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ASMA GHERIB
LA DIMORA DELLE QUINDICI PROSTRAZIONI
Raccolta poetica
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INTRODUZIONE
La tradizione letteraria orientale riconosce il termine maqamat con svariate
accezioni. Tale termine trova particolare testimonianza nel campo musicale, letterario e mistico; cioè tre discipline correlate una all’altra grazie all’aspetto unificatore della mistica, basata principalmente sul pluralismo e sulla tolleranza. Per la traduzione della parola “maqam” (plurale maqamat) si possono fornire varie considerazioni; innanzitutto il maqam equivale ai termini come “dimora”, “luogo”, “posto”, “posizione” e “sito”, o meglio “dove si sta in piedi”.
Le maqamat nella musica mediorientale sono le scale modali, formate da sette note e suddivise in 24 intervalli di 1/4 di tono ciascuno, dando così la possibilità di utilizzare distanze tra le note, oltre che di un semitono, cioè anche di 1/4 e 3/4. Questa divisione sottile rende la musica maqamica più derelitta e nostalgica e, secondo una interpretazione mistica diffusamente accettata, si produce una musica che narra la storia del distacco ovvero la separazione dall’origine, e ci fa provare una nostalgia addolcita dalla speranza del congiungimento, come asserisce il poeta persiano, Mawlānā Jalāl al-Dīn Rūmī:
Ascolta il ney , com'esso narra la sua storia, com'esso triste lamenta la separazione: Da quando mi strapparono dal canneto, ha fatto piangere uomini e donne il mio dolce suono! Un cuore voglio, un cuore dilaniato dal distacco dall'Amico, che possa spiegargli la passione del desiderio d'Amore; Perché chiunque rimanga lungi dall'Origine sua, sempre ricerca il tempo in cui vi era unito.1 Nella concezione letteraria, invece, per maqamat s’intende particolarmente
una sorta di prosa artistica e ritmica, talora rimata e adornata tramite i versi che seguono lo stesso tema della parte prosaica. Le maqamat come prosimetri artificiosi manifestano il connubio tra la prosa e la poesia, lo spirito e l’anima, la materia e la forma. Tali componimenti sono riempiti da domande e risposte, eziologie fantastiche e descrizioni minuziose, espresse con l’estimabile leggiadria stilistica e l’eleganza formale. È assai interessante che sulle maqamat stesse si basi una parte cospicua della prosa mistica dell’Islam, scritta specificamente in lingua persiana. Come si è accennato, la mistica, facendo ricorso ad altre discipline, rivela un aspetto eclettico e unificatore; nel caso delle maqamat, il prosimetro che aveva funzionalità meramente artistiche, entrando nell’area mistica, subisce un cambiamento tematico e stilistico. In effetti, il sufismo cambia l’eziologia fantastica della gioconda prosa realistica con una fenomenologia arcana e spirituale che capovolge i fondamenti su cui si era basata la visione cosmologica del tempo. Così il mundus immaginalis (‘ālam al-khayāl al-munfa‘il) non è più un mondo nominale e fittizio, bensì è l’origine e il principio del mundus naturalis. Dal punto di vista formale e stilistico, la mistica cambia l’artificiosità dello stile maqamico precedente con la semplicità e con la chiarezza, concentrandosi principalmente sul lato contenutistico.
Quanto alla simbologia comparata fra la musica e la mistica, le sette note della scala musicale si trasformano nei sette gradi della perfezione spirituale del viandante verso l’assoluto; un pellegrino che trascorre una lunga e faticosa strada verso l’Eterno
1 Rumi, MATHNAVI, introduzione.
4
e si trasforma dal nulla in Tutto e dal Tutto in Nulla e unificandosi con l’Assoluto diviene solamente una rivelazione della progressiva epifania sempiterna. L’Attar, uno dei pilastri della letteratura persiana, così descrive le sette valli delle maqamat:
La prima valle è la ricerca, e subito dopo s’affaccia quella dell’amore. La terza valle è la conoscenza, e la quarta è quella dell’indipendenza. La quinta valle è l’unità pura, la sesta è quella dello stupore tremendo. La settima, infine, è quella della povertà e dell’annientamento, valle al di là della quale non si può oltrepassare. Là sarai attirato e perderai il cammino, e una sola goccia ti pare un oceano enorme2. Delineando brevemente questo panorama al riguardo delle maqamat e delle
loro concezioni, possiamo entrare in merito all’opera poetica di Asma Gherib, Maqam al-khamsah ‘ashrah sağdah. Il conciso canzoniere della poetessa contiene varie caratteristiche delle maqamat dalla mistica alla musica. La composizione unisce la semplicità ad una misteriosità accompagnata dalla musica, caratteristica connaturale della forma poetica in generale e, in particolare, derivata dalla melodia e dall’armonia d’ogni singolo verso, ma più importante di tutto è il lato esoterico e arcano di questa raccolta poetica. I tòpoi utilizzati nel divan della Gherib si riscontano abbondantemente fra le opere della mistica islamica in entrambe le sue lingue principali, cioè il persiano e l’arabo.
La dimora delle quindici prostrazioni dal punto di vista prosodico è un componimento moderno ed i versi non seguono le regole della metrica quantitativa della letteratura classica arabofona. Probabilmente tra i vari temi presenti nella poesia della Gherib, il più interessante da trattare in questa breve introduzione è il dialogo surreale che emerge ampiamente nel corso del divan. Si tratta di domande, risposte, apostrofi e dialoghi esoterici che si svolgono fra i vari personaggi presenti nell’opera: ad esempio, tra la poetessa e il Signore oppure il Veglio o comunque un’altra esistenza suprema; personaggi sconosciuti e misteriosi che interloquiscono fra loro medesimi con un linguaggio pieno di riferimenti mistici e trascendentali.
Per quanto riguarda la retorica, il canzoniere è abbastanza denso; con similitudini, allusioni, metafore, ripetizioni e paronomasie facilmente rintracciabili; ma in questo quadro retorico la figura più rilevante è l’allegoria: una specie di tota allegoria che narra la storia dello sviluppo mentale e spirituale della poetessa, in un percorso immaginario e soprannaturale. Un percorso che invita il lettore a scoprire lo splendore di un reame ignoto situato tra l’Oriente e l’Occidente, la luce e l’oscurità, la realtà e l’immaginazione, lo spirito e la materia.
IMAN MANSUB BASSIRI
2 Attar, MANTEQ AL-TAYR, saggio 38°.
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LA DIMORA DELLA LUNA PIENA E DEL SOLE
Un volto come la luna piena,
esce dal tuo viso e ti dice:
“A volte una vita intera non basta
affinché l’Uomo conosca
la sua vera essenza e il suo vero volto.”
Un volto come il sole,
esce dal tuo viso e ti dice:
“Lascia che ti baci,
che sia tenero con te,
lascia che mi sciolga
per passione dentro di te.”
Tu, smarrita, lo guardi e gli chiedi:
“Chi sei?”
Egli risponde:
“Sono il tuo volto,
quello che hai passato tutta la vita a cercare.”
Lo guardi un’altra volta,
e nuovamente cominci a cercarlo
e quando lo trovi, lo vedi già tramutato
in una fiamma blu,
che corona il tuo corpo
e in una candela verde,
che illumina il tuo cuore.
6
LA DIMORA DI NON LEGGERE
Disse: “Non leggere.”
Risposi: “Io, però, so leggere.”
Disse: “Non leggere in un nome che non sia il mio,
né sopra una tavola che non sia la mia.
E da oggi in poi, non aprire un libro.”
Dissi: “Ma i miei scaffali sono pieni di libri.”
Disse: “Bruciali tutti
e lavi con l’acqua della verità le ceneri delle loro bugie
Dì ciò che vedi tu,
ciò che pensi tu,
la vita intorno a te,
la terra e il cielo.
Hai l’occhio e l’orecchio,
hai la mano e il piede,
hai te e loro,
questo è il tuo libro,
estrinseco e intrinseco,
il tuo sapere e il tuo mondo,
la tua sapienza e la tua devozione,
descrivi dunque ciò che vedi e ciò che senti
e non bussare la porta di alcun mistico
o sufi oppure di qualsiasi fermo davanti a Dio;
perché loro hanno le proprie porte
e tu ne hai una porta, che nessuno prima di te abbia mai bussato.”
7
LA DIMORA DELL’ETERNITA’
A ogni Uomo la sua vita ed io la mia,
in essa dimorai per venti anni
navigando dentro la sua falsità
fin quando non mi fossi stufata
e le voltai di conseguenza la schiena
e vagabondando andai alla ricerca
della caverna della mia anima
e quando la trovai
abitai in essa per altri venti anni
girando tra le sue mura
e scrivendo con le lacrime sopra le sue rocce
fin quando non fui colpita dalla tristezza e dalla noia
e quindi le girai il dorso
e andai in giro smarrendomi tra i deserti
alla scoperta della grotta del mio cuore
e quando la trovai
mi recai in essa per un terzo ventennio,
piangendo dentro le sue tundre
e raccogliendo miraggi dalle fiamme delle sue sabbie
fin quando la solitudine e l’alienazione non mi avessero indebolita
e quindi mi allontanai errando
per le dune della sabbia
alla ricerca del tempio del mio spirito
e quando ivi entrai
ti trovai in esso, una sorgente di luce e di fuoco
mi lavai dunque con il tuo bagliore
e bevvi dal tuo splendore
e lì risedetti con te per l’eternità.
8
LA DIMORA DELLA BAMBOLA
Amore mio, tra le Tue mani, sono una bambola d’argilla.
Tu, solo, hai creato la sua creta,
scavato le sue profondità
e fatto correre dell’acqua tra le vie del suo zigote ed embrione.
Tu, solo, con pazienza hai tessuto le sue ossa
e cauterizzato con le Tue lacrime la sua carne.
Anzi, Tu solo, con il fuoco hai spaccato il suo udito
e con la Tua verità, illuminato la sua vista.
Fai di me dunque quel che vuoi:
tessi con l’ago della formica le ferite del mio cuore,
scrivi con il sangue rosso blu l’alfabeto del mio destino
e dipingi con l’arco baleno i dettagli del mio oggi e del mio domani.
Non pronuncerò una lettera, che tu non vuoi sia pronunciata,
non compierò un atto, che tu non vuoi sia compiuto,
visto che, a Te appartengono; la lettera, il verbo e il nome.
9
LA DIMORA DEL LUCIGNOLO E DEL VETRO
C’era una volta una farfalla,
che bussò la tua porta
e tu non la facesti entrare
Oh
U
o
m
o
.
La lasciasti volteggiare intorno al tuo vetro nero,
la lasciasti girare intorno alla statua della tua anima morta,
anzi, la lasciasti cadere sopra il tuo lucignolo
acceso con un fuoco gelido
e preso dalla nullità e dal vuoto.
Perché
oh
U
o
m
o
?
Lascerò le sue ali dirti il perché
oh
o
b
l
i
o
10
:
“Quando la farfalla venne da te, eri e lo sei ancora,
prigioniero del buio della tua biblioteca antica,
leggevi libri e mangiavi altri,
ed eri chiuso dentro la notte del tuo museo vecchio,
contavi le pietre preziose raccolte lungo il tuo cammino
e ti compiacevi dal suono delle monete d’oro
sparse intorno a te qui e lì.
Peccato tutto questo,
peccato, che non ti sia ancora accorto,
che il cielo, da quel giorno, pianse e divenne cupo
per la farfalla, che lasciasti bruciare
dentro il tempio freddo del tuo corpo
Oh
U
o
m
o
!”
11
LA DIMORA DEL TU
Ero una volta io,
il cammino era lungo e deserto
ed io in esso ero debole e straniero
come una conchiglia dimenticata sulla costa del mare
o come paglia portata dal vento
vicino alla riva di un fiume.
E Tu eri e lo sei ancora e lo sarai sempre
quello quando sorse sulla notte, quest’ultima s’illuminò
e io ero colui che
nacque anziano senza cibo né dimora
oggi però sono diventato tutto tuo
anzi son diventato un bambino tutto te
dopo, che un giorno ero io.
12
LA DIMORA DELLA GAZZELLA
Non scappare da me oh tu gazzella delle savane,
fammi le domande ed io ti darò risposte,
chiedimi di apparire ed io ubbidirò.
Non rifiutare la mia scienza e sapienza;
essa è fuoco e luce anche quando compare
dentro un bagliore nerissimo
o in mezzo a un fico intorno al quale girano delle vipere.
So che fingi di dimenticarmi,
so che il tuo cuore è nostalgico del nettare della mia alba profumata
e che la tua anima è ancora innamorata di me
come lo sono io e forse di più.
Vieni dunque tra le mie braccia,
vieni dal mio cuore,
così facendo diventerai la pupilla dei miei occhi.
13
LA DIMORA DEL MELOGRANO
Non chiedermi perché tremano le mie ali
ogni volta che poso sulla tua camicia color lilla;
il mio cuore folle di te è una ape
che cerca il tuo profumo
ogni volta che parti e ogni volta che torni,
ogni volta che vieni creata e ogni volta che vieni resuscitata.
Non lo sai amore mio, che tu vieni creata mille volte al giorno
e che tu muori e riusciti mille volte al giorno
e che io ti cerco ogni giorno mille volte?
Non cercarmi con i tuoi occhi,
di me, non vedrai se non le tracce del movimento delle mie ali sopra il tuo fazzoletto rosa,
cercami con il tuo intuito e aspetta il giorno del nostro incontro,
quando diventerai un melograno
e quando verrò come un angelo per posare sui tuoi fiori,
per sfiorare le tue labbra e ubriacarmi col nettare dei tuoi rubini.
14
LA DIMORA DEL TRONO ROSSO
Ogni volta che la notte cala il suo velo, il cavaliere del fuoco,
abbandona il regno del suo sole nero
e comincia a correre con il suo cavallo verso il mio lato sinistro,
quando arriva alla sorgente verde,
fa del mio cuore il suo trono rosso
e conversando con me dice:
“La poesia è una guerra blu,
l’alfabeto è una morte bianca
e tu sei delle ceneri color verde alga.
Circonda dunque la tua vita con la cintura della seduzione,
entra alla pista della battaglia,
combatti la “A”, la “L” e la “M”,
colpisci con la spada la “T” e la “S”
e pianta le lance della “lettera” azzurra
dentro il petto della “K” e della “H”.
entra e non aver paura, poiché la tua pista,
è un luogo di furia dove non ci sono rei,
è una terra dove ci sono gli schiavi e i signori,
schiavi che non abbandonano torri
e signori che entrano da porte
ed escono da altre.”
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LA DIMORA DEI FIGLI DELLA LUCE
Chiudi il libro e solleva gli occhi
per leggere il nostro destino,
intagliato con lettere di fuoco
sui muri del cielo.
Chiudi il libro e vai
dove l’immenso sarà tuo vicino
e tuo amico.
Non dimenticare che, in questa vita,
sei arrivato sollevato tra le braccia
e sollevato sulle spalle te ne andrai.
Chiudi il libro e ricordati che una volta
eravamo belli, attorniati dai parenti,
dagli amici e da tanti beni
che oggi non ci servono più.
Chiudi il libro e dimmi:
che senso hanno le cose,
a cosa servono gli uomini,
se non riescono a dimenticare la polvere
che un giorno riempirà i loro occhi
e le loro bocche ?
A cosa serve il tempo,
quando non inizia con la nostra nascita?
A cosa servono i luoghi,
quando non riescono a contenere la nostra anima?!
A cosa serviamo noi,
se non riusciamo a rifiutare la falsa esistenza?!
Chiudi il libro e dimmi:
di chi siamo noi?
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Tu, non sei mio.
Ed io, non sono tua.
Sono solo Sua.
Solo di quella Luce,
che riconosce le ali delle creature
e le fa dispiegare per il vasto orizzonte.
E tu amore mio,
non essere come loro,
non fare del tempo, dei luoghi e delle cose
la tua gabbia e la tua tomba.
Chiudi il libro e alzati dalla terra,
lascia che ti penetri
il non luogo e il non tempo
e solo in quel momento sarò tua
e tu sarai mio ed entrambi saremo figli della luce.
17
LA DIMORA DEL FUTURO
Il futuro è il passato che non ricordi,
quando sarai guarito, con l’occhio interno lo vedrai.
Quando l’avrai realizzato, in profondità lo capirai.
Quando profondamente l’avrai capito,
sapiente diventerai.
Quando alla sapienza sarai arrivato,
la salvezza avrai.
Quando avrai raggiunto la salvezza
egli ti riconoscerà.
E quando sarai riconosciuto,
beato tu per quel, che avrai,
quel che nessun occhio avrà visto,
nessun orecchio avrà udito,
e nessun cuore, prima di te, avrà immaginato.
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LA DIMORA DEL DESERTO
In pieno deserto, appoggiando le spalle
sul tronco di una palma solitaria disse:
“Tu Uomo sei come quest’albero.
La pioggia, che dall’afa sorge,
è il riflesso di ciò che pensi e ciò che operi
Le ore sono le tue foglie pennate,
i giorni i tuoi rami,
i mesi i tuoi ramoscelli,
e gli anni sono la tua anima,
sbocciata e maturata sui tuoi rami.
Vedi tu come vuoi che sia questo frutto,
un dattero dolce o la polpa acerba e amara
di una coloquintide!”
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LA DIMORA DELL’ALLIEVO DENTRO I NASCONDIGLI DEL NUL LA
Io sono colui che governa le faccende del Nulla,
ti ho raggiunto dalla solitudine della luce,
dal chiasso dell’acqua
dal rumore del vento
e dal buio della notte.
Ti ho raggiunto con l’anima abitata
dai lamenti degli uomini
dagli ululati dei lupi
e dal tubare delle colombe.
Son venuto da te per vedere come va l’alfabeto con te
e l’ho trovato putritudine sul candore della
C
A
R
T
A
É destino, che tu dimentichi chi sei e chi sono io?
É destino abissarti nell’inferno,
ribellarti e appassionarti del fango?
O è destino che tu dimentichi ciò che t’insegnai nell’eternità?
Non son forse venuto da te l’alba di un giorno?
Non ti ho fatto vedere pagine fatte dal cielo,
penne dalla voce
ed inchiostro dall’eco delle gole dei popoli ?
I miei angeli son venuti da te alati,
non scrivono su pietre, su pelle
e neanche su alberi
20
le mie parole sono voce e non inchiostro sulla carta
le mie parole sono bisbigli che scavo dentro le pieghe del cuore
e tu hai dimenticato la lezione per
S
E
M
P
R
E
Aaaiii, quanto appesantisce la mia tristezza per te il mio cuore
e quanto disturba la notte del tuo animo la quiete dell’esistenza!
Gli scaffali traboccano di libri
E sulla terra vi sono tiranni che bruciano ciò che scrivono le dita
sopra i sassi
sopra le ossa
sopra i tessuti
sopra la carta
e sopra gli schermi.
Non fidarti dunque di ciò che abbracciano le stanze,
perché il nemico distorce la parola
e rompe la
P
E
N
N
A
.
Questo è il mio vento per te
montalo, afferra i bordi del cielo
21
e scrivi sopra i suoi veli
con la tua gola
con il tuo cuore
e prega ad alta voce, bisbigliando o in silenzio
forse il pulviscolo porterà a me i suoni del tuo alfabeto,
forse la tua tristezza accarezzerà le ferite del mio cuore
e forse tornerai come eri una volta,
un allievo dentro i nascondigli del
N
U
L
L
A
.
22
LA DIMORA DEL CONSERVATORIO DI MUSICA
(1)
Fermandosi davanti alla porta del suo tempio
con in mano una scala e delle chiavi disse:
“In quest’alba entro nel tuo cuore
e in esso innalzo un conservatorio di musica.
Vieni a prendere qui un posto, su una delle sue sedie.”
(2)
Nella stessa alba, prendendo le sue sette chiavi
e i cinque gradini della sua scala,
il maestro si mise a suonare la nota dell’Amore assoluto.
La nota era molto
molto
molto
alta.
(3)
L’ancella dal cuore soffice quanto una piuma,
sentendo la nota del maestro con i suoi quattro tempi
si spaventò, quindi scappò dall’aula delle lezioni.
(4)
Tornò al suo tempio impaurita
e buttandosi sopra il letto del suo animo,
sotto le lenzuola trovò tre chiavi;
intendo, le chiavi di “Sol”, “Fa” e “Do”.
Sorpresa del fatto, piangendo si domandò:
23
“Come posso far, oh cuor mio, a unire la nota
del maestro alla mia?”
(5)
Udendo il suo pianto, il maestro accarezzando i suoi capelli
rispose:
“Impossibile è quel che chiedi mia piccola;
la nota dell’Amore assoluto ha due battiti:
uno dentro lo spirito
e l’altro dentro il cuore.
Ambedue devono essere alti,
altrimenti nulla si può fare,
poi da dove potrai avere una dimensione di tempo
dentro la quale unire due battiti con ritmi diversi?”
(6)
“Illusione ciò che sogno e certezza ciò che dici,
semplice emozione questa che si accende dentro il mio cuore
e letizia d’animo la fiamma, che vedo dentro di te.
La nota del tuo battito è molto alta,
quella mia è molto
molto
molto
bassa.”
(7)
“Si mia piccola,
non si possono pesare con la stessa bilancia
24
l’illusione e la certezza
neanche il piacere e la letizia,
altrimenti, finirai per rompere scala e gradini,
e perderai per fino le chiavi.
Ora torni in classe,
così saprai come sublimare nota e ritmo
e come unire il tuo battito al mio.
E così il mio coro alato
suonerà dietro di te la tua nota
regalando solo a te i suoi tempi puri
e le sue dimensioni equilibrati.”
25
LA DIMORA DELL’ATELIER DI PITTURA
(1)
In un lunedì di un mese qualunque,
di un anno qualunque,
gli occhi di lui, incontrarono gli occhi di lei.
Lui, la vide, lei no.
Il cuore di lui, cominciò a parlare con il cuore di lei,
lui, sentì le sue parole, lei no.
Fece un passo verso di lei,
sentendolo, scappò via e chiuse la stanza dei suoi colori.
Lui, facendo un secondo passo si avvicinò molto di più a lei
e bussò alla sua porta,
una, due e tre volte.
Lei non aprì.
Lui ritornò triste portandola dentro l’anima, il cuore e l’occhio.
(2)
Gli anni passarono lunghi e larghi
e lui tornò nuovamente a visitarla,
il giovedì di un mese qualunque
di un anno qualunque
e quando bussò per sette volte la sua porta,
lei questa volta gli aprì
e dinanzi ai suoi occhi, lui, la vide una farfalla trasparente e fragile.
Lei sollevando gli occhi,
vide un angelo sulla cui destra cresciute tre ali,
sulla sua sinistra altre tre
26
e al centro della schiena
una settima ala.
(3)
Lei sorrise, lui, ricambiò
Lui salutò, lei, rispose.
Lui lesse la sura Aprente,
lei la ripeté dopo di lui tre volte.
Lui facendola sedere sopra il suo letto,
mise sulle sue ginocchia un pennello,
una bottiglia di muschio,
una giara di colori di arcobaleno
e versando sulle sue ali lo smeraldo della terra e l’argento del cielo le disse:
“Amor mio, questa sei tu,
questi sono i tuoi meravigliosi colori,
non lasciare che nessuno contamini la tua primavera
scomparirebbe il tuo colore
se le dita ti dovessero toccare
e a quel punto nessun pennello potrebbe restituirti
la letizia del cuore e la sua infanzia.”
(4)
Salutandola, lui volò.
Lei chiudendo la porta del suo atelier di pittura,
fece il primo passo verso lo specchio della sua anima
e si mise a dipingere ciò che vedeva
germogliare sulla superficie umida del suo cuore
e sulla sua polvere color verde alga.
27
LA DIMORA DELL’ESILIATO
Disse: “Può mai un amante valicare la soglia di un luogo,
che un altro amante ha scelto come dimora di ritiro?”
Risposi: “Sì.”
Disse: “Può mai un uomo nascere un’altra volta dopa aver raggiunto la vecchiaia?”
Dissi: “Sì, senza parto né doglie.”
Disse: “Come?”
Risposi:“Quando da Te scende un angelo,
quando in Lui scende il Tuo spirito
e quando da Lui scende l’anima
dentro una casa fatta di sangue e di carne
e lì, in un luogo lontano e vicino si nasconde
in attesa che suoni l’Ora.”
Disse: “E come bussa l’Ora?”
Dissi: “Come la brezza del mattino o come la pioggia che mille segni di pace siano su di lei.
Questo per colui che in vita non commise peccati cardinali, bugie e vergogne
che strisciano tra gli angoli della sua casa
e come un improvviso e percuotente terremoto
per chi passò la vita servo del serpente dello smarrimento.”
Disse: “Perché come il terremoto?”
Dissi: “Ogni volta che suonano i tamburi dell’Ora dentro i templi degli uomini,
esce l’angelo dal suo esilio per combattere il serpente
nascosto dentro i cuori di chi si è improvvisamente svegliato
dalla spensieratezza degli anni e dei giorni.”
Disse: “Sì”
Dissi: “il nocciolo sei Tu,
la bambola d’argilla é il suo frutto,
se Tu dovessi abbandonarla
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verrebbe mangiata dai vermi.”
29
LA DIMORA DELLA SINCERITÀ
Facendomi entrare dentro il tempio della roccia disse:
“Hai visto come ho realizzato questa casa?
Hai visto come ho pressato le sue pietre salde
serrandole con la mia gloria e magnificenza
e come ho messo al suo ingresso
un custode fatto di zolfo puro?”
Dissi: “Sì, però che mi dici del cuore di questo custode,
è pietra, lacrima o è brezza?”
Rispose: “É più soffice della brezza dell’alba,
più dolce di una goccia di pioggia,
e più tenero della lacrima di una donna,
che non amò nessuno all’infuori di me.”
Dissi: “Come posso raggiungerlo?”
Replicò: “Hai sette veli da oltrepassare, il più pericoloso fra essi
è il velo della sincerità.
Salva sarai se riuscirai a valicarlo.”
Dissi: “Ci sono, e ivi mi son già bruciata.”
Disse lui: “Tendi la mano al cuore brezza
al cuore goccia
al cuore lacrima.”
Dissi. “Mi serve un’ascia per rompere tutte queste pietre.”
Rispose: “La tua ascia è di Fez, prendila
e colpisci la testa del custode,
in essa vi è un cuore ferito dalle bugie delle donne,
dalle loro astuzie, e dai vermi dei loro fichi.
Colpisci e non aver paura, poiché la terra adesso, sotto i tuoi piedi
tremerà, tremerà e tremerà.
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E ora entri fra i miei fedeli,
entri nella dimora del non paradiso e del non inferno:
la dimora della Sincerità, della Fedeltà e dell’Amore.”
31
LA DIMORA DELLA TAVOLA DA SEURF
Ti vedo nonostante la lontananza mentre in silenzio,
cali le tue sei ali e ti fermi sopra l’acqua.
Ricambi con me gli sguardi di passione ardente
e nonostante i deserti delle nubi
mi colpisci con gocce di nostalgia incandescente.
Spargi dentro l’orizzonte i tuoi setti orecchini
e avvicinandoti a me fino all’annientamento,
mi sussurri:
“Questa montagna alta di acqua chi la cavalcherà?”
Io impegnata nel raccogliere perle cadute dai tuoi orecchini rispondo:
“Non so.”
Tu, giocando con un’onda alta e bevendo dal suo nettare salato,
mi chiedi:
“E quella bara lì, di chi è?”
Rispondo: “È mia come è mia anche la tristezza e l’alienazione”
Tu volando verso la costa, porti la bara, la rompi
e da essa fai una tavola sopra la quale incidi il nome glorioso di Dio.
Mettendomi sulla tavola con leggerezza di una piuma,
scompari non appena arriva la prima onda gigante.
Grido ad alta voce: “Oh mio Dio: Quanto mi fanno paura le onde alte
e le montagne di acqua che mi seguono
e m’inghiottono con lingue, alcune di esse fatte di idrogeno
e altre di ossigeno”
Ridendo sussurri dentro le profondità del mio cuore oceano:
“Catturi l’onda come faccio io,
rompila come la rompo io
e rompi ciò che è restato dalla bara dentro di te.
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Ascolta il ritmo dell’adrenalina mentre essa corre dentro le tue vene,
adori l’acqua, baciala, bevila
e quando avrai montato le sue onde e le mie,
alle tue mani verranno tutti gli oceani,
come oggi son venuto da te
e diventato amante del navigare
dentro la magia imprigionante dei tuoi occhi.”
33
LA DIMORA DEL SILENZIO
Quando ti vidi, ero ancora bambino.
Ti vidi un cavaliere e la corona della vittoria abbelliva la tua testa.
Sorpreso, con il sorriso in bocca, ti chiesi:
“Chi sei?”
E tu posando l’indice sopra le labbra,
con i tuoi occhi mi rispondesti:
“Piccolo mio, sei dentro la dimora del silenzio,
non pronunciare una lettera mentre sei dinnanzi a me”
e io di nuovo sorridendo, con gli occhi ti dissi:
“Perché?”
Allora tu replicasti:
“Affinché le domande non ti facciano perdere il candore dell’infanzia”.
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LA DIMORA DELL’INFANZIA
Ieri quando la notte indossò il mantello della lavanda,
venne da me il Re, e sopra il mio letto posò sette bracciali di luce.
E mentre stava sollevando la tenda dell’alba dentro la mia camera, disse:
“Torna da me solo quando ridiventerai bambina.”
Risposi: “E come Signore, se ora i miei capelli sono tutti bianchi?”
Replicò Lui: “Costruisci per me dentro la tua casa, una dimora e chiamala la dimora dell’infanzia.”
Aggiunsi io: “E come è possibile che in questa terra vi sia una dimora
degna della tua maestà e gloria mio Signore?”
Ribadì Lui: “Si che esiste, il tuo cuore, e il cuore di ogni persona innamorata mia piccola.
Accendi in esso un rogo e brucia tutte le ragnatele della vecchiaia, che negli anni vi erano annidate e solo in quel momento, riavrai la tua infanzia
e io ritornerò a essere l’amante e il Re del tuo cuore.”
35
LA DIMORA DEL POZZO
Incontrandomi sulla soglia dell’infanzia disse:
“Figlio mio, quando sarai dentro il pozzo,
l’acqua si alzerà in piedi in segno di rispetto per te,
l’oscurità diventerà il petto della madre dolce
e le pietre insieme ai ragni diventeranno gli amici del tuo lungo cammino.
Dunque non aver paura domani della solitudine,
del caldo, né della fame, né quantomeno del freddo,
perché tu, mio piccolo sei come il seme del grano,
germoglia solo quando viene seppellito sotto terra.”
Gli risposi con lacrime sulle guancia:
“Sarò lontano dalle braccia di mio padre e dal calore della mia famiglia.”
Egli rispose:
“Sarò con te, e dimorerò dentro la tua arteria carotide,
non aver paura dunque mentre sei dentro la dimora del pozzo.”
36
LA DIMORA DEL RE DELLA NOTTE E DELLA TORTORA
Perché ogni volta che il mio sguardo incontra il tuo,
gorgogliano le sorgenti verdi dentro i miei occhi
e si accende la passione nera sotto le mie braccia?
Perché ogni volta che il mio respiro sfiora il tuo,
sboccia sulla mia mano destra l’albero del sole
e germoglia sulla sinistra la palma della luna?
E perché ogni volta che crescono
i rami della tua lontananza dentro il mio cuore,
si moltiplicano gli alfabeti della tristezza dentro di me?
Abbandona la tua gabbia,
oh tortora della mia anima!
E impara a volare sopra le alte savane,
affinché tu, possa raggiungere il re della tua notte,
conoscere il valore del mio amore per te
e intendere che io sono il riflesso della tua esistenza
e che tu, amore mio,
sei la principessa del mio mantello reale azzurro,
la mia mezzaluna, e la stella d’argento che corona la mia testa.
37
LA DIMORA DEL PAGURO
Signore, li vedi questi pori sulla mia pelle?
Con un ago d’argento allargai i loro diametri
e sotto i buchi piantai
semi di erbe aromatiche e altre esotiche
e mi sedetti ad aspettarti
…
…
Aspettavo che il cielo aprisse per me le sue porte
e annaffiasse con le piogge i miei semi
e quando arrivò l’inverno, seguito dalla primavera
dentro le mie vene sbocciarono
fiori di zafferano,
di basilico e di garofano
e mi fecero visita:
le formiche,
le api,
le farfalle,
le coccinelle,
e infine TU Signore!
Lo vedi questo mare dentro i miei occhi Signore?
Ne scavai le profondità
e sotto vi piantai
atomi di sabbia preziosa
e mi sedetti ad aspettarti
…
…
Aspettavo che il mare aprisse per me le sue grotte
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e che le onde mi raccontassero i loro segreti
e quando arrivò l’inverno, seguito dalla primavera
dentro il mio cuore sbocciarono
conchiglie di perle
e alberi di corallo
e mi fecero visita:
le cozze,
i calamari,
i ricci,
i gamberi,
i paguri,
e infine Tu Signore !
Raccolsi con le mani dal mio corpo
i fiori di garofano e di basilico
e con essi abbellii il mio regalo,
decorai la sua vite con ciocche di zafferano
e vi fissai sopra stelle di perle e di corallo
e mi sedetti ad aspettarti
…
…
Aspettavo che tu cucissi con i tuoi aghi d’argento,
i miei pori
e prendessi prima della tua partenza
il mio dono per te:
un paguro nascosto dentro un mazzo
di garofano e di basilico
e abbellito con perle e rami di corallo.3
3 Questo testo ha vinto in Italia, nel 2009, il secondo premio internazionale per la poesia (Festival
internazionale di Sassari “ottobre in poesia”)
39
LA DIMORA DELL’IO PER TE
Ogni volta che scompariva il lume del mio giorno,
Egli, abbassando il velo della nerezza azzurra,
sopra il letto del mio sonno,
intendo il letto della mia morte
e della mia felicità edenica, diceva:
“Sono Tuo, esisto grazie a Te,
faccio parte di Te, e sono qui per Te.”
Ogni volta entravo dentro la Sua dimora,
intendo la dimora dell’io per Te,
vedevo una mano che apriva le palpebre della morte
e un fuoco che scioglieva la terra dei corpi
e vedevo lui, un raggio che mi portava tra le sue braccia
con passione e amore verde verso la nave della mia salvezza,
intendo la nave del non tempo e del non luogo.
Ogni volta uscivo dalla dimora dell’io per Te,
cadevano i miei tre braccialetti,
intendo i miei tre giorni, uno dopo l’altro.
Ed entrando dentro la dimora del ballare sopra la corda,
la notte della terra diventava giorno,
la cecità perspicacia,
la malattia salute
e il male si trasformava in bene.
E ogni volta abbandonavo la dimora del ballare sulla corda,
vedevo un’altra mano che apriva le palpebre dell’eternità
e sentivo una voce dire:
“Chiudi gli occhi e affida le tue mani al signore dell’Io per Te
affinché ti guidi verso di Me
40
e affinché ti onori con il sole di rubino
e l’alaterno di oro.”
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LA DIMORA DELLE QUINDICI PROSTRAZIONI
Disse: “Non devi aver nulla a che fare con al-Hallaj4 e la sua gente.”
Domandai: “Perché?”
Rispose: “Si è detto, che è stato ucciso perché ha svelato il segreto.”
Replicai: “Perché, non è questo il motivo?”
Lui spiegando continuò: “É lui che ha voluto morire così.”
Dissi: “É possibile mai, che l’Uomo possa scegliere come morire?”
Aggiunse: “Ogni anima gusterà la morte e quando quest’ultima viene a prendere l’Uomo,
essa, lo raccoglie nello stato in cui lo trova.
E sulle azioni in cui era impegnato quando era in vita,
egli, sarà risuscitato.
Io non sono “colui che amo e colui che amo è me”.
Io non entro dentro il corpo di nessuno
né nessuno entrerebbe dentro il mio,
si brucerebbero gli uomini se lo dovessi fare.
Non genero figli
né fui generato da nessuno.
Io sono colui, che non ha simile,
nessuno a me è pari.
Non sono un segreto né un segreto dei segreti,
non ho cerchie predilette né prediletti dei prediletti.
4È una delle figure maggiormente discusse e controverse nel mondo islamico, e del Sufismo in
particolare. Ancora oggi la sua vita, la sua predicazione e il suo martirio sono fonte di studio, approfondimento e dibattito avendo rappresentato un momento cruciale nella storia della cultura islamica e uno spartiacque nella storia del tasawwuf. Conosciuto anche in Occidente grazie agli studi del suo appassionato interprete, Louis Massignon, che lo definì il «martire mistico dell'Islam», la sua storia riflette e incarna l'apice del conflitto tra le teorie sufi e il letteralismo dei dottori della legge. Giudicato un eretico blasfemo, e quindi coerentemente condannato a morte dall'“ordine costituito islamico”, al-Hallaj fu invece considerato dai mistici una guida mistica di grande elevatezza, ingiustamente martirizzata.
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Ho dei messaggeri e degli amici awliya’,
ho degli amanti e degli innamorati,
ho dei folli e dei poveri,
che non provano benessere alcuno
se non nel mio nome e nello stare accanto a me.
Per cui, non dite in mio nome ciò che non ho mai rivelato
in nessun libro, intrinseco che sia o estrinseco.
Voi tutti, siete affare mio, voi tutti, siete il mio segreto,
voi tutti, siete i miei prediletti
e io sono tra voi, spora di voi, sotto di voi e intorno a voi.
Non fate distinzione tra i miei fedeli e servitori,
e non siate arroganti con loro.
Avvicinatevi tutti a me oggi,
ed entrate tutti nella dimora del mio amore per voi;
la dimora delle quindici prostrazioni.”
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LA DIMORA DELLA RADIO
Dentro il mio cuore vi è una radio,
il suo cerchio vibra
ogni fine notte, sotto i miei piedi.
Prima di andare in onda,
appendo all'orecchio
la sua tromba verde a forma di conchiglia.
Come lampi neri, i neutrini dell’universo,
muovono le sue onde
dentro la “N” del mio palmo.
È davvero strana la radio del mio cuore,
lo sono anche le sue stazioni e programmi,
hanno un solo conduttore radiofonico,
ogni notte con la sua voce rauca
m’intrattiene sino alle quattro del mattino.
Mi parla di un Dio uno e unico,
dei pavoni con perle di luce intorno al collo,
dei corvi bianchi e di quelli rossi,
dei cerchi dello sconfiggere,
dei veli, dei segreti e del perdono.
E io, come uno straniero che tra le pieghe del cuore porta
una rosa di rubino fondente,
fuggo solitaria con la mia stazione radio in terre lontane,
lontane, lontane.
Dove ci sono fiumi di siero, di vino rosso e di miele.
Ascolto, ascolto, ascolto, senza noie e senza stanchezze.
Come è bella la voce del mio annunciatore,
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ogni notte con i suoi salmi,
i suoi inni e le sue melodie,
mi fa piangere, piangere, piangere.
45
LA DIMORA DI ABRAMO
Facendomi entrare dentro il cuore di Sara disse:
“Hai visto dove ho seminato il mio amore per Abramo
e dove per lui ho innalzato un tempio pieno di ardore
e di desiderio incandescente?
Hai visto come dentro il cuore di Abramo ho fatto germogliare Agar,
come dentro il cuore di Agar ho piantato affetto e misericordia,
come dall’amore rovente e dall’affetto misericordioso
ho generato Isacco e Ismaele?
Hai visto come da Isacco ho dato alla luce Gesù
e da Ismaele Muhammad,
come in tutti loro ho soffiato la mia parola
e come a loro ho dato la “N” e il calamaio?
Questa è la mia luce e il mio alfabeto,
non deviare dunque dal suo candore,
dal suo fuoco e dal suo dolore,
non deviare da Abramo, mio amico intimo
e nemmeno da coloro, che tutt’oggi camminano sul suo sentiero.”
Uscita dalla dimora di Agar,
mi fece entrare dentro la casa dei suoi amici e disse:
“Hai visto quanti amici intimi ho sulla terra?
Hai visto come mi adorano tutti con alacrità e ardore?
Hai visto come dai loro cuori, ho eliminato l’interrogarsi sullo stile e sul metodo
e come in loro ho seminato l’interrogarsi su di me, null’altro che di me?
Riconoscili allora, osserva la preghiera dentro i templi dei loro cuori,
ascolta il loro intrattenersi con me, il loro pianto tra le mie mani
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e tuffati dentro le loro lacrime, mentre sono prostrati dinnanzi a me.”
Uscita dalla dimora degli amici di Dio,
mi fece entrare dentro la dimora della luce azzurra e disse:
“Quando con i miei amici, avrai nominato il mio nome, nominerò il tuo.
Quando con loro, comincerai a gattonare verso di me, io, verso di te, camminerò .
E quando insieme a loro, inizierai a camminare verso di me, io, verso di te, correrò.
Questo è il mio amore per te
e queste sono le mie dimore;
le dimore della certezza in me,
le dimore dove puoi entrare e abitare come e quando vorrai.”
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LA DIMORA DEL SALUTO E DELLA PACE
Mentre camminavo verso il cuore segreto,
intendo verso di Te,
incontrai un Amico, che mi disse:
“Prima di alzare la testa verso di Lui, digli: ‘Pace’”
Io, all’amico risposi:
“Un solo saluto non mi basta,
gli dirò:
“Pace sul parato castano della tua testa,
sulla tua fronte radiosa,
sui tuoi due soli e le tue due mezza luna,
sul tuo naso spada
e labbra perle,
sul tuo volto bagliore,
sulle tue spalle sostegno,
e sul tuo cuore sangue.
Pace sulle tue mani bianche,
sul bastone della Profezia,
sui sandali dei tuoi piedi,
sul tuo manto verde,
sulla luce liquefatta sopra il tuo corpo,
sul profumo che emani ogni alba,
sul muschio che si versa da te
sopra le mie mani.
Pace sulla tua mano destra
mentre spacca il mio torace,
da esso sradica il principio del rancore umano,
e lava con il fuoco d’argento le mie grotte.
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Pace sul Re del tuo alfabeto,
il Signore della notte e del giorno,
colui, che sa cosa nascondono i monti
e cosa porta il grembo dei mari.
Pace su di Te il dì in cui nascesti,
il dì in cui moristi e il dì
in cui sarai risorto!”
49
LA DIMORA DEL CANDELABRO DELLA STELLA
In una stanza triste,
fredda e buia
si sono riuniti intorno ad un tavolo rettangolare
una Stella e due rei:
dal paese del Galles una regina,
dal paese dei romani un re
e dalla terra promessa una Stella attesa.
Nella stanza triste,
scorrono dalle ciocche della Stella fiumi di sangue
e i suoi occhi versano mari di lacrime.
Un silenzio assordante avvolge tutti e tre
mentre fissano uno strano candelabro
con tre testicoli di ramo
e dentro i quali sono impiantate tre candele spente.
Nella stanza fredda,
entra in silenzio una straniera
credente nel Dio Uno
e in Mohammed Suo ultimo profeta
saluta la Stella,
asciuga le sue lacrime
e con le sue mani accarezza lo strano candelabro.
Nella stanza buia e tra le mani della straniera
il candelabro si trasforma in una croce d’oro
e la sua sommità si corona di una candela abbagliante.
La Stella sorride,
il cuore del re di Roma s’intenerisce,
gli occhi della regina gallese versano lacrime di gioia
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e la stanza s’illumina di sacralità e di bellezza.
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LA DIMORA DEL MUTO E DEL SORDO
Il muto disse al sordo:
“Voglio un vento tempestoso con il quale sgridare me stesso,
una montagna di pietre per scagliarla contro la mia testa
e una foresta di spine per piantarla dentro il mio cuore.”
Ridendo con follia il sordo rispose:
“Spaccami in due oh tu muto,
dentro di me troverai il tuo vento tempesta,
la tua montagna pietra,
e le tue spine coltello.
Fammi entrare dentro la tua fiamma blu
e lasciami ballare nudo in mezzo alle sue lingue
come un Zinji, che mangia pietre, spine e fuoco.
Anzi, lasciami sanguinare tutte le parole che non sei mai riuscito a gridare
e tutte le voci, che non sono mai riuscito a udire.”
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LA DIMORA DEL SOCCORSO, DEL TORO E DEL DRAGONE
Facendomi entrare dentro la dimora del soccorso disse:
“Pace su di te oh tu, triste poeta color lilla.
Come mai vedo allargarsi la pupilla dei tuoi occhi ogni giorno sempre di più
e lo stato dei tuoi giorni stringersi ogni ora sempre di più?
Io, amico mio sono la tua aquila di fuoco,
ti ho raggiunto dal cielo dello spruzzare blu.
Dentro il mio becco ti porto il collare del soccorso verde,
prendilo e sappi che l’apice della saggezza è:
lasciare il velo della segretezza calato sopra i tuoi occhi,
affinché lo stato dei tuoi giorni si allarghi e la pupilla della tua vista si stringa
e così potrai vedere ciò che ti è permesso e allontanarti da ciò che non riesci a vedere.
E sappi che la dimora più pesante per te,
è la dimora del toro nero
e che il signore che ti riserba più nemicizia
è l’uomo dal tallone alto
e dalla veste e cintura nere,
la sua lingua non è come la tua
il suo sangue è misto con quello dei tuoi nonni
sanguinanti sopra la terra dove s’incontrano i due mari.
E sappi che la dimora che sarà al tuo fianco
è la dimora del dragone giallo
e che l’uomo, che ti riserba grande amore
è l’uomo dalla veste rossa,
la cintura d’oro e le scarpe leggere color argento.
La sua lingua non è come la tua,
domani abbandonerà il suo elefante e cavalcherà la tua cammella,
non gli dare però la tua spada,
ma se gli donerai il tuo libro, e il tuo alfabeto,
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egli ti donerà il suo dragone, e le sue tempeste orientali torrenziali
e seminerà dentro i tuoi deserti cicloni di sabbia,
che stermineranno il toro agitato
e il suo domatore; il ballerino nero.”
LA DIMORA DELLA GENTE
Mi fu chiesto un’alba della pioggia
e della palma e risposi: “Tu
Mi fu chiesto un mattino della passione
e della follia e dissi: “Tu,
tu sei il “Q”5 che parte
come una lancia quando è vespro
e colpisce l’occhio del cuore lacrimante.
Tu sei il fuoco il cui color rosso
aumentando dentro il blu delle fiamme
brucia il legno della nave.
Anzi tu sei l’astro incandescente che diventando più verde
dentro la nerezza della notte,
asciuga le lacrime delle madri rimaste senza figli.
Tu sei il lampo che scoppiando i
dentro il buio dei cieli,
commuove le pietre dure.
Doveva proprio ora esplodere
la tua tempesta dentro i cuori della gente d
5 “Q” è la ventunesima lettera dell'
Questa lettera deriva secondo alcuni da
siriaco. In ogni caso deriva da qoph fenicio, generata dalla qup dell'alfabeto protodel monte “Q”, ossia il monte che è raggiungere né via terra né via mare. Per gldi un viaggio mistico». Altrimenti definito come Monte della Saggezza, Monte della Felicità, il abita le pagine delle Mille e una notte e viene collocato ai limiti tra il mondo visibile eLa sua sommità è tutta di smeraldo verde (il verde è il colore del Profeta), e la montagna circonderebbe la terra, in quanto gli antichi arabi immaginavano
LA DIMORA DELLA GENTE DI “Q”
Mi fu chiesto un’alba della pioggia
Tu”.
Mi fu chiesto un mattino della passione
come una lancia quando è vespro
e colpisce l’occhio del cuore lacrimante.
cui color rosso
aumentando dentro il blu delle fiamme
Anzi tu sei l’astro incandescente che diventando più verde
dentro la nerezza della notte,
asciuga le lacrime delle madri rimaste senza figli.
Tu sei il lampo che scoppiando in acque soccorritori
Doveva proprio ora esplodere
la tua tempesta dentro i cuori della gente di “Q”?!”
è la ventunesima lettera dell'alfabeto arabo. Nella numerazione abjad essa assume il valore 100.
Questa lettera deriva secondo alcuni da dell'alfabeto nabateo, secondo altri da
siriaco. In ogni caso deriva da qoph dell'alfabeto aramaico (Qoph), che nacque dalla qof dequp dell'alfabeto proto-cananeo. Qui in questo testo fa riferimento agli uomini
, ossia il monte che è descritto dalla mistica araba, come una meta che non si puòraggiungere né via terra né via mare. Per gli sciiti, per i mistici, al monte si può ascendere, ma si tratta
». Altrimenti definito come Monte della Saggezza, Monte della Felicità, il abita le pagine delle Mille e una notte e viene collocato ai limiti tra il mondo visibile eLa sua sommità è tutta di smeraldo verde (il verde è il colore del Profeta), e la montagna circonderebbe la terra, in quanto gli antichi arabi immaginavano la terra come un cerchio piatto
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alfabeto arabo. Nella numerazione abjad essa assume il valore 100.
dell'alfabeto nabateo, secondo altri da � dell'alfabeto
), che nacque dalla qof dell'alfabeto cananeo. Qui in questo testo fa riferimento agli uomini
dalla mistica araba, come una meta che non si può l monte si può ascendere, ma si tratta
». Altrimenti definito come Monte della Saggezza, Monte della Felicità, il “Q” abita le pagine delle Mille e una notte e viene collocato ai limiti tra il mondo visibile e quello invisibile. La sua sommità è tutta di smeraldo verde (il verde è il colore del Profeta), e la montagna
la terra come un cerchio piatto.
55
LA DIMORA DEL COME É SUCCESSO QUESTO?
Lei disse a lui:
“Sei il lucignolo o la fiamma?
La candela o il candelabro?
Il tamburello o il ritmo?
Il ballerino o il ballo?”
Egli rispose:
“Sono tutto questo e di più e tu chi sei?
La nuvola o l’acqua?
Il sole o il bagliore?
La luna o la luce?”
Lei replicò:
“Sono un anima innamorata e dentro il mio cuore tu hai impiantato le tue lance,
come dunque poteva accadere questo,
oh tu signore della passione e del dolore,
signore della tristezza e della speranza?”
Egli disse:
“Oh anima, non chiedere come è accaduto l’amore,
ti basta che sia successo.
Non chiedere del cammino,
ti basta che tu sia sulle sue vie.
E non chiedere delle stelle,
ti basta, che tra le mani hai un cestino pieno dalle loro polveri.
E non pensare ad altro,
ti basta che io sia con te.
Lei commentò:
“Tu sei il compagno della mia solitudine
e senza te la mia canzone non avrà voce,
la mia primavera non sboccerà in fiori,
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e il mio cuore non avrà battiti.
Tu sei il mio sostegno e il fautore del mio bene,
senza te non rumoreggeranno i miei braccialetti,
non si verserà inchiostro dalla mia penna
e non parlerà il mio alfabeto.”
Egli rispose:
“Io son qui, chiedimi quel che vuoi:
vuoi salute?
L’avrai, ma velata dal malessere
affinché tu possa distogliere la tua mente dalla negligenza
e te coroniassi con la saggezza.
Vuoi del denaro?
L’avrai ma velato dal bisogno
affinché tu possa distogliere il tuo cuore dalla durezza
e te coronassi con la misericordia.
Vuoi l’eternità?
Questa non l’avrai mai, devi gustare la morte,
poiché solo io sono il vivente che di sé vive,
non vi è né prima né dopo di me
un essere vivente o un esistente di per sé.”
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LA DIMORA DEGLI AMANTI
Disse lei: “Amor mio, prima di accedere alla mia dimora, dovresti togliere il manto della lussuria,
ti è proibito con essa far uscire Noè dal mio e dal tuo corpo-nave.
E da me prendi questo drappo della passione ardente,
l’ho tessuto per te con l’oro della palma e ricamato con l’argento dell’ulivo,
ti è lecito con esso adorare il mio animo-sole,
fonderti nei miei occhi-uva
e dormire sul mio braccio-pioggia.”
Rispose lui:
“La lussuria dentro la dimora degli amanti è un peccato imperdonabile,
ed io voglio solo essere accanto a te
come lo è l’acquerugiola alla nube,
la luna alla notte
e Noè alla nave.”
Commentò lei:
“Amor mio sei la primavera che indosserò,
insieme saremo in ogni luogo,
entreremo dentro la dimora della notte
diventeremo l’argento della luna , anzi, lo zolfo del tempo,
scriveremo e dipingeremo
le più dolci parole e i più splendidi colori
e dal nettare dell’alfabeto ti disseterò.”
dissero insieme:
“Qui, egli di passione arde
dentro di noi.
Qui, le lacrime spengono le fiamme dell’amore
e qui noi siamo calore e gelo,
luce e fuoco,
follia ed esplosione.
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E qui, l’anima camminando verso di Lui,
schiaccia il corpo.”
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LA DIMORA DELLA NAVETTA
(1)
Lì, sopra ali di smeraldo,
c’è un essere fermo in mia attesa, i suoi capelli sono bianchi.
Io gli rivolgo lo sguardo, osservo l’erba verde e umida dei suoi occhi
e guardo il suo turbante e il suo vestito bianco.
Lui, ricambia lo sguardo con intelligenza acuta
e sorridendo mi chiede di salire,
intendo nella sua navetta.
(2)
Voliamo…voliamo…voliamo
con ruote gareggianti con il vento sopra l’asfalto.
Volano gli alberi alla mia destra
e corrono i campi alla mia sinistra
ambedue verso la memoria del grano e della visione.
L’uomo del turbante verde mi guarda nuovamente
e sorridendo mi chiede: “Che ora è?”
(3)
Rispondo: “lo sa solo Dio.”
Egli replicando dice: “No, non intendevo quella.”
Guardo in silenzio il suo avambraccio:
“Oh Dio dove il turbante ha perso il suo orologio?”
Lui sorride e indica con l’indice il volante della navetta.
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Io con gli miei occhi dico: “Sì l’ho visto è lì.”
Lui con le sopracciglia domanda: “lì dove?”
(4)
“Lì, dove la tua “N” grande
abbraccia la sua “N” piccola,
intendo dove il volante nero abbraccia i due orologi: quello di Dio
e quello tuo dalla cintura nera di pelle.”
Egli sorride e premendo l’acceleratore
esce il cuscino salvavita verde.
Vola il vestito bianco
Vola il volante nero
Vola il turbante verde
E volo io con l’orologio dell’uomo tra le mie mani
E mentre lo saluto gli dico:
“Sei stato divertente oh tu figlio di Nippur,
la tua navetta nera è stata bella
e il viaggio con te è stato più bello ancora.”
61
LA DIMORA DI VENEZIA
(1)
L’angelo cieco con in mano una penna e una clessidra,
portandomi a Venezia disse:
“Sei il viaggio e il sentiero,
l’ancora e il porto,
il battello e l’acqua
e il comandante e il passeggero.”
(2)
Buttandomi dentro le acque del Cavergnago,
gli risposi:
“Tu sei il veneziano il cui battello diventerà una nave
e dalla cui nave nascerà una carovana di cammelli
e dai cui cammelli sorgeranno sabbie viola e verdi.”
(3)
Lanciando la penna e la clessidra dentro le acque del Brenta disse:
“Sono la caverna e i suoi setti dormienti
e un giorno, non molto lontano, le mie terre di acqua e di sabbia,
ritorneranno a essere la grotta dei cento dieci versetti.
canti dunque con me queste lettere di gloria:
‘Se il mare fosse inchiostro per scrivere le Parole di Dio,
di certo si esaurirebbe prima che fossero esaurite le Parole del nostro Signore;
custode delle terre e dei cieli, dei corpi e dei cuori.’
62
LA DIMORA DI ROMA
Facendomi entrare dentro l’occhio di Roma disse:
“Questa sulla terra è una sposa seducente.
Queste, sono corone di spine, che germogliano in continuazione sulla sua testa
e questi ancora, sono soli di passione, che sorgono sul suo volto
e buchi di chiodi, che versano sangue tra le sue mani e sotto i suoi piedi.”
Dissi: “É così che Tu coroni le spose, con la sofferenza, la speranza e l’amore?”
Rispose: “Sì.”
Dissi: “È questo alla tua destra chi è?”
Egli replicò: “Un turista giunto dal deserto dell’acqua.”
Chiesi: “Mi fai entrare dentro il mare verde dei suoi occhi?”
Rispose: “Sì.”
Dissi: “Come ti chiami?”
Ribadì: “Angelo.”
Dissi: “Perché sei sul marciapiede della vita?”
Rispose: “Perché sono straniero e ogni straniero, al cuore del mio Dio è vicino,
egli, li custodisce e custodisce anche me.”
Chiesi: “Custodisce chi?
Rispose: “Gli stranieri, coloro i quali, come me, la vita li ha maltrattati,
coloro i quali, come me, hanno mangiato dai rifiuti del marciapiede e dall’astuzia della sua gente
e coloro i quali, come me, hanno bevuto dall’invidia della casa del padre e della sua prole,
però, tu, non mi hai detto chi sei?”
Dissi: “Un passante.”
Lui continuando disse: “A te saranno date gloria e vittoria sulla terra come nei cieli.
Questo è un anello fatto dall’argento di Gerusalemme, da fuori è una croce di dolore e sofferenza,
da dentro è una sura di conquista, trionfo e ringraziamento.
63
Prendilo e non lo perdere,
te lo dà il Dio di Roma, Roma e io, figlio di Venezia.”
64
LA DIMORA DEL SOLE, DELLA MEZZALUNA E DELLA STELLA
(1)
Oh tu sole parlami
di ciò che la notte del kajal nasconde dentro i tuoi occhi
oh tu il cui sguardo è
sgozzamento
sgozzamento.
E di quel che lo smeraldo dei tuoi orecchini sussurra alle tue orecchie,
oh tu il cui udito è
spada
spada.
E di ciò che il rubino del ciliegio racconta alle tue labbra,
oh tu il cui sorriso è
vino
vino.
E di ciò che il lilla del velo nasconde sotto le tue guancia,
oh tu il cui pudore è
prigionia
prigionia.
E di cosa racconta il peridoto della cintura alla tua vita,
oh tu il cui ballo è
morte
morte.
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E di ciò che l’oro delle cavigliere svela alle tue caviglie,
oh tu il cui rumoreggiare è
tintinnio
tintinnio
tintinnio.
(2)
Oh tu uomo smarrito, ancora non sei guarito dalla tua vecchia follia?
Vieni da me e morendo schiavo sotto il mio trono,
ti parlerò dei sussurri del mio kajal
e dei svelamenti dei miei orecchini.
Vieni da me e diventando un collare attorno al mio collo,
ti farò entrare dentro la taverna del mio pesco
e ti darò da bere dal vino del mio ciliegio.
Vieni da me e diventando un bracciale intorno al mio avambraccio,
ti ospiterò dentro il tempio delle mie stelle
e ti farò udire il tintinnio del mio alfabeto.
Vieni da me terra e diventando cielo,
anzi croce,
ti farò vedere una lettera
il cui cerchio sono io,
la cui mezzaluna è l’albero di al-Khalil6
e la cui corona è l’astro dello Zamzami7.
Questo è il mio segreto
segreto
segreto.
6 Il profeta Abramo
7 Il profeta Muhammad
66
LA DIMORA DELLA PAPPA REALE
Chiesi all’ape di montagna:
“Qual è la tua dimora?”
Rispose: “Una casa con del miele dentro.”
Dissi: “E cosa vuole dire miele?”
Replicò: “Dolore che ha in sé della speranza.”
Gli domandai: “Cosa significa speranza?”
Disse: “Palme che hanno in sé la guarigione.”
Ribadii: “Cos’è guarigione?”
Asserisse: “Amarezza che ha in sé la pappa reale.”
Dissi: “Cos’è la pappa reale?”
Rispose: “L’uscita dello spirito senza sospiri,
l’ingresso alla tomba senza lo schiacciamento del petto
e risuscitare con i fedeli senza aver la scossa del panico.”
67
LA DIMORA DEL PARADISO
Sollevando il velo nero della luce disse:
“Guarda quanta bellezza da tempo riservai per te,
questo è il tuo paradiso!”
guardando a lungo col fiato sospeso
ogni bene mai immaginato, mai sognato e mai pensato
mi misi a piangere sangue e dissi:
“Il paradiso è il velo più spesso e più pericoloso, che Tu abbia mai creato, non lo voglio.
Io voglio star con Te, in Te e per Te
dove non esiste né paradiso né inferno,
intendo dove ci sei solo Te
Tu e nient'altro, che Te.”
68
Indice
Introduzione
LA DIMORA DELLE QUINDICI PROSTRAZIONI
1- La dimora della luna piena e del sole
2- La dimora di non leggere
3- La dimora dell’eternità
4- La dimora della bambola
5- La dimora del lucignolo e del vetro
6- La dimora del Tu
7- La dimora della gazzella
8- La dimora del melograno
9- La dimora del trono rosso
10- La dimora dei figli della luce
11- La dimora del futuro
12- La dimora del deserto
13- La dimora dell’allievo dentro i nascondigli del nulla
14- La dimora del conservatorio di musica
15- La dimora dell’atelier di pittura
16- La dimora dell’esiliato
17- La dimora della sincerità
18- La dimora della tavola da seurf
19- La dimora del silenzio
20- La dimora dell’infanzia
21- La dimora del pozzo
22- La dimora del re della notte e della tortora
23- La dimora del paguro
24- La dimora dell’io per te
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25- La dimora della quindici prostrazioni
26- La dimora della radio
27- La dimora di Abramo
28- La dimora del saluto e della pace
29- La dimora del candelabro della stella
30- La dimora del muto e del sordo
31- La dimora del soccorso, del toro e del dragone
32- La dimora della gente di “Q”
33- La dimora del come è successo questo?
34- La dimora degli amanti
35- La dimora della navetta
36- La dimora di Venezia
37- La dimora di Roma
38- La dimora del sole, della mezzaluna e della stella
39- La dimora della pappa reale
40- La dimora del paradiso