Centro Espositivo Polveriera Napoleonica 12 - 27 Aprile 2008
LUCI di Fausto Deganutti
Centro Espositivo Polveriera Napoleonica 12 - 27 Aprile 2008
LUCI di Fausto Deganutti
testi critica di Diego Collovini e Marina Manfredi
con i l patrocinio di
Comune di Palmanova
con i l contributo di
Centro Espositivo Polveriera Napoleonica 12 - 27 Aprile 2008
LUCI di Fausto Deganutti
testi critica di Diego Collovini e Marina Manfredi
Parlare della pittura di Fausto Deganutti significa entrare nella prospettiva di una raffinata ed innovativa rivisitazione di uno degli elementi primari dell’espressione artistica quale è il colore che costituisce la struttura, e quindi la forma, delle sue opere, dove per forma non si vuole intendere il mero apparire del prodotto artistico, ma invece la sostanza e l’essenza stessa dell’opera.
L’operare di Deganutti porta l’osservatore ad immergersi in un mondo in cui il colore si carica di profondi significati concettuali che per suo tramite vengono portati alla luce. Esso infatti viene usato per enunciare tematiche di notevole spessore quali il ricercare la verità: quest’ultima viene esperita sia dal punto di vista gnoseologico che da quello pulsionale poiché l’ispirazione del nostro non trae le sue origini da elementi occasionali di carattere fenomenico, ma invece vuole rielaborare in termini visivi problematiche di carattere intellettuale. L’artista propone infatti una serie di opere dai titoli molto impegnativi quali “Inizio”, “Inizio della caverna”, “Non è tutto buio nella caverna”, “Uscita dalla caverna”, “La caverna di Breton”. Attraverso la stesura della pennellata ricca, forte e carica di luminosità Deganutti viene a formulare una sorta di parafrasi del famoso mito della caverna descritto nella teoresi platonica, ma in questo caso la conoscenza a cui perviene non è una conoscenza esclusivamente filosofica, bensì è quella particolare modalità conoscitiva che solo l’opera artistica riesce ad offrire contenendo essa, per statuto, sia elementi razionali che elementi pulsionali, emozionali.
Nello specifico il segno cromatico di Deganutti esprime forza magmatica che riesce a far emergere emozioni provenienti dalle profondità dell’inconscio; la cromia attira lo sguardo del riguardante verso l’interno dell’opera e l’occhio viene quasi a perdersi nella ricerca di una linea guida che invece è lo stesso segno cromatico a negare, poiché ogni pennellata ha una sua forza individuale che induce l’osservatore ad abbracciare la composizione nella sua imprescindibile totalità. I colori, anche se usati tonalmente, vengono a negare la profondità spaziale mentre rimandano l’uno all’altro nella composizione della forma. Forse, ammiccando a scelte precedentemente compiute da un grande esponente del “color-field” quale fu Rothko, Deganutti non compone una singola opera, ma opere legate tra loro secondo una sequenza seriale
sottolineata non soltanto dai titoli, ma dalla loro stessa struttura compositiva che rimanda alla lezione di una delle prime avanguardie storiche. Ma non è solo Rothko il maestro di riferimento per capire la poetica di Deganutti che invece guarda con maggiore interesse alla poetica futurista. Egli, nelle sue opere, sembra rielaborare il concetto boccioniano del colore inteso come elemento “volumetrico” che viene a struttare la “forma-colore” la cui manifestazione è in quelle che Bocconi definisce “linee-forza”, ovvero singole pennellate che rappresentano il continuo dinamismo di ogni oggetto nello spazio. In altre parole l’elemento irrazionale, alogico, intuizionistico quale è, appunto, il colore viene a portare alla luce quella verità che è preclusa a coloro i quali vivono in caverna e non riescono a disperdere le tenebre dell’ignoranza. Il raggiungimento della verità si verifica quando ciò che è nascosto, occultato, viene esteriorizzato e manifestato nell’elemento cromatico che si stende sulla superficie del dipinto parlando quel linguaggio intraducibile a parole che è il “verbo” proprio dell’arte visiva.
L’artista sfrutta il colore portandolo al suo estremo limite, pervenendo alla creazione di opere in cui la cromia si annulla in campiture bianche che rappresentano, secondo la lezione di Malevic, l’essenza stessa della verità, finalmente liberata dall’involucro delle cose rappresentate. Bisogna inoltre rilevare che Deganutti non usa il colore solamente per rappresentare tematiche gnoseologiche, ma lo adopera sia per incarnare concetti quali il “confine”, la “vita”, sia per rappresentare la persona, la donna. Anche in questo, tuttavia, la donna è colta non nella sua fisicità, ma piuttosto nelle tracce che la presenza femminile lascia nello spazio. Anche la donna viene dunque rappresentata come una realtà in continuo divenire, in continuo movimento, che solo l’intuizione incarnata nel colore può cogliere.
Si può quindi concludere affermando che Deganutti, pur in modo non completamente consapevole, attraverso cioè l’intuizione artistica, propone oggi opere nella cui struttura si manifesta, per dirla con Boccioni “la relazione plastica che esiste tra la conoscenza dell’oggetto e la sua apparizione”.
Marina Manfredi
Dialettica cromatica
LE OPERE
a Gil, che colora le mie nuvole.
Fausto Deganutti
7
Fausto DeganuttiLuci
Confine1m x 1 m - olio, plexiglass e neon
contemporaneia confronto
8
Vitae11m x 1 m - olio, plexiglass e neon
9
Fausto DeganuttiLuci
Vitae21m x 1 m - olio, plexiglass e neon
contemporaneia confronto
10
Inizio1m x 1 m - olio
11
Fausto DeganuttiLuci
Inizio della caverna1m x 1 m - olio
contemporaneia confronto
12
Non è tutto buio (dentro la caverna)1m x 1 m - olio
13
Fausto DeganuttiLuci
La caverna di Breton1m x 1 m - olio
contemporaneia confronto
14
All’uscita della caverna1m x 1 m - olio
15
Fausto DeganuttiLuci
Donne estasi di un ballo1m x 1 m - olio
contemporaneia confronto
16
Donne estasi1m x 1 m - olio
17
Fausto DeganuttiLuci
Donne0,80 m x 1 m - olio
contemporaneia confronto
18
Uno1m x 1 m - olio
19
Fausto DeganuttiLuci
Riproduzione1m x 1 m - olio
Mostre Fausto Deganutti
1975
Gos Gallery, Lugano
2006
Multiseum, Martignacco (Udine)
Galleria Casa Rurale Duino, Trieste
2007
Chiesa di Sant’Antonio Abate, Udine
Grani di Pepe, Flaibano (Udine)
Frammenti di Sistema Solare, Villa Manin di Passariano (Udine)
Linee di confine, Castello di Susans (Udine)
Testimonianze d’arte, Castello di Mombercelli
Luci, Castello di Salisburgo
Temperatura Ambiente, Villacaccia (Udine)
2008
Galleria La Bottega, Gorizia
Rassegna d’Arte Contemporanea, Castello di Capalbio
Magic Bus, Villa Manin Passariano, Udine
Luci, Polveriera Napoleonica, Palmanova
organizzata da
si ringraziano
testi
Diego Col lovini e Marina Manfredi
progetto grafico
Fausto Deganutti
Manuela Cacciani per Interlaced
coordinamento
Tommaso Pappalardo per Interlaced
si ringraziano
Dott. Diego Col lovini, Prof.ssa Marina Manfredi, Dott.ssa Gabriel la Del Frate
p & c Apri le 2008 Fausto Deganutti
L’attività artistica di Fausto Deganutti risente delle diverse esperienze artistico-
pittoriche che hanno definito il corso della storia dell’arte della fine del secolo scorso. Sarebbe però riduttivo se dovessimo osservare le opere di un artista con l’intento di riconoscere un’improbabile identità o ancora individuare le citazioni linguistiche presenti nelle sue opere. Una riflessione di questo genere limiterebbe ogni forma espressiva autonoma e personale. Di contro però ogni artista ha dovuto confrontarsi e dialogare con i diversi linguaggi dell’arte; e ciò ha permesso di arricchire l’esperienza personale e dare consistenza al linguaggio stesso. E questo personale rapporto con le sperimentazioni artistiche pone l’artista in uno stato creativo che origina da un’analisi critica e dialettica dei complessi e mutevoli scenari storici delle molteplici personalità artistiche che hanno operato e operano nel complesso e articolato mondo artistico del Friuli Venezia Giulia. La pittura di Deganutti ci appare come la risultante di una ricerca che ha voluto sperimentare diversi linguaggi e in particolare ha inteso focalizzare la sua sperimentazione sulle vibrazioni cromatiche quali espressioni più vive ed intense della natura. Inoltre ha voluto elaborare l’immagine e il contenuto attraverso audaci e personali accostamenti di colori caldi e freddi. Una pittura dominata da un variegato colorismo e da gradazioni cromatiche in grado di creare un palcoscenico sul quale un ruolo determinante viene giocato dalla luce. Ed è attraverso queste considerazioni – a mio avviso – che va letto il lavoro di Deganutti. La sua pittura, che in un primo momento può essere annoverata tra le molteplici esperienze astratte, in realtà ci pare più complessa ed articolata. Questo perché l’artista va accentuando alcune forme linguistiche dell’arte astratta come il colore, da lui evidenziato mediante accentuati cromatismi e forti chiaroscuri, o ancora attraverso vorticosi e istintivi segni, o mediante lievi stratificazioni di campi pittorici. D’altro canto però questi elementi ci inducono ad individuare nella sua pittura una forte connotazione proveniente dallo studio del paesaggio e dal naturalismo
pittorico. Il concetto di paesaggio va ricercato in quel cromatismo che segna non solo le fonti luminose (i cui salti cromatici si evincono dai colori e dai contrasti propri del colorismo naturalista), ma anche una diversa composizione dei piani pittorici in grado di definire impercettibili prospettive o ancora realtà diverse. Se dunque le tonalità del blu ci portano a pensare profondità infinite, il giallo ed il rosso, offerti in primo piano, ci inducono ad immaginare un paesaggio che gradualmente, come il colore, si perde nell’orizzonte. Un orizzonte a volte passivo, se individuato tra i diversi campi cromatici, altre volte attivo
se raffigurato da un neon sistemato nel mezzo delle due differenti campiture.
E ancora quei vorticosi segni che vediamo dilatarsi sulla superficie, in realtà ci propongono forme e figure umane in movimento. Forme e figure che spesso si spezzettano e si perdono, come frammenti sulla superficie, tali da suggerire allo spettatore un’azione di ricomposizione e di ridefinizione della forma stessa. Ecco dunque una mano, le labbra, i capelli diversamente disposti su campi cromatici che illusoriamente creano apparenti spazi percettivi e inducono alla percezione di lievi movimenti tali da proporre una lettura più intensa e riflessiva. Una scomposizione della forma che non appare essere semplicemente un inconscio richiamo alle esperienze postcubiste (veramente vive nel secondo dopoguerra nella realtà artistica friulana), ma allo smembramento del corpo la cui essenza – in un secondo momento – pare essere simbologicamente trasportata in un’altra realtà (o altro mondo) mediante quel pallone contornato da un luminoso neon. Un’immagine che ci suggerisce un viaggio – come tutti i palloncini che pieni di elio si librano nell’infinito – verso mete e spazi ben più ampi di quelli che l’immaginazione è in grado di identificare.
Diego Collovini