D i To mmaso pubblicato il 4 ma rzo 2013
Giorgio Nebbia è stato professore ordinario, ora
emerito, di Merceologia presso la Facoltà di
Economia e Commercio dell’Università di Bari.
Dottore honoris causa in Scienze Economiche e
Sociali (università del Molise) e in Economia e
Commercio dagli atenei di Bari e Foggia. Nonché
ambientalista e parlamentare alla Camera e al
Senato.
Professore, lei si occupa di risorse naturali,
energia, merci. Quelle che chiama le “cose
che hanno a che fare con la vita” (vedi il
mondo delle cose). Le chiedo: l’amianto,
quanto ha a che fare con la vita?
«Con la vita biologica poco. Col
nomeamianto (o asbesto) ci si riferisce ad un
gruppo di minerali, presenti in varie parti del
mondo, costituiti da silicati, che si presentano,
unici fra tutti i minerali, in forma di fibre
del diametro di 0,1-1 millesimo di
millimetro e della lunghezza di alcune decine
di millesimi di millimetro. Sottilissimi aghi
durissimi che non si decompongono con i comuni agenti chimici e col fuoco. Per questa sua proprietà
l’amianto ha sempre destato sorpresa e curiosità ed è stato utilizzato in molte applicazioni nella vita
quotidiana e commerciale. Lo conoscevano i Romani e ne parla, nei primi anni del Trecento, Marco
Polo, meravigliato per le tovaglie, viste in Cina, che si lavavano col fuoco anziché con l’acqua. Già
nell’Ottocento si è diffusa anche in Europa l’idea di utilizzare le fibre di amianto per farne filati e tessuti
che si prestavano bene per oggetti e anche indumenti resistenti al fuoco. Per decenni le persone addette
allo spegnimento degli incendi potevano avvicinarsi alle fiamme coperti da tute di amianto. Con
amianto si facevano anche cartoni, quelli che vedevamo in casa e su cui si appoggiava il ferro da stiro e
pannelli adatti come isolanti acustici oltre che termici. Poi si è scoperto che l’amianto poteva essere
usato nei freni e nelle frizioni delle macchine e come isolante elettrico, termico, acustico.
Giorgio Nebbia
Nei primi anni del Novecento è stato
scoperto che l’amianto poteva essere
miscelato con cemento; si potevano
così produrre, con amianto-cemento,
pannelli adatti per coperture di edifici,
recipienti anche di grandi dimensioni,
tubazioni. Tutti resistenti al fuoco e agli
agenti chimici e duraturi; quasi eterni.
Donde il nome di una marca di tali
materiali, Eternit. Queste scoperte
hanno spinto a cercare giacimenti di
amianto in tutto il mondo e ad aprire
cave per la sua estrazione in Italia,
Russia, Canada, Australia, Brasile eccetera. Primo Levi, il chimico torinese ebreo che, dopo le infami
leggi razziali fasciste, non trovava altre occupazioni, lavorò per qualche mese, in clandestinità, nella cava
di amianto di Balangero, vicino Torino. Levi racconta questa esperienza nel libro: Il sistema periodico:
“C’era amianto dappertutto, come una neve cenerina”. A dire la verità che qualcosa non andasse bene
lo avevano scoperto alcuni medici già nei primi anni del Novecento. Ma i pericoli per la salute di quei
minutissimi aghetti indistruttibili che si depositavano nelle vie respiratorie dei lavoratori sono stati
tenuti nascosti davanti al trionfo merceologico dei manufatti di amianto. Anzi; le fabbriche di manufatti
di amianto-cemento si sono moltiplicate col nome di Eternit o Fibronit o Materit, a Casale
Monferrato, Bagnoli, Bari, Rubiera, Massa-Carrara, perfino in Valbasento.
Nel frattempo si è osservato che sempre più spesso comparivano tumori e si verificavano casi mortali
non solo negli addetti alla produzione di manufatti di amianto, ma anche nella popolazione che abitava
vicino alle fabbriche o nelle persone che venivano a contatto con fibre di amianto nelle industrie della
gomma, in siderurgia, negli edifici, all’interno delle navi e dei vagoni ferroviari, nelle scuole. Dovunque
l’amianto fosse stato impiegato come isolante termico, acustico, elettrico. Polveri contenenti amianto si
sono diffuse nell’aria di New York dopo il crollo delle due Torri Gemelle. L’amianto si libera
all’interno degli edifici anche in seguito allo sgretolamento dei pannelli di amianto-cemento, quelli che
erano stati promessi “eterni”. Davvero, di amianto si muore. Finalmente si è formato un movimento
internazionale che ha portato, in alcuni Paesi, al divieto dell’estrazione del minerale e dell’uso di
manufatti di amianto e alla regolazione delle discariche di amianto e dei suoi manufatti. Nonostante
questo, ancora nel mondo ogni anno si producono circa 2milioni di tonnellate di amianto, la metà
delle quali in Russia, seguita da Cina, Brasile, Kazakistan, Canada. I danni mortali e alla salute sono ben
emersi, fra l’altro, nel processo che a Torino ha portato alla condanna dei proprietari della Eternit di
Casale Monferrato; proprio il 14 febbraio scorso è iniziato il processo di appello».
Ci spieghi: come si bonificano gli edifici?
Resti di un tubo di cemento-amianto
«Purtroppo, da quando è stata
emanata la legge del 1992,
l’amianto è ancora intorno a noi.
Nel caso dei pannelli all’interno
degli edifici l’unica cosa da fare
consiste nel rimuovere i materiali
e le coperture contenenti amianto
e amianto-cemento con grande
precauzione perché, nel
maneggiare tali materiali,
soprattutto se sono in opera da
anni, si ha dispersione nell’aria
delle fibre di amianto. Esistono
delle ditte specializzate che fanno
tale rimozione con addetti
opportunamente protetti. Anche qui occorre grande cautela perché, per far spendere meno soldi ai
clienti, alcuni promettono deirivestimenti con vernici o altri materiali che non fanno altro che
spostare il pericolo delle dispersioni dell’amianto in avanti nel tempo, senza eliminarlo».
E come si mettono in sicurezza i materiali contenenti amianto?
«Tutti i caratteri così apprezzati dell’amianto – il presentarsi in sottilissime fibre, la sua resistenza al
fuoco e agli agenti chimici – rendono molto difficile l’operazione di smaltimento e sepoltura dei residui
di amianto, perverso dono della natura. Probabilmente l’unico, anche se scomodo, sistema di
smaltimento è la sepoltura dei manufatti e dei materiali contenenti amianto in qualche deposito ben
sigillato, eventualmente miscelato o ricoperto con cemento. Occorre però grande precauzione sia nelle
imprese sia nei lavoratori per evitare che un apparente smaltimento si traduca di fatto in altra diffusione
delle fibre. Dal momento che lo
smaltimento dell’amianto richiede
particolari norme e precauzioni e
quindi comporta dei costi, sono in
molti a disfarsi clandestinamente
dei loro manufatti abbandonandoli
nell’ambiente, all’aria aperta,
talvolta al più in sacchi di plastica.
Ciò aggrava il problema perché
comporta non solo la sepoltura dei
manufatti smaltiti male, ma anche
la raccolta dei manufatti sparsi nel
territorio – quante volte si vedono
I muri della fabbrica ex Fibronit di Bari coperti da una speciale vernice blu
lastre di amianto-cemento abbandonate nei campi o al margine delle strade? – ma anche la bonifica
delle discariche abusive. In Italia ci sono ancora, disperse nel territorio,molte decine di milioni di
tonnellate di amianto».
Sgombriamo il campo da equivoci: si possono smaltire correttamente i rifiuti?
«Talvolta si legge la proposta di “riciclare”, strizzando l’occhio alle mode ambientaliste e con l’illusione
di spendere meno, i manufatti contenenti amianto per farne materiali di riempimento di strade o cave,
ma questa mi sembra proprio una idea sbagliata. Per attuarla occorrerebbe “macinare” e frantumare
le tettoie o i recipienti di amianto-cemento con liberazione di fibre nell’aria, lasciando in circolazione
l’amianto in forma suscettibile di liberarsi di nuovo in futuro».
Come ci si deve comportare quando si ha a che fare con strutture contaminate in casa, a
scuola, nei luoghi di lavoro?
«L’unica soluzione è affidarsi a imprese specializzate che siano affidabili. Le operazioni di rimozione e
bonifica dei siti contenenti amianto mettono in circolazione molti soldi; lo smaltimento è costoso e
costoso è il rispetto delle norme di sicurezza. Purtroppo possono esistere degli avventurieri che,
spacciandosi come specializzati nelle operazioni con amianto, in realtà si limitano a ritirare, alla meglio, i
materiali contenenti amianto smaltendoli in maniera non corretta, anzi pericolosa per gli addetti e per
l’ambiente. Le autorità sanitarie e le Agenzie per l’ambiente (ce ne è una in ogni Regione, con uffici
decentrati – vedi ARPA Puglia) sono in grado di dare consigli corretti e di suggerire le imprese
affidabili. Utili informazioni anche sul sito del Ministero della Salute, alla voce “amianto”».
Amianto e mesotelioma, le scomode
verità di Luciano Mutti
A Bari, il professor Luciano Mutti l’ultima volta c’è stato per un confronto nell’ambito della mostra
Eternit(à). Un gioco di parole apprezzato anche da lui, che con le parole, non solo ha dimestichezza ma le
usa per ribadire convinzioni e concetti forse scomodi per qualcuno
di Fu lv io D i G iuseppe pubblicato il 4 ma rzo 2013
Nell’intervista che ha rilasciato ad Ambient&Ambienti, a margine del suo intervento a fine 2012 all’ex
Palazzo delle poste di Bari, Luciano Mutti, direttore Gime (Gruppo Italiano Mesotelioma) non
disdegna qualche frecciata, spiegando a che punto è la ricerca e svelando alcune certezze «che noi
conosciamo in anticipo e altri leggono sulle riviste di locali e non su quelle scientifiche». Si toglie qualche sassolino
dalla scarpa: «Non siamo più visti come dei venditori di fumo». Ribadisce «importanti sviluppi nello studio della
genetica del mesotelioma» e invita a «superare le divisioni tra ricercatori di base e clinici». Il presidente del GiMe ha
le idee chiare su presente e prospettive della ricerca
Professore, a proposito di ricerca, lei più volte ha
ribadito un concetto cardine: il segreto per andare
avanti è almeno partire e superare le divisioni tra
ricercatori di base e clinici.
«È così, il metodo utilizzato in tutto il mondo, seppur con
qualche difficoltà, è quello di integrare la ricerca preclinica
con la ricerca clinica. Ci sono linee guida internazionali
molto chiare in cui si dice che non si possono fare
sperimentazioni cliniche se non esiste un razionale forte che
ne possa in qualche modo far prevedere una certa
probabilità di successo».
In sostanza, esperimenti solo se si è sicuri di risultati:
un cane che si morde la coda…
«Infatti, è una cosa che ovviamente nel momento in cui si testano farmaci senza questo tipo di studi
prima, diventa estremamente complicato ottenere risultati. La percentuale di efficacia di un trial che ha
un razionale preclinico forte non supera comunque il 20% quando poi testato nell’uomo; invece la
possibilità che un farmaco senza studio preclinico forte sia efficace nell’uomo non supera il 5%. Quindi,
integrare questa ricerca di base che dà il razionale, cioè i meccanismi attraverso cui quel farmaco ha
dimostrato già di funzionare in modelli sperimentali, consente di fare trials che siano più
ragionevolmente efficaci di altri».
Quindi lei invita anche a usare farmaci specifici in base alle anomalie?
«C’è tutto un campo di questa cosiddetta personalize therapy, che è quella che studia i cancri in base alle
anomalie genetiche che li correlano alla sensibilità ai farmaci. Cioè ci sono dei geni, la cui mutazione
Luciano Mutti
ovvero l’espressione, permette di dire che quelle cellule di cancro che hanno quei geni alterati sono
sensibili a un certo farmaco. Questo è il futuro: ora siamo in un periodo di mezzo, queste tecniche non
sono standardizzate e non sono ancora completamente accettate in clinica per questione di costi, ma ci
sono step intermedi come quello di valutare biomarkers specifici che consentono di predire, in base
allo studio preclinico, che la cellula tumorale che ha quel biomarcatore sarà sensibile a un farmaco».
A che punto siamo invece con gli studi della
genetica del mesotelioma?
«Ci sono due cose importanti. Innanzitutto a
Cambridge, al Sanger Institute, si sta facendo il
profilo genomico di tutti i mesoteliomi per cui, come
si è avuto già per altri cancri, ilmesotelioma è stato
inserito in questo atlante e permette di valutare quali
siano le anomalie specifiche di un cancro. Quando
avremo un profilo genetico omogeneo potremo
capire più o meno quali sono le mutazioni più
frequenti e ovviamente poi vanno valutate se queste
mutazioni sono importanti o meno in termini di
processo di cancerogenesi. Quindi, siamo su quella
strada da lì deriva la possibilità di utilizzare farmaci in base alla differenza di espressione di geni»
In base a questo, cosa prevedete come risposta immunitaria?
«I geni regolano anche la risposta immunitaria per cui ci sono una serie di modificazioni della capacità
di indurre risposta immune contro la cellula tumorale anche in base ai geni che esprime, quindi alle
proteine che interagiscono con il sistema immunitario».
Intanto, a fine 2012 con la conferenza
governativa di Venezia siete tornati un
interlocutore “credibile”.
«Se devo parlare specificatamente delle conclusioni di
Venezia, devo innanzitutto evidenziare che siamo
contenti: Dopo aver detto che eravamo dei venditori
di fumo, si sono accorti della fibulina 3.
Probabilmente l’hanno letto su qualche rivista, ma noi
lo sapevamo da un anno. Solo che adesso mi faccio
una domanda: dato che è sperimentale, io vorrei
capire dove possono trovare un kit per dosare la fibulina 3, che non c’è, non è un comunque un
metodo standardizzato nel range del valori, quindi ci vogliono tutti i valori normali per definire poi il
valore patologico: vorrei capire proprio come faranno. La seconda conclusione cui sono giunti è la
Una radiografia di polmoni affetti da patologia asbesto-correlata
Eternit(a). Un momento del convegno a Bari
presa in carico dei pazienti, ma vorrei capire cosa intendono, dato che non hanno proposto alcuni tipo
di ricerca terapeutica. La terza conclusione è quella della banca biologica: eppure ce ne sono già due,
una a Pittsburgh (Stati Uniti) e una in Inghilterra. Lo stesso vale per i centri clinici: ci sono una serie di
centri europei e statunitensi che stanno lavorando alacremente facendo trials pubblicati che dimostrano
miglioramento della sopravvivenza. E infine, a proposito della ricerca sul mesotelioma: hanno detto che
la ricerca sul mesotelioma non esiste, eppure all’ultimo incontro che abbiamo fatto a Boston devo dire
di non aver mai visto tanti delegati, quasi 600, una massa di lavori pubblicati quintuplicata negli ultimi
due anni e un numero di chemical trials almeno raddoppiati».
FIBRONIT: morire di amianto
Breve storia dello stabilimento barese che fece ammalare la metà dei dipendenti
di A le ssandra Mast ro dona to pubblicato il 4 ma rzo 2013
«Alla CEMENTIFERA
ITALIANA FIBRONITS.p.A.
(ex SAPIC), fabbrica sita in Bari alla
Via Caldarola n. 13, i dipendenti
continuano ad ammalarsi e a morire».
Si apriva così il ricorso presentato
nell’aprile del 1974 alla Pretura di
Bari – Sez. Lavoro da 128
dipendenti dello stabilimento
barese, sostenuti nella loro azione
legale da Cgil, Cisl e Uil e dai tre
patronati confederali Inca, Inas e
Ital. E, appellandosi all’art. 9
dello Statuto dei Lavoratorisulla
tutela della salute e dell’integrità
fisica nell’ambiente di lavoro, così
proseguiva: «Questa, che potrebbe
sembrare una dichiarazione allarmistica
e demagogica, è invece probabilmente
inadeguata solo per difetto alla
gravissima situazione che regna in
fabbrica sotto il profilo dell’igiene e della
sicurezza nell’ambito del lavoro».
La vertenza, primo step di un
lungo iter processuale destinato a
concludersi soltanto nel 1985 con
la chiusura dello stabilimento, giungeva al termine di un biennio tormentato di lotte sindacali, culminate
nel gennaio-febbraio del 1972 con agitazioni, scioperi e assemblee, segnate dalla partecipazione
unanime dei lavoratori. Sconcertante il bollettino presentato in quell’occasione dai sottoscrittori del
ricorso: nel 1971, un solo caso accertato di malattia professionale ricollegabile all’inalazione di polveri
di amianto; nel 1972, 54 casi di asbestosi e 9 di silico-asbestosi; nel 1973 (relativamente al solo primo
trimestre), 25 casi di asbestosi e 2 di silico-asbestosi, con una progressione a dir poco allarmante che
non avrebbe tardato di lì a poco a far registrare i primi decessi.
Alcuni momenti dell'ispezione in fabbrica eseguita dal Pretore di Bari, Dott. Vincenzo Binetti
Le lotte sindacali dei primi
anni ’70 - Nonostante un
resoconto così puntuale e
documentato e l’amplissima
mobilitazione operaia di quei
mesi capace di smuovere le
autorità e di coinvolgere l’intera
società civile, bisognò aspettare
ancora diversi anni perché il
collegamento eziologico con le
risultanze cliniche emerse a
carico di numerosi lavoratori
dello stabilimento barese venisse
provato in modo
incontrovertibile e trovasse piena
certificazione anche per via
giudiziale. A nulla erano valsi gli
allarmi lanciati a gran voce dalle
organizzazioni sindacali e del
tutto insoddisfacenti, se non
addirittura viziate da latenti
connivenze con i dirigenti
dell’azienda, si erano rivelate le
perizie eseguite dall’ENPI e
dall’Ispettorato del Lavoro,
tendenti ad imputare i casi di
malattia professionale allora
accertati più alla fatalità o alla negligenza dei lavoratori colpiti (per via dell’omesso impiego di maschere
protettive) che alla criticità della situazione ambientale. Sebbene la pericolosità delle polveri di amianto
fosse già stata resa nota dalla letteratura scientifica nel 1935, quando presero il via le attività della
FIBRONIT – ex SAPIC di Bari, le indagini condotte dagli enti competenti avevano, infatti, dimostrato
per quell’epoca, e soprattutto in seguito ad una parziale bonifica degli impianti avviata a partire dal
1966-67, livelli tollerabili di polverosità ambientale (misurata in termini di concentrazione di fibre di
amianto per cm³).
AMIANTO - libro bianco Fibronit Bari
Anche a seguito delle lotte
durissime intraprese dai dipendenti
dell’azienda nei primi anni ’70 e
della disposizione, nel gennaio del
1973, di nuove perizie a carico
dell’Istituto di Medicina del Lavoro
e del Centro Provinciale
Antitubercolare, nonostante
l’introduzione di qualche
accorgimento teso a ridurre i rischi
per i lavoratori, le condizioni di
lavoro all’interno della fabbrica
non erano mutate in modo
sostanziale, soprattutto per quel
che riguardava la pericolosità della
lavorazione dell’amianto e del
cemento. Sarebbe stata necessaria
la morte di 16 dipendenti (primi di
una lunga serie), a fronte
dell’accertamento da parte
dell’INAIL di ben 151 casi di
asbestosi, perché le responsabilità
dell’azienda, rea di non aver
adempiuto al proprio dovere di
«adottare tutti gli idonei
accorgimenti e le misure necessarie
per tutelare l’integrità fisica e e la
personalità morale dei lavoratori», venissero provate anche per via giudiziale e le autorità competenti
disponessero la chiusura dello stabilimento barese e la relativa condanna della FIBRONIT S.p.A. al
risarcimento dei gravissimi danni causati ai dipendenti.
Anche dopo la chiusura, la FIBRONIT continua a mietere vittime
Nel 1985 lo stabilimento barese della FIBRONIT chiudeva, dunque, i battenti. Ma si apriva, al
contempo, una questione forse ancora più spinosa, destinata di lì a breve a coinvolgere
drammaticamente l’intera città. I capannoni vuoti della fabbrica, non opportunamente bonificati e
soggetti a progressivo degradamento con conseguente dispersione di polveri sottili nell’area circostante,
non avrebbero tardato a trasformarsi in una vera e propria “bomba ecologica”, che negli ultimi anni ha
provocato gravi patologie, e in alcuni casi anche la morte, di numerosi residenti del quartiere, suscitando
un vasto movimento di opinione che ha coinvolto i cittadini e l’intera società civile. Ma questa è un’altra
storia…
AMIANTO - libro bianco Fibronit bar
I grandi edifici blu della
Fibronit: un Museo Civico a cielo
aperto nel centro di Bari
Negli ultimi vent’anni, benchè conoscessero la pericolosità del sito, le Giunte Comunali sia di centrodestra, sia di
centrosinistra non si sono adoperate nei tempi e in modi idonei al caso
di Do menico Tanga ro pubblicato il 4 ma rzo 2013
Volando a bassa quota sulla città
di Bari in prossimità del Campus
del Politecnico, verso la costa del
mare Adriatico, salta subito agli
occhi una grande area con
edifici“dipinti di blu” . È la
grande area nel centro urbano
della città che ospitava, sino ad
alcuni anni fa, la Fibronit,
un’azienda italiana nota per la
produzione di semilavorati
incemento-amianto per l’edilizia,
area che da settembre scorso, è
stata destinata a parco
urbano: Parco della Rinascita. Ma ciò che incuriosisce della vicenda Fibronit a Bari è la “lentezza”
operativa della Pubblica Amministrazione della città, governata negli ultimi vent’anni da Giunte
Comunali composte da uomini politici delle coalizioni di centrodestra e di centrosinistra. Uomini che, a
mia memoria, nonostante fossero a conoscenza della pericolosità del sito sia per le lavorazioni avvenute
che per le stesse “coperture” dell’azienda, non si sono adoperati nei tempi e in modi idonei al caso.
Queste sensazioni di “pericolo
urbano” e la contestuale
“lentezza dello Stato” per gli
interventi d’urgenza necessari a
tutelare la salute dei cittadini,
sono sensazioni che mi hanno
accompagnato in questi anni.
Lo Stato, nella sua “elegante
lentezza” che lo
contraddistingue in tutti i suoi
apparati operativi e decisionali,
supportato da una burocrazia
I muri blu dell'ex Fibronit nella foto aerea di Gianni Avvantaggiato - si ringrazia il ROAN della Guardia di Finanza di Bari
Con lo sviluppo edilizio, la fabbrica si è trovata al centro degli abitati dei quartieri San Pasquale e Japigia - foto di Domenico Tangaro
zelante, ha impiegato anni per attuare un piano di bonifica e dopo averlo attuato, risolvendo
l’emergenza sanitaria, si è tuffato in un’altra lunga, lenta, storia di recupero urbano supportato da una
miscela di pensieri composti per l’occasione a promozione di “alti valori politico-sociali” che attraverso
il Piano di Recupero, un “giocattolo” che puntualmente appassiona tutti, trovando ampio spazio nei
“programmi politici” di tutti i sindaci, governatori e onorevoli i quali si impegnano, a parole e in prima
persona nei famosissimi primi “cento giorni” di governo cittadino, a risolvere il caso.
Come sempre, dopo le parole non si avverano i fatti. La Fibronit è sempre lì, seppur bonificata e
“dipinta di blu”, un segno urbano forte, che indica visivamente che qualcosa è accaduto e ha “tacitato la
coscienza” dei politici impegnati ad effettuare la prima e l’unica, sin’ora, fase di bonifica.
L’edificio e l’area circostante,
abbandonati a se stessi e alle
intemperie, rappresentano e
sintetizzano in sè tutta l’incapacità
di governo degli uomini politici
degli ultimi venti anni. È una sintesi
fisica e visiva che mi porta al
ricordo di simili “forti segni
urbani” nella storia delle città come
il Muro di Berlino o gli edifici
spogli di Auschwitz, oggi
trasformati a musei. Luoghi che
ricordano un drammatico
momento storico e l’importanza
dell’unicità della vita umana. Luoghi di storia e memoria che, una volta resi pubblici, sono stati sottratti
all’oblio della memoria raccontando, attraverso “l’architettura residua” alle nuove generazioni, i gesti, le
omissioni, gli occultamenti volontari e le errate scelte politiche, etiche, morali ed economiche.
La Fibronit, a mio avviso, dovrà diventare, all’interno del parco urbano un Museo
Civico permanente, perché è un luogo della memoria collettiva e come tale deve conservarsi,
cristallizzato come “un’opera d’arte contemporanea” dipinta di “blu”, creata dalla somma dalle scelte
sbagliate degli uomini del novecento; riordinata, messa in sicurezza permanente, senza demolire nulla e
senza cancellarne i segni che sino ad oggi si sono sovrapposti, in modo che possa essere visitato ogni
giorno dalle scolaresche, dalle nuove generazioni e dagli uomini che vorranno in un prossimo futuro
governare la città di Bari.
Un Museo Civico a cielo aperto, in cui deve essere chiaro e forte “l’urlo” visivo di denuncia, da
comunicare a tutti i cittadini, un urlo che indica ciò che non si deve mai fare in un prossimo futuro in
una società civile, diventando così un’architettura forte, educativa nella vita quotidiana di una città
contemporanea.
La fabbrica, abbandonata a se stessa e alle intemperie, rischia di diventare una bomba ecologica al centro dell'abitato
Amianto, perché è (ancora) così
difficile censire e “mappare” una
provincia
Troppi “abbandoni incontrollati” originano discariche a cielo aperto. Nel 2005 l’amministrazione
provinciale di Foggia lanciò un monitoraggio del territorio per comuni, ma i risultati di questo screening non
sono stati ancora diffusi
di Ma r ia Graz ia Fr isa ld i pubblicato il 4 ma rzo 2013
Che sia estremamente pericoloso
per la salute è un dato ormai
risaputo e riconosciuto; che sia
ancora presente in larga quantità
in numerose aree della provincia
di Foggia e in piccole quantità in
vecchi oggetti o piccoli
elettrodomestici di uso comune,
un po’ meno. Stiamo parlando
dell’amianto – “killer silenzioso”
come è stato universalmente
ribattezzato – messo al bando,
nero su bianco, nel 1992 (anche
se, di fatto, la produzione di componentistica varia basata su queste fibre estremamente resistenti è
terminata già 30 anni fa). Nonostante ciò, individuare e monitorare la presenza di scarti di amianto
non è assolutamente facile. E questo anche a causa del largo utilizzo che ne è stato fatto nei decenni
passati: dall’edilizia al settore dei trasporti (come materiale termo e fono-isolante, ad esempio, di vagoni
e carrozze), dall’industria
all’impiantistica, solo per citare
alcuni settori d’impiego.
Abbandoni incontrollati -
Ancora oggi, infatti, sono
tantissimi gli “abbandoni
incontrollati” di scarti di
amianto e cemento-amianto
che originano vere e proprie
discariche a cielo aperto. A
queste
presenze random,vanno ad
aggiungersi lecoperture –
Amianto - Tettoia
Amianto - Via Menichella, Foggia
purtroppo ancora presenti - di capannoni industriali (5.000 solo in Puglia, per un volume
complessivo stimato superiore al milione e mezzo di metri cubi). In provincia di Foggia, i
numerosi blitz messi a segno dalle efficienti Guardie Ambientali o le operazioni dei carabinieri
nelNucleo Operativo Ecologico mettono in evidenza come sia ancora molto diffusa, per molti cittadini,
la tendenza ad abbandonare e disfarsi impunemente dell’amianto – in forma di tettoie, pluviali o
vecchie coperture; fusti di autoclavi, rivestimenti di vani caldaia – nelle cunette a bordo strada, poco
fuori la città, senza adottare le necessarie precauzioni. Particolare scalpore riscosse, solo pochi mesi, il
ritrovamento da parte delle Guardie Ambientali di Foggia di lastre di cemento-amianto tra gli scarti
di materiale edile abbandonati nei giardini di Via Menichella, nel capoluogo dauno, in un’area verde
cittadina distante pochi metri da
alcune abitazioni e una scuola
elementare.
Mappatura del territorio - Certo,
per operare attivamente
bisognerebbe censire e monitorare
costantemente il territoriosia nelle
cosiddette “zone rosse” (come il
Manfredoniano, ad esempio, dove
c’è l’ex Enichem con il suo vecchio
e pesante fardello e i suoi tanti
interrogativi insoluti), sia in
quelle zone a rischio, perché
spesso trasformate in
discaricherandom per
l’individuazione delle quali è fondamentale la collaborazione della cittadinanza (andrebbe, tra l’altro
evidenziato, che non segnalare la presenza di amianto o, peggio, disfarsene senza le dovute precauzioni
è un reato che prevede pesanti sanzioni). Per quanto riguarda invece le istituzioni, uno degli interventi
più significativi da questo punto di vista era stato lanciato nel 2005 dalla squadra dell’allora
amministrazione provinciale che annunciava con una nota stampa ufficiale l’inizio di un’attività
di censimento, da effettuarsi in tutti i comuni del Foggiano, sui siti a “rischio amianto” per una
successiva bonifica. I risultati di questo screening, però, non sono stati ancora diffusi (o almeno non
pubblicamente). Sull’argomento – dopo aver bussato, metaforicamente parlando, alle porte della
“memoria storica” dell’assessorato competente – chi scrive non ha ricevuto ancora risposta. Scena muta
anche dell’assessore all’Ambiente Pasquale Pazienza, per quanto riguarda progettualità e interventi
necessari.
Enichem Manfredonia
A Milano si respira ancora
amianto nelle scuole?
Nel capoluogo lombardo fa ancora scandalo la vicenda dell’amianto in ben ventidue edifici scolastici, tra
medie, elementari e materne. Ma nulla si conosce ancora circa eventuali provvedimenti
di I sabe l la M i lano pubblicato il 4 ma rzo 2013
Lo scandalo dell’amiantonegli
edifici scolastici milanesi è
scoppiato circa un anno fa, ma
sembra che il Comune
ambrosiano, già dall’ottobre 2011,
fosse a conoscenza della
gravissima situazione in cui
versavano gli edifici (oltre
ventidue), frequentati
quotidianamente da centinaia di
bambini, senza, però, che nulla
trapelasse o senza provvedere
tempestivamente a rimuovere il
“veleno”!
Ciò fino a quando il vaso di pandora non è stato scoperchiato, nel maggio 2012, cioè quando
l’incresciosa notizia dell’amianto nelle scuole non ha fatto il giro della città ed è giunta ai genitori. Da
allora, forte lo sgomento, il timore per la salute dei propri bambini, la rabbia nei confronti delle
istituzioni che languivano, specie perchè di mezzo c’erano la salute o la vita di esseri umani (per di più
minori), tanta la voglia di denunciare la vicenda e di operare in prima persona per riparare i danni. Quei
danni che il Comune stesso avrebbe dovuto proprio evitare.
Innumerevoli sono state le
iniziative adottate, per lo più da
parte delle madri dei bimbi
coinvolti direttamente nel
“pericolo” di contagio da amianto:
ad es. la disponibilità ad accollarsi
le spese per rimuovere le piastrelle
in amianto presenti all’interno e
all’esterno degli edifici, a mettere a
disposizione gratuitamente le
competenze ingegneristiche per
stilare progetti di rimozione e a far
Milano dall'alto, a sinistra il grattacielo "Pirellone"
Una mamma accompagna la figlia a scuola
partire una denuncia corale, che coinvolgesse media e carta stampata.
Anche l’ONA (Osservatorio Nazionale Amianto) ha preso a cuore la vicenda e, tramite il suo
Presidente, l’avvocato Ezio Bonanni e l’iniziativa congiunta dell’avvocato Simonetta Macor, ha
cercato di coinvolgere la magistratura, per indagare sul fenomeno e sulle attuali e reali condizioni degli
edifici messi sotto accusa. È stato, infatti, depositato, proprio lo scorso 9 gennaio, un esposto della
Macor alla procura della
Repubblica di Milano, di denuncia
dell’accaduto, con la speranza di
soluzioni tempestive. Il caso sarà
seguito dal Sostituto Procuratore
della Repubblica Maurizio
Ascione.
La Macor, nel suo documento,
descrive la nocività e la pericolosità
dell’amianto come un problema
che non può essere soltanto
“privato”, viste le ripercussioni
che esso può avere sull’intera comunità. «Nel Comune di Milano ci sarebbero da abbattere 22 istituti scolastici
pieni di amianto»; scrive e ancora «il consigliere del PD Marco Cormio, ha presentato una mozione in consiglio,
firmata anche dall’opposizione, per chiedere al Governo un contributo straordinario, che oltrepassi il vincolo di stabilità,
che paralizza anche la Provincia». Anche se, come ci ha spiegato al telefono Anna Gallo, addetta stampa
dell’assessore all’Educazione Francesco Cappelli (che attualmente si occupa della vicenda), il vecchio
Governo aveva ignorato questa mozione.
L’esposto, inoltre, riporta anche stralci di articoli di vari quotidiani a tiratura nazionale come il Giorno oil
Giornale, pubblicati tra maggio e settembre 2012, in cui si denunciano gli scandali e che vengono presi
come spunto per sottolineare alla procura i singoli punti di indagine. Si fa riferimento, ad esempio, al
momento in cui la sconcertante notizia dell’amianto nelle scuole è giunta, il 16 maggio 2012, alle
orecchie incredule dei genitori, al
fatto, ancor più grave, che le
istituzioni sapevano ma tacevano,
oppure al fatto che gli interni e gli
esterni di molti edifici, rivestiti
con piastrelle in pvc, (nelle quali
l’amianto è mescolato) esistono da
anni e, da anni, i bambini ci stanno
a contatto, respirando l’aria
potenzialmente inquinata di quelle
Un disegno dei bambini di una scuola del capoluogo lombardo, riadattato in versione pericolo amianto
Campagna di verifica della qualità dell'aria presso la scuola primaria Ruffini di Milano, uno tra gli edifici inquinati
stanze. Certo, il fatto che quell’amianto sia compatto e, quindi, pericoloso solo se frantumato, non
rincuora affatto.L’esposto, inoltre, fa riferimento ad un programma del Comune per incapsulare,
riverniciare o proprio rimuovere l’amianto presente, entro il 2015, sulla base di una mappatura che
individua sei aree in cui la concentrazione di amianto varia (ad es. nella 1 è altissima, nella 6 è quasi
assente). Ma due anni sono un tempo biblico se paragonato alla velocità con cui si inalano le singole
fibre. Questi sono soltanto alcuni dei dati inseriti nel documento dell’ONA (clicca per visionare) e
servono per segnalare alla procura la concreta pericolosità del rischio morbigeno dovuto alla reiterata
esposizione alla concentrazione di fibre.
Nonostante, dunque, la situazione descritta non sia delle più rosee, le ultime notizie che ci giungono
sembrano piuttosto incoraggianti. Infatti la Gallo spiega che «l’assessorato ai lavori pubblici, in sinergia con
quello all’educazione, ha approvato due appalti comunali, da 6mln € ciascuno, di cui uno già parte del vigente piano delle
opere pubbliche, per accelerare le opere di bonifica delle scuole ancora inquinate. Perché fino all’intervento dell’assessore
Cappelli e del vice sindaco Ada De Cesaris, la situazione delle scuole di Milano era veramente fatiscente.Certo -
aggiunge Gallo -, per risanare la situazione ci vorrà tempo e la manovra è complessa visto che, come è già accaduto nei
mesi scorsi per la bonifica di altri edifici, i bambini dovranno essere spostati in altra sede e poi, per intervenire, bisogna
prima aspettare gli esiti delle indagini, da svolgersi secondo le procedure ASL. I tempi non possono essere così celeri, ma
l’impegno e i fondi ci sono».
Casale, la Spoon River del Po
Un libro ricostruisce il processo di Torino contro i proprietari dello stabilimento Eternit, fino alla storica
condanna: non si poteva non sapere e non si è fatto nulla per evitare il disastro
di Luc ia S ch inzano pubblicato il 4 ma rzo 2013
Si fa presto a parlare di amianto come la “fibra-killer”
e si fa presto anche a condannare – oggi – quelle
fabbriche che hanno prodotto sì l’eternit – un tempo
salutato come un materiale miracoloso per la sua dote
di estrema resistenza- ma che hanno prodotto anche
morte: anzi, morti, più di3mila nella fabbrica di Casale
Monferrato e fuori di essa. Un po’ più lento risulta,
invece, attribuire in sede giudiziaria le reali
responsabilità a chi ha governato e gestito quelle
fabbriche, perchè da parte di questi ultimi diventa quasi
d’obbligo giocare allo scaricabarile e tendere a
stemperare le colpe, dato che tutti “rispondevano al
superiore” e chi era ai vertici “non sapeva ciò che si
faceva lì”. Eppure questo teorema dell’ io non sapevo è
stato smontato sia pur con grande difficoltà ed ha reso
giustizia a un’intera popolazione di un paese – Casale
Monferrato, in provincia di Alessandria, dove ogni
famiglia è stata segnata da uno o più lutti per
mesotelioma.
Il processo per i fatti svoltisi nello stabilimento Eternit
della cittadina piemontese dal 1952 al 2008, è quello svoltosi a Torino dal 2010, la cui storica sentenza
del 13 febbraio 2012 ha fatto ormai giurisprudenza – la condanna a 16 anni di reclusione per i
proprietari della fabbrica, il barone belga Louis de Cartier e il miliardario svizzero Stephan
Schmidheiny – ed ha aperto la strada ad analoghe azioni giudiziarie. Questo processo viene raccontato
con grande partecipazione ma anche con profonda discrezione e rispetto per vittime e sopravvissuti dal
giornalista Giampiero Rossi in Amianto – processo alle fabbriche della morte (Melampo).
L’autore non è nuovo ad indagini sull’amianto e in questa sua ultima fatica, che vede la bella prefazione
di Susanna Camusso, ricostruisce le fasi dibattimentali fino alla famosa “offerta del diavolo”, la foga e
il rigore morale con cui il pmRaffaele Guariniello, insieme agli altri due pm Sara Panelli eGianfranco
Colace, ha inchiodato alle loro colpe “gli eredi delle due famiglie che – scrive l’autore – dai primi del
Novecento, fino ai divieti imposti dai singoli Stati, hanno dominato l’industria dell’amianto in Europa e
in tutto il mondo”; inoltre dà un ruolo fondante a tutte le strategie di controinformazione attuate
Una manciata di fibre di amianto raccolta da un operaio munito delle opportune protezioni
dalla dirigenza, consapevole dell’effetto letale dell’amianto sin dagli
anni ’50 (ed è di questi giorni la notizia della radiazione, da parte
dell’ordine dei giornalisti del Piemonte, della giornalista Maria
Cristina Bruno, che per anni aveva inviato informazioni su ciò che
accadeva a Casale a una società di pubbliche relazioni che aveva tra
i committenti anche l’Eternit). Dello stabilimento di Casale, Rossi
ricostruisce la storia: perchè nacque lì e non altrove, quali erano i
suoi rapporti con gli altri stabilimenti di Cavagnolo, Rubiera e
Bagnoli, perchè venne dichiarato fallito nel 1986. L’autore segue
passo passo il deliberato e sconsiderato tentativo di minimizzare gli
effetti della fibra-killer e di privare di fondamento qualsiasi
azione di bonifica dei siti inquinati, perchè
antieconomica: perchè investire nel miglioramento delle
condizioni di lavoro dello stabilimento quando si sa che quello
stabilimento verrà abbandonato dato che esistono tecnologie più
pulite di quelle legate all’amianto?
Rossi però va oltre il semplice resoconto del processo: cita dati a livello nazionale e internazionale,
segnala il vasto movimento d’opinione che ha superato i confini nazionali e soprattutto restituisce
spessore e potenza alle tante piccole storie segnate dal mesotelioma: la panettiera, l’operaio, il
professore, la ragazza, il sindacalista; su tutte svetta la storia di Romana Blasotti Pavesi, ormai
ultraottantenne e non più capace di piangere, come lei stessa ha detto più volte, presidente
dell’associazione familiari vittime dell’amianto e non tanto perchè lei di persone care ne ha perse
cinque, ma perchè è stata quella che ha dato a tutti la forza di lottare e il senso di dignità di una battaglia
civile da affrontare. Battaglia che viene sintetizzata dalla proposta di Guariniello di dare vita a
unasuperprocura nazionale incaricata di agire sui reati ambientali.
Giampiero Rossi, Amianto – Processo alle fabbriche della morte, Melampo, 2012, 160 pp., € 15,00
La copertina del libro
Asbestos: Still Legal and Lethal
in the USA
In 2003, after enduring nine months of symptoms and multiple visits to doctors, my husband, …
di redaz io ne pubblicato il 4 ma rzo 2013
In 2003, after enduring nine months of symptoms and multiple visits to
doctors, my husband, Alan Reinstein, was diagnosed with deadly mesothelioma. At
the time, I had never heard of the disease, and, like most Americans, thought that
asbestos had long been banned in the United States. It has not.
I turned intense grief and anger
about Alan’s mesothelioma
diagnosis into action by co-
founding the Asbestos Disease
Awareness Organization (ADAO).
As a result of asbestos exposure,
Alan died three years later with our
then 13-year-old daughter and me
by his side. Almost a decade after
Alan’s diagnosis, ADAO’s core
principles have remained constant
– education, advocacy, and
community.
In the USA, more than 10,000 Americans die each year from preventable
asbestos-caused diseases. 25% of those deaths are from mesothelioma. The facts
are irrefutable: asbestos is a known human carcinogen and there is no safe level of
exposure. In the 1970s, several
significant pieces of legislation
regarding public health
were approved; however, since
then, not many steps have been
taken towards an
asbestos ban in the United States.
In 1989, the United States
Environmental Protection
Agency issued a final rule
banning most asbestos-containing
products. However, in 1991, this
regulation was
overturned by the Fifth Circuit Court of Appeals in New Orleans. Currently, the only
three banned asbestos-containing products are: flooring felt, rollboard, and
corrugated, commercial, or specialty paper. The last action that the federal government has taken to
protect the American people from asbestos was a 2009 statement from the
Surgeon General about the dangers of asbestos. Unbeknownst to many Americans, the U.S. continues
to use asbestos.
The United States Geological Survey (USGS) reported that U.S. consumption of asbestos increased
13% in 2011, and 140 metric tons of chrysotile imported to the U.S. in 2011 was placed in stocks for
future use. Asbestos consumption in the United States was estimated to be almost 2,000 metric tons.
Roofing products were estimated to account for about 60% of U.S. consumption and chloralkali about
35%.
The damage caused by asbestos
use in the U.S. is immeasurable.
On
September 11, 2001, nearly 3,000
innocent lives were lost, but the
death toll
continues. When the towers
collapsed, building debris
blanketed Lower Manhattan,
exposing thousands more to
known hazards in the air, including
over 2,000 tons of
asbestos. Today, area residents and
emergency service workers continue to die of cancer due to 9/11 exposure.
Consumer, environmental, and occupational exposure continues in the
United States. Occupational diseases are not accidents. There is a difference between
a worker who falls from a crane and a worker who is exposed to occupational hazards like asbestos. In
Washington D.C., employees were exposed to and sickened by asbestos
while maintaining the tunnels under the nation’s capitol. Underground, the asbestos
dust was so thick that the supervisor was able to write his name on the top of a pipe.
This is a tragic example of worker rights violations. Although the federal government
issued multiple citations, exposure continued.
In May 2010, the U.S. President’s Cancer Panel released a landmark 200-page
report entitled “Reducing Environmental Cancer Risk: What We Can Do Now”. The panel
reported that: “Construction workers were found to be 11 times more likely to
develop mesothelioma, due to asbestos exposures at the site.” Occupational cancers
are on agency radars now more than ever before.
Environmental disasters, natural and man-made, expose Americans to
asbestos. First responders and
residents were endangered
during Hurricane Sandy
clean-up and when the Joplin,
Missouri tornado ravaged the
city. 2,600 tons of
asbestos debris was removed in
Joplin. The WR Grace
Vermiculite mine in Libby,
Montana has been expensive in
dollars and lives. Nearly 2/3 of
the town has suffered
from sickness or died, and the
government has spent $450
million dollars to clean up
this toxic dump.
ADAO’s top priority is education. 90% of people all over the world live in
locations with access to a mobile network. ADAO uses online graphics to share
facts and visualize data. Preventing exposure is especially difficult because of
asbestos’ extremely small fiber size, public misconception about safe use, and the long latency period
for disease to present. ADAO freely shares the penny slide, which shows 20,000 asbestos fibers
compared to the size of rice and human hair that can fit under President Lincoln’s nose. ADAO also
shares “Identifying Asbestos in the Home” graphics around the world.
With pain, comes action. There are only two ways to stop deadly asbestos-caused diseases – prevention
and a cure. It is painful to watch legislators move so slowly to end one of the largest man-made
disasters. ADAO is committed to preventing consumer, environmental, and occupational exposure. As
the International Social Security Association reported in 2011, the “cost-benefit potential for
investments in prevention may be as strong as 1: 2.2, and even higher in some cases.” Partnering for
Prevention is imperative. ADAO’s online “Share Your Story” feature is expanding. Patients and
families around the world willingly share their unique stories about diagnosis, treatment and, for most,
death. This process is cathartic, strengthens community bonds, and undeniably shapes policy.
ADAO returns to Washington, D.C. for the 9th
Annual International Asbestos Awareness
Conference. At the conference, doctors, scientists,
professors, advocates, and patients and their
families will discuss “The Asbestos Crisis: New
Trends in Prevention and Treatment.” One life
lost to asbestos disease is tragic; hundreds of
thousands of lives is unconscionable. But
together, change is possible.”
Linda Reinstein co-founded the nonprofit
Asbestos Disease Awareness Organization
(ADAO) in 2004, after her husband Alan was
diagnosed with mesothelioma, a cancer caused by
asbestos exposure. Even after Alan passed away in
2006, Ms. Reinstein continues to serve as
President of ADAO, spearheading the
organization’s global-focused education, advocacy,
and community support initiatives. Recognized as
an expert with more than 35 years of nonprofit
experience in building and sustaining grassroots
advocacy, she develops and executes integrated social media campaigns to educate the public about the
dangers of asbestos exposure, in addition to speaking to international audiences, including the United
States Congress and the United Nations.
“Polvere. Il Grande Processo
dell’Amianto”
La recensione del film documentario di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller
di Fe l i c i ta S ca rdacc io ne pubblicato il 4 ma rzo 2013
Una comunità tenace, combattiva e
quella terribile – silente – morte che
pian piano s’insinua e
travolge Casale Monferrato, in
Piemonte. L’accusa finale: disastro
doloso permanente e omissione
dolosa di misure
antifortunistiche. La pena
applicabile: 16 anni di carcere. Gli
imputati: il n. 142 e il n. 243 nella
classifica degli uomini più ricchi del
mondo. Ovvero i principali
azionisti della multinazionale più
tristemente famosa , lo
svizzero Stephan Schmidheiny e
il belgaJean Louis de Cartier de
laMarchienne. Testimoni a carico:
800 persone di Casale Monferrato,
parenti delle vittime, in
rappresentanza delle decine di
migliaia che hanno lavorato, in un
secolo, nei diversi
stabilimenti Eternit di tutti i paesi d’Europa. Numeri che a livello mondiale lasciano ammutoliti:
centomila i morti stimati per mesotelioma. Ma sono loro gli ex operai e semplici cittadini i duri
accusatori a “viso scoperto” che con grande compostezza intervengono nel film denuncia firmato da
Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller “Polvere. Il Grande Processo dell’Amianto” (clicca qui per
vedere il trailer) in sequenze a volte dure, raccolte nei primi mesi delle udienze del processo penale
contro i “padroni” dell’amianto, terminato poi il 13 febbraio 2012 a Torino con le condanne sopra
riportate. Fermi immagine di un quotidiano apparentemente comune a tanti, unite ai numerosi
sentimenti di speranza e alle tante ansie che si susseguono ad inevitabili momenti di sconforto. Una
sofferenza che si rinnova ancora adesso. Non basta quella tragedia a ridare fiducia in un futuro migliore:
la scia di morte non si arresta. La produzione di amianto nel mondo ha ripreso a crescere, infatti,
POLVERE Il grande processo dell'amianto - la locandina del film
grazie all’enorme consumo delle economie in rapido sviluppo come India, Cina e Russia. La lobby dei
Paesi esportatori, con in testa i Canadesi (che lo producono e lo esportano nei paesi in via di
sviluppo,ma non lo usano), è potentissima e agisce nelle sedi internazionali per influenzare le
politiche dei singoli Paesi
Un triste destino mai concluso,
come quello che ha unito nella
sorte Luisa, donna combattiva
fino all’ultimo, ex assessore
dell’ambiente, Romana “la
coraggiosa”, Bruno, Nicola,
Raffaele, Fernanda, e tanti altri.
Non sono altro che uomini e
donne destinati loro malgrado a
completare un elenco esteso
ormai a macchia d’olio. E non
lascia indifferenti. Il 14 febbraio
scorso si è aperto il secondo
grado di giudizio del processo,
un’udienza lampo per ribadire
“l’interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento”, ma è stata una giornata soprattutto
significativa per rilanciare un appello rivolto alle giovani generazioni intervenute : “stop alla strage
dell’amianto”. Perché non si può raccogliere un simile documento di vite spezzate d’eroi (così è
corretto scrivere) senza osservare con amarezza come a distanza di anni siano pronte, e fino
all’ultimo, a puntare il dito contro i loro assassini, pronte a dare energie per ottenere
una giustizia tentennante nel 2013: ciascuno di loro porta con sé da trent’anni il carico di lutti e di
paure, esempio per noi di forza , per loro invece emblema di una determinazione sconfinata ad andare
avanti.
POLVERE Il grande processo dell'amianto - un fotogramma del film