Mi svegliai.
Giacevo supino sul ciglio di una strada a me ignota, in una citt senza nome.
I miei occhi si dischiusero, assieme a loro l'immagine di un cielo violaceo,
che piangeva senza tregua fiocchi di neve stanca.
Provai a scuotere la memoria per raccogliere i ricordi, non riuscii.
Il vuoto mut presto in dolore, in infiniti spilli che si conficcavano nella mia
testa. Mi concentrai sul respiro, mi alzai in piedi e mi trascinai per quelle vie
desolate, pi stanco della neve stessa.
Non un albero, non un'anima: una cartolina inquietante.
Bussai alle porte di ogni casa, alle vetrine di ogni bottega; a rispondere,
soltanto l'eco dei miei pugni.
L'ultimo fiocco di neve sfior il cemento, e la terra, di colpo, vibr: gli edifici
tremarono, la neve si incattiv, mi invest, venni scaraventato violentemente da
una parte all'altra della citt.
Mi rialzai a fatica, le mani scorticate, il volto tumefatto, l'andatura incerta. La
neve, tiepida, schioccava sul mio viso baci teneri e delicati.
Le oscillazioni tornarono improvvise, pi intense di prima.
Il mio corpo si sollev e si schiant contro le case, si schiant contro le strade,
si schiant contro la cupola di vetro che sembrava racchiudere l'intera citt.
Le mie ossa si spezzarono, si frantumarono una per una, il sangue, poco a
poco, tinse di rosso uno scenario altrimenti immacolato.
Di l dal vetro, vidi quella mano, quell'ultima figura gigantesca riflessa nelle
mie pupille.
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