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Analisi Matematica I

Corrado Marastoni

Indice

Nozioni preliminari 3Prerequisiti del corso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3Cenni di logica matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20L’induzione matematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

1 Insiemi e numeri 271.1 Insiemi; relazioni, funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271.2 Strutture algebriche fondamentali: gruppi, anelli, corpi, spazi vettoriali . . . . . . . . . . . . 371.3 I numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 441.4 I numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50

2 Topologia e convergenza in R 622.1 La topologia della retta reale e della retta reale estesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 622.2 Successioni di numeri reali, funzione esponenziale reale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 692.3 Serie numeriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

3 Funzioni di una variabile reale 863.1 Generalita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 863.2 Limiti, continuita e confronto locale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92

3.2.1 Limiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 923.2.2 Funzioni continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 983.2.3 Limiti (ripresa), forme indeterminate e limiti notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . 1063.2.4 Funzioni iperboliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1083.2.5 Comportamento locale delle funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110

3.3 Derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1203.3.1 Derivate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1203.3.2 Derivabilita, crescenza ed estremi locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1273.3.3 Derivate successive, funzioni di classe Ck e C1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134

3.4 Studio dell’andamento di una funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1403.5 Integrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

3.5.1 Integrazione indefinita (calcolo delle antiderivate) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1553.5.2 Integrazione definita alla Riemann (calcolo delle aree) . . . . . . . . . . . . . . . . . 163

4 Equazioni di↵erenziali: primi elementi 1814.1 Nozioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1814.2 Equazioni di↵erenziali del primo ordine a variabili separabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1834.3 Equazioni di↵erenziali lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 185

- Equazioni di↵erenziali lineari del primo ordine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 188- Equazioni di↵erenziali lineari a coe�cienti costanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189

4.4 La meccanica newtoniana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 190

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Nozioni preliminari

Prerequisiti del corso

Poiche una parte rilevante del programma di questo corso consistera nel rivisitare —da un punto di vista piu avanzato— le cose gia presenti nel’ultimo anno di scuola mediasuperiore (studio di funzioni di variabile reale, derivate, integrali), e normale che primadi iniziare si assumano come note le cose svolte negli anni precedenti. In queste pagine siriassumono brevemente queste nozioni, dando anche esempi concreti attraverso i quali lostudente potra mettere alla prova la propria preparazione preliminare.

Alfabeto greco Le lettere (minuscole/maiuscole) dell’alfabeto greco sono di uso co-

mune, ed e opportuno ricordarle: ↵/A (alfa), �/B (beta), �/� (gamma), �/� (delta),✏, "/E (epsilon), ⇣/Z (zeta), ⌘/N (eta), ✓,#/⇥ (theta), ◆/I (iota), /K (kappa), �/⇤(lambda), µ/M (mu,mi) ⌫/V (nu,ni), ⇠/⌅ (xi), �,'/� (fi), o/O (omicron), ⇡,$/⇧ (pi),⇢, %/P (ro), �, &/⌃ (sigma), ⌧/T (tau), �/U (upsilon), �/X (chi) / (psi), !/⌦ (omega).

Numeri Denoteremo gli insiemi dei numeri naturali, interi, razionali rispettivamentecon

N = {1, 2, 3, . . . }, Z = {. . . ,�3,�2,�1, 0, 1, 2, 3, . . . }, Q =nm

n: m, n 2 Z, n 6= 0

o.

Lo studente dovra avere “familiarita” (nel senso che segue) con questi insiemi numerici ele loro operazioni, cosı come con i numeri reali, pensati come espressioni decimali possibil-mente ne limitate ne periodiche. Il loro insieme, che si denota con R, e “fatto e ordinato”come i punti di una retta orientata. Sappiamo che R contiene Q; che e piu grande diQ perche ne “riempie i buchi”, ma tuttavia “non troppo piu grande”, perche un numeroreale e approssimabile a piacere con numeri razionali: cosı ad esempio,

p2 = 1, 41421 · · · ,

⇡ = 3, 14151 · · · ed e = 2, 71828 · · · (numero di Nepero, che tratteremo meglio piu avanti)sono numeri reali non razionali, ma

p2 si puo “approssimare a piacere” con la sequenza di

numeri razionali 1; 1,4; 1,41; 1,4142; e cosı via. In quest’analogia con la retta, l’intervallo[a, b] (risp. ]a, b[, [a, b[, ]a, b]) indica l’insieme dei numeri reali x tali che a x b (risp.a < x < b, a x < b, a < x b). Nel corso studieremo i numeri reali R con maggioreattenzione, e introdurremo anche un insieme numerico piu grande di R: quello dei numericomplessi, che denoteremo con C.

Funzioni elementari Nella scuola superiore si tende a fare confusione tra funzione,che e la “regola” f : X �! Y tramite la quale si associa ad ogni elemento a dell’insiemeX (dominio) uno ed un solo elemento f(a) dell’insieme Y (codominio), ed il suo grafico,

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che invece e l’insieme delle coppie (a, f(a)) al variare di a nel dominio X.(1) A parzialegiustificazione, va detto che nella scuola superiore si studiano solo funzioni con dominio unsottoinsieme dei numeri reali R, e codominio R, per cui il grafico e il familiare “disegno nelpiano che non torna mai sui suoi passi”: la tentazione di identificare il concetto “sfuggente”di funzione con quello ben piu concreto di grafico e forte. Durante il corso avremo tempoe modo di mettere chiarezza su cio: qui si tratta solo di cercare di partire col piede giusto.Cosı, quando diremo che il polinomio x2 � 4x � 5, l’esponenziale ex e il logaritmo log xsono “funzioni”, intenderemo dire che si tratta di regole che ad ogni numero reale a (anzi,per il logaritmo, solo agli a > 0) associano uno ed un solo numero reale, quello che siottiene mettendo a al posto di x (ad esempio, il suddetto polinomio manda il numero �1nel numero (�1)2 � 4(�1) � 5 = 0, ed il logaritmo manda 1 in 0). Vediamo le funzionielementari di cui disponiamo fin d’ora.

• Iniziamo con il modulo, o valore assoluto (vedi Figura 0.2(iii)) . Il suo e↵etto e quello direndere sempre positivo quello che contiene. In altre parole, preso un numero reale x, ilmodulo |x| vale x (se x � 0) oppure �x (se x < 0): dunque vale |x| = 0 se e solo se x = 0,e |x| > 0 per ogni x 6= 0. Ad esempio, si ha |3| = 3, | � 7| = �(�7) = 7, |2x � 5| = 2x � 5(se x � 5

2) e |2x � 5| = �(2x � 5) = 5 � 2x (se x < 52). Il dominio e tutto R. La relazione

del modulo con le operazioni e illustrata dalle seguenti due proprieta, che valgono per ognicoppia di numeri reali x e y: (1) |x + y| |x| + |y| e |x� y| � |x|� |y|; (2) |xy| = |x||y|, ein particolare

�� 1x

�� = 1|x| .

A dispetto della sua apparente modestia, il modulo e un autentico spauracchio per lostudente, che spesso scorda un fatto elementare: che la presenza del modulo invita astudiare prima il segno del suo argomento (cioe, quello che ci sta dentro), per poi dividerelo studio nei vari casi in cui tale segno e chiaro. Ad esempio, poniamo di avere l’espressionef(x) = |7 � x| � |x2 + 4x|: essendo 7 � x � 0 se e solo se x 7 e x2 + 4x � 0 se e solose x �4 oppure x � 0, possiamo scrivere f(x) in una forma piu semplice distinguendocaso per caso. In e↵etti, quando x �4 e 0 x 7 (casi in cui gli argomenti di entrambii moduli sono � 0) la nostra espressione diventa (7 � x) � (x2 + 4x) = �x2 � 5x + 7;quando �4 x 0 (caso in cui l’argomento del primo modulo e � 0 e quello del secondoe 0) essa diventa (7 � x) � (�(x2 + 4x)) = x2 + 3x + 7; infine, quando x � 7 (casoin cui, viceversa, l’argomento del primo modulo e 0 e quello del secondo e � 0) essadiventa (�(7 � x)) � (x2 + 4x) = �x2 � 3x � 7. Si noti che nei punti di passaggio ledue definizioni consecutive coincidono, per dare f(�4) = 11, f(0) = 7 e f(7) = �77 (intermini piu precisi, diremo che “la funzione modulo e continua”).

• Naturalmente conosciamo i polinomi, e le frazioni di polinomi (funzioni razionali): essehanno per dominio tutti i numeri che non annullano il denominatore (ad esempio, 5x�3

x2+4x+3ha come dominio tutti i numeri reali tranne �1 e �3).

• Parliamo ora delle potenze x↵ (vedi Figura 0.1), iniziando dal caso in cui x e un numeroreale positivo. Quando ↵ e un numero naturale, le potenze sono gli “atomi” dei polinomi,

(1)Piu tardi, quando definiremo formalmente la nozione di “funzione” (vedi pag. 30) noteremo che in realtaessa coincide sostanzialmente con quella di “grafico”; tuttavia, a questo livello di prerequisiti, preferiamo,a fini sia didattici che di uso comune, marcare una distinzione tra esse.

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Figura 0.1: Grafici delle potenze x↵ con esponente ↵ naturale e reale

ed il loro significato e “moltiplicare x per se stesso ↵ volte”. Come noto, esse soddisfanole seguenti proprieta:

(1) x↵x� = x↵+� ,

(2) x↵/x� = x↵�� (se ↵ > �),

(3) (x↵)� = x↵� .

Se ↵ non e un numero naturale, si puo dare un senso a x↵ chiedendo che continuino avalere le proprieta (1), (2) e (3).

– Se ↵ = 0, poiche da (1) si ha x0x� = x0+� = x� , si e indotti a porre x0 = 1.

– Se invece ↵ e un numero intero negativo (diciamo ↵ = �m, con m numero naturale),sempre da (1) si ha x�mxm = x�m+m = x0 = 1; percio si e indotti a porre x�m = 1

xm .

– Se ↵ e un numero razionale > 0 (diciamo ↵ = mn con m, n > 0), poiche da (3)

formalmente ricaviamo (xmn )n = x

mn

n = xm, sara il caso di porre xmn = n

pxm (la

nota “radice n-esima”, che viene dunque ricompresa nella notazione delle potenze); seinvece ↵ < 0 (diciamo ↵ = �m

n con m, n > 0), essendo x�mn x

mn = x�m

n+m

n = x0 = 1

possiamo porre x�mn = 1

xmn

= 1npxm .

– Infine, se ↵ e un qualsiasi numero reale, ci accontentiamo per ora di questa sp-iegazione un po’ vaga, ma e�cace: sappiamo che possiamo “approssimare” ↵ apiacere con una sequenza di numeri razionali ↵1, ↵2, ↵3 ...; ed allora la sequenza dinumeri reali positivi x↵1 , x↵2 , x↵3 , ... (che sappiamo calcolare, perche gli esponenti↵1, ↵2, ↵3 etc. sono numeri razionali) “approssimera” un numero reale positivo, chechiameremo per l’appunto x↵.

In sostanza, d’ora in poi il simbolo x↵ avra senso per ogni numero reale x > 0 ed ogninumero reale ↵.

Esempi. (1) Vale 3�2 = 132 = 1

9, ( 4

5)�3 = 1

( 45)3

= 12564

e (p

2)�7 = 1

(p

2)7= 1

8p

2. (2) Vale ( 2

3)

12 =

q23

=p

63

, (p

3)�23 = 1

(p

3)23

= 13p

(p

3)2= 1

3p3e ( 1

32)�

35 = 1

( 132

)35

= 15p

( 132

)3= 1

18

= 8. (3) Poiche

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<p

3 < 2, il numero 4p

3 sara compreso tra 432 = 8 e 42 = 16; e il numero ( 1

2)p

3 sara compreso tra

( 12)2 = 1

4e ( 1

2)

32 = 1

2p

2=p

24

(qui stiamo usando il fatto, ribadito tra breve, che la funzione esponenziale

ax e crescente se a > 1, decrescente se 0 < a < 1).

Occupiamoci ora di definire la funzione x↵, quando possibile, anche per x 0.

– Se ↵ e un numero naturale (diciamo ↵ = m con m > 0), come sappiamo il simboloxm continua ad avere lo stesso senso di prima anche per ogni numero reale x: sitratta sempre di moltiplicare x per se stesso m volte. Piu in generale, la potenzax↵ si puo definire per ogni numero reale x anche se ↵ e un numero razionale > 0che, ridotto, abbia denominatore dispari (ad esempio 1

3 o 25 , ma anche 68

28 e 4866 , che

diventano 177 e 8

11): scritto ↵ = mn con m, n > 0 primi tra loro e n dispari, se x = 0

poniamo 0mn = 0, e se x < 0 poniamo

xmn =

�� np

|x|�m

= (�1)m np

|x|m.

Esempi. (1) Si ha (�3)4 = (�3)(�3)(�3)(�3) = 81 e (�2)3 = (�2)(�2)(�2) = �8. (2) Vale

035 = 0, (�8)

13 = (� 3

p8)1 = �2 e (�243)

25 = (� 5

p243)2 = (�3)2 = 9.

– Se ↵ = 0 poniamo x0 = 1 per ogni x 6= 0; invece il simbolo 00 non avra senso.

– Se ↵ e un numero intero negativo (diciamo ↵ = �m con m > 0), si potra definireancora x�m = 1

xm purche sia x 6= 0. Piu in generale, come prima, la stessa cosa sipuo fare se ↵ e un numero razionale < 0 che, ridotto, abbia denominatore dispari:scritto ↵ = �m

n con m, n > 0 primi tra loro e n dispari, se x = 0 poniamo 0mn = 0,

e se x < 0 (ovvero �x > 0) poniamo

x�mn =

1

xmn

=1�

� np

|x|�m =

(�1)m

np

|x|m.

Esempi. (1) Si ha (�3)�2 = 1(�3)2

= 1(�3)(�3)

= 19

e (�2)�3 = 1(�2)3

= � 18. (2) Vale (�4)�

13 =

1

(�4)13

= � 13p4

, (�5)�27 = 1

(�5)27

= 1

(� 7p5)2= 1

7p25e (� 2

3)�

23 = 1

(� 23)23

= 1

(� 3p

23)2

= 13p

49

= 3

q94.

– Occupiamoci ora del caso in cui ↵ sia un numero razionale che, ridotto, abbia de-nominatore pari, diciamo ↵ = m

n con m dispari e n pari, ad esempio 12 o �3

4 . Intal caso, la sola definizione che possiamo dare quando x 0 e 0↵ = 0 se ↵ > 0, eniente piu: ad esempio, simboli come (�1)

12 o (�5)�

34 saranno privi di significato.

Il problema sta nel fatto che una potenza pari di un qualsiasi numero reale e semprepositiva: dunque i simboli (�1)

12 e (�5)�

34 (che saremmo indotti a scrivere

p�1 e

4p

(�5)3 = 4p�125), dovendo indicare presunti numeri reali che, elevati alla seconda

o alla quarta, dovrebbero dare rispettivamente �1 o �125, sono chiaramente prividi senso per i numeri reali.(2)

(2)D’altra parte, come vedremo, sara proprio questa “carenza” dei numeri reali che ci portera ad allargarnel’insieme ad uno piu grande, detto dei numeri complessi, in cui questi problemi avranno sempre soluzione(ad esempio, si potranno trovare numeri complessi z tali che z2 = �1, o tali che z4 = �125).

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– Infine, se ↵ e un numero reale qualsiasi, poiche come visto la definizione di x↵ vadata approssimando ↵ con numeri razionali, e tra questi, una volta ridotti, ve nesono sia con denominatore pari che dispari, anche in questo caso la sola definizioneche possiamo dare quando x 0 e 0↵ = 0 se ↵ > 0, e niente altro: ad esempio,simboli come (�1)

p2 o (�3)�⇡ saranno privi di significato.

Ricapitolando, la funzione f(x) = x↵ (ove x varia nel dominio e ↵ e un numero realeprefissato) ha come dominio:

– tutti gli x se ↵ e un numero razionale > 0 che, ridotto, abbia denominatore dispari(ad esempio, se ↵ e naturale, oppure ↵ = 2

7 , 35 , 12

35 , . . . );

– tutti gli x 6= 0 se ↵ = 0 o se ↵ e un numero razionale < 0 che, ridotto, abbia denom-inatore dispari (ad esempio, se ↵ e intero negativo, oppure ↵ = �1

5 , � 217 , . . . ));

– tutti gli x > 0 se ↵ e un qualsiasi altro numero reale > 0 (ad esempio, se ↵ =12 , 3⇡,

p3 � 1, 5

6 , . . . );

– tutti gli x > 0 se ↵ e un qualsiasi altro numero reale < 0 (ad esempio, se ↵ =�1

2 , 1 � ⇡, � 314 ,�4

p3, . . . ).

Naturalmente, le precedenti regole formali (1) x↵x� = x↵+� , (2) x↵/x� = x↵�� e (3)(x↵)� = x↵� continuano a valere anche in generale. Vi sono tuttavia alcune eccezionisolitamente legate alla comparsa, naturale o artificiosa, di denominatori pari, e gestibilicon un po’ di prudenza: ad esempio, si ha 6 = (�2)(�3) ma non si puo scrivere 6

12 =

(�2)12 (�3)

12 (il primo membro ha senso, il secondo no); oppure si ha 1

3 = 2 · 16 = 1

6 · 2

ma (�8)13 = � 3

p8 = �2 mentre (�8)2· 1

6 = ((�8)2)16 = 64

16 = 6

p64 = 2 e addirittura

(�8)16·2 = ((�8)

16 )2 = ( 6

p�8)2 e privo di senso.

Osserviamo l’andamento della funzione f(x) = x↵, con ↵ numero reale qualsiasi (vediFigura 0.1). Intanto, possiamo limitarci a x � 0 oppure x > 0 (infatti, se ↵ = m

n con ndispari, se m e pari allora f(�x) = f(x), ovvero “la funzione f e pari” mentre se m edispari allora f(�x) = �f(x), ovvero “la funzione f e dispari”): dunque il grafico staratutto nel primo quadrante del piano cartesiano e, visto che 1↵ = 1 per ogni ↵, esso passerasempre per il punto (1, 1). Distinguiamo ora tre casi. (1) Se ↵ > 0, la funzione x↵ e“crescente”, ovvero se x1 x2 allora (x1)

↵ (x2)↵ (anzi, e addirittura “strettamente

crescente”, ovvero se x1 < x2 allora (x1)↵ < (x2)

↵); essa tende a 0 quando x tende a0, e a +1 quando x tende a +1. (2) Se ↵ < 0 accade il contrario: la funzione x↵ e“decrescente”, ovvero se x1 x2 allora x↵

1 � x↵2 (anzi, “strettamente decrescente”); essa

tende a +1 quando x tende a 0, e a 0 quando x tende a +1. (3) Infine, se ↵ = 0 lafunzione vale costantemente 1.

• Per la funzione potenza, la variabile x stava nella base; se invece la variabile x appareall’esponente, si parlera di funzione esponenziale(3) ax, ove a e un fissato numero reale > 0(si noti che se a = 1 la funzione vale costantemente 1; vedi Figura 0.2(ii)). Le proprieta

(3)Con maggior precisione, si dimostra che per ogni a > 0 esiste un’unica funzione fa(x) monotona(ovvero, crescente oppure decrescente a seconda di a), definita per ogni x 2 R, con le proprieta che

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Figura 0.2: Grafici del logaritmo, dell’esponenziale e del modulo

fondamentali sono quelle delle potenze, ovvero ax1ax2 = ax1+x2 e (ax1)x2 = ax1x2 per ognicoppia di numeri reali x1, x2. Il dominio di questa funzione sara tutto l’insieme dei numerireali, e si noti che essa assume solo valori > 0 (ad esempio a�1000 = 1

a1000 > 0). Quantoall’andamento della funzione (vedi Figura 0.2(ii)), osserviamo che quando x = 0 essa vale1; distinguiamo poi due casi. (1) Se a > 1 la funzione ax e crescente, tende rapidamente a0 quando x tende a �1 e tende rapidamente a +1 quando x tende a +1. (2) Se invece0 < a < 1 accade il contrario: la funzione ax e decrescente, tende rapidamente a +1quando x tende a �1 e tende rapidamente a 0 quando x tende a +1. Tra le possibiliscelte per a, la migliore e a = e (numero di Nepero): il perche lo capiremo piu avanti,parlando di derivate.

• Il logaritmo e la funzione inversa dell’esponenziale: se a e un numero reale > 0 madiverso da 1 e x e un numero reale > 0, allora loga(x) e, per definizione, quel numero realeal quale bisogna elevare a per ottenere x: ovvero aloga(x) = x = loga(a

x). Il logaritmoha le seguenti due proprieta fondamentali, che si verificano facilmente: (1)’ loga(x1x2) =loga(x1) + loga(x2), e (2)’ loga(x

↵) = ↵ loga(x), da cui seguono tutte le altre (ad esempiologa(1) = 0, loga(

1x) = � loga(x) e piu generalmente loga(

x1x2

) = loga(x1) � loga(x2), ecc.).Il dominio di questa funzione sara l’insieme dei numeri reali > 0. Per l’andamento (vediFigura 0.2(i)), la funzione vale 0 quando x = 1; distinguiamo poi anche qui due casi. (1)Se a > 1 la funzione loga(x) e crescente, quando x tende a 0 essa tende lentamente a �1 equando x tende a +1 essa tende lentamente a +1. (2) Se invece 0 < a < 1, inversamente,la funzione loga(x) e decrescente, quando x tende a 0 essa tende a lentamente +1 e quandox tende a +1 essa tende lentamente a �1. Anche per il logaritmo, la scelta miglioree a = e, per lo stesso (ancora da spiegare) motivo dell’esponenziale: percio d’ora in poi,quando scriveremo “log x” senza indicare la base, intenderemo che la base e e (si parla dilogaritmo naturale, da taluni indicato anche con “ln x”).

• Anche le funzioni goniometriche o circolari (di cui parleremo tra poco) e le funzioniiperboliche (che incontreremo durante il corso) appaiono tra le elementari.

fa(1) = a e fa(x)fa(y) = fa(x + y) per ogni x, y 2 R. La funzione fa(x), detta esponenziale di basea e usualmente denotata ax, e costantemente uguale a 1 se a = 1, strettamente crescente se a > 0 estrettamente decrescente se 0 < a < 1, e per ogni y > 0 esiste x 2 R tale che y = fa(x). Inoltre, sea = p

q2 Q si ha fa(x) = q

pap.

Corrado Marastoni 8

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Equazioni e disequazioni in una variabile Con le funzioni elementari appena ri-

cordate dobbiamo essere in grado di risolvere equazioni e disequazioni (ovvero trovarel’insieme di tutti e soli i possibili valori di x che le soddisfano). Diamo qui nel seguitoalcuni esempi di ricapitolazione (per le funzioni goniometriche, si veda piu sotto).

Esercizio. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni in una variabile:

(1)

⇢x+2

x+ 3x > 5x+6

22x

x2�1 2 + x

x�1.

, (2)

⇢|x + 3| + |y + 1| = 3x + |2y � 1| = 0.

(3) 31+x +�

13

��x<

p3,

(4) 2 log2(1 � x) � log2 |x| � 1, (5)p

3(x2 � 1) < 5 � x.

Risoluzione. (1) Nella prima disequazione dovra essere x 6= 0 per l’esistenza del denominatore; essa di-

venta x2�4x+42x

> 0; il numeratore e (x � 2)2, e dunque e > 0 per ogni x 6= 2, mentre il denominatore

e > 0 per x > 0, percio la prima disequazione e soddisfatta se e solo se x > 0 ma x 6= 2. La seconda

disequazione richiede x 6= ±1 per l’esistenza dei denominatori; essa diventa 3x2�x�2x2�1

� 0; il numeratore

ha radici � 23

e 1, e dunque e 0 per x � 23

oppure x � 1, mentre il denominatore e > 0 per x < �1

oppure x > 1; confrontando i segni, notiamo che la seconda disequazione e soddisfatta se e solo se x < �1

oppure x � � 23

ma x 6= 1. Il sistema e dunque soddisfatto se e solo se x > 0 ma x 6= 1, 2. (2) Dovremmo

scomporre lo studio in vari casi nei quali gli argomenti dei tre moduli abbiano segno certo, per poterci cosı

“sbarazzare” dei moduli. Notiamo che x + 3 � 0 se e solo se x � �3, y + 1 � 0 se e solo se y � �1 e

2y�1 � 0 se e solo se y � 12: dovremo dunque trattare 2⇥3 = 6 casi distinti. Primo: se x �3 e y �1,

il sistema diventa

⇢(�(x + 3)) + (�(y + 1)) = 3x + (�(2y � 1)) = 0.

, che ha soluzione (�5,�2) (accettabile). Secondo: se

x �3 e �1 y 12, il sistema diventa

⇢(�(x + 3)) + (y + 1) = 3x + (�(2y � 1)) = 0

, che ha soluzione (�9,�4) (non

accettabile). Terzo: se x �3 e y � 12, il sistema diventa

⇢(�(x + 3)) + (y + 1) = 3x + (2y � 1) = 0

, che ha soluzione

(�3, 2) (accettabile). Quarto: se x � �3 e y �1, il sistema diventa

⇢(x + 3) + (�(y + 1)) = 3x + (�(2y � 1)) = 0.

,

che ha soluzione (3, 2) (non accettabile). Quinto: se x � �3 e �1 y 12, il sistema diventa⇢

(x + 3) + (y + 1) = 3x + (�(2y � 1)) = 0

, che ha soluzione (�1, 0) (accettabile). Infine, il sesto: se x � �3 e y � 12,

il sistema diventa

⇢(x + 3) + (y + 1) = 3x + (2y � 1) = 0

, che ha soluzione (�3, 2) (accettabile). Ricapitolando, il sis-

tema ha le tre soluzioni (�5,�2), (�1, 0) e (�3, 2). (3) Si tratta di una disequazione esponenziale: l’idea

e quella di ridurla ad una disequazione esponenziale elementare del tipo (ad esempio) ax > b con b numero

reale, che ha come soluzioni tutti gli x (se b 0), mentre invece se b > 0, bisogna distinguere tra il caso

a > 1 (in cui loga e crescente, e dunque estraendo il logaritmo di ambo i membri si ricava x > loga b) e

0 < a < 1 (in cui loga e decrescente, e dunque estraendo il logaritmo di ambo i membri si ricava x < loga b).

Nel caso in questione, si ricava 31+x +�

13

��x= 3 ·3x +(3�1)�x = 3 ·3x +3x = 4 ·3x, da cui la disequazione

diventa 4 ·3x <p

3, ovvero 3x <p

34

. Estraendo log3 di ambo i membri (si noti che a = 3 > 1) ed usando le

proprieta dei logaritmi, si ricava x < log3(p

34

) = log3(p

3)� log3 4 = log3(312 )� log3(2

2) = 12+2 log3 2. (4)

Si tratta di una disequazione logaritmica: l’idea e di ridurla ad una disequazione logaritmica elementare del

tipo (ad esempio) loga x > b con b numero reale; scrivendo b = loga(ab), si ottiene allora loga x > loga(ab),

da cui si ricava x > ab (nel caso a > 1, in cui loga e crescente) oppure x < ab (nel caso 0 < a < 1, in

cui loga e decrescente). Esaminiamo il nostro caso concreto. Per l’esistenza dei logaritmi dovra aversi

1 � x > 0 (ovvero x < 1) e |x| > 0 (ovvero x 6= 0). Sfruttando le proprieta dei logaritmi, abbiamo dunque

Corrado Marastoni 9

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2 log2(1 � x) � log2 |x| = log⇣

(1�x)2

|x|

⌘� 1 = log2(2), da cui (essendo a = 2 > 1) ricaviamo (1�x)2

|x| � 2,

ovvero (1�x)2�2|x||x| � 0. Se x < 0 abbiamo dunque 1�2x+x2�(�2x)

�x= �x2+1

x� 0, sempre vero; se invece

x > 0 abbiamo x2�4x+1x

� 0, soddisfatta per x < 2 �p

3 oppure x > 2 +p

3. Tenendo presente pero

le condizioni di esistenza x < 1 e x 6= 0, concludiamo che la disequazione e verificata per tutti e soli gli

x < 2�p

3 ma x 6= 0. (5) Si tratta di una disequazione irrazionale, ovvero del tipop

f(x) > g(x) oppurepf(x) < g(x). In entrambi i casi, per la realta della radice va posto f(x) � 0. Poi, se g(x) < 0 la dise-

quazione e di certo soddisfatta nel primo caso, e assurda nel secondo (si noti che, se esiste, il primo membropf(x) e � 0), mentre se g(x) � 0 essa e equivalente a cio che si ottiene elevando al quadrato ambo i mem-

bri ottenendo rispettivamente f(x) > (g(x))2 (che, si noti, implica la condizione f(x) � 0, che sara dunque

inutile scrivere) e f(x) < (g(x))2: dunque risolverep

f(x) > g(x) equivale a risolvere separatamente i

sistemi

⇢f(x) � 0g(x) < 0

e

⇢g(x) � 0f(x) > (g(x))2

, mentrep

f(x) < g(x) equivale al sistema

8<:

f(x) � 0g(x) � 0f(x) < (g(x))2

.

Analogamente, l’equazionep

f(x) = g(x) equivarra al sistema

⇢g(x) � 0f(x) = (g(x))2

. Nel nostro caso con-

creto, dovremo dunque risolvere il sistema

8<:

3(x2 � 1) � 05 � x � 03(x2 � 1) < 25 � 10x + x2

, ovvero

8<:

x �1 o x � 1x 5�7 < x < 2

,

che ha soluzioni �7 < x �1 e 1 x < 2.

Trigonometria Siamo abituati a rappresentare visivamente gli angoli fin dall’iniziodel nostro percorso scolastico, ma per fare calcoli precisi abbiamo bisogno di introdurrealcune quantita numeriche ad essi associate (in altre parole, alcune loro “funzioni”). Equanto ci apprestiamo a fare parlando di funzioni goniometriche.

Il primo problema e: come rappresentare gli angoli, e quale unita di misura scegliere permisurarne l’ampiezza?Nel piano cartesiano denotiamo col simbolo S1 la circonferenza di centro l’origine e raggio1 (essa e dunque il luogo dei punti del piano che soddisfano l’equazione x2 + y2 � 1 =0: vedi Figura 0.3(i)). Un nome corrente per S1 e quello di circonferenza goniometrica(ove “goniometrica”, parola di origine greca, fa riferimento agli angoli). Si usa infattidisegnare un angolo ✓ su S1 girando in senso antiorario (se ✓ e positivo) o orario (se ✓ enegativo) sempre a partire dal punto P0 = (1, 0) e segnando il punto P✓ in cui si arriva:in questo modo, sembra che perdiamo l’informazione sui giri fatti (angoli che di↵erisconodi multipli dell’angolo giro cadono sul medesimo punto), ma in realta oltre al punto P✓

noi teniamo a mente la lunghezza dell’arco di circonferenza percorso. Quanto all’unita dimisura, anziche la classica sessagesimale per cui un angolo giro vale 360� (e dunque unopiatto 180� e uno retto 90�) si usera sempre la misura in radianti: presa una qualsiasicirconferenza con centro nel vertice dell’angolo, si tratta del rapporto tra la lunghezzadell’arco di circonferenza sotteso dall’angolo e la lunghezza del raggio della circonferenzastessa. Questo rapporto, che non dipende dalla circonferenza scelta, da un numero puro(rapporto tra grandezze omogenee), che coincide numericamente con la lunghezza dell’arcosotteso su S1 (perche il raggio di S1 ha lunghezza unitaria). Ad esempio, gli angoli di �30�,0�, 30�, 45�, 60�, 90�, 180�, 270� 360� e 390� corrispondono rispettivamente (e d’ora inpoi li chiameremo cosı) a �⇡

6 , 0, ⇡6 , ⇡

4 , ⇡3 , ⇡

2 , ⇡, 3⇡2 , 2⇡ e 13⇡

6 .

Corrado Marastoni 10

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Figura 0.3: Circonferenza goniometrica S1; grafici di seno, coseno, tangente e cotangente

Introduciamo ora le due piu importanti funzioni goniometriche dell’angolo ✓: il coseno edil seno. Essi sono semplicemente le coordinate di P✓, ovvero, P✓ = (cos ✓, sin ✓): sarannodunque numeri reali compresi tra �1 e 1 (vedi Figura 0.3), legati dalla relazione fonda-mentale

cos2 ✓ + sin2 ✓ = 1.

E immediato verificare che vale anche sin(�✓) = � sin ✓, cos(�✓) = cos ✓, sin(⇡2 ± ✓) =⌥ cos(✓), sin(⇡ ± ✓) = ⌥ sin ✓, cos(⇡ ± ✓) = ± cos ✓; inoltre, seno e coseno sono grandezzeperiodiche di periodo 2⇡: esse non cambiano se si modifica l’angolo ✓ di multipli dell’angologiro. In modo piu formale, questo fatto si scrive

sin(✓ + 2k⇡) = sin ✓, cos(✓ + 2k⇡) = cos ✓ per ogni numero reale ✓ ed intero k.

Notiamo allora che in [�⇡,⇡] l’uguaglianza sin↵ = sin� vale se e solo se � = ↵, oppure↵+� = ±⇡: dunque, in generale essa vale se e solo se � = ↵+2k⇡ oppure � = (⇡�↵)+2k⇡con k intero. Analogamente, l’uguaglianza cos↵ = cos� vale se e solo se � = ↵ + 2k⇡oppure � = �↵+2k⇡ con k intero. Alcuni valori notevoli di seno e coseno sono i seguenti:

cos(⇡6 ) = sin(⇡3 ) =p

32 ; sin(⇡6 ) = cos(⇡3 ) = 1

2 ; sin(⇡4 ) = cos(⇡4 ) =p

22 ; sin(⇡2 ) = cos(0) = 1,

sin(3⇡2 ) = cos(⇡) = �1; sin(0) = cos(⇡2 ) = sin(⇡) = cos(3⇡

2 ) = 0; cos(2⇡3 ) = sin(�⇡

6 ) = �12 .

Ci sono anche altre due funzioni goniometriche dell’angolo ✓ che sono molto usate: latangente e la cotangente. Se cos ✓ 6= 0 si puo definire la tangente di ✓ come tg ✓ = sin ✓

cos ✓ ;

reciprocamente, se sin ✓ 6= 0 si puo definire la cotangente di ✓ come cotg ✓ = cos ✓sin ✓ (vedi

Figura 0.3). Si noti che se | cos ✓| (risp. | sin ✓|) e assai piccolo, | tg ✓| (risp. | cotg ✓|)diventa assai grande. Per visualizzare geometricamente tg ✓ e cotg ✓, si procede comesegue: (a) si tracci la retta tangente alla circonferenza S1 nel punto P0 = (0, 1) (risp.nel punto P⇡

2= (1, 0)); (b) si prolunghi la semiretta uscente dall’origine (0, 0) e passante

per il punto P✓ fino a secare la suddetta retta tangente; (c) il valore dell’ordinata (risp.dell’ascissa) di tale punto e uguale a tg(✓) (risp. a cotg(✓)). Se ✓ 6= k ⇡

2 con k intero, valeovviamente la relazione cotg ✓ = 1

tg ✓ ; vale anche tg(�✓) = � tg ✓, cotg(�✓) = � cotg ✓,tg(⇡2 � ✓) = cotg ✓; inoltre tangente e cotangente sono grandezze periodiche di periodo ⇡:

tg(✓ + k⇡) = tg ✓, cotg(✓ + k⇡) = cotg ✓ per ogni numero reale ✓ ed intero k.

Corrado Marastoni 11

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L’uguaglianza tg↵ = tg � vale se e solo se � = ↵ + k⇡ con k intero, e lo stesso per

cotg↵ = cotg �. Alcuni valori notevoli sono tg(⇡6 ) = cotg(⇡3 ) =p

33 ; cotg(⇡6 ) = tg(⇡3 ) =p

3; tg(⇡4 ) = cotg(⇡4 ) = 1; cotg(⇡2 ) = tg(0) = 0, mentre tg(⇡2 ) e cotg(0) non sono definite.

Esistono molte formule e relazioni riguardanti seno, coseno, tangente e cotangente: essesi dimostrano facilmente, e per ricordarle bisogna ricorrere alla memoria, ad un buonformulario o, piu semplicemente, ad un disegno. Ecco le principali (si tratta, nell’ordine,di formule di addizione/sottrazione, duplicazione, bisezione, prostaferesi, parametriche):

sin(↵± �) = sin↵ cos� ± cos↵ sin�; cos(↵± �) = cos↵ cos� ⌥ sin↵ sin�; tg(↵± �) = tg↵±tg �1⌥tg↵ tg �

;

sin(2↵) = 2 sin↵ cos↵; cos(2↵) = cos2 ↵� sin2 ↵; tg(2✓) = 2 tg ✓1�tg2 ✓

;

sin( ✓2) = ±

q1�cos ✓

2; cos( ✓

2) = ±

q1+cos ✓

2; sin↵+ sin� = 2 sin(↵+�

2) cos(↵��

2);

sin ✓ = 2t1+t2

; cos ✓ = 1�t2

1+t2; tg ✓ = 2t

1�t2(ove t = tg ✓

2).

Figura 0.4: Grafici dell’arco-seno, arco-coseno, arco-tangente e arco-cotangente

Abbiamo visto che, dato un angolo (cioe un numero reale) ✓, la funzione “sin” gli associail valore del suo seno (un numero tra �1 e 1). Vorremmo avere a disposizione una funzioneinversa, che partendo da un numero tra �1 e 1 ci dia l’angolo di cui esso e il seno, main questo modo non otterremmo una “funzione” (che per definizione deve assegnare uno eun solo valore ad ogni elemento del dominio, in questo caso l’intervallo [�1, 1]): infatti, adesempio, al numero 1

2 non sapremmo se assegnare l’angolo ⇡6 , o 5⇡

6 , o magari �7⇡6 ... . Per

toglierci dall’imbarazzo, scegliamo l’unico angolo in [�⇡2 , ⇡

2 ]: dunque, in questo caso, a x =12 assegneremmo f(x) = ⇡

6 . Questa funzione si chiama arco-seno, e si denota con “arcsin”(vedi Figura 0.4): essa e l’inversa della funzione “sin”, nel senso che arcsin(sin x) = x perogni x 2 [�⇡

2 , ⇡2 ] e sin(arcsin x) = x per ogni x 2 [�1, 1]. In modo simile si considera

l’arco-coseno “arccos”, che ad un numero reale x con |x| 1 associa l’angolo in [0,⇡] dicui esso e il coseno, e l’arco-tangente “arctg” (risp. l’arco-cotangente “arccotg”) che adun qualsiasi numero reale x associa l’angolo in ] � ⇡

2 , ⇡2 [ (risp. in ]0,⇡[) di cui esso e la

tangente (risp. la cotangente). Si verifica facilmente che arcsin(x) + arccos(x) = ⇡2 per

ogni numero reale x con |x| 1, e che arctg(x) + arccotg(x) = ⇡2 per ogni x. Ad esempio,

vale arcsin(0) = 0, arccos(�p

22 ) = arccotg(�1) = 3⇡

4 e arctg(p

3) = ⇡3 .

Le equazioni e disequazioni goniometriche elementari sono del tipo f(✓) = a (oppure <,>, �, ) ove f puo essere una fra sin, cos, tg o cotg e a un qualsiasi numero reale. Esse

Corrado Marastoni 12

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si risolvono scegliendo un periodo di risoluzione, che di solito sara [0, 2⇡] oppure [�⇡,⇡]per seno e coseno, [0.⇡] oppure [�⇡

2 , ⇡2 ] per tangente e cotangente (sara utile ragionare

graficamente, disegnando o immaginandosi nella mente S1) e poi sommando multipli interidel periodo alle soluzioni trovate. Vediamone alcuni esempi.

Figura 0.5: Risoluzioni di sin↵ = � 12

in [0, 2⇡]; del sistema cos ✓ p

22

e sin ✓ � � 12

in [0, 2⇡]; di cotg x < � 32

in[0,⇡].

Esercizio. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni trigonometriche elementari.

(1) sin ✓ = � 12, (2) cotg ✓ =

p2, (3) cos ✓ 0, (4) tg ✓ � 1, (5) sin ✓ >

p3

4.

Risoluzione. (1) sin ✓ = � 12, se risolta in [�⇡,⇡], da ✓ = � 5⇡

6,�⇡

6; dunque la soluzione generale e

✓ = � 5⇡6

+2k⇡ oppure ✓ = �⇡6

+2k⇡ per k intero. (2) cotg ✓ =p

2, se risolta in [0,⇡], da ✓ = arccotg(p

2);

dunque la soluzione generale e ✓ = arccotg(p

2) + k⇡ per k intero. (3) cos ✓ 0, se risolta in [0, 2⇡] da⇡2 ✓ 3⇡

2, dunque la soluzione generale e ⇡

2+2k⇡ ✓ 3⇡

2+2k⇡ per k intero. (4) tg ✓ � 1, se risolta in

[�⇡2, ⇡

2] da ⇡

4 ✓ < ⇡

2, dunque la soluzione generale e ⇡

4+ k⇡ ✓ < ⇡

2+ k⇡ per k intero. (5) sin ✓ >

p3

4,

se risolta in [0, 2⇡] (ma anche in [�⇡,⇡]) da arcsin(p

34

) < ✓ < ⇡�arcsin(p

34

), dunque la soluzione generale

e arcsin(p

34

) + 2k⇡ < ✓ < ⇡ � arcsin(p

34

) + 2k⇡ per k intero.

Tutte le altre equazioni e disequazioni goniometriche vanno ricondotte alla risoluzione dielementari. Vediamo alcuni esempi.

Esercizio. Risolvere le seguenti equazioni e disequazioni trigonometriche.

(6) sin x (p

3 sin x + cos x) = 0, (7) cos x + 2 sin x + 2 = 0, (8) log(2 cos x + sin x) < 0 ,

(9)sin x +

p3 cos x + 1

tg x � 1� 0, (10) cos 2x + cos2(x

2) � 1

2.

Risoluzione. (6) Per la legge dell’annullamento di un prodotto dev’essere sin x = 0 (che da le soluzioni

x = k⇡ con k intero) oppurep

3 sin x + cos x = 0. Quest’ultima e un’equazione omogenea di grado 1

in seno e coseno: poiche cos x 6= 0 (altrimenti sarebbe anche sin x = 0, impossibile), si puo dividere

per cos x ottenendo un’altra equazione elementare tg x = �p

33

, che ha soluzione x = �⇡6

+ k⇡ con k

intero. (7) Si tratta di un’equazione lineare (del tipo a cos x + b sin x = c), che si puo risolvere in due

modi. (a) (Metodo geometrico) Posto X = cos x e Y = sin x si ha il sistema dato da aX + bY = c e

X2 + Y 2 = 1, che nel piano cartesiano (X, Y ) (in cui conviene visualizzare il tutto) equivale a intersecare

Corrado Marastoni 13

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una retta e una circonferenza; trovata una soluzione (X, Y ) = (↵,�), ci si e ridotti a risolvere il sistema

di equazioni elementari dato da cos x = ↵ e sin x = �. Nel nostro caso le soluzioni sono (X, Y ) = (0,�1)

e (X, Y ) = (� 45,� 3

5); la prima, ovvero (cos x, sin x) = (0,�1), da x = �⇡

2+ 2k⇡, mentre la seconda,

ovvero (cos x, sin x) = (� 45,� 3

5), da x = ⇡ + arcsin 3

5+ 2k⇡. (b) (Metodo algebrico) Si usano le “formule

parametriche” per razionalizzare: posta t = tg x2, si ha cos x = 1�t2

1+t2e sin x = 2t

1+t2, da cui sostituendo si

trova t2 +4t+3 = 0, da cui t = tg x2

= �1,�3. Se tg x2

= �1 si ricava x2

= �⇡4

+k⇡, cioe x = �⇡2

+2k⇡; se

tg x2

= �3 si ha x2

= � arctg(3)+k⇡, cioe x = �2 arctg(3)+2k⇡ (k intero). Si noti che la seconda famiglia

di soluzioni coincide con quella trovata prima, perche �2 arctg 3 + 2⇡ = ⇡ + arcsin 35

(entrambi angoli del

3o quadrante): infatti cio equivale a 2 arctg 3 = ⇡� arcsin 35

(entrambi angoli del 2o quadrante), che a sua

volta equivale a sin(2 arctg 3) = sin(⇡ � arcsin 35), che e vero perche il secondo membro vale 3

5, mentre il

primo vale 2 sin(arctg 3) cos(arctg 3) = 2 3p1+32

1p1+32

= 35.(4) (8) La disequazione log(2 cosx + sin x) < 0

equivale alla coppia di disequazioni lineari 0 < 2 cos x + sin x < 1 ciascuna delle quali si risolve con uno

dei due metodi appresi in precedenza (meglio quello geometrico, che permette una risoluzione combinata

e visivamente eloquente), ottenendo ⇡2

+ 2k⇡ < x < arccos(� 1p5) + 2k⇡ oppure ⇡ + arccos(� 1p

5) + 2k⇡ <

x < 2⇡� arccos 45

+2k⇡. (9) Risolviamo la disequazione in [0, 2⇡] (periodo su�ciente per tutte le funzioni

che appaiono). Intanto, per l’esistenza della tangente dev’essere x 6= ⇡2, 3⇡

2, e per quella del denominatore

dev’essere tg x 6= 1, ovvero x 6= ⇡4, 5⇡

4. Studiamo il segno del numeratore: usando ancora le formule

parametriche, posta t = tg x2

si ha sin x+p

3 cos x+1 � 0 se e solo se (p

3�1)t2�2t�(p

3+1) 0, ovvero

�1 tg x2 2+

p3, ovvero (notando che arctg(2+

p3) = 5⇡

12) se e solo se (per x

22 [0,⇡]) vale 0 x

2 5⇡

12

oppure 3⇡4

x2 ⇡, ovvero se e solo se 0 x 5⇡

6oppure 3⇡

2 x 2⇡. Il denominatore e invece > 0 se e

solo se tg x > 1, ovvero ⇡4

< x < ⇡2

oppure 5⇡4

< x < 3⇡2

. Dunque il quoziente e � 0 se e solo se ⇡4

< x < ⇡2

oppure 5⇡6

x < 5⇡4

; in generale basta aggiungere 2k⇡ agli estremi (k intero). (10) Dalle formule di

duplicazione e bisezione si ha cos 2x = 2 cos2 x�1 e cos2 x2

= 1+cos x2

, da cui si ricava cos x(4 cos x+1) 0.

Scegliamo [�⇡,⇡] come intervallo di risoluzione, e studiamo ivi il segno dei due fattori: cos x � 0 se e solo

se �⇡2 cos x ⇡

2, mentre 4 cos x + 1 � 0 se e solo se � arccos(� 1

4) x arccos(� 1

4) ovvero (essendo

arccos(�t) = ⇡ � arccos(t)) se e solo se �⇡ + arccos( 14) x ⇡ � arccos( 1

4). Pertanto in [�⇡,⇡] il loro

prodotto e 0 se e solo se �⇡ + arccos( 14) x �⇡

2oppure ⇡

2 x ⇡ � arccos( 1

4), ed in generale

basta aggiungere 2k⇡ agli estremi (k intero). (Notiamo che, essendo cos(�x) = cos x, bastava risolvere la

disequazione in [0,⇡] e poi aggiungere “±”).

In alcuni degli esercizi appena proposti, la contemporanea presenza di seno e coseno contangente e cotangente poteva portare ad un dubbio: quale periodo bisogna scegliere perla risoluzione? E chiaro che, per non perdere soluzioni, la regola generale e di scegliere ilmassimo tra i periodi delle funzioni presenti: cosı, ad esempio, per risolvere sin x�tg x = 1,tra 2⇡ e ⇡ si scegliera 2⇡. Vale la pena di osservare anche che una funzione goniometricacomposta con una lineare (ovvero del tipo sin(ax + b), con a, b numeri reali, a > 0) restaancora periodica, con periodo uguale a quello originale diviso per a (infatti, ad esempio,sin(a(x+ 2⇡

a )+ b) = sin(ax+ b+2⇡) = sin(ax+ b) per ogni x): cosı sin(2x� 1) ha periodo2⇡2 = ⇡, e cotg(x

3 ) ha periodo ⇡1/3 = 3⇡. Inoltre, si noti che sin2 x e cos2 x hanno periodo ⇡

(infatti sin2(x+⇡) = (� sin x)2 = sin x per ogni x): dunque, ad esempio, sin2(x3 ) ha periodo

12( 2⇡

1/3) = 3⇡. D’altra parte, quando possibile (ad esempio, per le equazioni elementari),il metodo piu sicuro per non sbagliare e di cambiare la variabile: ad esempio, se bisogna

(4)si e usato che, per angoli u del primo quadrante vale (cos u, sin u) = ( 1p1+tg2 u

, tg up1+tg2 u

)).

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risolvere sin2(x3 ) = 1

4 si potra porre ✓ = x3 , quindi risolvere l’equazione sin2 ✓ = 1

4 (si ricavasin ✓ = ±1

2 , da cui ✓ = ±⇡6 + 2k⇡ con k intero) per infine ricordarsi che x = 3✓, ricavando

x = ±⇡2 + 6k⇡ con k intero.

Ricordiamo infine che le funzioni goniometriche sono utili nella risoluzione dei triangoli: eanzi proprio per questo che l’argomento e tradizionalmente denominato “trigonometria”.In un qualsiasi triangolo di area S con lati a, b, c opposti ad angoli ↵,�, � valgono infattile relazioni a

sin↵ = bsin� = c

sin � = abc2S (teorema del seno) e c2 = a2 + b2 � 2ab cos � (teorema

del coseno, o di Carnot); dunque, se il triangolo e rettangolo (diciamo, in � = ⇡2 ) si ottiene

a = c sin↵ = c cos� = b tg↵ = b cotg �, ed il teorema di Pitagora c2 = a2 + b2.

Luoghi geometrici nel piano cartesiano; rette e coniche Di solito, per descri-

vere un sottoinsieme A del piano cartesiano si enuncia la (o le) proprieta che un puntodeve soddisfare per stare dentro A: si usa parlare allora di luogo geometrico. Ad esempio,si parla di “luogo geometrico dei punti la cui ascissa e < 0 ” (individuando cosı tutti esoli i punti del semipiano alla sinistra dell’asse y, quest’ultimo escluso), oppure, fissati unpunto C di coordinate (x0 , y0) ed un numero reale r > 0 si parla di “luogo geometricodei punti che distano r da C” (individuando cosı tutti e soli i punti della circonferenza dicentro C e raggio r).Il modo piu diretto di descrivere le proprieta di un luogo geometrico A nel piano carte-siano e senz’altro quello di esibirle come una famiglia di equazioni e disequazioni cui lecoordinate x e y di un punto P (x, y) del piano devono soddisfare a�nche P stia in A: inquesta maniera, A sara uguale all’insieme delle soluzioni del sistema in due variabili (x, y)fatto da equazioni del tipo f(x, y) = 0 (o disequazioni, se al posto di “=” si ha <, >,, �). Tornando ai nostri esempi di qui sopra, cercare il “luogo geometrico dei punti delpiano che distano r da C(x0 , y0) e la cui ascissa e negativa” equivale a cercare le soluzioni

del sistema⇢

(x � x0)2 + (y � y0)

2 = r2

x < 0.

Quali tipi di luoghi geometrici dovremmo essere in grado di riconoscere finora? Senzadubbio, almeno due:

(1) tutti quelli in cui la funzione f(x, y) e lineare o di primo grado, ovvero del tipo f(x, y) =ax + by + c per opportuni numeri reali a, b, c con almeno uno tra a e b non nullo;

(2) alcuni di quelli in cui la funzione f(x, y) e quadratica o di secondo grado, ovvero deltipo f(x, y) = ax2 + by2 + cxy + dx + ey + f per opportuni numeri reali a, b, c, d, e, fcon almeno uno tra a, b e c non nullo.

Sappiamo che il luogo definito da f(x, y) = 0 nel caso (1) e una retta, nel caso (2) unaconica, ovvero, cio che si trova secando un cono nello spazio con piani messi in variemaniere (come noto, le coniche si classificano in ellissi (in particolare, le circonferenze),parabole ed iperboli), e che viceversa tutte le rette e coniche sono definibili in questomodo. Tra le coniche, per la precisione, guardando l’equazione quadratica f(x, y) =ax2 + by2 + cxy + dx+ ey + f = 0 noi dovremmo riconoscere le parabole con asse paralleloall’asse y (in cui b = c = 0 e e 6= 0) o all’asse x (in cui a = c = 0 e d 6= 0), le circonferenze(in cui a = b, c = 0 e 4af < d2 + e2), le ellissi con centro l’origine e gli assi x e y comeassi di simmetria (in cui ab > 0, af < 0 e c = d = e = 0) le iperboli con centro l’origine e

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gli assi x e y come assi di simmetria (in cui ab < 0, af > 0 e c = d = e = 0) e le iperboliequilatere (in cui a = b = d = e = 0).Nei due casi appena visti (rette e coniche, ovvero f polinomio di grado al piu 2 in x e y),se anziche avere un’equazione f(x, y) = 0 si ha una disequazione (ad esempio f(x, y) > 0)che luogo si trovera (vedi Figura 0.6(i))? Ebbene: ogni retta, ed ogni conica diversadall’iperbole, dividono il piano in due regioni distinte, in ogni punto di una delle qualivale f(x, y) > 0 e nell’altra f(x, y) < 0. Per l’iperbole, invece, il piano viene diviso intre regioni, una “esterna” e due “interne” alle falde: ebbene, nei punti di quella “esterna”varra una delle due disequazioni, in quelli delle due “interne” la disequazione opposta. Peresempio, la disequazione x + 2y + 1 < 0 descrive il semipiano sotto la retta y = �x�1

2(esclusa); x2 � y � 0 e la parte di piano sotto la parabola y = x2 (compresa); xy + 4 < 0descrive i punti delle due parti interne all’iperbole equilatera xy = �4 (esclusa).

Si richiede allo studente la familiarita con gli strumenti della Geometria Analitica nelpiano cartesiano, ed in particolare con cio che riguarda i luoghi geometrici piu sempliciche abbiamo appena ricordato, ovvero rette e coniche: ad esempio, non si dovrebbero avereparticolari di�colta nel risolvere un esercizio come questo.

Esercizio. (1) Trovare l’equazione della parabola P con asse parallelo all’asse delle ordinate, passanteper A(2, 0) e con vertice in B(1,�1).(2) Determinare la retta r del fascio proprio centrato in A tale che, detto C l’altro punto di intersezionedi r con P, il segmento AC abbia lunghezza 3

p2 e C abbia ascissa negativa; determinare l’equazione della

retta tangente a P in C.(3) Calcolare l’area del triangolo ABC e l’equazione della circonferenza circoscritta.(4) Si determini l’equazione dell’iperbole con centro O(0, 0) ed assi di simmetria coincidenti con gli assicoordinati, passante per B ed avente come asintoto la perpendicolare per O a BC.

Risoluzione. (1) Se y = ↵x2 + �x + � e l’equazione cercata, il vertice ha coordinate (� �2↵

,� �4↵

) (ove

� = �2 � 4↵�), da cui le condizioni � = �2↵ e �2 � 4↵� = 4↵; infine, il passaggio per A da la condizione

0 = 4↵ + 2� + �. Risolvendo il sistema cosı ottenuto, si trova ↵ = 1, � = �2, � = 0. (2) Poiche si

richiede che r intersechi P in un altro punto diverso da A, essa non sara verticale, e dunque avra la forma

y � yA = m(x � xA), cioe y = m(x � 2). Intersecando r e P si ottiene dunque m(x � 2) = x2 � 2x,

ovvero x2 � (m + 2)x + 2m = 0: una delle cui due soluzione e ovviamente x = 2 (che da A), e l’altra

risulta x = m, che da il punto C(m, m(m � 2)). Poiche si richiede che C abbia ascissa negativa, dovra

essere m < 0. La lunghezza di AC e (m � 2)2p

m2 + 1, e dalla condizione che essa sia 3p

2 si ottiene

un’equazione di quarto grado (ovvio: si tratta di intersecare P con la circonferenza di centro A e raggio

3p

2) che, come si vede facilmente, ammette m = �1 come soluzione. Dal disegno si capisce subito che

non ci potranno essere altre soluzioni con ascissa negativa, dunque il punto cercato e C(�1, 3). Il fascio di

rette proprio passante per C e y � 3 = m(x + 1), ovvero y = mx + m + 3; intersecando con P si ottiene

x2 � (m � 2)x � m � 3 = 0, e richiedendo che vi sia la sola soluzione doppia (che sara x = �1) si ricava

(m � 2)2 + 4(m + 3) = 0, ovvero m = �4. La retta tangente a P in C e dunque y = �4x � 1. (3)

Come visto, la retta AC ha equazione y = �x + 2. La distanza di B da tale retta e data dalla formula|yB�(�xB+2)|p

1+(�1)2=

p2, da cui l’area del triangolo e 3

p2 ·

p2/2 = 3; la circonferenza circoscritta al triangolo

ABC sara semplicemente quella che passa per A, B, C: imponendo tali condizioni all’equazione generica

x2 + y2 + ↵x + �y + � = 0 e considerando il sistema che ne deriva, si ottiene (↵,�, �) = (0,�2,�4).

(Si noti che il triangolo ABC e chiaramente rettangolo in A, dunque la circonferenza circoscritta deve

Corrado Marastoni 16

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avere l’ipotenusa BC come diametro: infatti, il suo centro (�↵2,��

2) = (0, 1) sta sulla retta BC, che ha

equazione y�yCyB�yC

= x�xCxB�xC

ovvero y = �2x + 1, ed il suo raggio e 12

p↵2 + �2 � 4� =

p5 = 1

2BC.) (4)

L’iperbole cercata avra equazione x2

↵2 � y2

�2 = 1 oppure x2

↵2 � y2

�2 = �1 (per opportuni ↵,� > 0), con asintoti

y = ± �↵

x. La perpendicolare per O alla retta BC ha equazione y = mx con m = � 1�2

= 12, dunque e

la retta y = 12x: ne ricaviamo la condizione �

↵= 1

2, ovvero ↵ = 2�, e questo ci dice che l’equazione avra

la forma x2 � 4y2 = 4�2 > 0 oppure x2 � 4y2 = �4�2 < 0. Per decidere quale delle due forme funziona

in questo caso, basta imporre il passaggio per B: infatti x2B � 4y2

B = �3 < 0, dunque la forma corretta

e la seconda: si avra �3 = �4�2, da cui � =p

32

e ↵ = 2� =p

3. L’iperbole avra dunque equazionex2

3� y2

3/4= �1, ovvero x2 � 4y2 + 3 = 0.

Figura 0.6: Esempi di luoghi geometrici nel piano; rototraslazione del sistema di riferimento

Puo essere utile anche ricordare la formula del cambiamento di coordinate per rototrasla-zioni del sistema di riferimento (vedi Figura 0.6(ii)). Se si considera nel piano cartesianodi coordinate (x, y) una coppia di rette ortogonali intersecantisi nel punto (a, b), vedendoquesta coppia come un nuovo riferimento cartesiano (X, Y ) in cui l’asse X sia ottenutoruotando l’asse x di un angolo ✓ 2 [0, 2⇡[ in verso positivo (antiorario) e in cui si mantengala medesima unita di misura, le coordinate (X, Y ) e (x, y) di un punto del piano sono legatetra loro dalla relazioni inverse

⇢X = (x � a) cos ✓ + (y � b) sin ✓Y = �(x � a) sin ✓ + (y � b) cos ✓,

⇢x = X cos ✓ � Y sin ✓ + ay = X sin ✓ + Y cos ✓ + b.

Se ✓ = 0 abbiamo semplicemente una traslazione, se a = b = 0 una rotazione. Dunque unluogo di punti del piano espresso ad esempio dall’equazione f(x, y) = 0 nelle coordinate(x, y) sara espresso, nelle coordinate (X, Y ), dall’equazione

F (X, Y ) = f((X + a) cos ✓ � (Y + b) sin ✓, (X + a) sin ✓ + (Y + b) cos ✓) = 0.

Esempi. (1) Si consideri la retta y = mx+q, ovvero f(x, y) = mx�y+q = 0. Se X = x e Y = y�q, cioe

x = X e y = Y +q, (ovvero, il sistema (X, Y ) e ottenuto traslando verticalmente di q il sistema (x, y)), la sua

equazione diventa F (X, Y ) = f(X, Y +q) = mX�(Y +q)+q = mX�Y = 0, ovvero Y = mX, com’era ovvio

attendersi. Analogamente, si consideri la parabola y = ax2 + bx + c, ovvero f(x, y) = ax2 + bx + c� y = 0.

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Se X = x � (� b2a

) e Y = y � (� b2�4ac4a

), ovvero x = X � b2a

e y = Y � b2�4ac4a

, l’equazione diventa

F (X, Y ) = f(X � b2a

, Y � b2�4ac4a

) = a(X � b2a

)2 + b(X � b2a

) + c � (Y � b2�4ac4a

) = aX2, risultato

anche qui atteso perche abbiamo traslato il riferimento cartesiano portandone l’origine nel vertice della

parabola. (2) Ruotiamo il riferimento cartesiano (x, y) dell’angolo ✓ = ⇡4, ottenendo dunque X =

p2

2(x+y)

e Y =p

22

(�x + y), ovvero x =p

22

(X � Y ) e y =p

22

(X + Y ). L’equazione dell’iperbole equilatera

x2 � y2 = �1 diventa allora (p

22

(X � Y ))2 � (p

22

(X + Y ))2 = �1, ovvero XY = 12, che come atteso

rappresenta un’iperbole equilatera riferita ai propri assi. (3) Come visto, la circonferenza di centro (a, b)

e raggio r > 0 ha equazione x2 + y2 � 2ax � 2by + (a2 + b2 � r2) = 0. Considerando la rototraslazione

generale su descritta, l’equazione diventa�X cos ✓� Y sin ✓+ a

�2+�X sin ✓+ Y cos ✓+ b

�2 � 2a�X cos ✓�

Y sin ✓+ a�� 2b

�X sin ✓+ Y cos ✓+ b

�+ (a2 + b2 � r2) = 0, ovvero (a conti fatti) X2 + Y 2 � r2 = 0, come

atteso (si noti che, ovviamente, l’equazione non dipende da ✓).

Sommatorie, prodotti, fattoriale, coe�cienti binomiali Date n quantita nume-

riche a1, a2, ..., an, il simboloPn

j=1 aj , (da leggersi “somme (o “sommatoria”) per j cheva da 1 a n degli aj), e un modo compatto per indicare la somma di tali quantita:

nX

j=1

aj = a1 + a2 + · · · + an.

Invece il simboloQn

j=1 aj (da leggersi “prodotto per j che va da 1 a n degli aj”), e unmodo compatto per indicarne il prodotto:

nY

j=1

aj = a1 · a2 · · · · · an.

Il ruolo dell’indice j e puramente rappresentativo: esso serve solo ad indicare la variazionedegli oggetti, e potrebbe essere sostituito da qualunque altra lettera, tipo “i” o “k”. Se lequantita dipendono da piu famiglie di indici, si verifica facilmente che nelle sommatorie enei prodotti si puo commutare l’ordine degli indici senza cambiare il risultato: ad esempio,se si hanno i sei oggetti a11, a12, a13, a21, a22, a23 vale

P2i=1

P3j=1 aij =

P2i=1(ai1 + ai2 +

ai3) = (a11 + a12 + a13) + (a21 + a22 + a23) = (a11 + a21) + (a12 + a22) + (a13 + a23) =P3j=1(a1j + a2j) =

P3j=1

P2i=1 aij , e similmente per

Q.

Esempio. Le scrittureP5

k=2k

k+1eQ5

k=2k

k+1(dunque ak = k

k+1) denotano rispettivamente la somma

22+1

+ 33+1

+ 44+1

+ 55+1

= 23

+ 34

+ 45

+ 56

= 6120

e il prodotto 22+1

33+1

44+1

55+1

= 23

34

45

56

= 26

= 13; si noti che,

in generale, valeQk1

k=k0

kk+1

= k0k1+1

(tutti gli altri numeratori e denominatori si semplificano tra loro).

Se n e un numero naturale, il simbolo n! (da leggersi “n fattoriale”) indica il prodotto ditutti i numeri naturali che lo precedono, da 1 fino a lui compreso:

n! =

nY

j=1

j = 1 · 2 · · · · · (n � 1) · n .

Si usa definire anche 0! = 1. E facile convincersi che n! indica il numero di permutazioni(ovvero, i diversi possibili “riordinamenti”) di un insieme di n oggetti: ad esempio, vale

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3! = 1 · 2 · 3 = 6, ed infatti le possibili permutazioni dei tre oggetti a, b, c dell’insieme{a, b, c} sono (a, b, c), (a, c, b), (b, a, c), (b, c, a), (c, a, b) e (c, b, a)

E di uso frequente anche il coe�ciente binomiale: se n e k sono due numeri interi con0 k n, si pone

✓n

k

◆=

n!

k!(n � k)!=

n · (n � 1) · · · · · (k + 1)

1 · 2 · · · · · (n � k):

pertanto per definizione si ha�n0

�=

�nn

�= 1, e si vede subito che

�nk

�=

�n

n�k

�e che�

n�1k

�+

�n�1k�1

�=

�nk

�per ogni n � 2 e ogni 1 k n � 1 (quest’ultima proprieta

permette di visualizzare facilmente i coe�cienti binomiali tramite il triangolo di Tartaglia).E facile vedere che

�nk

�indica il numero di modi di↵erenti in cui si possono scegliere

(indipendentemente dall’ordine) k oggetti dentro un insieme di n: ad esempio vale�52

�=

1202·6 = 10, ed infatti, se abbiamo un insieme di 5 oggetti {a, b, c, d, e}, abbiamo 10 modidiversi di sceglierne 2 al suo interno (ovvero {a, b}, {a, c}, {a, d}, {a, e}, {b, c}, {b, d},{b, e}, {c, d}, {c, e}, {d, e}).

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Cenni di logica matematica

Diamo alcuni rapidi cenni di logica matematica, al fine di fissare un linguaggio edalcune norme basilari nelle deduzioni matematiche.

Proposizioni logiche Una proposizione e un’a↵ermazione, come ad esempio P = “IlVeneto e una regione dell’Italia”, Q = “Tutte le auto che circolano in Italia sono di marcaFiat”, R = “Rovigo e lontana da Padova”, S = “Carlo Magno era di sesso maschile”, T= “Rovigo e piu lontana da Padova che da Tokyo”, U = “Il cioccolato e buonissimo”, V= “Il cioccolato non provoca mai i brufoli”, W = “7 e un numero dispari”. Nella logicamatematica ci si occupa pero esclusivamente delle proposizioni logiche, ovvero di quelle cheportano in se il valore di verita o di falsita: ad esempio, tutte le suddette proposizioni sonologiche tranne R (non e chiaro nella frase cosa debba significare “lontano”) e U (giudizioindividuale, sul quale non ha alcun senso pronunciarsi in termini di “vero” o “falso”). Puoaccadere (ed e in realta quello che servira di piu a noi) che una proposizione contenga, alsuo interno, delle variabili x, y, ... una volta fissate le quali essa diventi una proposizionelogica: in tal caso si parlera di proposizione logica aperta o predicato, e si indichera conuna scrittura del tipo P(x, y, . . . ). Ad esempio, le proposizioni P(x, y) = “x2 +y2�1 > 0”e Q(x) = “x e stato un re di Roma” sono proposizioni logiche aperte, perche una voltache si sia precisato chi sono x e y si puo dire con chiarezza se esse siano vere o false : cosıad esempio P(1, 1) e Q(Anco Marzio) sono vere, mentre P(1, 0) e Q(Cicerone) sono false.

Verita e falsita, assiomi e postulati Torniamo sulle nozioni di “vero” e “falso” (cioe

“non vero”) che, come abbiamo detto, le proposizioni logiche si portano dentro comeattributo imprescindibile. Si tratta naturalmente delle usuali nozioni di verita e falsitadel senso comune: pertanto, negli esempi dati precedentemente, tra le proposizioni logicheP, Q, S, T, V e W e chiaro e noto a tutti che le proposizioni vere sono P, S, W e lefalse sono Q, T, V. Per mostrare questo loro carattere si da una dimostrazione, ovverosi adducono argomenti che manifestano in modo inconfutabile la loro verita o falsita,solitamente usando un processo deduttivo(5): ad esempio, per dimostrare che V e falsabasta dire “Infatti la settimana scorsa ho mangiato in un baleno un’intera confezionefamiliare di cioccolato al latte e dopo tre minuti gia mi erano spuntati sette brufoli”(dunque e bastato mostrare un solo caso in cui il cioccolato ha avuto il malefico e↵etto),mentre per dimostrare che W e vera si puo dire “infatti, dividendo 7 per 2 si ha quoziente3 con resto 1, ed i numeri dispari sono proprio quelli che, divisi per 2, danno resto 1:dunque 7 e dispari”. Queste dimostrazioni sono evidenti per tutti; talvolta, pero, puocapitare di avere bisogno di sapere che una certa importante proposizione logica e vera,

(5)senza entrare nei dettagli, la deduzione e il procedimento in base al quale da alcune premesse si fannoseguire necessariamente delle conclusioni, in base a regole logiche accettate in partenza.

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ma che non sia possibile fornire una dimostrazione evidente ne della sua verita ne dellasua falsita. Quando di essa viene comunque accettata la verita in modo “fideistico”, sidice che questa proposizione e un assioma o postulato. Il termine “assioma” si usa dipreferenza per certi fondamenti irrinunciabili della logica, mentre il termine “postulato”,invece, e dato piuttosto ai fondamenti di una scienza che, se non dati da subito per veri,non permettono di ottenere ulteriori risultati (esempi classici sono l’assioma logico di “noncontraddizione”, per il quale una proposizione e la sua negazione non possono mai essereentrambe vere, ed il postulato geometrico delle rette parallele di Euclide, per il quale“Due rette parallele nello spazio non si incontrano mai”).(6) Rifiutare un assioma o unpostulato comporta il prezzo di rinunciare a tutte le cose che da questi discendono: cosı,ad esempio, rifiutando l’assioma di non contraddizione si rinuncia praticamente a tuttala logica (con conseguenze drammatiche, come e intuibile), mentre rifiutando il postulatodelle rette parallele, accettato di buon grado da tutti per due millenni prima di esseremesso in discussione, accanto alla vecchia e nota geometria euclidea si da spazio anche allegeometrie “non euclidee’ (come la geometria proiettiva o la geometria iperbolica) in cuirette parallele hanno punti di intersezione.

I connettivi logici Per mettere in relazione tra loro le proposizioni si usano i “con-

nettivi logici”, che sono sostanzialmente quattro: la negazione (che si indica con “non” ocol simbolo “¬”), la disgiunzione (“o”, “oppure”, “vel” “_”), la congiunzione (“e”, “et”,“^”) e l’implicazione (“implica”, “se... allora...”, “)”). A partire da proposizioni P e Qpreesistenti, i connettivi logici ne creano di nuove: “non P”, “non Q”, “P o Q”, “P e Q”,”se P allora Q”. Piu precisamente:

(1) La proposizione “non P” a↵erma l’esatto contrario di P; in termini di verita, per ilsuccitato assioma di non contraddizione, “non P” e vera se e solo se P e falsa.

(2) La proposizione “P o Q” a↵erma almeno una tra P e Q, senza pretendere di a↵ermareentrambe. Pertanto, “P o Q” e vera se e solo se almeno una tra P e Q e vera, ed efalsa se e solo se sia P che Q sono false.

(3) La proposizione “P e Q”, invece, a↵erma entrambe P e Q. Dunque, “P e Q” e verase e solo se sia P che Q sono vere, ed e falsa se e solo se almeno una delle due e falsa.

(4) La proposizione ”se P allora Q” a↵erma che se P e vera allora anche Q e vera:pertanto essa e sempre vera, tranne il caso in cui P e vera e Q e falsa (cio traduceil ben noto detto Ex vero sequitur verum, ex falso sequitur quodlibet, cioe: da unacosa vera conseguono solo cose vere, mentre da una cosa falsa segue tutto cio che sivuole). Nell’implicazione “se P allora Q”, la proposizione P si chiama antecedente(o anche ipotesi), mentre Q e detta conseguente (o tesi).

(6)Nel dizionario Garzanti, “assioma” e definito come verita di per se evidente ed indiscutibile, che sta allabase di ogni dimostrazione; nella matematica e nella logica contemporanee, proposizione primitiva (priva delrequisito di evidenza) di un sistema formale, dalla quale si deducono teoremi mediante regole di inferenza;per estensione, nell’uso corrente, verita, principio che per la sua evidenza non ammette discussioni, mentre“postulato” e definito come in matematica e in filosofia, proposizione non dimostrata e non dimostrabileche viene ammessa come vera, in quanto necessaria ai fini di una dimostrazione filosofica o scientifica.

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Analisi Matematica I

Esempi. Siano P = “ieri sono andato a Roma” e Q = “ieri sono andato a Viterbo”: allora “non P” =

“ieri non sono andato a Roma”, “P e Q” = “ieri sono andato sia a Roma che a Viterbo”, “P o Q” = “ieri

sono andato a Roma oppure a Viterbo” (potrei anche essere andato in una sola di queste citta oppure in

entrambe: l’importante e che sia andato in almeno una delle due), e “P ) Q” = “se ieri sono andato a

Roma allora sono andato anche a Viterbo” (che esclude la sola possibilita che io possa essere stato a Roma

senza essere andato anche a Viterbo).

E importante notare che “non(P e Q)” = “(non P) o (non Q)”, “non(P o Q)” = “(nonP) e (non Q)”, e che l’implicazione “P implica Q” e vera se e solo se e vera l’implicazione“(non Q) implica (non P)” (detta familiarmente anche dimostrazione per assurdo: ovverola proposizione “P e (non Q)” e falsa). Non descriveremo tutte le possibili verita o falsitadi proposizioni costruite da proposizioni vere o false, anche per un motivo molto semplice:parlando di insiemi, queste verifiche sono formalmente le stesse di quelle che si possonofare rimpiazzando “proposizione” con “insieme”, “oppure” con “unione”, “e” con “inter-sezione”, “implica” con “e contenuto in” e “non” con “complemento”, col vantaggio checon gli insiemi tali verifiche sono molto piu visualizzabili (ad esempio, usando i diagrammidi Venn). Diamo solo un esempio: le implicazioni “P ^ Q ) P” e “P ) P _ Q” sonosempre vere (infatti la prima non e vera se e solo se P ^Q e vera e P e falsa, e la secondanon e vera se e e solo se P e vera e P _ Q e falsa, ma queste eventualita sono impossibiliin base all’assioma di non contraddizione).

Esempi. (1) La negazione della proposizione “Carlo e in Liguria oppure in Piemonte” e “Carlo non e in

Liguria e non e in Piemonte” (ovvero, come si direbbe correntemente, “Carlo non e ne in Liguria ne in

Piemonte”). (2) La negazione della proposizione “Ieri ho visitato Vigevano e Piacenza” e “Ieri non ho

visitato Vigevano oppure non ho visitato Piacenza” (cioe, la negazione di “le ho visitate entrambe” non e

dire “non ho visitato nessuna delle due” ma dire “una tra le due non l’ho visitata”). (3) L’implicazione “Se

hai lasciato il rubinetto aperto allora la casa si e allagata” (che ha “Hai lasciato il rubinetto aperto” come

antecedente e “la casa si e allagata” come conseguente”) e equivalente all’implicazione “Se la casa non si

e allagata, allora non hai lasciato il rubinetto aperto”. (4) La proposizione “7 e un numero pari oppure

Carlo Magno era di sesso maschile” e vera, perche la seconda e vera; la proposizione “7 e un numero pari

e Carlo Magno era di sesso maschile” e falsa perche la prima e falsa. (5) L’implicazione “se 6 e dispari

allora Roma e la capitale d’Italia” e “se Parigi e la capitale della Germania allora il carbone e bianco” sono

vere, mentre l’implicazione “se Parigi e la capitale della Francia allora il carbone e bianco” e falsa.

Quantificatori Da una proposizione aperta P(x, y, · · · ) si possono costruire nuoveproposizioni a↵ermando che P e vera per tutti i valori delle sue variabili soddifacentiuna certa condizione di partenza, o a↵ermando che ne esiste qualcuno per cui essa evera. A tal fine si introducono i quantificatori “8” (significa: per ogni, ogni, tutti) e“9” (significa: esiste, esistono). Ad esempio: dalla proposizione aperta P(x) = “x amala pastasciutta” possiamo costruire le proposizioni “Esiste qualche tedesco che ama lapastasciutta” (che, da quanto ho visto nei ristoranti turistici, e sicuramente vera) e “Tuttele donne francesi amano la pastasciutta” (che immagino sia falsa, anche se non conoscopersonalmente donne francesi che non la amano); e dalla proposizione Q(x) = “x2 > 5”possiamo costruire le proposizioni “per ogni numero reale maggiore di 7 si ha x2 > 5” (vera)

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e “esiste qualche numero reale compreso tra 0 e 1 per cui x2 > 5” (falsa). E fondamentalenotare che, negando una proposizione contenente dei quantificatori, essi vanno scambiatil’uno nell’altro: ad esempio, la negazione della proposizione “Tutti i bambini si lavano identi prima di andare a letto” non e “Nessun bambino si lava i denti prima di andare aletto”, ma e “Esistono bambini che non si lavano i denti prima di andare a letto”. Inoltre,e importante fare attenzione all’ordine in cui i quantificatori appaiono: la proposizione“8x > 0 9y > 0 : x > y” significa “per ogni x > 0 esiste qualche y > 0 tale che x > y”(vera: basta prendere y = x

2 ), mentre la proposizione “9y > 0 8x > 0 : x > y” significa“esiste qualche y > 0 tale che per ogni x > 0 sia x > y” (falsa: preso un qualsiasi y > 0,si ha che x = y

2 > 0 ma x 6>y).

L’esposizione matematica Nell’esposizione matematica, le proposizioni delle qualiva dimostrata la verita constano di un enunciato della proposizione stessa, del quale sifornisce poi una dimostrazione, o prova. Se una proposizione mi da l’impressione di esserevera ma non sono ancora in grado di dimostrarlo, posso enunciarla come congettura, lan-ciando cosı una sfida a me stesso e a chiunque altro a capire se sia vera sul serio o no(7).Le proposizioni matematiche sono usualmente classificate, oltreche semplicemente comeproposizioni quando non hanno particolari caratteristiche da mettere in evidenza, anchecome teoremi quando sono di particolare importanza, come lemmi quando sono enunciatee dimostrate in vista della dimostrazione di un altro risultato piu importante(8), o comecorollari quando discendono da una proposizione piu importante (o generale) provata inprecedenza. Le definizioni, invece, sono solo delle descrizioni di nuovi oggetti, e natural-mente vanno prese per quello che sono, senza il bisogno di alcuna dimostrazione.

(7)Spesso capita che una congettura si riveli poi essere falsa (col rischio di esporre al ridicolo chi l’haformulata, specie quando lo e stata in modo maldestro o precipitoso): ad esempio, un bambino delle high-lands scozzesi potrebbe congetturare che “Tutti gli esseri umani hanno i capelli rossi”, ma si accorgerebbepresto che cio e falso non appena gli capitasse di incontrare, o di vedere alla televisione, un tipico turco oun tipico svedese. Le congetture devono talvolta aspettare anni, se non secoli, prima che qualcuno riesca adarne una dimostrazione (provando che e vera) o un controesempio (provando che e falsa): cosı e successoalla celebre congettura di Fermat (detta anche Ultimo Teorema di Fermat: se n e un numero naturale > 2non esistono terne (a, b, c) di numeri interi positivi che risolvono l’equazione an + bn = cn), che ha dovutoattendere piu di trecento anni prima di essere dimostrata —con grande sforzo e in un modo indiretto assaisofisticato— da una serie di matematici attivi nell’arco di diversi decenni fino al passo finale di AndrewWiles nel 1994.

(8)Puo capitare ad esempio che la dimostrazione di una certa proposizione sia assai lunga ed articolata,perche richiede il raggiungimento di varie conclusioni intermedie (dette anche “passi”) prima di a↵rontarela conclusione dell’enunciato; allora, come si dice, talvolta e conveniente “spezzarla in vari lemmi”.

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L’induzione matematica

Consideriamo la proposizione “per ogni numero naturale n il numero n2 + n e pari”.Per dimostrare che e vera si puo ragionare semplicemente cosı: se n e pari/dispari tale eanche n2, e dunque la loro somma non puo che essere pari. Questo e un classico esempiodi procedimento deduttivo: da alcuni fatti gia dimostrati (in questo caso, che ogni numeronaturale e o pari o dispari; che la somma di due numeri pari e pari; ...) se ne fannodiscendere necessariamente altri.

Nel caso si debba dimostrare che una proposizione P(n) (dipendente da una variabilenaturale n 2 N, come quella appena vista) e vera per ogni n � n0 (ove n0 e un dato numeronaturale), al posto dell’usuale procedimento deduttivo si usa spesso il procedimento diinduzione, o ricorrenza, basato sulle proprieta dei numeri naturali. L’induzione funzionacosı:

• Base dell’induzione: si inizia dimostrando che P(n0) e vera;

• Passo induttivo: preso poi un arbitrario n � n0 e supponendo che le proposizioniP(n0), P(n0 + 1), ..., P(n) siano vere (la cosiddetta “ipotesi induttiva”, ma spessobasta supporre lo sia la sola P(n)), bisogna dimostrare che allora lo e anche P(n+1).

In questo modo, dalla verita di P(n0) si sale alla verita di P(n0 + 1), poi da quella diP(n0 + 1) si sale a quella di P(n0 + 2)... e cosı via, fino a mostrare la verita di P(n) perogni n � n0; in sostanza, se il ragionamento deduttivo porta a scendere “dal generale alparticolare”, quello induttivo segue la via inversa, portando a salire “dal particolare algenerale”.

Esempi. (1) Ridimostriamo, usando l’induzione, che per ogni numero naturale n il numero n2 + n e pari.

Tradotto nel linguaggio di qui sopra, questo diventa: per ogni n � n0 = 1 la proposizione P(n) = “il

numero n2 +n e pari” e vera. In e↵etti P(1) e vera (infatti 12 +1 = 2 e pari); preso poi un qualsiasi n � 1

e supposto che P(n) sia vera (cioe che n2 + n sia pari), si ha che (n + 1)2 + (n + 1) = (n2 + n) + 2(n + 1)

e anch’esso pari, in quanto somma di n2 + n (pari per ipotesi induttiva) e di 2(n + 1) (chiaramente pari).

In altre parole, anche P(n + 1) e vera, e cio dimostra quanto voluto. (2) Dimostriamo che la somma dei

primi n numeri naturali da n(n+1)2

(ovvero: per ogni n � n0 = 1 la proposizione P(n) = “la somma dei

primi n numeri naturali da n(n+1)2

” e vera). In e↵etti P(1) e vera (infatti 1 = 1(1+1)2

); supponendo poi

che P(n) sia vera (ovvero che 1 + · · · + n = n(n+1)2

) si ha 1 + · · · + n + (n + 1) = (1 + · · · + n) + (n + 1) =n(n+1)

2+(n+1) = n(n+1)+2(n+1)

2= (n+1)((n+1)+1)

2, ovvero P(n+1) e vera. (3) Dimostriamo per induzione

che per ogni numero naturale n � 3 si ha n2 � 2n+2 (ovvero: per ogni n � n0 = 3 la proposizione P(n) =

“n2 � 2n+2” e vera). Infatti P(3) e vera, in quanto 32 = 9 � 8 = 2 · 3 +2; supposto poi che per un n � 3

si abbia n2 � 2n + 2 si ha (n + 1)2 = n2 + 2n + 1 � (2n + 2) + 2n + 1 = 2(n + 1) + 2n + 1 > 2(n + 1) + 2,

che e quanto si voleva. Anche in questo caso, si noti che si poteva usare il procedimento deduttivo:

infatti la disequazione x2 � 2x + 2 (con variabile reale x), ovvero x2 � 2x � 2 � 0, e soddisfatta per ogni

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x � 1 +p

3 ⇠ 2,7, e in particolare per ogni x � 3. (4) Dimostriamo la disuguaglianza di Bernoulli, per la

quale se x e un numero reale > �1 e n un numero naturale � 1 vale (1 + x)n � 1 + nx. Infatti per n0 = 1

la disuguaglianza e ovvia (perche 1 + x � 1 + x); supponendo poi che sia (1 + x)n � 1 + nx, moltiplicando

ambo i membri per 1 + x > 0 si ottiene (1 + x)n+1 � (1 + nx)(1 + x) = 1 + (n + 1)x + nx2 � 1 + (n + 1)x,

come voluto. (Si noti che se n > 1 e x 6= 0 vale (n�1)x2 > 0 e dunque la disuguaglianza e stretta; se invece

n = 1 oppure x = 0, vale l’uguaglianza.) (5) (Esercizio) La torre di Hanoi e una pila di n dischi di raggio

decrescente infilati dentro un perno verticale, con accanto altri due perni verticali disponibili (vedi Figura

0.7). Il gioco consiste nello spostare tutti gli n dischi in uno dei perni liberi, obbedendo alle seguenti due

regole: 1. si puo spostare un solo disco alla volta; 2. il disco spostato si puo mettere in un perno vuoto o

sopra un disco piu grande, ed e vietato mettere un disco grande su uno piu piccolo. Partendo dai casi piu

elementari (n = 1, 2, 3, . . . ) cercare di capire quante mosse sono necessarie per completare l’operazione con

n dischi (il numero minimo di tali mosse sara chiaramente una funzione N(n) del numero n), e dimostrare

con un ragionamento induttivo che il numero congetturato N(n) e e↵ettivamente quello giusto.(9)

Figura 0.7: La torre di Hanoi.

Elenchiamo altri fatti utili che si dimostrano col principio di induzione.

(i) (Somma della progressione geometrica) Se q e un qualsiasi numero reale 6= 1 e n unnumero naturale � 0, la somma dei primi n+1 termini della progressione geometricadi ragione q e data da

nX

j=0

qj = 1 + q + · · · + qn�1 + qn =qn+1 � 1

q � 1.

(9)Soluzione. E facile rendersi conto con tentativi concreti che N(1) = 1, N(2) = 3 e N(3) = 7,dunque viene da pensare che in generale valga N(n) = 2n � 1: dimostriamo che e proprio cosı usando unragionamento induttivo. Per iniziare, la base e soddisfatta perche N(1) = 21�1 = 1; poi, se si hanno n+1dischi, bisogna prima portare tutti gli n piu piccoli su un perno libero, che deve essere lo stesso altrimentinon si potra poi spostare il disco piu grande (servono dunque N(n) mosse), quindi spostare il disco piugrande nell’altro perno libero (1 mossa) e infine riportare gli n dischi piu piccoli su quello piu grande (altreN(n) mosse), da cui si deduce che N(n + 1) = N(n) + 1 + N(n) = 2 N(n) + 1: usando l’ipotesi induttivasi ha allora N(n + 1) = 2(2n � 1) + 1 = 2n+1 � 1, come volevasi dimostrare.

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(i) (Binomio di Newton) Se x, y 2 R e n 2 N vale

(x + y)n =nX

j=0

✓n

j

◆xn�jyj

= xn + nxn�1y + n(n�1)2 xn�2y2 + · · · + n(n�1)

2 x2yn�2 + nxyn�1 + yn

(ad esempio (x + y)2 = x2 + 2xy + y2, (x + y)3 = x3 + 3x2y + 3xy2 + y3, ...).

(iii) (Media aritmetica e media geometrica) La media geometrica di n numeri reali positivia1, . . . , an > 0 non e mai maggiore della loro media aritmetica:

np

a1 · · · an a1 + · · · + an

n,

ed inoltre l’uguaglianza vale se e solo se a1 = · · · = an.

Dimostrazione. In queste dimostrazioni, per il passo induttivo anziche mostrare che P(n) implica P(n+1)per ogni n � n0, mostreremo che P(n � 1) implica P(n) per ogni n > n0, il che evidentemente e la stessacosa. (i) Se n = 0 l’uguaglianza e ovvia (essendo 1 = 1); supponendo poi che 1 + q + · · · + qn�1 = qn�1

q�1

si ha 1 + q + · · · + qn�1 + qn = qn�1q�1

+ qn = qn+1�1q�1

, come voluto. (ii) Per n = 1 l’uguaglianza e

ovvia; supponendo poi che la formula sia vera fino a n � 1, vale (x + y)n = (x + y)(x + y)n�1 =(x + y)

Pn�1j=0

�n�1

j

�xn�1�jyj =

Pn�1j=0

�n�1

j

�xn�jyj +

Pn�1j=0

�n�1

j

�xn�1�jyj+1 =

Pn�1j=0

�n�1

j

�xn�jyj +

Pnj=1

�n�1j�1

�xn�jyj = xn +

Pn�1j=1

⇣�n�1

j

�+�

n�1j�1

�⌘xn�jyj + yn =

Pnj=0

�nj

�xn�jyj , ove si e usata la

gia citata identita�

n�1j

�+�

n�1j�1

�=�

nj

�. (iii) Siano M(a1, . . . , an) = a1+···+an

n(media aritmetica) e

m(a1, . . . , an) = np

a1 · · · an (media geometrica). Se n = 1 si ha banalmente m(a1) = M(a1). Supponiamoche l’a↵ermazione sia vera per n � 1, e mostriamo che essa e vera per n. Sia A := M(a1, . . . , an);se uno degli ai (supponiamo ad esempio an) e uguale a A, dall’ipotesi induttiva m(a1, . . . , an�1) M(a1, . . . , an�1) = A si ricava a1 · · · an�1 An�1, da cui m(a1, . . . , an�1, an)n = a1 · · · an�1an =a1 · · · an�1A An�1A = An = M(a1, . . . , an�1, an)n, da cui m(a1, . . . , an�1, an) = M(a1, . . . , an�1, an).Il caso generico (in cui nessun ai e uguale a A) si riconduce a questo: a meno di rimescolare i numeriai si puo certamente supporre che sia an�1 > A e an < A; se si sostituiscono allora an�1 e an rispetti-vamente con a0n�1 = an�1 + an � A > 0 e a0n = A, si ha (verifica diretta) m(a1, . . . , an�2, an�1, an) <m(a1, . . . , an�2, a

0n�1, a

0n) e M(a1, . . . , an�2, an�1, an) = M(a1, . . . , an�2, a

0n�1, a

0n), da cui (usando il caso

precedente) m(a1, . . . , an�2, an�1, an) < m(a1, . . . , an�2, a0n�1, a

0n) M(a1, . . . , an�2, a

0n�1, a

0n), che e

uguale a M(a1, . . . , an�2, an�1, an).

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1 Insiemi e numeri

1.1 Insiemi; relazioni, funzioni

Insiemi e sottoinsiemi Un insieme e una collezione di oggetti, che si diranno i suoi Insiemi, elementi

elementi. Per indicare che a e un elemento dell’insieme A, si usa dire che a appartiene adA, e si denota “a 2 A” oppure “A 3 a”; l’a↵ermazione contraria si denota “a /2 A” oppure“A 63 a”. Se si vuole rappresentare il fatto che un insieme A e costituito dagli oggetti a,b, c, ..., si potra scrivere

A = {a, b, c, d, ...} (rappresentazione estensiva di un insieme).

Tuttavia, tale rappresentazione puo diventare concretamente impossibile quando A ab-bia una gran quantita di elementi: risulta allora piu pratico menzionare che l’insiemee costituito dagli elementi x tali che una determinata proposizione aperta P (x) e vera,scrivendo

A = {x : P(x)} oppure A = {x | P(x)} (rappresentazione intensiva di un insieme).

Per ragioni tecniche, e conveniente assumere che esista un insieme vuoto ? privo di el-ementi. Un insieme si dira finito se ha un numero finito di elementi, infinito nel casocontrario. Due insiemi A e B sono uguali se e solo se hanno esattamente gli stessi elementi(si scrivera allora A = B). Se invece gli elementi di A formano una sottocollezione di quellidi B, si dice che A e un sottoinsieme di B, o che A e contenuto in B (notazione: A ⇢ B,o A ✓ B se si ammette che possa anche essere uguale) o che B contiene A (notazione:B � A, B ◆ A). Dato un qualsiasi insieme A, e chiaro che A ✓ A; inoltre, si assume che? ⇢ A (i sottoinsiemi di A diversi sia da A che da ? si dicono propri). Per definizione,vale A = B se e solo se A ⇢ B e B ⇢ A,(10) e {a} ⇢ A se e solo se a 2 A. (11) Quando sivuole descrivere un sottoinsieme A di un dato insieme X tramite una sua proprieta carat-teristica (ovvero, una proposizione aperta Q(x) che, per x 2 X, sia vera se e solo se x 2 A)la proposizione aperta da inserire nella rappresentazione analitica intensiva sarebbe P(x)= (x 2 X)^Q(x), ovvero A = {x : (x 2 X) ^ Q(x)}, ma si usa scrivere per semplicita

A = {x 2 X : Q(x)}.

Esempi. (1) L’insieme A dei numeri razionali tra -3 (compreso) e 4 (escluso) si puo scrivere A = {x 2Q : �3 x < 4}: qui la proposizione aperta Q(x) e, naturalmente, Q(x) = “�3 x < 4”. L’insieme

(10)Il modo classico di dimostrare che due insiemi sono uguali e proprio quello di dimostrare che il primoe contenuto nel secondo, e il secondo nel primo.(11)Si faccia attenzione a non confondere elementi e sottoinsiemi di un dato insieme: {a} denota il sot-toinsieme di A formato dal solo elemento a, e non va confuso con a.

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B dei numeri interi tra �2 (escluso) e 2 (compreso) si puo scrivere intensivamente come B = {x 2 Z :

�2 < x 2}, o estensivamente come B = {�1, 0, 1, 2}: e chiaro che B ⇢ A. (2) L’insieme A delle citta

(capoluoghi di provincia) italiane che sono venete e che iniziano per V si scrive intensivamente come A =

{x : x e una citta veneta che inizia per V} o estensivamente come A = {Verona, Venezia, Vicenza}; invece

l’insieme B delle citta italiane che sono venete o che iniziano per V si puo scrivere intensivamente come

B = {x citta italiana : x e una citta veneta oppure inizia per V} o estensivamente come B = {Belluno,

Padova, Rovigo, Treviso, Varese, Venezia, Verbania, Vercelli, Verona, Vibo Valentia, Vicenza, Viterbo}. E

chiaro che B � A (in generale P^Q ) P_Q).

Figura 1.1: Rappresentazione di insiemi tramite i diagrammi di Venn

Unione, intersezione, di↵erenza Introduciamo le operazioni piu comuni in teoriadegli insiemi, per visualizzare le quali e particolarmente espressiva la rappresentazione con Operazioni con gli

insiemidiagrammi di Venn (Figura 1.1): l’unione, l’intersezione, la di↵erenza. Dati due insiemiA e B, la loro unione e

A [ B = {x : (x 2 A) _ (x 2 B)},

l’insieme degli elementi che appartengono ad A oppure a B: si tratta di unire, senzaripetizioni, le due collezioni. Vale chiaramente A[B = B[A; se B ⇢ A allora A[B = A,in particolare A [? = A per ogni insieme A.(12)

L’intersezione eA \ B = {x : (x 2 A) ^ (x 2 B)},

insieme degli elementi che appartengono sia ad A che a B (si prendono solo gli elementicomuni alle due collezioni). Vale chiaramente A\B = B \A; se B ⇢ A allora A\B = B.Se A \ B = ?, gli insiemi A e B si diranno disgiunti e la loro unione si indichera anchecon A t B, o con A[B.La di↵erenza

A \ B = {x : (x 2 A) ^ (x /2 B)}e l’insieme degli elementi che appartengono ad A ma non a B (dalla collezione deglielementi di A si eliminano quelli che stanno anche in B): ovviamente, se A e B sonodisgiunti allora A \ B = A, mentre se B ⇢ A allora B \ A = ?. In generale vale A [ B =

(12)Cio mostra tra l’altro che l’insieme vuoto e unico: se infatti ce ne fossero due (diciamo ?1 e ?2)varrebbe ?1 = ?1 [?2 = ?2 [?1 = ?2.

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(A \ B) t (A \ B) t (B \ A), da cui se B ⇢ A si ottiene A = (A \ B) t B, e A \ B e dettoil complementare di B in A (si scrive anche {AB).

Esempi. (1) Sia A l’insieme degli animali neri, B quello dei gatti. Allora A[B e costituito da tutti i gatti

e da tutti gli animali neri (dunque un gatto rosso e un alce nero ci stanno, ma non un alce rosso), A\B e

l’insieme dei gatti neri, A \ B sono gli animali neri che non sono gatti (tipo un alce nero), B \ A i gatti di

colore diverso dal nero. (2) Dentro Q consideriamo A = {m 2 Z : m e pari} e B = {x 2 Q : �4 < x 2}.

Allora A [ B = {x 2 Q : �4 < x 2 oppure x e un intero pari} (ad esempio �874, 74,�1,�4 2 A [ B ma

53,�5, 3, 94

/2 A [ B), A \ B = {�2, 0, 2}, A \ B = {m 2 Z : m e pari, m 6= �2, 0, 2} e B \ A = {x 2 Q :

�4 < x 2, x 6= �2, 0, 2} Il complementare di B in Q e {QB = {x 2 Q : x �4} [ {x 2 Q : x > 2}.

Insieme delle parti e prodotto cartesiano Dato un insieme X, si denota con P(X) Insieme delleparti

l’insieme delle parti di X, ovvero l’insieme i cui elementi sono i sottoinsiemi di X:

P(X) = {Y : Y ⇢ X}.

Si noti che P(X) 6= ? per ogni insieme X, perche si avra sempre X 2 P(X) e ? 2 P(X).Dati due insiemi X e Y , il loro prodotto cartesiano X⇥Y e l’insieme formato dalle “coppie Prodotto

cartesianoordinate” (x, y) con x 2 X e y 2 Y : ovvero,

X ⇥ Y = {(x, y) : x 2 X e y 2 Y }.

Se uno tra X e Y e ?, si pone X ⇥ Y = ?. E chiaro che se X e Y sono insiemi finiti,diciamo rispettivamente con n e m elementi, anche X ⇥ Y e un insieme finito ed ha mnelementi. Non e di�cile convincersi anche del fatto che se X e un insieme finito con nelementi, allora anche P(X) e finito ed ha 2n elementi.(13)

Esempi. Se X = {a, b, c} e Y = {1, 2, 3, 4}, vale P(X) = {?, {a}, {b}, {c}, {a, b}, {a, c}, {b, c}, X}, P(Y ) =

{?, {1}, {2}, {3}, {4}, {1, 2}, {1, 3}, {1, 4}, {2, 3}, {2, 4}, {3, 4}, {1, 2, 3}, {1, 2, 4}, {1, 3, 4}, {2, 3, 4}, Y } e X⇥Y = {(a, 1), (a, 2), (a, 3), (a, 4), (b, 1), (b, 2), (b, 3), (b, 4), (c, 1), (c, 2), (c, 3), (c, 4)}. Come previsto, essi hanno

rispettivamente 23 = 8, 24 = 16 e 3 · 4 = 12 elementi.

Relazioni Una relazione (binaria) in un insieme X e una parentela che puo legare o Relazioni

meno tra loro due oggetti qualunque (presi nell’ordine) x1 e x2 di X. Essa puo essere vistasemplicemente come un sottoinsieme R ⇢ X ⇥ X: percio, se (x1, x2) 2 R, si usa scrivereanche x1Rx2, e si dira che x1 e in relazione con x2; se invece (x1, x2) /2 R, si dira che x1

non e in relazione con x2.Una relazione R puo avere o meno alcune proprieta notevoli, che andiamo ora ad elencare:

(Rifl) Riflessivita: xRx per ogni x 2 X;(Sym) Simmetria: se x1Rx2, allora x2Rx1;(ASym) Antisimmetria: se x1Rx2 e x2Rx1, allora x1 = x2;(Trns) Transitivita: se x1Rx2 e x2Rx3, allora x1Rx3.

(13)Scegliere un sottoinsieme di X equivale a dire, per ogni elemento x 2 X, se x ci sta o no: dunque visono 2 possibilita per ogni x 2 X, indipendenti da quelle di tutti gli altri elementi, e pertanto le possibiliscelte di sottoinsiemi di X sono 2 · · · · · 2 (n fattori), ovvero 2n.

Corrado Marastoni 29

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Analisi Matematica I

Una relazione R in X che soddisfa (Rifl)-(Sym)-(Trns) si dice equivalenza in X; due Equivalenza

elementi x1, x2 2 X legati da una relazione d’equivalenza si diranno anche equivalenti traloro, e si scrivera spesso x1 ⇠ x2 o notazioni simili. L’e↵etto di un’equivalenza in uninsieme X e quello di creare una partizione di X, ovvero di spezzare X in una famiglia disottoinsiemi disgiunti (le classi di equivalenza, ciascuna formata da elementi in relazionetra loro);(14) viceversa, data una qualsiasi partizione di X si puo definire un’associatarelazione d’equivalenza in X dicendo che due elementi x1, x2 2 X sono equivalenti seappartengono al medesimo sottoinsieme della partizione (la dimostrazione e evidente). Se Ordine

invece la relazione R soddisfa (Rifl)-(ASym)-(Trns), essa si dira un ordine in X, perche ilsuo e↵etto e quello di creare (proprio grazie a (ASym)) un sistema di “gerarchie” tra glielementi di X; se una relazione d’ordine soddisfa anche

(Tot) Totalita: se (x1, x2) 2 X ⇥ X, allora vale x1Rx2 oppure x2Rx1,

essa si dira un ordine totale in X.

Esempi. (1) Sia X l’insieme di tutti gli esseri umani; le relazioni “essere coetanei”, “essere figli degli

stessi genitori”, ”essere nati nella stessa nazione” sono tutte relazioni d’equivalenza (e infatti ripartiscono

tutto X in “classi d’equivalenza” disgiunte) mentre ad esempio “essere fratelli” (ovvero avere un genitore in

comune) e “lavorare nella stessa ditta” non lo sono: infatti “essere fratelli” non soddisfa necessariamente

(Trns), mentre “lavorare nella stessa ditta” soddisfa (Sym) e (Trns) ma non (Rifl) (se una persona e

disoccupata...). La relazione “essere coetaneo o piu anziano” non e d’ordine, perche soddisfa (Rifl) e

(Trns) ma non (ASym). La relazione “voler bene a” non soddisfa ne’ (Rifl) (pensare ai masochisti) ne’

(Sym) (a meno che uno non voglia credere all’a↵ermazione dantesca Amor ch’a nullo amato amar perdona,

secondo la quale l’Amore alla fine forza chi e amato a contraccambiare il sentimento) ne’ (Trns) (anche se

Mario vuol bene a Ugo e Ugo vuol bene a Federico, puo darsi che Mario detesti Federico). (2) Dato un

insieme T e considerato l’insieme X = P(T ) delle sue parti, la relazione ⇢ non e una relazione d’ordine

in X (non vale (Rifl)) mentre ✓ e una relazione d’ordine in X, anche se non totale; quanto alla relazione

“avere intersezione non vuota”, essa non soddisfa (Trns). (3) In Q, la relazione e un ordine totale.

(4) Fissando un numero naturale n0 2 N, possiamo dividere ogni numero intero m 2 Z per n0 usando la

divisione euclidea: esistera un’unica coppia di numeri interi (q, r) con 0 r < n0 tali che m = qn0 + r:

il numero q si dira “quoziente” ed r “resto” r 2 Z della divisione euclidea. (Ad esempio, se n0 = 7 si

ha 0 = 0 · 7 + 0, 26 = 3 · 7 + 5, �37 = (�6)7 + 5 e �20 = (�3)7 + 1.) Consideriamo in Z, la relazione

“avere lo stesso resto nella divisione per n0”, o analogamente “di↵erire per multipli interi di n0”: si verifica

facilmente che essa e un’equivalenza, e le classi d’equivalenza sono le cosiddette classi di resto modulo n0,

ognuna delle quali e costituita da tutti i numeri interi che danno lo stesso resto nella divisione euclidea per

n0 (le classi resto saranno dunque n0).

Funzioni Quello di “funzione” e il concetto centrale di tutta la Matematica.

Siano X e Y due insiemi diversi da ?. Una funzione (o anche mappa, o applicazione) da Funzione

(14)Infatti, se R e una relazione d’equivalenza in X, ogni x 2 X appartiene una classe d’equivalenza(almeno quella degli elementi in relazione con esso, tra i quali se medesimo grazie a (Rifl)); se poi dueclassi d’equivalenza hanno un elemento in comune, per (Sym) e (Trns) esse devono coincidere, e dunquesono tutte disgiunte tra loro.

Corrado Marastoni 30

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Analisi Matematica I

X a Y e una terna ordinata f = (X, Y,�) ove � e un sottoinsieme del prodotto cartesianoX⇥Y tale che per ogni x 2 X esiste uno e un solo yx 2 Y tale che (x, yx) 2 �. L’elementoyx viene solitamente denotato con f(x), ed e detto immagine di x tramite f .(15)

L’insieme “di partenza” X si chiama dominio di f , quello “d’arrivo” Y codominio di f , Dominio,codominio

mentre � = �f = {(x, f(x)) : x 2 X} e detto grafico di f : due funzioni sono dunque uguali Grafico

se e solo se hanno gli stessi dominio, codominio e grafico.La definizione appena data di funzione e quella formalmente corretta; tuttavia, come giaaccennato nei prerequisiti del corso, in termini pratici e utile pensare a una funzione comea una “regola” che ad ogni elemento x 2 X associa uno ed un solo elemento f(x) 2 Y .(16)

La notazione piu usuale per una funzione e f : X �! Y , oppure Xf! Y . Se y 2 Y e

l’immagine di x tramite f , si dira anche che f manda x 2 X in y = f(x) 2 Y , o si scriverax 7! f(x).

La funzione si dira costante se esiste un elemento y0 2 Y tale che f(x) = y0 per ogni x 2 X Costante

(ovvero, f manda tutti gli x 2 X nel medesimo y0 2 Y ). Se X = Y , c’e l’ovvia funzione Identita

identita idX : X �! X, con idX(x) = x.

Se A ⇢ X e B ⇢ Y , si definisce Immagine,antiimmagine

f(A) = {f(x) 2 Y : x 2 A} ⇢ Y (immagine di A tramite f)

f�1(B) = {x 2 X : f(x) 2 B} ⇢ X (anti-immagine di B tramite f) :

ovvero, f(A) e l’insieme di tutte le immagini dei vari elementi di A (i “luoghi occupatiin arrivo partendo da A”), mentre f�1(B) e l’insieme di tutti gli elementi di X la cuiimmagine sta in B (gli “oggetti del dominio che vengono spediti in B”).(17) In particolare,f(X) e detta immagine della funzione f , e ovviamente vale f�1(Y ) = X. Si noti che seA 6= ? allora f(A) 6= ?, mentre puo benissimo accadere che f�1(B) = ? anche se B 6= ?:precisamente, f�1(B) = ? se e solo se B \ f(X) = ?. Nel caso di {y0} (sottoinsieme di Fibra

Y costituito dal solo elemento y0), per abuso di notazione si usa scrivere spesso f�1(y0)in luogo del formalmente corretto f�1({y0}): si tratta della fibra di f sopra y0 , ovvero glielementi di X che vengono mandati in y0 . Si noti che la relazione in X data da “appartenerea una stessa fibra di f” (ovvero x1 ⇠ x2 se e solo se f(x1) = f(x2)) e un’equivalenza,dunque fornisce una partizione dell’insieme X: in altre parole, X =

S{f�1(y) : y 2 Y }(l’insieme X e unione disgiunta di tutte le fibre di f , al variare di y in Y ).

Esempio. Sia X = {a, b, c, d}, Y = {1, 2, 3} e f : X �! Y la funzione definita da f(a) = 2, f(b) = 1,

f(c) = 2 e f(d) = 2 (vedi Figura 1.2). Se A1 = {a, b} ⇢ X si ha f(A1) = {1, 2}, mentre se A2 = {a, c} ⇢ X

si ha f(A2) = {2}. L’immagine di f e f(X) = {1, 2}. Se B1 = {3} ⇢ Y si ha f�1(B1) = ? (infatti

B1 \ f(X) = ?) e se B2 = {2, 3} ⇢ Y si ha f�1(B2) = {a, c, d}.

(15)Attenzione: non si e detto che elementi diversi x1 6= x2 di X devono per forza avere immagini diverse:l’importante e che ogni elemento x 2 X abbia un e un solo ben chiaro elemento immagine f(x) 2 Y .(16)Si noti che, nella definizione formale di funzione, le nozioni di “funzione” e di “grafico” sono sostanzial-mente la stessa cosa (in e↵etti, dato � sono dati ovviamente anche X e Y ), mentre invece nelle note deiprerequisiti del corso (vedi pag. 3) abbiamo preferito, a fini didattici, fare una netta distinzione tra esse.(17)Per l’immagine si usa talvolta la notazione f!(A), e per l’antiimmagine la notazione f (B).

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Figura 1.2: Una funzione deve mandare ogni elemento del suo dominio in uno ed un solo elemento del suo codominio

Esercizio. Mostrare che se f : X �! Y e una funzione, per ogni A1, A2 ⇢ X si ha

f(A1 [ A2) = f(A1) [ f(A2), f(A1 \ A2) ⇢ f(A1) \ f(A2),

mentre per ogni B1, B2 ⇢ Y vale

f�1(B1 [ B2) = f�1(B1) [ f�1(B2), f�1(B1 \ B2) = f�1(B1) \ f�1(B2).

Risoluzione. Ad esempio, mostriamo che (1) f�1(B1 [ B2) = f�1(B1) [ f�1(B2) e (2) f(A1 \ A2) ⇢f(A1) \ f(A2). Per (1), dire x 2 f�1(B1 [ B2) e equivalente a dire f(x) 2 B1 [ B2, cioe f(x) 2 B1

oppure f(x) 2 B2, cioe x 2 f�1(B1) oppure x 2 f�1(B2), cioe x 2 f�1(B1) [ f�1(B2). Per (2), dire che

y 2 f(A1 \ A2) equivale a dire che esiste x 2 A1 \ A2 tale che f(x) = y. Ma essendo anche x 2 A1, si ha

allora y 2 f(A1), e analogamente y 2 f(A2): dunque y 2 f(A1)\ f(A2), cioe f(A1 \A2) ⇢ f(A1)\ f(A2).

L’inclusione inversa “�” invece non vale in generale: ad esempio, se x1 e x2 sono due elementi distinti

di X, e poniamo A1 = {x1}, A2 = {x2} ed f una funzione costante (diciamo di valore y0 2 Y ), allora

f(A1 \ A2) = ? (perche A1 \ A2 = ?) mentre f(A1) \ f(A2) = {y0} 6= ?.

Data una funzione f : X �! Y ed un sottoinsieme A ⇢ X, si potra definire la funzione Restrizione,corestrizione,estensionerestrizione di f a A, denotata f |A : A �! Y , nel modo piu naturale: dato x 2 A, si porra

f |A (x) = f(x). Se invece X ⇢ eX, una qualsiasi funzione f : eX �! Y tale che f���X

= f si

dira un’estensione di f . E chiaro che la restrizione di f ad A e unica, mentre in generale fpuo ammettere molte diverse estensioni. Altra cosa importante: si puo sempre restringereil dominio di una funzione f : X �! Y ad un sottoinsieme A ⇢ X, ma bisogna fareattenzione quando si vuole restringere il codominio di f a B ⇢ Y : per poter continuaread essere una funzione, bisognera che l’immagine f(X) sia contenuta in B. Dunque, sef : X �! Y e B ⇢ Y , si potra considerare la sua corestrizione f |B : X �! B se e solo sef(X) ⇢ B.

Se f : X �! Y e g : Y �! Z sono due funzioni (in cui dunque il codominio della prima Funzionecomposta

coincide col dominio della seconda), si definisce la funzione composta g�f : X �! Z tramitela regola (g � f)(x) = g(f(x)) per ogni x 2 X.

Esempio. Se f : R �! R e data da f(x) = x2 +1, il grafico �f di f e la parabola {(x, y) 2 R2 : y = x2 +1};

se g : R �! R e data da g(x) = �x+3 il grafico �g di g e la retta {(x, y) 2 R2 : y = x+3}. La composizione

g � f : R �! R e data da g(f(x)) = �(x2 + 1) + 3 = �x2 + 2, mentre la composizione f � g : R �! R e data

da f(g(x)) = (�x + 3)2 + 1 = x2 � 6x + 10.

Corrado Marastoni 32

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Figura 1.3: Il grafico di una funzione f : R �! R; la sua restrizione ad un intervallo [a, b]; la sua corestrizione allasemiretta R�k (che contiene l’immagine di f).

Una funzione f : X �! Y si dira iniettiva se da x1 6= x2 in X segue f(x1) 6= f(x2) in Y Funzioni iniettive,suriettive,biiettive(cioe se manda elementi distinti di X in elementi distinti di Y ), o equivalentemente se da

f(x1) = f(x2) in Y segue x1 = x2 in X. Una tale funzione esiste quando X e “piu piccolo”di Y , e identifica X come un sottoinsieme di Y (in e↵etti, in questo caso l’immagine f(X)e “una copia fedele” di X dentro Y ); infatti l’esempio piu semplice di funzione iniettiva ela mappa di inclusione di un sottoinsieme A ⇢ X dentro X, ovvero la funzione ◆A : A �! Xdata da ◆A(x) = x.

Figura 1.4: f e suriettiva ma non iniettiva; g e iniettiva ma non suriettiva; h e biiettiva.

Una funzione si dira suriettiva se per ogni y 2 Y esiste x 2 X tale che f(x) = y, ovverof�1({y}) 6= ? per ogni y 2 Y (cioe, ciascun elemento di Y e immagine di almeno unelemento di X). Una tale funzione esiste quando X e “piu grande” di Y , e “proietta” Xsopra tutto Y , infatti l’esempio piu ovvio di funzione suriettiva e la mappa costante di uninsieme X dentro un insieme con un solo elemento.Una funzione che sia contemporaneamente iniettiva e suriettiva si dira essere biiettiva,oppure una biiezione: essa “identifica” gli insiemi X e Y , perche ogni y 2 Y e raggiuntotramite f da uno e soltanto un elemento di X. In tal caso, si potra definire la funzione Funzione inversa

inversa f�1 : Y �! X che associa ad ogni y 2 Y il corrispondente x 2 X tale che f(x) = y,e si avra allora f�1 � f = idX e f � f�1 = idY . Si faccia attenzione a non confondere ilsimbolo “f�1” dell’antiimmagine (che si puo sempre usare per ogni f) col simbolo “f�1”della funzione inversa (che ha senso se e solo se f e biiettiva).

Corrado Marastoni 33

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Esempi. (1) La funzione f : X = {a, b, c, d} �! Y = {1, 2, 3} descritta in precedenza non e iniettiva

(infatti a 6= c ma f(a) = 2 = f(c)) e nemmeno suriettiva (perche f(X) = {1, 2} ( Y ). Invece la funzione

g : X �! Z = {5, 6, 7, 8} data da g(a) = 7, g(b) = 5, g(c) = 8 e g(d) = 6 e biiettiva, e la sua inversa e

la funzione h = g�1 : Z �! X data da h(5) = b, h(6) = d, h(7) = a e h(8) = c. (2) Sia X l’insieme di

tutti gli esseri umani nati dal 1800 in poi, e sia T = {x 2 X : x ha avuto almeno un figlio naturale}. La

regole f : X �! X (che manda x nella sua madre naturale f(x)) e g : T �! X (che manda x nel figlio

g(x)) non sono funzioni, e per motivi diversi: quanto a f , se x e nato nel 1801 sua madre certamente sara

nata prima del 1800, e dunque non si puo definire f(x), mentre per g uno stesso x 2 T puo avere piu di

una immagine g(x) (tante quanti i suoi figli). Come “sanare” la situazione? Il problema di f e che il suo

codominio e troppo piccolo: cosı, se ad esempio denotiamo con Y l’insieme di tutti gli esseri umani, la

stessa regola f : X �! Y stavolta definira una funzione (ogni persona nata dopo il 1800 viene associata ad

una ed una ben individuata persona, che e la madre naturale). Il problema di g, invece, non e la mancanza

di immagini, ma il fatto che esse possono essere piu d’una: potremo cosı modificare g dicendo che essa

manda t 2 T nel suo primogenito g(t). Tali funzioni non sono iniettive (se x1 e x2 sono due persone

diverse che hanno la stessa madre naturale, vale f(x1) = f(x2), mentre il padre e la madre dello stesso

figlio primogenito hanno la stessa immagine tramite g) ne suriettive (l’immagine di f e composta di sole

donne, e quella di g di soli primogeniti). Se y 2 Y , f�1(y) e composta dall’insieme dei figli naturali di y

se y e una donna con prole naturale, f�1(y) = ? altrimenti; se x 2 X, g�1(x) e composta dal padre di x,

o dalla madre, o da entrambi se x e stato il primogenito di proprio padre, o della madre, o di entrambi,

g�1(x) = ? altrimenti. La funzione composta f � g : T �! Y manda t nella madre naturale del proprio

primogenito: pertanto, se si considera il sottoinsieme A = {t 2 T : t e una madre con prole naturale},

allora la restrizione h = (f � g)|A : A �! Y soddisfa h(t) = t, ovvero h e la naturale mappa di inclusione di

A dentro Y . (3) Altro esempio: se Y e l’insieme di tutti gli esseri umani e Z ⇢ Y e l’insieme degli esseri

umani nati in Sicilia, definiamo f : Y �! Z ponendo f(y) = y se y e nato in Sicilia (dunque se y 2 Z) e f(y)

uguale a “Pippo Baudo” altrimenti. Tale f e una funzione suriettiva ma non iniettiva, perche tutti i “non

siculi” vengono mandati in Pippo Baudo. La restrizione f |Z coincide con idZ ; se z 2 Z, l’antimmagine

f�1(z) e composta dal solo z se questo e un siculo diverso da Pippo Baudo, mentre f�1(Pippo Baudo) e

composta da Pippo Baudo e da tutti i “non siculi”. (4) Sia f : Q �! Q data da f(x) = x2 + 1: si tratta di

una funzione, ne iniettiva (vale f(1) = f(�1) = 2) ne suriettiva (�5 non fa parte dell’immagine di f , ma

nemmeno 3: e cosı, come sappiamo e come rivedremo tra breve, che sono nati i numeri reali). Invece, posti

A = Q<0 e B = Q>1, si ha che g = f |A : A �! Q e iniettiva, e h = f |BA : A �! B e biiettiva, con inversa

h�1(y) = �py � 1 (per ottenerla, basta ricavare l’unica x 2 A dall’espressione y = x2 + 1 ove y 2 B). (5)

La tangente tg e una biiezione tra X =]� ⇡2, ⇡

2[ e Y = R, e l’inversa, come detto, e l’arco-tangente arctg.

Data una funzione f : X �! Y , il metodo della fibra consiste nel calcolare la fibra Metodo dellafibra

f�1(y) ⇢ X al variare di y 2 Y , ed e un modo molto utile per la verifica concreta diiniettivita e suriettivita, per il calcolo (ove possibile) della funzione inversa, e per il calcolodell’immagine di sottoinsiemi del dominio. Si tenga presente che di solito queste sonole cose di piu di�cile gestione, mentre invece ad esempio il calcolo delle antiimmagini espesso un conto meccanico. Vediamo come questo metodo si mette in pratica nel seguenteesercizio, in cui la semplicita della funzione considerata permette di svolgere i conti inmodo completo e di concentrarsi sui concetti.

Esercizio. Data la funzione f : R �! R definita da f(x) = x2 � 2x � 3 calcolare f�1(]0, 5]) e

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Analisi Matematica I

f([�2, 2[). Dire poi se f e iniettiva, se e suriettiva, e calcolare ove possibile (eventualmente dopo averristretto e coristretto f in modo opportuno per renderla biiettiva) la funzione inversa f�1. Infine tracciareil grafico di f , e dare un’interpretazione geometrica dei risultati ottenuti.

Risoluzione. Il calcolo dell’antiimmagine f�1(]0, 5]) = {x 2 R : f(x) 2 ]0, 5]} equivale a risolvere il sistema

0 < f(x) 5, ovvero⇢

x2 � 2x� 3 > 0

x2 � 2x� 3 5, che da �2 x < 0 oppure 3 < x 4: percio f�1(]0, 5]) =

[�2, 0[[ ]3, 4]; per le altre domande usiamo il metodo della fibra. Fissato un certo y 2 R nel codominio si

ha f�1(y) = {x 2 R : f(x) = y} = {x 2 R : x2 � 2x � 3 � y = 0}: ora l’equazione x2 � 2x � 3 � y = 0

(nell’incognita x) ha soluzioni se e solo se � = 4 � 4(�3 � y) = 4(y + 4) � 0, ovvero se e solo se

y � �4: dunque se y < �4 si ha f�1(y) = ?, il che mostra che f non e suriettiva (gli y < �4 non

sono raggiunti da alcun x del dominio tramite f). Se invece y = �4 si ottiene la sola soluzione x = 1

(dunque f�1(�4) = {1}), mentre se y > �4 si ottengono due soluzioni distinte x1(y) = 1 � py + 4 e

x2(y) = 1 +p

y + 4 (dunque f�1(y) = {x1(y), x2(y)}): e quest’ultimo fatto mostra che f non e nemmeno

iniettiva (gli y > �4 sono raggiunti da due distinti elementi del dominio tramite f). Per riuscire a invertire

f bisognera prima renderla biiettiva, ovvero far sı che ogni y del codominio abbia esattamente un x tale

che f(x) = y, ovvero —in termini di fibra— far sı che la fibra di ogni y del codominio abbia uno e un

solo elemento: ad esempio, corestringendo f ai soli y � �4 le fibre diventano non vuote, dunque essa

diventa suriettiva; mentre, notando che x1(y) < 1 < x2(y), restringendo f ai soli x � 1 le fibre avranno

il solo elemento x2(y) (si noti che x1(�4) = x2(�4) = 1): pertanto, cosı ristretta e coristretta, f diventa

biietiva, e la sua inversa e proprio x2 : [�4, +1[ �! [1, +1[. Un’altra scelta possibile sarebbe stata quella

di restringere f ai soli x 1 (e di corestringerla ancora agli y � �4): in tal caso l’inversa sarebbe stata

x1(y). Se si disegna il grafico di f , ovvero la parabola y = x2 � 2x � 3, tutto quanto trovato appare

evidente.

Esercizio. Se X e Y sono due insiemi finiti con rispettivamente m e n elementi, quante sono, in tutto,le funzioni di X in Y ? E quelle iniettive? E quelle biiettive? (Facoltativo: E quelle suriettive?)

Risoluzione. Tutte le funzioni da X in Y sono nm: infatti, per ognuno degli m elementi di X si puoindipendentemente scegliere l’immagine tra gli n elementi di Y . Tra queste, quelle iniettive (nel solo casom n) sono n(n � 1) · · · (n � m + 1) = n!

(n�m)!= m!

�nm

�: infatti, se X = {x1, . . . , xm} vi sono n scelte

possibili per f(x1), poi ne restano n � 1 per f(x2) (che deve essere diversa da f(x1)), e cosı via fino allerestanti n� (m�1) = n�m+1 possibili per f(xm) (che deve essere diversa da f(x1), ..., f(xm�1)). Comecaso particolare, si ottiene che le biiezioni (nel solo caso m = n) sono n!, e –com’e naturale– corrispondonoal numero di permutazioni di n oggetti. Invece il numero di funzioni suriettive (nel solo caso m � n) e piucomplicato da calcolare. Si tratta innanzitutto di ripartire X in n sottoinsiemi disgiunti e non vuoti, e ciopuo essere fatto in un numero di modi dato dal numero di Stirling S(m, n) definito induttivamente da

S(m, 1) = S(m, m) = 1, S(m, n) = S(m � 1, n � 1) + n S(m � 1, n) (se 2 n m � 1);

poi tale numero va moltiplicato per n! (infatti, a ognuno dei sottoinsiemi della partizione va assegnatocome immagine un diverso elemento tra gli n di Y , e cio si puo fare in n! modi diversi), ottenendo dunquen! S(m, n) che, dopo un po’ di lavoro, si dimostra essere uguale a

n�1Pj=0

(�1)j�

nj

�(n � j)m.

Ad esempio per n = 1 si ottiene 1 (ovvio: se Y ha un solo elemento c’e la sola funzione costante), per

n = 2 si ottiene 2m � 2, e cosı via.

Cardinalita Diamo ora un rapido cenno a come le nozioni di “iniettivita” e “biiettivita”

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possano dare un senso generale (anche per insiemi infiniti) alla nozione di “avere lo stessonumero di elementi”.

Si dice che due insiemi A e B hanno la stessa cardinalita (oppure sono equipotenti, Equipotenza,cardinalita

scrivendo |A| = |B|) se esiste una biiezione tra essi: e facile verificare che si tratta diuna relazione di equivalenza(18). Nel caso di insiemi finiti, l’equipotenza equivale ad averelo stesso numero di elementi(19); ma il maggior interesse della nozione e nel caso di insiemiinfiniti, in cui puo accadere ad esempio che un sottoinsieme abbia la stessa cardinalitadell’insieme in cui si trova.

Esempio. Gli insiemi 2N = {n 2 N : n e pari} (numeri naturali pari), Z (numeri interi) e Q (nu-meri razionali) hanno tutti la stessa cardinalita di N, pur essendo rispettivamente un sottoinsieme e duesovrainsiemi di esso. Infatti una biiezione f : N �! 2N e data da f(n) = 2n; una biiezione g : N �! Z e data

da g(n) =

(n2

(se n e pari)

�n�12

(se n e dispari), ovvero g(1) = 0, g(2) = 1, g(3) = �1, g(4) = 2, g(5) = �2, ... . Infine,

per ottenere una biiezione tra N e Q si rappresentino tutti i numeri razionali scrivendoli senza ripetizioni,in forma di frazioni ridotte, in righe infinite con denominatore via via crescente, in questo modo:

0 11

� 11

21

� 21

31

� 31

· · ·12

� 12

32

� 32

52

� 52

72

· · ·13

� 13

23

� 23

43

� 43

53

· · ·· · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

per poi definire h : N �! Q percorrendo via via le antidiagonali corte a partire dall’angolo in alto a sinistra,

ovvero h(1) = 0; h(2) = 11, h(3) = 1

2; h(4) = � 1

1, h(5) = � 1

2, h(6) = 1

3; h(7) = 2

1, h(8) = 3

2, ...

Gli insiemi infiniti che hanno la stessa cardinalita di N, come quelli dell’esempio qui sopra,si dicono numerabili, o che “hanno cardinalita @0” (ove @ e la lettera ebraica “aleph”). Sidice anche che @0 e la cardinalita dell’infinito discreto.

Dati due insiemi A e B, si dice che A ha cardinalita minore o uguale a B (scrivendo|A| |B|) se esiste una funzione iniettiva A �! B; in tal caso, se non esistono funzionibiiettive si dira che A ha cardinalita strettamente minore a B , e si scrivera |A| < |B|.Mentre l’equipotenza esprimeva in generale l’idea di “avere lo stesso numero di elementi”,quest’ultima nozione esprime invece l’idea di “essere piu piccolo”, “avere meno elementi”:infatti, se A ⇢ B si ha automaticamente |A| |B| (poiche la funzione di inclusionei : A �! B data da i(x) = x e iniettiva). Cio non toglie, come visto nell’esempio quisopra, che un sottoinsieme possa essere addirittura equipotente all’insieme. In e↵etti, trale varie cardinalita infinite, la cardinalita numerabile @0 e la piu piccola, perche non enon e di�cile dimostrare(20) il seguente intuitivo fatto: se X e un insieme infinito, alloraesiste una funzione iniettiva N �! X.Esistono cardinalita infinite che siano piu grandi di @0? La risposta e sı, e per vederloiniziamo mostrando che l’insieme delle parti di un insieme e sempre piu grande dell’insiemestesso:

(18)...dove? Saremmo a portati a dire nell’insieme di tutti gli insiemi, ma questa nozione porterebbe aproblemi di logica, nei quali non vogliamo entrare, che obbligano a parlare di una nozione estesa comequella di classe di tutti gli insiemi.(19)si veda infatti l’esercizio qui sopra: esistono biiezioni tra X e Y se e solo se m = n.(20)usando il cosiddetto assioma della scelta, per cui rimandiamo a testi piu completi.

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Proposizione 1.1.1. Se X e un insieme, allora |X| < |P(X)|.Dimostrazione. L’ovvia funzione iniettiva i : X �! P(X) data da i(x) = {x} mostra che |X| |P(X)|: ciresta da mostrare che una funzione iniettiva f : X �! P(X) non puo mai essere biiettiva, ovvero non puomai essere anche suriettiva. In e↵etti, definiamo A = {x 2 X : x /2 f(x)}: qualunque cosa sia, di certoA e un sottoinsieme di X, ovvero A 2 P(X), e mostriamo che A non puo stare nell’immagine f(X) di f(il che dimostra che f non puo essere suriettiva). Supponiamo per assurdo che A 2 f(X): allora esistex0 2 X tale che A = f(x0). Ora, vi sono due possibilita: x0 2 A oppure x0 /2 A. Se fosse x0 2 A siavrebbe x0 /2 f(x0) = A, assurdo; se invece fosse x0 /2 A si avrebbe x0 2 f(x0) = A, pure assurdo. Ladimostrazione e terminata.

Se X e un insieme finito (diciamo con n elementi) gia sappiamo che |X| = n < 2n = |P(X)|;cio che a↵erma la Proposizione 1.1.1 e che cio vale sempre, e in particolare per X = N:dunque @0 = |N| < |P(N)|. Si puo dimostrare che P(N) e equipotente all’insieme Rdei numeri reali: la cardinalita @1 di P(N) (dunque anche di R) esprime la cardinalitadell’infinito continuo, ed e strettamente piu grande di @0.

1.2 Strutture algebriche fondamentali: gruppi, anelli, corpi, spazi vettoriali

Prima di parlare dei numeri reali e complessi, e utile dare alcuni cenni (che sarannosviluppati nel seguito degli studi, in questo corso e negli altri) sulle proprieta algebrichegenerali di insiemi dotati di una o piu operazioni: in questo modo, guardando le cose unpo’ dall’alto, ci si potra meglio rendere conto di che cosa si voglia costruire, e dove si riescae↵ettivamente ad arrivare.

Operazioni e gruppi La nozione di operazione (binaria) ci e nota ormai da lungotempo: e una regola che, dati due numeri, ne fa saltare fuori un terzo, detto “risultato”.Guardiamo ad esempio l’addizione in Z: essa gode di proprieta interessanti, perche eassociativa, ha un elemento speciale (lo 0) che sommato a qualsiasi altro lo lascia inalterato,e inoltre, dato un qualsiasi numero intero r ce n’e un altro che, sommato a lui, fa tornaredaccapo a 0 (naturalmente, stiamo parlando dell’“opposto” �r). La moltiplicazione in Z,invece, e anch’essa associativa, anch’essa ha un elemento (l’1) che lascia inalterati gli altri,ma dato un numero intero r, a meno che non sia r = ±1 non c’e in Z un altro numeroche, moltiplicato per lui, ci dia 1 (e proprio per questo, d’altronde, che si e creato Q).Le definizioni che seguono sono solo la generalizzazione di queste idee ad un qualsiasiinsieme munito di operazione.

Sia G un insieme non vuoto. Un’operazione (binaria) su G e una funzione ⇤ : G⇥G �! G: Operazione

ovvero, ad ogni coppia (x1, x2) di elementi di G si associa un elemento (risultato) x1 ⇤ x2

di G. Un’operazione “⇤” puo avere o meno le seguenti proprieta notevoli:

(Gr1) Associativita: (x1 ⇤ x2) ⇤ x3 = x1 ⇤ (x2 ⇤ x3) per ogni x1, x2, x3 2 G;

(Gr2) Esistenza dell’elemento neutro: esiste e 2 G, detto “elemento neutro per “⇤” in G”,

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tale che x ⇤ e = e ⇤ x = x per ogni x 2 G (se esiste, tale e e evidentemente unico)(21);

(Gr3) Invertibilita (se vale (Gr2)): per ogni x 2 G esiste x0 2 G tale che x ⇤ x0 = x0 ⇤ x = e(se vale anche (Gr2) tale inverso, se esiste, e unico, e si denota con x�1);(22)

(Gr4) Commutativita: x1 ⇤ x2 = x2 ⇤ x1 per ogni x1, x2 2 G.

Se “⇤” soddisfa (Gr1), la coppia (G, ⇤) si dira un semigruppo; se soddisfa (Gr1)-(Gr2), Gruppo

si dira monoide; se soddisfa (Gr1)-(Gr2)-(Gr3), si dira gruppo; se una di queste strutturesoddisfa anche (Gr4), si aggiungera l’aggettivo commutativo(23).

Proposizione 1.2.1. In un gruppo (G, ⇤) vale la regola della cancellazione:

(1.1) se x ⇤ y = x ⇤ z oppure se y ⇤ x = z ⇤ x allora y = z .

Dimostrazione. Se x ⇤ y = x ⇤ z allora x�1 ⇤ (x ⇤ y) = x�1 ⇤ (x ⇤ z), da cui (x�1 ⇤ x) ⇤ y = (x�1 ⇤ x) ⇤ z, dacui e ⇤ y = e ⇤ z, da cui y = z; idem se y ⇤ x = z ⇤ x, operando con x�1 dall’altra parte.

Sia (G, ⇤) un gruppo. Un sottoinsieme H ⇢ G si dira sottogruppo se per ogni x 2 H si ha Sottogruppo

x�1 2 H e per ogni x, y 2 H si ha x ⇤ y 2 H (ovvero, H e “chiuso” rispetto all’operazione“⇤” ed all’inversione)(24); e allora chiaro che anche (H, ⇤) e un gruppo (ove si continua adindicare con “⇤” l’operazione “⇤” indotta su H).

Esempi. (0) Se (G, ⇤) e un gruppo di elemento neutro e, G ha sempre due sottogruppi ovvi: G (se stesso),

ed {e} (detto anche sottogruppo banale). Dati due gruppi (G1, ⇤1) e (G2, ⇤2), il gruppo prodotto diretto

e il prodotto cartesiano G1 ⇥ G2 munito della naturale operazione (x, y) ⇤ (x0, y0) = (x ⇤1 x0, y ⇤2 y0); G1

(risp. G2) si identifica col sottogruppo G1 ⇥ {e2} (risp. {e1} ⇥ G2). (1) (N, +), (N, ·), (Z⇥, ·) e (Z, ·) sono

semigruppi; gli ultimi tre sono anche monoidi. Tutti sono commutativi. (2) (Z, +), (Q, +), (Q⇥, ·) sono

gruppi commutativi. (Z, +) e un sottogruppo di (Q, +); ({±1}, ·) e (Q>0, ·) sono sottogruppi di (Q⇥, ·);invece il sottoinsieme {x 2 Q : 0 < x 1} non e un sottogruppo di (Q>0, ·), perche e chiuso per la

moltiplicazione (cioe, se x, y 2 A anche xy 2 A) ma non per il passaggio all’inverso (infatti se x 2 A

e x 6= 1 allora 1x

/2 A). I sottogruppi di (Z, +) sono tutti e soli i sottoinsiemi nZ = {nr : r 2 Z} con

n 2 Z. (3) Sia Z[x] l’insieme dei polinomi a coe�cienti in Z: allora (Z[x], +) e un gruppo commutativo,

e (Z[x], ·) un monoide commutativo. Il sottoinsieme Z[x]m formato dai polinomi di grado m e un

sottogruppo di (Z[x], +). Idem con Q al posto di Z, o con piu variabili. (4) Sia X un insieme, e sia

G = {f : X �! X} l’insieme delle funzioni da X in se: allora (G, ·) (ove “·” denota la composizione

f · g = g � f) e un monoide, non commutativo. Considerando il suo sottoinsieme G0 dato dalle biiezioni di

X in se, (G0, ·) diventa un gruppo non commutativo. Un caso particolare e quello in cui X e un insieme

finito (diciamo X = {1, . . . , n}), in cui G0 viene detto gruppo delle permutazioni di n oggetti, un ente

di importanza fondamentale nel calcolo combinatorio. Ad esempio, consideriamo le due permutazioni �

e ⌧ di X = {1, 2, 3} date da �(1) = 1, �(2) = 3, �(3) = 2, ⌧(1) = 3, ⌧(2) = 1 e ⌧(3) = 2: allora

(� · ⌧)(1) = ⌧(�(1)) = 3, (� · ⌧)(2) = 2 e (� · ⌧)(3) = 1, mentre (⌧ · �)(1) = �(⌧(1)) = 2, (⌧ · �)(2) = 1 e

(21)Se e ed e0 sono due elementi neutri per “⇤”, allora e = e ⇤ e0 = e0.(22)Se x01 e x02 sono entrambi inversi di x, si ha x01 = x01 ⇤ e = x01 ⇤ (x ⇤ x02) = (x01 ⇤ x) ⇤ x02 = e ⇤ x02 = x02.(23)o abeliano, dal nome del matematico Abel.(24)E anche facile dimostrare che, equivalentemente, H e un sottogruppo se per ogni x, y 2 H si hax ⇤ (y�1) 2 H (ovvero, H e “chiuso” rispetto alla “divisione”).

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(⌧ · �)(3) = 3, e dunque � · ⌧ 6= ⌧ · �. (5) Dati due sottoinsiemi A e B di un insieme X, si definisca la loro

di↵erenza simmetrica come A�B = (A \ B)t (B \ A) = (A[B) \ (A\B): verificare che allora (P(X),�)

e un gruppo commutativo (ove si ricorda che P(X) rappresenta l’insieme delle parti di X).

Siano (G1, ⇤1) e (G2, ⇤2) due gruppi con elementi neutri e1 ed e2 rispettivamente. Una Morfismo digruppi

funzione f : G1 �! G2 si dira morfismo (o omomorfismo) se essa rispetta le operazioni,ovvero se f(x ⇤1 x0) = f(x) ⇤2 f(x0) per ogni x, x0 2 G1 (si noti che, allora, dev’esseref(e1) = e2 e f(x�1) = f(x)�1). Se f e un morfismo, si vede facilmente che ker(f) =f�1(e2) = {x 2 G1 : f(x) = e2} ⇢ G1 (nucleo di f) e im(f) = f(G1) = {f(x) : x 2 G1} ⇢G2 (immagine di f) sono sottogruppi rispettivamente di G1 e G2. La domanda naturalee: dati due gruppi (G1, ⇤1) e (G2, ⇤2) qualsiasi, esistono morfismi tra essi? Uno, banale,c’e sempre, ed e la funzione costante con valore e2; non e detto pero che ve ne siano altri.Un caso particolarmente importante e quando si riesce a trovare un morfismo biiettivodi gruppi (che si dice isomorfismo), perche esso identifica i due gruppi: infatti, oltre a“renderli uguali” come insiemi ne rispetta le operazioni durante il passaggio da una parteall’altra (in questo caso e d’uso denotare f : G1

⇠�! G2, e dire che i gruppi G1 e G2 sonoisomorfi). In particolare, se G1 = G2 = G si parla di automorfismi del gruppo G.

Una particolare classe di automorfismi di G sono le cosiddette coniugazioni per un prefis-sato elemento: preso un g 2 G, si ha il morfismo cg : G �! G dato da cg(x) = g ⇤ x ⇤ g�1

(per g = e si ha l’identita idG; ed e chiaro che se G e un gruppo commutativo alloracg = idG per ogni g 2 G). Un sottogruppo H di (G, ⇤) si dira normale (o invariante) seesso viene conservato da tutte le coniugazioni, ovvero se cg(H) = H per ogni g 2 H: inaltre parole, se per ogni g 2 G ed ogni h 2 H esiste un h0 2 H tale che g ⇤ h ⇤ g�1 = h0.(Ad esempio, si verifichi se f : G1 �! G2 e un morfismo allora ker(f) e un sottogrupponormale di G1.)

(25) (E chiaro che, se G e commutativo, tutte le coniugazioni sono ugualiall’identita, e dunque tutti i sottogruppi di G sono normali.)

Se H e normale in G, si puo costruire un nuovo gruppo G/H a partire da G e H, detto Gruppo quoziente

gruppo quoziente di G rispetto ad H: l’idea e di “dividere G per H”, facendo diventarequest’ultimo come un grosso elemento neutro al fine di “ragionare in G “modulo” (cioe,a meno di) H”. Introduciamo dunque una relazione R in G dicendo che gRg0 se esisteh 2 H tale che g0 = g ⇤ h, ovvero se g0 ⇤ g�1 2 H: e facile vedere che si tratta di unarelazione d’equivalenza (vedi pag. 29). Le classi d’equivalenza, che sono i sottoinsiemig ⇤H = {g ⇤x : x 2 H} al variare di g in G, sono dette classi laterali destre in G modulo HNell’insieme delle classi d’equivalenza G/H = {g⇤H : g 2 G} definiamo poi un’operazioneponendo semplicemente (g1 ⇤ H) ⇤ (g2 ⇤ H) = (g1 ⇤ g2) ⇤ H. Il problema e essenzialmentedi vedere che questa sia una “buona definizione”, cioe che se si rimpiazzano g1 e g2 cong01 = g1 ⇤ h1 e g02 = g2 ⇤ h2 (senza dunque cambiare le classi laterali) il risultato delprodotto non cambia: ed e qui che entra in modo decisivo il fatto che H e normale(26)

(25)Infatti, se g 2 G1 e h 2 ker(f) si ha g ⇤1 h ⇤1 g�1 2 ker(f), perche f(g ⇤1 h ⇤1 g�1) = f(g) ⇤2 f(h) ⇤2

f(g�1) = f(g) ⇤2 e2 ⇤2 f(g)�1 = f(g) ⇤2 f(g)�1 = e2.(26)Siano infatti g01 = g1 ⇤ h1 e g02 = g2 ⇤ h2: come detto, essendo g01 ⇤ H = g1 ⇤ H e g02 ⇤ H = g2 ⇤ H,bisognera che valga anche (g01 ⇤H) ⇤ (g02 ⇤H) = (g1 ⇤H) ⇤ (g2 ⇤H), altrimenti l’operazione in G/H sarebbemal definita. Poiche H e normale, esiste h0 2 H tale che (g2)

�1 ⇤ h1 ⇤ g2 = h0, ovvero (moltiplicando amboi membri per g2) tale che h1 ⇤g2 = g2 ⇤h0: allora (g01 ⇤H)⇤ (g02 ⇤H) = (g01 ⇤g02)⇤H = (g1 ⇤h1 ⇤g2 ⇤h2)⇤H =

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L’importanza di questa costruzione diventa evidente nel Teorema di Omomorfismo, chedice: un morfismo di gruppi f : G1 �! G2 induce un isomorfismo di gruppi G1/ ker(f)

⇠�!im(f) ponendo f(x⇤ker(f)) = f(x); in particolare, se f e un morfismo suriettivo si ottieneG1/ ker(f)

⇠�! G2, ovvero, la presenza di un morfismo suriettivo da G1 a G2 permette didescrivere il gruppo G2 tramite un quoziente del gruppo G1.

Esempi. (1) Se (G, ⇤) e un gruppo e g 2 G, si possono definire le funzioni traslazione (sinistra) ⌧g : G �! G

e coniugazione cg : G �! G tramite ⌧g(x) = gx e cg(x) = gxg�1. Esse sono biiezioni di G in se, e come

visto cg e anche un automorfismo di G; invece, ⌧g e un morfismo di G in se se e solo se g = e (nel qual

caso ⌧g = idG), perche ⌧g(x ⇤ y) = ⌧g(x) ⇤ ⌧g(y) per ogni x, y 2 G significa g ⇤ x ⇤ y = g ⇤ x ⇤ g ⇤ y, da cui

(cancellando) g = e. (2) Se H e un sottogruppo di (G, ⇤), la funzione di inclusione H �! G e un morfismo

di gruppi. (3) In (Z, +), le moltiplicazioni per un dato numero intero n sono morfismi; in realta questi sono

tutti e soli i morfismi di (Z, +) in se. (4) Per un fissato n 2 Z, la funzione di valutazione vn : Z[x] �! Z, che

manda un polinomio p(x) 2 Z[x] nel numero intero vn(p) = p(n), e un morfismo di (Z[x], +) in (Z, +). (5)

Come vedremo tra breve, denotati con R i numeri reali e con R 0 i numeri reali positivi, (R, +) e (R>0, ·)sono gruppi commutativi: e allora chiaro che l’esponenziale exp : (R, +) �! (R>0, ·) e un morfismo tra

essi (in realta, un isomorfismo). (6) Diamo qualche esempio di gruppo quoziente. Abbiamo detto che i

sottogruppi di (Z, +) sono i sottoinsiemi nZ per n 2 Z: poiche siamo nel caso commutativo, i sottogruppi

sono normali, ed si puo considerare il gruppo quoziente ZnZ = {r + nZ : r 2 Z}: si tratta di un gruppo

finito con n elementi, detto il gruppo degli interi modulo n perche in esso gli interi vengono identificati

quando di↵eriscono per multipli di n: ad esempio, in Z12Z i numeri �11, 1, 13, 121 vengono tutti confusi

nella medesima classe 1 + 12Z = 13 + 12Z = · · · .(27) Altro esempio: (R⇥, ·) e un gruppo abeliano, e sia

(R>0, ·) che ({±1}, ·) sono suoi sottogruppi. La funzione f : R⇥ �! R>0 data da f(x) = |x| e un morfismo

suriettivo, con nucleo ker(f) = {±1}: per il Teorema di Omomorfismo, il gruppo R>0 e isomorfo al gruppo

quoziente R⇥{±1} (nel quale, infatti, si “ragiona a meno del segno”).

Anelli e corpi Sia gli interi Z che i razionali Q hanno a disposizione due operazioni

(somma e prodotto) che vanno d’accordo tra loro (la seconda e “distributiva” sulla prima);tuttavia, in Q le cose sembrano andare un po’ meglio che in Z, perche ci sono tutti ireciproci (cioe, inversi rispetto al prodotto) dei numeri non nulli. Andiamo dunque adescrivere in generale la situazione di un insieme su cui esistono due operazioni, tenendobene a mente gli esempi appena dati.

Sia R un insieme dotato di due operazioni + (detta somma) e · (detta prodotto). Consi-deriamo le seguenti possibili proprieta per la struttura (R, +, ·):

(An1) (R, +) sia un gruppo commutativo (con elemento neutro denotato 0 e inverso di unelemento x denotato �x, e detto opposto di x);

(An2) (R, ·) sia un semigruppo;

(An3) Distributivita: (x1 + x2) · x0 = (x1 · x0) + (x2 · x0) e x0 · (x1 + x2) = (x0 · x1) + (x0 · x2)per ogni x1, x2, x

0 2 R;

(g1 ⇤ h1 ⇤ g2) ⇤ H = (g1 ⇤ g2 ⇤ h0) ⇤ H = (g1 ⇤ g2) ⇤ H = (g1 ⇤ H) ⇤ (g2 ⇤ H), come si voleva.(27)E quello che si fa quando si guarda l’orologio confondendo 13 con 1.

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(An4) Unitarieta: esiste un elemento neutro per ·, denotato 1 (se allora un elemento x 2 Rammette inverso x�1 rispetto a ·, tale inverso sara anche detto reciproco di x);

(An5) Commutativita: l’operazione · sia commutativa.

Se soddisfa (An1)-(An2)-(An3), la terna (R, +, ·) si dira un anello; se soddisfa (An1)-(An2)- Anello

(An3)-(An4), si dira anello unitario, o con unita; se soddisfa anche (An5), si aggiungeral’aggettivo commutativo. Si noti che in un anello (R, +, ·) vale(28)

0 · x = x · 0 = 0 per ogni x 2 R .

Sia (R, +, ·) un anello. Un sottoinsieme A ⇢ R si dira sottoanello se A e un sottogruppo di Sottoanello,ideale

(R, +) chiuso rispetto all’operazione “ · ”; in particolare, esso si dira ideale sinistro (risp.destro) se e un sottoanello dotato della “proprieta di assorbimento” a sinistra (risp. adestra), ovvero se per ogni x 2 R e a 2 A si ha x · y 2 A (risp. y · x 2 A). Un idealesia sinistro che destro si dira “bilatero” (ovviamente le nozioni distinte di ideale sinistro edestro hanno interesse nel caso di anelli non commutativi).

Un morfismo di anelli tra (R1, +1, ·1) e (R2, +2, ·2), e un morfismo f : (R1, +1) �! (R2, +2) Morfismo dianelli

che rispetta anche le moltiplicazioni, ovvero tale che f(x ·1 x0) = f(x) ·2 f(x0) per ognix, x0 2 R1; se f e anche biiettiva si dira isomorfismo, e due anelli tra i quali esiste unisomorfismo si diranno isomorfi. Si dimostra facilmente che il nucleo (rispetto a +) di unmorfismo di anelli e un ideale bilatero del dominio, e che l’immagine e un sottoanello delcodominio.

Un anello unitario (k, +, ·) che soddisfa Corpo, campo

(Cp) Invertibilita: Ogni x 6= 0 e invertibile rispetto a · (ovvero, denotando k⇥ = k \ {0}, siha che (k⇥, ·) e un gruppo)

si dira corpo; nel caso di corpo commutativo si usa anche il termine campo. In un corpovale la seguente fondamentale proprieta:

Proposizione 1.2.2. (Legge dell’annullamento del prodotto) Sia k un corpo. Se x, y 2k , si ha x · y = 0 se e solo se x = 0 oppure y = 0 .

Dimostrazione. Si abbia x · y = 0, ovvero x · y = x · 0. Se x = 0, siamo a posto; se invece x 6= 0 allorabasta applicare la regola della cancellazione (1.1).

Se si ha un corpo commutativo k dotato di un ordine totale “” (ovvero, che soddisfa(Rifl)-(ASym)-(Trns)-(Tot)), si dira che (k, +, ·,) e un corpo commutativo totalmenteordinato se soddisfa anche alle seguenti due proprieta di compatibilita dell’ordine con le Corpo

totalmenteordinatooperazioni:

(CpO1) se x1, x2 2 k e x1 x2, allora per ogni x 2 k vale x1 + x x2 + x;

(28)infatti x · 0 = x · (0 + 0) = x · 0 + x · 0 da cui, cancellando, x · 0 = 0.

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(CpO2) se x1, x2 2 k e x1 x2, allora per ogni x 2 k tale che x � 0 vale x · x1 x · x2.

Esempi. (1) (Z, +, ·) e un anello unitario commutativo. (2) I numeri razionali (Q, +, ·), i reali (R, +, ·) e

(come vedremo) i numeri complessi (C, +, ·) sono dei campi; i primi due sono anche totalmente ordinati,

e sono sottocampi del’ultimo. (3) Fissato un numero naturale n 2 N, si e gia visto che l’insieme (di n

elementi) delle classi di resto ZnZ = {r := r + nZ : r 2 Z} e un gruppo commutativo con l’operazione

di somma; se dotato anche del prodotto, esso diventa una anello commutativo unitario. Ad esempio, inZ

15Z si ha 7 + 9 = 1 , 6 · 8 = 3 e 3 · 5 = 0 : si ricordi infatti che si sta ragionando “modulo 15”,

ovvero si confondono i numeri che di↵eriscono per multipli di 15. L’ultima uguaglianza ci mostra che Z15Z

non puo essere un campo, perche nega la legge dell’annullamento (Proposizione 1.2.2): in e↵etti, non e

di�cile mostrare che che ZnZ e un campo se e solo se n e un numero primo.(29) (4) (Z[x], +, ·) e un anello

unitario commutativo, e per ogni n 2 Z le valutazioni vn : Z[x] �! Z (con vn(p) = p(n)) sono morfismi

di anello. (5) La moltiplicazione per n e un morfismo di gruppo per (Z, +), ma e un morfismo di anello

per (Z, +, ·) se e solo se n = 0, 1. (6) Come visto, dato un insieme X si ha che (P(X),�) e un gruppo

commutativo; si verifichi anche che (P(X),�,\) e un anello commutativo con unita. (7) Dato un insieme

X ed un anello (R, +, ·), l’insieme RX = {f : X �! R} e un anello definendo f + g e f · g “puntualmente”,

ovvero (f + g)(x) = f(x) + g(x) e (f · g)(x) = f(x) · g(x). Se T ⇢ X e un sottoinsieme qualsiasi, il

sottoinsieme RXT = {f : X �! R : f(x) = 0 per ogni x 2 T} e un ideale bilatero di RX . Scegliamo ora

X = R = R, e consideriamo RR: allora R[x] (anello dei polinomi) puo essere visto come sottoinsieme di

RR, e come tale e un sottoanello ma non un ideale di RR.(30) (8) Se (G, ⇤) e un gruppo commutativo,

l’insieme End(G) costituito dai morfismi f : G �! G e un anello ponendo (f + g)(x) = f(x) ⇤ g(x) e

(f ·g)(x) = (g �f)(x) = g(f(x)): si chiamera anello degli endomorfismi del gruppo abeliano G. In generale,

End(G) non e commutativo: ad esempio, considerando il gruppo abeliano additivo G = Z2 = Z ⇥ Z ed

i morfismi f(m, n) = (n, m) e g(m, n) = (�m, 2n), si ha (f · g)(m, n) = g(f(m, n)) = (�n, 2m) mentre

(g · f)(m, n) = f(g(m, n)) = (2n,�m), e dunque f · g 6= g · f .(31)

Spazi vettoriali Uno spazio vettoriale su un corpo k (o un k-spazio vettoriale) e un Spaziovettoriale

gruppo commutativo (V, +) munito di una “moltiplicazione per scalari”

k ⇥ V �! V , (�, v) 7! �v

che sia compatibile con la somma +, ovvero tale che

(29)La condizione e necessaria: infatti se n non e un numero primo, scritto n = ab con a 6= 1 e b 6= 1 si hache ab = n = 0, il che nega la legge dell’annullamento (ad esempio, nel precedente caso n = 15 si erano presia = 3 e b = 5). Viceversa, supponiamo che n sia primo, e consideriamo un naturale m 2 {1, . . . , n � 1}:dobbiamo trovare un altro naturale x 2 {1, . . . , n � 1} tale che m x = 1. A tal fine, se riuscissimo adimostrare che la funzione fm : Z

nZ �! ZnZ data dalla “moltiplicazione per m” e iniettiva, saremmo a posto:

infatti, poiche ZnZ e un insieme finito, allora fm sarebbe anche biiettiva, dunque suriettiva, dunque in

particolare esisterebbe di certo x 2 {1, . . . , n � 1} tale che m x = 1. Mostriamo percio che fm e iniettiva:infatti, se per assurdo esistessero a, b 2 {1, . . . , n � 1} (diciamo con a > b) tali che fm(a) = fm(b) allora siavrebbe ma = mb, ovvero ma = mb, ovvero m(a � b) = 0, ovvero n dividerebbe m(a � b): ma poiche n eprimo, bisognerebbe che n dividesse m oppure a � b, ma entrambe le cose sono impossibili.(30)Infatti la famiglia dei polinomi e chiusa rispetto alla moltiplicazione, ma se moltiplico un polinomioper una qualsiasi altra funzione g : R �! R ovviamente non e detto che si ottenga un polinomio, anzi!(31)Questo esempio risultera chiaro quando si parlera di endomorfismi di spazi vettoriali di dimensionefinita, introducendo il calcolo matriciale.

Corrado Marastoni 42

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Analisi Matematica I

(SV1) �(µv) = (�µ)v per ogni �, µ 2 k e ogni v 2 V ;(SV2) (�+ µ)v = �v + µv per ogni �, µ 2 k e ogni v 2 V ;(SV3) �(v + w) = �v + �w per ogni � 2 k e ogni v, w 2 V ;(SV4) 1 v = v per ogni v 2 V .

Gli elementi di V sono usualmente chiamati vettori, quelli di k scalari.

Un sottoinsieme W ⇢ V tale che (W, +) sia sottogruppo di (V, +) e tale che �v 2 W per Sottospaziovettoriale

ogni � 2 k e ogni v 2 W si dice sottospazio vettoriale di V : e facile vedere che cio equivalea chiedere che per ogni v, w 2 W e ogni �, µ 2 k si abbia �v + µw 2 W . Un morfismo Morfismo di

spazi vettorialidi spazi vettoriali (sullo stesso corpo k) e un morfismo di gruppi f : V1 �! V2 che rispettaanche la moltiplicazione per scalari, ovvero (riassumendo entrambe le proprieta) tale chef(�v +µw) = �f(v)+µf(w) per ogni �, µ 2 k e ogni v, w 2 V1; si dimostra facilmente cheil nucleo ker(f) (risp. l’immagine im(f)) e un k-sottospazio vettoriale di V1 (risp. di V2).

Un anello (R, +, ·) si dira un’algebra su k (oppure una k-algebra) se e un k-spazio vettoriale Algebra

(rispetto alla somma) e la moltiplicazione per scalari e compatibile col prodotto:

(Alg) �(x · y) = (�x) · y = x · (�y) per ogni � 2 k e ogni x, y 2 R.

Esempi. (1) L’esempio fondamentale di spazio vettoriale su k = R e dato da V = Rn = {~v = (v1, . . . , vn) :

vj 2 R per ogni j = 1, . . . , n} (la famiglia delle n-uple di numeri reali, che descrive –una volta fissato un

sistema cartesiano– uno spazio reale a n dimensioni) con la sua naturale operazione di somma e la sua

naturale moltiplicazione per costanti reali. Nel caso n = 2 gli elementi di R2 (coppie di numeri reali)

possono essere rappresentati come gli usuali vettori nel piano cartesiano; la somma ~v + ~w e data dalla nota

“regola del parallelogramma” (si tratta della diagonale principale del parallelogramma costruito su ~v e ~w),

e la moltiplicazione �~v di un vettore ~v per uno scalare � 2 R da luogo a una dilatazione della lunghezza del

vettore ~v di un fattore |�|, e il verso e mantenuto o invertito a seconda che � ? 0. (Analoga rappresentazione

e possibile nello spazio tridimensionale cartesiano per i vettori di R3.) Una funzione f : R2 �! R2 e un

morfismo di R-spazi vettoriali se e solo se esistono dei numeri �, µ, ⌫, ⌘ 2 R tali che f(~v) = (�v1+µv2, ⌫v1+

⌘v2) per ogni ~v = (v1, v2) 2 R2; piu in generale, un morfismo f : Rn �! Rm e associato univocamente a una

matrice m⇥n (una tabella F =

0BB@

�11 �12 · · · �1n

.

.

.

.

.

....

.

.

.�m1 �m2 · · · �mn

1CCA con m righe e n colonne di numeri reali �ij con

1 i m e 1 j n) tale che, scritto f(v1, . . . , vn) = (f1(v1, . . . , vn) , . . . , fm(v1, . . . , vn)) (le m funzioni

componenti di f) si abbia fi(v1, . . . , vn) =Pn

j=1 �ijvj = �i1v1 + · · ·+�invn per ogni i = 1, . . . , m: si tratta

della moltiplicazione della matrice F per il “vettore-colonna” ~v = (v1, . . . , vn). (2) RX = {f : X �! R} (le

funzioni reali di un certo insieme X) e R[x1, . . . , xn] (i polinomi a coe�cienti reali con n indeterminate)

sono due esempi di R-algebre commutative.

Gli spazi vettoriali sono l’oggetto di studio dell’algebra lineare, che sta ai fondamentidella geometria; per ulteriori elementi su di essi (dipendenza lineare, generatori, basi, ...)rimandiamo dunque a un corso di geometria.

Corrado Marastoni 43

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1.3 I numeri reali

Nel riassunto delle cose da sapere prima di iniziare il corso avevamo ricordato la de-scrizione dei numeri reali come “espressioni decimali possibilmente ne limitate ne peri-odiche”; il loro insieme R contiene allora Q, i cui elementi siano visti come espressionidecimali limitate o quantomeno periodiche. Su R sappiamo essere definite due operazioni,l’addizione e la moltiplicazione, ed una relazione d’ordine totale “” che, considerateassieme, fanno di (R, +, ·,) un corpo commutativo totalmente ordinato (ovvero che sod-disfa (An1)-· · · -(An6)-(CpO1)-(CpO2)); a dire il vero, pero, le stesse proprieta sono posse-dute anche da Q, e dunque non sara per questo che ci apprestiamo ad allargare Q. Il motivosta invece nell’impossibilita di assegnare ad alcune lunghezze un numero razionale:(32) inuovi enti numerici creati per colmare queste “lacune” dei numeri razionali furono dettinumeri irrazionali, e il loro insieme eQ, assieme a Q, forma l’insieme dei numeri reali R.Come si sa, e fondamentale l’identificazione dei numeri reali con i punti di una retta: piuprecisamente, l’assegnare un “sistema di coordinate ascisse” sulla retta (ovvero fissare unpunto O detto “origine”, un verso di percorrenza detto “positivo” ed un altro punto, indirezione positiva rispetto ad O e da lui diverso, detto “punto unita”) da luogo ad unafunzione biiettiva tra R e la retta stessa, tanto che e normale parlare di retta reale, senzadi fatto distinguere tra R e la retta.

Figura 1.5: Una retta e l’insieme R dei numeri reali si identificano tramite un sistema di coordinate ascisse.

Poggiando su questa conoscenza di lunga data dei numeri reali, delle loro operazioni, delloro ordine e del loro sostanziale identificarsi con i punti di una retta su cui si sia assegnatoun sistema di coordinate ascisse, vogliamo ora esaminarli attraverso le loro proprieta. Oltread essere, come visto, un corpo commutativo totalmente ordinato (cosa che pero non lodistingue dal suo sottocorpo Q), R soddisfa anche la seguente proprieta fondamentale:

(Co) (Completezza) se U e V sono sottoinsiemi non vuoti di R tali che U V (ovvero, Assioma dicompletezza

(32)L’esempio storicamente piu importante di grandezza irrazionale e quello dell’ipotenusa di un triangolorettangolo isoscele di lato 1. La sua misura a, in base al teorema di Pitagora, dovrebbe soddisfare a2 =1 + 1 = 2 (e dunque, per definizione, a =

p2): se a fosse razionale, si potrebbe scrivere a = m

ncon

m, n numeri naturali primi tra loro. Se ne dedurrebbe che m2 = 2n2, percio m2 e pari, percio m e pari,percio m2 e divisibile per 4, ma m2 = 2n2 e percio n2 e pari, percio n e pari (assurdo, perche deve essereprimo con m). Generalizzando questo esempio, si puo dimostrare che, se a, n 2 N e n

pa /2 N, allora n

pa

e irrazionale. Altri importanti numeri che si sono dimostrati essere irrazionali sono il numero pi greco⇡ = 3, 14151 · · · (rapporto tra la lunghezza di una circonferenza e quella del suo diametro) ed il numerodi Nepero e = 2, 71828 · · · , base naturale della funzione esponenziale.

Corrado Marastoni 44

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x y per ogni x 2 U e y 2 V ), allora esiste t 2 R tale che U t V ;

l’elemento t si dice elemento separatore tra U e V , ed in generale, ovviamente, esso e lungidall’essere unico(33). La proprieta cruciale (Co) e soddisfatta da R ma non da Q.(34) Inaltre parole, R e un campo totalmente ordinato e completo; poiche si dimostra (ma noinon ce ne occuperemo) che due campi totalmente ordinati e completi sono necessariamenteisomorfi, tale proprieta individua R “sostanzialmente” (cioe, a meno di isomorfismi).

Figura 1.6: t1, t2 e t3 sono elementi separatori tra U e V ; l’intervallo limitato [a, b[; la semiretta R>c.

Intervalli Un intervallo di R e un sottoinsieme I ⇢ R non vuoto tale che, se x, y 2 I Intervalli di R

e x t y, allora anche t 2 I (ovvero, un intervallo e un sottoinsieme di R “privo dibuchi”). Ci si accorge facilmente che gli intervalli sono tutti e soli i sottoinsiemi dei tipiseguenti, ove a, b 2 R con a b: (1) [a, b] = {x 2 R : a x b} (intervallo chiuso limitato,che si riduce a {a} se a = b); (2) [a, b[= {x 2 R : a x < b} e ]a, b] = {x 2 R : a < x b}(intervalli semiaperti limitati); (3) ]a, b[= {x 2 R : a < x < b} (intervallo aperto limitato);(4) [a, +1[= {x 2 R : x � a}, ]a, +1[= {x 2 R : x > a}, ] � 1, b] = {x 2 R : x b}e ] � 1, b[= {x 2 R : x < b} (semirette aperte o chiuse, che si denoteranno ancherispettivamente R�a, R>a, Rb e R<b), (5) lo stesso R.

Massimo e minimo. Estremo superiore ed inferiore Una nozione importante inR e quella di estremo superiore e inferiore: vediamo di che si tratta. Intanto, dato unsottoinsieme non vuoto A ⇢ R, si dice che t 2 R e un massimo (risp. un minimo) di A se Massimo, minimo

soddisfa le seguenti due proprieta:

(1) t 2 A,

(2) x t (risp. t x) per ogni x 2 A.

Non e detto che tali massimo e minimo di A esistano, ma, se esistono, sono unici(35), e sidenoteranno con max A e min A. L’insieme dei maggioranti di A e il sottoinsieme di R

A⇤ = {x 2 R : a x per ogni a 2 A};

(33)Ad esempio, se U = {x 2 R : x �1} e V = {x 2 R : x � 1} tutti i numeri reali t 2 [�1, 1] sonoelementi separatori tra U e V .(34)Se U = {x 2 Q : x > 0, x2 2} e V = {x 2 Q : x > 0, x2 � 2}, poiche per x > 0 la funzione x2 ecrescente (infatti se x2 > x1 > 0 allora x2

2 � x21 = (x2 + x1)(x2 � x1) > 0, ovvero x2

2 > x21), un eventuale

elemento t 2 Q tale che U t V dovrebbe soddisfare t2 = 2, ma come visto cio e impossibile.(35)Ad esempio, siano t1 e t2 due massimi per A: allora, poiche entrambi devono stare in A, dev’esseret1 t2 e t2 t2, ma allora t1 = t2 per (ASym).

Corrado Marastoni 45

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quello dei minoranti di A sara

A⇤ = {x 2 R : x a per ogni a 2 A}.

Se A⇤ 6= ? (risp. A⇤ 6= ?), si dira che A e superiormente limitato (risp. inferiormente Limitatezza

limitato), ed un sottoinsieme di R sia superiormente che inferiormente limitato si dira,ovviamente, limitato. Ora, e chiaro che il miglior maggiorante per A e quello piu piccolopossibile: si porra dunque, se esiste,

sup A := min A⇤.

In quanto minimo di un sottoinsieme, tale elemento, se esiste, sara unico, e si dira estremosuperiore di A. Simmetricamente si definira, se esiste, l’estremo inferiore di A: Estremo superiore

e inferiore

inf A := max A⇤.

Si noti che, a di↵erenza di max A e min A, per supA e inf A non si e richiesta l’appartenenzaad A.

Figura 1.7: Estremo superiore ed inferiore.

La seguente proposizione e importante, e distingue nettamente R da Q (si noti chela dimostrazione consiste, in sostanza, nel provare che l’esistenza di sup e inf equivaleall’assioma di completezza (Co)).

Proposizione 1.3.1. Ogni sottoinsieme di R superiormente (risp. inferiormente) limitatoammette estremo superiore (risp. inferiore). In particolare, ogni sottoinsieme limitato diR ammette estremo superiore e inferiore.

Dimostrazione. Sia A ⇢ R superiormente limitato, ovvero tale che A⇤ 6= ?. Applichiamo (Co) con-siderando U = A e V = A⇤, e sia dunque A t A⇤ un elemento separatore. Poiche t � A si ha t 2 A⇤;poiche inoltre t A⇤, e proprio t = min A⇤. In modo analogo si dimostra l’a↵ermazione per l’estremoinferiore.

Riassumendo, un sottoinsieme superiormente (risp. inferiormente) limitatato A di R nonammette sempre il massimo (risp. minimo), ma ammette sempre l’estremo superiore (risp.inferiore) che, se appartiene ad A, chiaramente coincidera col massimo (risp. col minimo)di A. Concretamente, dati un sottoinsieme A e un numero ↵ 2 R, per determinare se sia↵ = supA o no si potra applicare la seguente

Proposizione 1.3.2. (Proprieta caratteristiche di sup e inf) Vale ↵ = supA se e solo se

(Sup1) a ↵ per ogni a 2 A;(Sup2) per ogni x 2 R tale che x < ↵ esiste a 2 A tale che x < a.

Corrado Marastoni 46

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Simmetricamente, ↵ = inf A se e solo se

(Inf1) a � ↵ per ogni a 2 A;(Inf2) per ogni x 2 R tale che x > ↵ esiste a 2 A tale che x > a.

Dimostrazione. Se ↵ = sup A, essendo ↵ = min A⇤ vale ↵ 2 A⇤; dato poi x 2 R tale che x < ↵, valecertamente x /2 A⇤ (appunto perche ↵ = min A⇤), e dunque esiste qualche a 2 A tale che x 6� a, ovverox < a. Viceversa, assumiamo che ↵ soddisfi (Sup1) e (Sup2), e supponiamo per assurdo che ↵ 6= min A⇤:allora esiste x 2 A⇤ tale che x 6� ↵, ovvero x < ↵. Ma allora per (Sup2) esiste a 2 A tale che x < a, e ciodice che x /2 A⇤, contraddizione. Gli stessi ragionamenti provano l’asserto speculare per inf.

Cio che a↵erma la proprieta caratteristica e dunque che “sup A sta sopra A, ma nonappena si prova a scendere ci si lascia davanti qualche elemento di A”; similmente, “inf Asta sotto A, ma non appena si prova a salire ci si lascia dietro qualche elemento di A”.(36)

Esercizio. Dire se i seguenti sottoinsiemi A ⇢ R ammettono estremi superiore ed inferiore, massimo eminimo: (0) {�2}; (1) [0, 1[; (2) ]�1,�5[; (3) {x 2 R > 0 : sin( 1

x) = 0}; (4) {(�1)n n�1

n: n 2 N}; (5)

{(�1)n n�1n

: n 2 N} [ {1}; (6) { xyx2+y2 : x, y > 0}.

Risoluzione. (0) Banale: sup A = inf A = max A = min A = �2. (1) A e limitato, con A⇤ = [1, +1[ e

A⇤ =] � 1, 0]: dunque sup A = 1 e inf A = 0. Poiche 0 2 A, 0 e anche il min A; invece 1 /2 A, dunque

A non ammette max. (2) A non e inferiormente limitato, dunque non ammette inf (e dunque nemmeno

min); invece esso e superiormente limitato, con A⇤ = [�5, +1[: dunque sup A = �5, ed essendo �5 /2 A,

non ci sara max. (3) La condizione sin( 1x) = 0 con x > 0 e equivalente a x = 1

k⇡con k 2 N: dunque

A = { 1k⇡

: k 2 N} = { 1⇡, 1

2⇡, 1

3⇡, . . . }. Vale 1

⇡2 A e x 1

⇡per ogni x 2 A: dunque max A = 1

⇡(ed

esso sara ovviamente anche sup A). Si noti poi che A e inferiormente limitato (perche 0 2 A⇤ 6= ?),

e dunque ammette estremo inferiore, che vogliamo dimostrare essere 0: a tal fine usiamo le proprieta

caratteristiche (Inf1) e (Inf2) dell’inf. (Inf1) lo abbiamo gia detto (0 2 A⇤); preso poi un qualsiasi x > 0,

si ha 1k⇡

< x per k abbastanza grande, e dunque vale anche (Inf2). Dunque inf A = 0; poiche 0 /2 A, non

vi sara minimo. (4) Vale A = {0,� 23,� 4

5,� 6

7, . . . } t { 1

2, 3

4, 5

6, . . . }. Si vede subito che A ⇢] � 1.1[: infatti��(�1)n n�1

n

�� = n�1n

= 1 � 1n

< 1. Dunque A e limitato, ed ammette percio estremi superiore e inferiore.

Vale sup A = 1: infatti x 1 per ogni x 2 A, e dunque vale (Sup1); preso poi un qualsiasi x < 1, si

ha x < 2k�12k

= 1 � 12k

per k abbastanza grande, e dunque vale (Sup2). In modo analogo si prova che

inf A = �1. Poiche ne 1 ne �1 stanno in A, non vi saranno massimo e minimo. (5) Esattamente come nel

caso precedente, solo che stavolta 1 2 A e dunque esiste max A = 1. (6) Poiche A ⇢ R>0, si ha R0 ⇢ A⇤ e

dunque A e inferiormente limitato: percio ammette estremo inferiore. Vediamo che vale inf A = 0: infatti

vale (Inf1), mentre notiamo che per valori del tipo (x, 1) con x > 0 si ottengono i punti xx+1

che possono

diventare arbitrariamente vicini a zero quando x tende a 0: dunque, preso un qualunque 0 < t < 1 esistono

di certo degli x > 0 tali che xx+1

< t (basta prendere x < t1�t

) e dunque vale anche (Inf2). Si noti che

0 /2 A, e dunque A non ammette minimo. Dalla disuguaglianza (x � y)2 � 0 con x, y > 0 si ricava subito��� xyx2+y2

��� = xyx2+y2 1

2, e dunque A e anche limitato: esso ammettera anche l’estremo superiore. In realta,

per valori del tipo (x, x) con x > 0 si ottiene sempre xyx2+y2 = x2

x2+x2 = 12, e dunque 1

22 A: poiche come

visto si ha anche 12� A, si avra max A = 1

2(che coincide ovviamente con sup A).

(36)Si dimostra in realta che l’esistenza di sup ed inf rispettivamente per sottoinsiemi superiormenteed inferiormente limitati e equivalente all’assioma di completezza (Co): infatti, se A B allora A esuperiormente limitato, e dunque esiste t = sup A = min A⇤: essendo B ⇢ A⇤, si ha anche t B, e dunquet e un elemento separatore. E lecito attendersi percio che Q non soddisfi tale proprieta: l’esempio e ilsolito, basta prendere A = {x 2 Q : x2 < 2}.

Corrado Marastoni 47

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Classi contigue Due sottoinsiemi U, V ⇢ R tali che U V (ovvero, come detto, tali Classi contigue

che x y per ogni x 2 U e y 2 V ) e che per ogni " > 0 esistono due elementi x" 2 U ey" 2 V tali che y" � x" < ", si diranno classi contigue di numeri reali: l’idea e che “anchese V sta sopra ad U , ci sono pero elementi di U e V vicini quanto si vuole”.(37) E alloranaturale pensare che

Proposizione 1.3.3. Due classi contigue U, V ⇢ R di numeri reali ammettono un unicoelemento separatore ⇠ 2 R, e vale ⇠ = supU = inf V .

Dimostrazione. Siano ↵ = sup U e � = inf V (che di certo esistono perche U e V sono limitati risp.superiormente e inferiormente). Sappiamo anche che esiste qualche elemento separatore tra U e V ; poicheogni elemento separatore t 2 R tra U e V deve soddisfare ↵ t �, ci basta mostrare che ↵ = � perconcludere. Infatti, se per assurdo si avesse ↵ < �, si ha avrebbe allora U ↵ < � V , e allora per ognix 2 U e y 2 V si avrebbe y�x > ��↵ > 0: ma cio contraddirebbe la contiguita di U e V (basta prendere0 < " < � � ↵).

Esempi. Siano r 2 N e ↵ 2 Q, e poniamo U = {x 2 R : xr < ↵} e V = {x 2 R : xr > ↵}. Allora U e V

sono classi contigue, e il loro elemento separatore e la radice r-esima rp↵; se ↵ non e una “potenza r-esima

perfetta”, cioe non esiste � 2 Q tale che ↵ = �r), tale elemento separatore e irrazionale (cio generalizza il

ben noto caso r = ↵ = 2).

Densita dei razionali e degli irrazionali nei reali Come ultima cosa, vogliamo ri-cavare in modo preciso dalle proprieta di R un fatto gia detto in modo un po’ vago: che“ogni numero reale si puo approssimare a piacere con numeri razionali”. Se I e un inter-vallo di R e A ⇢ I, diremo che A e denso in I se, comunque presi x, y 2 I con x < y, Densita

esiste t 2 A tale che x < t < y (in altre parole, se “tra due qualsiasi elementi di I se netrova sempre qualcuno di A”): dimostreremo allora che sia Q che eQ = R \ Q (insieme deinumeri irrazionali) sono densi in R. A tal fine iniziamo col dimostrare che, come Q, ancheR gode della seguente proprieta:

Proposizione 1.3.4. (Archimedeita di R) Se x, y 2 R con x > 0, esiste n 2 N tale chenx > y. Analogamente, se x, y 2 R con x > 1 e y > 0, esiste n 2 N tale che xn > y.

Dimostrazione. Negare la tesi equivale a dire che esistono x, y 2 R con x > 0 tali che per ogni n 2 N valenx 6> y, cioe nx y: ovvero A = {nx : n 2 N} e superiormente limitato perche y 2 A⇤, e dunque esistex0 = sup A. Da x > 0 si ricava x0 � x < x0 : per la seconda proprieta caratteristica del sup, esistera n 2 Ntale che x0 � x < nx, ovvero x0 < (n + 1)x: ma allora x0 non e un maggiorante di A, assurdo perchex0 = sup A = min A⇤. Stesso procedimento per la seconda a↵ermazione (ove si usa la moltiplicazione inluogo dell’addizione).

Ricordiamo le funzioni parte intera [ · ] : R �! Z e parte frazionaria frac : R �! [0, 1[: sex 2 R, la sua “parte intera” [x] e il massimo intero r 2 Z tale che r x (dunque, perdefinizione, vale [x] x < [x] + 1), e la sua “parte frazionaria” e frac(x) = x� [x] 2 [0, 1[.Ad esempio, vale [32 ] = 1, [�4

3 ] = �2, frac(32) = 3

2 � 1 = 12 e frac(�4

3) = �43 � (�2) = 2

3 .

(37)Ad esempio, U =]0, 1[ e V =]1, 5[[{7} sono classi contigue di R, perche, preso un qualsiasi " > 0, si hax" = 1 � "

32 U , y" = 1 + "

32 V e y" � x" = 2"

3< "; anche U = {x 2 R : x2 < 2} e V = {x 2 R : x2 � 2},

sono classi contigue di R in quanto, preso un qualsiasi 0 < "⌧ 1, si ha x" =p

2 � "32 U , y" =

p2 + "

32 V

e y" � x" < 2"3

< ". Invece U =]0, 1] e V = [2, 4[ non lo sono: se 0 < " < 1, non esistono x" 2 U e y" 2 Vtali che y" � x" < " (tra U e V “c’e largo spazio”).

Corrado Marastoni 48

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Corollario 1.3.5. Q e eQ sono sottoinsiemi densi di R.

Dimostrazione. Siano x, y 2 R con x < y. Per l’archimedeita di R, essendo y � x > 0 esiste n 2 N tale chen(y � x) > 1, ovvero y � x > 1

n. Poniamo ora m = [nx] + 1 2 Z: vale [nx] nx < [nx] + 1 = m, da cui

[nx]n

x < mn

; si ha poi y = x + (y � x) > x + 1n� [nx]

n+ 1

n= m

n, e se ne ricava che x < m

n< y, come si

voleva. Si prenda poi un qualsiasi ↵ 2 eQ \ R>0 (ad esempio ↵ = ⇡), e sia m0n0 2 Q tale che x

↵< m0

n0 < y↵,

ovvero x < m0n0 ↵ < y: se m0 6= 0 allora m0

n0 ↵ 2 eQ e siamo a posto, mentre se m0 = 0 allora x < 0 < y e

dunque, preso n00 2 N tale che n00y > ↵, vale x < 0 < ↵n00 < y, con ↵

n00 2 eQ.

Esempio. Dati x =p

2 e y = 5p

36

(entrambi numeri irrazionali), notiamo che x < y: cerchiamo allora

un razionale mn

2 Q tale che x < mn

< y . Moltiplicando per i denominatori e elevando al quadrato

si ottiene che un tale mn

(che sappiamo esistera) deve soddisfare 24n2 < 12m2 < 25n2 . Cerchiamo la

buona frazione aumentando via via il denominatore n e controllando se qualche intero m soddisfa quanto

richiesto: per n = 1, 2, 3, 4, 5, 6 cio non e possibile, mentre per n = 7 si puo scegliere m = 10 (infatti

1176 < 1200 < 1225). Dunque x < 107

< y.

Corrado Marastoni 49

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1.4 I numeri complessi

Grazie alla sua proprieta di completezza, il corpo commutativo R dei numeri reali esoddisfacente dal punto di vista geometrico; non lo e altrettanto da quello algebrico, ovveroper le sue proprieta di corpo. Infatti, se si considera un polinomio

p(x) =

nX

j=0

ajxj = anxn + an�1x

n�1 + · · · + a1x + a0

non costante con coe�cienti reali aj (per j = 0, . . . , n) e si cercano le radici in R di p(x)(ovvero le soluzioni in R dell’equazione p(x) = 0, i numeri reali x0 tali che p(x0) = 0), sicontinua ad avere il problema che gia si aveva per il corpo Q (si pensi a p(x) = x2�2): taliradici non sempre si trovano nel corpo dei coe�cienti. Si veda, ad esempio, un trinomio disecondo grado con discriminante negativo, come x2 � 2x + 7 oppure, piu semplicemente,x2+1. Una (teorica) soluzione di quest’ultima equazione dovrebbe essere un “numero” chemoltiplicato per se stesso dia �1: come vedremo, sara proprio la creazione di un “numero”si↵atto (che, non potendo essere reale, sara spontaneo chiamare “immaginario”) a risolverela questione. Cerchiamo insomma un corpo commutativo che estenda R (cioe, che contengauna “copia isomorfa” del campo commutativo R, e le cui operazioni, se ristrette ad R, cirestituiscano le note operazioni di R) e che sia algebricamente chiuso, ovvero tale cheun polinomio di grado n a coe�cienti in tale corpo ammetta esattamente n soluzioni (secontate ognuna con la sua molteplicita) in esso. Tale corpo, che andiamo ora a costruire,si chiamera campo dei numeri complessi, e si denotera con C.

Nell’insieme R2 delle coppie ordinate di numeri reali definiamo le seguenti operazioni: Corpo deinumeri complessi

• (Addizione) (a, b) + (c, d) = (a + c, b + d);

• (Moltiplicazione) (a, b) · (c, d) = (ac � bd, ad + bc).

Denotiamo con C l’insieme R2 strutturato con tali operazioni.

Proposizione 1.4.1. (C, +, ·) e un campo (cioe un corpo commutativo).

Dimostrazione. Si tratta di verificare, con un po’ di pazienza, tutte le proprieta (An1)-(An2)-(An3)-(An4)-(An5)-(Cp). Per (An1), l’associativita di + e ovvia, l’elemento neutro 0 := (0, 0) e l’opposto di (a, b) e�(a, b) = (�a,�b). (An2), (An3) e (An5) si verificano alla mano (con calcoli un po’ tediosi ma elementari).Per (An4), l’elemento neutro di · e 1 := (1, 0). Per (Cp), cercando l’inverso (x, y) di (a, b) 6= (0, 0)dev’essere (x, y) · (a, b) = (1, 0), dunque ax � by = 1 e bx + ay = 0, da cui si ottiene l’unica soluzione(x, y) = ( a

a2+b2,� b

a2+b2).

Il piano cartesiano, quando si intende come l’insieme dei numeri complessi, viene solita-mente denominato piano di Gauss. Chiamiamo provvisoriamente R0 = {(x, 0) : x 2 R} Piano di Gauss

(ovvero, l’“asse delle ascisse” del piano di Gauss). Si vede facilmente che R0 e un sotto-corpo di C (si ha che 0 = (0, 0) e 1 = (1, 0) stanno in R0, e somme, prodotti, opposti

Corrado Marastoni 50

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e inversi di elementi di R0 stanno ancora in R0) e che la funzione f : R �! R0 data daf(x) = (x, 0) e un isomorfismo di corpi commutativi (e biiettiva, e rispetta le operazioni):pertanto f identifica R col sottocorpo R0 dentro C, e d’ora in poi confonderemo R ed R0,abbandonando quest’ultima notazione ormai inutile.

Forma algebrica di un numero complesso Posto

i := (0, 1) ,

notiamo che un qualsiasi z = (a, b) 2 C si scrive come z = (a, b) = (a, 0) + (0, b) =(a, 0) + (0, 1)(b, 0) = a + ib (ove si e usata la suddetta identificazione per R in C). Questaespressione si chiama la forma algebrica del numero complesso z. Il numero i si chiama Forma algebrica

unita immaginaria, ed ha la proprieta che i2 = i · i = (0, 1) · (0, 1) = (�1, 0) ' �1, Unitaimmaginaria

ovvero i2 = �1.(38) Nella forma algebrica z = a + ib, il numero reale a coe�ciente di 1 sichiama parte reale di z (denotata anche Re z), ed il numero reale b coe�ciente di i parte Parte reale

e immaginariaimmaginaria di z (denotata anche Im z): si avra dunque

z = a+ib, a = Re z 2 R, b = Im z 2 R (forma algebrica del numero complesso z).

I numeri che si trovano sull’asse x, che hanno parte immaginaria nulla, sono detti (coer-entemente con quanto detto prima) reali, mentre quelli sull’asse y, che hanno parte reale Numeri reali

e immaginarinulla, sono detti immaginari puri, e denoteremo con iR il loro insieme; come visto, R eun sottocorpo di C, mentre iR e solamente un sottogruppo additivo.(39) Si noti che, datidue numeri complessi z e w, vale z = w se e solo se Re z = Re w e Im z = Im w.

La forma algebrica rende facile calcolare somma e prodotto (per il quale d’ora in poi,analogamente ai numeri reali, non useremo piu il simbolo “·”) di due numeri complessi:bastera pensarli come binomi a coe�cienti reali con la relazione i2 = �1. Infatti, sez = a + ib e w = c + id si ha z + w = a + ib + c + id = (a + c) + i(b + d) (dacui Re(z + w) = Re z + Re w e Im(z + w) = Im z + Im w ), mentre zw = ac +iad + ibc + i2bd = (ac � bd) + i(ad + bc) (da cui Re(zw) = Re z Re w � Im z Im w eIm(zw) = Re z Im w + Im z Re w ).

Nel piano di Gauss, l’opposto �z di z si visualizza come il vettore(40) simmetrico a zrispetto a 0; piu generalmente, si vede subito che il prodotto tz con t 2 R e z 2 C ha l’e↵ettodi dilatare (o restringere) la lunghezza del vettore z per il fattore |t|, preservandone oinvertendone il verso a seconda che sia t ? 0. La somma z+w si puo rappresentare tramitela regola del parallelogramma, come il vettore diagonale uscente da 0 del parallelogramma

(38)...insomma, e proprio quello che speravamo di trovare quando poco fa cercavamo, inutilmente, ditrovare soluzioni reali per l’equazione x2 + 1 = 0.(39)Infatti, il prodotto di due numeri immaginari puri non e immaginario puro, ma reale: ib ib0 = �bb0.(40)Per “vettore” z intendiamo il segmento da 0 a z orientato verso z; si usa rappresentare un vettorecome una “freccia”, dotato di una “direzione” (la retta lungo la quale giace), di un “modulo” (o “intensita”in Fisica) dato dalla sua lunghezza, e di un “verso”, cioe l’orientazione scelta. Il concetto di “vettore”,grandezza che per essere descritta richiede la specificazione delle suddette tre caratteristiche, dovrebbeessere gia abbastanza familiare allo studente perlomeno per gli studi di Fisica fatti alle scuole superiori (sipensi ai vettori cinematici (posizione, velocita, accelerazione) e dinamici (esempio, la forza)).

Corrado Marastoni 51

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costruito sui vettori z e w; dunque, la di↵erenza z�w = z+(�w) sara il vettore diagonaleuscente da 0 del parallelogramma costruito sui vettori z e �w (si noti che l’altra diagonaledel parallelogramma costruito sui vettori z e w si ottiene “traslando il vettore z � w”).Anche il prodotto zw sara visualizzabile sul piano di Gauss ma ne riparleremo meglio piutardi, quando introdurremo la forma polare di un numero complesso.

Va notato anche che, in C, non si considera alcuna relazione d’ordine:(41) dati due numericomplessi z e w, l’espressione z w e dunque priva di senso, a parte il caso in cui entrambisiano reali (e allora va intesa come il consueto ordine totale di R).

Figura 1.8: Rappresentazione algebrica di un numero complesso; somma, modulo, coniugato.

Esercizio. Dati z = �1 + 2i e w = 3 + i, calcolare �z, z + w, z � w, z2 e zw, specificando le loro partireali e immaginarie.

Risoluzione. Vale �z = �(�1+2i) = 1�2i (con Re(�z) = 1 e Im(�z) = �2), z+w = �1+2i+3+i = 2+3i

(con Re(z+w) = 2 = Re z+Re w = �1+3 e Im(z+w) = 3 = Im z+Im w = 2+1), z�w = �1+2i�(3+i) =

�4+i (con Re(z�w) = �4 e Im(z�w) = 1), z2 = (�1+2i)2 = (�1)2+(2i)2+2(�1)(2i) = 1�4�4i = �3�4i

(con Re(z2) = �3 e Im(z2) = �4) e zw = (�1+2i)(3+ i) = �3� i+6i+2i2 = �5+5i (con Re(zw) = �5

e Im(zw) = 5).

Coniugato e modulo Dato un numero complesso z = a + ib, il coniugato di z e ilnumero complesso Coniugato

z = a � ib :

sul piano di Gauss si tratta semplicemente della riflessione di z rispetto all’asse reale, conRe z = Re z e Im z = � Im z. E chiaro che R = {z 2 C : z = z} e iR = {z 2 C : z = �z}.Il modulo di z e invece il numero reale Modulo

|z| =p

a2 + b2,

ovvero la lunghezza del vettore z; vale dunque |z| � 0, ed anzi |z| = 0 se e solo se z = 0.Osserviamo anche che |z � w| rappresenta la distanza tra i numeri complessi z e w sul Distanza

(41)In e↵etti, si dimostra che su C non si puo definire alcuna relazione d’ordine che lo renda un corpocommutativo ordinato (vedi pag. 41).

Corrado Marastoni 52

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piano di Gauss.(42) Le seguenti uguaglianze, che valgono per ogni z, w 2 C, sono tuttedi verifica immediata, tranne l’ultima (nota anche come disuguaglianza triangolare, perl’evidente significato geometrico che ha sul piano di Gauss):(43)

z + z = 2Re z, z � z = 2i Im z (oppure Re z = z+z2 e Im z = z�z

2i ), z = z,

z + w = z + w, zw = z w, zz = |z|2, |zw| = |z| |w|, |z + w| |z| + |w|.

Se z 6= 0, dall’uguaglianza zz = |z|2 si ricava l’importante espressione per il reciproco: Reciproco

1

z=

z

|z|2 , cioe se z = a + ib allora1

z=

✓a

a2 + b2

◆� i

✓b

a2 + b2

◆.

Esercizio. Dati z = �1 + 2i e w = 3 + i, calcolare z, z + w, |z|, |w|, |w2|, |zw|, 1z, 1

z, z � w, z

w, w+z�w

z.

Risoluzione. Si ha z = �1 � 2i, z + w = z + w = �1 � 2i + 3 � i = 2 � 3i, |z| =p

(�1)2 + (2)2 =p

5,

|w| =p

(3)2 + (1)2 =p

10, |w2| = |w|2 = 10, |zw| = |z||w| = 5p

2, 1z

= z|z|2 = �1�2i

5= � 1

5� 2

5i,

1z

= z|z|2 = z

|z|2 = �1+2i5

o anche 1z

= ( 1z) = �1+2i

5, z � w = (�1 + 2i) � (3 � i) = �4 + 3i, z

w= z 1

w=

z w|w|2 = (�1+2i)(3�i)

10= �1+7i

10e w+z�w

z= 1

z(2i Im w) + 1 = �1�2i

52i + 1 = 9�2i

5.

Esercizio. (1) Risolvere l’equazione 1 � z + iz = 3� z. (2) Dato u = �2+ i, determinare i numeri z 2 Ctali che |z � i| = 2 e Re(zu) = 1. (3) Determinare i numeri z 2 C tali che 1

z= iz.

Risoluzione. (1) Se z = x+iy si ha 1 � x � iy+i(x + iy) = 3�x�iy, ovvero 1�x+iy�ix�y = 3�x�iy,

ovvero 1 � x � y + i(y � x) = 3 � x + i(�y). Cio equivale a 1 � x � y = 3 � x e y � x = �y, con l’unica

soluzione (x, y) = (�4,�2). Pertanto z = �4 � 2i. (2) Se z = x + iy, si ha |z � i| = |x + iy � i| =

|x+ i(y� 1)| =p

x2 + y2 � 2y + 1 = 2, mentre Re(zu) = Re((x+ iy)(�2+ i)) = Re(�2x+ ix� 2iy� y) =

Re(�2x� y + i(x� 2y)) = �2x� y = 1, da cui le due equazioni x2 + y2 � 2y + 1 = 4 e �2x� y = 1. Dalla

seconda si ha y = �2x � 1, che messa nella prima da 5x2 + 8x = 0, ovvero x = 0 oppure x = � 85, da cui

rispettivamente y = �1 e y = 115

. Si ottengono allora le due soluzioni z = �i e z = �8+11i5

. (3) Dev’essere1z

= z|z|2 = iz = �iz. Essendo senz’altro z 6= 0 e dunque z 6= 0, si ricava 1

|z|2 = �i, che e assurdo (il primo

membro e reale positivo, il secondo immaginario puro). Dunque l’equazione non ha soluzioni.

Radici quadrate Dato un numero complesso z0 = a + ib , calcoliamone le radici

quadrate, ovvero tutti i numeri complessi z = x + iy 2 C tali che z2 = z0. Si ottiene allora Radici quadrate

z2 = (x + iy)2 = (x2 � y2) + (2xy)i = a + ib, da cui il sistema(

x2 � y2 = a

2xy = b. Se z0 = 0 si

trova solo z = 0; in tutti gli altri casi si trovano due soluzioni, l’una l’opposta dell’altra,

(42)Come osservato in precedenza, l’altra diagonale del parallelogramma costruito sui vettori z e w siottiene “traslando il vettore z � w = z + (�w).(43)Vale |z + w|2 = (z + w)(z + w) = (z + w)(z + w) = |z|2 + |w|2 + 2 Re(zw); ma Re(zw) | Re(zw)| |zw| = |z||w| = |z||w|, da cui |z + w|2 |z|2 + |w|2 + 2|z||w| = (|z| + |w|)2, equivalente alla tesi.

Corrado Marastoni 53

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Analisi Matematica I

date da

z =

8>>><>>>:

±pa (se b = 0, a > 0)

±ip�a (se b = 0, a < 0)

±✓qp

a2+b2+a2 + i (sign b)

qpa2+b2�a

2

◆(se b 6= 0),

ove sign b = 1 (se b > 0) oppure �1 (se b < 0). In sostanza, tranne lo zero, ogni numerocomplesso non nullo ha esattamente due radici quadrate, l’una opposta dell’altra.(44) Comesi vede, se z e un numero reale positivo (ovvero z = a > 0), si ritrovano le gia note radicireali ±p

a; se invece z e un numero reale negativo (ovvero z = a < 0) si hanno due radiciimmaginarie pure ±i

p�a (in particolare, se z = �1 si trovano ±i).

Esempi. (1) Le radici quadrate di 4 sono ±2; quelle di �12 sono ±2p

3i. (2) Nel caso in cui z sia

immaginario puro (ovvero z = ib, con a = 0) dalla formula sopra si ottiene ±q

|b|2

(1 + (sign b)i). Ad

esempio, per z = i si ha ± 1p2(1 + i), mentre per z = �3i si ha ±

q32(1 � i). (3) Le radici di z = 1 � 3i

sono ±(

qp10+12

� 3p2(p

10+1)i).

Piu generalmente si puo mostrare (e lo faremo tra breve, vedi Proposizione 1.4.2) che,dato un qualsiasi m 2 N, ogni numero complesso non nullo ammette esattamente m radicim-esime distinte.

Forma polare e trigonometrica di un numero complesso Introduciamo ora unadescrizione alternativa dei numeri complessi.

I punti del piano cartesiano, oltre che con le consuete coordinate cartesiane (x, y), possonoessere descritti (se diversi dall’origine O) anche con le coordinate polari (⇢, ✓) , ove ⇢ (detta Coordinate polari

modulo) e la distanza di P da O e ✓ (detto argomento o anomalia) e l’angolo, espressoin radianti, individuato dal vettore OP sulla circonferenza goniometrica S1 = {(x, y) 2R2 : x2 + y2 = 1} nel modo gia descritto, ovvero contando, positivamente in senso orario,dal punto base (1, 0). Il modulo e un numero reale > 0 ben definito, mentre l’argomentoe un numero reale individuato a meno di multipli interi di 2⇡, anche se si usa chiamareargomento principale l’argomento in ]� ⇡,⇡].(45) Il legame con le coordinate cartesiane e, Argomento

principalecome si vede facilmente,

x = ⇢ cos ✓, y = ⇢ sin ✓,

e viceversa⇢ =

px2 + y2, (cos ✓, sin ✓) = ( xp

x2+y2, yp

x2+y2).

Applichiamo ora queste considerazioni ai numeri complessi. Denotiamo con U la circon-ferenza S1 pensata come sottoinsieme di C: sara dunque

U = {z 2 C : |z| = 1} = {cos ✓ + i sin ✓ : ✓ 2 R} .

(44)Questa e la prima dimostrazione concreta della proprieta di chiusura algebrica dei numeri complessi,menzionata all’inizio (un polinomio di grado n a coe�cienti complessi ha n soluzioni complesse, se contatecon la loro molteplicita): in questo caso il polinomio e z2 � z0, di grado 2, e difatti l’equazione z2 � z0 = 0ha esattamente due soluzioni distinte tranne il caso in cui z0 = 0, in cui c’e una sola soluzione ma doppia.(45)Si noti che, ad esempio, in queste coordinate si puo scrivere semplicemente S1 = {(⇢, ✓) : ⇢ = 1}.

Corrado Marastoni 54

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Analisi Matematica I

Si noti che U, luogo dei complessi di modulo 1, e sottogruppo moltiplicativo di (C⇥, · ): Numeri complessidi modulo 1

infatti, se z, w 2 U, allora |zw| = |z||w| = 1 e |1z | = 1|z| = 1, dunque zw 2 U e 1

z 2 U.

Ogni complesso z 6= 0 si puo scrivere come z = |z|uz , con uz = z|z| = Re z

|z| +i Im z|z| 2 U:(46)

Forma polare

z = |z|uz, con uz = z|z| 2 U (forma polare del numero complesso z) .

Scritto uz = cos ✓+ i sin ✓ usando l’argomento ✓ di z si ottiene la forma seguente, del tuttoanaloga alla polare: Forma

trigonometrica

z = |z|(cos ✓ + i sin ✓) (forma trigonometrica del numero complesso z).

Nella forma polare, z = |z|uz e w = |w|uw sono uguali se e solo se |z| = |w| e uz = uw ;nella forma trigonometrica, z = |z|(cos ✓+ i sin ✓) e w = |w|(cos + i sin ) sono ugualise e solo se |z| = |w| e = ✓ + 2k⇡ per qualche intero k.

Usando le formule trigonometriche di addizione si vede subito che (cos ✓ + i sin ✓)(cos +i sin ) = cos(✓+ )+i sin(✓+ ) e percio in generale, considerate le forme trigonometrichez = |z|(cos ✓ + i sin ✓) e w = |w|(cos + i sin ), si ottiene Forma

trigonometricadel prodotto

zw = |z||w|(cos(✓ + ) + i sin(✓ + )),

che e gia la forma trigonometrica del prodotto: in altre parole, la moltiplicazione inC di due numeri z e w si interpreta nel piano di Gauss prima modificando il modulodel vettore z moltiplicandolo per il fattore |w|, e poi ruotandolo per l’argomento di w.Notiamo anche che le forme trigonometriche dell’opposto, del coniugato e del reciproco diz = |z|(cos ✓ + i sin ✓) sono

�z = |z|(cos(⇡ + ✓) + i sin(⇡ + ✓)); z = |z|(cos(�✓) + i sin(�✓)); 1

z=

1

|z| (cos(�✓) + i sin(�✓)).

Figura 1.9: Coordinate polari nel piano; prodotto tra numeri complessi; radici cubiche w0, w1 e w2 di z.

(46)Tale uz e chiamato anche segno di z, perche se z 2 R vale uz = ±1 a seconda che z ? 0.

Corrado Marastoni 55

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Analisi Matematica I

Esercizio. (1) Calcolare la forma trigonometrica di 4, �1, �3i, �1 �p

3i, 1 � 3i, 1 + 2i. Il numeroz = �3(cos ✓ � i sin ✓) e in forma trigonometrica? (2) Calcolare la forma algebrica del numero complessodi modulo 2 ed argomento 3⇡

4.

Risoluzione. (1) 4 = |4|· 4|4| = 4(cos 0+i sin 0); �1 = |�1| �1

|�1| = 1·(�1) = cos⇡+i sin⇡; �3i = |�3i| �3i|�3i| =

3(�i) = 3(cos 3⇡2

+ i sin 3⇡2

); �1 �p

3i = 2(� 12�p

32

i) = 2(cos 4⇡3

+ i sin 4⇡3

); 1 � 3i =p

10( 1p10

� 3p10

i) =p10(cos ✓+ i sin ✓) con ✓ = � arcsin( 3p

10); 1+2i =

p5( 1p

5+ 2p

5i) =

p5(cos ✓+ i sin ✓) con ✓ = arcsin( 2p

5).

Il numero z non e in forma trigonometrica: vale z = 3(� cos ✓ + i sin ✓) = 3(cos(⇡ � ✓) + i sin(⇡ � ✓)), e

quest’ultima e la forma cercata. (2) Si tratta di 2(cos 3⇡4

+ i sin 3⇡4

) = 2(�p

22

+p

22

i) =p

2(�1 + i) =

�p

2 +p

2i.

La forma polare/trigonometrica e pratica anche per il calcolo di potenze intere e radici.

Proposizione 1.4.2. (Formule di de Moivre per le potenze e le radici)Siano z = |z|(cos ✓ + i sin ✓) 2 C e m 2 N. Allora:

(i) vale zm = |z|m(cos(m✓) + i sin(m✓));

(ii) esistono esattamente m distinte radici m-esime di z (ovvero, numeri complessi wtali che wm = z), poste sui vertici di un m-agono regolare inscritto nel cerchio deinumeri complessi di modulo m

p|z|, e sono date da

wk = mp

|z|�cos

�✓+2k⇡

m

�+ i sin

�✓+2k⇡

m

��(con k = 0, 1, . . . , m � 1).

Dimostrazione. Essendo zm = z · · · z (con m fattori), (i) deriva, direttamente dalle osservazioni fatte sopra.Sia w = |w|(cos + i sin ) una radice m-esima di z: usando (i), si ha dunque wm = |w|m(cos(m ) +i sin(m )) = z = |z|(cos ✓ + i sin ✓), da cui |w|m = |z| e m = ✓ + 2k⇡ per qualche k 2 Z. Si ricavadunque |w| = m

p|z| e = ✓+2k⇡

mper qualche k 2 Z, ma basta limitarsi agli m interi k = 0, 1, . . . , m � 1

per considerare tutti i possibili risultati senza ripetizione. Tutte le radici si trovano sul cerchio dei numericomplessi di modulo m

p|z|, e tra una radice wk e la successiva wk+1 intercorre sempre il medesimo angolo

✓+2(k+1)⇡m

� ✓+2k⇡m

= 2⇡m

, da cui l’a↵ermazione sulla disposizione delle radici nel piano di Gauss.

Esercizio. (1) Dati z =p

3 � i e w = �2 + 3i, calcolare zn (per 0 n 6), w5. (2) Calcolare le radiciquadrate e cubiche di z1 = �1, le quarte di z2 = �1 �

p3i e le quinte di z3 = 1 � 2i.

Risoluzione. (1) Conviene esprimere z in forma trigonometrica, ovvero z = 2(p

32� 1

2i) = 2(cos ⇡

6+ i sin ⇡

6):

allora si ha la formula generale zn = 2n(cos n⇡6

+ i sin n⇡6

). Se n = 0, 1 si trova z0 = 20(cos 0+ i sin 0) = 1 e

z1 = 21(cos ⇡6

+ i sin ⇡6) = z, come previsto; poi, si ha z2 = 22(cos 2⇡

6+ i sin 2⇡

6) = 4( 1

2+p

32

i) = 2(1+p

3i),

z3 = 8(cos ⇡2

+ i sin ⇡2) = 8i, z4 = 16(cos 2⇡

3+ i sin 2⇡

3) = 16(� 1

2+p

32

i) = 8(�1 +p

3i), z5 = 32(cos 5⇡6

+

i sin 5⇡6

) = 32(�p

32

+ 12i) = 16(�

p3 + i) e z6 = 64(cos⇡ + i sin⇡) = �64 = (8i)2 = (z3)2. Si ha poi

w =p

13(� 2p13

+ 3p13

i) =p

13(cos ✓+ i sin ✓) con ✓ = ⇡ � arcsin( 3p13

), da cui w5 = 1352 (cos 5✓+ i sin 5✓);

ora, vale sin 2✓ = 2 sin ✓ cos ✓ = � 1213

e cos 2✓ = cos2 ✓ � sin2 ✓ = � 513

, da cui sin 4✓ = 2 sin 2✓ cos 2✓ = 120169

e cos 4✓ = cos2 2✓ � sin2 2✓ = � 119169

, da cui cos 5✓ = cos(✓ + 4✓) = cos ✓ cos 4✓ � sin ✓ sin 4✓ = � 122

1352

e

sin 5✓ = sin(✓ + 4✓) = sin ✓ cos 4✓ + cos ✓ sin 4✓ = � 597

1352

: se ne ricava w5 = �122 � 597i. Come si vede, i

conti con la forma trigonometrica non sono molto vantaggiosi se l’argomento non e uno degli archi notevoli:

in questi casi, molto meglio trattare il numero complesso come un qualsiasi binomio nel calcolo letterale,

ricorrendo alla formula del binomio di Newton (A+B)n =Pn

j=0

�nj

�An�jBj , ove

�nj

�= n!

j!(n�j)!; otteniamo

allora w5 = (�2 + 3i)5 = (�2)5 + 5(�2)4(3i)1 + 10(�2)3(3i)2 + 10(�2)2(3i)3 + 5(�2)1(3i)4 + (3i)5 =

Corrado Marastoni 56

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�32 + 240i + 720 � 1080i � 810 + 243i = �122 � 597i. (2) Si ha z1 = 1(cos⇡ + i sin⇡), dunque le

radici quadrate sono w0 =p

1(cos ⇡2

+ i sin ⇡2) = i e w1 =

p1(cos ⇡+2⇡

2+ i sin ⇡+2⇡

2) = �i, mentre le

cubiche sono w0 = 3p

1(cos ⇡3

+ i sin ⇡3) = 1

2(1 +

p3i), w1 =

p1(cos ⇡+2⇡

3+ i sin ⇡+2⇡

3) = �1 e w2 =p

1(cos ⇡+4⇡3

+ i sin ⇡+4⇡3

) = 12(1 �

p3i); le radici quarte di z2 = �1 �

p3i = 2(cos 4⇡

3+ i sin 4⇡

3) sono

w0 = 4p

2(cos4⇡34

+ i sin4⇡34

) =4p22

(1 +p

3i), w1 = 4p

2(cos4⇡3

+2⇡

4+ i sin

4⇡3

+2⇡

4) =

4p22

(�p

3 + i), w2 =4p

2(cos4⇡3

+4⇡

4+ i sin

4⇡3

+4⇡

4) = � 4p2

2(1 +

p3i) e w3 = 4

p2(cos

4⇡3

+6⇡

4+ i sin

4⇡3

+6⇡

4) =

4p22

(p

3 � i). Infine

e z3 = 1� 2i =p

5( 1p5� 2p

5i) =

p5(cos ✓+ i sin ✓) con ✓ = � arcsin( 2p

5); la formula delle radici quinte da

allora wk = 10p

5(cos( ✓+2k⇡5

) + i sin( ✓+2k⇡5

)), per k = 0, 1, 2, 3, 4.

Esponenziale, logaritmo e potenze nel campo complesso Introduciamo la fun-zione esponenziale complesso Esponenziale

complesso

exp : C �! C⇥, z = x + iy 7! exp z = ex(cos y + i sin y)

(notiamo dunque che, dato z in forma algebrica, exp(z) risulta gia in forma trigonometrica,essendo | exp z| = ex). Osserviamo le seguenti proprieta, di verifica immediata.

(1) Se z = x 2 R, vale exp x = ex, e in particolare exp 0 = 1 (d’ora in poi, dunque, vistoche non c’e nessuna ambiguita, scriveremo indi↵erentemente “exp z” o “ez”).

(2) Se z = iy 2 iR, vale eiy = cos y + i sin y (un elemento di U): d’ora in poi potremodunque esprimere la forma polare/trigonometrica di un numero complesso z anchenella forma z = |z|ei✓ , ove ✓ e l’argomento di z.

(3) Come nel caso reale, vale la proprieta d’omomorfismo exp(z + w) = (exp z)(exp w)per ogni z, w 2 C (e dunque exp : (C, +) �! (C⇥, · ) e un morfismo di gruppi).

(4) L’esponenziale complesso e suriettivo ma non e iniettivo (vedi la definizione di logar-itmo complesso qui di seguito).

Esercizio. Si calcoli l’esponenziale (in forma algebrica e trigonometrica) di t = i, z = �1� i e w = 13�⇡i.

Risoluzione. Per il calcolo dell’esponenziale di un numero complesso conviene partire dalla sua forma

algebrica: si ha et = e0(cos 1 + i sin 1) = cos 1 + i sin 1, ez = e�1(cos(�1) + i sin(�1)) = cos 1e

� i sin 1e

e

ew = e13 (cos(�⇡) + i sin(�⇡)) = � 3

pe.

Dato w 2 C⇥, il logaritmo complesso log w di w e definito come l’insieme dei numeri Logaritmocomplesso

complessi il cui esponenziale da w, ovvero

log w = exp�1(w) = {z 2 C : ez = w}.

Come e fatto tale insieme? Sia w = |w|ei✓, con ✓ 2] � ⇡,⇡] argomento principale: sez = x + iy 2 log w, avremo ez = exeiy = |w|ei✓, da cui ex = |w| (ovvero x = log |w|) ey = ✓ + 2k⇡ per qualche k 2 Z, e dunque possiamo scrivere

log w = log |w| + i(✓ + 2Z⇡) = {log |w| + i(✓ + 2k⇡) : k 2 Z}

(si tratta di una famiglia di numeri complessi posta verticalmente sulla retta Re z =log |w|). Il numero ottenuto per k = 0, ovvero log w := log |w| + i✓, viene detto logaritmo

Corrado Marastoni 57

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principale (oppure determinazione principale del logaritmo) di w: ad esempio, se w 2 R>0 Logaritmoprincipale

la determinazione principale del logaritmo di w = t 2 R>0 e il gia noto logaritmo realelog t. Ribadiamo che, mentre log w rappresenta un insieme di numeri complessi, log w eun ben preciso numero complesso in log w, e vale

log w = log w + 2k⇡i (k 2 Z).

Esercizio. Si calcoli il logaritmo complesso dei numeri 1; i; �1 � i; 13� ⇡i.

Risoluzione. Contrariamente all’esponenziale, per il logaritmo e preferibile partire dalla forma trigono-

metrica, che nei casi in questione e 1 = ei0, i = ei ⇡2 , �1 � i =

p2ei 5⇡

4 e 13� ⇡i =

q19

+ ⇡2 ei con

= � arcsin( ⇡p19+⇡2

). Percio log 1 = {log 0 + i(0 + 2k⇡) : k 2 Z} = {2k⇡i : k 2 Z} (in altre pa-

role: exp w = 1 se e solo se w = 2k⇡i per qualche k 2 Z), log i = {log 1 + i(⇡2

+ 2k⇡) : k 2 Z} =

{i(⇡2

+ 2k⇡) : k 2 Z} (sottoinsieme dell’asse immaginario), log(�1� i) = { 12

log 2 + i( 5⇡4

+ 2k⇡) : k 2 Z} e

log( 13� ⇡i) = { 1

2log( 1

9+ ⇡2) + i(� arcsin( ⇡p

19+⇡2

) + 2k⇡) : k 2 Z}.

Dati z, w 2 C con w 6= 0, definiamo la potenza complessa wz come il seguente sottoinsieme Potenzacomplessa

di C:

wz = exp(z log w)

= exp(z log w) exp(2iZ⇡z) = {exp(z log w) exp(2ik⇡z) : k 2 Z}.

Il numero complesso exp(z log w) (ove log w e il logaritmo principale di w) e detto potenzaprincipale (oppure determinazione principale di wz). Potenza

principale

Esercizio. Si discuta wz nei seguenti casi: (1) z 2 Q; (2) z 2 C \ Q; (3) z 2 R; (4) z 2 iR; (5) w = e;(6) w = z = i; (7) w = 3, z = ⇡; (8) w = �2(

p3 + i), z = � 2

5.

Risoluzione. (1) Sia z = mn

: allora exp(2iZ⇡mn

) e l’insieme delle n radici n-esime di 1, e dunque wz

ha esattamente n determinazioni diverse (che sono, guarda caso, le radici n-esime di wm). (2) In questo

caso wz ha Z-infinite determinazioni, perche exp(2iZ⇡z) ' Z. (3) In questo caso exp(2iZ⇡z) ⇢ U, dunque

tutte le determinazioni hanno il medesimo modulo della potenza principale. (4) Qui exp(2iZ⇡z) ⇢ R+,

dunque tutte le determinazioni sono multipli positivi della potenza principale. (5) ez = (exp z) exp(2iZ⇡z)

(l’esponenziale complesso exp z e solo la potenza principale di ez). (6) Per quanto detto in (2) e (4), ii

avra infinite determinazioni, tutte multipli positivi della principale: si ricava anzi ii = e�⇡2

+2Z⇡. (7)

Per (2) e (3), vi saranno infinite determinazioni col medesimo modulo, e dai conti si ricava 3⇡ exp(2⇡2iZ)

(ove 3⇡ indica la potenza reale, determinazione principale della 3⇡ complessa). (8) Per (1), wz avra 5

determinazioni, che saranno le radici quinte di (�2(p

3 + i))�2 = 1�p

3i32

= 116

(cos 5⇡3

+ i sin 5⇡3

): esse sono

dunque5p22

(cos(⇡3

+ 2k⇡5

) + i sin(⇡3

+ 2k⇡5

)) per k = 0, 1, 2, 3, 4. La potenza principale, ottenuta per k = 0,

e dunque5p22

(cos ⇡3

+ i sin ⇡3) =

5p24

(1 +p

3i).

Come visto, ne il logaritmo complesso log w ne la potenza complessa wz sono funzioni diw 2 C⇥, nel senso che una funzione puo dare uno ed un solo valore (e non parecchi) adogni elemento del suo dominio. Tuttavia, in casi come questo, si parla di “funzioni a valorimultipli definite in C⇥” o anche “funzioni ramificate su C⇥”: si sta pensando in realta ad

Corrado Marastoni 58

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una funzione t : C �! C, e l’insieme dei valori che la corrispondente funzione ramificata Tassocia a w 2 C⇥ e T (w) = {t(z) : exp z = w} (ovvero, T (w) e l’insieme delle immagini,tramite t, dei vari logaritmi di w in C). Ad esempio, per T (w) = log w si ha t(⇣) = ⇣,mentre per T (w) = wz si ha t(⇣) = exp(z⇣).

Equazioni algebriche nel campo complesso Terminiamo enunciando (senza dimo-

strazione) l’essenziale proprieta di C che abbiamo presentato, all’inizio, come ragione perla sua costruzione.

Teorema 1.4.3. (Teorema fondamentale dell’Algebra) Ogni polinomio non costante inuna variabile a coe�cienti in C ammette almeno una radice in C.

Cerchiamo di capire meglio questo teorema. Sia n 2 N, e consideriamo un polinomio

p(z) =

nX

j=0

ajzj = anzn + an�1z

n�1 + · · · + a1z + a0

con coe�cienti aj 2 C (per j = 0, . . . , n) e an 6= 0 (dunque p(z) non e costante), e sia↵1 2 C una radice di p(z) in C; grazie a Ru�ni possiamo dividere p(z) per il fattore(z � ↵1) ottenendo p(z) = (z � ↵1)q(z) , ove q(z) e il polinomio quoziente, di gradon� 1. Se n� 1 = 0, q(z) e costante ed abbiamo terminato; altrimenti, possiamo applicareancora il teorema a q(z), e poi via via ancora ai quozienti: alla fine arriveremo a scriverep(z) = an

Qnj=1(z � ↵j) = an(z � ↵1) · · · (z � ↵n) . Puo certamente accadere che non tutti

gli ↵j siano diversi gli uni dagli altri(47) e dunque, considerando solo la famiglia ↵1, . . . ,↵d

(con 1 d n) delle radici distinte, radunando i fattori uguali potremo scrivere

p(z) = an(z � ↵1)m1 · · · (z � ↵d)

md

ove i numeri naturali m1, . . . , md (detti rispettivamente molteplicita delle radici ↵1, . . . ,↵d) Molteplicita

soddisfanoPd

j=1 mj = n. Possiamo dunque a↵ermare che se n 2 N, ogni polinomio inuna variabile di grado n a coe�cienti in C ammette n radici in C, ove ogni radice distintavenga pero contata un numero di volte pari alla sua molteplicita: ne consegue che, in C, isoli polinomi non costanti irriducibili sono quelli di primo grado.

Come abbiamo gia notato, il corpo dei reali R non gode di questa proprieta. Tuttavia,poniamo di avere un polinomio p(z) =

Pnj=0 ajz

j (ove an 6= 0) che sia multiplo costante di

un polinomio a coe�cienti reali, ovvero che p(z)an

sia un polinomio a coe�cienti reali: a menodi dividere per an, dunque, possiamo supporre da subito che tutti i coe�cienti a0, . . . , an

siano reali. Cosa si potra dire delle sue soluzioni? Iniziamo con l’osservare che se � 2 C e

una radice di p(z), lo sara anche la coniugata �, perche p(�) =Pn

j=0 aj�j

=Pn

j=0 aj�j =

0 = 0 (ove nella seconda uguaglianza si sono usate le proprieta del coniugio ed il fatto che icoe�cienti sono reali): pertanto, le radici non reali di p(z) “vengono sempre a coppie” fattedi numeri coniugati. Ora, dividendo p(z) per (z��)(z��) = z2�2(Re�)z+|�|2 (polinomiodi secondo grado a coe�cienti reali), troveremo ancora un quoziente a coe�cienti reali cui

(47)Come caso estremo si pensi a p(z) = (z � ↵)n, in cui tutte le radici sono uguali ad ↵.

Corrado Marastoni 59

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Analisi Matematica I

si potra applicare lo stesso ragionamento: in particolare, e chiaro che alla fine � e �avranno la stessa molteplicita. Abbiamo dunque dimostrato il seguente

Corollario 1.4.4. Sia p(z) =Pn

j=0 ajzj un polinomio a coe�cienti reali, con r radici

reali ↵1, . . . ,↵r di molteplicita m1, . . . , mr, ed s coppie di radici non reali e coniugate�1,�1, . . . ,�s,�s di molteplicita m0

1, . . . , m0s (con r, s � 0 e r + 2s = n): allora

p(z) = an

rY

j=1

(z � ↵j)mj

sY

k=1

(z2 � 2(Re�k)z + |�k|2)m0k

e la decomposizione di p(z) in fattori irriducibili con coe�cienti in R.In particolare: (1) i polinomi a coe�cienti reali irriducibili in R hanno grado al piu due;(2) tutti i polinomi a coe�cienti reali di grado dispari hanno almeno una radice reale.

Esercizio. (1) Trovare le radici dei polinomi p(z) = (1 � i)z2 � 3iz � (1 + 2i) e q(z) = 2z2 � 2z + 7.(2) Trovare le radici del polinomio p(z) = z3 + z + 10, sapendo che una di esse e 1 � 2i. Scrivere ladecomposizione di p(z) in fattori irriducibili in R ed in C. (3) Trovare le radici del polinomio p(z) = 4z4+9e scrivere la decomposizione di p(z) in fattori irriducibili in R ed in C.

Risoluzione. (1) Dividendolo per an = 1 � i, si osserva che p(z) non e multiplo di un polinomio a

coe�cienti reali: dunque di certo le due radici di p(z) in C non saranno coniugate, e non potranno

nemmeno essere entrambe reali. La formula risolutiva e la solita delle equazioni di secondo grado: z1,2 =3i±

p(�3i)2�4(1�i)(�1�2i)

2(1�i)= 1

21+i2

(3i ±p

3 + 4i), ove stavolta l’espressione “±p

3 + 4i” sta ad indicare le

due radici quadrate del numero complesso w = 3 + 4i. Un calcolo diretto: da (x + iy)2 = w si ricava

x2 � y2 + (2xy)i = 3 + 4i, ovvero xy = 2 e x2 � y2 = 3, da cui (x, y) = ±(2, 1): le radici di w sono

x + iy = ±(2 + i). (Il metodo moltiplicativo per trovare le radici di w qui e meno vantaggioso, ma

vediamolo comunque: si ha w = 5( 35

+ 45i) = 5(cos ✓ + i sin ✓) con ✓ = arccos 3

5, da cui le radici quadrate

sono w0 =p

5(cos ✓2

+ i sin ✓2) e w1 = �w0; dalle formule di bisezione si ricava cos ✓

2=q

1+cos ✓2

= 2p5

e

sin ✓2

=q

1�cos ✓2

= 1p5, da cui w0 = 2+i.) Tornando alle soluzioni, si trova dunque z1,2 = 1

21+i2

(3i±(2+i)),

ovvero z1 = �1+3i2

e z2 = �1. L’altro polinomio q(z) e invece a coe�cienti reali, dunque le sue radici

saranno o entrambe reali o complesse coniugate l’una dell’altra. Il conto mostra subito che accade la seconda

eventualita: infatti z1,2 =1±

p(�1)2�2·7

2= 1±

p13i

2. (2) Il polinomio e a coe�cienti reali, e di grado dispari:

dunque ammettera senz’altro una radice reale, e le altre due saranno o entrambe reali o complesse coniugate

l’una dell’altra. L’informazione aggiuntiva ci dice che accade la seconda eventualita: dunque le altre due

radici saranno 1 � 2i e 1 � 2i = 1 + 2i. Dividendo p(z) per (z � (1 � 2i))(z � (1 + 2i)) = z2 � 2z + 5

si ottiene z + 2, da cui le decomposizioni cercate sono p(z) = (z + 2)(z � (1 � 2i))(z � (1 + 2i)) (in

C) e p(z) = (z + 2)(z2 � 2z + 5) (in R); la radice reale, di cui si era prevista l’esistenza, e �2. (3)

Le radici di p(z) sono le radici quarte di � 94, ovvero i numeri complessi a due a due coniugati w0 =

p3

2(1 + i), w1 =

p3

2(�1 + i), w2 =

p3

2(�1 � i) = w1 e w3 =

p3

2(1 � i) = w0. Le decomposizioni

sono 4(z � w0)(z � w0)(z � w1)(z � w1) (in C) e 4(z2 � 2 Re(w0)z + |w0|2)(z2 � 2 Re(w1)z + |w1|2) =

4(z2 �p

3z + 32)(z2 +

p3z + 3

2) = (2z2 � 2

p3z + 3)(2z2 + 2

p3z + 3) (in R).

Esercizio. Si consideri la funzione f : C �! C, f(z) = z3. (i) f e iniettiva? E suriettiva? (ii) Determinaref(A) e f�1(A), ove A = {z 2 C : Re z > 0}. (iii) Determinare f(�8) e f�1(�8). (iv) DescrivereS = {t(1 + i) : t 2 R>0}, e calcolare f(S) e f�1(S).

Corrado Marastoni 60

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Analisi Matematica I

Risoluzione. (i) Per l’iniettivita bisognerebbe dimostrare che f(z1) = f(z2) implica z1 = z2: ma f(z1) =

f(z2) significa z13 = z2

3, ovvero z13 = z2

3, e cio non implica a↵atto che z1 = z2 (ogni numero complesso

non nullo ha tre distinte radici cubiche). Dunque f non e iniettiva. Per la suriettivita bisognerebbe

dimostrare che per ogni w 2 C (codominio) esiste z 2 C (dominio) tale che f(z) = w, cioe che l’equazione

z3 = w ha sempre soluzione in z: e cio e vero, perche essa equivale a z3 = w, e dunque se w = 0 c’e la

soluzione z = 0, mentre se w 6= 0 essa e soddisfatta dalle tre radici cubiche di w. Dunque f e suriettiva.

(ii) A e il semipiano alla destra dell’asse immaginario (escluso). Un numero w 2 C (codominio) appartiene

a f(A) se e solo se f(z) = z3 = w per qualche z 2 A, ovvero per qualche z con Re z > 0. Certo sara w 6= 0

(perche f(z) = 0 solo per z = 0, e 0 /2 A); scritti allora w = |w|ei✓ e z = |z|ei , la condizione f(z) = w si

scrive |z|3e�3i = |w|ei✓, ed equivale dunque a |z| = 3p

|w| e = � ✓3

+2k⇡ per qualche k 2 Z. Imponendo

che z 2 A, si ottiene che �⇡2

+ 2k⇡ < < ⇡2

+ 2k⇡, e percio si ricava �⇡2

+ 2k⇡ < � ✓3

< ⇡2

+ 2k⇡, ovvero

� 3⇡2

+ 6k⇡ < ✓ < 3⇡2

+ 6k⇡ per qualche k 2 Z. Cio non da alcuna restrizione per w 6= 0 (ad esempio, per

k = 0 si ottiene � 3⇡2

< ✓ < 3⇡2

, che copre tutto C⇥). Dunque f(A) = C⇥. Invece, z 2 C (dominio) sta in

f�1(A) se e solo se f(z) 2 A, ovvero se e solo se Re(z3) > 0. Poiche z 6= 0 (perche f(0) = 0 /2 A), scriviamo

z = |z|ei✓: si ha allora Re(z3) = Re(|z|3e�3i✓) = |z|3 cos(�3✓) = |z|3 cos 3✓, dunque la condizione diventa

cos 3✓ > 0, ovvero �⇡2

+2k⇡ < 3✓ < ⇡2

+2k⇡, ovvero �⇡6

+ 2k⇡3

< ✓ < ⇡6

+ 2k⇡3

(con k 2 Z): facendo variare

✓ 2 [�⇡,⇡], si ottiene percio f�1(A) = {z = |z|ei✓ 2 C⇥ : � 5⇡6

< ✓ < �⇡2

o �⇡6

< ✓ < ⇡6

o ⇡2

< ✓ < 5⇡6

},

che e una “elica di ventilatore” unione di tre spicchi del piano di Gauss delimitati da rette uscenti da 0

(escluso). (iii) Vale f(�8) = (�8)3 = (�8)3 = �512; la condizione f(z) = z3 = �8 equivale a z3 = �8, da

cui (cercando le radici cubiche) si ottiene z = �2, 1±p

3i: dunque f�1(�8) = {�2, 1+p

3i, 1�p

3i}. (iv)

Il punto generico di S si scrive (gia in forma trigonometrica) come zt =p

2tei ⇡4 al variare di t > 0: dunque

S e la semiretta nel piano di Gauss uscente da 0 (escluso) e passante per 1 + i. Vale f(zt) = 2p

2t3e�3i ⇡4 ,

ed al variare di t > 0 viene descritta la semiretta uscente da 0 (escluso) e passante per �1 � i: dunque

f(S) = {t(�1 � i) : t > 0}. Preso poi un z 2 C (dominio), si cerca la condizione a�nche f(z) 2 S.

Certo e z 6= 0 (perche f(0) = 0 /2 S); scritto z = |z|ei✓, la condizione diventa |z|3e�3i✓ 2 S, e questo si

verifica se e solo se �3✓ = ⇡4

+ 2k⇡ per qualche k 2 Z, ovvero ✓ = � ⇡12

+ 2k⇡3

per qualche k 2 Z. Facendo

variare ✓ 2 [�⇡,⇡], si ottiene percio f�1(S) = {z = |z|ei✓ 2 C⇥ : ✓ = �⇡2,� ⇡

12, 7⇡

2}, ovvero l’unione di tre

semirette uscenti da 0 (escluso).

Corrado Marastoni 61

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2 Topologia e convergenza in R

Finora ci siamo occupati sostanzialmente delle proprieta algebriche di R, ovvero dellesue proprieta di corpo commutativo totalmente ordinato. Passando a un punto di vistatopologico, cerchiamo adesso di definire con precisione il concetto di “vicinanza”, “prossi-mita” a un suo punto: anzi, visto che cio ci servira per la fondamentale nozione di limite,lo faremo anche per l’estensione eR di R, ottenuta aggiungendo i due “punti all’infinito”±1. Questo studio, se fatto a partire da un insieme qualsiasi, condurrebbe alla nozioneastratta di spazio topologico: in e↵etti, quanto diremo sara facilmente adattabile a uncontesto generale, come si vedra parlando di topologia nel piano R2 e, piu generalmente,nello spazio a�ne Rn.Le nozioni topologiche che stiamo per introdurre (aperti, chiusi, intorni...) troverannosubito applicazione nello studio del limite di una successione di numeri reali, che a suavolta ci aiutera a meglio comprendere e allargare le prime. Infine, quanto appreso per lesuccessioni lo useremo per lo studio delle serie, ovvero somme infinite.

2.1 La topologia della retta reale e della retta reale estesa

Introduciamo alcune notazioni e terminologie.

• Tra gli intervalli di R, chiameremo intervalli aperti quelli che non contengono nessuno Intervalli aperti

dei loro estremi: si tratta dunque di quelli limitati del tipo ]a, b[ con a < b, o dellesemirette del tipo ]a, +1[ oppure ]�1, a[ per qualche a 2 R, o di tutto R =]�1, +1[.

• Se x0 2 R e r > 0, considereremo la palla aperta di raggio r in x0 Palla aperta

Bx0(r) := ]x0 � r, x0 + r[ = {x 2 R : |x � x0 | < r} ,

e similmente Bx0(r) = [x0 � r, x0 + r] = {x 2 R : |x� x0 | r}, B�

x0(r) =]x0 � r, x0 ] e

B+x0

(r) = [x0 , x0 + r[: si tratta di intervalli centrati (oppure solo da un lato) in x0 di

raggio r, con gli estremi compresi o no.(48)

La topologia euclidea di R Il primo passo e la definizione di (sottoinsieme) aperto.

Diremo che A ⇢ R e un (sottoinsieme) aperto in R se si puo esprimere come unione di Aperto

intervalli aperti di R (inoltre, per definizione, anche ? e aperto in R). La famiglia di tuttigli aperti di R si dira la topologia (euclidea) di R. Topologia

Diremo invece che A ⇢ R e chiuso in R se il complementare {RA = R \ A e aperto in R. Chiuso

(48)La notazione “B” richiama la parola inglese “ball”, e scelta per pensare a essi come a “palline unidi-mensionali” centrate in x0 .

Corrado Marastoni 62

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In particolare, A si dira compatto se e chiuso e limitato.(49)Compatto

Esempi. (1) Tutti gli intervalli aperti di R (compreso R) sono aperti di R, mentre tutti gli intervalli chiusi

di R (cioe del tipo [a, b], [a, +1[, ]�1, a] e R =]�1, +1[) sono chiusi di R. Tra essi, i soli compatti sono

quelli del tipo [a, b]. (2) Si dimostra che R e ? sono i soli sottoinsiemi di R ad essere sia aperti che chiusi

in R. (3) N, Z, e i sottoinsiemi finiti (cioe con un numero finito di elementi) {a1, . . . , an} sono chiusi in R;

inoltre i sottoinsiemi finiti sono compatti, mentre N e Z no (infatti non sono limitati). (4) Q e eQ = R \ Qnon sono ne’ aperti ne’ chiusi in R, perche nessuno dei due puo essere aperto in R (infatti, a causa della

densita in R di entrambi, nessun intervallo aperto di R puo essere contenuto in essi).

La seguente caratterizzazione alternativa dell’essere “aperto” ci prepara alla successivanozione di “intorno” di cui parleremo tra breve.

Proposizione 2.1.1. A ⇢ R e aperto se e solo se per ogni x 2 A esiste r > 0 tale cheBx(r) ⇢ A, ovvero se e solo se A contiene una palla aperta centrata in ogni suo punto.

Dimostrazione. Se A e un aperto allora A =S

j2J Ij ove gli Ij sono intervalli aperti di R, dunque, presoun x 2 A, tale x deve stare in uno di questi intervalli, diciamo in Ij0 : esiste allora certamente r > 0 taleche Bx(r) ⇢ Ij0 , ed essendo Ij0 ⇢ A si conclude. Viceversa, per ogni x 2 A si scelga rx > 0 tale cheBx(rx) ⇢ A: poiche allora A =

Sx2A Bx(rx), A e aperto.

Corollario 2.1.2. Ogni sottoinsieme non vuoto di R che sia chiuso e inferiormente (risp.superiormente) limitato ammette minimo (risp. massimo) in R. In particolare, un sot-toinsieme compatto ammette massimo e minimo in R.

Dimostrazione. Sia B ⇢ R un chiuso non vuoto e inferiormente limitato: allora esiste ⇠ := inf B 2 R.Supponiamo per assurdo che ⇠ /2 B: poiche A := R \ B e aperto, per la Proposizione 2.1.1 esiste r > 0 taleche B⇠(r) ⇢ A, ovvero tale che B⇠(r)\B = ?. Ma cio contraddice subito la seconda proprieta caratteristicadell’inf. Dunque ⇠ 2 B, ovvero ⇠ = min B. L’asserzione per il massimo si prova analogamente.

Esempi. (1) Un intervallo del tipo [a, b[ con a, b 2 R non e ne’ aperto (infatti [a, b[ non contiene una

palla aperta centrata nel suo punto a) ne’ chiuso (infatti [a, b[ e superiormente limitato, ma non ammette

massimo). (2) Idem per A = { 1n

: n 2 N}: non e ne’ aperto (infatti non contiene una palla aperta centrata

nel suo punto 12) ne’ chiuso (infatti e inferiormente limitato, ma non ammette minimo). Invece B = A[{0}

e chiuso (infatti il suo complementare R<0 [ Sn2N] 1

n+1, 1

n[ [ R>1 e aperto).

Passiamo ora alla nozione di “intorno” di un punto.

Se x0 2 R e A ⇢ R, diremo che A e un intorno di x0 in R se contiene un aperto contenente Intorno

x0 , ovvero (per la Proposizione 2.1.1) se contiene qualche palla aperta centrata in x0 : inparticolare, cio implica che x0 2 A.(50) La famiglia Bx0

= {Bx0(r) : r > 0} e una base di Base di intorni

intorni di x0 , nel senso che essa ha la proprieta che ogni intorno di x0 contiene qualche

(49)La definizione di compattezza piu adatta ad essere generalizzata non e quella appena data: tuttavia, perR tale definizione, che non daremo in questo corso, si dimostra essere equivalente a chiusura piu limitatezza,dunque per semplicita assumiamo quest’ultima come nozione di compattezza in R.(50)Dunque, un intorno A di x0 e un sottoinsieme che “circonda” x0 ; se lo circonda solo da un lato, siparlera di intorno sinistro (risp. destro) di x0 in R, ovvero se esiste r > 0 tale che B�x0

(r) ⇢ A (risp.

B+x0(r) ⇢ A. Talvolta si parla di intorno anche come “intorno bilatero” per sottolineare il concetto “destro

e sinistro”.

Corrado Marastoni 63

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elemento di Bx0.(51) La nozione di intorno e quella che designa la “vicinanza”: ad esempio,

diremo che una proprieta P(x) (dipendente da x 2 R) vale attorno (o vicino) a x0 2 R sel’insieme A = {x 2 R : P(x) e vera} e un intorno di x0 .

Si noti che la definizione di “intorno” e stata data poggiando su quella di “aperto”;ma, poiche ora la Proposizione 2.1.1 si puo rileggere dicendo che un sottoinsieme di R eaperto se e solo se e intorno di ogni suo punto, avremmo potuto iniziare questo paragrafonell’ordine inverso, prima definendo gli intorni di un punto come quelli che contengonoqualche palla aperta centrata nel punto, e poi gli aperti di R come quei sottoinsiemi chesono intorno di ogni loro punto.

Figura 2.1: U e V sono entrambi intorni di x0 ; A e aperto (si noti che e intorno di ogni suo punto); B non e aperto(si noti che non e intorno del suo punto b).

Esempi. (1) A = [0, 1[ e un intorno di x0 = 12

(infatti Bx0( 13) ⇢ A), ed e intorno di tutti i suoi punti

tranne 0 (infatti, non esiste nessun r > 0 tale che B0(r) ⇢ A). (2) A =]0, 1[[{2} [ R�3 non e un intorno

ne di �31 ne di 1 (basta notare che nessuno dei due sta in A), e un intorno di 12

(perche B 12( 15) ⇢ A) ma

non di 2 e nemmeno di 3 (entrambi stanno in A, ma non esiste r > 0 tale che Bx0(r) ⇢ A per x0 = 2, 3).

E intorno destro di 3, ed e intorno di tutti i punti x0 2]0, 1[[R>3. (3) A = { 1n

: n 2 N}, Q e eQ = R \ Qnon sono intorno di alcuno dei loro punti.

Proposizione 2.1.3. (Proprieta degli aperti, dei chiusi, degli intorni di un punto)

(i) Unioni qualsiasi e intersezioni finite di aperti sono ancora degli aperti.Lo stesso vale per gli intorni di un punto: unioni qualsiasi e intersezioni finite diintorni di un punto x0 sono ancora degli intorni del punto x0.

(ii) Unioni finite e intersezioni qualsiasi di chiusi sono ancora dei chiusi.

Dimostrazione. Sia {Ai : i 2 I} una famiglia qualsiasi di aperti, e sia A =S

i2I Ai: se x0 2 A, allora esistei0 2 I tale che x0 2 Ai0 e dunque esiste r > 0 tale che Bx

0(r) ⇢ Ai0 ⇢ A. Percio A e aperto di R. Sia

invece {Bi : i = 1, . . . , n} una famiglia finita di aperti e sia B =Tn

i=1 Bi: se x0 2 B, vale x0 2 Bi per ognii, e dunque per ogni i esiste ri > 0 tali che Bx

0(ri) ⇢ Ai (ove i = 1, . . . , n): posto r = min{ri : i = 1, . . . , n}

(vale r > 0, perche gli ri sono in numero finito) si ha Bx0(r) ⇢ Bx

0(ri) ⇢ Bi per ogni i = 1, . . . , n, e

dunque Bx0(r) ⇢ B, col che si e mostrato che B e aperto. In modo simile si prova l’enunciato sugli intorni

di un punto x0 . Per dimostrare le a↵ermazioni sui chiusi, basta notare che, se X e un insieme e {Ai : i 2 I}una famiglia di sottoinsiemi di X, vale {X

�Si2I Ai

�=T

i2I

�{X Ai

�e {X

�Ti2I Ai

�=S

i2I

�{X Ai

�.

Esempi. (1) A margine della Proposizione 2.1.3, e opportuno osservare che l’intersezione di una famiglia

qualsiasi di aperti non sempre e aperta (ad esempio, l’intersezione della famiglia infinita {]� 1n, 1

n[: n 2 N} di

intervalli aperti e {0}, che non e aperto in R) e che similmente l’unione di una famiglia qualsiasi di chiusi di

(51)In generale, ogni famiglia di intorni di x0 che gode della suddetta proprieta si dice essere una “base diintorni di x0”: ad esempio, lo sono anche anche {Bx

0(r) : r > 0}, oppure {]x0 � r

2, x0 + r] : r > 0}.

Corrado Marastoni 64

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Analisi Matematica I

R non sempre e chiusa in R (ad esempio, l’unione della famiglia infinita {[�n�1n

, n�1n

] : n 2 N} di intervalli

chiusi e ]� 1, 1[, che non e chiuso in R). (2) L’insieme A = {�3, 0, 1} e chiuso in R perche e l’unione finita

dei tre chiusi {�3}, {0} e {1} (oppure, perche il suo complementare {RA = R<�3[] � 3, 0[[]0, 1[[R>1 e

aperto di R in quanto unione di aperti di R). Anche l’insieme B = Z e chiuso in R, ma non lo si dimostra

dicendo che esso e l’unione della famiglia di chiusi {{n} : n 2 Z} (infatti l’unione di una famiglia infinita

di chiusi non e detto sia chiusa), ma dicendo che il suo complementare {RZ =S

n2Z]n, n + 1[ e aperto in R(perche unione di aperti).

Siano ora x0 2 R e A ⇢ R (non necessariamente aperto ne chiuso). Il punto x0 , appartengaegli o meno ad A, puo avere varie relazioni con A: andiamo a descriverne alcune.

Il punto x0 si dira essere

(a) punto interno di A in R se A e intorno di x0 (in particolare, x0 2 A); Punto interno

(b) punto di chiusura di A in R se A \ U 6= ? per ogni intorno U di x0 ; Punto di chiusura

(c) punto di accumulazione per A in R se A \ (U \ {x0}) 6= ? per ogni intorno U di x0 ; Punto diaccumulazione

(d) punto isolato di A se x0 2 A ed esiste un intorno U di x0 tale che U \ A = {x0}; Punto isolato

(e) punto di frontiera per A se e di chiusura sia per A che per {RA. Punto di frontiera

Diamo alcune spiegazioni per meglio illustrare queste proprieta.

(a) I punti interni di A stanno in A, ed il loro insieme (detto interno di A) si denota Interno

con A o con intRA se si vuole insistere su “interno in R”: vale A ⇢ A, e A e il piugrande aperto di R contenuto in A; in particolare, A = A se e solo se A e aperto.

(b) L’idea e: in tutti gli intorni di x0 cadono punti di A (si puo dire anche: A\Bx0(r) 6= ?

per ogni r > 0, ovvero che per ogni r > 0 esiste x 2 A tale che |x� x0 | < r). Tutti ipunti di A sono di chiusura per A, ma non e detto valga il viceversa. Il loro insieme(detto chiusura o aderenza di A) si denota con A o con clRA se si vuole insistere su Chiusura

(o “aderenza”)“chiusura in R”, e A e il piu piccolo chiuso di R contenente A: in particolare, A = Ase e solo se A e chiuso di R.

(c) La definizione e piu esigente di quella di “chiusura”: infatti l’idea e che in tutti gliintorni di x0 cadono punti di A diversi da x0 (si puo dire anche: per ogni r > 0 esistex 2 A tale che x 6= x0 e |x � x0 | < r), e dunque tutti i punti di accumulazione sonoanche di chiusura per A in R. Anche i punti di accumulazione non e detto stianoin A, anzi, il caso piu interessante e proprio quello in cui non ci stanno: e non edi�cile vedere che questi ultimi sono tutti e soli gli elementi di A\A: in altre parole,

Corrado Marastoni 65

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i punti di A sono tutti quelli di A piu quelli di {RA che sono di accumulazione perA. Notiamo allora che A ⇢ R e chiuso in R se e solo se esso contiene tutti i suoipunti di accumulazione. L’insieme dei punti di accumulazione di A e detto derivatodi A. Derivato

(d) L’idea e: sono i punti di A “isolati da tutti gli altri di A” (il punto x0 ha un intornonel quale esso e l’unico punto di A). Essi sono dunque tutti i punti di A che nonsono di accumulazione per A.

(e) E come dire: x0 e un punto che non sta ne in intRA ne in intR({RA) (per ogni intornoU di x0 vale A \ U 6= ? e ({RA) \ U 6= ?). L’insieme dei punti di frontiera di A edetto frontiera di A. Frontiera

Esempi. Esaminiamo gli esempi precedentemente proposti (per ognuno di essi indichiamo di seguito

l’insieme dei punti interni, di chiusura, di accumulazione, isolati, di frontiera). (1) Se A = [0, 1[ essi sono

]0, 1[; [0, 1]; [0, 1]; ?; {0, 1}. (2) Se A =]0, 1[[{2}[R�3 essi sono ]0, 1[[R>3; [0, 1][{2}[R�3; [0, 1][R�3;

{2}; {0, 1, 2, 3}. (3) Se A = {�3, 0, 1} oppure A = Z essi sono ?; A; ?; A; A. (4) Se A = { 1n

: n 2 N}essi sono ?; A [ {0}; {0}; A; A [ {0}. (5) Se A = Q oppure A = eQ = R \ Q, essi sono ?, R, R, ?, R.

E importante notare che

Proposizione 2.1.4. Se A ⇢ R e superiormente limitato, sup A e di chiusura per A in R(dunque se supA /2 A allora sup A e di accumulazione per A). Analogamente, se A ⇢ R einferiormente limitato, inf A e di chiusura per A in R (dunque se inf A /2 A allora inf A edi accumulazione per A).(52)

Dimostrazione. Il fatto che sup (o inf) siano punti di chiusura per A discende direttamente dalle proprietacaratteristiche (vedi Proposizione 1.3.2). L’altra a↵ermazione discende da cio e dal fatto che, come detto,un sottoinsieme di R e chiuso in R se e solo se esso contiene tutti i suoi punti di chiusura.

Un sottoinsieme A di R si dira discreto se tutti i suoi punti sono isolati (o, analogamente, Sottoinsiemediscreto

se non contiene nessuno dei suoi punti di accumulazione); se A ⇢ B ⇢ R, A si dira densoin B se ogni punto di B e di chiusura per A, ovvero se A ⇢ B ⇢ A. (53)

Sottoinsiemedenso

Esempi. (1) Z, {�3, 0, 1} e { 1n

: n 2 N} (ma non { 1n

: n 2 N} [ {0}) sono sottoinsiemi discreti di R; (2)

Come detto, Q e eQ = R \ Q sono densi in R.

La topologia euclidea di eR Come preannunciato, definiamo la retta reale estesa eRcome l’insieme ottenuto aggiungendo a R due nuovi punti �1 e +1, chiamati rispetti- Retta reale

estesa eRvamente “meno infinito” e “piu infinito”, che converra pensare “aggiunti alla lontanissimasinistra e destra della retta reale”: in e↵etti l’ordine totale di R viene esteso a eR,ponendo �1 < a < +1 per ogni a 2 R.

(52)Si noti che dalla Proposizione 2.1.4 segue nuovamente il Corollario 2.1.2.(53)E un facile esercizio mostrare che questa definizione di densita e equivalente a quella usata per mostrare(vedi Corollario 1.3.5) che Q e R \ Q sono densi in R

Corrado Marastoni 66

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Analisi Matematica I

Passiamo ora allo studio della topologia di eR. Analogamente a prima, se x0 2 R unsottoinsieme A ⇢ eR si chiamera intorno (risp. intorno destro, sinistro) di x0 in eR se esister > 0 tale che Bx0

(r) ⇢ A (o rispettivamente B±x0

(r) ⇢ A). Quanto agli infiniti, un

sottoinsieme A ⇢ eR si dira intorno di +1 se contiene una semiretta ]a, +1] per qualchea 2 R; e la famiglia di “semirette completate” ]a, +1] sara una base di intorni di +1.(54)

Nozioni analoghe vengono introdotte per �1.

La seguente proprieta ci sara utile parlando di limiti.

Proposizione 2.1.5. (eR e uno spazio “separato”, o “di Hausdor↵”) Se x e y sono dueelementi distinti di eR, allora esistono intorni U di x e V di y tali che U \ V = ?.(55)

Dimostrazione. Supposto ad esempio che x < y, basta scegliere U = [�1,↵[ e V =]�, +1] per qualsiasi↵,� 2 R con x < ↵ � < y.

Un sottoinsieme A ⇢ eR e aperto in eR se e intorno in eR di ogni suo punto (e, per definizione,anche ? e aperto in eR); la famiglia di tutti gli aperti di eR si dira topologia (euclidea) dieR. Diremo invece che A ⇢ eR e chiuso in eR se {eR

A = eR \ A e aperto in eR.

Le nozioni di punto interno, di chiusura, di accumulazione, isolato, di frontiera x0 2 eRper A ⇢ eR si enunciano allo stesso modo delle analoghe nozioni di R con l’accortezza, adesempio nel caso x0 = +1, di rimpiazzare Bx0

(r) con gli intorni di base ]a, +1] di +1.Ad esempio:

Proposizione 2.1.6. Un sottoinsieme A di R ha +1 come punto di accumulazione se esolo se non e superiormente limitato.

Dimostrazione. Il fatto che +1 sia punto di accumulazione per A significa che per ogni a 2 R si ha]a, +1] \ A 6= ?, ovvero che per ogni a 2 R esiste x 2 A tale che x > a: ma cio e precisamente come direche A non e superiormente limitato.

Possiamo estendere la nozione di sup e inf a sottoinsiemi di eR: se A ⇢ eR e superiormente(risp. inferiormente) limitato, sup A (risp. inf A) sara il numero reale gia definito per R;in caso contrario, si pone sup A = +1 (risp. inf A = �1). Tali numeri soddisferannoancora le proprieta caratteristiche della Proposizione 1.3.2 e percio si prova, analogamentealla Proposizione 2.1.4, che se A ⇢ eR allora sup A e inf A sono di chiusura per A in eR.

Esempi. (1) Se x0 2 R, i sottoinsiemi di R intorni di x0 in R continuano ad esserlo anche in eR; gli altri

intorni di x0 in eR si ottengono aggiungendo uno (o entrambi) dei +1 ad uno di questi “vecchi” intorni: ad

esempio, ]�2, 1][{�1} e un intorno di x0 = 12

in eR. Per essere un intorno di +1 in eR, invece, come detto

bisognerebbe contenere una “semiretta aperta completata” ]a, +1], ed in particolare contenere anche +1;

tuttavia, come gia citato in nota, e corrente e del tutto comprensibile l’abuso di linguaggio secondo cui si

dice che “la semiretta ]a, +1[ e un intorno di +1 in R”. (2) R e aperto in eR, e tutti i sottoinsiemi A ⇢ R

(54)Tuttavia, con abuso di linguaggio si usa dire “che la semiretta ]a, +1[ e un intorno di +1 in R”, ilche, per essere pignoli, non ha senso perche +1 /2 R, ma non porta a nessun problema, come vedremoparlando di limiti.(55)ovvero: elementi distinti di eR possono essere ”separati” tra loro tramite intorni disgiunti.

Corrado Marastoni 67

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Analisi Matematica I

aperti in R lo sono anche in R. Invece, se C ⇢ R e chiuso in R, non e detto che C lo sia anche in eR: ad

esempio, la “semiretta chiusa” R�a = [a, +1[ e chiusa in R (perche {R(R�a) = R<a e aperta in R), ma

non e chiusa in eR (perche {eR(R�a) = R<a [ {±1} non e aperta in eR, perche non e intorno di +1). E

facile allora vedere che un chiuso C ⇢ R lo e anche in eR se e solo se esso e limitato in R (ovvero compatto)

mentre invece, se ad esempio C e un chiuso di R superiormente illimitato, il sottoinsieme “completato”

C [{+1} e chiuso in eR (vedi il prossimo paragrafo). (3) Se un sottoinsieme A ⇢ R e limitato, i suoi punti

interni, di chiusura, di accumulazione, isolati e di frontiera in eR sono gli stessi di quelli in R.

Altre topologie su R e eR ? Abbiamo visto che la scelta della topologia equivale allascelta degli intorni: stabilito chi sono gli aperti, si sa dire chi sono gli intorni di un qualsiasipunto (sono “quelli che contengono un aperto contenente il punto stesso”) e, viceversa,stabilito chi siano gli intorni dei vari punti, si sa dire chi sono gli aperti (sono “quelli chesono intorno di ogni loro punto”). In altre parole, scegliere una topologia e la stessa cosache stabilire quale nozione si vuole usare di “vicinanza” (e, con essa, tutte quelle che neconseguiranno, come “limite”, “continuita”...). Ora, in che misura possiamo modificare lascelta di una topologia? In altre parole, quali sono le proprieta che una famiglia di partidi R (ma, in realta, cio si puo fare con un qualunque insieme X) deve possedere a�nchesi possa considerare come “famiglia degli aperti” di X? Per rispondere ci ispiriamo allaProposizione 2.1.3.

Dato un insieme X non vuoto, una famiglia T ⇢ P(X) si dira una topologia su X sesoddisfa le seguenti proprieta: (1) X,? 2 T ; (2) unioni qualsiasi di elementi di T sonoancora elementi di T ; (3) intersezioni finite di elementi di T sono ancora elementi di T . Intal caso, la coppia (X, T ) si dira spazio topologico. Se T e una topologia su X, gli elementi Spazio topologico

di T si diranno gli aperti di X (nel senso dato da T ); di conseguenza, dato x0 2 X sidira che A ⇢ X e un intorno di x0 (nel senso dato da T ) se A contiene qualche apertocontenente x0 . Se T1 e T2 sono due topologie su X con T1 ⇢ T2, si dira che T2 e piu finedi T1: l’idea e che, in X, con T2 “vi sono piu aperti” che con T1, e dunque ogni punto diX ha “piu intorni” con T2 di quanti non ne abbia con T1.

Esempi. (1) Ogni insieme X ha due topologie estremali: quella meno fine di tutte e la banale in cui

T = {X,?} (dato x0 2 X, l’unico intorno di x0 e X), e quella piu fine e la discreta in cui T = P(X)

(tutti gli A ⇢ X che contengono x0 sono intorni di x0). (2) Su X = R, oltre alla topologia euclidea in cui

Te = {A ⇢ R : A e unione di intervalli aperti}[{?} possiamo considerare ad esempio la topologia di Zariski

in cui i chiusi di R sono i soli insiemi finiti, e dunque gli aperti sono Tz = {A ⇢ R : R \ A e finito} [ {?}.

Dunque Tz e meno fine di Te: dato x0 2 R, i suoi intorni (nel senso di Zariski) sono i soli sottoinsiemi di

R ottenuti rimuovendo da R un numero finito di punti diversi da x0 (si tratta di particolari intorni aperti

euclidei). (3) Si noti che, con una topologia diversa, le proprieta legate agli intorni possono essere assai

diverse. Ad esempio, mentre si era visto che R con l’usuale topologia euclidea e uno spazio separato (vedi

Proposizione 2.1.5), questo non vale piu se R e munito della topologia di Zariski (o di una qualsiasi altra

topologia meno fine, tipo la banale), perche gli aperti sono “troppo grossi” e dunque gli intorni di due

punti distinti non riescono mai a essere disgiunti tra loro.

Corrado Marastoni 68

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2.2 Successioni di numeri reali

Una successione di numeri reali e una funzione a : N �! R : ad ogni n 2 N essa Successione

associa dunque un numero reale a(n), detto termine n-esimo della successione, che sidenota usualmente con an (e la successione con (an)n2N, o piu semplicemente con (an)n,(an) oppure solo an).

Dato ` 2 eR, si dira che ` e limite di (an)n2N (o che (an)n2N tende a `), e si scrivera` = limn�!+1 an oppure ` = lim an , o anche an ! `, se Limite di una

successione

(2.1) per ogni intorno V di ` esiste nV 2 N tale che an 2 V per ogni n � nV :

in altre parole, se la successione “entra definitivamente in ogni intorno di ` ”.(56) Unasuccessione che non ha limite si dice indeterminata. Successione

indeterminata

La definizione (2.1), che parla solo di “intorni”, in principio ha senso per ogni topologia suR (vedi pag. 68)(57); per quanto riguarda piu specificatamente la topologia euclidea, che equella che sempre usiamo e useremo salvo avviso contrario, tale definizione si specializza,a seconda dei casi, come segue:

Proposizione 2.2.1. (Casi particolari della definizione di limite di successione)

• Se ` 2 R si dira che an converge a `, e (2.1) equivale a: Successioneconvergente

per ogni " > 0 esiste n" 2 N tale che se n � n" allora |an � `| < ".

In particolare, se ` = 0 si dira che la successione an e infinitesima. Successioneinfinitesima

• Se ` = +1 (risp. �1) si dira che an diverge a +1 (risp. �1), e (2.1) equivale a: Successionedivergente

per ogni M > 0 esiste nM 2 N tale che se n � nM allora an > M (risp. an < �M).

Dimostrazione. Per verificare (2.1) e su�ciente controllare che essa valga per i V che stanno in unabase di intorni di `: allora le riformulazioni appena proposte sono chiare, in quanto se ` 2 R (risp.` = +1, ` = �1) una base di intorni e data da {B`(") : " > 0} (risp. da {]M, +1[: M > 0}, da{] �1,�M [: M > 0}).

(56)In generale, quando d’ora in poi diremo che una proprieta P(n) vale “definitivamente”, intenderemoche tale proprieta P(n) vale da un certo n0 2 N in poi, ovvero per n � n0. Ad esempio, la successionean = 2n � 33 e “definitivamente > 0 ”: infatti si ha an > 0 per n � n0 = 17.(57)In questa ottica relativa, piu la topologia e fine piu vi sono intorni in cui entrare definitivamente, edunque piu e di�cile per una successione avere limite. Prendiamo ad esempio la successione an = 1

n.

Per l’usuale topologia euclidea essa converge a 0: infatti ogni intorno di 0 contiene una palla ] � ", "[ perqualche " > 0, dunque la successione entra in tale intorno non appena n > 1

", possibile per archimedeita.

Invece per la topologia di Zariski (e per ogni altra topologia meno fine, fino a quella banale) essa tende

a ogni ` 2 eR: infatti, preso un qualsiasi `, la successione sta definitivamente in ogni Zariski-intorno di `(ovvero, in ogni insieme del tipo eR \ {x1, . . . , xr} ove x1, . . . , xr e un numero finito di punti di eR diversi da`). All’estremo opposto, per la topologia discreta (la piu fine che c’e) essa non tende verso alcun punto dieR, nemmeno a 0: infatti {0} e un intorno di 0 in tale topologia, e lı dentro la successione non entra mai.

Corrado Marastoni 69

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Notiamo subito che

Proposizione 2.2.2. Il limite di (an)n2N, se esiste, e unico.(58)

Dimostrazione. Siano `1, `2 2 eR due limiti per (an), e supponiamo per assurdo che essi siano diversi traloro: allora (vedi Proposizione 2.1.5) esistono due intorni V1 e V2 risp. di `1 e `2 disgiunti tra loro, ovverotali che V1 \ V2 = ? . Per definizione di limite, esistono nV1 2 N tale che an 2 V1 per ogni n � nV1 , enV2 2 N tale che an 2 V2 per ogni n � nV2 : ma allora per ogni n � max{nV1 , nV2} si dovrebbe averean 2 V1 \ V2 = ?, assurdo. Dunque deve essere `1 = `2.

Esempi. (0) Se k 2 R la successione costante an ⌘ k per ogni n 2 N e ovviamente convergente a ` = k.

(1) La successione an = n+1n

converge a ` = 1. Infatti, dato " > 0 si ha |an � 1| < " se e solo se n > 1";

per archimedeita esiste n" 2 N tale che n" > 1"

, dunque se n � n" si ha |an � 1| < ". (2) La successione

an = 2n � n2 diverge a ` = �1. Infatti, dato M > 0 si ha an < �M se e solo se n >p

M + 1 + 1;

sempre per archimedeita esiste nM 2 M tale che nM >p

M + 1 + 1, dunque se n � nM si ha an < �M .

(3) Non e detto che il limite di una successione esista: ad esempio an = (�1)n (che oscilla tra 1 e �1)

e indeterminata, cosı come bn = (�1)n n (che assume valori sempre piu grandi in valore assoluto, ma

oscillanti nel segno). Tuttavia, in un caso come l’ultimo (in cui |bn| ! +1) si usa dire comunque che

(bn)n2N tende a 1 (senza segno). (4) Se ↵ 2 R, la successione an = n↵ e infinitesima per ↵ < 0 (ad

esempio, 1n

oppure 1pn), costantemente 1 per ↵ = 0 e divergente a +1 per ↵ > 0 (ad esempio, 3

pn oppure

n2). (5) Fissato un ↵ 2 R la successione aritmetica di di↵erenza ↵ e data da an = n↵ (ovvero, a1 = ↵,

a2 = 2↵, ...): e immediato mostrare che essa diverge a ±1 a seconda che ↵ ? 0, mentre e la successione

costante nulla se ↵ = 0.

Data una successione (an)n2N e una funzione strettamente crescente ⌫ : N �! N, la succes-sione (bk)k2N definita da bk := a⌫(k) e detta sottosuccessione di an: l’idea e che la funzione

⌫ “estrae da an solo alcuni di suoi valori, facendoli diventare una nuova successione”. E Sottosuccessione

d’uso comune denotare a⌫(k) con ank(nel senso che nk e il “k-esimo indice selezionato”

dalla sottosuccessione.

Esempi. (0) Nel caso in cui ⌫ sia l’identita di N, si ottiene la successione stessa. (1) Data (an)n2N,

la sottosuccessione degli elementi di posto pari si ottiene con ⌫(k) = 2k (dunque b1 = a2, b2 = a4, ...,

bk = a2k) e quella degli elementi di posto dispari con ⌫(n) = 2k � 1 (dunque b1 = a1, b2 = a3, ...,

bk = a2k�1). Ad esempio, la sottosuccessione degli elementi di posto pari (risp. dispari) di an = (�1)n e

la successione costante 1 (risp. �1).

Il legame tra il limite di una successione e quello delle sue sottosuccessioni e il seguente:

Proposizione 2.2.3. Una successione ha limite ` se e solo se tutte le sue sottosuccessionihanno lo stesso limite `.

Dimostrazione. Poiche tra le sottosuccessioni di una successione c’e lei stessa, la condizione e ovviamentesu�ciente. Viceversa, supponiamo che an ! ` e sia bk = a⌫(k) una sua sottosuccessione: se V e un intornodi ` sappiamo che an 2 V da un certo nV in poi, ma allora (visto che ⌫ e strettamente crescente, dunque⌫(n) � n) anche bk sta in V da nV in poi, dunque anche bk ! `.

(58)Nella dimostrazione che segue si usa in modo cruciale il fatto che la topologia considerata su eR (quellaeuclidea) e separata (vedi Proposizione 2.1.5): in realta, se considerassimo una topologia non separata, illimite sarebbe lungi dall’essere unico, come visto ad esempio in nota per an = 1

ncon la topologia di Zariski

o una qualsiasi meno fine, come quella banale.

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Percio, se si trovano due sottosuccessioni di an con limiti diversi (o se si trova una sotto-successione indeterminata), allora an e indeterminata.

Esempio. Le sottosuccessioni di posto pari/dispari della successione an = (�1)n sono risp. la costante 1

e �1, dunque convergono risp. a 1 e a �1: pertanto (�1)n e indeterminata (come gia sappiamo).

Una successione (an)n2N si dira limitata se l’insieme dei suoi valori {an : n 2 N} e limitato Successionelimitata

(come sottoinsieme di R), ovvero se esiste M > 0 tale che |an| M per ogni n 2 N.

Proposizione 2.2.4. Ogni successione convergente e limitata, ma non viceversa.

Dimostrazione. Se an ! ` 2 R allora esiste n0 2 N tale che se n � n0 allora |an � `| < 1: si ha allora|an| < M := max{|a1|, . . . , |an0 |, |`� 1|, |`+ 1|} per ogni n 2 N, ovvero an e limitata. Invece (�1)n e unasuccessione limitata, ma non converge.

Raduniamo nel seguente enunciato alcuni teoremi standard sui limiti di successioni.

Proposizione 2.2.5. Siano (an)n2N, (bn)n2N, (cn)n2N successioni in R.

(a) (Permanenza del segno) Se lim an < lim bn , allora an < bn definitivamente.

In particolare:

Se lim an > ↵ per un certo ↵ 2 R, allora an > ↵ definitivamente.

(b) (Confronto) Se an bn definitivamente, allora (se esistono) lim an lim bn .(59)

In particolare:

Se an ↵ definitivamente per un certo ↵ 2 R, allora (se esiste) lim an ↵.

(c) (Teoremi dei “carabinieri”)

(i) Se an bn cn definitivamente, e se esistono uguali lim an = lim cn 2 R ,allora anche lim bn esiste e sara uguale ad essi.

(ii) Sia an bn definitivamente. Se lim an = +1, allora anche lim bn = +1; selim bn = �1, allora anche lim an = �1.

(d) (Limiti e operazioni)

(i) Se esistono lim an = `1 2 R e lim bn = `2 2 R , allora esistono lim(an + bn)e lim(anbn) , e sono uguali rispettivamente a `1 + `2 e a `1`2 .

(ii) Se lim an = +1 (risp. �1) e bn e inferiormente (risp. superiormente) limitata,allora lim(an + bn) esiste ed e uguale a +1 (risp. a �1).

(iii) Se an e infinitesima e bn e limitata, allora anbn e infinitesima.

(59)Si rimarca l’importanza dei dettagli dell’enunciato: nella permanenza del segno si va “dal limite allasuccessione” e si usa “ < ”, mentre per il confronto si va “dalla successione al limite” e si usa “ ”. Adesempio, una versione del confronto con “ < ” e falsa, come mostrano an = � 1

ne bn = 1

n(vale an < bn,

ma sono entrambe infinitesime e dunque lim an 6< lim bn).

Corrado Marastoni 71

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(iv) Se lim an = ±1 e bn > 0 e “lontana da 0” (cioe esiste ↵ > 0 tale che bn > ↵definitivamente), allora lim(anbn) esiste ed e uguale a ±1.

(v) Se esiste ` = lim an 2 R⇥ , allora la successione 1an

ha senso definitivamente,

esiste lim 1an

ed e uguale a 1` .

(vi) Se an > 0 definitivamente e lim an = 0 (risp. lim an = +1) la successione1

anha senso definitivamente, esiste lim 1

aned e uguale a +1 (risp. a 0).

Dimostrazione. (a) Siano `1 = lim an e `2 = lim bn con `1 < `2, e siano V1 e V2 intorni di `1 e `2con V1 \ V2 = ? (vedi Proposizione 2.1.5), da cui y1 < y2 per ogni y1 2 V1 e y2 2 V2; poiche an 2 V1 ebn 2 V2 definitivamente, si ha quanto voluto. L’altra a↵ermazione si ottiene applicando quanto trovato allasuccessione costante ↵. (b) Siano `1 = lim an, `2 = lim bn e supponiamo per assurdo che sia `1 6 `2, ovvero`1 > `2; per la permanenza del segno si ha allora an > bn definitivamente, ma cio nega l’ipotesi. L’altraa↵ermazione si ottiene applicando quanto trovato alla successione costante ↵. (c) (i) Per il confronto,se lim bn esiste deve essere uguale a ↵ := lim an = lim cn, ed e proprio cosı: infatti an e cn entranodefinitivamente in ogni palla centrata in ↵, dunque lo stesso deve fare bn. (ii) Se ad esempio lim an = +1allora per il confronto deve essere (se esiste) lim bn = +1, ed e proprio cosı: infatti, dato M > 0 si habn � an � M definitivamente. (d) (i) Sia " > 0. Da |(an + bn)� (`1 + `2)| = |(an � `1)+ (bn � `2)| |an �`1|+|bn�`2|, poiche si ha definitivamente |an�`1| < "

2e |bn�`2| < "

2si ricava che |(an+bn)�(`1+`2)| < "

definitivamente, ovvero che lim(an + bn) = `1 + `2. Passiamo ora al prodotto. Notiamo innanzitutto cheesiste M > 0 tale che |bn| < M per ogni n (infatti bn e limitata perche convergente), dunque si ha|anbn � `1`2| = |anbn � `1bn + `1bn � `1`2| = |bn(an � `1) + `1(bn � `2)| |bn| |an � `1| + |`1| |bn � `2| M |an�`1|+L |bn�`2| per un qualsiasi L > |`1|, e cio mostra che anbn converge a `1`2 (infatti |an�`1| < "

2M

e |bn � `2| < "2L

definitivamente, dunque |anbn � `1`2| < M "2M

+ L "2L

= " definitivamente). (ii) Sia adesempio lim an = +1 e bn inferiormente limitata, diciamo bn � ↵ per un certo ↵ 2 R. Preso M > 0, siha che an > M � ↵ definitivamente, dunque an + bn > (M � ↵) + ↵ = M definitivamente, e cio provache an + bn tende a +1. (iii) Sia K > 0 tale che |bn| < K per ogni n. Preso " > 0, sia n" 2 N tale che|an| < "/K per ogni n � n": allora |anbn| < ("/K)K = ". Lasciamo il resto per esercizio.

Esempi. (1) Sia an = sin nn

: poiche �1 sin n 1 si ha � 1n sin n

n 1

n, dunque an ! 0 per il teorema

dei due carabinieri. (2) Sia bn = 2�sin n⇡�2 arctg n

: poiche 2 � sin n > ↵ = 12

e ⇡ � 2 arctg n > 0 tende a 0

(dunque 1⇡�2 arctg n

! +1), si ha bn ! +1. (3) Sia cn = 3 sin n+2 arctg n �n: poiche 3 sin n+2 arctg n

e superiormente limitata (da 3 + ⇡), si ha cn ! �1.

Restano alcuni casi (detti forme indeterminate) che coinvolgono operazioni e che non sono Formeindeterminate

risolti dalla proposizione precedente. I piu classici(60) sono ±1⌥1 (ovvero, se ad esempiolim an = +1 e lim bn = �1, nulla si puo dire in generale su lim(an + bn)), e poi 0 ·1, 0

0 ,11 . Le successioni in forma indeterminata (che sono in realta le sole successioni veramenteinteressanti) vanno esaminate con uno studio specifico.

Esempi. (1) La successione an = 7n � 2n2 da una forma indeterminata +1 � 1; tuttavia, essendo

an = n2( 7n� 2), poiche n2 ! +1 e 7

n� 2 ! �2 (perche 7

ne infinitesima) si ha lim an = �1. (2) [In

questo esercizio si usa la continuita delle funzioni “coseno” e “seno”, che sara provata piu avanti: ovvero

se bn ! ` 2 R allora sin(bn) ! sin(`) 2 R e cos(bn) ! cos(`) 2 R. Si veda piu sotto per maggiori

dettagli.] La successione bn = n sin 1n

e in forma indeterminata 1 · 0; tuttavia per n abbastanza grande si

ha sin 1n

< 1n

< tg 1n, da cui (dividendo per sin 1

n> 0 e passando ai reciproci) cos 1

n< an < 1; poiche le

(60)anche perche gli altri sono solitamente riconducibili ad essi tramite procedimenti standard, comevedremo piu tardi.

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due successioni negli estremi hanno limite 1, basta applicare il teorema dei due carabinieri per concludere

che lim an = 1.

Successioni monotone Una successione (an) si dice monotona se e crescente (cioe: Successionemonotona

se m < n implica am an) oppure se e decrescente (cioe: se m < n implica am � an).(61)

Una tale successione non e mai indeterminata:

Proposizione 2.2.6. Una successione monotona crescente (risp. decrescente) (an) halimite ` = supeR{an : n 2 N} (risp. ` = infeR{an : n 2 N}) : dunque essa converge in Roppure diverge a +1 (risp. a �1).In particolare, una successione monotona e limitata e convergente.

Dimostrazione. Sia ad esempio an crescente (l’altro caso si mostra in modo analogo), e sia ` = supeR{an :n 2 N}: potrebbe dunque essere ` 2 R oppure ` = +1. Nel primo caso (` 2 R), dato " > 0 mostriamoche an sta definitivamente in B`("): infatti, poiche `� " < `, per le proprieta caratteristiche del sup esisten" tale che `� " < an" `, ma allora essendo an crescente si ha `� " < an ` per ogni n � n", come sivoleva. Se invece ` = +1, dato M > 0 mostriamo che an sta definitivamente in ]M, +1[: in e↵etti esistenM tale che an

M> M , ma allora an > M per ogni n � nM .

Inoltre, le successioni monotone appaiono (come sottosuccessioni) dentro ogni successione:

Proposizione 2.2.7. Ogni successione ammette una sottosuccessione monotona. In par-ticolare, ogni successione limitata ammette una sottosuccessione convergente.

Dimostrazione. La seconda a↵ermazione discende subito dalla prima, tenendo presente che ogni sottosuc-cessione di una successione limitata e ovviamente limitata e poi ricordando la Proposizione 2.2.6; dedichi-amoci ora alla dimostrazione della prima. Sia an una successione, e sia A = {an : n 2 N} ⇢ R l’insieme deisuoi valori: distingueremo tre casi. (1) Se A e un insieme finito, vuol dire che la successione assume infinitevolte uno stesso valore, ovvero che esistono ↵ 2 R e un sottoinsieme infinito {m1, m2, m3, . . . } ⇢ N (ove siintende che m1 < m2 < m3 < · · · ) tale che amk = ↵ per ogni k 2 N: ma allora la sottosuccessione amk (sinoti che la funzione ⌫(k) = mk e strettamente crescente) e la costante ↵, dunque e monotona. (2) Sia oraA un insieme infinito, e si supponga che esista un sottoinsieme B ⇢ A infinito e privo di minimo: costru-iremo allora una sottosuccessione strettamente decrescente amn . Posto ⇠ := infeR B si ha di certo ⇠ /2 B(perche altrimenti ⇠ sarebbe il minimo di B); scelto un qualsiasi am1 2 B, sia b1 = min{an 2 B : n m1}(tale minimo esiste, perche l’insieme in questione e finito): essendo ⇠ < b1, per (Inf2) esistera am2 2 Btale che ⇠ < am2 < b1, e per come e definito b1 sara di certo m2 > m1 e am1 > am2 . Di nuovo, siab2 = min{an 2 B : n m2}: essendo ⇠ < b2, per (Inf2) esistera am3 2 B tale che ⇠ < am3 < b2, eper come e definito b2 sara di certo m3 > m2 e am2 > am3 ; procedendo cosı, si costruisce la sottosuc-cessione cercata. (3) L’ultimo caso e quello in cui A e un insieme infinito tale che ogni suo sottoinsiemenon vuoto abbia minimo: in questo caso costruiremo una sottosuccessione strettamente crescente amn . Siaam1 = min A. Poiche {an : n m1} e finito, A \ {an : n m1} e non vuoto, dunque ammette minimo:se am2 = min(A \ {an : n m1}), di certo sara m2 > m1 e am2 > am1 . Di nuovo, poiche {an : n m2}e finito, A \ {an : n m2} e non vuoto, dunque ammette minimo: se am3 = min(A \ {an : n m2}), dicerto sara m3 > m2 e am3 > am2 ; procedendo cosı, si costruisce la sottosuccessione cercata.

E anche utile notare che, per una successione monotona, cercare il limite equivale a cercarequello di una qualsiasi sua sottosuccessione:

Proposizione 2.2.8. Una successione monotona ha limite ` se e solo se esiste una suasottosuccessione che ha limite `.

(61)In realta, cio che conta e che la successione sia definitivamente monotona.

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Dimostrazione. Sia an una successione monotona (per fissare le idee, diciamo crescente) e sia ank una suasottosuccessione con limite `: dunque, visto che anche ank e crescente, sara ` 2 R oppure ` = +1. Nelprimo caso si ha che per ogni " > 0 esiste k" 2 N tale che ` � " < ank ` per ogni k � k": ma, essendoan crescente, cio implica che `� " < am ` per ogni m � nk" , ovvero che anche an converge a `. Il caso` = +1 si prova similmente.

L’esponenziale naturale Ora possiamo dare una definizione classica, particolarmentesemplice e suggestiva, della funzione esponenziale naturale.

Teorema 2.2.9. (Esponenziale naturale) Dato x 2 R, la successione en(x) :=�1 + x

n

�nEsponenzialenaturale

e definitivamente crescente e limitata, dunque converge ad un certo numero reale

exp(x) := limn�!+1

�1 + x

n

�n.

La funzione exp : R �! R ha le seguenti proprieta.

(1) exp(x) > 0 per ogni x 2 R.

(2) exp(�x) =1

exp(x)per ogni x 2 R (in particolare exp(0) = 1).

(3) (Proprieta di omomorfismo) Per ogni x, y 2 R vale exp(x + y) = exp(x) exp(y) .

(4) (Disuguaglianza dell’esponenziale naturale) Per ogni x < 1, x 6= 0 si ha

(2.2) 1 + x < exp(x) <1

1 � x

(per x = 0 vale l’uguaglianza; e la prima disuguaglianza vale per ogni x 6= 0).

(5) (Stretta crescenza) Se x < x0 allora exp(x) < exp(x0) .

Figura 2.2: Le disuguaglianze fondamentali dell’esponenziale e del logaritmo naturali.

Dimostrazione. Usando la disuguaglianza tra le medie aritmetica e geometrica (vedi pag. 26) con n + 1 alposto di n e con a1 = · · · = an = 1 + x

ne an+1 = 1 (si noti che tutti gli ai sono > 0 e non tutti uguali se

x 6= 0) si mostra subito che en(x) e crescente per n > �x, dunque definitivamente crescente. Quanto alla

limitatezza, se n > |x| si ha 0 < 1 � x2

n2 < 1, da cui 0 < (1 + xn)(1 � x

n) < 1, da cui (elevando alla n) si

ha 0 < (1 + xn)n(1 � x

n)n < 1, ovvero en(x) = (1 + x

n)n < (1 � x

n)�n; notando che (1 � x

n)n = (1 + (�x)

n)n

e crescente se n > �(�x) = x (dunque lo e se n > |x|), si ha che la successione al secondo membro(1� x

n)�n e decrescente, e cio prova che en(x) e superiormente limitata (da uno qualsiasi degli elementi della

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successione di destra con n > |x|). Dunque en(x), essendo definitivamente crescente e limitata, converge aexp(x) := sup{(1+ x

n)n : n 2 N} 2 R in base alla Proposizione 2.2.6. Passiamo alle proprieta. (1) Se n > |x|

vale 0 < (1+ xn)n < exp(x). Dando poi per buona (3) (la proprieta di omomorfismo), (2) ne discende subito

(infatti en(0) e la costante 1 e dunque exp(0) = 1, e poi exp(x) exp(�x) = exp(x + (�x)) = exp(0) = 1,da cui la tesi). Per (4): se x > �1 e x 6= 0 sappiamo che (en(x))n2N e crescente fin da subito (infattilo e per n > �x, dunque per n � 1), da cui e1(x) = 1 + x < exp(x); la stessa cosa vale ovviamente sex < �1 (il primo membro e negativo, il secondo positivo per (1)). Sostituendo x con �x si ottiene allorache 1 � x < exp(�x) per ogni x 6= 0; se x < 1 il primo membro e positivo, dunque passando ai reciproci eusando (2) si ricava exp(x) < 1

1�x, come si voleva. Infine (5): se t := x0 � x > 0 si ha exp(t) > 1 + t > 1,

ovvero exp(x0 � x) > 1, ovvero (ricordando (3) e (2)) exp(x0)exp(x)

> 1, da cui subito la tesi.

In particolare, per x = 1 si ha il numero di Nepero, che dimostreremo essere irrazionale: Numero diNepero

e := exp(1) = lim(1 + 1n)n = 2, 7182818 · · ·

Poggiando su questa definizione del tutto naturale della funzione exp(x), si possono ri-cavare definizioni altrettanto naturali di altre funzioni elementari. Ad esempio, poiche expe strettamente crescente e si ha exp(R) =]0, +1[,(62) la funzione exp : R �! R>0 e unabiiezione, la cui inversa (anch’essa strettamente crescente)

log : R>0 �! R

e detta logaritmo naturale. Le proprieta del logaritmo naturale (ovvero log(xx0) = log x + Logaritmonaturale

log x0 e log(x↵) = ↵ log x) discendono da quelle dell’esponenziale. Da (2.2) si ricavafacilmente(63) la disuguaglianza fondamentale del logaritmo

(2.3)x

1 + x< log(1 + x) < x per ogni x > �1, x 6= 0.

Inoltre, dati ↵ 2 R e a > 0 si possono definire le funzioni potenza reale Potenza reale

x↵ : R>0 �! R>0, x↵ := exp(↵ log x)

(da cui, per x = e, la notazione alternativa e↵ = exp(↵)), l’esponenziale di base a Esponenzialedi base a

ax : R �! R>0, ax := exp(x log a) ;

e, se a > 0 e a 6= 1, il logaritmo di base a Logaritmodi base a

loga : R>0 �! R, loga x :=1

log alog x .

Successioni e topologia Diamo ora alcune utili caratterizzazioni di chiusura, accu-mulazione e compattezza ottenute con l’uso delle successioni.

(62)Si mostra usando la disuguaglianza (2.2) e la continuita dell’esponenziale, che vedremo piu tardi.(63)Applicando il logaritmo (crescente) ai due membri di 1 + x < exp(x) in (2.2) si ricava log(1 + x) < x,che e la parte destra di (2.3); quanto all’altra meta di (2.3), se in exp(⇠) < 1

1�⇠ di (2.2) con ⇠ < 1 e ⇠ 6= 0si sostituisce ⇠ = x

1+x(sara allora x > �1 e x 6= 0) si ottiene exp( x

1+x) < 1 + x, e basta ancora applicare il

logaritmo.

Corrado Marastoni 75

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Analisi Matematica I

Proposizione 2.2.10. Sia A un sottoinsieme di R.

(1) Un punto x0 2 eR e di chiusura per A se e solo se esiste una successione di elementidi A che ha limite x0.

(2) Un punto x0 2 eR e di accumulazione per A se e solo se esiste una successione dielementi di A tutti distinti da x0 che ha limite x0.

(3) A e compatto(64) se e solo se e “sequenzialmente compatto”, ovvero ogni successionedi elementi di A ammette un sottosuccessione convergente ad un punto di A.

Dimostrazione. (1) Necessita: supponiamo per iniziare che x0 2 R. Se x0 e di chiusura per A si ha cheper ogni n 2 N vale Bx0(

1n) \ A 6= ?, ovvero per ogni n 2 N esiste xn 2 A tale che |xn � x0 | < 1

n: ma

allora la successione (xn) (fatta di punti di A) converge a x0 . Nel caso ad esempio in cui x0 = �1, se x0

e di chiusura per A si ha che per ogni n 2 N vale ] �1, n[\A 6= ?, ovvero per ogni n 2 N esiste xn 2 Atale che xn < �n: ma allora la successione (xn) (fatta di punti di A) converge a �1. Su�cienza: seesiste una successione (xn) di elementi di A che converge a x0, tale successione entra definitivamente inogni intorno di x0 : percio per ogni V intorno di x0 si ha V \ A 6= ?, ovvero x0 e di chiusura per A. (2)Dimostrazione simile a quella per la chiusura. (3) Necessita: sia A compatto, e sia (xn) una successionedi elementi di A. Poiche A e limitato, tale e anche la successione, e dunque (Proposizione 2.2.7) essaammette una sottosuccessione convergente, diciamo a x0 2 R: essendo pero A anche chiuso, per (1) siavra x0 2 A. Dunque A e sequenzialmente compatto. Su�cienza: sia A sequenzialmente compatto. SeA non fosse chiuso, esisterebbe qualche punto x0 2 R di chiusura per A e che non sta in A, e per (1)esisterebbe una successione (xn) di elementi di A che converge a x0 ; se A non fosse limitato, esisterebbeuna successione x0n di elementi di A che diverge a +1 oppure a �1. Ma allora (Proposizione 2.2.3)nessuna delle sottosuccessioni di (xn) e di (x0n) potrebbe convergere a un elemento di A, e cio negherebbela compattezza sequenziale di A. Dunque A e sia chiuso che limitato, ovvero compatto.

Sul calcolo dei limiti di successioni in forma indeterminata Vediamo ora alcu-ne tecniche che aiutano a semplificare il calcolo dei limiti di successioni. Ad esempio, ilseguente criterio e spesso utile.

Proposizione 2.2.11. (Criterio del rapporto per le successioni) Sia an > 0 tale chel = lim an+1

anesista (in R�0 oppure +1). Se 0 l < 1 allora (an)n2N e infinitesima; se

l > 1 allora (an)n2N diverge a +1; se invece l = 1 non si sa dire nulla in generale.

Dimostrazione. Se 0 l < 1 la successione (an)n2N diventa decrescente da un certo N in poi; essendoinferiormente limitata (da 0) essa ammette limite a = lim an = infn�N an 2 R�0, e passando al limitenell’identita an+1 =

an+1

anan si ottiene a = la, da cui a = 0. Similmente, se l > 1 la successione (an)n2N

diventa crescente da un certo N in poi, e dunque essa ammette limite a = lim an = supn�N an 2 R>0 [{+1}, e passando al limite nell’identita an+1 =

an+1

anan si ottiene a = la, da cui stavolta a = +1. Tali

ragionamenti non si applicano se l = 1, caso in cui non si sa dire nulla in generale: ad esempio, per an = 1n,

bn = nn+1

e cn = n si ha sempre l = 1, ma la successione (an)n2N e infinitesima, (bn)n2N tende a 1 mentre(cn)n2N diverge a +1.

Esempi. (1) Fissato un ↵ 2 R, la successione geometrica di ragione ↵ e data da an = ↵n (ovvero, a1 = ↵,

a2 = ↵2, ...). Se ↵ = 0 essa e ovviamente la successione costante nulla; se |↵| < 1 essa e infinitesima e se

|↵| > 1 essa diverge a 1 (infatti lim|an+1|

|an| = |↵|). Infine, se ↵ = 1 si ha la successione costante 1, mentre

se ↵ = �1 si ha la successione alternante (�1)n, che e indeterminata. (2) Per ogni ↵ > 1 ed ogni q 2 Nvale lim ↵n

nq = +1: infatti, posto an = ↵n

nq si ha liman+1

an= lim↵

⇣n

n+1

⌘q

= ↵ > 1. (3) Per ogni ↵ > 0

(64)cioe, lo ricordiamo, chiuso e limitato.

Corrado Marastoni 76

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Analisi Matematica I

vale lim ↵n

n!= 0: infatti, posto an = ↵n

n!si ha lim

an+1

an= lim ↵

n+1= 0. (4) Vale lim n!

nn = 0: infatti, posto

an = n!nn si ha lim

an+1

an= lim( n

n+1)n = lim((1 + 1

n)n)�1 = 1

e< 1.

Come detto in precedenza, il calcolo di limiti e agevolato se gia ora si usa la continuitadi alcune funzioni elementari (potenza, esponenziale, logaritmo, trigonometriche, e lorosomme, prodotti e quozienti) che proveremo piu avanti. In generale, usare la continuita diuna funzione f(x) di variabile reale x significa che se bn ! ` 2 R allora f(bn) ! f(`) 2 R(ove “f(`)” e inteso anche nel senso di “limite di f(x) quando x tende a `”: dunque adesempio se bn ! �1 allora exp(bn) ! 0+; se bn ! 0+ allora log(bn) ! �1; se bn ! +1allora exp(bn), log(bn) ! +1).

Esempi. (1) La successione an = np

2 = 21n tende a 1: infatti 1

ne infinitesima, e poi si usa la continuita

dell’esponenziale f(x) = 2x per concludere che allora an tende a 20 = 1. (Altro modo per dimostrare

questo limite: usando la continuita dell’esponenziale e del logaritmo si ha che an = np

2 tende a 1 se e

solo se log an tende a log 1 = 0: ma quest’ultima cosa e chiara, perche log an = (log 2) 1n

(la successione

infinitesima moltiplicata per la costante log 2). (2) La successione an = log sin 1n2 tende a �1: infatti 1

n2

e infinitesima, dunque (continuita del seno) sin 1n2 ! 0+, dunque (continuita del logaritmo) an ! �1.

(3) La successione an = log(n2 +1)�2 log n e della forma +1�1; usando la proprieta del logaritmo essa

diventa an = log n2+12n2 , e poiche n2+1

2n2 =1+ 1

n2

2tende a 1

2, usando la continuita di log si ricava che allora

an tende a log 12

= � log 2. (4) La successione an = exp(n3 � 6n) tende a +1: infatti n3 � 6n ! +1,

dunque (continuita dell’esponenziale) an ! +1.

E utile anche il seguente risultato:

Proposizione 2.2.12. (Cesaro) Date un e vn con vn > 0 e lim(v1 + · · ·+vn) = +1 ,se esiste lim un

vnallora esiste anche lim u1+···+un

v1+···+vned e uguale a esso. Ad esempio:

(i) Se esiste lim an , allora esiste anche lim a1+···+ann ed e uguale a esso.

(ii) Se esiste lim(bn � bn�1) , allora esiste anche lim bnn ed e uguale a esso.

(iii) Se cn � 0 e esiste lim cn , allora esiste anche lim np

c1 · · · cn ed e uguale a esso.

(iv) Se dn > 0 e esiste lim dn+1

dn, allora esiste anche lim n

pdn ed e uguale a esso.

Dimostrazione. Non diamo la dimostrazione dell’enunciato principale; notiamo che (i) ne segue ponendoun = an e vn = 1, mentre (ii) segue da (i) con a1 = b1 e an = bn � bn�1 per n � 2, e (iii) e (iv) seguonoda (i) e (ii) con an = log cn e bn = log dn usando la continuita del logaritmo.

Esercizio. Mostrare i seguenti limiti: (a) lim np

n = 1 ; (b) lim log nn

= 0 ; (c) lim np

n! = +1 ;

(d) limnp

n!n

= 1e; (e) lim 1k+2k+···+nk

nk+1 = 1k+1

(ove k 2 N).

Risoluzione. (a-b) La Proposizione 2.2.12 con dn = n dice subito che lim np

n = 1, e lim log nn

= 0 ne

segue dalla continuita del logaritmo. Proponiamo tuttavia altre due risoluzioni. (i) Per mostrare che

lim np

n = 1 ci basta mostrare che, preso un qualsiasi " > 0, si ha definitivamente 1 np

n < 1 + ",

ovvero (elevando alla n) che 1 n < (1 + ")n. La prima disuguaglianza e ovvia, e la seconda, essendo

(1+")n = 1+n"+ n(n�1)2

"2+· · · > n(n�1)2

"2 = "2

2(n2�n) =: bn basta mostrare che n < bn definitivamente,

e anch’essa vera (infatti limn�!+1 nbn

= 0). Applicando log e sfruttandone la continuita, ne discende anche

lim log nn

= 0. (ii) Iniziamo mostrando che np

n e definitivamente decrescente, ovvero che np

n > n+1p

n + 1:

Corrado Marastoni 77

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Analisi Matematica I

infatti cio equivale a nn+1 > (n + 1)n, ovvero n/(1 + 1n)n > 1, e cio e vero per n � 3 (infatti (1 + 1

n)n

tende crescendo a e < 3). Dunque np

n e definitivamente decrescente, ma allora tale e anche log nn

(ottenuta

applicando log, crescente): pertanto, se vogliamo mostrare che lim log nn

= 0 ci basta farlo su una sua

qualsiasi sottosuccessione (Proposizione 2.2.8). Ad esempio consideriamo quella data da ⌫(k) = 2k, ovverolog 2k

2k = (log 2) k2k : poiche lim (log 2) (k+1)/2k+1

(log 2) k/2k = 12

< 1, si ha lim(log 2) k2k = 0, dunque anche lim log n

n= 0,

dunque (applicando exp, continuo) anche lim np

n = 1. (c) Anche in questo caso la Proposizione 2.2.12

permette di concludere subito con dn = n!; alternativamente si puo ragionare come segue. Se n e pari

si ha np

n! = np

n(n � 1) · · · n2(n

2� 1) · · · 1 � n

pn2

n2

· · · n2

· 1 · · · 1 = n

q(n

2)

n2 =

pn2, e se n e dispari si

ha np

n! = n

qn(n � 1) · · · n+1

2· n�1

2· · · 1 � n

qn+1

2n+1

2· · · n+1

2· 1 · · · 1 =

n

q(n+1

2)

n+12 > n

q(n

2)

n2 =

pn2,

dunque lim np

n! = +1 (per il “carabiniere unico”). (d) Proposizione 2.2.12 con dn = n!nn . (e) Proposizione

2.2.12 con un = nk, v1 = 1 e vn = nk+1 � (n � 1)k+1, ricordando il binomio di Newton.

Tuttavia, sara dopo lo studio dei limiti di funzioni di una variabile reale che potremoallargare considerevolmente la nostra capacita di calcolo di limiti di successioni, perchequest’ultimo verra ricompreso come caso particolare del primo.(65)

Esempio. (1) Vedremo che limx�!0

1�cos xx2 = 1

2: ne derivera che, ad esempio, anche le successioni n2(1 �

cos 1n) e e2n(1�cos e�n) (casi particolari del limite precedente, in cui anziche tendere a 0 lungo lungo tutta

la variabile reale x vi si tende lungo le particolari successioni infinitesime x0n = 1n

e x00n = e�n) tendono a12. (2) Per mostrare che lim n log(1+ 1

n) = 1 basta ricordare la disuguaglianza fondamentale del logaritmo

per x = 1n, ovvero 1/n

1+(1/n)< log(1 + 1

n) < 1

n: moltiplicando per n si ottiene n

n+1< n log(1 + 1

n) < 1,

e il limite segue per i due carabinieri. Per mostrare lim n(e1n � 1) = 1 si procede analogamente usando

la disuguaglianza fondamentale dell’esponenziale. Ma anche questi due limiti discenderanno subito come

conseguenza dei limiti in variabile reale limx�!0log(1+x)

x= 1 e limx�!0

ex�1x

= 1.

(65)In e↵etti, aver introdotto il limite per la variabile naturale (ovvero per le successioni) anziche fin dasubito per la variabile reale ha una valenza soprattutto educativa. La nozione di limite e piu comprensibilee ricca di sfumature se introdotta prima per le successioni e solo poi ampliata alle funzioni di variabile reale:va notato infatti che l’uso delle successioni, come vedremo, fornisce esso stesso una definizione alternativadi limite per le funzioni di variabile reale.

Corrado Marastoni 78

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Analisi Matematica I

2.3 Serie numeriche

Una serie (numerica reale) e una coppia di successioni reali (an, sn)n2N legate da Serie

sn =nX

j=1

aj = a1 + · · · + an ;

an si dira termine n-esimo della serie, sn la somma parziale (o ridotta) n-esima. La

notazione standard per una serie e+1Pn=1

an , o semplicementeP

an se e chiaro da dove

parte l’indice di somma n (a volte conviene farlo partire da 0, altre da un naturale > 1).

Una serieP

an si dira convergente (risp. divergente a ±1, indeterminata) se tale e la Serie convergente,divergente,indeterminatasuccessione delle ridotte sn; capire quale delle tre eventualita si verifica e detto comune-

mente “determinare il carattere della serie”. Se la serie converge, il limite s = lim sn sidira somma della serie, e si scrivera s =

Pan. Somma della serie

Esempi. (1) La serieP

1 = 1 + 1 + 1 + · · · (cioe tutti gli an sono uguali a 1) chiaramente diverge a

+1: infatti sn = 1 + · · · + 1 (n volte) = n ! +1. (2) La serieP

(�1)n = (�1) + 1 + (�1) + · · · e

indeterminata: infatti sn = �1 (per n dispari) o sn = 0 (per n pari), dunque sn e indeterminata. (3) La

serieP+1

n=012n = 1 + 1

2+ 1

4+ · · · converge a 2: infatti e facile rendersi conto che sn = 2 � 1

2n ! 2. (4)

La serie aritmeticaP

xn con xn = na (per un certo a 2 R) ha ridotta sn = (1 + 2 + · · · + n)a = n(n+1)2

a,

dunque converge se e solo se a = 0 (con somma 0), e diverge a (sign a)1 negli altri casi. (5) La serie

armonicaP

1n

= 1 + 12

+ 13

+ · · · converge o no? E, piu generalmente,P

1n↵

per ↵ 2 R? E la stessa cosa

col segno alterno, ovveroP

(�1)n 1n↵

? Visto che non siamo (ne’ saremo) in grado di calcolare sn, per ora

restiamo nell’incertezza, nell’attesa di conoscere altri metodi per determinare il carattere di una serie. (6)

La serie di MengoliP

1n(n+1)

= 12

+ 16

+ · · · converge a 1: infatti, essendo 1n(n+1)

= 1n� 1

n+1, si ottiene

sn = (1 � 12) + ( 1

2� 1

3) + · · · + ( 1

n� 1

n+1) = 1 � 1

n+1! 1.

Gia da alcuni esempi riportati qui sopra emerge che non sempre si riesce a calcolare laridotta sn, dunque bisognera elaborare qualche metodo per capire il carattere di una seriesenza essere costretti a calcolarne (cosa in realta piuttosto rara) la ridotta, e di conseguenzasenza ambire (nel caso la serie converga) di trovarne la somma esatta.

Iniziamo allora a trattare il problema a partire dagli esempi piu semplici, che ne cos-tituiranno i punti di riferimento. In questo senso, le serie piu importanti sono la seriegeometrica

P+1n=0 qn = 1 + q + q2 + · · · (di ragione q 2 R) e la serie armonica

P 1n↵

(di “esponente” ↵ 2 R). Iniziamo dalla prima, piu facile perche ne sappiamo calcolare laridotta.

Proposizione 2.3.1. (Serie geometrica) La serieP+1

n=0 qn = 1 + q + q2 + · · · convergese |q| < 1, con somma 1

1�q ; se q � 1 diverge a +1; se q �1 e indeterminata.

Corrado Marastoni 79

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Analisi Matematica I

Dimostrazione. E ben noto che se q 6= 1 si ha sn = 1 + q + q2 + · · · + qn = 1�qn+1

1�q, mentre se q = 1 si ha

sn = n. Il risultando segue dunque cercando il limite di sn.

Quanto alla seconda, limitiamoci per il momento a capire qual e il carattere per ↵ = 1 :

Proposizione 2.3.2. La serie armonicaP 1

n diverge a +1.

Dimostrazione. Sia sn = 1 + 12

+ · · · + 1n

la ridotta n-esima: seP

1n

fosse convergente, (sn)n2N avrebbelimite finito s 2 R>0, e cosı tutte le sue sottosuccessioni, tra cui quella degli elementi di posto pari(s2n)n2N: pertanto dovrebbe aversi lim(s2n �sn) = s�s = 0. Ma cio non e possibile, in quanto s2n �sn =

1n+1

+ · · · + 12n

> n 12n

= 12. Percio la successione sn, monotona crescente, diverge a +1.

Le seguenti osservazioni sono importanti.

Proposizione 2.3.3. SiaP

an una serie.

(1) (Il termine generale di una serie convergente e infinitesimo) SeP

an converge, alloraan tende a 0. Il viceversa e invece falso.

(2) (Definitivita del carattere di una serie) SeP

bn e una serie di termine generale defini-tivamente uguale a quello di

Pan,(66) le due serie hanno lo stesso carattere.

(3) (Linearita della somma di una serie convergente) SeP

an converge con somma s, dato↵ 2 R si ha che

P(↵an) converge con somma ↵s; data poi un’altra serie convergenteP

bn con somma t , si ha cheP

(an + bn) converge con somma s + t.(67)

Dimostrazione. (1) Sia s la somma diP

an. Essendo an = sn � sn�1 e passando al limite per n �! +1,poiche le due successioni al secondo membro convergono entrambe a s si ha che lim an = s � s = 0. Perfar vedere che non e detto che una serie con termine generale infinitesimo sia convergente, basta ricordareP

1n

(Proposizione 2.3.2). (2) Sia n0 2 N tale che an = bn per ogni n > n0. Se sn (risp. tn) denota laridotta n-esima di

Pan (risp. di

Pbn), per n > n0 si ha tn = sn + (b1 � a1) + · · · + (bn0 � an0), ovvero le

due ridotte di↵eriscono della quantitaPn0

j=1(bj � aj), indipendente da n: dunque, passando al limite pern �! +1 e ovvio che sn converge (risp. diverge a ±1, e indeterminata) se e solo se tn fa lo stesso. (3)Discende dalla linearita del limite di successioni (Proposizione 2.2.5(c)).

Esempi. (1) Se ↵ 0, la serie armonicaP

1n↵

non puo essere convergente: infatti il suo termine

generale non e infinitesimo. Idem dicasi perP

arctg n eP

(�1)n : il loro termine generale non e

infinitesimo, dunque non possono essere convergenti. (2) Se x, y 2 R con |x| < 1 e |y| < 1 alloraP(xn � yn) =

P(xn + (�1)yn) =

Pxn �P yn = 1

1�x� 1

1�y= x�y

(1�x)(1�y).

Serie a termini positivi Come le successioni monotone per le successioni, le serie a

termini positivi (ovvero leP

an con an � 0 per ogni n 2 N)(68) hanno un comportamentobuono, e possono essere studiate in modo particolare.

Proposizione 2.3.4. Una serie a termini positivi e sempre determinata: o converge (consomma positiva), o diverge a +1.

(66)ovvero, esiste n0 2 N tale che an = bn per ogni n > n0.(67)Attenzione: l’enunciato vale solo quando

Pan e

Pbn sono entrambe convergenti.

(68)Come abbiamo gia osservato nella Proposizione 2.3.3, cio che conta e il comportamento definitivo:quello che diremo ora vale, piu in generale, per le serie con termini di segno definitivamente costante.

Corrado Marastoni 80

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Analisi Matematica I

Dimostrazione. La successione delle ridotte di una serie a termini positivi e monotona crescente e a terminipositivi: il risultato segue allora dalla Proposizione 2.2.6.

Per capire il carattere di una serie a termini positivi, i criteri piu usati sono quelli delconfronto e di asintoticita, che ora descriviamo. A tal fine, diremo che due successioni an

e bn sono dello stesso ordine (scrivendo an ⇠⇤ bn) se esiste � 6= 0 tale che an = �(1+�n)bn

per una qualche successione infinitesima �n: e facile vedere che, se bn e definitivamentenon nulla, cio equivale a lim an

bn= � 2 R⇥. E chiaro che si tratta di una relazione

d’equivalenza.(69)

Proposizione 2.3.5. SianoP

an eP

bn due serie a termini positivi.

(1) (Criterio del confronto) Sia an bn definitivamente (ad esempio, sia lim anbn

= 0).Allora, se

Pbn converge, anche

Pan converge; se

Pan diverge, anche

Pbn diverge.

(2) (Criterio di asintoticita) Se an ⇠⇤ bn (ad esempio, se lim anbn

= � 2 R>0) alloraP

an

eP

bn hanno lo stesso carattere.

Dimostrazione. (1) Poiche il carattere di una serie non dipende da un numero finito di termini iniziali,possiamo supporre che sia an bn per ogni n 2 N: allora, dette sn e tn le ridotte di

Pan e

Pbn, si

ha sn tn, e basta applicare il teorema del confronto per le successioni. (2) Per definizione di limite,esiste n0 2 N tale che 1

2� < an

bn< 3

2�, ovvero (essendo bn > 0) tale che �

2bn < an < 3�

2bn. Ma allora

basta applicare il teorema del confronto appena provato in (1): seP

bn converge allora ancheP

( 3�2

bn)converge, e per confronto converge pure

Pan, mentre se

Pbn diverge allora anche

P(�

2bn) diverge, e per

confronto diverge pureP

an.

Esempi. (1) Torniamo a parlare della serie armonica (a termini positivi)P

1n↵

. Poiche si e mostrato

(Proposizione 2.3.2) cheP

1n

diverge a +1, per il criterio del confronto si ha che quando ↵ < 1 ancheP1

n↵diverge a +1. Notiamo poi che an = 1

n2 e asintotico al termine generale della serie di Mengoli

bn = 1n(n+1)

(infatti lim anbn

= 1), dunque, per il criterio di asintoticita,P

1n2 ha lo stesso carattere della

serie di Mengoli, ovvero converge. Ancora per confronto possiamo allora risolvere i casi ↵ > 2: poiche in

quel caso 1n↵

1n2 , anche tali serie convergono. Ci resta da capire cosa accade quando 1 < ↵ < 2, e lo

faremo tra breve. (2)P

an con an = 2n�373n2+1

e a termini definitivamente positivi; poiche an e dello stesso

ordine di 1n

(ovvero lim an1/n

= lim n an = 23

> 0) e sappiamo cheP

1n

diverge a +1, lo stesso faraP

an

per il criterio di asintoticita. (3) Sia abbiaP

(1 � cos 1n↵

) con ↵ > 0. Si tratta di una serie a termini

positivi, dunque o converge (in R�0) o diverge a +1. Poiche 1n↵

e infinitesima, il termine generale della

serie e infinitesimo: il limite di variabile reale limx�!0

1�cos xx2 = 1

26= 0 ci dice che 1 � cos 1

n↵⇠⇤ 1

n2↵ , e percio

la nostra serie ha lo stesso carattere della serie armonicaP

1n2↵ . Anticipando quello che mostreremo tra

breve, diciamo che la serie armonicaP

1n�

converge se e solo se � > 1, e diverge per � 1: dunque la

nostra serie converge per ↵ > 12, e diverge a +1 per 0 < ↵ 1

2. (Due parole sul caso ↵ 0: qui si ha

lim 1n↵

= +1, e –ma e di�cile da mostrare– il termine 1� cos 1n↵

non e mai infinitesimo, dunque la serie,

non potendo convergere, diverge a +1.) (4) Sia abbiaP |↵�2 arctg n|� con ↵,� 2 R. Poiche arctg n ! ⇡

2,

(69)Si abbia an = f(n) e bn = g(n) per due opportune funzioni f(x) e g(x) di variabile reale definiteall’intorno di +1: in tal caso, nelle notazioni dei limiti di variabile reale (vedi pag. 110) e chiaro chese f(x) ⇠⇤+1 g(x) allora an ⇠⇤ bn. Dunque la conoscenza dei comportamenti asintotici delle funzionipermette un uso piu ampio e disinvolto dei criteri che seguono, ed e proprio questo a suggerire l’opportunitadi a↵rontare lo studio delle serie numeriche dopo quello dei limiti di funzioni di variabile reale, anzichesubito dopo le successioni.

Corrado Marastoni 81

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Analisi Matematica I

se ↵ 6= ⇡ il termine generale della serie non e infinitesimo, dunque la serie (a termini positivi) diverge a

+1; la stessa cosa accade se ↵ = ⇡ e � 0. Dunque l’unico caso interessante e quello in cui ↵ = ⇡ e

� > 0. Notando che limx�!+1

⇡�2 arctg x1x

= 2 (ad esempio si ricordi che per x > 0 si ha arctg x + arctg 1x⌘ ⇡

2,

e che arctg t ⇠0 t) si ha che ⇡ � 2 arctg n ⇠⇤ 1n, ovvero il termine generale della serie ha lo stesso ordine

di 1n�

: la serie converge dunque se e solo se � > 1 (vedi piu sotto per la serie armonica). (5) Si abbia

la serieP

( ↵nn+1

)n con ↵ > 0. Se 0 < ↵ < 1 si ha ↵nn+1

< ↵, dunque ( ↵nn+1

)n < ↵n e la serie converge

per il confronto; se invece ↵ � 1 la serie diverge a +1 perche il termine generale non e infinitesimo (in

particolare, se ↵ = 1, il termine generale tende a 1e

> 0, mentre se ↵ > 1 tende a +1 perche ↵nn+1

> 1

definitivamente). Va comunque osservato che una serie come questa sara piu facilmente comprensibile col

criterio della radice, che vedremo tra poco.

Citiamo, senza dimostrarlo, il seguente

Proposizione 2.3.6. (Criterio di condensazione di Cauchy) Una serieP+1

n=1 an a ter-mini positivi e decrescente ha lo stesso carattere della serie “condensata”

P+1k=0 2k a2k .(70)

Esempio. Il criterio di condensazione di Cauchy ci permette di chiudere finalmente la questione della serie

armonicaP

1n↵

nel caso ↵ > 0, in cui e rimasto il dubbio per 1 < ↵ < 2: infatti la serieP+1

k=0 2k 1(2k)↵

=P+1k=0(2

1�↵)k converge se e solo se |q| = 21�↵ < 1, ovvero 1 � ↵ < 0, ovvero ↵ > 1. Pertanto la serie

armonicaP

1n↵

converge se e solo se ↵ > 1, e permette di definire, con la sua somma, una delle piu

importanti funzioni non elementari, ovvero ⇣ :]1, +1[�! R (la “zeta di Riemann”, il cui grafico e in Figura

2.3). Di tale funzione si conoscono solo pochi valori esatti, essenzialmente quelli nei naturali pari, ad

esempio si sa che ⇣(2) =P

1n2 = ⇡2

6(il calcolo della somma di questa serie e dovuto a Eulero).

Figura 2.3: Grafici della funzione zeta di Riemann e delle funzioni parte positiva e negativa.

Serie a termini di segno qualunque Dopo la parentesi sulle serie a termini posi-

tivi (che riguarda piu in generale le serie definitivamente a segno costante), torniamo aoccuparci del caso generale.

Una serieP

an si dira assolutamente convergente se la serie (a termini positivi) dei suoi Serieassolutamenteconvergente(70)In sostanza, i termini della serie a1+a2+a3+a4+· · · = (a1)+(a2+a3)+(a4+a5+a6+a7)+· · · vengono

Corrado Marastoni 82

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Analisi Matematica I

moduliP |an| converge. Nel caso di serie a termini positivi (o anche a termini defini-

tivamente a segno costante), chiaramente l’assoluta convergenza equivale alla (semplice)convergenza; nel caso generale si ha che

Proposizione 2.3.7. Una serie assolutamente convergente e anche convergente; invece ilviceversa e falso.

Dimostrazione. Ricordiamo le funzioni (·)+ : R �! R�0 (parte positiva) e (·)� : R �! R�0 (parte negativa)date rispettivamente da x+ := max(x, 0) e x� := max(�x, 0) (vedi Figura 2.3): si noti che entrambequeste funzioni sono a valori positivi, che x = x+ � x� e che |x| = x+ + x� (ad esempio 3+ = 3 e3� = 0 , (�7)+ = 0 e (�7)� = 7 ). Data una serie

Pan, consideriamo le serie (a termini positivi)

Pa+

n

eP

a�n : poiche per ipotesiP |an| converge, essendo a�n , a+

n |an| si ha che anche le serieP

a+n e

Pa�n

convergono per il criterio del confronto, ma allora (Proposizione 2.3.3) converge anche la serie di↵erenzaP(a+

n �a�n ) =P

an. Invece la serie (di Leibniz)P

(�1)n 1n

converge semplicemente (lo vedremo tra poco)ma non assolutamente (infatti la serie armonica

P1n

diverge).

Esempio. Per ↵ > 1 la serieP (�1)n

n↵converge assolutamente (infatti in questi casi la serie armonicaP

1n↵

converge), dunque converge anche semplicemente.

Dunque, in presenza di una serie con termini di segno qualunque, la prima cosa da fare everificare se sia assolutamente convergente (usando, per la serie dei moduli, le cose studiateper le serie a termini positivi, in particolare i criteri del confronto e di asintoticita): se sı,allora e anche convergente. A tal fine, sono di grande importanza pratica anche i seguentidue criteri.(71)

Proposizione 2.3.8. SiaP

an una serie.

(1) (Criterio del rapporto) Sia an 6= 0 definitivamente. Se esiste 0 ↵ < 1 tale

che���an+1

an

��� ↵ definitivamente (es., se esiste lim���an+1

an

��� < 1), alloraP

an converge

assolutamente. Se invece���an+1

an

��� � 1 definitivamente (es., se esiste lim���an+1

an

��� > 1),

alloraP

an non converge.

(2) (Criterio della radice) Se esiste 0 ↵ < 1 tale che np

|an| ↵ definitivamente (es.,se esiste lim n

p|an| < 1), allora

Pan converge assolutamente. Se invece n

p|an| � 1

definitivamente (es., se esiste lim np

|an| > 1), alloraP

an non converge.

Dimostrazione. Limitiamoci alla prova del criterio del rapporto, lasciando per esercizio quella (simile) di

quello della radice. Se esiste 0 ↵ < 1 tale che���an+1

an

��� ↵ definitivamente (diciamo per n � n0) allora

vale |an+1| ↵ |an| ↵2 |an�1| · · · ↵n�n0+1|an0 | =|an0

|↵n0+1↵

n, in altre parole |an+1| e maggiorato da(un multiplo scalare di) una serie geometrica di ragione ↵ < 1: dunque

Pan converge assolutamente. Se

invece���an+1

an

��� � 1 definitivamente (diciamo per n � n0) si ha |an+1| � |an| � · · · � |an0 |, dunque (essendo

an0 6= 0) si ha cheP

an non puo convergere perche il termine generale non e infinitesimo.

Esempi. (1) Dato x 2 R, la serieP+1

n=0xn

n!= 1 + x + 1

2x2 + · · · converge assolutamente (criterio del Serie esponenziale

rapporto:���an+1

an

��� = |x|n+1

tende a 0 < 1), in particolare converge. Tale serie si chiama serie esponenziale

“condensati” in quelli di posto la potenza di 2 precedente, ovvero (a1)+(a2 +a2)+(a4 +a4 +a4 +a4)+ · · · .(71)Il criterio della radice e leggermente piu e�cace di quello del rapporto (infatti, come mostra la Propo-sizione 2.2.12(iv), se funziona il rapporto funziona anche la radice), mentre quello del rapporto e general-mente di uso piu facile.

Corrado Marastoni 83

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Analisi Matematica I

perche la sua somma e il numero exp(x) := lim(1 + xn)n, di cui costituisce una definizione alternativa.(72)

La successione en(1) =�1 + 1

n

�nche, crescendo, definisce e = 2, 7182818 · · · e e1(1) = 2, e2(1) = 9

4= 2, 25,

e3(1) = 6427

= 2, 370, e4(1) = 625256

= 2, 441 e cosı via; d’altra parte, la successione delle ridotte sn della serie

esponenzialeP+1

n=01n!

cresce ben piu rapidamente, essendo s0 = 1, s1 = 1 + 1 = 2, s2 = 1 + 1 + 12

= 2, 5,

s3 = 1 + 1 + 12

+ 16⇠ 2, 666, s4 = 1 + 1 + 1

2+ 1

6+ 1

24⇠ 2, 708 e cosı via. E interessante anche stimare la

di↵erenza tra la ridotta n-esima sn e la somma finale e:

e � sn =

+1X

j=n+1

1

j!<

1

(n + 1)!

+1X

k=0

1

(n + 1)k=

1

(n + 1)!

1

1 � 1n+1

=1

n! n.

Si nota che, e↵ettivamente, la serie esponenziale approssima e in modo estremamente e�cace: ad esempio,la ridotta di ordine m = 7 approssima e a meno di un errore inferiore a 1

7! 7⇠ 3 · 10�5. E facile, a questo

punto, dimostrare anche che Irrazionalita di e

Il numero di Nepero e irrazionale.

Supponiamo infatti che sia e = mn

con m, n 2 N. Da e� sn < 1n! n

si ricava che 0 < n! (e� sn) < 1n. Poiche

sia n! e = n! mn

= m(n � 1)! 2 N che n! sn = n! (1 + 1 + 12!

+ · · · + 1n!

) = n! + n! + n(n � 1) · · · 3 + n(n �1) · · · 4 + · · · + n + 1 2 N, si ha pure n! (e � sn) 2 Z: ma cio e assurdo, perche non vi sono numeri interi

tra 0 e 1n

< 1. (2) Dato x 2 R, la serieP+1

n=1(�1)n+1 xn

n= x � 1

2x2 + 1

3x3 � · · · ha

���an+1

an

��� = |x| nn+1

che tende a |x|: dunque converge assolutamente per |x| < 1, non converge per |x| > 1 (in particolare per

x < �1 diverge a �1), converge solo semplicemente per x = 1 (risulta l’opposto della serie di Leibniz)

e non converge per x = �1 (risulta l’opposto della serie armonica). Tale serie si chiama serie logaritmica Serie logaritmica

perche si dimostra che per �1 < x 1 la sua somma e il numero f(x) = log(1 + x), di cui costituisce una

definizione alternativa. (3) La serieP

2n

n!converge (criterio del rapporto); invece la serie

Pnn

n!diverge (il

criterio del rapporto da e > 1; oppure il criterio della radice, ricordando che limnp

n!n

= 1e).

Terminiamo esaminando una particolare famiglia di serie a termini di segno alterno.

Proposizione 2.3.9. (Criterio di Leibniz per le serie a termini di segno alterno) Sia ↵n

una successione di termini > 0, decrescente e infinitesima. Allora la serie “di Leibniz”con termini di segno alterno

P(�1)n↵n converge.

Dimostrazione. Si dimostra facilmente che: (a) la sottosuccessione delle ridotte di posto pari s2n = �↵1 +↵2 � · · · � ↵2n�1 + ↵2n e decrescente (infatti s2(n+1) � s2n = ↵2n+2 � ↵2n+1 0); (b) la sottosuccessionedelle ridotte di posto dispari s2n+1 = �↵1 + ↵2 � · · · + ↵2n � ↵2n+1 e crescente (infatti s2n+1 � s2n�1 =�↵2n+1 + ↵2n � 0); (c) tutti i termini della prima sottosuccessione sono maggiori di tutti i termini dellaseconda, ovvero s2k � s2l+1 per ogni k, l 2 N (infatti se k = l si ha s2k � s2k+1 = �(�↵2k+1) > 0, poi sek > l si ha s2k � s2k+1 � s2l+1 e se k < l si ha s2k � s2l � s2l+1); (d) la di↵erenza s2n � s2n+1 tendea zero (infatti s2n � s2n+1 = �(�↵2n+1) ! 0). Grazie a (a) e (c) (risp. a (b) e (c)) si conclude che lasottosuccessione s2n (risp. s2n+1) e decrescente ed inferiormente limitata (risp. crescente e superiormentelimitata) e dunque convergente; grazie a (d), i limiti di s2n e s2n+1 saranno lo stesso, che sara anche illimite di sn,(73) ovvero per definizione la somma di

P(�1)n↵n.

Esempi. (1) La serieP (�1)n

np , ove p 2 R, non converge se p 0 (perche il termine generale non e

infinitesimo), converge solo semplicemente se 0 < p 1 (non converge assolutamente, ma il criterio di

Leibniz assicura almeno la convergenza semplice) e converge assolutamente se p > 1. (2) Esaminiamo la

convergenza della serieP (1�5 cos x)n

log(1+n)al variare di x 2 R. Notiamo innanzitutto che �4 < 1 � 5 cos x < 6,

(72)La dimostrazione si basa sul provare che lim(Pn

j=0xj

j!� (1 + x

n)n) = 0, a↵ermazione che si prova

direttamente usando la formula del binomio di Newton (si omettono i calcoli).(73)Va notato che una successione cn ha limite ` se e solo se entrambe le sottosuccesioni dei termini diposto pari c2n e dispari c2n+1 hanno limite `.

Corrado Marastoni 84

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Analisi Matematica I

e poniamo per brevita ✓ := arccos 15

e ' := arccos 25

(si ha dunque ⇡3

< ' < ✓ < ⇡2). Se 1 � 5 cos x = 0

(ovvero se cos x = 15, ovvero se x = ±✓ + 2k⇡ per k 2 Z) tutti i termini sono nulli, e la serie ovviamente

converge (a 0). Supponiamo ora che 1�5 cos x 6= 0, e cerchiamo di applicare il criterio del rapporto: posto

an = (1�5 cos x)n

log(1+n), si ha lim |an+1

an| = lim |1 � 5 cos x| log(1+n)

log(2+n)= |1 � 5 cos x| e dunque, se |1 � 5 cos x| < 1

(ovvero se �1 < 1 � 5 cos x < 1, cioe se 0 < cos x < 25, cioe se �⇡

2+ 2k⇡ < x < �' + 2k⇡ oppure

'+2k⇡ < x < ⇡2+2k⇡) la serie converge assolutamente e dunque converge; se invece |1�5 cos x| > 1 (ovvero

se 1�5 cos x < �1 oppure 1�5 cos x > 1, cioe se cos x < 0 oppure cos x > 25, cioe se ⇡

2+2k⇡ < x < 3⇡

2+2k⇡

con k 2 Z oppure �'+ 2k⇡ < x < '+ 2k⇡) la serie non converge (si noti anzi che se cos x < 0, ovvero se⇡2

+ 2k⇡ < x < 3⇡2

+ 2k⇡, essendo 1 � 5 cos x > 1 si ha an > 0, e dunque la serie diverge a +1). Resta

da chiarire il solo caso in cui |1 � 5 cos x| = 1, ovvero in cui 1 � 5 cos x = ±1, ovvero in cui cos x = 0 (cioe

x = ⇡2

+ k⇡) oppure cos x = 25

(cioe x = ±'+ 2k⇡). Se x = ⇡2

+ k⇡ la serie diventaP

1log(1+n)

: poiche si

ha definitamente n > log(1 + n) > 0 si ricava 0 < 1n

< 1log(1+n)

e dunque, poiche la serieP

1n

diverge a

+1, anche la serieP

1log(1+n)

divergera a +1. Se invece x = ±'+ 2k⇡ la serie diventaP

(�1)n 1log(1+n)

,

che converge per il criterio di Leibniz (infatti la successione positiva 1log(1+n)

e decrescente e infinitesima)

ma non converge assolutamente (per quanto appena visto nel caso in cui cos x = 0). Ricapitolando, la

serie converge assolutamente se �⇡2

+ 2k⇡ < x < �' + 2k⇡ oppure ' + 2k⇡ < x < ⇡2

+ 2k⇡; converge

semplicemente ma non assolutamente per x = ±' + 2k⇡; diverge a +1 per ⇡2

+ 2k⇡ x 3⇡2

+ 2k⇡;

non converge se �' + 2k⇡ < x < ' + 2k⇡ (i termini sono di segno alterno e non sono infinitesimi, anzi

divergono a +1 in valore assoluto).

Esercizio. Studiare il carattere delle seguenti serie al variare di x 2 R:

(1)X 2n � 37

nx; (2)

X 1

1 + xn; (3)

X (�1)npn

1 + n2x; (4)

X✓2nx + 3

n(x2 + 1)

◆2n

.

Risoluzione. (1) La serie e definitivamente a termini positivi, e il termine 2n�37nx e dello stesso ordine di

nnx = 1

nx�1 : dunque, per asintoticita, se x� 1 > 1 (ovvero se x > 2) la serie converge, mentre se x� 1 1

(ovvero se x 2) la serie diverge a +1. (2) Intanto dovra essere x 6= �1. Se x > �1 la serie e a termini

positivi: si noti che se �1 < x 1 il termine generale non e infinitesimo e dunque la serie diverge a +1,

mentre se x > 1 il termine 11+xn e dello stesso ordine di 1

xn = ( 1x)n (termine della serie geometrica, con

0 < 1x

< 1), dunque la serie converge. Similmente, se invece x < �1 si ha che | 11+xn | e dello stesso ordine

di | 1xn | = ( 1

|x| )n (termine della serie geometrica, con 0 < 1

|x| < 1), dunque la serie converge assolutamente.

(3) Per x = 0 la serie non converge, perche il termine generale non e infinitesimo. Per x 6= 0 il criterio

del rapporto non da informazioni (infatti lim���an+1

an

��� = 1), ma basta notare che in tal caso il termine

|an| =p

n|1+n2x| e dello stesso ordine di

pn

n2 = 1

n32

per concludere che la serie e assolutamente convergente.

(4) Il criterio della radice ci da np

|an| =⇣

|2nx+3|n(x2+1)

⌘2

che tende a⇣

|2x|x2+1

⌘2

se x 6= 0, e a 0 se x = 0: dunque

per |2x|x2+1

< 1 (ovvero per x 6= ⌥1, compreso x = 0) la serie converge assolutamente, mentre se x = ⌥1 essa

diverge a +1: infatti se x = 1 si ha che np

|an| =�

2n+32n

�2 � 1, mentre se x = �1 cio non si puo dire ma il

termine generico della serie��2n+3

2n

�2n=⇣(1 + �3/2

n)n⌘2

non e infinitesimo perche tende a (e�32 )2 = e�3.

Corrado Marastoni 85

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3 Funzioni di una variabile reale

Il nucleo centrale del corso, che a↵rontiamo in questo capitolo, consiste nello studio dellefunzioni reali di una variabile reale, ovvero le f : A �! R che ad ogni elemento x deldominio A ⇢ R assegnano uno ed un ben precisato valore reale f(x).

3.1 Generalita

Prima di approfondire la conoscenza “locale” delle funzioni tramite la nozione di limite,richiamiamo alcune nozioni “globali”, dipendenti dalle sole proprieta di corpo commutativototalmente ordinato di R.

Operazioni e ordine con le funzioni Le operazioni di somma e prodotto del corpo Operazioni eordine

commutativo R inducono in modo naturale delle operazioni nell’insieme

RA := {funzioni A �! R}

delle funzioni reali di una variabile reale con dominio un certo A ⇢ R: se f, g 2 RA sonodue funzioni, la loro somma f + g : A �! R ed il loro prodotto fg : A �! R saranno lefunzioni date da (f + g)(x) := f(x) + g(x) e (fg)(x) := f(x)g(x) per ogni x 2 A; se gnon si annulla mai si potra anche considerare la funzione quoziente f

g : A �! R data da

(fg )(x) = f(x)

g(x) per ogni x 2 A. Tali operazioni fanno di RA un anello (vedi pag. 40). In

particolare, la funzione opposta di f e �f : A �! R data da (�f)(x) = �f(x) e, se g non siannulla mai, la funzione reciproca di g e 1

g : A �! R data da (1g )(x) = 1

g(x) . Inoltre e definita

una moltiplicazione per scalari: se f 2 RA e ↵ 2 R si definisce la funzione ↵f : A �! Rtramite (↵f)(x) := ↵ f(x). Somma e moltiplicazione per scalari fanno di RA anche unospazio vettoriale —anzi di piu: un’algebra— sul corpo R (vedi pag. 42).Dal fatto che dominio e codominio sono entrambi sottoinsiemi di R, ha anche senso “com-porre” due funzioni: se f : A �! R, g : B �! R e f(A) ⇢ B si definisce la funzione compostag � f : A �! R come (g � f)(x) = g(f(x)) per ogni x 2 A. La composizione e associativae ha elemento neutro nella funzione identita idR : R �! R data da idR(x) = x per ognix 2 R. Se A, B ⇢ R e f : A �! B e una funzione biiettiva, allora come si sa e univocamentedefinita la funzione inversa f�1 : B �! A tale che f�1 � f = idA e f � f�1 = idB. Dallarelazione d’ordine totale “” di R si introduce inoltre una relazione d’ordine (parziale) inRA ponendo f g se e solo se f(x) g(x) per ogni x 2 A.

Esempi. (1) Se f(x) = x2, g(x) = |x| e h(x) = sin x, allora (h � (f + 3g))(x) = sin(x2 + 3|x|). (2) La

funzionep

log(|x| � 4) puo essere vista come la composizione h � g � f , ove f(x) = |x| � 4, g(x) = log x

e h(x) =p

x. (3) La funzione 6 arctg3(sin x � 1) puo essere vista come la composizione k � h � g � f , ove

f(x) = sin x�1, g(x) = arctg x, h(x) = x3 e k(x) = 6x. (4) La funzione f : [2, 5[�![�1, 8[ e iniettiva (infatti,

Corrado Marastoni 86

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Analisi Matematica I

f(x1) = f(x2) equivale a x21 �x2 = 4(x1 �x2), e se x1 6= x2 cio equivale a x1 +x2 = 4, ma cio e impossibile

se x1, x2 2 [2, 5[ perche cio forzerebbe x1 = x2 = 2) e suriettiva (se y 2 [�1, 8[, cercando le soluzioni

x 2 [2, 5[ di f(x) = y si trovano i numeri reali x = 2±p1 + y, ed essendo 2�p

1 + y 2 2+p

1 + y < 5

si trova una ed una sola soluzione 2+p

1 + y 2 [2, 5[), e dunque biiettiva. Il conto appena fatto ci permette

inoltre di scrivere esplicitamente l’inversa f�1 : [�1, 8[�![2, 5[: essa sara f�1(x) = 2 +p

1 + x.

Dominio naturale Molte funzioni sono date semplicemente esibendo l’espressione Dominionaturale

algebrica che permette, dato un certo x, di calcolare subito il valore f(x), senza specificarechi sia il dominio A ⇢ R di f . In questo caso, si assume tacitamente che quest’ultimo siail dominio naturale di f , ovvero il piu grande sottoinsieme Af di R per il quale tale espres-sione ha senso: bisognera dunque essere in grado di determinare tale dominio naturale.

Esempi. (0) Se f(x) = sin(x2 � 3|x|) oppure f(x) = e5x�cos x, nessuna condizione e richiesta per dare

senso alle espressioni: dunque Af = R. (1) Sia f(x) =p

(x + 2)(3 � x). Per la realta della radice

bisognera che sia (x + 2)(3 � x) � 0, e dunque Af = [�2, 3]. (2) Sia f(x) =p

log(|x| � 4) � tg(x � 2).

Per la realta del logaritmo va richiesto che |x|� 4 > 0, per la radice che log(|x|� 4) � 0, e per la tangente

che x � 2 6= ⇡2

+ Z⇡. Si ottiene dunque il sistema

8<:

|x|� 4 > 0log(|x|� 4) � 0x� 2 6= ⇡

2+ Z⇡

, ovvero

8<:

|x| > 4|x|� 4 � 1x 6= 2 + ⇡

2+ Z⇡

, e percio

Af = (R�5 [ R�5) \ {2 + ⇡2

+ k⇡ : k 2 Z}. (3) Sia f(x) = log |x2 � 1| � arcsin( |x|+|x�2|3

). Si noti

che l’argomento del logaritmo e |x2 � 1| � 0: dunque, per l’esistenza del logaritmo basta richiedere che

tale argomento sia non nullo, ovvero che x 6= ±1. Per l’esistenza dell’arco-seno, invece, va richiesto che il

suo argomento |x|+|x�2|3

stia in [�1, 1] e percio, poiche |x|+|x�2|3

e ovviamente � 0, la condizione diventa|x|+|x�2|

3 1, ovvero |x| + |x � 2| 3: dunque se x 0 si ha �x � (x � 2) 3, che da x � � 1

2(da cui le

soluzioni [� 12, 0]); se 0 x 2 si ha x � (x � 2) 3, che da 2 3, sempre vero (da cui le soluzioni [0, 2]);

infine, se x � 2 si ha x + (x� 2) 3 che da x 52

(da cui le soluzioni [2, 52]). Riassumendo, log |x2 � 1| ha

senso per x 6= ±1, mentre arcsin( |x|+|x�2|3

) ha senso per x 2 [� 12, 5

2]: pertanto si ha Af = [� 1

2, 5

2] \ {1}.

Grafico Abbiamo visto che, in generale, se X, Y sono due insiemi e f : X �! Y una Grafico

funzione, il grafico di f e il sottoinsieme �f = {(x, y) 2 X ⇥ Y : y = f(x)} del prodottocartesiano X ⇥ Y . Pertanto, il grafico di una funzione f : A �! R con A ⇢ R sara unsottoinsieme di R2 = R⇥R, visualizzabile dunque come sottoinsieme del piano cartesiano(solitamente si identifica il dominio A con un sottoinsieme dell’asse delle ascisse, mentrel’asse delle ordinate funge da codominio). Per definizione di funzione, per ogni x 2 Aesistera allora uno ed un solo y = f(x) tale che (x, y) 2 �f .Appare allora chiaro che, data una funzione f : A �! R:

• il grafico della funzione opposta �f : A �! R, data da (�f)(x) := �f(x), si ottieneriflettendo quello di f rispetto all’asse x;

• il grafico della funzione riflessa f r : �A = {x 2 R : �x 2 A} �! R data daf r(x) := f(�x) si ottiene riflettendo quello di f rispetto all’asse y;

• se f : A �! B e biiettiva, il grafico della funzione inversa f�1 : B �! A si ottieneriflettendo quello di f rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante y = x:infatti, (a, b) 2 �f se e solo se b = f(a), cioe se e solo se a = f�1(b), cioe se e solo se(b, a) 2 �f�1 .

Corrado Marastoni 87

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Analisi Matematica I

Figura 3.1: Grafico di una funzione; grafici della funzione opposta e speculare; grafico della funzione inversa;immagine e antiimmagine sul grafico.

Immagine e antiimmagine Se A ⇢ R e f : A �! R e una funzione, l’immagine Immagine eantiimmagine

di A0 ⇢ A e f(A0) = {f(x) : x 2 A0} ⇢ R, l’insieme delle immagini degli elementi diA0 (e dunque un sottoinsieme del codominio, visualizzabile sull’asse delle ordinate nellarappresentazione cartesiana). Invece l’antiimmagine di B ⇢ R e f�1(B) = {x 2 A : f(x) 2B} ⇢ R, l’insieme dei punti del dominio A la cui immagine sta in B (si tratta dunqueun sottoinsieme del dominio, visualizzabile sull’asse delle ascisse nella rappresentazionecartesiana). In generale e piu facile calcolare un’antiimmagine che un’immagine: infatti,per l’antiimmagine f�1(B) va studiata la condizione f(x) 2 B (che si riduce di solito allarisoluzione diretta di sistemi di equazioni e/o disequazioni nell’incognita x), mentre perl’immagine f(A0) bisogna essere in grado di calcolare, per ogni y nel codominio, quali sonole sue antiimmagini (ovvero, chi e la “fibra” f�1(y)) e poi controllare per quali y accadeche almeno una di esse stia in A0. In generale, e specialmente per il calcolo dell’immagine,e utile avere un’idea abbastanza precisa dell’andamento della funzione (sapere se cresce odecresce, se “fa salti” o no...): in particolare, se si dispone del grafico della funzione ci sipuo rendere subito conto visivamente di che cosa siano immagini o antiimmagini.

Esempio. Si consideri f : R �! R dato da f(x) = x2 � 2x � 3 (il grafico e pertanto una parabola con asse

parallelo all’asse delle ordinate, concavita rivolta verso l’alto, intersezioni con l’asse delle ascisse in �1 e

3 e vertice in (1,�4)). L’immagine di un intervallo [a, b] del dominio non e facile da trovare senza dare

un’occhiata al grafico, ed e una grave ingenuita dire che essa e sempre l’intervallo compreso tra f(a) e f(b):

ad esempio, se [a, b] = [�1, 4] si ha f(�1) = 0 e f(5) = 12 ma f([�1, 5]) = [�4, 12], come verifichiamo

ora. Dato y 2 R, per trovare la fibra f�1(y) bisogna risolvere f(x) = x2 � 2x � 3 = y, e cio e possibile

solo per y � �4 con soluzioni x1 = 1 � py + 4 e x2 = 1 +

py + 4; la condizione x1 2 [�1, 5] diventa

�1 1 �py + 4 5, cioe �2 �p

y + 4 4, cioe �2 �py + 4, cioe

py + 4 � 5, cioe y 0, mentre

la condizione x2 2 [�1, 5] diventa �1 1 +p

y + 4 5, cioe �2 py + 4 4, cioe

py + 4 4, cioe

y 12. Ne deduciamo che quando y 12 almeno uno tra x1 e x2 sta in [�1, 5]: questo, combinato con la

succitata y � �4, da quanto detto. Per calcolare l’antiimmagine diciamo dell’intervallo ]c, d] del codominio

basta invece risolvere la disequazione c < f(x) d nell’incognita x: cosı, se si vuole l’antiimmagine di

[�3, 5] si deve risolvere �3 f(x) 5, ovvero il sistema(

x2 � 2x� 3 � �3

x2 � 2x� 3 5, cioe

(x2 � 2x � 0

x2 � 2x� 8 0, che da

le soluzioni [�2, 0] [ [2, 4].

Corrado Marastoni 88

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Parita Se il dominio A di una funzione e simmetrico rispetto a 0 (ovvero se �A = A, Parita

cioe x 2 A se e solo se �x 2 A), ha senso parlare di funzione “pari” o “dispari”. Lafunzione f : A �! R si dira pari se per ogni x 2 A vale f(�x) = f(x) (ovvero se f r = f),e dispari se per ogni x 2 A vale f(�x) = �f(x) (ovvero se f r = �f): in termini digrafico, cio si nota dal fatto che quest’ultimo e simmetrico rispettivamente rispetto l’assedelle ordinate o rispetto l’origine. L’interesse del determinare la parita di una funzione fe evidente: se individuata, cio permette di limitare lo studio di f a A \ R�0.

Esempi. (0) Se 0 2 A e f : A �! R, si noti che allora f(0) = 0 (infatti f(0) = f(�0) = �f(0)). La sola

funzione sia pari che dispari e la funzione nulla (infatti per ogni x 2 A dovrebbe essere f(x) = f(�x) =

�f(x)). (1) La funzione potenza intera f(x) = xn (con n 2 Z) e pari per n pari e dispari per n dispari.

(2) cos x, cosh x, |x|, x2 � x4, ex2

, log | sin x| sono esempi di funzioni pari; sin x, tg x sinh x, arcsin x,

arctg(x�x3) sono esempi di funzioni dispari. (3) ex, x2 �x, log |x2 +x+1| non sono ne pari ne dispari.

Periodicita Una funzione periodica e una funzione che “si ripete inalterata ad inter- Periodicita

valli regolari”. Piu precisamente, f : A �! R si dira periodica se esiste ⌧ > 0 tale che (i)A = n⌧ + A per ogni n 2 Z (ovvero, “A non cambia se lo si trasla a destra o sinistra dimultipli interi di ⌧”), e (ii) per ogni x 2 A vale f(x + ⌧) = f(x). In tal caso, il piu piccolonumero positivo ⌧f con queste proprieta si dira periodo di f , e tutti gli altri ⌧ sarannosuoi multipli interi. Anche qui, l’interesse del determinare la periodicita di una funzionef e evidente perche, se individuata, essa permette di limitare lo studio di f al tratto di Acontenuto in un segmento [n⌧f , (n + 1)⌧f ] per un qualsiasi n 2 Z.

Esempi. (1) Come visto, sin x e cos x sono funzioni periodiche di periodo 2⇡, mentre tg x e cotg x sono

periodiche di periodo ⇡. (2) Se a, b 2 R, la funzione f(x) = sin(ax + b) e periodica di periodo 2⇡|a| : infatti

f(x+ 2⇡|a| ) = sin(a(x+ 2⇡

|a| )+ b) = sin(ax+ b±2⇡) = sin(ax+ b) = f(x). (3) La funzione f : R �! R data da

f(x) = frac(x) � 12

(ove frac(x) rappresenta la “parte frazionaria” di x, vedi pag. 48) e dispari e periodica

di periodo 1. (4) Le funzioni esin x, sin4(2x) e log(cos 2x) +p

1 � tg x sono tutte periodiche (di periodi

rispettivamente 2⇡, ⇡2

e ⇡): in e↵etti, in esse la variabile x e “trattata per prima” da funzioni periodiche.

Cio non accade in sin ex e tgp

1 + x2, che infatti non sono periodiche.

Figura 3.2: Grafico di una funzione pari f e dispari g; grafico di una funzione periodica; grafico di una funzionelimitata con massimo e minimo; grafico di una funzione limitata priva sia di massimo che di minimo.

Crescenza e decrescenza, massimi e minimi Una funzione f : A �! R si dira Crescenza,estremi

Corrado Marastoni 89

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Analisi Matematica I

crescente (risp. decrescente) se per ogni x1, x2 2 A tali che x1 x2 si ha f(x1) f(x2)(risp. f(x1) � f(x2)); strettamente crescente (risp. strettamente decrescente) se tali disug-uaglianze sono strette, ovvero se per ogni x1, x2 2 A tali che x1 < x2 si ha f(x1) < f(x2)(risp. f(x1) > f(x2)); il termine monotona significa “crescente oppure decrescente”. Sef(A) ⇢ R ha il massimo (risp. il minimo), si dira che f ammette/assume massimo (risp.minimo) assoluto (o globale) in A; tali valori, se esistono, vengono detti entrambi estremi(assoluti) di f in A. Invece, i punti del dominio in cui tale massimo (risp. minimo) asso-luto viene assunto si diranno punti di massimo (risp. di minimo) assoluto per f in A, edun punto di massimo (risp. minimo) assoluto si dira stretto se e l’unico punto in cui talemassimo (risp. minimo) assoluto viene assunto. I punti di massimo e minimo assoluto sidicono anche estremanti (assoluti) di f in A.(74)

Esempi. (0) Se una funzione e costante, tutti i punti del suo dominio sono punti di massimo o minimo

assoluto (ovviamente, non stretto). (1) Sia A = R e f : A �! R, f(x) = x2: tale funzione non ammette

massimo assoluto ma ammette minimo assoluto 0, e x = 0 e l’unico punto di minimo assoluto (stretto). (2)

La funzione sin : R �! R e strettamente crescente per �⇡2

+ 2k⇡ x ⇡2

+ 2k⇡ e strettamente decrescente

per ⇡2

+ 2k⇡ x 3⇡2

+ 2k⇡ (con k 2 Z); essa ammette massimo e minimo assoluti (1 e �1), assunti

rispettivamente in x = ⇡2

+ 2k⇡ e x = �⇡2

+ 2k⇡ (con k 2 Z).

Limitatezza Una funzione f : A �! R si dira superiormente limitata su A (risp. Limitatezza

inferiormente limitata su A) se la sua immagine f(A) e un sottoinsieme superiormente(risp. inferiormente) limitato di R; e chiaro che questa nozione si puo riformulare dicendoche esiste ↵ 2 R tale che f(x) ↵ (risp. f(x) � ↵) per ogni x 2 A. La funzione f si diralimitata se e sia superiormente che inferiormente limitata, e cio equivale a dire che esisteM � 0 tale che |f(x)| M per ogni x 2 A. Si ponga attenzione al dominio sul quale siconsidera la funzione: una funzione f : A �! R illimitata puo certamente essere limitatase ristretta ad un sottoinsieme di A.

Esempi. (0) Una funzione e costante f(x) ⌘ k e ovviamente limitata. (1) L’esponenziale f(x) = ex

(con x 2 R) e inferiormente limitata, (perche ex > 0 per ogni x 2 R) ma non superiormente limitata.

Il logaritmo g(x) = log x (con x > 0 e illimitato sia inferiormente che superiormente. (2) Le funzioni

f : A �! R, f(x) = sin'(x) (ove ' : A �! R e una qualsiasi funzione) e g : R �! R, g(x) = 11+x2 , sono

limitate (entrambe sono, in modulo, 1). (3) La funzione f(x) = x2 e inferiormente limitata (da 0) ma

superiormente illimitata sul suo dominio naturale A = R; tuttavia, essa diventa limitata se il suo dominio

viene ristretto ad un qualsiasi intervallo limitato di R. (Naturalmente, questa proprieta non e caratteristica

solo di x2, come vedremo.)

Funzioni composte con riflessioni, traslazioni, omotetie Se e data una funzione Riflessioni,traslazioni,omotetief : A �! R, per ogni x 2 A siamo in grado di calcolare il valore f(x). L’e↵etto del comporre

f con la funzione riflessione m : R �! R, m(t) = �t, ovvero la biiezione che “cambia ilsegno”, l’abbiamo gia discusso parlando di funzioni pari e dispari: la funzione opposta�f(x) : A �! R ha come grafico quello di f riflesso rispetto all’asse x, mentre la funzione

(74)Non si confondano gli “estremanti” (nel dominio) con gli “estremi” (valori del codominio).

Corrado Marastoni 90

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Analisi Matematica I

f r : �A �! R ha come grafico quello di f riflesso rispetto all’asse y.

Sia ora c 2 R, e consideriamo la funzione traslazione ⌧c : R �! R, ⌧c(t) = t + c, ovverola biiezione che “sposta di c”. Si ha allora (⌧c � f)(x) = f(x) + c: dunque il grafico dellafunzione f(x)+ c : A �! R e ottenuto da quello di f muovendolo verticalmente verso l’altodi c (se c � 0) o verso il basso di |c| (se c < 0). D’altra parte si ha (f � ⌧c)(x) = f(x + c):se il dominio di f e A, per poter calcolare f(x + c) il dominio di f(x + c) dovra essereA � c := {x 2 R : x + c 2 A}, ovvero cio che si ottiene muovendo A orizzontalmenteverso sinistra di c (se c � 0) o verso destra di |c| (se c < 0). Sul dominio A � c, ilcomportamento di f(x + c) sara poi identico a quello di f su A: dunque il grafico dellafunzione f(x+ c) : A� c �! R e ottenuto da quello di f muovendolo orizzontalmente versosinistra di c (se c � 0) o verso destra di |c| (se c < 0).

Sia infine k > 0, e consideriamo la funzione biiettiva omotetıa `k : R �! R, `k(t) = kt.Si ha allora (`k � f)(x) = k f(x): dunque il grafico della funzione k f(x) : A �! R eottenuto da quello di f mantenendone inalterata la dimensione orizzontale e dilatandone(se k > 1) o contraendone (se 0 < k < 1) la verticale del fattore k. D’altra parte si ha(f � `k)(x) = f(kx): anche qui, se il dominio di f e A, per poter calcolare f(kx) il dominiodi f(kx) dovra essere A/k := {x/k : x 2 A}, ovvero cio che si ottiene dividendo tutti ipunti di A per k. L’e↵etto sul grafico sara inalterato in verticale, e di restringimento (sek > 1) o dilatazione (se 0 < k < 1) in orizzontale.

Corrado Marastoni 91

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3.2 Limiti, continuita e confronto locale

Iniziamo lo studio del comportamento locale di una funzione di variabile reale, intro-ducendo la nozione di limite.

3.2.1 Limiti

Siano A ⇢ R , f : A �! R una funzione, c 2 eR un punto di accumulazione di A in eR,e ` 2 eR . Diremo che ` e il limite di f per x che tende a c in A, o che f tende a ` per x Limite

che tende a c in A, scrivendo

limx �! cx 2 A

f(x) = ` :=per ogni intorno V di ` in eR

esiste un intorno U di c in eRtale che f(x) 2 V per ogni x 2 (U \ A) \ {c}.

Nel seguito, se non necessario, sottointenderemo la notazione “x 2 A”. Si noti che ladefinizione appena data generalizza quella di limite di una successione (in quel caso eraA = N e c = +1, l’unico punto di accumulazione di N in eR).

Proposizione 3.2.1. La definizione di limite non cambia se U e V sono scelti in unabase di intorni rispettivamente di c e `.

Dimostrazione. Facile esercizio.

Se ` 2 R (risp. ` = ±1), si usa anche dire che f converge a ` (risp. diverge a ±1); Funzioneconvergente edivergentela scrittura “ lim

x�!cf(x) = 1” significhera “ lim

x�!cf(x) e uguale a +1 oppure a �1”. Se

limx�!c

f(x) = 0 si usa dire che f e “infinitesima (o “un infinitesimo”) per x che tende a c” Funzioneinfinitesima einfinitao “in c”, mentre se lim

x�!cf(x) = 1 si usa dire che f e infinita (o “un infinito”) per x che

tende a c” o “in c”. Usando la Proposizione 3.2.1 esplicitiamo qui di seguito alcuni casiparticolari (intenderemo x0 2 R e ↵ 2 R).

(i) (Limite finito in punto finito) limx�!x0

f(x) = ↵ significa:

8 " > 0 9 � > 0 : x 2 A , x 6= x0 , |x � x0 | < � ) |f(x) � ↵| < " .

(ii) (Limite infinito in punto finito) limx�!x0

f(x) = ±1 significa:

8 N > 0 9 � > 0 : x 2 A , x 6= x0 , |x � x0 | < � ) f(x) ? ±N .

(iii) (Limite finito in punto infinito) limx�!±1

f(x) = ↵ significa:

8 " > 0 9 M > 0 : x 2 A , x ? ±M ) |f(x) � ↵| < " .

Corrado Marastoni 92

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Analisi Matematica I

(iv) (Limite infinito in punto infinito) limx�!±1

f(x) = +1 (risp. = �1) significa:

8 N > 0 9 M > 0 : x 2 A , x ? ±M ) f(x) > N (risp. f(x) < �N).

Figura 3.3: Esempi visivi di limiti; limite sinistro e limite destro.

L’uso delle successioni permette una definizione alternativa di limite (si ricordi la Propo-sizione 2.2.10: un punto c e di accumulazione per A se e solo se esiste una successione dielementi di A diversi da c che tende a c).

Proposizione 3.2.2.

limx �! cx 2 A

f(x) = ` se e solo seper ogni successione xn 2 A con xn 6= c

tale che xn ! c si ha f(xn) ! ` .

Dimostrazione. Necessita: sia xn 2 A una successione di punti di A diversi da c che tende a c, e sia Vun intorno di `. Per ipotesi esiste un intorno U di c tale che f(x) 2 V per ogni x 2 (A \ U) \ {c}; incorrispondenza esiste nU 2 N tale che xn 2 U per ogni n � nU , ma allora f(xn) 2 V per ogni n � nU ,ovvero f(xn) entra definitivamente in V . Questo prova che f(xn) ! `, come si voleva. Su�cienza:supponiamo che ` non sia limite, dunque che esista V intorno di ` tale che per ogni U intorno di c si abbiaf((U \A) \ {c}) 6⇢ V . In particolare cio accade per gli intorni Un di una base di intorni di c (se c 2 R saraUn = Bc(

1n), se c = +1 sara Un =]n, +1[, se c = �1 sara Un =] � 1,�n[), pertanto per ogni n 2 N

possiamo scegliere un xn 2 (Un \ A) \ {c} tale che f(xn) /2 V . Ma allora xn e una successione di punti diA diversi da c che tende a c ma tale che f(xn) non tende a ` (infatti non entra definitivamente in V ).

In altre parole, la nozione di limite significa “ogniqualvolta ci si avvicina (senza andarcisopra) a c con x 2 A, l’immagine f(x) si avvicina a `”. E importante osservare che,nel caso in cui c 2 A, nella definizione di limite non c’e a priori alcun legame tra illimite di f in c ed il valore f(c),(75) anche se usualmente (ad esempio per le funzionielementari) accade che se c 2 A sara ` = f(c), ovvero, per x che tende a c la funzione f(x)tendera “docilmente” all’immagine f(c): si parlera allora, come vedremo in particolare nelprossimo paragrafo, di funzioni continue.

(75)Un semplice esempio puo essere illuminante. Sia A = R, e definiamo f(x) =(

0 se x 6= 0

�5 se x = 0: e ovvio

che limx�!0, x2R

f(x) = 0 (infatti, preso " > 0, ogni � > 0 fa il servizio richiesto in quanto se x 6= 0 allora

|f(x)�0| = 0 < "), e cio non dipende per niente dal valore di f in 0, che anziche �5 avrebbe potuto esserequalunque altro numero reale senza per questo cambiare il valore del limite.

Corrado Marastoni 93

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Proposizione 3.2.3. Se limx�!c

f(x) esiste, esso e unico.

Dimostrazione. Esercizio (adattare quella della Proposizione 2.2.2 per le successioni).

Esempi. Calcoliamo alcuni limiti servendoci della definizione. (1) Se f |A\{c} e costante (diciamo f(x) ⌘k 2 R per ogni x 6= c) vale ovviamente lim

x�!c, x2Af(x) = k. Infatti, preso un intorno V di k, sia U = R:

allora f(U \ A) \ {c}) = {k} ⇢ V . (2) Sia A = R e f(x) = �3x2 + x, e mostriamo che limx�!1

f(x) = �2.

Sia " > 0, e studiamo le soluzioni della disequazione |f(x) � (�2)| < ": essa e | � 3x2 + x + 2| < ", ovvero

�" < �3x2 + x + 2 < ", ovvero �" < 3x2 � x � 2 < ", ovvero⇢

3x2 � x� (2 + ") < 0

3x2 � x� (2� ") > 0, che da le soluzioni

1�p25+12"6

< x < 1�p25�12"6

e 1+p

25�12"6

< x < 1+p

25+12"6

. Il primo dei due e un intorno di 1: basta

dunque scegliere un � > 0 tale che B1(�) sia contenuto in tale intorno, e la condizione sara soddisfatta con

U = B1(�). Lo stesso ragionamento mostra che limx�! 2

3

f(x) = �2 (si noti che l’altro intervallo e un intorno

di 23). (3) Sia A = R<�1 e f(x) =

p�x � 1, e mostriamo che lim

x�!�1 f(x) = +1. Dato a 2 R, studiamo

la disequazione f(x) > a: si trovap�x � 1 > a, da cui (possiamo supporre che a > 0) x < �

pa2 + 1.

Quando a � 1, questa e una semiretta e del tipo R<b, e dunque “e un intorno di �1 in R: l’asserto e

dimostrato. (4) Sia A = R \ {1}, e f(x) = 2xx�1

; mostriamo che limx�!+1

f(x) = 2. Dato " > 0, studiamo

la disequazione |f(x) � 2| < ", ovvero �" < 2x�1

< ". Poiche x �! +1, possiamo supporre che x > 1: la

condizione diventa allora 2x�1

< ", che diventa x > 1 + 2". Quando "⌧ 1, questa e una semiretta del tipo

R>b, intorno di +1 in R.

Esaminando la relazione del limite con le restrizioni, si ritrova quanto gia detto per suc-cessioni e sottosuccessioni (Proposizione 2.2.3).

Proposizione 3.2.4. (Limite delle restrizioni) Sia B ⇢ A, e c 2 eR sia di accumulazioneanche per B. Se esiste ` = lim

x �! cx 2 A

f(x) allora esiste anche limx �! cx 2 B

f(x) ed e uguale a `;

viceversa, limx �! cx 2 B

f(x) puo esistere senza che esista limx �! cx 2 A

f(x).

Dimostrazione. Esista il limite ` in A, e sia xn una successione in B di punti diversi da c che tende a c:allora, poiche xn e anche una successione in A, si ha che f(xn) tende a `, come si voleva. Cio mostrala prima a↵ermazione. Quanto alla seconda, basterebbe ricordare la successione (�1)n (indeterminata) ele sue sottosuccessioni pari e dispari (con limite 1 e �1 rispettivamente); volendo parlare di qualcosa dinuovo rispetto a quanto gia visto, basta pensare ai limiti “destro” e “sinistro” (vedi qui sotto), oppure

all’esempio che segue. Siano A = R e f(x) =(

1 se x 2 Q0 se x 2 R \ Q (la funzione caratteristica di Q in R): allora

limx�!0, x2A

f(x) non esiste, mentre limx�!c, x2B

f(x) esiste sia prendendo B = Q che prendendo B = R \ Q (e

tali limiti valgono banalmente 1 e 0).

Un caso particolare e quello del limite sinistro e del limite destro: se c e un punto di Limite destroe sinistro

accumulazione risp. di A�c := A\R<c e A+

c := A\R>c in eR, essi saranno definiti come

limx �! c�x 2 A

f(x) := limx �! c

x 2 A�c

f(x) , limx �! c+

x 2 A

f(x) := limx �! c

x 2 A+c

f(x) ;

Corrado Marastoni 94

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Analisi Matematica I

in altre parole, per il limite sinistro (risp. destro) si prende in considerazione solo cio cheaccade tendendo in A a c dalla parte sinistra (risp. destra), senza occuparsi di cio cheaccade dall’altro lato.(76)

Proposizione 3.2.5. limx �! cx 2 A

f(x) esiste se e solo se limx �! c⌥x 2 A

f(x) esistono e sono uguali.

Dimostrazione. La necessita segue dalla Proposizione 3.2.4 (con B = A±); vediamo la su�cienza. Sia` = lim

x�!c�f(x) = lim

x�!c+f(x): se V e un intorno di ` e U± sono intorni di c tali che f((U± \A±

c )\{c}) ⇢ V ,

ponendo U = U+ \ U� si ha (U \ A) \ {c} ⇢ (U� \ A�c ) [ (U+ \ A+c ), da cui si ha(77) f((U \ A) \ {c}) ⇢

f((U� \ A�c ) [ (U+ \ A+c )) = f(U� \ A�c ) [ f(U+ \ A+

c ) ⇢ V .

Esempi. (1) Sia f : R �! R, f(x) =(

0 se x 0

3 se x > 0; si ha lim

x�!0�f(x) = 0 e lim

x�!0+f(x) = 3, dunque di certo

limx�!0

f(x) di certo non esiste. (2) Sia f : R �! R, f(x) =(

3x + 1 se x �1

�2x� 4 se x > �1; si ha lim

x�!�1�f(x) = �2 =

limx�!�1+

f(x), dunque esiste anche limx�!1

f(x) = �2.

Teoremi sui limiti I seguenti risultati generalizzano in modo naturale quelli gia in-contrati per le successioni. (Negli enunciati, l’espressione “P(x) vale all’intorno di c”significa “esiste un intorno U di c in eR tale che P(x) vale per ogni x 2 U \ A”.)(78)

Proposizione 3.2.6. Siano f, g, h : A �! R e c 2 eR di accumulazione per A.

(a) (Limiti delle funzioni monotone) Sia f crescente e c di accumulazione a sinistra (risp.destra) per A: allora lim

x�!c�f(x) (risp. lim

x�!c+f(x)) esiste, ed e uguale a sup{f(x) :

x 2 A, x < c} (risp. inf{f(x) : x 2 A, x > c}). Analogamente, se f e descrescentevale lim

x�!c�f(x) = inf{f(x) : x 2 A, x < c} e lim

x�!c+f(x) = sup{f(x) : x 2 A, x > c}.

(b) (Permanenza del segno) Se i limiti esistono e vale limx�!c

f(x) < limx�!c

g(x), allora

f(x) < g(x) all’intorno di c (con x 6= c).

In particolare:

Se limx�!c

f(x) > 0, allora f(x) > 0 all’intorno di c (con x 6= c).

(c) (Confronto) Se f(x) g(x) all’intorno di c (con x 6= c), allora, se i limiti esistono,vale lim

x�!cf(x) lim

x�!cg(x).

In particolare:

Se f(x) ↵ per un certo ↵ 2 R in un intorno di c allora, se esiste, limx�!c

f(x) ↵;

(76)Se c = +1 (risp. c = �1) e chiaro che la nozione di limite coincide con quella di limite sinistro (risp.destro), e che la nozione di limite destro (risp. sinistro) e priva di senso.(77)In generale, se f : X �! Y e una funzione e A, B ⇢ X si ha f(A[B) = f(A)[ f(B): infatti x 2 A[Bse e solo se x 2 A oppure x 2 B, da cui f(x) 2 f(A) oppure f(x) 2 f(B), cioe f(x) 2 f(A) [ f(B) (edunque vale “⇢”), e viceversa y 2 f(A)[f(B) se e solo se y 2 f(A) oppure y 2 f(B), dunque esiste x0 2 Atale che f(x) = y oppure esiste x00 2 B tale che f(x00) 2 y, dunque esiste x 2 A [ B tale che f(x) = y,ovvero y 2 f(A [ B) (e dunque vale “�”).(78)Quando A = N e c = +1, la nozione “all’intorno di c” coincide con la gia nota “definitivamente”.

Corrado Marastoni 95

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Analisi Matematica I

(d) (Teoremi dei “carabinieri”)

(i) Se f(x) g(x) h(x) all’intorno di c e se esistono e sono uguali limx�!c

f(x) =

limx�!c

h(x) 2 R , anche limx�!c

g(x) esiste in R e sara uguale ad essi.

(ii) Sia f(x) g(x) all’intorno di c. Se limx�!c

f(x) = +1 allora limx�!c

g(x) = +1 ;

se limx�!c

g(x) = �1 allora limx�!c

f(x) = �1 .

(e) (Limiti e operazioni):

(i) Se esistono `1 = limx�!c

f(x) 2 R e `2 = limx�!c

g(x) 2 R , allora esistono anche

limx�!c

(f(x) + g(x)) e limx�!c

f(x)g(x), uguali rispettivamente a `1 + `2 e a `1`2.

(ii) Se limx�!c

f(x) = +1 (risp. �1) e g e inferiormente (risp. superiormente) limitata

in un intorno di c, allora limx�!c

(f(x)+g(x)) esiste ed e uguale a +1 (risp. a �1).

(iii) Se f e infinitesima in c e g e limitata in un intorno di c, allora fg e infinitesimain c.

(iv) Se limx�!c

f(x) = ±1 ed esiste a > 0 tale che g(x) > a in un intorno di c, allora

limx�!c

f(x)g(x) esiste ed e uguale a ±1.

(v) Se esistono `1 = limx�!c

f(x) e `2 = limx�!c

g(x) e si ha `1, `2 2 R e `2 6= 0, allora fg

e definita all’intorno di c ed esiste limx�!c

f(x)g(x) , uguale a `1

`2.

(vi) Se f(x) > 0 all’intorno di c e limx�!c

f(x) = 0+ (risp. limx�!c

f(x) = +1) allora

limx�!c

1f(x) esiste ed e uguale a +1 (risp. 0+).

Figura 3.4: Limiti di funzioni monotone in c 2 R e in +1; permanenza del segno; i due carabinieri.

Dimostrazione. (a) Supponiamo ad esempio che f sia crescente e c di accumulazione a sinistra per A, edenotiamo ↵ = sup{f(x) : x 2 A, x < c} 2 R [ {+1}. Se ↵ 2 R, sia 0 < "⌧ 1: essendo ↵� " < ↵, esistet 2 A tale che t < c e f(t) > ↵ � ". Poiche f e crescente, varra allora ↵ � " < f(t) f(x) ↵ per ognix 2]t, c[, ovvero f(]t, c[) ⇢ B↵("): cio mostra che limx�!c� f(x) = ↵. Le altre a↵ermazioni si provano allostesso modo. (b) Siano `1 = limx�!c f(x) e `2 = limx�!c g(x) con `1 < `2, e siano V1 e V2 intorni di `1 e`2 rispettivamente con V1 \ V2 = ? (Proposizione 2.1.5), da cui y1 < y2 per ogni y1 2 V1 e y2 2 V2; sianoU1 e U2 intorni di c tali che f((U1 \ A) \ {c}) ⇢ V1 e g((U2 \ A) \ {c}) ⇢ V2. Allora, U = U1 \ U2 e un

Corrado Marastoni 96

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Analisi Matematica I

intorno di c e se x 2 (U \ A) \ {c} vale f(x) 2 V1 e g(x) 2 V2, da cui f(x) < g(x). L’altra a↵ermazionesi ottiene scegliendo f e g come 0 e f . (c) Siano `1 = limx�!c f(x), `2 = limx�!c g(x) e supponiamo perassurdo che sia `1 6 `2, ovvero `1 > `2; per la permanenza del segno esiste un intorno U di c tale chef(x) > g(x) per ogni x 2 (U \ A) \ {c}, ma cio e impossibile per ipotesi. (d) Sia xn una successione inA \ {c} che converge a c. (i) Per ipotesi le successioni f(xn) e h(xn) convergono allo stesso limite finito;allora vi dovra convergere anche g(xn), definitivamente compresa tra le due. (ii) Se la successione f(xn)(risp. g(xn)) diverge a +1 (risp. a �1), anche g(xn) (risp. f(xn)) vi divergera per confronto. (e) Vediamoad esempio solo (vi), lasciando le altre come esercizio. Sia f(x) > 0 all’intorno di c e limx�!c f(x) = 0+:dato M > 0 sappiamo che esiste un intorno U di c tale che se x 2 (U \ A) \ {c} allora f(x) < 1

M, ma cio

equivale a 1f(x)

> M . Similmente, se limx�!c f(x) = +1, dato " > 0 sappiamo che esiste un intorno U di

c tale che se x 2 (U \ A) \ {c} allora f(x) > 1", ma cio equivale a 1

f(x)< ".

Esempi. (1) Usando (a), si dimostra subito che vale limx�!+1 loga x = limx�!+1 ax = limx�!+1 x↵ =

+1, limx�!0� loga x = �1 e limx�!�1 ax = limx�!0+ x↵ = 0 (ove a > 1 e ↵ > 0). (2) Sia f(x) = x�sin x:

allora limx�!1 f(x) = 1� sin 1 (per (d-(i)), dando per noto che la funzione sin x e “continua” in ogni punto

c 2 R –come vedremo tra breve– e dunque limx�!c sin x = sin c), e limx�!±1 f(x) = ±1 (per (d-(ii)):

limx�!±1 sin x non esiste, ma comunque sin x e limitata), mentre limx�!1f(x)|x�1| = +1 (per (d-(iii-v)). (3)

limx�!�1(�x2 + x) = �1 (per (d-(ii)). (4) limx�!+1 cos xx(1+x2)

= 0 (per (d-(iii-v)).

Dalla Proposizione 3.2.6 restano escluse le stesse forme indeterminate gia incontrate per Formeindeterminate

le successioni, ovvero ±1⌥1 (cioe: se ad esempio limx�!c

f(x) = +1 e limx�!c

g(x) = �1,

nulla si puo dire in generale su limx�!c

(f(x) + g(x))), e poi 0 ·1, 00 , 1

1 , cosı come altre (tipo

11, 00...) che possono essere ricondotte a queste. A tal fine, una cosa utile e il cambiodi variabili che permette di cambiare, spesso in modo decisivo, l’aspetto di un limite da Cambio di

variabilicalcolare.

Proposizione 3.2.7. (Cambio di variabili nei limiti) Siano A, B ⇢ R, c (risp. p) diaccumulazione per A (risp. B), � : B �! A una funzione biiettiva tale che lim

t�!p�(t) = c:

allora, limx�!c

f(x) esiste se e solo se limt�!p

f(�(t)) esiste, e i due limiti sono uguali.(79)

Dimostrazione. Supponiamo esista limx�!c

f(x) = `, e sia V un intorno di ` in eR: sappiamo dunque che esiste

un intorno U di c in eR tale che f((U \ A) \ {c}) ⇢ V . Poiche limt�!p

�(t) = c, esiste un intorno W di p in

eR tale che �((W \ B) \ {p}) ⇢ U ; anzi, poiche � e iniettiva, a meno di restringere W si puo supporre che�((W \ B) \ {p}) ⇢ U \ {c}. Dunque (f � �)((W \ B) \ {p}) ⇢ f((U \ A) \ {c}) ⇢ V , e cio mostra cheanche lim

t�!pf(�(t)) = `. Viceversa, applicando lo stesso ragionamento con f �� in luogo di f e (f ��) ���1

in luogo di f � �, si dimostra che se esiste limt�!p, t2B

f(�(t)) allora esiste anche limx�!c, x2A

((f � �) � ��1)(x)

ed e uguale ad esso; ma (f � �) � ��1 = f .

(79)Fino a che punto e importante che � sia biiettiva (ovviamente all’intorno di p)? In realta, osservando ladimostrazione, ci si rende conto che per passare dall’esistenza di limx�!c f(x) all’esistenza e uguaglianza dilimt�!p f(�(t)) basta supporre che p non sia un punto di accumulazione di ��1(c) (vedi piu avanti anche laProposizione 3.2.16). D’altra parte, ecco un esempio che mostra come almeno quest’ultima condizione sianecessaria: se f e definita come f(x) = 0 per ogni x 6= 0 e f(0) = 0, e �(t) = t sin 1

t, allora limx�!0 f(x) = 0

mentre limt�!0 f(�(t)) non esiste. • Invece, se � non e biiettiva, a priori l’esistenza di limt�!p f(�(t)) nonassicura esistenza e uguaglianza di limx�!c f(x): ad esempio, se f(x) = sign x, c = 0, �(t) = t2 e p = 0 siha che limt�!p f(�(t)) esiste e vale 1 mentre limx�!c f(x) non esiste.

Corrado Marastoni 97

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Analisi Matematica I

Esempi. (1) Il limite limx�!0+

x e1x e in forma indeterminata 0 ·1, ma col cambio di variabile t = 1

x(ovvero

x = �(t) = 1t, con p = +1 e c = 0) diventa nella forma lim

t�!+1et

t(ancora indeterminata perche 11 , ma piu

presentabile), che studieremo piu tardi e che mostreremo valere +1. (2) Il limite limx�!0

log(1+x)x

e (poiche

il logaritmo e continuo, come vedremo tra breve) in forma indeterminata 00, ma col cambio di variabile

t = log(1 + x) (ovvero x = �(t) = et � 1, con p = c = 0) diventa nella forma (ancora indeterminata)

limt�!0

tet�1

. Piu tardi mostreremo che entrambi i limiti valgono 1.

Tuttavia, prima di a↵rontare il problema del calcolo delle forme indeterminate e forseil caso di completare il bagaglio di risultati che permettono di risolvere facilmente tuttele forme determinate: apriamo dunque una parentesi per occuparci con precisione dellanozione di “funzione continua”, di cui abbiamo gia fatto intravedere il significato di “fun-zione che non fa salti”.

3.2.2 Funzioni continue

Siano A ⇢ R, f : A �! R una funzione, c 2 A. Diremo che f e continua in c se il punto Funzione continua(nel punto)

c e isolato oppure, nel caso in cui c sia di accumulazione per A, se limx�!c

f(x) esiste ed e

uguale a f(c): ovvero, se

per ogni " > 0 esiste � > 0 tale che se |x � c| < � e x 2 A allora |f(x) � f(c)| < " .

Un altro modo di enunciare la continuita in c e il seguente:

esistono entrambi i limiti f(c±) := limx�!c±

f(x) e sono uguali a f(c) ,

oppure questo:

per ogni successione xn 2 A tale che xn ! c si ha che f(xn) ! f(c) .

E importante notare che la continuita in c e un concetto locale, ovvero che si studiasolo in un intorno (anche assai piccolo) di c.

Se f e continua in ogni punto c del suo dominio A, essa si dira continua in A. Funzione continua(nel dominio)

Conviene osservare subito che

Proposizione 3.2.8. Le funzioni elementari (modulo, polinomi, esponenziale, logaritmo,potenza, trigonometriche, iperboliche (vedi sotto)) sono continue in tutto il loro dominio.

Dimostrazione. Per iniziare, notiamo che una funzione f e continua in c se e solo se limx�!c(f(x)�f(c)) = 0,il che equivale a limx�!c |f(x) � f(c)| = 0. • Vediamo la continuita del modulo: da ||x| � |c|| |x � c| siricava per confronto che limx�!c ||x|� |c||�0, come si voleva. • Passiamo al logaritmo naturale. Se c 2 R>0

e 0 < " < 1, si ha | log x � log c| < " se e solo se | log(xc)| < " ovvero, applicando l’esponenziale naturale

(crescente) c e�" < x < c e": poiche 0 < e�" < 1 < e" questo e un intorno di c, ed allora bastera scegliere� < min{c(1�e�"), c(e"�1)} = c(1�e�") a�nche log(Bc(�)) ⇢ Blog c("): cio mostra che lim

x�!clog x = log c.

• Per l’esponenziale, sia c 2 R: dato " > 0 si ha |ex � ec| = ec|ex�c � 1|: ora, posto t = x � c 6= 0, da1 + t et < 1

1�tsi ricava x � c ex�c � 1 < 1

1�(x�c)� 1 = x�c

1�(x�c), dunque limx�!c(e

x�c � 1) = 0 per

Corrado Marastoni 98

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Analisi Matematica I

i due carabinieri, e percio limx�!c |ex � ec| = 0, il che equivale a limx�!c ex = ec e dimostra dunque lacontinuita di ex in c. • Le potenze x↵, gli esponenziali ax e i logaritmi loga(x) sono ottenuti componendoe operando su esponenziale e logaritmo naturali, dunque sono continui per quanto diremo tra poco nellaProposizione 3.2.9. • Le potenze intere xn sono continue in ogni c 2 R: infatti se x > 0 l’abbiamo gia detto,se c = 0 (nel caso di n > 0) si ha |xn � 0n| = |x|n e si usa la continuita del modulo, mentre se c < 0 si ha|xn � cn| = |(�1)n(�x)n � (�1)n(�c)n| = |(�x)n � (�c)n|, e si usa la continuita in �c > 0. • Per il seno,si possono usare le formule di prostaferesi: se c 2 R e supponendo 0 < |x � c| ⌧ 1 (si noti che | sin(t)| tquando 0 < t ⌧ 1) si ha | sin x�sin c| = 2

��cos�

x+c2

��� ��sin�

x�c2

��� ��cos

�x+c2

��� |x�c| |x�c|, e cio mostrache lim

x�!csin x = sin c; per il coseno la verifica e identica; per la tangente e cotangente, vedremo quando

avremo a disposizione i teoremi sui limiti. • Infine, la continuita delle funzioni goniometriche inverse (arco-seno, arco-coseno, arco-tangente, arco-cotangente) seguira da quella delle funzioni goniometriche graziealla Proposizione 3.2.13.

Elenchiamo ora alcune delle proprieta elementari delle funzioni continue.

Proposizione 3.2.9. Sia A ⇢ R e c 2 A.

(a) (Continuita ed operazioni) Se f, g : A �! R sono continue in c, anche f + g e fg losono; se ↵ 2 R allora ↵f e continua in c; se g(c) 6= 0, allora f

g e definita all’intornodi c ed e continua in c.

(b) (Permanenza del segno) Se f, g : A �! R sono continue in c e f(c) < g(c) alloraf(x) < g(x) in tutto in un intorno di c.

(c) (Limite di funzioni composte e composizione di funzioni continue) Sia B ⇢ R, p 2 eRdi accumulazione per B e � : B �! A una funzione tale che lim

t�!p�(t) = c. Allora, per

ogni funzione f : A �! R continua in c vale limt�!p

f(�(t)) = f(c).

In particolare:

Se � e continua in p e f e continua in c = �(p), allora f � � e continua in p.

(d) (Restrizioni di funzioni continue sono continue) Se f : A �! R una funzione continuain c, e c 2 B ⇢ A, allora f |B : B �! R e continua in c.

Dimostrazione. (a) e (b) discendono immediatamente dalla Proposizione 3.2.6. Per (c), sia " > 0; essendof continua in c, esiste � > 0 tale che se x 2 A e |x � c| < � allora |f(x) � f(c)| < ", per l’esistenza dellimite di �, esiste � > 0 tale che se |t � p| < � con t 2 B e t 6= p allora |�(t) � c| < �: ne consegue che|f(�(t))� f(c)| < " che dimostra la tesi. La continuita delle composizioni ne deriva immediatamente. Per(d), basta ricordare la Proposizione 3.2.4.

Esempi. (0) Le funzioni costanti sono banalmente continue nel loro dominio. (1) Come abbiamo visto, le

funzioni elementari sono continue nel loro dominio naturale; inoltre tutte le funzioni ottenute sommando,

moltiplicando, dividendo e componendo tra loro tali funzioni (ad esempio,sin(

px2�cos x)

loga(tg | 3px�2|) ) sara continua nel

suo dominio naturale . (2) La funzione f = sign : R �! R, f(x) = �1 (se x < 0), f(0) = 0 e f(x) = 1 (se

x > 0) e continua in ogni c 6= 0 (infatti f e costante all’intorno di c) ma non in c = 0, perche f(0�) ed f(0+)

esistono entrambi (valgono rispettivamente �1 e 1) ma sono diversi. (3) La funzione f(x) =(

x2 se x 6= 1

�3 se x = 1e

continua in ogni c 6= 1 (infatti all’intorno di c essa e la funzione continua x2) ma non in c = 1, perche f(1�)

ed f(1+) esistono entrambi e sono uguali tra loro (valgono entrambi 1) ma sono diversi da f(1) = �3. (4)

Corrado Marastoni 99

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Analisi Matematica I

La funzione f(x) = 1x�1

e continua in c = 1? La domanda e priva di senso, perche 1 non sta nel dominio

di f !

Esercizio. (1) Siano f, g : R �! R, c 2 R, e si assuma che f sia continua in c, e g discontinua in c malimitata all’intorno di c. Si dimostri che: (i) se f(c) = 0, allora fg e continua in c; (ii) se f(c) 6= 0, allorafg e discontinua in c. (2) Discutere la continuita di (sin x)(sign x), (cos x)(sign x) e (sin x)(�Q(x)).(80)

Risoluzione. (1) (i) Essendo f continua in c si avra limx�!c f(x) = f(c) = 0, ovvero f e infinitesima

in c. Essendo g limitata all’intorno di c, si avra allora limx�!c(fg)(x) = limx�!c f(x)g(x) = 0; ma

(fg)(c) = f(c)g(c) = 0 ·g(c) = 0, e dunque fg e continua in c perche limx�!c(fg)(x) = 0 = (fg)(c). (ii) Da

f(c) 6= 0 e dalla permanenza del segno per funzioni continue ricaviamo che f non si annulla mai all’intorno

di c. Se fg fosse continua in c si avrebbe (fg)(c) = f(c)g(c) = limx�!c(fg)(x) = limx�!c f(x)g(x), e

dunque limx�!c f(x)g(x)limx�!c f(x)

= f(c)g(c)f(c)

= g(c): ma il primo membro e uguale a limx�!cf(x)g(x)

f(x)= limx�!c g(x).

Ne desumiamo che limx�!c g(x) = g(c), ovvero che g e continua in c: ma cio contraddice le ipotesi. (2) La

funzione (sin x)(sign x) e continua in tutti i punti c 2 R (se c 6= 0 perche sia f(x) = sin x che g(x) = sign x

lo sono, e se c = 0 in base a (1)(i)), mentre la funzione (cos x)(sign x) e continua solo nei punti c 6= 0 (vedi

(1)(ii)). Quanto a (sin x)(�Q(x)), notiamo che �Q e discontinua in tutti i punti di R, e dunque (in base a

(1)(i/ii)) la funzione prodotto e continua solo nei punti in cui si annulla sin x, ovvero in k⇡ (con k 2 Z).

Vediamo altre importanti proprieta “globali” delle funzioni continue.

Proposizione 3.2.10. Siano A ⇢ R e f, g : A �! R.

(a) (Continuita globale) f e continua in A se e solo se per ogni aperto V ⇢ R si ha chef�1(V ) e aperto in A per la topologia indotta(81) (ma in realta basta controllare soloper V intervallo aperto di R), o anche se e solo se per ogni chiuso C ⇢ R si ha chef�1(C) e chiuso in A per la topologia indotta.

In particolare:

(i) (Importanti aperti e chiusi di A) Se f, g sono continue, allora i sottoinsiemi{x 2 A : f(x) < g(x)} e {x 2 A : f(x) > g(x)} (risp. {x 2 A : f(x) g(x)},{x 2 A : f(x) � g(x)} e {x 2 A : f(x) = g(x)}) sono aperti (risp. chiusi) di Anella topologia indotta; in particolare, se f e continua allora {x 2 A : f(x) = 0}e un chiuso di A.

(ii) (Principio di identita): Se f, g sono continue e coincidono su un sottoinsiemedenso di A (ovvero, posto D = {x 2 A : f(x) = g(x)} vale A\clRD = A), alloraesse sono uguali.

(b) (Immagini continue di intervalli sono intervalli) Se f e continua e A e un intervallo,allora anche f(A) e un intervallo.

(80)sign : R �! R e la “funzione segno” definita da sign x = 1 se x > 0, sign 0 = 0 e sign x = �1 se x < 0,mentre in generale, dato un sottoinsieme A ⇢ R, �A : R �! R e la “funzione caratteristica di A in R”definita da �A(x) = 1 se x 2 A e da �A(x) = 0 se x /2 A.(81)Su ogni sottoinsieme A di uno spazio topologico X (e qui X = R, oppure X = eR) resta definita unatopologia indotta per la quale gli aperti di A saranno, per definizione, i sottoinsiemi di A che si possonoesprimere come A \ U per qualche aperto U di X, e percio i chiusi di A saranno i sottoinsiemi di A che sipossono esprimere come A \ C per qualche chiuso C di X.

Corrado Marastoni 100

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Analisi Matematica I

Corollario:

(Teorema di tutti i valori, o degli zeri) Siano f : A �! R una funzione continua e[a, b] un intervallo compatto in A. Si abbia (ad esempio) f(a) < f(b): allora perogni ⌘ 2 ]f(a), f(b)[ esiste ⇠ 2 ]a, b[ tale che f(⇠) = ⌘ .In particolare, se f(a) < 0 e f(b) > 0 (o viceversa) esiste x 2 ]a, b[ tale che f(x) = 0.

(c) (Continuita delle funzioni monotone) Se A e un intervallo, una funzione monotona(ovvero, crescente oppure decrescente) f : A �! R e continua se e solo se f(A) e unintervallo.

(d) (Immagini continue di compatti sono compatti) Se A e compatto (ovvero, chiuso elimitato) e f : A �! R e una funzione continua, allora anche f(A) e compatto.

Corollario:

(Teorema di Weierstrass) Se A e compatto, ogni funzione continua f : A �! Rammette massimo e minimo assoluti in A. (In particolare, ogni funzione continuasu un compatto e limitata.)

Figura 3.5: Antiimmagini di aperti (risp. chiusi) tramite funzioni continue sono aperti (risp. chiusi) del dominio;l’immagine di un intervallo tramite una funzione continua e un intervallo; l’immagine di un intervallo tramite unafunzione discontinua puo non essere un intervallo; il teorema di Weierstrass.

Dimostrazione. (a) Sia f continua in A, e V un aperto di R: preso un qualsiasi c 2 f�1(V ), poicheV e intorno di f(c) esistera �c > 0 tale che f(Bc(�c) \ A) ⇢ V , ovvero Bc(�c) \ A ⇢ f�1(V ). PostoU =

Sc2f�1(V ) Bc(�c) si ha dunque f�1(V ) = A \ U , e cio mostra che f�1(V ) e aperto in A. Viceversa,

siano c 2 A e V un intorno di f(c): cerchiamo un intorno U di c in R tale che f(U\A) ⇢ V . Poiche f�1(V )e aperto in A e c 2 f�1(V ), esistera � > 0 tale che Bc(�) \ A ⇢ f�1(V ), ma allora, posto U = Bc(�),si ha f(Bc(�) \ A) ⇢ f(f�1(V )) ⇢ V . Cio prova che f e continua in c, e poiche c e un qualsiasi puntodi A, che f e continua in A. E su�ciente verificare la condizione solo quando V e un intervallo di Rperche un qualsiasi aperto di R e unione di intervalli e dunque...; poi, C e un chiuso di R se e solo seV = {RC e un aperto di R... (completare le dimostrazioni per esercizio). Per (i), si osservi ad esempioche {x 2 A : f(x) < g(x)} = (f � g)�1(] �1, 0[): essendo f � g continua e ] �1, 0[ aperto di R, anche(f � g)�1(] � 1, 0[) = {x 2 A : f(x) < g(x)} e aperto di A. Per (ii), si ha D = (f � g)�1(0): essendof � g continua, per (i) si ha allora che D e chiuso in A, ovvero A\ clRD = D: ma D e denso in A, e alloraA\ clRD = A. Si ricava allora D = A, ovvero f = g. (b) Siano x1, x2 2 A, tali che f(x1) < f(x2); diciamoche sia ad esempio x1 < x2 (l’altro caso si mostra in modo del tutto analogo). Se mostriamo che, preso unqualsiasi ⌘ 2]f(x1), f(x2)[ nel codominio, esiste ⇠ 2]x1, x2[ tale che f(⇠) = ⌘, avremo terminato. Definiamo

Corrado Marastoni 101

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Analisi Matematica I

A+ = {x 2 [x1, x2] : f(x) � ⌘} e A� = {x 2 [x1, x2] : f(x) ⌘}: come visto in precedenza, essi sono chiusidi [x1, x2], e dunque (essendo [x1, x2] chiuso in R) chiusi anche in R: pertanto (vedi Proposizione 2.1.4) adesempio A+ ammettera minimo, che chiameremo ⇠. Poiche ⇠ 2 A+ si avra f(⇠) � ⌘; in particolare x1 � ⇠,e allora (essendo ⇠ = min A+) sara [x1, ⇠[⇢ A�; ne segue che ⇠ e di accumulazione per A�, ma quest’ultimoe chiuso, e dunque ⇠ 2 A�, ovvero f(⇠) ⌘. Essendo f(⇠) � ⌘ e f(⇠) ⌘, non puo che essere f(⇠) = ⌘,come richiesto. Il Teorema di tutti i valori (o degli zeri) e una diretta conseguenza: l’immagine di [a, b]e essa stessa un intervallo, che deve contenere in particolare f(a) e f(b), dunque deve contenere ancheogni elemento ⌘ compreso tra essi, ma cio significa per l’appunto che esiste ⇠ 2]a, b[ tale che f(⇠) = ⌘. (c)Come visto, la condizione e necessaria; vediamo la su�cienza, supponendo ad esempio che f sia crescente.Preso un qualsiasi c 2 A, ricordiamo che dalla Proposizione 3.2.6(a) si ha f(c�) = sup{f(x) : x < c}e f(c+) = inf{f(x) : x > c} e percio dalla crescenza di f si ha f(c)� f(c) f(c)+. Ora, se fossef(c�) < f(c), i valori in ]f(c�), f(c)[ non potrebbero essere assunti da f , ovvero, non potrebbero starenell’immagine di f (infatti, se esistesse x 2 A tale che f(c�) < f(x) < f(c), da f(x) < f(c) si avrebbex < c, ed allora dovrebbe essere f(c�) � f(x), assurdo); analogamente, se fosse f(c) < f(c+) i valoriin ]f(c), f(c+)[ non potrebbero essere assunti da f . Ma entrambe queste eventualita sono impossibili, inquanto f(A) e un intervallo. Pertanto f(c�) = f(c) = f(c+), e cio mostra che f e continua in c. Infine,per dimostrare (d) ricordiamo (vedi Proposizione 2.2.10) che un sottoinsieme di R e compatto se e solose e sequenzialmente compatto. Sia dunque A compatto, e consideriamo una successione yn in f(A): sipotranno allora scegliere degli xn 2 A tali che yn = f(xn). Ora A e per ipotesi compatto, dunque esisteuna sottosuccessione xnk di xn che converge a un certo x0 2 A: ma allora, essendo f continua, si ha chef(xnk ) converge a f(x0) 2 f(A), come si voleva. Il teorema di Weierstrass ne segue subito ricordando laProposizione 2.1.4.

Esempi. (1) Anche senza calcolare chi siano, gia sappiamo che A = {x 2 R : 3 sin x >p

1 + x2} e un

sottoinsieme aperto di R, mentre B = {x 2]0, 1[: 2x � 14x2 } e un chiuso di ]0, 1[ (e dunque essendo ]0, 1[

non chiuso in R, non si puo dire se B sia chiuso in R oppure no). Usando un confronto grafico non e

di�cile rendersi conto, infatti, che A =]a, b[ per certi 0 < a < ⇡2

< b < ⇡ e che B = [ 12, 1[ (non chiuso

in R). (2) Consideriamo la funzione loga(2 sin x +p

3) con a > 1: essa sara continua nel suo dominio

{x 2 R : 2 sin x +p

3 > 0} = {x 2 R : �⇡3

+ 2k⇡ < x < 4⇡3

, k 2 Z}. Poiche f( 5⇡4

) = loga(p

3 �p

2) < 0

e f(⇡) = loga(p

3) = 12

loga 3 > 0, gia sappiamo che esiste ⇠ 2]⇡,� 5⇡4

[ tale che f(⇠) = 0: in e↵etti, da

f(x) = 0 si ricava sin x = 1�p

32

, ovvero x = � arcsin⇣p

3�12

⌘+ 2k⇡ oppure x = ⇡ + arcsin

⇣p3�12

⌘+ 2k⇡

(con k 2 Z), e ⇠ = ⇡+arcsin⇣p

3�12

⌘e↵ettivamente sta in ]⇡,� 5⇡

4[. (3) La funzione f(x) =

(3x� 1 se x 0p

x se x > 0

e strettamente crescente (ovvero se x1 < x2 allora f(x1) < f(x2)) e la sua immagine f(R) = R1 [ R>0

non e un intervallo: dunque essa non puo essere continua su tutto il suo dominio R (infatti e continua in

ogni punto do R tranne che in c = 0, ove si ha f(0�) = f(0) = �1 6= f(0+) = 0). (4) La funzione continua

f : R �! R, f(x) = 3x3 � 11x2 + 8x non ammette massimi e minimi assoluti in R (infatti, come vedremo,

limx�!±1 f(x) = ±1) ma, poiche A = [�1, 32] e compatto, in base al Teorema di Weierstrass la restrizione

f |A : A �! R avra minimo ↵ e massimo �, ove f(A) = [↵,�]. Ma... come calcolare l’intervallo f(A), e

come capire, poi in quali punti di A tali estremi vengono assunti (cioe, quali sono “i punti di massimo e

minimo assoluto di f su A”)? E↵ettivamente, per ora i nostri mezzi sono ancora limitati, e non possiamo

rispondere: al piu, provando a disegnare il grafico di f (che e una cubica), ci possiamo accorgere che essa

si annulla per x = 0, 1, 83, ha un massimo locale tra 0 e 1 ed un minimo locale tra 1 e 8

3. Quando saremo

piu dotati di strumenti (piu precisamente, dopo aver studiato la derivabilita) potremo verificare che f e

crescente fino a x = 49

e dopo x = 2, e decrescente tra 49

e 2, e che dunque essa ha un massimo locale

in x = 49

(con valore 400243

⇠ 1, 6) ed un minimo locale in x = 2 (con valore �4); essendo f(�1) = �22 e

1 < 32

< 2 ne deduciamo che f(A) = [�22, 400243

], da cui il minimo (risp. massimo) assoluto di f su A e

↵ = �22 (assunto in x = �1) e � = 400243

(assunto in x = 49).

Corrado Marastoni 102

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Esercizio. Sia f : R �! R una funzione continua con limx�!±1

f(x) = �1. Dimostrare che f ha massimo.

Risoluzione. Per ipotesi, esiste un M > 0 tale che f(x) < f(0) per ogni x 2 R tale che |x| > M . In

base al Teorema di Weierstrass, la restrizione di f (continua) al sottoinsieme compatto [�M, M ] ammette

massimo ↵, ovvero f(x) ↵ per ogni x 2 R tale che |x| M ed esiste almeno un punto x0 2 R con

|x0 | M per cui f(x0) = ↵. Ora poiche 0 2 [�M, M ] si ha senz’altro f(0) ↵ e dunque anche f(x) < ↵

per ogni x 2 R tale che |x| > M : riassumendo, vale f(x) ↵ per ogni x 2 R ed esiste almeno un punto

x0 2 R per cui f(x0) = ↵. Cioe, ↵ e il massimo di f .

Lipschitzianita Esaminiamo ora una proprieta piu forte della continuita: si pongaattenzione al fatto che essa e globale sul dominio.

Una funzione f : A �! R e lipschitziana su A se esiste L � 0 (detta costante di Lipschitz Funzionelipschitziana

di f su A)(82) tale che

|f(x0) � f(x00)| L|x0 � x00| per ogni x0, x00 2 A,

o analogamente tale che

����f(x0) � f(x00)

x0 � x00

���� L per ogni x0, x00 2 A con x0 6= x00.

L’idea della lipschitzianita e piu evidente nella sua seconda formulazione (si noti che il

rapporto incrementale f(x0)�f(x00)x0�x00 esprime il coe�ciente angolare della retta che congiunge

i punti (x0, f(x0) e (x00, f(x00) del grafico di f): si richiede che “la pendenza del grafico nondiventi arbitrariamente grande”, ovvero che sia limitata da una costante che dipenderaovviamente sia da f che da A.

Proposizione 3.2.11. Una funzione lipschitziana su A e anche continua su A.

Dimostrazione. Sia L una costante di Lipschitz di f su A. Se c 2 A e " > 0, basta scegliere � = "L

a�nchese |x � c| < � allora |f(x) � f(c)| L|x � c| ". Dunque f e continua in c.

Esempi. (1) La funzioni f, g : R �! R date da f(x) = sin x e g(x) = �5|x| sono lipschitziane: Infatti

|f(x0) � f(x00)| = 2| cos(x0+x002

) sin(x0�x002

)| 2| cos(x0+x002

)| |x0�x00|2

= | cos(x0+x002

)||x0 � x00| 1|x0 � x00|,e |g(x0) � g(x00)| = 5||x0| � |x00|| 5|x0 � x00|: le pendenze sono controllate rispettivamente dalle costanti

Lf = 1 e Lg = 5. (2) La funzione f : R �! R data da f(x) = x2 e continua ma non e lipschitziana: infatti

la pendenza del grafico tende a 1 (rigorosamente, preso un qualsiasi L > 0, se x0 = 0 e x00 > L si ha��� f(x0)�f(x00)x0�x00

��� = |x00| > L). Invece, se si restringe f ad un intervallo compatto (diciamo ad esempio [�1, 2])

essa diventa lipschitziana perche se x0, x00 2 [�1, 2] vale |f(x00) � f(x0)| = |x0 + x00||x0 � x00| 4|x0 � x00|.(3) Allora si potrebbe pensare che una funzione continua sia lipschitziana su ogni compatto contenuto

nel dominio: ma cio e falso. Ad esempio, la funzione continua f : [0, 1] �! R data da f(x) =p

x non e

lipschitziana (si ha��� f(x0)�f(x00)

x0�x00

��� = 1

|p

x0+p

x00| e pertanto, preso un qualsiasi L > 0, se ad esempio x0 = 0 e

0 < x00 < 1L2 allora

��� f(x0)�f(x00)x0�x00

��� > L.

(82)In realta non e di�cile mostrare che esiste la costante di Lipschitz LA di f su A, che e il minimonumero � 0 che soddisfa la condizione di Lipschitz per f su A.

Corrado Marastoni 103

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Analisi Matematica I

Tipi di discontinuita Se f : A �! R, un punto c 2 A (necessariamente di accumu-

lazione per A) in cui f non e continua si dira punto di discontinuita. Se entrambi i limiti Punto didiscontinuita

f(c±) = limx�!c±

f(x) esistono finiti (ovvero, in R) ma non vale f(c�) = f(c+) = f(c) si par-

lera di discontinuita di prima specie o di salto (il numero f(c+)� f(c�) e infatti chiamato“salto di f in c); in particolare, se f(c�) = f(c+) ma f(c) e diversa dal loro valore comunesi dira che c e una discontinuita eliminabile perche basterebbe modificare il valore f(c) perrendere f continua in c. In tutti gli altri casi si dice che c e una discontinuita di secondaspecie, o essenziale.A tal proposito, e utile parlare anche di

Proposizione 3.2.12. (Prolungamento per continuita) Sia A ⇢ R e f : A �! R unafunzione continua in A; definiamo eAf = {x 2 clRA : esiste lim

x�!c, x2Af(x) finito}. Allora

la funzione f : eAf �! R definita da f(x) =

(f(x) se x 2 A

limx�!c

f(x) se x 2 eAf \ Ae continua in eAf .

Dimostrazione. Sia c 2 eAf , e sia " > 0; vogliamo mostrare che esiste � > 0 tale che f( eAf \ Bc(�)) ⇢Bf(c)("). Ora, sia nel caso in cui c 2 A che in quello in cui c 2 eAf \ A, esiste � > 0 tale che f(A\Bc(�)) ⇢Bf(c)(

"2): bastera far vedere che tale � soddisfa alla nostra richiesta iniziale. Sia dunque p 2 eAf \ Bc(�)

e notiamo che, essendo il limite una nozione locale, si ha f(p) = limx �! px 2 A

f(x) = limx �! p

x 2 A \ Bc(�)

f(x). Ma

allora, poiche f(c) � "2

< f(x) < f(c) + "2

per ogni x 2 A \ Bc(�), passando al limite per x �! p con

x 2 A \ Bc(�) (e applicando il Teorema del Confronto tra f(x) e le funzioni costanti f(c) ± "2) si ottiene

f(c) � "2 f(p) f(c) + "

2, ovvero f(p) 2 Bf(c)(

"2) ⇢ Bf(c)("), che e quanto si voleva dimostrare.

Esempi. (1) La gia vista funzione f(x) =(

x2 se x 6= 1

�3 se x = 1ha una discontinuita eliminabile in x = 1

(basterebbe modificare f(1) da �3 a 1); idem per f(x) = sign2 x data da f(x) = 1 (se x 6= 0) e f(0) = 0.

Invece f(x) = sign x (data, come detto, da f(x) = �1 se x < 0, f(0) = 0 e f(x) = 1 se x > 0) e

f(x) =(�x2 + 3 se x 0

x2 � 2 se x > 0hanno una discontinuita di prima specie in 0 con salti rispettivamente 2 e �5. (2)

Le funzioni f(x) =(

1x�2

se x 6= 2

4 se x = 2(in cui limx�!2± f(x) = ±1) e g(x) =

(sin 1

xse x 6= 0

2 se x = 0(in cui limx�!0 g(x)

non esiste, perche “se x tende a 0 g(x) oscilla sempre piu velocemente tra �1 e 1”) sono discontinuita di

seconda specie. (3) La funzione f(x) = x2�4x+2

ha come dominio {x 2 R : x 6= 2}; tuttavia, poiche chiara-

mente limx�!�2 f(x) = �4, si puo prolungare f per continuita anche in �2 ponendola uguale a �4. Idem

per g(x) = e� 1

|x| e h(x) = sin xx

, che hanno dominio R⇥ = {x 2 R : x 6= 0}: poiche, come si vedra meglio

tra breve tornando a parlare di limiti, si ha limx�!0 g(x) = 0 e limx�!0 h(x) = 1, esse si possono prolungare

per continuita anche in 0 con tali valori.

Omeomorfismo Se A, B ⇢ R, un omeomorfismo tra A e B e una funzione biiettiva Omeomorfismo

f : A �! B continua e con inversa f�1 : B �! A pure continua. In tal caso A e B sidiranno “omeomorfi”: il significato e che, topologicamente, essi sono “indistinguibili ameno del dizionario f che traduce l’uno nell’altro”, ed e chiaro che l’essere omeomorfi dauna relazione d’equivalenza in P(R).

Esempio. (1) Due intervalli “dello stesso tipo” (ovvero entrambi aperti/chiusi/semichiusi e limitati, o

entrambi semirette aperte/chiuse) sono sempre omeomorfi: ad esempio, A = [a, b[ e B =]c, d] sono omeo-

Corrado Marastoni 104

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Analisi Matematica I

morfi tramite f : A �! B, f(x) = � (d�c)x+ac�bdb�a

(che “sovrappone A a B rovesciandolo e modificandone

la lunghezza”), la cui inversa e f�1 : B �! A, f�1(y) = � (b�a)y+ac�bdd�c

. (2) Ma puo accadere che siano

omeomorfi anche dei sottoinsiemi che a prima vista non sembrano avere molto a che fare l’uno con l’altro:

ad esempio, la funzione tg :] � ⇡2, ⇡

2[�! R e un omeomorfismo tra A =] � ⇡

2, ⇡

2[ e B = R (e biiettiva e

continua, con inversa arctg : R �!]� ⇡2, ⇡

2[ pure continua). (3) Si faccia attenzione al fatto che, in generale,

non e detto che una funzione biiettiva e continua abbia anche inversa continua: l’esempio classico e quello

in cui A = R<�1 [{0}[R>1, B = R e f : A �! B data da f(x) = x� sign x, in cui f�1(y) = y +sign y non

e continua, avendo un salto f�1(0+)� f�1(0�) = 2 in y = 0. Tuttavia, se A e un intervallo non accadono

tali sorprese, come mostra la seguente Proposizione.

La seguente importante proposizione lega tra loro l’iniettivita e la crescenza.

Proposizione 3.2.13. Sia A un intervallo di R, e sia f : A �! R una funzione continua.Allora f e iniettiva se e solo se essa e strettamente monotona, ed in tal caso essa induceun omeomorfismo tra A e B = f(A) (che sara dunque anch’esso un intervallo).

Dimostrazione. Della prima parte dell’enunciato (cioe del fatto che una funzione continua su un intervalloe iniettiva se e solo se e strettamente monotona) daremo due dimostrazioni: la prima piu intuitiva ma cherichiede cura per essere resa rigorosa, la seconda piu indiretta ma anche piu pulita. • (Prima dimostrazione)Se f e strettamente monotona, essa e ovviamente iniettiva; ci resta da mostrare l’implicazione inversa, cioeche se f non e strettamente monotona, essa non puo essere iniettiva. A tal fine, seguiremo l’idea intuitivache “una funzione continua che va un po’ su e un po’ giu, oppure un po’ giu e un po’ su, deve assumere piuvolte lo stesso valore”; il problema e di rendere rigorosa tale idea. In e↵etti, dire che f non e strettamentemonotona e come dire che non e ne’ strettamente crescente ne’ strettamente decrescente, ovvero che es-istono a, b 2 A tali che a < b e f(b) f(a) e che esistono a0, b0 2 A tali che a0 < b0 e f(a0) f(b0); con unpo’ di lavoro, si dimostra che cio equivale all’esistenza di ↵,�, � 2 A tali che ↵ < � < � e

⇢f(�) f(↵)f(�) f(�)

oppure⇢

f(↵) f(�)f(�) f(�)

.(83) Ebbene, una tale funzione non puo essere iniettiva. Se infatti valesse una

delle due situazioni con almeno un’uguaglianza (ad esempio la prima gra↵a con f(�) = f(↵)) cio sarebbeevidente, mentre se valesse una delle due situazioni con disuguaglianze strette, ad esempio la prima gra↵acon f(�) < f(↵) e f(�) < f(�), scelto un valore intermedio ⌘ tra f(�) e min{f(↵), f(�)}, per il teoremadi tutti i valori (vedi Proposizione 3.2.10(b)) dovrebbero esistere ⇠1, ⇠2 2 A con ↵ < ⇠1 < � < ⇠2 < �tali che f(⇠1) = f(⇠2) = ⌘, negando ancora l’iniettivita. • (Seconda dimostrazione) Siano (a, b) e (c, d)due punti qualsiasi del triangolo DA = {(x1, x2) 2 A ⇥ A : x1 < x2}: quando t varia in [0, 1], il punto(a + t(c � a), b + t(d � b)) del piano R2 percorre il segmento che congiunge nel piano i punti (a, b) e(c, d) e, essendo A un intervallo, tale segmento sara tutto contenuto in DA. Consideriamo la funzioneg(a,b),(c,d) : [0, 1] �! R, g(a,b),(c,d)(t) = f(b+ t(d� b))� f(a+ t(c� a)), chiaramente continua perche sommadi composizioni di funzioni continue. Ora, f e iniettiva se e solo se tutte le funzioni g(a,b),(c,d) non siannullano mai; per il Teorema degli zeri, cio accade se e solo se esse saranno sempre > 0 oppure sempre< 0, ma cio puo accadere se e solo se esse avranno tutte lo stesso segno (perche se, ad esempio, fosseg(a,b),(c,d) > 0 e g(a0,b0),(c0,d0) < 0, la funzione g(a,b),(a0,b0) sarebbe > 0 per t = 0 e < 0 per t = 1 e dunque,sempre per il Teorema degli zeri, dovrebbe esserci qualche punto del segmento tra i due punti in cui essasi annulla, impossibile); ma cio significa, rispettivamente, che f e strettamente crescente o strettamentedecrescente.Passiamo ora alla seconda parte dell’enunciato (quella sull’omeomorfismo). Posto B := f(A) (che per laProposizione 3.2.10(b) e un intervallo), la corestrizione f |B : A �! B e biiettiva, e si puo definire l’inversa(f |B)�1 : B �! A, che sara pure essa strettamente monotona(84): ma allora, essendo l’immagine di (f |B)�1

(83)Si puo ragionare caso per caso a seconda delle posizioni relative di a, b, a0, b0. Cosı, quando a0 <b0 < a < b, se f(b0) f(a) si scelgano (↵,�, �) = (a0, a, b), mentre se f(b0) > f(a) si scelgano (↵,�, �) =(a0, b0, a); quando a0 < b0 = a < b si scelgano (↵,�, �) = (a0, b0, b); quando a0 < a < b0 < b, se f(a0) > f(a)si scelgano (↵,�, �) = (a0, a, b0), mentre se f(a0) f(a) si scelgano (↵,�, �) = (a0, a, b); eccetera.(84)E immediato vedere (esercizio) che l’inversa di una funzione biiettiva f : C �! D (con C, D ⇢ R)

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Analisi Matematica I

un intervallo (e A), per la Proposizione 3.2.10(c) la funzione (f |B)�1 e continua, ovvero f |B : A �! B eun omeomorfismo.

Figura 3.6: Gli intervalli [a, b[ e ]c, d] sono omeomorfi (le funzioni f e g sono due possibili omeomorfismi); lafunzione f(x) = x

x+1e un omeomorfismo tra R>0 e ]0, 1[ .

Esempi. Era rimasta in sospeso la questione della continuita delle funzioni goniometriche inverse, che

a↵rontiamo ora. (1) Esaminiamo ad esempio le funzioni sin : [�⇡2, ⇡

2] �! R e cos : [0,⇡] �! R: esse sono

continue e strettamente monotone (risp. strettamente crescente e decrescente), e dunque costituiscono un

omeomorfismo tra il loro dominio (intervallo) e l’immagine (che e [�1, 1]): ne desumiamo in particolare

che le loro inverse arcsin : [�1, 1] �! [�⇡2, ⇡

2] e arccos : [�1, 1] �! [0,⇡] sono continue. (2) Ancora piu

interessante e il caso di tg :] � ⇡2, ⇡

2[�! R: e cotg :]0,⇡[�! R: esse sono continue e strettamente monotone

(risp. strettamente crescente e decrescente), e dunque costituiscono un omeomorfismo tra il loro dominio

(intervallo) e l’immagine (che e R): percio le loro funzioni inverse arctg : R �!]� ⇡2, ⇡

2[ e arccotg : R �!]0,⇡[

sono continue, e mostrano che R e omeomorfo ad uno (e dunque ad ogni) suo intervallo aperto e limitato.

Cosı, ad esempio, componendo con l’omeomorfismo naturale tra ]� ⇡2, ⇡

2[ e ]�1, 1[ visto poco fa, otteniamo

un omeomorfismo � : R �!] � 1, 1[ ponendo �(x) = 2⇡

arctg x; un altro omeomorfismo tra gli stessi spazi e

pero anche : R �!] � 1, 1[, (x) = x|x|+1

(anche questa e una funzione continua e strettamente crescente

con dominio l’intervallo R ed immagine ] � 1, 1[).

3.2.3 Limiti (ripresa), forme indeterminate e limiti notevoli

Dopo aver studiato le funzioni continue, possiamo ora tornare al problema originaledel calcolo dei limiti. La combinazione dei teoremi sui limiti (Proposizione 3.2.6) e leproprieta delle funzioni continue, particolarmente il limite delle composizioni con funzionicontinue (vedi Proposizione 3.2.9) danno modo di risolvere immediatamente i limiti informa determinata.

Esempi. (0) Per ogni a > 0 si ha limx�!+1 a1x = 1 (infatti quando x �! +1 si ha 1

x= 0+, e dunque

(l’esponenziale e continuo!) a1x �! a0+

= 1+); si ha limx�!1± arctg( 11�x

) = ⌥⇡2

(infatti quando x �! 1± si

(strettamente) crescente/decrescente e anch’essa (strettamente) crescente/decrescente.

Corrado Marastoni 106

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ha 1�x �! 0⌥, da cui 11�x

�! ⌥1, da cui (l’arco-tangente e continua!) arctg( 11�x

) �! “ arctg(⌥1) =00 ⌥⇡2).

(1) Si voglia calcolare limx�!+1(loga(1 +p

1 + x)� b�x2

), ove a, b > 0 e a, b 6= 1. Quando x �! +1 si ha

1 + x �! +1, da cui (la radice e continua!)p

1 + x �! +1, da cui 1 +p

1 + x �! +1, da cui (il logaritmo

e continuo!) loga(1 +p

1 + x) �! +1 (se a > 1) o loga(1 +p

1 + x) �! �1 (se 0 < a < 1); poi si ha

�x2 �! �1 da cui (l’esponenziale e continuo!) b�x2 �! 0 (se b > 1) oppure b�x2 �! +1 (se 0 < b < 1):

pertanto il limite vale “±1� 0=”±1 se b > 1, vale “�1�1=”�1 se 0 < b < 1 e 0 < a < 1, mentre

se 0 < b < 1 e a > 1 si trova “+1 � 1”...? Questa e una “forma indeterminata”, di cui ci occuperemo

tra breve. (2) Si voglia calcolare limx�!2�sin(x2)

(x�2) tg(p

x). Quando x �! 2+ si ha x2 �! 4+, da cui (il seno

e continuo) il numeratore tende a sin(4) < 0 (infatti ⇡ < 4 < 3⇡2

); al denominatore si ha x � 2 �! 0+,

e (la tangente e continua) tg(p

x) �! tg(p

2) > 0 (perchep

2 ⇠ 1, 41 e dunque 0 <p

2 < ⇡2), e dunque

il denominatore tende a “0+ · tg(p

2) =”0+. Pertanto la funzione tende a “ sin 40+ =”�1 (infatti, di certo

diverge a 1; il segno si ricava poi dall’osservazione dei segni del numeratore (< 0) e denominatore (> 0)).

Gli unici casi che non si possono risolvere con questo procedimento diretto sono le formeindeterminate, nelle quali e in atto un “braccio di ferro” tra tendenze contrastanti in cuinon e chiaro chi alla fine prevarra. Queste forme indeterminate, le piu note delle quali sipossono scrivere come ±1 ⌥ 1, 0

0 , 11 , 0 · 1, 00 e 11, non sono in realta indipendenti

tra loro perche spesso si possono trasformare l’una nell’altra, come mostrano i seguentiesempi.

Esempi. (1) Il limite limx�!0+

x cotg x, che e della forma “0 · 1”, puo essere scritto anche come limx�!0+

xtg x

che e della forma “ 00”, oppure come lim

x�!0+

cotg x1/x

, che e della forma “11”. (2) Il limite ` = limx�!1

x1

(x�1)2 ,

che e della forma “11”, puo essere opportunamente riletto usando la continuita del logaritmo: se ` 2 eResiste, allora sara “loga(`)”= lim

x�!1loga(x

1(x�1)2 ) = lim

x�!1

loga x

(x�1)2(ove il primo membro va inteso nel senso di

“ limt�!`

loga(t)”), ed il limite da calcolare al secondo membro ora e della forma “ 00”.

Gli strumenti piu e�caci per a↵rontare le forme indeterminate sono il teorema del con-fronto (e i suoi corollari, come i due carabinieri), il confronto locale (che vedremo tra breve)e il teorema di de l’Hopital (che vedremo invece piu tardi nello studio della derivabilita).Per ora ci limitiamo a segnalare alcuni importanti casi particolari.

Proposizione 3.2.14. Consideriamo i seguenti limiti in forma indeterminata.

(a) (Funzioni razionali) Siano f(x) =Pm

i=1 aixi = amxm + · · · + a1x + a0 e g(x) =Pn

j=0 bjxj = bnxn + · · · + b1x + b0 polinomi reali con am, bn > 0: allora

limx�!+1

f(x)

g(x)=

8><>:

+1 se m > n

am/bm se m = n

0 se m < n

, limx�!�1

f(x)

g(x)=

8><>:

(�1)m�n1 se m > n

am/bm se m = n

0 se m < n

.

(b) (Esponenziali, logaritmi e potenze) Per ogni a > 1, ↵ > 0 e � > 0 vale

(1) limx�!+1

ax

x�= +1, (2) lim

x�!+1log�a x

x↵= 0, (3) lim

x�!0+x↵| loga x|� = 0.

Corrado Marastoni 107

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(c) (Limiti notevoli) Per ogni a 2 R>0 \ {1} ed ogni ↵ 2 R vale

(1) limx�!0

sin x

x= 1, (2) lim

x�!0

1 � cos x

x2=

1

2, (3) lim

x�!0

ax � 1

x= log a,

(4) limx�!0

loga(1 + x)

x=

1

log a= loga e, (5) lim

x�!0

(1 + x)↵ � 1

x= ↵.

Dimostrazione. Useremo spesso il cambiamento di variabile (Proposizione 3.2.7). (a) Raccogliendo xm

al numeratore e xn al denominatore si ha f(x)g(x)

= xm�n am+am�1

x+···+ a1

xm�1 +a0xm

bn+bn�1

x+···+ b1

xn�1 +b0xn

, e le varie a↵ermazioni

seguono facilmente. (b) Per il limite (1) iniziamo dal caso a = e. Per x > 1 (non scordiamo che si stacalcolando un limite per x �! +1) la successione esponenziale en(x) = (1 + x

n)n e strettamente crescente:

pertanto, scelti due numeri naturali p, q tali che 0 < � p < q si ha ex

x� >(1+ x

q)q

xp , e il risultato segue il

confronto (infatti il secondo membro tende a +1 per (a)). Per il caso generale limx�!+1

ax

x� basta operare

il cambio di variabile x = 1log a

t (si noti che log a > 0, dunque si ha c = p = +1) per ottenere di nuovo

limt�!+1

(log a)� et

x� = +1. Il limite (2) segue da (1) col cambio di variabili x = at, e (3) segue da (2) col

cambio x = 1t. (c) (1) Poiche la funzione e pari, possiamo limitarci a considerare il limite da destra. Quando

0 < x ⌧ 1 si ha sin x < x < tg x, da cui (dividendo per sin x e invertendo) 1 sin xx

cos x: il risultatosegue allora dal Teorema dei due carabinieri. (2) Vale sin2 x

2= 1�cos x

2, da cui (sfruttando la continuita

della potenza, e↵ettuando il cambio di variabile t = x2

e ricordando il limite notevole appena calcolato) si

ottiene limx�!0

1�cos xx2 = 2 lim

x�!0

sin2 x2

x2 = 12

⇣limt�!0

sin tt

⌘2

= 12. (3) Iniziamo dal caso a = e. Dalla disuguaglianza

fondamentale 1+x < ex < 11�x

, sottraendo 1 ai tre membri si ottiene x < ex�1 < x1�x

; dividendo per x (aseconda che x ? 0 gli estremi della disequazione resteranno fermi o andranno invertiti) e applicando i duecarabinieri si ha che il limite vale 1 = log e, come voluto. Il caso generale si ottiene da questo col cambio divariabile x = 1

log at. (4) Anche qui, nel caso a = e si puo usare la disuguaglianza fondamentale del logaritmo,

e poi per il caso generale basta ricordare che loga(1 + x) = 1log a

log(1 + x); altrimenti si puo operare in(3) il cambio di variabili x = loga(1 + t). (5) La conclusione e banale se ↵ = 0; pensiamo dunque ↵ 6= 0.

Intendendo (1 + x)↵ = e↵ log(1+x) si ha limx�!0

(1+x)↵�1x

= limx�!0

e↵ log(1+x)�1x

= ↵ limx�!0

e↵ log(1+x)�1↵ log(1+x)

log(1+x)x

;

essendo poi limx�!0

e↵ log(1+x)�1↵ log(1+x)

= limu�!0

eu�1u

= 1 (col cambio di variabile u = ↵ log(1+x) ovvero x = eu/↵�1)

e limx�!0

log(1+x)x

= 1, si ottiene quanto voluto.

3.2.4 Funzioni iperboliche

Completiamo l’elenco delle funzioni elementari introducendo le “funzioni iperboliche” Funzioniiperboliche

cosh x =ex + e�x

2, sinh x =

ex � e�x

2,

dette rispettivamente coseno iperbolico e seno iperbolico. (Viene usata talvolta anche la

tangente iperbolica tgh x = sinh xcosh x = ex�e�x

ex+e�x .) Seno e coseno iperbolici sono funzioni condominio R, ed il loro nome e giustificato dal fatto che per ogni x 2 R vale l’identita

cosh2 x � sinh2 x = 1,

Corrado Marastoni 108

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ovvero, il ruolo della circonferenza unitaria x2 + y2 = 1 per le “funzioni circolari” cos e sine svolto dall’iperbole equilatera x2 � y2 = 1 per le “funzioni iperboliche” cosh e sinh. Lefunzioni iperboliche hanno proprieta formali molto simili alle circolari, come ad esempiole seguenti formule di addizione-sottrazione e prostaferesi, di dimostrazione immediata:

sinh(x1±x2) = sinh x1 cosh x2±cosh x1 sinh x2, cosh(x1±x2) = cosh x1 cosh x2±sinh x1 sinh x2;

sinh x1 + sinh x2 = 2 sinh x1+x2

2 cosh x1�x2

2 , cosh x1 + cosh x2 = 2 cosh x1+x2

2 cosh x1�x2

2 .

Figura 3.7: Grafici del seno iperbolico sinh, del coseno iperbolico cosh e delle loro inverse sett sinh e sett cosh.

La funzione sinh : R �! R e ovviamente continua, dispari (cioe sinh(�x) = � sinh x perogni x 2 R, da cui sinh 0 = 0) e strettamente crescente e suriettiva(85) e dunque e unomeomorfismo da R in se; la sua inversa si chiama settore seno iperbolico e si denota consett sinh: come abbiamo appena calcolato, sara dunque

sett sinh : R �! R, sett sinh(x) = log(x +p

x2 + 1).

Invece, la funzione cosh : R �! R, oltre che continua, e pari (cioe cosh(�x) = cosh xper ogni x 2 R, con cosh 0 = 1), strettamente crescente in R�0 (basta usare l’identitacosh x1 � cosh x2 = 2 sinh x1+x2

2 sinh x1�x22 ) e, se ristretta a R�0, con immagine R�1;

(86)

essa induce dunque un omeomorfismo da R�0 in R�1 e la sua inversa, detta settore cosenoiperbolico e denotata sett cosh : R�1 �! R�0, sara

sett cosh : R�1 �! R�0, sett cosh(x) = log(x +p

x2 � 1).

(85)Per la stretta crescenza basta usare l’identita sinh x1� sinh x2 = 2 cosh x1+x22

sinh x1�x22

; per la suriet-tivita, calcolando la fibra di y 2 R, ovvero risolvendo sinh x = y, si ha ex�e�x = 2y ovvero e2x�2yex�1 = 0ovvero ex = y ±

py2 + 1, da cui x = log(y +

py2 + 1).

(86)Infatti y = cosh x > 0, calcolando, diventa ex + e�x = 2y ovvero e2x � 2yex + 1 = 0 ovvero ex =y ±

py2 � 1, che ha soluzione reale se e solo se y � 1, data da x = log(y +

py2 � 1)

Corrado Marastoni 109

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3.2.5 Comportamento locale delle funzioni

Nel calcolo dei limiti, le forme indeterminate scaturiscono dal contrapporsi di tendenzeopposte da parte delle varie componenti della funzione, che non rende chiaro quale sara latendenza di quest’ultima; l’esito finale di questa contrapposizione puo essere assai diversoa seconda dei casi. Ad esempio le tre funzioni f(x) = sin

px, ex � 1, 1 � cos x sono

tutte infinitesime in 0, dunque i tre limiti limx�!0

f(x)x presentano una forma indeterminata

del tipo 00 : tuttavia non e di�cile vedere che per f(x) = sin

px (risp. f(x) = ex � 1,

f(x) = 1 � cos x) tale limite vale 1 (risp. 1, 0),(87) dunque f(x) = sinp

x (risp. f(x) =ex � 1, f(x) = 1 � cos x) e un infinitesimo “piu debole” (risp. “dello stesso tipo”, “piuforte”) di x, nel senso che esso “va a zero piu lentamente” (risp. “con uguale velocita”,“piu velocemente”) di quanto faccia x. Analogamente, log x, ex e x3 sono infinite in+1, ma si ha lim

x�!+1ex

x3 = +1 e limx�!+1

log xx3 = 0: percio ex (risp. log x) e un infinito

“piu forte” (risp. “piu debole”) di x3, ovvero esso “va all’infinito piu velocemente” (risp.“piu lentamente”) di quanto faccia x3”. Vogliamo dunque stabilire con precisione cosasignifica che due funzioni hanno comportamenti locali in c che sono “dello stesso tipo”,oppure “l’uno prevalente sull’altro”; lo scopo finale di questa operazione sara di sostituire,nei problemi locali in c (come ad esempio il calcolo di un limite quando x tende a c)un funzione “di�cile” f(x) con una piu “facile” g(x), quando si sappia che f e g hanno“comportamenti paragonabili” (anche questo un concetto da chiarire) all’intorno di c.

Trascurabilita ed asintoticita Siano A ⇢ R, c 2 eR un punto di accumulazione perA, e f, g : A �! R due funzioni. Si dira che

(a) f e trascurabile rispetto a g (e si scrivera f = oc(g), da leggersi “f e o piccolo di g Trascurabilita

per x che tende a c”) se esistono un intorno U di c in R ed una funzione � : U �! Rinfinitesima in c tali che f(x) = �(x)g(x) per ogni x 2 (A \ U) \ {c};

(b) f e asintotica a g in c (e si scrivera f ⇠c g) se f = g+oc(g); piu generalmente, f e dello Asintoticita

stesso ordine di g in c (e si scrivera f ⇠⇤c g) se esiste ↵ 6= 0 tale che f = ↵g + oc(g). Stesso ordine

Nell’uso concreto, la scrittura “f = g+oc(h)” significa “f �g = oc(h)”, ovvero “f e ugualea g piu qualcosa di trascurabile rispetto a h in c”; e di questo “qualcosa” spesso non ciinteressa dare la descrizione precisa, ma solo sapere che e trascurabile rispetto a h in c.(Talvolta con “oc(h)” intenderemo l’insieme di tutte le funzioni trascurabili rispetto a hin c.) Cosı, ad esempio, nella definizione di “asintoticita” l’espressione “f = g + oc(g)”significa ”f e g di↵eriscono per qualcosa di trascurabile rispetto a g in c”. Tutto cio nondovrebbe portare confusione.

(87)Infatti, ricordando la Proposizione 3.2.14 si ha limx�!0

sinp

xx

= limx�!0

sinp

xpx

1px

= 1, limx�!0

ex�1x

= 1 e

limx�!0

1�cos xx

= limx�!0

1�cos xx2 x = 0.

Corrado Marastoni 110

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Analisi Matematica I

Figura 3.8: Comportamento locale delle funzioni f, g, h, ` in c.

La definizione (a) e la nozione che, nei nostri intenti, esprimera l’idea di “andare a zeropiu velocemente” o “andare all’infinito piu lentamente”; essa rappresenta una sorta di“ordine stretto” nella famiglia delle funzioni che hanno c come punto di chiusura del lorodominio. Nel caso in cui f e g siano entrambe infinitesimi (risp. infiniti) in c, si usa direche “f e un infinitesimo di ordine superiore di g in c” (risp. che “f e un infinito di ordineinferiore di g in c”). Per quanto riguarda (b), “asintoticita” ed “essere dello stesso ordinesono invece le nozioni che esprimeranno, con maggiore o minor precisione, l’idea di “averecomportamenti paragonabili”. Notiamo le seguenti proprieta:

• La relazione di trascurabilita soddisfa (Trns) ed una versione “forte” di (ASym)(88);

• Asintoticita ed “essere dello stesso ordine” sono entrambe relazioni d’equivalenza;(89)

• Se � 2 oc(g), allora f� 2 oc(fg) (si scrive anche “f · oc(g) ⇢ oc(fg)”);

• Se � 2 oc(f) e � 2 oc(g), allora �� 2 oc(fg) (si scrive anche “oc(f) oc(g) ⇢ oc(fg)”);

• Sia f = oc(g). Se � 2 oc(f) e � 2 oc(g) allora � + � 2 oc(g), ed in particolare se� 2 oc(f) allora � 2 oc(g) (si scrive anche “oc(f) + oc(g) ⇢ oc(g)”);

• Se f ⇠⇤c g, allora � 2 oc(f) se e solo se � 2 oc(g) (si scrive anche “oc(f) = oc(g)”).

Esempio. Si ha (1 + 2x + o0(x))(3x � x2 + o0(x2)) = 3x � x2 + o0(x

2) + 6x2 � 2x3 + o0(x3) + o0(x

2) +

o0(x3) + o0(x

3) = 3x + 5x2 + o0(x2).

Nella pratica, per verificare trascurabilita e asintoticita si usano quasi sempre i seguenti

Proposizione 3.2.15. (Criteri di trascurabilita e asintoticita) Se c e di accumulazioneper A ed esiste un intorno U di c in cui g non si annulla mai eccetto eventualmente in c(ovvero g(x) 6= 0 per ogni x 2 (A \ U) \ {c}), allora

(88)Piu precisamente, f = oc(g) e g = oc(f) se e solo se f e g sono entrambe nulle all’intorno di c, esclusoal piu c.(89)Vediamo, ad esempio, essere dello stesso ordine. Si ha f � 1 · f = 0 = oc(f), e dunque vale (Rifl). Sef ⇠⇤c g si ha f�↵g = �g con ↵ 6= 0 e � infinitesima in c, da cui f = (↵+�)g e percio g� 1

↵f = � 1

↵�g = ⌧f ,

con ⌧ = � �↵(↵+�)

infinitesima in c, il che mostra che g ⇠⇤c f , e dunque (Sym); infine, se f ⇠⇤c g e g ⇠⇤c h si

ha f �↵g = �g e g��h = ⌧h con ↵,� 6= 0 e �, ⌧ infinitesime in c, da cui f �↵�h = (f �↵g)+↵(g��h) =�g + ↵⌧h = ⌘h, con ⌘ = �(⌧ + �) + ↵⌧ infinitesima in c, ovvero f ⇠⇤c h da cui (Trns).

Corrado Marastoni 111

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Analisi Matematica I

(i) f = oc(g) se e solo se limx�!c

f(x)g(x) = 0;

(ii) f ⇠⇤c g se e solo se lim

x�!c

f(x)g(x) = � 2 R⇥ (dunque f ⇠c g se e solo se lim

x�!c

f(x)g(x) = 1).

Dimostrazione. Facile esercizio.

Esempi. (1) Vale sin x = oc(1) per c = k⇡ (con k 2 Z); in generale, ovviamente, vale �(x) = oc(1) se

e solo se �(x) e infinitesima in c. (2) Bisogna fare attenzione a dove si sta facendo lo studio locale! Ad

esempio, (i) vale sin x = o+1(x) e sin x ⇠0 x; (ii) vale ex = o0(1x) e 1

x= o+1(ex) (3) La Proposizione

3.2.14 dice in sostanza che per ogni ↵ > 0 e � 2 R si ha x� = o+1(e↵x) (cioe, in parole povere, “nelle

forme indeterminate, l’esponenziale prevale sulla potenza”), log� x = o+1(x↵) e | log x|� = o0(1

x↵ ) (“nelle

forme indeterminate, la potenza prevale sul logaritmo”). (4) Sempre la Proposizione 3.2.14 a↵erma che

f(x) ⇠0 x per f(x) = sin x, ex�1, log(1+x), mentre 1�cos x ⇠⇤0 x2 e (1+x)↵�1 ⇠⇤0 x per ogni ↵ 6= 0. (5)

Essendo sin 2x ⇠⇤0 x (infatti limx�!0sin 2x

x= limt�!0

sin tt/2

= 2 2 R⇥) si ha o0(sin 2x) = o0(x); per lo stesso

motivo si ha o0(1 � cos x) = o0(x2). (6) Essendo log x = o+1(

px), si avra o+1(log x) ⇢ o+1(

px).

Trascurabilita ed asintoticita non vanno sempre d’accordo con la composizione di funzioni:

Proposizione 3.2.16. Siano A ⇢ R, c 2 eR di accumulazione per A, e siano f, g : A �! R.

(i) (Rapporti buoni con la composizione a destra) Sia B ⇢ R, p 2 eR di accumulazioneper B, � : B �! A una funzione tale che lim

t�!p�(t) = c e tale che p non sia un

punto di accumulazione di ��1(c).(90)

(a) Se f = oc(g) , allora f � � = op(g � �) ;

(b) Se f ⇠c g , allora f � � ⇠p g � �.

(ii) (Rapporti “circospetti” con la composizione a sinistra) Data una funzione continua' tale che ' � f e ' � g siano definite all’intorno di c, anche se f = oc(g) non edetto che sia ' � f = oc(' � g); similmente, anche se f ⇠c g, non e detto che sia' � f ⇠c ' � g. Tuttavia, se f ⇠c g , si hanno ad esempio i seguenti fatti.

(a) Se f e g sono positive e non nulle in un intorno di c (tranne al piu in c) allora,dato ↵ 2 R⇥, sara f↵ ⇠c g↵ .

(b) Se f � g e infinitesima in c allora ef ⇠c eg .

(c) Se f e g sono positive e non nulle in un intorno di c (tranne al piu in c) elimx�!c

f(x) = limx�!c

g(x) esistono 6= 1, allora log f ⇠c log g .

Dimostrazione. (i) Proviamo (a). Sia f(x) = �(x)g(x) con � infinitesima in c: allora (f � �)(t) = (� ��)(t)(g � �)(t), e basta mostrare che � � � e infinitesima in p. Preso " > 0, esiste un intorno U di c in eRtale �(U \ {c}) ⇢ B0("); per le ipotesi su �, esiste un intorno W di p tale che �(W \ {p}) ⇢ U \ {c}, edunque (� � �)(W \ {p}) ⇢ �(U \ {c}) ⇢ B0("). Cio prova (a).(91) Passando a (b), si ha f � g = �g con

(90)ovvero, esiste un intorno W di p in eR tale che, in W \ B, l’uguaglianza �(t) = c e soddisfattaeventualmente al piu da t = p.(91)In alternativa si poteva osservare che, operando il cambio di variabile x = �(t), le ipotesi introdotte su� sono su�cienti a mostrare la prima parte della Proposizione 3.2.7, cioe che se esiste limx�!c f(x) alloraesiste anche limt�!p f(�(t)) ed e ad esso uguale (vedi la dimostrazione a pag. 97).

Corrado Marastoni 112

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� infinitesima in c; dunque (f � �) � (g � �) = (� � �)(g � �), e come visto � � � e infinitesima in p. (ii)

Ad esempio, se c = +1, f(x) = x, g(x) = �x2 e '(x) = ex, si ha x = o+1(�x2) ma ex non e o+1(e�x2

)

(anzi vale addirittura il contrario!). Similmente, se h(x) = x � x2, si ha x � x2 ⇠+1 �x2 ma ex�x2

non

e asintotico a e�x2

in +1 (infatti limx�!+1 ex�x2

e�x2 = limx�!+1 ex = +1). Altro esempio: se c = 0,

f(x) = ex, g(x) = ex2

e '(x) = log x si ha f ⇠0 g ma log f(x) = x non e asintotico a log g(x) = x2 in 0.Le a↵ermazioni che seguono si verificano direttamente dalle definizioni: vale limx�!c

f↵

g↵ = (limx�!cfg)↵,

da cui (a); limx�!cef

eg = limx�!c ef�g, da cui (b); infine, se f = (1 + �)g con � infinitesima in c si ha

log f � log g = log fg

= log(1 + �), che, essendo infinitesima, e di certo oc(logc g) nelle ipotesi date.

Esempi. (1) Sappiamo che sin x ⇠0 x e x2 = o0(sin x) ; grazie alla Proposizione 3.2.16(i), possiamo

a↵ermare che se �(x) e una qualsiasi funzione infinitesima in 0 si ha sin�(x) ⇠0 �(x) e �2(x) =

o0(sin�(x)) = o0(�(x)): per non sbagliarsi, bastera ragionare ponendo t = �(x). Ad esempio, posto

t = x2 � x si ha sin(x2 � x) = sin t ⇠0 t = x2 � x ⇠0 �x . (2) Se f, g, h sono funzioni � 0 all’intorno di c

con f ⇠c g e h = oc(f), si ha anchep

f ⇠cp

c ep

h = oc(p

f) (basta notare chep

f = f12 , ed applicare

la Proposizione 3.2.16(ii)).

L’uso di trascurabilita ed asintoticita semplifica considerevolmente il calcolo dei limiti.

Proposizione 3.2.17. Siano A ⇢ R, c 2 eR di accumulazione per A, e siano f, g : A �! R.

(i) (Sostituzione di un fattore con una funzione asintotica) Esista un intorno U di cin cui g non si annulla mai eccetto eventualmente in c, e sia g ⇠c g. Allora, seesistono,

limx�!c

f(x)g(x) = limx�!c

f(x)g(x), limx�!c

f(x)

g(x)= lim

x�!c

f(x)

g(x).

(ii) (Eliminazione degli addendi trascurabili) Esista un intorno U di c in cui f e g nonsi annullano mai eccetto eventualmente in c. Allora, se esistono,

limx�!c

(f(x)+oc(f))(g(x)+oc(g)) = limx�!c

f(x)g(x), limx�!c

f(x) + oc(f)

g(x) + oc(g)= lim

x�!c

f(x)

g(x).

Dimostrazione. (i) Facile (raccogliere g(x), e usare la Proposizione 3.2.15(ii)). (ii) Segue applicando (i)prima al fattore f(x) + oc(f) (asintotico a f(x)) e poi al fattore g(x) + oc(g) (asintotico a g(x)).

Esempi. (1) Poiche x3, sin x, log x e 5 sono tutti o+1(ex), si ha limx�!+1 ex�x3+sin x5+log x�2ex = limx�!+1 ex

�2ex =

limx�!+1(� 12) = � 1

2. (2) Analogamente, poiche x2 = o0(x) e 1 � cos x ⇠⇤0 x2 = o0(x) = o0(sin x), si ha

limx�!0x�x2

1�cos x�3 sin x= limx�!0

x�3 sin x

= � 13.

Approssimazioni polinomiali. Scale di confronto e sviluppi asintotici Si e vi-sto che e importante saper ragionare, nel calcolo di un limite, “a meno di trascurabilita edasintoticita” per sostituire, quando possibile, una funzione complicata con una piu sempliceche non alteri il risultato. Poiche le funzioni piu semplici sono i polinomi (eventualmenteanche con monomi di grado negativo), sarebbe allora interessante trovare un modo perapprossimare una data funzione, all’intorno del punto in cui si sta calcolando il limite, con

Corrado Marastoni 113

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un polinomio che sara tanto piu lungo quanto piu si richiede essere piccolo l’errore tra lafunzione stessa ed il polinomio approssimante. Cerchiamo di spiegare questo procedimentodi “approssimazione progressiva”.

• Consideriamo una funzione f(x) ed un punto di accumulazione c 2 eR per il dominiodi f (notiamo che tale c potrebbe non appartenere al dominio, e potrebbe essereanche ±1). In realta, se c 2 R ci possiamo limitare al caso c = 0: infatti basta stu-diare '(t) := f(t + c) per t ⇠ 0 e poi risostituire t = x � c.

• Supponiamo dunque di studiare f(x) quando x si trova all’intorno di c = 0 oppuredi c = +1. Siano ↵0 6= 0 e n0 2 Z tali che f(x) ⇠c ↵0x

n0 : tali numeri potrebberoanche non esistere, ma se esistono sono unici.(92) Il monomio ↵0x

n0 , che costituiscela “parte piu significativa” della funzione f(x) all’intorno di c, descrivendone lecaratteristiche piu importanti del comportamento, e detto parte principale di f(x)in c. Se n0 > 0, la funzione f si dice essere un infinitesimo (se c = 0) o un infinito Parte principale

(se c = +1) di ordine n0; se invece n0 < 0, f si dice essere un infinito (se c = 0) o Ordine diinfinitesimoe di infinitoin un punto

un infinitesimo (se c = +1) di ordine �n0. Se invece n0 = 0, allora si dice che f efinita in c: cio significa semplicemente che lim

x�!cf(x) = ↵0 6= 0.

Esempi. (1) Se f(x) = sin 2x e c = 0, come sappiamo la parte principale di f(x) in c = 0 e 2x,

ovvero si ha ↵0 = 2 e n0 = 1 (dunque f e un infinitesimo di ordine 1 in c = 0). (2) Se f(x) = ex

e c = 1, poniamo x = t + 1, ottenendo dunque '(t) = f(t + 1) = et+1; essendo '(0) = e 6= 0,

la parte principale di '(t) in 0 (e dunque di f(x) in 1) e e, ovvero ↵0 = e e n0 = 0. (3) Se

f(x) =q

9x4 � x, e chiaro che f sara un infinito in 0 (infatti limx�!0 f(x) = +1): come capirne

l’ordine? Raccogliendo 9x4 dentro la radice e portandolo fuori, si ha f(x) = 3

x2

q1 � 1

9x5: essendo

ovviamenteq

1 � 19x5 ⇠0 1, appare chiaro che la parte principale di f(x) in c = 0 e 3

x2 , ovvero ↵0 = 3

e n0 = �2 (dunque f e un infinito di ordine | � 2| = 2 in c = 0). (4) Se f(x) = log(ex2 � 1) � 3x e

c = +1, la funzione f(x) e un infinito: infatti, raccogliendo e facendo uscire ex2

nel logaritmo, si ha

limx�!+1 f(x) = limx�!+1(log(1�e�x2

)+x2�3x) = limx�!+1 x2( log(1�e�x2)

x2 +1� 3x) = +1. Da

questo conto appare pure evidente che la parte principale di f(x) in +1 e x2. (5) Se f(x) = log |x|e c = 0 oppure c = +1, la funzione f e un infinito, ma come noto non esiste nessuna potenza intera

di x che sia asintotica ad f in c = 0. Lo stesso vale ad esempio per g(x) = 3p

x. Altrimenti detto,

questi sono casi in cui la parte principale (intera!) non esiste.

• Trovata la parte principale, si puo cercare di migliorare l’approssimazione di f vicinoa c rispetto a quella, in molti casi gia soddisfacente, data dalla parte principale stessa:si tratta di ripetere il procedimento per la funzione ”errore” f(x)� �0x

n0 , trovandola sua parte principale ↵1x

n1 (con ↵1 6= 0 e n1 2 Z: se c = 0 sara n1 > n0, se c = +1sara n1 < n0). Il polinomio ↵0x

n0 +↵1xn1 e piu complicato del precedente ↵0x

n0 , maapprossima meglio f(x). Se anche questa approssimazione non basta, si puo cercaredi iterare il procedimento fino ad un certo ordine k, ottenendo un’unica espressione

(92)In e↵etti, se f(x) ⇠c ↵0xn0 e f(x) ⇠c �0x

m0 , per transitivita si ha ↵0xn0 ⇠c �0x

m0 , ovverolimx�!c

↵0xn0

�0xm0 = limx�!c↵0�0

xn0�m0 = 1: cio implica che ↵0�0

= 1 e n0 � m0 = 0, ovvero ↵0 = �0 en0 = m0.

Corrado Marastoni 114

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del tipo (detta approssimazione –o sviluppo– asintotico (rispetto alla scala di potenzeintere) di f(x) in c fino all’ordine k) Sviluppo

asintotico

f(x) = ↵0xn0 + ↵1x

n1 + · · · + ↵kxnk + o0(x

nk).

Esempi. Riprendiamo gli esempi precedenti. (1) Per l’approssimazione polinomiale di sin 2x in

c = 0 di ordine k > 1, vedremo tra breve. (2) Se f(x) = ex e c = 1, ovvero per '(t) = et+1 in 0, si

ha (ricordando il limite notevole limt�!0et�1

t= 1) che '(t)�e = et+1�e = e(et �1) ⇠0 et: dunque

'(t) = e+et+o0(t), ovvero f(x) = e+e(x�1)+o1(x�1). Per l’approssimazione ulteriore, vedremo

tra breve. (3) Se f(x) =q

9x4 � x e c = 0, si ha f(x)� 3

x2 = 3x2 (q

1 � 19x5 � 1) = 3

x2

� 19

x5

p1� 1

9x5+1

⇠0

3x2

� 19

x5

2= � 1

6x3, pertanto f(x) = 3

x2 � 16x3 + o0(x

3) (anche qui, per l’approssimazione ulteriore,

vedremo tra breve). (4) Se f(x) = log(ex2 � 1) � 3x e c = +1, dal conto precedente e chiaro che

f(x) = x2 � 3x + o+1(1) (infatti limx�!+1 log(1 � e�x2

) = 0).

Sono da tenere presente le seguenti approssimazioni polinomiali in c = 0, che permettonodi trattare facilmente parecchi casi particolari come quelli lasciati in sospeso in precedenzae che saranno giustificate piu tardi, quando parleremo della formula di Taylor per funzioniderivabili:(93)

ex =kX

j=0

xj

j!+ o0(x

k) = 1 + x +x2

2!+ · · · +

xk

k!+ o0(x

k)

log(1 + x) =kX

j=1

(�1)j+1 xj

j+ o0(x

k) = x � x2

2+ · · · + (�1)k�1 xk

k+ o0(x

k)

(1 + x)↵ =kX

j=0

j

!xj + o0(x

k) = 1 + ↵x +↵(↵� 1)

2x2 + · · · +

↵(↵� 1) · · · (↵� (k � 1))

k!xk + o0(x

k)

cos x =kX

j=0

(�1)j x2j

(2j)!+ o0(x

2k+1) = 1 � x2

2!+ · · · + (�1)k x2k

(2k)!+ o0(x

2k+1)

sin x =kX

j=0

(�1)j x2j+1

(2j + 1)!+ o0(x

2(k+1)) = x � x3

3!+ · · · + (�1)k x2k+1

(2k + 1)!+ o0(x

2(k+1))

tg x = x +1

3x3 +

2

15x5 +

17

315x7 + o0(x

8)

arctg x =kX

j=0

(�1)j x2j+1

(2j + 1)+ o0(x

2(k+1)) = x � x3

3+ · · · + (�1)k x2k+1

2k + 1+ o0(x

2(k+1))

cosh x =kX

j=0

x2j

(2j)!+ o0(x

2k+1) = 1 +x2

2!+ · · · +

x2k

(2k)!+ o0(x

2k+1)

sinh x =kX

j=0

x2j+1

(2j + 1)!+ o0(x

2(k+1)) = x +x3

3!+ · · · +

x2k+1

(2k + 1)!+ o0(x

2(k+1)) .

(93)Se ↵ > 0 e m 2 Z�0 si definisce�↵m

�:= ↵(↵�1)···(↵�(m�1))

m!.

Corrado Marastoni 115

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Analisi Matematica I

Esempi. Trattiamo dunque gli sviluppi degli esempi lasciati in sospeso. (1) Da sin t = t � t3

3!+ · · · +

(�1)k t2k+1

(2k+1)!+ o0(t

2(k+1)), ponendo t = 2x si ha sin 2x = 2x� 43x3 + · · ·+(�1)k 22k+1

(2k+1)!x2k+1 + o0(x

2(k+1)).

(2) Vale '(t) = et+1 = e et = e(1 + t + t2

2!+ · · · + tk

k!+ o0(t

k)) = e + et + e t2

2!+ · · · + e tk

k!+ o0(t

k),

ovvero f(x) = ex = e + e(x � 1) + e (x�1)2

2!+ · · · + e (x�1)k

k!+ o1((x � 1)k). (3) Si ha

p1 + t = (1 + t)

12 =

1 + 12t +

12( 12�1)

2t2 + o0(t

2) = 1 + 12t � 1

8t2 � 1

16t3 + o0(t

3): pertanto se f(x) =q

9x4 � x e c = 0, ponendo

t = � 19x5 si ha f(x) = 3

x2 (1 �q

1 � 19x5) = 3

x2 (1 + 12(� 1

9x5) � 1

8(� 1

9x5)2 � 1

16(� 1

9x5)3 + o0(x

19)) =3

x2 � 16x3� 1

216x8+ 1

3888x13+o0(x

17). (4) Gli sviluppi forniti per c = 0 possono servire anche per gli sviluppi

asintotici in c = +1. Ad esempio sia f(x) = 3p

4x6 � 3x2 + 1: scrivendo f(x) = 3p

4 x2 3

q1 � 3

41

x4 + 14

1x6 =

3p

4 x2 3p

1 + t con t = � 34x�4 + 1

4x�6, poiche t e infinitesimo si ha 3

p1 + t = 1 + 1

3t + o0(t

2), e poiche

o0(t2) = o+1((x�4)2) = o+1(x�8) si ha f(x) = 3

p4 x2(1 + 1

3(� 3

4x�4 + 1

4x�6) + o+1(x�8)) = 3

p4 x2 �

3p44

x�2+3p412

x�4+o+1(x�6). (5) Cerchiamo lo sviluppo di f(x) = cos x attorno c = ⇡2. Si tratta dunque di

studiare f(t+ ⇡2) = cos(t+ ⇡

2) = � sin t attorno t = 0: si ottiene allora � sin t = �(t� t3

6+o0(t

4)). A questo

punto, basta risostituire t = x�⇡2

per ottenere cio che si cercava: cos x = �(x�⇡2)+ 1

6(x�⇡

2)3+o⇡

2((x�⇡

2)4).

(6) Cerchiamo lo sviluppo di f(x) = ex attorno c = 1, ovvero f(t+1) = et+1 = e et = e(1+t+ 12t2+o0(t

2)) =

e + et + e2t2 + o0(t

2), dunque ex = e + e(x � 1) + e2(x � 1)2 + o0((x � 1)2). (7) Cerchiamo lo sviluppo

di f(x) = log(3x � 1) attorno c = 2, ovvero lo sviluppo di f(t + 2) = log(3t + 5) attorno t = 0. Per

usare lo sviluppo asintotico del logaritmo che conosciamo bisogna ricondurci al caso in cui l’argomento

del logaritmo tende a 1, dunque facciamo cosı: log(3t + 5) = log(5(1 + 35t)) = log 5 + log(1 + 3

5t) =

log 5 + 35t � 1

2( 35t)2 + o0(t

2) = log 5 + 35t � 9

50t2 + o0(t

2), da cui, risostituendo t = x � 2, si ottiene

log(3x � 1) = log 5 + 35(x � 2) � 9

50(x � 2)2 + o0((x � 2)2) (la parte principale e log 5 = (log 5)(x � 2)0).

Come visto in alcuni esempi precedenti (come per log x e 3p

x in c = 0 e in c = +1 ), nonper tutte le funzioni e possibile e↵ettuare lo sviluppo asintotico (polinomiale) desiderato;e talvolta e addirittura impossibile trovare una parte principale polinomiale. In e↵etti,la famiglia delle potenze intere costituisce un insieme piuttosto “rado”, che non semprepermette di misurare accuratamente, e dunque di classificare, l’ordine di infinitesimo oinfinito delle varie funzioni.(94) A tal proposito, e utile generalizzare quanto detto finora,introducendo il concetto di “scala di confronto” in un punto c.

Sia A ⇢ R, c 2 eR di accumulazione per A. Una scala di confronto �c su A in c e unafamiglia di funzioni definite e mai nulle in un intorno di c (tranne al piu in c) e sulla quale Scala di confronto

la relazione di trascurabilita soddisfa (Tot): ovvero, date due qualsiasi funzioni �, 2 �c

della famiglia, una (e solo una) tra le due relazioni � = oc( ) oppure = oc(�) deveessere vera. Ora, data una funzione f : A �! R, se esiste (necessariamente unica) una�0 2 �c tale che f ⇠⇤

c �0, tale �0 si dira l’ordine di f rispetto a �c. Si avra dunque

limx�!cf(x)�0(x) = ↵0 2 R⇥, e la funzione �0�0 (che sara dunque asintotica a f in c) si

dira parte principale di f rispetto a �c. Trovata la parte principale, si puo ripetere ilprocedimento per la funzione f � �0�0, trovando la sua parte principale ↵1�1 rispetto a�c (sara dunque �1 = oc(�0)); continuando finche possibile o finche ci si accontenta o siritiene opportuno (diciamo fino ad un certo ordine �k), si ottiene un’unica espressione deltipo

f(x) = ↵0�0(x) + ↵1�1(x) + · · · + ↵k�k(x) + oc(�k)

(94)E come avere a disposizione un righello piuttosto grossolano con le sole tacche dei decimetri, che nonpermette di misurare i centimetri, e tantomeno i millimetri.

Corrado Marastoni 116

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Analisi Matematica I

che si dice sviluppo asintotico di f rispetto a �c (fino all’ordine �k).

La piu naturale scala di confronto, che abbiamo usato fino ad ora, e quella delle potenzeintere �c = {(x � c)n : n 2 Z} (per c 2 R) e �±1 = {xn : n 2 Z} (che coincide con�0): essa si pensa come tacitamente scelta quando si parla di “ordine di f in c” oppure di“sviluppo asintotico di f in c” senza specificare la scala. (In tal caso, come detto, si parlaanche di “approssimazione polinomiale” di f in c.) Quando essa non fosse su�cientementera�nata per dare un ordine (o tutto uno sviluppo asintotico) a f , bisognera considerarealcuni suoi miglioramenti: il piu ovvio e la scala delle potenze reali �0

c = {|x� c|↵ : ↵ 2 R}e �0

±1 = {|x|↵ : ↵ 2 R}, e poi ad esempio �00c = {|x � c|↵| log |x � c||� : ↵,� 2 R} e

�00±1 = {|x|↵| log |x||� : ↵,� 2 R}, oppure �000

±1 = {|x|↵e�|x| : ↵,� 2 R}.

Esempi. (1) Sia f(x) =p

x2 + 2x. Se c = 0, f e infinitesima in c: raccogliendo 2x nella radice e

notando che x2

�! 0, si ottiene f(x) =p

2xp

1 + x2

=p

2x(1 + 12(x

2) � 1

8(x

2)2 � 1

16(x

2)3 + o0(x

3)) =p2x

12 +

p2

4x

32 �

p2

32x

52 �

p2

128x

72 +o0(x

72 )) (nella scala di confronto delle potenze reali). Se c = �3 poniamo

x = t +3 ottenendo f(t) =p

t2 � 4t + 3: questa funzione e finita in t = 0, con f(0) =p

3 parte principale;

si ha poi f(t) �p

3 = 4t�t2p3+

pt2�4t+3

⇠04t�t2

2p

3⇠0

23

p3t. Dunque f(x) =

p3 + 2

3

p3(x + 3) + o�3(x + 3).

Infine, se c = +1, raccogliendo x2 nella radice e notando che 2x�! 0 si ha f(x) =

px2 + 2x = x

q1 + 2

x=

x(1 + 12( 2

x) � 1

8( 2

x)2 + o+1( 1

x2 )) = x + 1 � 12

1x

+ o+1( 1x). (2) Negli esempi precedenti di f(x) = log |x| e

g(x) = 3p

x con c = 0 oppure c = +1, tali funzioni non avevano parte principale nella scala delle potenze

intere ma ce l’hanno (e coincidente con loro stesse) nella scala piu ra�nata {|x|↵| log |x||� : ↵,� 2 R}.

Torniamo ora alla Proposizione 3.2.14. Lo sviluppo asintotico di ex in 0 mostra cheex � 1 ⇠0 x e dunque si riottiene subito limx�!0

ex�1x = 1. Invece il limite limx�!+1 e↵x

x�

(ove ↵,� > 0), presenta una forma indeterminata “11” di fronte alla quale, muniti del

solo sviluppo asintotico in 0, siamo in di�colta, e la ragione e chiara. Infatti noi stiamostudiando un limite per x �! +1 mentre tutti questi sviluppi asintotici, cosı come liabbiamo introdotti, hanno significato solo all’intorno di 0, ovvero per 0 < |x| ⌧ 1, edin particolare i resti, indicati nella forma o0(x

k) per qualche k 2 N, sono infinitesimi diordine k in 0 ma in principio il loro comportamento e ignoto quando x si allontana da0. Il problema, dunque, e sostanzialmente il seguente: data una funzione f , sapere perquali punti x del suo dominio lo sviluppo asintotico di f(x) in 0 fino all’ordine n tendee↵ettivamente a f(x) quando n 2 N tende verso +1. Ci occuperemo brevemente di taleproblema parlando della gia citata formula di Taylor.

Esempi. (1) Poiche sinh x = ex�e�x

2, il suo sviluppo asintotico in 0 sara 1

2(1 + x + · · · + xn

n!+ o0(x

n) �(1 + (�x) + · · · + (�x)n

n!+ o0(x

n))) = x + x3

3!+ · · · + x2n+1

(2n+1)!+ o0(x

2(n+1)): si noti che coincide con quello

scritto in precedenza. (2) Un metodo molto usato per calcolare gli sviluppi asintotici e quello a cascata,

in cui si trovano i coe�cienti a partire da quello della parte principale per poi andare via via a quelli dei

termini ulteriori. Ad esempio, ritroviamo lo sviluppo di tg x in 0 fino all’ordine 5, ovvero i coe�cienti di

↵+�x+�x2 + �x3 + ✏x4 +'x5 + o0(x5). Intanto, poiche tg(�x) = � tg x (ovvero tg x e dispari), si ottiene

↵+ �(�x) + �(�x)2 + �(�x)3 + ✏(�x)4 +'(�x)5 + o0(x5) = �(↵+ �x + �x2 + �x3 + ✏x4 +'x5) + o0(x

5),

ovvero 2(↵ + �x2 + ✏x4 + o0(x5) = o0(x

5), il che implica ovviamente ↵ = � = ✏ = 0: resta dunque tg x =

�x+ �x3 +'x5 + o0(x5), con �, �,' da determinare. Ora, da tg x = sin x

cos xsi ricava tg x cos x = sin x, ovvero�

�x + �x3 + 'x5 + o0(x5)� ⇣

1 � x2

2+ �x4

24+ oo(x

5)⌘

= x � x3

6+ x5

120+ o0(x

5) da cui, moltiplicando i vari

Corrado Marastoni 117

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Analisi Matematica I

termini ed inglobando tutti gli o0(x5) in un unico addendo (ad esempio, tra essi, vengono inglobati termini

come x4

24x3

6, oppure x2

2o0(x

5)), si ottiene �x+(��2

+�)x3 +( �24

� �2+')x5 +o0(x

5) = x� x3

6+ x5

120+o0(x

5),

e cio impone � = 1, ��2

+ � = � 16

e �24

� �2

+ ' = 1120

, da cui � = 1, � = 13

e ' = 215

(come gia

detto in precedenza). (3) Cerchiamo l’ordine di f(x) = 1 � cos(e2x � 1) in 0. L’argomento t = e2x � 1

del coseno e infinitesimo in 0, e dunque, usando lo sviluppo del coseno e la Proposizione 3.2.17(ii) si ha

f(x) ⇠0(e2x�1)2

2⇠⇤0 (e2x � 1)2; essendo 2x infinitesimo (ed usando sempre la Proposizione 3.2.17(ii)) si

ha e2x � 1 ⇠0 2x ⇠⇤0 x, e pertanto f(x) ⇠⇤0 x2: pertanto l’ordine di f in 0 e 2. Se si vuole lo sviluppo

asintotico di f(x) in 0 fino all’ordine 4, si ha f(x) = (e2x�1)2

2+ (e2x�1)4

24+ o(x4) (essendo e2x �1 ⇠⇤0 x si ha

o((e2x�1)4) = o(x4)); ora, vale e2x�1 = (2x)+ (2x)2

2+ (2x)3

6+ (2x)4

24+o0(x

4) = 2x+2x2+ 43x3+ 2

3x4+o0(x

4) da

cui (e2x � 1)2 = 4x2 + 4x4 + 8x3 + 163

x4 + o0(x4) = 4x2 + 8x3 + 28

3x4 + o0(x

4) e (e2x � 1)4 = 16x4 + o0(x4);

se ne ricava che f(x) =4x2+8x3+ 28

3x4+o0(x4)

2+ 16x4+o0(x4)

24+ o(x4) = 2x2 + 4x3 + 16

3x4 + o0(x

4), e la

parte principale di f(x) in 0 e dunque 2x2. (4) Si consideri log x per x �! 1. Poiche log(1 + t) ⇠0 t,

considerando x = 1 + t con t = x � 1 si ha t �! 0, e dunque log x ⇠1 (x � 1) (si sta usando sempre la

Proposizione 3.2.17(ii)), e analogamente lo sviluppo asintotico si ottiene da quello di log(1 + t). (5) Nella

funzione f(x) = arctg(sin 1x), l’argomento dell’arco-tangente e infinitesimo in +1. Pertanto, se si chiede

lo sviluppo asintotico di f(x) in +1 fino (diciamo) all’ordine 3, usando lo sviluppo asintotico dell’arco-

tangente in 0 (per t = sin 1x) e la solita Proposizione 3.2.17(ii), si ha f(x) = (sin 1

x)� (sin 1

x)3

3+o+1((sin 1

x)3).

Esaminiamo ora sin 1x: anche l’argomento del seno 1

xe infinitesimo in +1, e dunque per gli stessi motivi

si ha sin 1x

= 1x� ( 1

x)3

6+ o+1(( 1

x)3) = 1

x� 1

6x3 + o+1( 1x3 ); in particolare si ha sin 1

x⇠+1 1

xe dunque

o+1((sin 1x)3) = o+1( 1

x3 ). Ne ricaviamo f(x) = ( 1x� 1

6x3 +o+1( 1x3 ))� 1

3( 1

x� 1

6x3 +o+1( 1x3 ))3+o+1( 1

x3 ) =1x� 1

6x3 � 13x3 + o+1( 1

x3 ) = 1x� 1

2x3 + o+1( 1x3 ), con parte principale 1

x.

Come detto, l’uso di trascurabilita e asintoticita agevola notevolmente il calcolo dei limiti:terminiamo questo paragrafo dando un serie di esercizi ricapitolativi.

Esercizio. Calcolare i seguenti limiti:

(1) limx�!0

x + sin2 x

x32 � 2 log(1 � x)

, (2) limx�!1+

log x + ex � e

cosp

x � 1 � 1, (3) lim

x�!0+,+1

xp

1 + x � (x + 2)p

x

x↵(con ↵ 2 R)

(4) limx�!0

log(1 + x sin x) � cosh x + 14p

1 + 2x4 � 1, (5) lim

x�!e

log x � 1

xx � ee, (6) lim

x�!+1

x(arctg x � ⇡2)p

x2 + x � log x.

Risoluzione. (1) Si tratta di una forma indeterminata “ 00”. Poiche sin x ⇠0 x si ha (Proposizione

3.2.17(iii)) sin2 x ⇠0 x2 = o0(x); inoltre log(1 � x) ⇠⇤0 x e dunque x32 = o0(log(1 � x)). Ne ricaviamo

che il limite proposto e uguale a limx�!0x

�2 log(1�x)= limx�!0

x�2(�x)

= 12. (2) Si tratta di una forma

indeterminata “ 00”. Essendo x�1 infinitesimo, si ha log x = log(1+(x�1)) = (x�1)� (x�1)2

2+o1((x�1)2),

ex � e = e(ex�1 � 1) = e((x � 1) + (x�1)2

2+ o1((x � 1)2) e cos

px � 1 � 1 = � (

px�1)2

2+ o1((x � 1)2):

dunque le parti principali di numeratore e numeratore sono rispettivamente (e + 1)(x � 1) e � 12(x � 1)

(dello stesso ordine), e percio il limite vale e�1

� 12

= �2(e � 1). (3) Iniziamo dal limite per x �! 0+. Il

numeratore e infinitesimo, dunque se ↵ 0 il limite vale 0; se invece ↵ > 0 si ha una forma indeterminata

“ 00”. Al numeratore, si nota subito che x

p1 + x e �x

px sono entrambi o0(2

px), dunque il numeratore

e asintotico a �2p

x: pertanto il limite e uguale a �2 limx�!0+

px

x↵ = �2 limx�!0+ x12�↵, ovvero a 0 per

↵ < 12, a �2 per ↵ = 1

2e a �1 per ↵ > 1

2. Passiamo ora al limite per x �! +1. Non e chiaro a cosa

tenda il numeratore (e una forma indeterminata “+1�1”), dunque determiniamo la sua parte principale,

iniziando dallo sviluppo asintotico dip

1 + x: si ha facilmente limx�!0+

p1+xp

x=q

limx�!0+1+x

x= 1 e poi,

Corrado Marastoni 118

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Analisi Matematica I

proseguendo,p

1 + x � px = (

p1+x�px)(

p1+x+

px)p

1+x+p

x= 1p

1+x+p

x⇠+1 1

2p

x; ne ricaviamo

p1 + x =

px +

12

1px+o+1(x�

12 ). (Un metodo piu semplice, usando il fatto che t = 1

xe infinitesimo e lo sviluppo asintotico

di (1 + t)12 , era di scrivere

p1 + x =

pxq

1 + 1x

=p

x(1 + 12

1x

+ o+1(x�1)) =p

x + 12

1px

+ o+1(x�12 ).)

Tornando al numeratore, si ricava percio xp

1 + x � (x + 2)p

x = xp

x + 12

px + o+1(

px) � x

px �

2p

x ⇠+1 � 32

px, e dunque il limite e uguale a limx�!+1

� 32

px

x↵ = � 32

limx�!+1 x12�↵, ovvero a �1

per ↵ < 12, a � 3

2per ↵ = 1

2e a 0� per ↵ > 1

2. (4) Si tratta di una forma indeterminata “ 0

0”. Si ha

log(1 + x sin x) = x sin x � x sin x2

+ o0((x sin x)2), e x sin x = x(x � x3

6+ o0(x

4)) = x2 � x4

6+ o0(x

5):

dunque log(1 + x sin x) = x2 � x4

6� x4

2+ o0(x

4) = x2 � 23x4 + o0(x

4) . D’altra parte, usando lo sviluppo

di cosh x (che si calcola dunque subito come ex�e�x

2= 1 + x2

2!+ · · · + x2n

(2n)!+ o0(x

2n+1)), il numeratore

e x2 � 23x4 + o0(x

4) � 1 � x2

2� x4

24+ o0(x

4) + 1 ⇠0x2

2; invece 4

p1 + 2x4 = (1 + 2x4)

14 = 1 + 1

4(2x4) +

o0(2x4) = 1 + 12x4 + o0(x

4), e dunque il denominatore e asintotico a 12x4. Pertanto il limite e uguale

a limx�!0x2/2

x4/2= +1. (5) Si tratta di una forma indeterminata “ 0

0”. Calcoliamo le parti principali

di numeratore e denominatore. Per ricondurre il numeratore allo sviluppo del logaritmo che conosciamo

(ovvero log t ⇠0 t) possiamo scrivere log x � 1 = log x � log e = log xe

= log(1 + (xe� 1)); essendo

t = xe� 1 infinitesimo, si ha log x � 1 ⇠e (x

e� 1) = 1

e(x � e). Quanto al denominatore, conviene scrivere

xx � ee = elog(xx) � ee = ex log x � ee = ee(ex log x�e � 1), ed essendo t = x log x � e infinitesimo si ottiene

ex log x�e � 1 ⇠e x log x � e; per sfruttare quanto appena trovato, conviene allora scrivere x log x � e =

x(log x � 1) + x � e = x( 1e(x � e) + oe(x � e)) + (x � e) = (x

e+ 1)(x � e) + oe(x � e) ⇠e 2(x � e);

percio il denominatore xx � ee e asintotico a 2ee(x � e). Ne segue che il limite proposto e uguale a

limx�!e

1e(x�e)

2ee(x�e)= 1

2ee+1 . (6) Al denominatore si hap

x2 + x = xq

1 + 1x

⇠+1 x; dunque l’addendo

log x, essendo o+1(x) = o+1(p

x2 + x), puo essere trascurato, ed il denominatore e un infinito con parte

principale x. Al numeratore, invece, si ha una forma indeterminata “0 · +1” che dobbiamo risolvere.

Sappiamo che per ogni x > 0 sussiste l’identita arctg x + arccotg x = ⇡2, ma arccotg x = arctg 1

xe dunque

arctg x + arctg 1x

= ⇡2; quando x �! +1 si ha che t = 1

xe infinitesimo, e dunque arctg x = ⇡

2� arctg 1

x=

⇡2� 1

x+ 1

31

x3 � · · · + (�1)n+1 12n+1

1x2n+1 + o+1( 1

x2(n+1) ) e lo sviluppo asintotico di arctg x a +1; ne

ricaviamo che il numeratore e x�⇡2� (⇡

2� 1

x+ o+1( 1

x))�

= x( 1x

+ o+1( 1x)) ⇠+1 1, e percio il limite

proposto e uguale a limx�!+1 1x

= 0+.

Corrado Marastoni 119

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3.3 Derivazione

Con la nozione di “funzione continua” abbiamo individuato una classe di funzioni chesi distinguono per la loro regolarita, in quanto esse “non fanno salti” nei punti del lorodominio. Dato un sottoinsieme A ⇢ R ed una funzione continua f : A �! R, puo esseretalora interessante studiare con che rapidita cambia il valore di f(x) 2 R al cambiare dellavariabile x 2 A. Si pensi ad esempio di voler descrivere, al variare del tempo, la posizionedi un punto P che si muove su una retta: in tal caso, fissato un sistema di coordinateascisse sulla retta, si sta considerando la funzione f : A �! R ove la variabile x del dominioA indica il tempo (diciamo dunque che A sia un intervallo temporale A = [a, b]), ed ilvalore f(x) indica l’ascissa del punto della retta occupato da P all’istante x del punto P .

Presi due istanti x0 (iniziale) e x1 (finale) in A con x0 < x1, il rapporto f(x1)�f(x0)x1�x0

tra lamisura spaziale f(x1)�f(x0) e l’intervallo temporale x1�x0 si chiama, come noto, velocitamedia del punto P tra gli istanti x0 e x1, e descrive la rapidita media di movimento delpunto P in tale intervallo temporale. Pensando ora di rendere sempre piu vicino l’istantefinale x1 a quello iniziale x0, per continuita anche la posizione finale f(x1) si avvicinera

sempre piu a quella iniziale f(x0): cio non significa che il limite del rapporto f(x1)�f(x0)x1�x0

debba per forza esistere ma, se esiste, e naturale che tale limite ci descriva la velocitaistantanea del punto P nell’istante x0. La nozione di “funzione derivabile” descrive perl’appunto una funzione in cui tale passaggio al limite e possibile, con risultato finito. Ciopermette di continuare il procedimento di ricerca di regolarita che abbiamo iniziato con lefunzioni continue: non ci si accontentera piu del fatto che la funzione “non faccia salti”,ma si chiedera anche che “proceda in modo liscio”.

3.3.1 Derivate

Sia A ⇢ R, f : A �! R una funzione, e sia c 2 A di accumulazione per A. Se ⇠ 2 A\{c},

il rapporto incrementale f(⇠)�f(c)⇠�c descrive la rapidita con cui varia la funzione f tra ⇠ e Rapporto

incrementalec in rapporto al muoversi della variabile da ⇠ a c: ad esempio, se f e costante esso enullo (ovvero, la rapidita di variazione e nulla). Il significato geometrico del rapportoincrementale e evidente: nel piano cartesiano che contiene il grafico di f , esso rappresentail coe�ciente angolare (cioe, la “pendenza”) della retta che congiunge i punti (c, f(c)) e(⇠, f(⇠)). E naturale allora esaminare il limite di tale rapporto incrementale quando ⇠ tendea c: infatti, per quanto appena detto, se esiste finito, geometricamente esso rappresenterail coe�ciente angolare della retta tangente al grafico della funzione nel punto (c, f(c)).Tale valore reale, se esiste, si denotera con f 0(c), o con df

dx(c), e si dira derivata di f in c: Derivatain un punto

f 0(c) = lim⇠�!c

f(⇠) � f(c)

⇠ � c= lim

h�!0

f(c + h) � f(c)

h,

Corrado Marastoni 120

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Analisi Matematica I

ove la seconda espressione segue subito dal cambio di variabile h = ⇠ � c (la variabileinfinitesima h si dice incremento). Si dira allora che f e derivabile in c. E interessantenotare che la derivabilita in c puo essere espressa anche in questa forma:(95)

(3.1) esiste un numero f 0(c) 2 R tale che f(x) = f(c) + f 0(c)(x � c) + oc(x � c) .

Puo accadere che esistano finiti separatamente i limiti f 0±(c) = lim

⇠�!c±f(⇠)�f(c)

⇠�c (detti rispet-

tivamente derivata destra e sinistra di f in c) senza che essi siano uguali (in tal caso, e Derivata destrae sinistra

d’uso chiamare c “punto angoloso”, con ovvio significato geometrico): e allora chiaro chela funzione f e derivabile in c se e solo se essa e derivabile a destra e a sinistra in c con lo Punto angoloso

stesso valore finito da ambo i lati. Anche qui e fondamentale notare che la derivabilita inc e un concetto locale, ovvero che si studia solo in un intorno (anche assai piccolo) di c. Sef e derivabile in ogni punto c del suo dominio A, essa si dira derivabile in A; in generale,il sottoinsieme A0 = {x 2 A : f e derivabile in x} ⇢ A si dira dominio di derivabilita di fin A: si determina cosı una nuova funzione f 0 : A0 �! R, detta (funzione) derivata di f . Funzione

derivata

Figura 3.9: Rapporto incrementale; derivata; punto angoloso.

Vediamo ora che, e↵ettivamente, la derivabilita e una proprieta piu forte della continuita.

Proposizione 3.3.1. Se f e derivabile in c, essa e anche continua in c, ma non viceversa.

Dimostrazione. Se f e derivabile in c vale lim⇠�!c(f(⇠) � f(c)) = lim⇠�!c(⇠ � c) f(⇠)�f(c)⇠�c

= 0 · f 0(c) = 0, edunque lim⇠�!c f(⇠) = f(c), ovvero f e continua in c. Viceversa, la funzione modulo f(x) = |x| e continua

in 0 ma ivi non derivabile, perche f 0±(0) = lim⇠�!0±|⇠|�|0|⇠�0

= ±1 (le derivate sinistra e destra esistono

ma sono diverse); addirittura, la funzione g : R �! R definita da g(0) = 0 e g(x) = x sin( 1x) per x 6= 0 e

continua in 0 (infatti limx�!0 x sin( 1x) = 0, perche x e infinitesima e sin( 1

x) limitata), ma le derivate sinistra

e destra di g in 0 non esistono (perche non esiste lim⇠�!0±⇠ sin( 1

⇠)�0

⇠�0= lim⇠�!0± sin( 1

⇠)).

Esempi. (0) Si consideri un punto P che si muove sulla retta reale, e si consideri la funzione f che ad ogni

istante temporale x associa l’ascissa f(x) occupata da P nell’istante considerato. Allora, come gia detto,

(95)Il significato di (3.1) e che “vicino a c, la funzione f(x) e approssimata dalla funzione lineare f(x) :=f(c)+ f 0(c)(x� c) a meno di un errore di ordine superiore a uno”: questa riformulazione sara utile quandosi definira la nozione di di↵erenziabilita per funzioni f(x1, . . . , xn) di una o piu variabili reali (nel caso diuna variabile, la di↵erenziabilita equivale in e↵etti alla derivabilita).

Corrado Marastoni 121

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Analisi Matematica I

il rapporto incrementale f(⇠)�f(c)⇠�c

descrive la velocita media di P nell’intervallo temporale compreso tra gli

istanti ⇠ e c, mentre (se esiste) la derivata f 0(c) e la velocita istantanea di P nell’istante c. (1) Calcoliamo le

derivate di alcune funzioni elementari. Se f(x) e costante, tutti i rapporti incrementali sono nulli (il numera-

tore e nullo) e dunque f 0(x) ⌘ 0. Se f(x) = ax+b, allora f 0(x) = lim⇠�!x(a⇠+b)�(ax+b)

⇠�x= lim⇠�!x

a(⇠�x)⇠�x

⌘a. Se f(x) = ax2 + bx + c si ha f 0(x) = lim⇠�!x

(a⇠2+b⇠+c)�(ax2+bx+c)⇠�x

= lim⇠�!x(⇠�x)(a(⇠+x)+b)

⇠�x= 2ax + b.

Se f(x) =p

x e x > 0 si ha f 0(x) = lim⇠�!x

p⇠�px⇠�x

= lim⇠�!x1p⇠+p

x= 1

2p

x, mentre per x = 0 si ha

lim⇠�!0

p⇠�0⇠�0

= lim⇠�!01p⇠

= +1, e dunque f non e derivabile in 0. (2) La funzione f(x) = |x+1|� |x�2|(che dunque vale �3 per x �1, 2x � 1 per �1 < x 2 e 3 per x > 2) e continua. Nei punti c < �1 e

c > 2 essa e costante, e dunque banalmente derivabile con derivata nulla; nei punti �1 < c < 2 il rapporto

incrementale e (2⇠�1)�(2c�1)⇠�c

= 2, e dunque la derivata vale sempre 2. In c = �1 (risp. c = 2) essa e

derivabile a sinistra con valore 0 (risp. 2) e a destra con valore 2 (risp. 0): dunque essa non sara derivabile.

(3) Sia f : R �! R definita da f(x) = �x (se x < 0) e f(x) = 3x2 (se x � 0). Essa e continua in tutto

R. Se c < 0 il rapporto incrementale (all’intorno di c) vale (�⇠)�(�c)⇠�c

= �1, e dunque f e derivabile in c

con valore �1; se c > 0 il rapporto incrementale (all’intorno di c) vale (3⇠2)�(3c2)⇠�c

= 3(⇠ + c), e dunque f

e derivabile in c con valore 6c. Se invece c = 0, la derivata sinistra vale lim⇠�!0�(�⇠)�0⇠�0

= �1, mentre la

destra vale lim⇠�!0+3⇠2�0⇠�0

= 0: dunque f non e derivabile in 0.

Proposizione 3.3.2. (Derivate e parita) Se f e una funzione derivabile pari (risp. dis-pari), la sua derivata f 0 e una funzione dispari (risp. pari).

Dimostrazione. Se f e pari, posto ⌘ = �⇠ si ha f 0(�x) = lim⇠�!�x

f(⇠)�f(�x)⇠�(�x)

= lim⌘�!x

f(�⌘)�f(�x)�⌘�(�x)

=

lim⌘�!x

f(⌘)�f(x)�(⌘�x)

= �f 0(x), ovvero f 0 e dispari. Dimostrazione analoga nel caso in cui f sia dispari.

Figura 3.10: La funzione derivata descrive, punto per punto, la pendenza del grafico di una funzione.

Calcoliamo le derivate delle funzioni elementari, mettendo in evidenza il dominio naturaleA ⇢ R e l’insieme di derivabilita A0 ⇢ A.

Proposizione 3.3.3. Le funzioni elementari hanno dominio di derivazione e derivatecome riportato nella tabella della Figura 3.11.

Corrado Marastoni 122

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Analisi Matematica I

f(x) ⌘ k (costante) A = A0 = R f 0(x) ⌘ 0

f(x) = x↵ A =

(R�0 (se ↵ > 0)

R>0 (se ↵ < 0)f 0(x) = ↵x↵�1

A0 =

(R�0 (se ↵ � 1)

R>0 (se ↵ < 1)

f(x) = |x| A = R, A0 = R \ {0} f 0(x) =|x|x

=

(�1 (se x < 0)

1 (se x > 0)

f(x) = ax A = A0 = R f 0(x) = ax log a

f(x) = loga x A = A0 = R>0 f 0(x) = 1/(x log a)

f(x) = sin x A = A0 = R f 0(x) = cos x

f(x) = cos x A = A0 = R f 0(x) = � sin x

f(x) = tg x A = A0 = R \ {⇡2 + Z⇡} f 0(x) = 1/cos2 x

f(x) = cotg x A = A0 = R \ {Z⇡} f 0(x) = �1/sin2 x

f(x) = arcsin x A = [�1, 1], A0 =] � 1, 1[ f 0(x) = 1/p

1 � x2

f(x) = arccos x A = [�1, 1], A0 =] � 1, 1[ f 0(x) = �1/p

1 � x2

f(x) = arctg x A = A0 = R f 0(x) = 1/(1 + x2)

f(x) = arccotg x A = A0 = R f 0(x) = �1/(1 + x2)

f(x) = sinh x A = A0 = R f 0(x) = cosh x

f(x) = cosh x A = A0 = R f 0(x) = sinh x

f(x) = sett sinh x A = A0 = R f 0(x) = 1/p

x2 + 1

f(x) = sett cosh x A = R�1, A0 = R>1 f 0(x) = 1/p

x2 � 1

Figura 3.11: Dominio di derivazione e derivate delle funzioni elementari.

Dimostrazione. Si useranno i limiti notevoli della Proposizione 3.2.14. • Se f(x) = k (costante), comevisto, tutti i rapporti incrementali sono nulli e dunque anche il loro limite. • Se f(x) = x↵, esamini-

amo limh�!0(x+h)↵�x↵

h. Iniziamo dal caso x = 0 (e dunque andra supposto all’inizio ↵ > 0): si ottiene

limh�!0 h↵�1, che e finito per ↵ � 1 e vale 1 se ↵ = 1 e 0 se ↵ > 1. Se invece x 6= 0, ponendo t = hx

si ha

limh�!0(x+h)↵�x↵

h= x↵ limh�!0

(1+ hx

)↵�1

h= x↵�1 limt�!0

(1+t)↵�1t

= ↵x↵�1. • Se f(x) = |x| vale f(x) =�x (se x < 0) e f(x) = x (se x > 0), da cui l’a↵ermazione segue immediatamente. • Se f(x) = ax, ponendo

⌧ = h log a si ha limh�!0ax+h�ax

h= ax limh�!0

ah�1h

= ax log a. • Se f(x) = loga x, ponendo t = hx

ed

usando le proprieta del logaritmo si ha limh�!0loga(x+h)�loga x

h= limh�!0

loga( x+hx

)

h= 1

xlimt�!0

loga(1+t)

t=

1x log a

. • Per le funzioni goniometriche sin x, cos x, tg x e cotg x si usano le formule di prostaferesi: ad

esempio, ricordando che sin↵� sin� = 2 cos(↵+�2

) sin(↵��2

) e tg↵� tg � = sin(↵��)cos↵ cos �

, per f(x) = sin x po-

nendo t = h2

si ha limh�!0sin(x+h)�sin x

h= limh�!0

2 cos(x+ h2) sin h

2h

= limt�!0 cos(x + t) sin tt

= cos x, mentre

se f(x) = tg x si ha limh�!0tg(x+h)�tg x

h= limh�!0

1h

sin hcos(x+h) cos x

= 1cos2 x

. • Sia ora f(x) = arcsin x, e stu-

diamo lim⇠�!xarcsin ⇠�arcsin x

⇠�x. Se x = 0, ponendo t = arcsin ⇠ si ricava lim⇠�!0

arcsin ⇠⇠

= limt�!0t

sin t= 1.

D’ora in poi supponiamo che x 6= 0; anzi, poiche la funzione e dispari, la sua derivata sara pari e dunquepossiamo supporre per semplicita che x > 0 (e, considerando ⇠ in un intorno di x, anche ⇠ > 0). Se↵ = arcsin ⇠ e � = arcsin x, si ha sin(↵��) = sin↵ cos��cos↵ sin� = ⇠

p1 � x2�x

p1 � ⇠2, da cui otteni-

amo facilmente le asintoticita arcsin ⇠�arcsin x = arcsin�⇠p

1 � x2�xp

1 � ⇠2�⇠x ⇠

p1 � x2�x

p1 � ⇠2 =

p1 � ⇠2

⇣⇠q

1 + ⇠2�x2

1�⇠2 � x⌘⇠x

p1 � ⇠2

⇣⇠(1 + 1

2(⇠+x)(⇠�x)

1�⇠2 ) � x⌘

=p

1 � ⇠2⇣1 + ⇠(⇠+x)

2(1�⇠2)

⌘(⇠� x). Per-

tanto abbiamo lim⇠�!xarcsin ⇠�arcsin x

⇠�x= lim⇠�!x

p1 � ⇠2

⇣1 + ⇠(⇠+x)

2(1�⇠2)

⌘= 1p

1�x2. La dimostrazione per

arccos x e analoga. • Sia f(x) = arctg x, e consideriamo il limite lim⇠�!xarctg ⇠�arctg x

⇠�x. Se ↵ = arctg ⇠

Corrado Marastoni 123

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Analisi Matematica I

e � = arctg x, si ha tg(↵ � �) = tg↵�tg �1+tg↵ tg �

= ⇠�x1+⇠x

, da cui arctg ⇠ � arctg x = arctg( ⇠�x1+⇠x

) ⇠x⇠�x1+⇠x

e

percio lim⇠�!xarctg ⇠�arctg x

⇠�x= lim⇠�!x

11+⇠x

= 11+x2 . Idem per arccotg x. • Gli enunciati per le funzioni

iperboliche e le loro inverse si provano in maniera analoga a quanto fatto per le corrispondenti funzionicircolari, tenendo presente che valgono proprieta formali analoghe come detto nel paragrafo 3.2.4.

Dalla Proposizione precedente risulta evidente il motivo per cui si previlegia la base “na-turale” a = e per l’esponenziale ed il logaritmo: infatti, in tal caso il fattore log a vale 1 el’espressione della derivata ne risulta semplificata, ovvero (ex)0 = ex e (log x)0 = 1

x .

Derivare funzioni ottenute sommando, sottraendo, moltiplicando, dividendo, componendoe (quando possibile) invertendo funzioni derivabili e un semplice esercizio meccanico unavolta che si ricordino le relative regole di calcolo, che per comodita riportiamo tutte insiemenella prossima proposizione.

Proposizione 3.3.4. Siano f, g : A �! R funzioni derivabili in x 2 A.

(i) (Linearita della derivazione) Se ↵,� 2 R, la funzione ↵f + �g e derivabile in x e

(↵f + �g)0(x) = ↵f 0(x) + �g0(x).

(ii) (Regola di Leibniz per la derivata del prodotto) La funzione prodotto fg (ovvero(fg)(x) = f(x)g(x)) e derivabile in x e vale

(fg)0(x) = f 0(x)g(x) + f(x)g0(x).

Piu generalmente, se f1, . . . , fn sono derivabili in x anche il loro prodotto F (x) =f1(x)f2(x) · · · fn(x) e derivabile in x e vale

F 0(x) = f 01(x)f2(x) · · · fn(x) + f1(x)f 0

2(x) · · · fn(x) + · · · + f1(x)f2(x) · · · f 0n(x).

(iii) (Derivata del quoziente e del reciproco) Se g(x) 6= 0, allora fg e definita all’intorno

di x e derivabile in x, e vale

✓f

g

◆0(x) =

f 0(x)g(x) � f(x)g0(x)

g(x)2; in particolare

✓1

g

◆0(x) = � g0(x)

g(x)2.

(iv) (Regola della catena per la derivata della composizione) Se ' e una funzione deri-vabile in f(x), allora la funzione composta ' � f (ovvero (' � f)(x) = '(f(x))) ederivabile in x e vale

(' � f)0(x) = '0(f(x)) · f 0(x).

Piu generalmente, se '1, . . . ,'n sono funzioni tali che '1 e derivabile in f(x) e'j e derivabile in 'j�1(· · ·'1(f(x))) (per j = 2, . . . , n) allora la funzione composta'n � · · · � '1 � f e derivabile in x e vale

('n � · · · � '1 � f)0(x) = '0n('n�1(· · ·'1(f(x)))) · · · · · '0

1(f(x)) · f 0(x).

Corrado Marastoni 124

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Analisi Matematica I

(v) (Derivata della funzione inversa) Se f e un omeomorfismo, la funzione inversa f�1

e derivabile nel punto y = f(x) se e solo se f 0(x) 6= 0, e vale

(f�1)0(y) =1

f 0(x).

Dimostrazione. (i) Immediata conseguenza delle proprieta del limite. (ii) Basta calcolare il limite del

rapporto incrementale f(⇠)g(⇠)�f(x)g(x)⇠�x

, aggiungendo e togliendo al numeratore il termine f(⇠)g(x): si

ottiene allora lim⇠�!x

⇣f(⇠) g(⇠)�g(x)

⇠�x+ f(⇠)�f(x)

⇠�xg(x)

⌘= f 0(x)g(x) + f(x)g0(x). La stessa idea permette di

mostrare il caso generale. (iii) Si ha 1⇠�x

⇣f(⇠)g(⇠)

� f(x)g(x)

⌘= 1

g(⇠)g(x)(f(⇠)�f(x))g(x)�(g(⇠)�g(x))f(x)

⇠�x; passando

al limite si ottiene quanto a↵ermato. Ponendo poi f ⌘ 1 (e dunque f 0 ⌘ 0) si ottiene la formula per laderivata del reciproco. (iv) Dimostriamo la regola della catena per due funzioni (il caso generale si mostrafacilmente per induzione a partire da questo) in due modi diversi. Primo modo. Usando la funzione

ausiliaria (⌘) =(

'(⌘)�'(f(x))⌘�f(x)

se ⌘ 6= f(x)

'0(f(x)) se ⌘ = f(x), che per ipotesi e continua in ⌘ = f(x), possiamo scrivere il

rapporto incrementale della funzione ' � f come '(f(⇠))�'(f(x))⇠�x

= (f(⇠)) f(⇠)�f(x)⇠�x

; basta allora passare al

limite per ⇠ �! x. Secondo modo. Per ipotesi (vedi (3.1)) si ha f(⇠) = f(x) + f 0(x)(⇠� x) + �(⇠)(⇠� x) e'(⌘) = '(f(x)) + '0(f(x))(⌘ � f(x)) + ⌧(⌘)(⌘ � f(x)) , ove � e infinitesima per ⇠ �! x e ⌧ e infinitesimaper ⌘ �! f(x) (si noti che x e fissato, mentre ⇠ e ⌘ sono le variabili). Sostituendo ⌘ = f(⇠) nella secondasi ottiene

'(f(⇠)) = '(f(x)) + '0(f(x))(f(⇠) � f(x)) + ⌧(f(⇠))(f(⇠) � f(x)) ,

ove ⌧(f(⇠)) e infinitesima per ⇠ �! x in base alla continuita di f in x. Sostituendo quindi f(⇠) � f(x) =f 0(x)(⇠ � x) + �(⇠)(⇠ � x), sviluppando e radunando i termini si ha poi

'(f(⇠)) = '(f(x)) +�'0(f(x)) · f 0(x)

�(⇠ � x) + ⇢(⇠)(⇠ � x)

ove ⇢(⇠) := '0(f(x)) · �(⇠) + ⌧(f(⇠)) · (f 0(x) + �(⇠)) e infinitesima per ⇠ �! x. Ma, in base a (3.1), questa

e la tesi. (v) Usando il cambio di variabile ⌘ = f(⇠), si ha lim⌘�!yf�1(⌘)�f�1(y)

⌘�y= lim⇠�!x

⇠�xf(⇠)�f(x)

, che

esiste finito (e vale 1f 0(x)

) se e solo se f 0(x) 6= 0.

Esempi. (1) La funzione h(x) = 2x2�x+5x�1

e definita in A = R\{1}, ed e ivi derivabile. Se f(x) = 2x2�x+5

e g(x) = x�1, si ha f 0(x) = 2·2x�1+0 = 4x�1 e g0(x) = 1�0 = 1, ed applicando la derivata di un quoziente

si ricava h0(x) = f 0(x)g(x)�f(x)g0(x)

g(x)2= (4x�1)(x�1)�(2x2�x+5)

(x�1)2= 2x2�2x�2

(x�1)2. (2) Essendo f(x) = tg x = sin x

cos x,

si ritrova f 0(x) = cos x cos x�sin x(� sin x)

cos2 x= 1

cos2 x. (3) Se f(x) = x3ex sin x, si ha f 0(x) = (x3)0ex sin x +

x3(ex)0 sin x + x3ex(sin x)0 = 3x2ex sin x + x3ex sin x + x3ex cos x = x2ex�(x + 3) sin x + x cos x

�. (4) La

funzione g(x) = log |x| e definita per A = R\{0} ed e ivi derivabile. Essa e la composta di '(y) = log y con

f(x) = |x|, e dunque la regola della catena da g0(x) = '0(f(x))f 0(x) = 1|x|

|x|x

= 1x. (5) La funzione g(x) =

tg(ex) e la composta di '(y) = tg y con f(x) = ex, e dunque g0(x) = 1cos2(ex)

ex =x

cos2(ex). (6) La funzione

g(x) = esin2(3x�5) e la composta di '3(t) = et con '2(z) = z2, '1(y) = sin y e f(x) = 3x � 5; dunque si

ha g0(x) = '03('2('1(f(x)))) · '02('1(f(x))) · '01(f(x)) · f 0(x) = esin2(3x�5) · 2 sin(3x � 5) · cos(3x � 5) · 3 =

3esin2(3x�5) sin�2(3x� 5)

�. (7) Abbiamo calcolato in precedenza le derivate delle funzioni trigonometriche

inverse usando l’asintoticita: ritroviamole ora usando la formula di derivazione della funzione inversa. Se

x = sin ⇠ con |⇠| ⇡2

(pertanto ⇠ = arcsin x), se (sin)0(⇠) = cos ⇠ 6= 0 (cioe se ⇠ 6= ⌥⇡2, ovvero se x 6= ⌥1)

si ha (arcsin)0(x) = 1(sin)0(⇠) = 1

cos ⇠= 1

cos(arcsin x)= 1p

1�x2. Per derivare l’arco-coseno, l’arco-tangente e

l’arco-cotangente si puo procedere in modo analogo.

Esercizio. Calcolare il dominio delle funzioni f(x) = arctg2(log |px � x|) e g(x) = tg(x2�3)psin x

, dire doveesse sono derivabili e calcolare la loro derivata.

Corrado Marastoni 125

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Analisi Matematica I

Risoluzione. La funzione f(x) = arctg2(log |px � x|) e definita e derivabile se x � 0 ep

x � x 6= 0,

ovvero in R>0 \ {1}. La sua derivata e f 0(x) = 2 arctg(log |px � x|) 11+log2 |px�x|

1px�x

( 12p

x� 1) =

(1�2p

x) arctg(log |px�x|)x(1�px)(1+log2 |px�x|) . La funzione g(x) = tg(x2�3)p

sin xe definita e derivabile se x2 � 3 6= ⇡

2+ k⇡ (con

k 2 Z) e sin x > 0, ovvero se x 6= ±p

3 + ⇡2

+ k⇡ e 2k⇡ < x < ⇡ + 2k⇡ (con k 2 Z) con derivata

g0(x) =2x

cos2(x2�3)

psin x�tg(x2�3) cos x

2p

sin x

(p

sin x)2= 4x sin x�sin(x2�3) cos(x2�3) cos x

2 sin xp

sin x cos2(x2�3).

Retta tangente e retta perpendicolare al grafico Se una funzione f : A �! R ederivabile in c 2 A, la retta tangente al grafico di f nel punto di ascissa c dovra passareper il punto (c, f(c)) con coe�ciente angolare f 0(c):

y � f(c) = f 0(c)(x � c) (retta tangente al grafico di f in c);

quanto alla retta perpendicolare, se f 0(c) 6= 0 essa passera per il punto (c, f(c)) concoe�ciente angolare � 1

f 0(c) , mentre se f 0(c) = 0 essa sara la retta verticale x = c:

⇢y � f(c) = � 1

f 0(c)(x � c) se f 0(c) 6= 0

x = c se f 0(c) = 0(retta perpendicolare al grafico di f in c).

Esercizio. (1) Data la funzione f(x) = ex�1 + 1, calcolare le equazioni cartesiane delle rette tangente eperpendicolare al grafico di f nel punto di ascissa 2. (2) Data la funzione g(x) = x2�x+2, si dica per qualic 2 R le rette tangenti o perpendicolari al grafico di g nel punto di ascissa c passano per l’origine. (3) In

quali punti del dominio di h(x) = 1+p

x3�px

la retta tangente al grafico di h e parallela alla retta x�2y+7 = 0?

Risoluzione. (1) Essendo f 0(x) = ex�1, da cui f 0(2) = e, la retta tangente (risp. perpendicolare) al

grafico di f nel punto di ascissa 2 avra equazione cartesiana y � (e + 1) = e(x � 2), ovvero y = ex � e + 1

(risp. y � (e + 1) = � 1e(x � 2), ovvero y = � 1

ex + 2

e+ e + 1). (2) Nel generico punto c l’equazione della

retta tangente e y � g(c) = g0(c)(x � c), ovvero y = g0(c) x + g(c) � c g0(c), e dunque questa passa per

l’origine se e solo se g(c) � c g0(c) = 0, ovvero (c2 � c + 2) � c(2c � 1) = 0, ovvero �c2 + 2 = 0, ovvero

c = ±p

2: in questi due punti le tangenti hanno equazioni y = (±2p

2 � 1)x. Quanto alla perpendicolare

y � g(c) = � 1g0(c) (x � c), questa passa per l’origine se e solo se c

g0(c) + g(c) = 0, ovvero g(c)g0(c) + c = 0,

ovvero (c2 � c + 2)(2c � 1) + c = 0, da cui 2c3 � 3c2 + 6c � 2 = 0. Il trinomio P (c) al primo membro

e strettamente crescente (infatti P 0(c) = 6(c2 � c + 1) > 0 per ogni c), e inoltre P (0) = �2 < 0 e

P (1) = 3 > 0: ne ricaviamo che P (c) = 0 ha una sola soluzione reale 0 < c0 < 1. In tale punto, la retta

perpendicolare al grafico ha equazione y = � 12c0�1

x. (3) Il dominio di h e {x � 0 : x 6= 9}. Per x 6= 0 si

calcola h0(x) = 2px(3�px)2

(si noti che limx�!0+ h0(x) = +1, e dunque h non ha derivata destra in 0). La

condizione da imporre e h0(c) = 12, ovvero 2p

c(3�pc)2= 1

2: ponendo

pc = t si ricava t3 � 6t2 + 9t � 4 = 0.

C’e un’evidente soluzione t = 1; dividendo con Ru�ni per t � 1 si ottiene t2 � 5t + 4 = 0, con soluzioni

t = 1 (nuovamente) e t = 4. I punti cercati sono dunque c = 1 e c = 16 (in cui le rette tangenti sono

rispettivamente y = 12x + 1

2e y = 1

2x � 13).

Le funzioni continue sono derivabili “quasi ovunque”? Pensando alle funzioni

elementari e agli altri esempi dati finora (le funzioni con punti angolosi, la funzionex sin 1

x ...) si potrebbe essere tentati di credere che una funzione continua f : R �! R

Corrado Marastoni 126

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Analisi Matematica I

sia derivabile dappertutto tranne eventualmente un sottoinsieme fatto di punti isolati.Cio pero e falso: ad esempio, Van der Waerden ha costruito una funzione �w : R �! Rcontinua ma non derivabile in tutti i punti di R.(96) A partire da �w e facile costruireanche una funzione continua su tutto R ma derivabile solo in un punto x0 con prescrittivalori f(x0) = ↵ e f 0(x0) = �: ad esempio f(x) = ↵ + (x � x0)(� + �w(x) � �w(x0)),oppure f(x) = ↵+ �(x � x0) + (x � x0)

2�w(x).

Di↵eomorfismo Il ra�namento della nozione di omeomorfismo (ovvero, come si evisto, una funzione biiettiva e continua con inversa pure continua) e quello di di↵eomor-fismo: per definizione, si tratta di una funzione biiettiva e derivabile con inversa pure Di↵eomorfismo

derivabile.

Proposizione 3.3.5. Un omeomorfismo e anche un di↵eomorfismo se e solo se esso eovunque derivabile con derivata mai nulla.

Dimostrazione. Vedi Proposizione 3.3.4(v).

Esempi. (1) ex e un di↵eomorfismo tra R e R>0: infatti esso e un omeomorfismo ovunque derivabile,

e la sua derivata (ancora ex) non si annulla mai. La sua inversa e il logaritmo: se y > 0, ritroviamo

percio log0(y) = 1ex = 1

elog y = 1y. (2) sin|[�⇡

2, ⇡2

] : [�⇡2, ⇡

2]�![�1, 1] e un omeomorfismo; poiche sin0(x) =

cos x, esso induce un di↵eomorfismo tra ] � ⇡2, ⇡

2[ e ] � 1, 1[, con inversa arcsin y. Ritroviamo dunque

arcsin0(y) = 1cos x

= 1cos(arcsin y)

= 1p1�y2

, come gia calcolato in precedenza. Analogamente, tg x induce un

di↵eomorfismo tra ] � ⇡2, ⇡

2[ e R, con inversa arctg y, e tg0(x) = 1

cos2 x6= 0 per ogni x 2] � ⇡

2, ⇡

2[: pertanto,

se y 2 R si ha arctg0(y) = 1tg0(x)

= cos2(arctg(y)) = 11+y2 . (3) La funzione f : R �! R data da f(x) = x3 e

un omeomorfismo, ma non un di↵eomorfismo: infatti essa e ovunque derivabile, ma f 0(0) = 0.

3.3.2 Derivabilita, crescenza ed estremi locali

Abbiamo gia spiegato (vedi pag. 89) che cosa significa crescenza, decrescenza, estremied estremanti assoluti. Dopo aver introdotto una topologia su R (ovvero, dopo averprecisato la nozione di “vicinanza” in R), siamo in grado di dare una definizione “locale”di tali proprieta. Cosı, se f : A �! R e una funzione e c 2 A, diremo che c e un punto dimassimo locale (o relativo) per f in A se lo e all’intorno di c, ovvero se esiste � > 0 tale che Punto di massimo

e minimo localec sia un punto di massimo assoluto per f |A\Bc(�)

; idem per “c punto di minimo locale”.Tali nozioni sono ovviamente piu deboli delle analoghe nozioni assolute: ad esempio, unpunto di massimo assoluto e anche un punto di massimo relativo, mentre il viceversa e ingenerale falso. Il seguente legame tra estremi locali e crescenza e ovvio:

Proposizione 3.3.6. Se f e crescente all’intorno sinistro e decrescente all’intorno destrodi c,(97) allora c e un punto di massimo relativo; inoltre, se crescenza e decrescenza sono

(96)Omettiamo di mostrare la costruzione, un po’ tecnica, di �w: menzioniamo solo che essa e costru-ita tramite somme infinite di copie riscalate della funzione (periodica di periodo 1) “a dente di sega”min{frac x, 1 � frac x}, il cui grafico sopra l’intervallo [n, n + 1] con n 2 Z, e costituito dai lati obliqui deltriangolo isoscele di base [n, n + 1] e altezza 1.(97)ovvero se esiste � > 0 tale che f |

A\B�c (�)

e crescente e f |A\B+

c (�)decrescente.

Corrado Marastoni 127

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strette allora c e un punto di massimo relativo stretto. Un enunciato simile vale per ilcaso di minimo relativo.

Va osservato che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, il viceversa e falso: adesempio, la funzione f : R �! R data da f(x) = x2(2 + sin 1

x) se x 6= 0 e f(0) = 0 (che,tendendo x a zero, oscilla in continuazione tra x2 e 3x2, vedi Figura 3.12) ha in 0 un puntodi minimo assoluto stretto, ma non esiste alcun � > 0 tale che f sia decrescente in ]� �, 0]e crescente in [0, �[.

Figura 3.12: Crescenza ed estremanti locali: la funzione x2(2 + sin 1x) (porpora), stretta tra x2 e 3x2 (grigie).

Esempi. Per meglio visualizzare gli esempi seguenti, provare a tracciare il grafico delle funzioni descritte.

(1) La funzione f : R �! R, f(x) = �x3 e strettamente decrescente (e dunque e strettamente decrescente

in tutti i punti di R). (2) La funzione f(x) = sin(⇡x) ha massimo assoluto 1, e punti di massimo assoluto

(e dunque anche relativo) in 12

+ 2Z, ed ha minimo assoluto �1 con punti di minimo assoluto (e dunque

anche relativo) in � 12

+ 2Z. (3) La funzione f(x) =(�x2 � x se x 0

x2 � 2x se x � 0non ammette massimo e minimo

assoluti su R, ma ha un punto di massimo (risp. minimo) relativo stretto in x = � 12

(risp. in x = 1), con

valore 14

(risp. con valore �1). (4) La funzione f : R �! R definita da f(x) = x + 1 (se x < 0), 0 (se

0 < x 1) e 1 (se x � 1) non ha minimo assoluto, mentre ha massimo assoluto 1 assunto nei punti x � 1

(che dunque sono tutti punti di massimo assoluto, e in particolare relativo, non stretto); essa e crescente

in tutti i punti di R, strettamente per x < 0. (5) La funzione f(x) = x + 2 sin x non ha estremi assoluti,

ma ha punti di massimo locale in ck = 2⇡3

+ 2Z⇡ e punti di minimo locale in c0k = � 2⇡3

+ 2Z⇡. (L’esame

del grafico, ottenuto sommando x e 2 sin x, dovrebbe giustificare la conclusione in modo “qualitativo”; per

la conferma “quantitativa” dei risultati bastera attendere un po’, quando avremo ben descritto il legame

tra gli estremi locali di una funzione e la sua derivata.)

Se A ⇢ R e un intervallo e f : A �! R e una funzione, si vede immediatamente che f ecrescente (risp. decrescente) se e solo se tutti i rapporti incrementali sono � 0 (risp. 0):cio fa apparire naturale che ci debba essere un legame tra la derivata di f e le zone deldominio dove essa e crescente o decrescente. Andiamo a studiare questi legami.

Proposizione 3.3.7. Siano f : A �! R una funzione e c 2 A di accumulazione per A.

(i) (Derivata ed estremi locali) Se c e un punto di massimo locale, allora (se esistono)f 0�(c) � 0 e f 0

+(c) 0; analogamente, se c e un punto di minimo locale, allora (se

Corrado Marastoni 128

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esistono) f 0�(c) 0 e f 0

+(c) � 0.Pertanto, se c e un estremante locale allora (se esiste) f 0(c) = 0.

Corollari:

(Teorema di Rolle) Sia f : [a, b] �! R (con a, b 2 R) una funzione continua, ederivabile in ]a, b[. Se f(a) = f(b), allora esiste ⇠ 2]a, b[ tale che f 0(⇠) = 0.

Piu generalmente:

(Teorema “del valor medio” di Lagrange) Sia f : [a, b] �! R (con a, b 2 R) una fun-

zione continua, e derivabile in ]a, b[. Allora esiste ⇠ 2]a, b[ tale che f(b)�f(a)b�a = f 0(⇠).

Ancora piu generalmente:

(Teorema “degli incrementi finiti” di Cauchy) Siano f, g : [a, b] �! R (con a, b 2R) due funzioni continue, e derivabili in ]a, b[. Allora esiste ⇠ 2]a, b[ tale che(f(b) � f(a))g0(⇠) = (g(b) � g(a))f 0(⇠) .

(ii) (Derivata e costanza) f e derivabile con derivata identicamente nulla in A se e solose f e localmente costante, ovvero costante su ogni intervallo contenuto in A. Inparticolare, se A e un intervallo e f, g : A �! R sono due funzioni derivabili conf 0 = g0, allora f e g di↵eriscono per una costante additiva (ovvero esiste k 2 R taleche f(x) = g(x) + k per ogni x 2 A).

(iii) (Derivata e monotonıa locale) Sia f derivabile in c. Se f e crescente (risp. decres-cente) all’intorno di c, allora f 0(c) � 0 (risp. f 0(c) 0).

(iv) (Derivata e monotonıa globale) Se A e un intervallo aperto e f e derivabile in A,si ha che f e crescente (risp. decrescente) se e solo se f 0(x) � 0 (risp. f 0(x) 0) per ogni x 2 A. In particolare, f e strettamente crescente (risp. strettamentedecrescente) se e solo se f 0(x) � 0 (risp. f 0(x) 0) per ogni x 2 A ed il sottoinsieme{x 2 A : f 0(x) = 0} di A e privo di punti interni.

Dimostrazione. (i) Se ad esempio c e un punto di massimo locale, per definizione esiste un intorno U di c

in R tale che il rapporto incrementale f(⇠)�f(c)⇠�c

e � 0 (risp. 0) per ogni ⇠ 2 U \A con ⇠ < c (risp. ⇠ > c):

per il teorema del confronto si ha allora f 0�(c) = lim⇠�!c�f(⇠)�f(c)

⇠�c� 0 e f 0+(c) = lim⇠�!c+

f(⇠)�f(c)⇠�c

0.Nelle ipotesi del Teorema di Rolle, grazie al Teorema di Weierstrass (vedi pag. 101) f ammette estremiassoluti in [a, b]. Ci sono allora due possibilita: almeno uno tra massimo e minimo assoluto viene assuntoin qualche ⇠ 2]a, b[, oppure sia massimo che minimo assoluto sono assunti negli estremi a e b. Nel primocaso, come appena visto, vale f 0(⇠) = 0; nel secondo, la funzione e necessariamente costante in [a, b],e dunque f 0(⇠) = 0 per ogni ⇠ 2]a, b[. Per dimostrare ora il teorema di Cauchy (quello di Lagrangee solo il caso particolare g(x) = x), basta osservare che la funzione h : [a, b] �! R data da h(x) =(f(b) � f(a))(g(x) � g(a)) � (g(b) � g(a))(f(x) � f(a)) soddisfa le ipotesi del Teorema di Rolle, e dunqueesiste ⇠ 2]a, b[ tale che h0(⇠) = (f(b) � f(a))g0(⇠) � (g(b) � g(a))f 0(⇠) = 0. (ii) Sia f 0 ⌘ 0 su A; preso unintervallo B ⇢ A ed a, b 2 B con a < b, per il teorema della media di Lagrange esiste ⇠ 2]a, b[ tale chef(b)�f(a)

b�a= f 0(⇠) = 0, da cui f(a) = f(b), ovvero f |B e costante; il viceversa e ovvio, perche A e l’unione

degli intervalli in lui contenuti. Infine, se A e un intervallo e f 0 = g0 in A, allora h = f � g : A �! R(essendo h0 = f 0�g0 ⌘ 0) e costante su A. (iii) Dire che, ad esempio, f e crescente all’intorno di c equivale

a dire che esiste un intorno U di c in R tale che f(⇠)�f(c)⇠�c

� 0 per ogni ⇠ 2 (U \A) \ {c}: per il teorema del

confronto si ha allora f 0(c) = lim⇠�!cf(⇠)�f(c)

⇠�c� 0. (iv) Come appena visto, se f e crescente in A allora

Corrado Marastoni 129

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f 0(x) � 0 per ogni x 2 A; viceversa, supponendo che valga f 0(x) � 0 per ogni x 2 A, presi due qualsiasi

a, b 2 A con a < b, per il teorema della media di Lagrange esiste ⇠ 2]a, b[ tale che f(b)�f(a)b�a

= f 0(⇠) � 0,da cui f(b) � f(a), e cio mostra che f e crescente in A. Ora, se f e crescente in A, essa e strettamentecrescente se e solo se essa non ha tratti in cui e costante, ovvero se e solo se non esistono a, b 2 A con a < btali che f |[a,b] sia costante, ovvero (per (ii)) tali che f 0|]a,b[ ⌘ 0: ma cio equivale precisamente al fatto che

{x 2 A : f 0(x) = 0} non ha punti interni.

Figura 3.13: Punti stazionari ed estremi locali; i teoremi di Rolle e di Lagrange; crescenza e segno della derivata.

E opportuno fare alcuni commenti sugli enunciati appena visti (ogni capoverso si riferisceal corrispondente punto dell’enunciato).

(i) Si e visto che in un estremante locale la derivata, se esiste, e nulla; pertanto, per funzioniderivabili l’insieme degli estremanti locali e contenuto nell’insieme dei punti stazionari ocritici, ovvero quelli in cui la derivata e nulla (dal punto di visto geometrico, i punti in cui Punti

stazionarila retta tangente al grafico e orizzontale, vedi Figura 3.13(a)), e cio semplifica notevolmentela loro ricerca. Va notato che non tutti i punti stazionari sono estremanti locali (si pensi adesempio al punto c = 0 per la funzione f(x) = x3): ne riparleremo piu tardi. Il significatogeometrico del teorema di Rolle e allora chiaro (vedi Figura 3.13(b)), mentre quello delteorema della media di Lagrange e che esiste un punto interno ad [a, b] in cui la pendenzadella tangente al grafico e uguale alla pendenza della retta che congiunge (a, f(a)) con(b, f(b)) (vedi Figura 3.13(c)).(98)

(ii) Se A non e un intervallo e f 0 ⌘ 0 in A, non e detto che f sia costante su tutto A: sipensi, ad esempio, a A = R \ {0} e alla funzione f(x) = sign x (ovvero f(x) = ±1 perx ? 0), oppure a A = R \ Z e f(x) = [x] (la “parte intera” di x, vedi pag. 48). Comeappare chiaramente da questi esempi, come detto si puo solo concludere che f ha un valorecostante (possibilmente diverso) per ogni “componente connessa” di A.

(iii) Il viceversa dell’enunciato e falso: se f 0(c) � 0 non e detto che f sia crescenteall’intorno di c. Cio si vede subito nel caso in cui f 0(c) = 0 (all’intorno di un punto

(98)Per il significato geometrico del teorema degli incrementi finiti di Cauchy bisognerebbe pensare le duefunzioni f, g : [a, b] �! R come un’unica funzione F := f + ig : [a, b] �! C a valori complessi, e vederel’immagine di F (ovvero l’insieme degli F (t) 2 C al variare di t 2 [a, b]) come una curva nel piano di Gauss:allora, considerata la derivata F 0 := f 0 + ig0 : [a, b] �! C, il vettore F 0(t) rappresenta il vettore tangentealla curva nel suo punto F (t), e il teorema dice che il vettore F (b) � F (a) (che congiunge i due punti dipartenza e arrivo della curva) e parallelo al vettore tangente alla curva in un suo opportuno punto F (⇠).

Corrado Marastoni 130

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Analisi Matematica I

stazionario puo accadere di tutto); e non basta nemmeno che f 0(c) > 0, come mostral’esempio di f : R �! R data da f(x) = x+2x2 sin 1

x per x 6= 0 e f(0) = 0 (in c = 0 la fun-zione e derivabile con f 0(0) = 1 > 0, ma per x 6= 0 la derivata f 0(x) = 1�2 cos 1

x +4x sin 1x

cambia segno in ogni intorno di 0). Si noti che e falsa anche una versione “stretta”dell’enunciato: f(x) = x3 e strettamente crescente all’intorno di c = 0 ma f 0(0) = 0.

(iv) Questo fatto e di grande utilita pratica, perche da una descrizione immediatamentecalcolabile della monotonıa delle funzioni derivabili. Tra l’altro, anche molte delle funzioninon derivabili sono in realta derivabili a tratti, ovvero lo sono tranne che negli estremi oin alcuni punti isolati, e dunque anche per esse il risultato vale in ognuno dei tratti diderivabilita, con la riserva di completare poi lo studio nei punti di non derivabilita conl’esame concreto, uno per uno. Facciamo un paio di semplici esempi.

Esempi. (1) La funzione f : R �! R, f(x) = |x| e derivabile in A0 = R⇥ con derivata f 0(x) = ±1 per

x ? 0: non essendoci punti stazionari (e dunque estremi locali) in R⇥, si e tentati di chiudere la questione

dicendo che non vi sono estremanti locali per f . Tuttavia cio e falso, perche e chiaro che 0 e un punto di

minimo assoluto stretto per f : ma cio si deve dire con un discorso specifico per 0, e non si puo ricavare

dallo studio della derivata (che perde completamente di vista il punto 0). (2) La funzione g : [1, 2] �! R,

g(x) = x2, e derivabile in ]1, 2[ con derivata g0(x) = 2x (negli estremi �2 e 1 a rigore non possiamo dire che

la funzione e “derivabile”, perche lo e solo da un lato: non a caso l’enunciato richiede che l’intervallo A sia

aperto): essendo g0(x) 6= 0 per ogni x 2]1, 2[, nessuno dei punti interni e un estremo locale, ma anche qui

e chiaro che 1 (risp. 2) e un punto di minimo (risp. massimo) assoluto stretto per g: ancora una volta, cio

va verificato direttamente in ciascuno dei due punti, e la derivata non da alcuna informazione su di essi.

Esercizio. Studiare la crescenza e gli estremi relativi delle funzioni

f(x) = (x � 1) log |x � 1| � (x � 3) log |x � 3| � (log 2)x, g(x) = � log | cosx

2| � x.

Risoluzione. Le funzioni sono derivabili nel loro dominio, dunque e su�ciente studiare il segno della

loro derivata. La funzione f(x) = (x � 1) log |x � 1| � (x � 3) log |x � 3| � (log 2)x e definita per x 6= 1 e

x 6= 3,(99) e si ricava f 0(x) = log |x � 1| + (x � 1) 1x�1

� log |x � 3| � (x � 3) 1x�3

� log 2 = log���x�1

x�3

���� log 2,

da cui f 0(x) = 0 se e solo se���x�1

x�3

��� = 2, ovvero x�1x�3

= 2 oppure x�1x�3

= �2, con soluzioni x = 5 e

x = 73; si ha poi f 0(x) > 0 se e solo se

���x�1x�3

��� > 2, ovvero x�1x�3

> 2 oppure x�1x�3

< �2: nel primo caso si

ottiene x�1x�3

� 2 = 5�xx�3

> 0, che da 3 < x < 5, e nel secondo x�1x�3

+ 2 = 3x�7x�3

< 0, che da 73

< x < 3.

Dunque f e crescente per 73

< x < 3 e 3 < x < 5 e decrescente per x < 1, 1 < x < 73

e x > 5, e ne

deduciamo che x = 73

e un punto di minimo relativo stretto (con f( 73) = 4

3log 4

3� (� 2

3log 2

3) � 7

3log 2 =

43(2 log 2 � log 3) + 2

3(log 2 � log 3) � 7

3log 2 = � log 9

2⇠ �1, 5) e x = 5 e un punto di massimo relativo

stretto (con f(5) = 4 log 4 � 2 log 2 � 5 log 2 = log 2 ⇠ 0, 7). Invece, la funzione g(x) = � log | cos x2| � x

e definita per cos x26= 0, ovvero per x

26= ⇡

2+ k⇡ (con k 2 Z), ovvero per x 6= ⇡ + 2k⇡ (con k 2 Z) e

si ricava g0(x) = ��12

sin x2

cos x2

� 1 = 12tg x

2� 1, da cui g0(x) = 0 se e solo se 1

2tg x

2= 1, ovvero tg x

2= 2,

ovvero x2

= arctg 2 + k⇡ (con k 2 Z), ovvero x = 2 arctg 2 + 2k⇡ (con k 2 Z); si ha poi g0(x) > 0 (cioe,

g crescente) se e solo se 12tg x

2> 1, ovvero tg x

2> 2, ovvero arctg 2 + k⇡ < x

2< ⇡

2+ k⇡ (con k 2 Z),

ovvero 2 arctg 2 + 2k⇡ < x < ⇡ + 2k⇡ (con k 2 Z). Ne deduciamo che i punti xk = 2 arctg 2 + 2k⇡

(99)Si noti comunque che limx�!1 f(x) = 0�(�2) log 2�log 2 = log 2 e limx�!3 f(x) = 2 log 2�0�3 log 2 =� log 2, e dunque si potrebbe prolungare f per continuita a tutto R ponendo f(1) = log 2 e f(3) = � log 2.

Corrado Marastoni 131

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Analisi Matematica I

(con k 2 Z) sono di minimo relativo stretto, con valori (ricordando che in generale cos ✓ = ± 1p1+tg2✓

)

g(xk) = 12

log 5 � 2 arctg 2 � 2k⇡ (con k 2 Z).

Un altro criterio molto utile per stabilire la natura di un punto stazionario di funzioniderivabili piu volte lo vedremo tra breve (Proposizione 3.3.12).

Problemi di massimo e minimo Una classica applicazione delle relazioni tra deri-vate e crescenza sono i problemi di massimo e minimo, in cui si richiede di determinare gliestremi di una certa quantita numerica, diciamo y, che dipende da un’altra, diciamo x. Sitratta dunque di studiare gli estremi di una funzione y = f(x), e quando tale funzione ederivabile possiamo applicare i risultati appena trovati.

Diamo qui nel seguito alcuni esempi.

Esercizio. Risolvere i seguenti problemi di massimo e minimo. (1) Tra tutti i triangoli isosceli di datoperimetro 2p, trovare quello con l’area massima. (2) Tra tutte le pentole cilindriche di dato volume internoV , qual e il diametro interno di quella con la superficie interna (parete piu fondo) minima? (3) Tratutte le scatole senza coperchio a forma di parallelepipedo a base quadrata di data area totale esterna A,trovare il lato di base di quella che ha il volume massimo. (4) Un agricoltore deve scavare nel terreno unavasca, a forma di piramide retta con base quadrata e la punta in giu, che possa contenere esattamente unvolume V di acqua. Per impermeabilizzare i lati della vasca, egli usera dei teli di linoleum, che pagheraal negoziante in base alla superficie acquistata. Quale sarebbe la lunghezza del lato di base della vasca chegli permetterebbe di risparmiare al massimo sull’acquisto di linoleum? (5) In un quadrato Q di lato `,giacente sul piano orizzontale, si considerino due vertici opposti A e A0. Dato 0 x `, dentro Q siinscriva un triangolo T avente due vertici a distanza x da A ed il terzo vertice alla medesima distanza xda A0; infine, considerato il punto V posto verticalmente ad altezza x sopra il centro di Q e la piramide dibase T e vertice V , si dica per quale valore di x tale piramide ha volume massimo.

Risoluzione. (1) Sia x la lunghezza della base del triangolo (dunque 0 x p): allora i lati obliqui

sono lunghi p � x2, e per il teorema di Pitagora l’altezza risulta

p(p � x

2)2 � (x

2)2 =

pp(p � x): l’area

e allora pari a A(x) =p

p

2xp

p � x. Da A0(x) =p

p

2(p

p � x + x �12p

p�x) =

pp

42p�3xp

p�xsi ricava A0(x) = 0

se e solo se x = 2p3

e A0(x) > 0 se e solo se x < 2p3

. In altre parole: se si allarga la base del triangolo

da 0 a p mantenendo pero inalterato il perimetro totale 2p, l’area del triangolo aumenta fino a quando

la base diventa lunga 2p3

e diminuisce da tale valore in poi. Dunque l’area e massima quando la base

e lunga 2p3

, ovvero quando il triangolo e equilatero. (2) Sia x il raggio interno della pentola. Se h e

la sua profondita interna, vale V = x2⇡h da cui h = V⇡x2 . La superficie interna e dunque y = S(x) =

x2⇡ + 2⇡xh = 2Vx

+ ⇡x2. Da S0(x) = � 2Vx2 + 2⇡x si ricava S0(x) = 0 se e solo se x = 3

pV/⇡, e

S0(x) > 0 se e solo se x > 3p

V/⇡. Il valore minimo si ha allora quando il diametro interno e 2 3p

V/⇡,

e vale S( 3p

V/⇡) = 33p

V 2⇡. (3) Sia x il lato di base: allora l’altezza h deve soddisfare A = 4hx + x2,

da cui h = A�x2

4x, e il volume e V (x) = hx2 = x(A�x2)

4. Si ha V 0(x) = A�3x2

4, da cui V 0(x) � 0 per

x 2p

A/3: pertanto V (x) cresce prima di x = 2p

A/3 e decresce dopo. Dunque la scatola cercata ha il

lato di base lungo 2p

A/3, ed il volume massimo e V ( 2p

A/3) = 12(A/3)

32 . (4) Si tratta di vedere quando

l’area laterale della piramide (ovvero, la superficie da rivestire di linoleum) e minima. Sia x la lunghezza

del lato di base della vasca: l’altezza h della piramide (profondita centrale della vasca) soddisfa V = hx2

3,

da cui h = 3Vx2 . L’apotema della piramide (altezza delle quattro facce triangolari laterali) e dato da

a =p

h2 + (x2)2 =

px6+36V 2

2x2 : dunque l’area laterale della piramide e data da S(x) = 4ax2

=

px6+36V 2

x,

Corrado Marastoni 132

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Analisi Matematica I

definita per x > 0. La derivata e S0(x) =

6x5

2

px6+36V 2

x�p

x6+36V 2

x2 = 2(x6�18V 2)

x2p

x6+36V 2, e si ha S0(x) = 0 per

x =6p

18V 2 e S0(x) > 0 per x >6p

18V 2. Dunque il massimo risparmio si ottiene quando il lato della vasca

e lungo6p

18V 2. (5) Levando all’area del quadrato Q i pezzi che non stanno in T , si ha che l’area di T e

`2 � x2

2� (`�x)2

2� (`�x+x)x

2= x(` � x), dunque la piramide ha volume y = f(x) = x

3x(` � x) = x2(`�x)

3.

Derivando, si ottiene f 0(x) = 13(2x(`� x) � x2) = 1

3x(2`� 3x). Vale f 0(x) = 0 per x = 2

3`, e f 0(x) > 0 se

e solo se 0 < x < 23`. Pertanto il valore massimo del volume della piramide si ottiene quando x = 2

3`.

La regola di de l’Hopital Il risultato che segue e di grande importanza nel calcolodei limiti.

Teorema 3.3.8. (Regola di de l’Hopital) Sia A ⇢ R un intervallo, e sia c 2 eR un puntodi accumulazione per A. Siano f, g : A \ {c} �! R due funzioni derivabili con g0(x) 6= 0

per ogni x 2 A \ {c}, e si assuma che esista limx�!c

f 0(x)g0(x) .

Allora, (1) se f e g sono entrambe infinitesime in c, oppure (2) se g e infinita in c, esiste

anche limx�!c

f(x)g(x) e vale

limx�!c

f(x)

g(x)= lim

x�!c

f 0(x)

g0(x).

Dimostrazione. Supponiamo per iniziare che ` = limx�!cf 0(x)g0(x)

2 R, e studiamo solo il limite sinistro (il

ragionamento per il destro sara lo stesso). Fissato un " > 0, sia U un intorno sinistro di c tale che��� f0(x)

g0(x)� `��� < " per ogni x 2 U : usando il teorema degli incrementi finiti di Cauchy (Proposizione 3.3.7(i)),

si ricava subito che��� f(x)�f(⇠)

g(x)�g(⇠)� `��� < " per ogni x, ⇠ 2 U con x 6= ⇠. Nel caso (1) si ha lim⇠�!c�

f(x)�f(⇠)g(x)�g(⇠)

=

f(x)g(x)

(essendo g derivabile g0(x) 6= 0 per ogni x 2 A \ {c}, essa sara strettamente monotona e dunque

si ha g(x) = 0 in alpiu un x 2 U , che potra essere tenuto fuori scegliendo un intorno U piu piccolo),

e per il teorema del confronto si otterra dunque��� f(x)

g(x)� `��� < " per ogni x 2 U , che e quanto si voleva.

Nel caso (2), a meno di cambiare segno ad f e a g possiamo supporre che sia g0(x) > 0 (dunque gstrettamente crescente) e limx�!c� g(x) = +1; per ogni x, ⇠ 2 U con x > ⇠ si ha, moltiplicando i membri

della relazione ` � " < f(x)�f(⇠)g(x)�g(⇠)

< ` + " per g(x)�g(⇠)g(x)

> 0 e sommando dappertutto f(⇠)g(x)

si ottiene

(` � ")⇣1 � g(⇠)

g(x)

⌘+ f(⇠)

g(x)< f(x)

g(x)< (` + ")

⇣1 � g(⇠)

g(x)

⌘+ f(⇠)

g(x). Facciamo ora tendere x �! c� lasciando

fermo ⇠: il primo e l’ultimo membro tenderanno rispettivamente a ` ⌥ " e dunque, per il teorema della

permanenza del segno, esistera un intorno sinistro U 0 ⇢ U di c tale che `� 2" < (`� ")⇣1 � g(⇠)

g(x)

⌘+ f(⇠)

g(x)e

(`+ ")⇣1 � g(⇠)

g(x)

⌘+ f(⇠)

g(x)< `+ 2" per ogni x 2 U 0, da cui `� 2" < f(x)

g(x)< `+ 2" per ogni x 2 U 0, e ancora

una volta si ha quanto si voleva. Se ` = ±1 si ragionera in modo del tutto simile, fissando un N > 0 e

prendendo un intorno sinistro U di c tale che f 0(x)g0(x)

? ±N per ogni x 2 U (si lasciano come esercizio i facili

adattamenti della dimostrazione).

Esempi. Lasciamo allo studente di rivedere tutti gli esercizi fatti sui limiti cercando di applicare, quando

possibile, la regola di de l’Hopital per ritrovare i risultati gia noti. Vediamo alcuni esempi. (1) In

limx�!0sin x

x, le funzioni f(x) = sin x e g(x) = x soddisfano alle ipotesi nel caso (1) (il limx�!0

(sin)0(x)(x)0(x)

=

limx�!0cos x

1esiste e vale 1, e si ha una forma “ 0

0”), e dunque il limite vale 1. (2) In limx�!0

1�cos xx2 la

regola si puo applicare arrivando a limx�!0sin x2x

, quindi applicare di nuovo arrivando a limx�!0cos x

2= 1

2

come noto. (3) In limx�!+1 e↵x

x� (con ↵,� > 0) basta applicare la regola M volte (ove M = [�] se

� 2 N, e M = [�] + 1 se � 2 R>0 \ N: in entrambi i casi vale 0 M � � = frac� < 1) per arrivare

Corrado Marastoni 133

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Analisi Matematica I

a limx�!+1 ↵M e↵x

�(��1)···(��M+1)x��M = +1. (4) In limx�!0x�sin x

x3 , applicando tre volte la regola (dopo le

prime due si e sempre in forma indeterminata 00) si ottiene 1

6, come avremmo trovato con gli sviluppi

asintotici.

Nel calcolo dei limiti, la regola di de l’Hopital e indubbiamente comoda perche e di rapidaapplicazione e non richiede alcuno sforzo concettuale (tranne quello di ricordarsi le regoledi derivazione). Tuttavia, e il caso di mettere in guardia da un suo uso “troppo auto-matico”, e questo per vari motivi. (1) Potrebbe capitare che la regola non sia applicabile(se non ne sono soddisfatte le ipotesi). (2) La sua applicazione talvolta potrebbe compli-care le cose anziche semplificarle: non va scordato che abbiamo studiato molte manieredi calcolare i limiti, maniere che spesso risultano piu convenienti (oltre a dimostrare unaben maggiore padronanza degli strumenti di calcolo da parte di chi le adopera). (3)Soprattutto, si ribadisce che la regola di de l’Hopital ha delle ipotesi che la rendono ap-plicabile sostanzialmente in presenza di una forma indeterminata, dunque non va assolu-tamente usata quando il limite e gia in forma determinata o quando va discusso al variaredi parametri.

Esempi. (1) Nel limite limx�!+1 x+sin x3x�cos x

(del tipo “11”) non si puo applicare la regola di de l’Hopital,

perche il limite delle derivate limx�!+1 1+cos x3�sin x

non esiste; d’altra parte, essendo sin x = o+1(x) e cos x =

o+1(3x) = o+1(x), si ricava subito che il limite di partenza e uguale a limx�!+1 x3x

= 13. (2) Nel limite

limx�!0+e� 1

x

2x(del tipo “ 0

0”) la regola si puo applicare, ma porta al limite limx�!0+

1x2 e

� 1x

2= limx�!0+

e� 1

x

2x2 ,

piu complicato di quello di partenza; in questo caso basta invece usare il cambio di variabile x = 1t

per

arrivare a limt�!+1 e�t

2/t= 1

2limt�!+1 t

et = 0. (3) Il limite limx�!1+ex+x�1

log xe determinato e vale +1,

mentre applicando improvvidamente de l’Hopital si ottiene limx�!1+ex+11/x

= e+1. Altro esempio: il limite

limx�!0x

↵+sin xe determinato per ogni ↵ 6= 0 (e vale 0), mentre per ↵ = 0 come noto esso vale 1: ebbene,

se improvvidamente si applica de l’Hopital al limite originale si ottiene limx�!0+1

cos x= 1, che non ha nulla

a che vedere col precedente tranne quando ↵ = 0.

3.3.3 Derivate successive, funzioni di classe Ck e C1

Con le funzioni derivabili abbiamo selezionato, all’interno delle funzioni continue, unafamiglia di funzioni “piu regolari” delle altre. D’altra parte, l’azione di derivare porta, senon a un peggioramento, certamente non a un miglioramento della regolarita delle funzioni:infatti non e detto che la derivata di una funzione derivabile sia anch’essa derivabile;(100)

anzi, potrebbe addirittura non essere piu continua.(101) Tuttavia:

(100)Per esempio, si vede subito che la funzione f(x) = x2 sign x ha derivata f 0(x) = 2|x| (infatti, essendof(x) = ±x2 per x ? 0 si ricava subito f 0(x) = ±2x per x ? 0, ovvero f(x) = 2|x| per x 6= 0, mentre in 0 il

rapporto incrementale f(⇠)�f(0)x⇠�0

= ⇠ sign ⇠ = |⇠| tende a 0 e dunque f 0(0) = 0), ed il modulo e una funzionecontinua ma non derivabile.(101)Il classico controesempio e dato dalla funzione g : R �! R definita da g(x) = x2 sin 1

x(se x 6= 0) e

g(0) = 0, che e derivabile ovunque (per x 6= 0 e ovvio con derivata g0(x) = 2x sin 1x� cos 1

x, mentre per

x = 0 il rapporto incrementale g(⇠)�g(0)x⇠�0

= ⇠ sin 1⇠

tende a 0, e dunque g0(0) = 0) ma g0 non e continua in

0 (perche limx�!0 g0(x) = limx�!0(2x sin 1x� cos 1

x) non esiste).

Corrado Marastoni 134

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Analisi Matematica I

Proposizione 3.3.9. Siano A un intervallo, c 2 A e f : A �! R una funzione continuain A e derivabile in A\{c}. Se lim

x�!cf 0(x) esiste finito, allora f e derivabile anche in c con

valore f 0(c) = limx�!c

f 0(x), e la funzione derivata f 0 : A �! R e continua in A; se invece tali

limite esiste finito a sinistra e a destra ma con valori diversi, oppure se esiste a sinistrao/e a destra ma infinito, allora f non e derivabile in c.

Dimostrazione. Per la regola di de l’Hopital si ha limx�!c⌥f(x)�f(c)

x�c= limx�!c⌥

f 0(x)1

= limx�!c⌥ f 0(x), ele conclusioni sono allora chiare.

Diremo allora che f : A �! R e di classe C1 in c se essa e derivabile al’intorno di c con Funzioni diclasse C1

derivata continua in c: come visto, non tutte le funzioni derivabili sono di classe C1.(102)

Per una tale funzione ci possiamo chiedere se la derivata, che e continua, sia anch’essaderivabile: diremo allora che f : A �! R e di classe C2 in c se e derivabile due volteall’intorno di c con derivata seconda (ovvero, la derivata della derivata) continua in c.

Esempio. Sia x(t) la funzione che descrive, al variare del tempo t, la posizione x di un punto che

si muove sull’asse cartesiano x. Come visto, la funzione derivata prima x0(t) rappresenta la velocita

(rapidita di variazione della posizione) istantanea del punto; analogamente, la funzione derivata seconda

x00(t) rappresenta l’accelerazione (rapidita di variazione della velocita) istantanea del punto.

Continuando allo stesso modo, preso un qualsiasi k 2 N diremo che f : A �! R e di classeCk in c se essa e derivabile k volte (ovvero, se esistono le derivate f 0, f 00, . . . , f (k�1), f (k)) Funzioni di

classe Ck

all’intorno di c e la derivata k-esima e continua in c. Se una funzione f e di classe Ck perogni k 2 N, si dira che f e di classe C1. (103) E d’uso denotare con Ck(A) l’insieme delle Funzioni di

classe C1funzioni f : A �! R di classe Ck in ogni punto di A, con k = 0, 1, . . . , +1, intendendo cheC0(A) sia semplicemente l’insieme delle funzioni continue in A: e semplice verificare chetutti i Ck(A) sono sottospazi vettoriali (vedi pag. 42) dello spazio RA di tutte le funzionif : A �! R ,(104) e abbiamo percio le inclusioni di regolarita

C1(A) ⇢ · · · ⇢ Ck(A) ⇢ Ck�1(A) ⇢ · · · ⇢ C2(A) ⇢ C1(A) ⇢ C0(A) ⇢ RA .

Sottolineiamo ancora una volta che lo spazio delle funzioni di classe Ck e strettamente piupiccolo dello spazio delle funzioni Ck�1 tali che la derivata (k�1)-esima f (k�1) sia anch’essaderivabile, perche non e detto che la derivata k-esima f (k) = (f (k�1))0 sia continua.

Proposizione 3.3.10. Le funzioni elementari (modulo, polinomi, esponenziale, logar-itmo, potenza, trigonometriche, iperboliche) sono di classe C1 in tutto il loro dominiotranne le seguenti eccezioni:

(1) la potenza x↵ in x = 0, quando ↵ > 0 e ↵ /2 N (e solo di classe C[↵]);

(102)Tornando agli esempi appena visti f(x) = x2 sign x e di classe C1 in 0, mentre g(x) = x2 sin 1x

(sex 6= 0) e g(0) = 0 e derivabile ma non di classe C1 in 0.(103)In realta si puo chiedere ancora di piu: anche se noi non ce ne occuperemo, menzioniamo che c’e unaclasse di regolarita, delle funzioni dette analitiche, ancora piu ristretta delle funzioni C1.(104)Notiamo infatti che se f, g : A �! R sono due funzioni di classe Ck (risp. C1) e ↵,� 2 R, allora anchela funzione ↵f + �g : A �! R e di classe Ck (risp. C1).

Corrado Marastoni 135

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Analisi Matematica I

(2) il modulo |x| in x = 0 (e solo continua);

(3) l’arco-seno arcsin x e l’arco-coseno arccos x in x = ⌥1 (e solo continua);

(4) il settore-coseno iperbolico sett cosh x in x = 1 (e solo continua).

Dimostrazione. Discende subito dalla tabella della Figura 3.11. In particolare, per (1), sia ↵ > 0 con↵ /2 N: se 0 < ↵ < 1 gia sappiamo che x↵ e solo continua in x = 0, mentre se ↵ > 1, derivando [↵] volte lafunzione x↵ si ottiene ↵ · · · · · (frac(↵) + 1)xfrac(↵) che e continua ma non piu derivabile in x = 0.

Esempi. (1) f(x) = x2 sign x e di classe C1 ma non C2 in R (e comunque di classe C1 in tutti i punti

c 6= 0). (2) g(x) = x2 sin 1x

(se x 6= 0) e g(0) = 0 e continua (ovvero di classe C0) e derivabile ma non di

classe C1 in R. (3) Fissato un qualsiasi ↵ 2 R>0, la funzione h : R �! R data da h(x) = 0 (per x 0) e

h(x) = x↵ (per x > 0) e di classe C[↵]�1 (se ↵ 2 N) o C[↵] (se ↵ /2 N) ma non di classe superiore: infatti,

se ↵ = n 2 N la derivata (n � 1)-esima esiste ed e continua ma non e derivabile (vale f (n�1)(x) = 0 per

x 0 ef (n�1)(x) = n(n � 1) · · · 2x per x > 0), e lo stesso se ↵ /2 N per la derivata [↵]-esima (che vale

f ([↵])(x) = 0 per x 0 e f ([↵])(x) = ↵(↵� 1) · · · (↵� [↵] + 1)x↵�[↵] per x > 0). (4) La funzione u : R �! Rdata da u(x) = 0 (per x 0) e u(x) = e�

1x (per x > 0) e di classe C1: ad esempio, se x > 0 la derivata

prima e f 0(x) = 1x2 e�

1x che tende a 0 quando x �! 0+; la derivata seconda e f 00(x) = �( 2

x3 + 1x4 )e�

1x che

pure tende a 0 quando x �! 0+; e cosı via (varra f (k)(0) = 0 per ogni k 2 N).

Formula di Taylor La formula di Taylor, gia menzionata parlando di confronto locale,

fornisce lo sviluppo asintotico nella scala delle potenze intere di una funzione f(x) in unpunto x = c in termini delle sue derivate in c (o vicino a c). Nel teorema che segue daremodue versioni di questa formula, in cui il resto viene espresso in due modi diversi: esse sonoutili rispettivamente nel calcolo locale (attorno al punto base) e globale (nel dominio dif). Si faccia attenzione alla diversita delle ipotesi nei due casi. Una terza versione dellaformula di Taylor, con un’espressione del resto in forma integrale, verra data piu avantiparlando di integrazione (Proposizione 3.5.15).

Teorema 3.3.11. Sia A un intervallo, c 2 A e f : A �! R di classe Ck�1 in A.

(i) (Formula di Taylor con resto nella forma di Peano) Si assuma che f sia derivabilek volte in c. Allora

f(x) =kX

n=0

f (n)(c)

n!(x � c)n + oc((x � c)k)

= f(c) + f 0(c) (x � c) + · · · +f (k)(c)

k!(x � c)k + oc((x � c)k).

(ii) (Formula di Taylor con resto nella forma di Lagrange) Si assuma che f sia derivabilek volte in A \ {c}. Allora per ogni x 2 A \ {c} esiste qualche ⇠ interno all’intervallodi estremi x e c tale che

f(x) =k�1X

n=0

f (n)(c)

n!(x � c)n +

f (k)(⇠)

k!(x � c)k

= f(c) + f 0(c) (x � c) + · · · +f (k�1)(c)

(k � 1)!(x � c)k�1 +

f (k)(⇠)

k!(x � c)k .

Corrado Marastoni 136

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Analisi Matematica I

Dimostrazione. Poniamo fk(x) :=Pk

n=0f(n)(c)

n!(x � c)n (il polinomio fk, che dipende ovviamente da c, e

detto polinomio di Taylor di ordine k di f in c), e notiamo che vale f(n)k (c) = f (n)(c) per ogni n = 0, 1, . . . , k:

ovvero, come si usa dire, f e fk coincidono in c fino all’ordine k. (i) Bastera mostrare che, se � : A �! R e unaqualsiasi funzione derivabile k volte in c, si ha � 2 oc((x�c)k) se e solo se �(n)(c) = 0 per ogni n = 0, 1, . . . , k(poi si concludera ponendo � = f � fk). Iniziamo dalla necessita (il “solo se”, o “)”), che proveremoper induzione su k. Se k = 0 si ha che � 2 oc(1), ovvero � e infinitesima in c, ovvero �(0)(c) = �(c) = 0come voluto. Supponiamo poi che sia � 2 oc((x � c)k) e che valga l’ipotesi induttiva fino a k � 1, emostriamo che vale �(n)(c) = 0 per ogni n = 0, 1, . . . , k. Poiche � 2 oc((x � c)k) ⇢ oc((x � c)k�1), per

l’ipotesi induttiva abbiamo �(n)(c) = 0 per ogni n = 0, 1, . . . , k � 1; per il calcolo del limite limx�!c�(x)

(x�c)k

(che gia sappiamo essere nullo) siamo allora autorizzati ad applicare k volte la regola di de l’Hopital,

ottenendo 0 = limx�!c�(x)

(x�c)k = limx�!c�0(x)

k(x�c)k�1 = · · · = limx�!c�(k)(x)

k!= �(k)(c)

k!, da cui �(k)(c) = 0.

La su�cienza (il “se”, o “(”) e piu facile da mostrare: se �(c) = �0(c) = · · · = �(k)(c) = 0, calcolando

limx�!c�(x)

(x�c)k si puo applicare k volte la regola di de l’Hopital, arrivando a limx�!c�(k)(x)

k!= �(k)(c)

k!= 0,

ovvero � 2 oc((x� c)k). (ii) Applicando il teorema degli incrementi finiti di Cauchy (Proposizione 3.3.7(i))alle funzioni u(t) = f(t) � fk�1(t) e v(t) = (t � c)k si ha (notando che u(c) = v(c) = 0) che esiste qualche

⇠1 interno all’intervallo di estremi x e c tale che u(x)

(x�c)k = u0(⇠1)

k(⇠1�c)k�1 ; applicando ancora ripetutamente il

teorema degli incrementi finiti a u0 e v0, poi a u00 e v00 e cosı via fino a u(k�1) e v(k�1) (sempre notando cheu(j)(c) = v(j)(c) = 0 per ogni j = 0, . . . , k � 1) si trovano via via uno ⇠2 interno all’intervallo di estremi ⇠1

e c, eccetera fino ad uno ⇠k interno all’intervallo di estremi ⇠k�1 e c tali che u0(⇠1)

k(⇠�c)k�1 = u00(⇠2)

k(k�1)(⇠2�c)k�2 =

· · · =u(k�1)(⇠k�1)

k(k�1)···2(⇠m�1�c)= u(k)(⇠k)

k!; essendo il primo membro uguale a u(x)

(x�c)k = 1(x�c)k

�f(x) � fk�1(x)

�e

l’ultimo a f(k)(⇠k)k!

, si ottiene esattamente quanto si voleva con ⇠ = ⇠k.

Pertanto, data una funzione f(x) derivabile k volte in c, la formula di Taylor esibisce lafunzione polinomiale fk(x) = f(c) + f 0(c) (x� c) + · · · + 1

k!f(k)(c) (x� c)k di grado k che

meglio (a meno di un errore infinitesimo di ordine superiore) approssima f(x) all’intornodi c, e il grafico di fk(x) e la curva di grado k che meglio approssima il grafico di f(x)vicino a c. Ad esempio, per k = 0 si ottiene f0(x) = f(c) (la costante che meglioapprossima f vicino a c); per k = 1 si ha f1(x) = f(c) + f 0(c) (x � c) (la funzione lineareapprossimante f vicino a c, il cui grafico e la retta tangente al grafico di f in c); per k = 2si ha f2(x) = f(c)+f 0(c)(x�c)+ 1

2f 00(c) (x�c)2 (la funzione quadratica approssimante f

vicino a c, il cui grafico e la parabola “osculatrice”(105) al grafico di f in c), poi la cubica,e cosı via.

Gli sviluppi asintotici in c = 0 di pag. 115 seguono immediatamente dalla formula diTaylor col resto nella forma di Peano.

Esempi. (1) Scriviamo lo sviluppo asintotico di f(x) = log(x + 2) in c = 1 fino all’ordine k = 3. Si

ha f 0(x) = 1x+2

, f 00(x) = � 1(x+2)2

e f 000(x) = 2(x+2)3

, da cui lo sviluppo con resto di Peano e f(x) =

f(1) + f 0(1)(x � 1) + f 00(1)2

(x � 1)2 + f 000(1)6

(x � 1)3 + o1((x � 1)3) ovvero log(x + 2) = log 3 + 13(x �

1) � 118

(x � 1)2 + 181

(x � 1)3 + o1((x � 1)3), mentre lo sviluppo con resto di Lagrange e log(x + 2) =

log 3 + 13(x � 1) � 1

18(x � 1)2 + 1

3(⇠+2)3(x � 1)3 per qualche ⇠ interno all’intervallo di estremi x e 1. (2)

Scriviamo lo sviluppo asintotico di g(x) = ex in c = �3 fino all’ordine k = 2. Si ha g0(x) = g00(x) = ex,

da cui lo sviluppo con resto di Peano e g(x) = g(�3) + g0(�3)(x + 3) + g00(�3)2

(x + 3)2 + o1((x + 3)2)

ovvero ex = e�3(1 + (x + 3) + 12(x + 3)2) + o1((x + 3)2), mentre lo sviluppo con resto di Lagrange e

(105)dal latino osculare (baciare).

Corrado Marastoni 137

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Analisi Matematica I

ex = e�3(1 + (x + 3)) + e⇠

2(x + 3)2 per qualche ⇠ interno all’intervallo di estremi x e �3.

Il preannunciato (a pag. 132) utile criterio per stabilire la natura di un punto stazionariodi funzioni derivabili piu volte e il seguente.

Proposizione 3.3.12. Siano A ⇢ R un intervallo, f : A �! R una funzione derivabile kvolte (con k � 2) e c 2 A un punto stazionario per f (ovvero f 0(c) = 0).

(1) Se c e un punto di minimo (risp. massimo) locale per f , allora f 00(c) � 0 (risp. 0).

(2) Viceversa, si supponga che f 0(c) = · · · = f (k�1)(c) = 0 e f (k)(c) 6= 0. Allora:

(i) se k e pari e f (k)(c) > 0 (risp. f (k)(c) < 0) allora c e un punto di minimo (risp.massimo) locale stretto per f ;

(ii) se k e dispari allora c non e un estremante locale per f .

Dimostrazione. Il punto (1) segue subito da (2): infatti dire che f 00(c) 6� 0 equivale a dire che f 00(c) < 0,e in tal caso per (2) c sarebbe un punto di massimo locale stretto per f , il che renderebbe impossibile perc essere un punto di minimo locale per f . Possiamo dunque concentrarci sul provare (2). Dalla formula

di Taylor (Teorema 3.3.11) si ricava che f(x) � f(c) = f(k)(c)k!

(x � c)k + oc((x � c)k): essendo f (k)(c) 6= 0,dal teorema della permanenza del segno discende che esiste un intorno U di c in cui il segno di f(x)� f(c)

coincide con quello del polinomio p(x) = f(k)(c)k!

(x� c)k (infatti da f(x)�f(c)

(x�c)k = f (k)(c)+ oc((x�c)k)

(x�c)k si ricava

limx�!c

f(x)�f(c)

(x�c)k = f (k)(c) 6= 0, dunque esiste un intorno di c in cui f(x)�f(c)

(x�c)k ha il segno di f (k)(c), ovvero in

cui f(x) � f(c) ha il segno di f (k)(c)(x � c)k); inoltre, a meno di restringere tale intorno, si puo supporreche in U l’unico zero di p(x) sia c. Se k e pari allora per ogni x 2 U \ {c} vale f(x) � f(c) = p(x) ? 0 aseconda che f (k)(c) ? 0, da cui l’a↵ermazione (i). Se invece k e dispari e f (k)(c) > 0 (risp. f (k)(c) < 0)allora si ha f(x) � f(c) = p(x) > 0 se x > c (risp. se x < c) e f(x) � f(c) = p(x) < 0 se x < c (risp. sex > c), da cui (ii).

Esempi. (1) Sia f(x) = xk: si ha f 0(0) = · · · = f (k�1)(0) = 0 e f (k)(0) = k! > 0. Per la Proposizione

3.3.12, 0 e un punto di minimo locale stretto se k e pari, e non e un estremante locale se k e dispari

(gia si sapeva). (2) Sia f(x) = 3(x + sin x cos x) � 4 cos3 x. Si ha f 0(x) = 3 + 3 cos 2x + 12 sin x cos2 x =

6 cos2 x(1 + 2 sin x), da cui f 0(x) = 0 per x = ⇡2

+ k⇡, x = �⇡6

+ 2k⇡ e x = 7⇡6

+ 2k⇡ (con k 2 Z). Si

ha f 00(x) = 2 cos x(1 � sin x � 3 sin2 x); essendo f 00(�⇡6

+ 2k⇡) = 3p

34

> 0 e f 00( 7⇡6

+ 2k⇡) = � 3p

34

< 0,

possiamo dire che i punti �⇡6

+ 2k⇡ (risp. 7⇡6

+ 2k⇡) sono di minimo (risp. massimo) locale stretto; invece

f 00(⇡2+k⇡) = 0, dunque ancora non si puo dire nulla sulla natura di tali punti stazionari. Un ulteriore conto

da f 000(x) = 2(3 sin3 x+8 sin2 x�7 sin x�1), ed essendo f 000(⇡2+2k⇡) = 6 6= 0 e f 000(⇡

2+(2k+1)⇡) = 22 6= 0,

concludiamo che i punti ⇡2

+ k⇡ non sono estremanti locali.

Serie di Taylor e funzioni analitiche Sia A un intervallo, c 2 A ed f : A �! R diclasse C1 in A. La serie di Taylor di f di punto iniziale c e la serie numerica Serie di Taylor

+1X

n=0

f (n)(c)

n!(x � c)n = f(c) + f 0(c)(x � c) +

f 00(c)2!

(x � c)2 +f 000(c)

3!(x � c)3 + · · ·

(Quando il punto iniziale e c = 0, la serie e detta di McLaurin.) Dalla formula di Taylorcon resto di Peano (Teorema 3.3.11(i)) sappiamo che per la ridotta k-esima della serie di

Corrado Marastoni 138

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Analisi Matematica I

Taylor si ha f(x) =Pk

n=0f (n)(c)

n! (x� c)n + oc((x� c)k); tuttavia, non e chiaro ne per qualix 2 A converga tale serie (oltre, naturalmente, a x = c, in cui la somma e f(c)) ne se, perun x in cui la serie converge, la somma coincida e↵ettivamente con f(x) o no.

Esempio. La funzione f : R �! R data da f(x) = e� 1

|x| (se x 6= 0) e f(x) = 0 (se x 0) e di classe C1(la funzione e pari, ed il limite per x �! 0 delle derivate di ogni ordine in x 6= 0 e sempre nullo: se x > 0 si

ha f 0(x) = 1x2 e�

1x , f 00(x) = (� 2

x3 + 1x4 )e�

1x , ..., con limx�!0+ f 0(x) = limx�!0+ f 00(x) = · · · = 0). Essendo

f (n)(0) = 0 per ogni n � 0, la serie di Taylor di f centrata in 0 e identicamente nulla, mentre la funzione

f(x) e nulla solo per x = 0. In questo caso, dunque, la serie di Taylor di f centrata in c = 0 converge

banalmente per ogni x 2 R, ma essa non ha nulla a che vedere col valore della funzione nei punti x 6= c.

La funzione f si dira analitica (o sviluppabile in serie di Taylor, o di classe C!) nel punto Funzioneanalitica

c se esiste un � > 0 tale che la serie di Taylor di f centrata in c converga ad f(x) perogni x 2 Bc(�) (ovvero tale che |x � c| < �); il supeR di tali � > 0 si dira allora raggio diconvergenza della serie di Taylor di f centrata in c. Come visto nell’esempio precedente,vi sono delle funzioni C1 che non sono analitiche; tuttavia, la gran parte delle funzionicostruite a partire da funzioni elementari sono analitiche (cio che varia sensibilmente epiuttosto il raggio di convergenza, che dipende dalla funzione f considerata e dal puntoc attorno al quale si sta sviluppando). Citiamo, senza dimostrazione, il seguente criterio,che mostra l’analiticita delle funzioni elementari (potenze, esponenziale, logaritmo, seno,coseno, tangente, arcotangente,...) in ogni punto del loro dominio di derivabilita.

Proposizione 3.3.13. (Condizione su�ciente per l’analiticita) Sia A un intervallo, c 2 Aed f : A �! R di classe C1 in A. Se esistono L > 0 e � > 0 tali che |f (k)(x)| Lk perogni k 2 N ed ogni x 2 A tale che |x � c| < �, allora f e analitica in c (con raggio diconvergenza � �).

Corrado Marastoni 139

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Analisi Matematica I

3.4 Studio dell’andamento di una funzione

Abbiamo ormai sviluppato gli strumenti necessari per studiare le funzioni reali di unavariabile reale f : Af �! R (ove Af ⇢ R rappresenta il dominio naturale di f , vedi pag. 87)in modo dettagliato, con lo scopo finale di tracciarne il grafico

�f = {(x, y) 2 R2 : x 2 Af , y = f(x)} ⇢ R2.

Diamo subito uno schema di massima dei punti da determinare in questo studio:

(1) dominio naturale Af ;

(2) eventuali periodicita di f ;

(3) eventuali parita di f ;

(4) continuita di f ;

(5) limiti interessanti di f ;

(6) limitatezza di f ;

(7) intersezioni del grafico �f con gli assi coordinati;

(8) segno di f ;

(9) asintoti di f , e loro eventuali intersezioni col grafico �f ;

(10) derivabilita di f , e calcolo di f 0;

(11) punti stazionari di f ;

(12) crescenza di f ;

(13) estremanti locali di f ;

(14) derivabilita ulteriore di f , e calcolo di f 00;

(15) punti stazionari di f 0;

(16) convessita di f ;

(17) punti di flesso di f , e calcolo della “tangente inflessionale”;

(18) descrizione della regolarita di f .

Molti di questi punti sono gia chiari, altri meno, altri ancora no: in ogni caso, li trattiamouno ad uno nel seguito.

(1) Il dominio naturale Af della funzione puo essere esplicitamente assegnato nel caso incui f e definita punto per punto, oppure, se f e descritta solo tramite la sua espressionealgebrica, esso e per definizione il piu grande sottoinsieme di f in tutti i punti del qualetale espressione ha senso (vedi pag. 87).

Esempio. Se si definisce f(x) =

8>>><>>>:

px4 � 3 (se x < �2)

sin x (se �2 x < 1)px4 � 3 (se 0 x 3

2)p

6 (se x = 3)

e gia stabilito che sia Af = R<1 [ [0, 32] [ {3},

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mentre se si da solo l’espressione g(x) =p

1+log xx2�5

si intende che Ag sia definito dal sistema

⇢1 + log x � 0x > 0

x2 � 5 6= 0,

ovvero Ag = R� 1e

\ {p

5}.

(2) Si tratta di vedere se f e una funzione periodica (vedi pag. 89). In tal caso, denotatocon ⌧f > 0 il periodo di f , bastera studiare f in un tratto di Af ottenuto intersecando Af

con un intervallo chiuso di lunghezza ⌧f .

Esempio. f(x) = log(2 sin2 x � 1) ha dominio naturale Af = {x 2 R : | sin x| > 12}, ovvero Af =

{x 2 R : | sin x| > 12} =

Sk2Z]⇡

3+ k⇡, 2⇡

3+ k⇡[; tuttavia, essendo periodica di periodo ⌧f = ⇡, si puo

studiarla in un qualsiasi tratto ottenuto intersecando Af con un intervallo chiuso lungo ⇡, ad esempio in

Af \ [0,⇡] =]⇡3, 2⇡

3[.

(3) Si tratta di vedere se f e una funzione pari oppure dispari (vedi pag. 89). In tal caso,bastera studiare la funzione in Af \ R�0.

(4) Vanno determinati i punti di Af in cui f e continua.

(5) Vanno calcolati i limiti di f nei punti di accumulazione di Af in eR che non stannoin Af , e in tutti i punti di Af in cui f e discontinua. Se tali punti stanno in R (cioe, sesono diversi da ±1), bisogna aver cura di considerare distintamente i limiti a destra ed asinistra, perche essi possono essere diversi.

Esempio. Per la funzione f(x) = xp1�x

e1x , in cui si ha Af = (R<1)\{0}, i limiti interessanti sono in �1,

0�, 0+ e 1� (e valgono rispettivamente �1, 0�, +1 e +1).

(6) Le intersezioni del grafico �f con l’asse x sono date dalle soluzioni dell’equazionef(x) = 0 in Af , ovvero sono i punti {(x, 0) 2 R2 : x 2 Af , f(x) = 0}; se 0 sta nel dominioAf , l’asse y e �f si intersecano ovviamente nell’unico punto (0, f(0)).

(7) Si tratta di determinare i tratti del dominio Af in cui la funzione e positiva o negativa,ovvero A±

f = {x 2 Af : f(x) ? 0}. Si noti che cio permette una verifica incrociata con ilcalcolo dei limiti interessanti, in cui capita a volte di azzeccare che si tratta di un infinito,finito o infinitesimo ma di sbagliare il segno.

Esempio. Se f(x) = (x�3)e�1x , essendo A+

f = R>3 e A�f = (R<3)\{0} si e certi che limx�!�1 f(x) = �1,

limx�!0� f(x) = �1, limx�!0+ f(x) = 0� e limx�!+1 f(x) = +1.

(8) La funzione e (superiormente/inferiormente) limitata se tale e la sua immagine.Dunque, ad esempio, f e limitata se esiste M > 0 tale che |f(x)| M per ogni x neldominio Af ; naturalmente, cio non e vero se uno dei limiti interessanti e 1.

Esempio. Se f(x) = sin g(x) oppure f(x) = 11+g(x)2

allora certamente vale |f(x)| 1 per ogni x

nel dominio Af = Ag; se f(x) = arctg2 g(x) allora |f(x)| (⇡2)2 = ⇡2

4per ogni x 2 Af = Ag; se

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f(x) =p

4 � g(x)2 allora |f(x)| 2 (anzi, in questo caso, 0 f(x) 2) per ogni x 2 Af = {x 2 Ag :

4 � g(x)2 � 0} = {x 2 Ag : |g(x)| 2}.

(9) Nell’uso comune, sono detti asintoti di f(x) le curve del piano “alle quali il graficotende indefinitamente” quando la variabile x tende a uno degli infiniti. La definizioneprecisa e generale e pero la seguente: una funzione ef definita in un intorno di c 2 eR eun asintoto per f in c se f � ef = oc(1), ovvero se f � ef e infinitesima in c. Si noti che Asintoto

questa nozione (che e evidentemente una relazione di equivalenza) e distinta da quella di“asintoticita”: se ad esempio f(x) = x e ef(x) = x+1 le funzioni f e ef sono asintotichea +1 ma f non e asintoto per ef (il resto ef � f = 1 e o+1(f) ma non e infinitesimo); seinvece f(x) = 1

x2 e �(x) = x+1x2 , f e asintoto per ef ma f e ef non sono asintotiche (il

resto ef � f = 1x e infinitesimo ma non e o+1(f), anzi vale il contrario).

Determinare un asintoto per f diciamo a +1 puo essere utile per meglio comprenderel’andamento di f(x) quando x tende verso +1, e dunque per tracciare il grafico conmaggiore accuratezza. Gli asintoti piu importanti sono ovviamente, per la loro semplicita,le funzioni polinomiali ef(x) = anxn + · · · + a1x + a0 (di grado n se an 6= 0), e dunque inparticolare le costanti ef(x) ⌘ k, le lineari ef(x) = mx+q, le quadratiche ef(x) = ax2+bx+c(i cui grafici, come sappiamo, sono rispettivamente una retta non parallela all’asse y eduna parabola con asse parallelo all’asse y), le cubiche, le quartiche e cosı via. Come capirese e quando una di queste funzioni puo essere un asintoto per f? Vediamo ad esempio perle rette.

Proposizione 3.4.1. y = mx + q (con m, q 2 R) e asintoto per f a ±1 se e solo sevalgono le seguenti due condizioni:

(c0) limx�!±1f(x)

x esiste finito e vale m;

(c1) limx�!±1(f(x) � mx) esiste finito e vale q.

Dimostrazione. Per definizione y = mx + q e asintoto per f a ±1 se e solo se f(x) = mx + q + o±1(1) da

cui f(x)x

= m + qx

+ o±1( 1x), da cui limx�!±1

f(x)x

= m; essendo poi q = f(x) � mx + o+1(1), passandoal limite si ricava q = limx�!±1(f(x) � mx). Viceversa, da limx�!±1(f(x) � mx) = q si ricava subitolimx�!±1

�f(x) � (mx + q)

�= 0.

Se y = mx + q e asintoto per f e m = 0 (ovvero se si ha una retta della forma y = k,parallela all’asse x) cio equivale a chiedere che sia limx�!±1 f(x) = k e si dira che la rettay = k e un “asintoto orizzontale a ±1”; se invece m 6= 0, e d’uso dire che y = mx + qe un “asintoto obliquo” per f a ±1. Osserviamo che, nell’importante caso in cui f siauna funzione razionale fratta (ovvero f(x) = p(x)

q(x) con p, q polinomi, di grado diciamo

rispettivamente r, s � 0), il caso tipico in cui f ammette asintoto orizzontale e quandor = s, ed il caso tipico in cui f ammette asintoto obliquo e quando r = s + 1.Inoltre, se c 2 R e un punto di accumulazione per Af tale che limx�!c� f(x) = 1 (risp.tale che limx�!c+ f(x) = 1) e d’uso anche dire che la retta x = c e un “asintoto verticalesinistro” (risp. “destro”) per f , e che e un “asintoto verticale bilatero” se e asintotoverticale sia sinistro che destro.

Una volta compreso il caso delle rette, anche per i polinomi di grado superiore il problema

Corrado Marastoni 142

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Figura 3.14: Asintoti lineari e quadratici.

diventa piu comprensibile, e la funzione ef(x) = anxn + · · · + a1x + a0 sara asintoto per fa ±1 se e solo se valgono le seguenti n + 1 condizioni:

(cn) limx�!±1f(x)xn esiste finito e vale an;

(cn�1) limx�!±1f(x)�anxn

xn�1 esiste finito e vale an�1;

...

(c1) limx�!±1f(x)�anxn�···�a2x2

x esiste finito e vale a1;

(c0) limx�!±1(f(x) � anxn � · · · � a2x2 � a1x) esiste finito e vale a0.

Nella pratica, spesso si intendono e ricercano come “asintoti” solo le rette, accorgendosioccasionalmente di qualche asintoto polinomiale di grado superiore (ad esempio, tornando

al caso della funzione razionale fratta f(x) = p(x)q(x) con p, q di grado rispettivamente r, s � 0,

il caso tipico in cui f ammette come asintoto una funzione polinomiale di grado n e quandor = s + n). Si ponga attenzione al fatto che, come detto, la ricerca degli asintoti a �1 ea +1 deve essere indipendente.

Esempio. La funzione f(x) = ex � xx�1

ha asintoto orizzontale y = �1 a �1 e non ammette asintoti a

+1; la funzione g(x) =p

x2 + 1 � x tende a 0+ quando x �! +1 (e dunque y = 0 e asintoto orizzontale

a +1) mentre limx�!�1 g(x)x

= �2 e limx�!�1�g(x)� (�2)x

�= 0, e percio y = �2x e asintoto obliquo a

�1.

Infine, osserviamo che per gli asintoti (che diventano significativi solo verso �1 e/oppureverso +1) puo essere utile calcolare le eventuali intersezioni del grafico di f con quellodell’asintoto ef , ovvero risolvere il sistema tra l’equazione dell’asintoto y = ef(x) e quelladella funzione y = f(x).

(10) Si determinano i punti di Af in cui f e derivabile (eventualmente solo a sinistra osolo a destra).

(11) I punti stazionari di f sono, per definizione, i punti di Af in cui la derivata esiste(bilatera: dunque in particolare devono essere punti interni di Af ) ed e nulla: ovvero, sonole soluzioni di f 0(x) = 0 nell’interno di Af . Come si e visto, gli estremanti locali in cui f

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e derivabile si trovano tra questi punti, ma non e detto che un punto stazionario sia unestremante locale per f : esso potrebbe essere semplicemente un punto in cui la tangenteal grafico ha pendenza nulla. Serve dunque determinare la natura dei punti stazionari dif , e cio si fa solitamente nel passo che segue, in cui si studia la crescenza di f .

(12)-(13) Si vogliono determinare le “zone del dominio” in cui f e (strettamente) crescenteoppure decrescente: a tal fine useremo correntemente la Proposizione 3.3.6 e tutti i puntidella Proposizione 3.3.7, che invitiamo ad andare a rileggere con attenzione. Si tratta, neicasi piu comuni in cui le funzioni sono derivabili dappertutto o quasi, di studiare il segnodi f 0, ovvero la disequazione f 0(x) > 0, ed applicare tali risultati: cio permette anche,nella grande maggioranza dei casi, di determinare la natura dei punti stazionari.

Esempio. Se f(x) = x2, si ha f 0(x) = 2x e dunque l’unico punto stazionario e x0 = 0. La disequazione

f 0(x) > 0 e soddisfatta se e solo se x > 0, dunque per la Proposizione 3.3.7 f e strettamente decrescente

(risp. strettamente crescente) se e solo se x < 0 (risp. per x > 0), e per la Proposizione 3.3.6 cio mostra

che il punto stazionario x0 = 0 e un punto di minimo locale stretto, come ovviamente gia sapevamo (e

anche un minimo globale stretto). Se invece g(x) = x3, poiche g0(x) = 3x2 l’unico punto stazionario e

ancora x0 = 0, ma qui la disequazione g0(x) > 0 e soddisfatta per ogni x 6= 0, e dunque per la Proposizione

3.3.7(iv) f e strettamente crescente in tutto il suo dominio R: pertanto x0 = 0, non puo essere ne massimo

ne minimo locale.

(14) Se f e derivabile due volte, come vedremo anche la derivata seconda f 00, in quantoderivata della derivata (e dunque, in quanto “studio della variazione della pendenza”) dainteressanti informazioni sull’andamento di f . E dunque il caso di determinare i punti diAf in cui f e derivabile due volte, calcolare tale derivata.

(15) I punti stazionari di f 0 sono i punti di derivabilita di f 0 in cui f 00 = (f 0)0 esiste ede nulla: ovvero, le soluzioni di f 00(x) = 0. Si tratta dei punti in cui “l’andamento dellapendenza della funzione diventa stazionario”. Che cosa significa? Si tratta della nozionedi convessita, che andiamo ad introdurre qui sotto.

(16) Un sottoinsieme D ⇢ Rn e detto “convesso” se per ogni coppia di punti di D il seg-mento che li unisce e tutto contenuto in D, ovvero per ogni x0, x1 2 D vale [x0, x1] = {x0+t(x1�x0) : t 2 [0, 1]} ⇢ D. Se A ⇢ Af e un intervallo, si dice che f e convessa in A se il sot-toinsieme di R2 “sopragrafico di f” dato da �+

f = {(x, y) 2 R2 : y � f(x)} e convesso in R2:

ora, poiche la retta passante per (a, f(a)) e (b, f(b)) e data da y = f(a) + f(b)�f(a)b�a (x� a),

chiaramente la convessita di f in A equivale al richiedere che per ogni a, b 2 A con a < bvalga f(x) f(a) + f(b)�f(a)

b�a (x � a) per ogni x 2]a, b[. Se tale disuguaglianza e stretta

(ovvero, se per ogni a, b 2 A con a < b vale f(x) < f(a)+ f(b)�f(a)b�a (x�a) per ogni x 2]a, b[)

si dira che f e strettamente convessa in A. Diciamo anche che, reciprocamente, f e dettaconcava o strettamente concava in A se valgono le disuguanze opposte.Non e di�cile osservare che “convessita” e “concavita” significano rispettivamente “pen-denza crescente” e “pendenza decrescente”: dunque appare naturale la seguente

Corrado Marastoni 144

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Proposizione 3.4.2. Sia A ⇢ Af un intervallo aperto su cui f sia derivabile. Allora f econvessa (risp. strettamente convessa) in A se e solo se f 0 e crescente (risp. strettamentecrescente) in A.

In particolare, se esiste f 00 = (f 0)0 in A, allora f e convessa (risp. strettamente convessa)in A se e solo se f 00(x) � 0 per ogni x 2 A (risp. f 00(x) � 0 per ogni x 2 A ed ilsottoinsieme {x 2 A : f 00(x) = 0} di A e privo di punti interni),

Enunciati analoghi valgono sostituendo “f convessa”, “f 0 crescente” e “f 00 � 0” rispetti-vamente con “f concava”, “f 0 decrescente” e “f 00 0”.

Dimostrazione. (Necessita) Per a, b 2 A con a < b consideriamo la “funzione di convessita” ga,b : [a, b] �! Rdata da ga,b(x) = f(x) �

⇣f(a) + f(b)�f(a)

b�a(x � a)

⌘(dunque si ha ga,b ? 0 a seconda che f sia concava

o convessa; si noti che ga,b(a) = ga,b(b) = 0). Supponiamo f convessa, ovvero ga,b(x) 0 per ogni a, b eda < x < b, e proviamo che f 0(a) f 0(b). Iniziamo col notare che deve essere g0a,b(a) 0 (infatti, essendo

ga,b(a) = 0 e ga,b(x) 0, si ha che il rapporto incrementalega,b(x)�ga,b(a)

x�ae 0 all’intorno destro di a, e

dunque tale resta anche il suo limite per il teorema del confronto): ma, essendo g0a,b(x) = f 0(x)� f(b)�f(a)b�a

,

cioe significa che f 0(a) f(b)�f(a)b�a

. In modo simile si prova che g0a,b(b) � 0, ovvero f(b)�f(a)b�a

f 0(b):

ma allora f 0(a) f(b)�f(a)b�a

f 0(b), da cui f 0(a) f 0(b) come richiesto. Se f 0 fosse crescente ma non

strettamente, esisterebbero a, b tali che g0a,b ⌘ 0 e dunque tali che ga,b e costante, e cio direbbe che f econvessa ma non strettamente. • (Su�cienza) Supponiamo ora che valga f 0(a) f 0(b) per ogni a, b cona < b, e proviamo che f e convessa. Presi dunque a, b con a < b, notiamo subito che, essendo f 0 crescente,anche g0a,b = f 0 � f(b)�f(a)

b�ae crescente; inoltre, poiche ga,b(a) = ga,b(b) = 0, per il Teorema di Rolle esiste

c 2]a, b[ tale che g0a,b(c) = 0, e dunque g0a,b(x) 0 per x 2]a, c] e g0a,b(x) � 0 per x 2 [c, b[, ovvero ga,b edecrescente in ]a, c] e crescente in [c, b[. Ma allora 0 = ga,b(a) � ga,b(x) per x 2]a, c] e ga,b(x) ga,b(b) = 0per x 2 [c, b[, ovvero ga,b(x) 0 per ogni x 2]a, b[, che e quanto si voleva. Se inoltre f 0 e strettamentecrescente, le precedenti disuguaglianze sono strette e dunque f e strettamente convessa. • Le a↵ermazionifatte nel caso in cui esista f 00 = (f 0)0 in A discendono allora subito dalla Proposizione 3.3.7(iv). Per laconcavita i ragionamenti sono gli stessi.

Figura 3.15: Convessita e flessi.

(17) Un punto c 2 Af interno ad Af si dira flesso se f “cambia la convessita in c”, ovverose esiste � > 0 tale che f e convessa in B�

c (�) = [c � �, c] e concava in B+c (�) = [c, c + �],

o viceversa. I punti in cui f e derivabile due volte si trovano tra i punti stazionari dif 0 (perche, da quanto si e detto, deve essere f 00

�(c) � 0 e f 00+(c) 0 o viceversa). Una

volta appurato che un punto c e un flesso per f , ai fini di un disegno accurato del grafico�f puo essere interessante determinare la retta tangente al grafico in (c, f(c)) (ovvero

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y = f(c) + f 0(c)(x � c)), detta tangente inflessionale. Tornando per un attimo ai puntistazionari di f (cioe, tali che f 0(x) = 0), e abbastanza chiaro che se essi non sono estremantilocali, essi saranno assai probabilmente dei flessi (detti magari “orizzontali” per distinguerlidagli altri, detti “obliqui”), anche se cio non e sempre vero.

Esempio. f : R �! R data da f(x) = x2 sign x sin2 1x

per x 6= 0 e f(0) = 0 e continua (perche

limx�!0 f(x) = 0) e anzi derivabile (infatti, controllando in 0, vale lim⇠�!0f(⇠)�f(0)

⇠�0= lim⇠�!0 |⇠| sin2 1

⇠= 0

e dunque f 0(0) = 0) anche se non di classe C1 (infatti limx�!0 f 0(x) non esiste); il punto 0 e stazionario

ma non e un estremante (perche f(0) = 0, f(x) 0 per x < 0 e f(x) � 0 per x > 0), ma non e neppure

un flesso (perche in ogni intorno a sinistra e a destra di 0 la convessita continua a cambiare).

(18) Si tratta di determinare la classe di regolarita globale di f , ed eventualmente le zonedel dominio in cui la regolarita e migliore.

Esempio. f(x) =n

x2 � x (se x < 1)

� 1⇡

sin(⇡x) (se x � 1)e di classe C1 (infatti nel punto 1 essa e derivabile perche

f 0�(1) = 1 = f 0+(1) e la funzione derivata f 0(x) = 2x � 1 (per x < 1), f 0(1) = 1 e f 0(x) = � cos(⇡x) (per

x > 1) e continua ma non e derivabile in 1 perche f 00�(1) = 2 mentre f 00+(1) = 0), mentre su R \ {1} essa e

chiaramente di classe C1.

Se si vuole, si puo anticipare alcune di queste valutazioni di regolarita gia al momento diparlare di continuita: ad esempio, nel caso in questione si poteva a↵ermare senza dubbiogia da subito che la funzione f era di classe C1 su R \ {1}, mentre per il comportamentoin 1 bisognava attendere di aver calcolato le derivate sinistra e destra.

Prima di dare diversi esempi di studio dell’andamento di una funzione, sara il caso diprepararsi nella mente i grafici delle funzioni piu semplici. Daremo dunque per scontatoche si sappiano tracciare e pensare senza di�colta:

• I grafici delle funzioni elementari, ovvero delle potenze x↵, dell’esponenziale ax,del logaritmo loga x, delle funzioni goniometriche sin x, cos x, tg x, cotg x e delleloro inverse arcsin x, arccos x, arctg x e arccotg x, delle funzioni iperboliche sinh x ecosh x, del modulo |x| e del modulo delle funzioni elementari, e delle traslate verticalidelle funzioni elementari, cioe del tipo f(x) + k con k costante reale.(106)

• I grafici delle suddette funzioni, in cui la variabile x sia traslata (eventualmente colmodulo). Si veda anche a pag. 90.

Esempio. La funzione 1px+3

= (x+3)�12 , definita per x � �3, ha come grafico quello di x�

12 = 1p

x

traslato “a destra di �3”, ovvero a sinistra di 3; mentre log |x � 1| e definita per x 6= 1, ed il suo

grafico e quello di log x prima traslato a destra di 1 e poi simmetrizzato rispetto alla retta x = 1.

• I grafici delle funzioni lineari y = mx + q e quadratiche y = ax2 + bx + c, che sonorispettivamente rette e parabole.

(106)Ovviamente, il grafico del modulo di una funzione f(x) si ottiene dal grafico originale di f riflettendorispetto all’asse x quelle parti di grafico che si trovano al di sotto dell’asse; ed il grafico della funzionef(x) + k e quello di f traslato verticalmente di k.

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• I grafici delle funzioni “omografiche” del tipo f(x) = ax+bcx+d con a, b, c, d 2 R e c 6= 0:

si tratta, come si vede subito, di iperboli con asintoti le rette x = �dc e y = a

c .

Esercizio. Studiare l’andamento e tracciare il grafico delle seguenti funzioni:

(1) f(x) =x2

x � 1; (2) f(x) =

x3

x + 1; (3) f(x) = sin x +

1

2sin 2x; (4) f(x) = log |x � 1| +

p|x|

(5) f(x) =

8>>><>>>:

x2 + 5x + 6 (se x < �1)

�x + 1 (se �1 < x < 0)p3 + 2x � x2 (se 0 x 3)

0 (se 3 < x < 5)

; (6) f(x) =p

x2 � x; (7) f(x) = x log2x

x � 1;

(8) f(x) = arctgx �

p3

x � 3; (9) f(x) = log(1 � tg x); (10) f(x) = arctg

log |x � 2|x

; (11) f(x) =(x � 1)2

log |x| ;

(12) f(x) = arctg|x|

x + 2+

x

2; (13) f(x) =

x � |x � 2|2x + |x + 1| ; (14) f(x) = log

�1+e

x2+1x�; (15) f(x) = (x�1)e

1x .

Risoluzione. Per ogni funzione seguiremo lo schema proposto all’inizio del presente paragrafo (dominionaturale, eventuale periodicita,...).

Figura 3.16: Grafico di (1) f(x) = x2

x�1, (2) f(x) = x3

x+1, (3) f(x) = sin x + 1

2sin 2x.

(1) [f(x) = x2

x�1, vedi Figura 3.16(a)] Il dominio e Af = R \ {1}; la funzione non ha periodicita e parita

(infatti f(�x) = (�x)2

(�x)�1= � x2

x+1in generale e diversa sia da f(x) che da �f(x)); essa e continua in

tutto il dominio (perche ottenuta tramite operazioni e/o composizione da funzioni continue, cosa chenon ripeteremo piu in futuro); i limiti interessanti sono limx�!⌥1 f(x) = ⌥1, limx�!1⌥ f(x) = ⌥1;l’equazione f(x) = 0 da x = 0, e dunque f(0) = 0; la disequazione f(x) > 0 da x > 1, e dunque f(x) < 0per x < 1 e x 6= 0; come visto, x = 1 e asintoto verticale bilatero e non ci sono asintoti orizzontali, mentrelimx�!⌥1 f(x)

x= 1 e limx�!⌥1(f(x) � (1)x) = 1 da cui la retta y = x + 1 e asintoto obliquo a ±1,

mentre f(x) = x + 1 non ha soluzioni e dunque non vi sono intersezioni tra l’asintoto e �f . La funzionee derivabile in tutto il dominio (ancora, perche ottenuta tramite operazioni e/o composizione da funzioni

derivabili, cosa che non ripeteremo piu in futuro) con derivata f 0(x) = x(x�2)

(x�1)2; si ottengono dunque i punti

stazionari x = 0 e x = 2. La disequazione f 0(x) > 0 vale se e solo se x < 0 oppure x > 2: pertanto f estrettamente crescente in R<0 e R>2 e strettamente decrescente in ]0, 2[, da cui si ricava che x = 0 e un

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punto di massimo locale stretto (con valore f(0) = 0) e x = 2 un punto di minimo locale stretto (con valoref(2) = 4). La funzione e derivabile ulteriormente in tutto il dominio con derivata seconda f 00(x) = 2

(x�1)3:

vale f 00(x) 6= 0, e f 00(x) ? 0 se e solo se x ? 1, dunque f e strettamente concava per x < 1, strettamenteconvessa per x > 1 e priva di flessi. Infine e chiaro che f e di classe C1 su tutto il dominio.

(2) [f(x) = x3

x+1, vedi Figura 3.16(b)] Il dominio e Af = R\{�1} e non vi sono periodicita e parita; la fun-

zione e di classe C1 su tutto il dominio. I limiti interessanti sono limx�!⌥1 f(x) = +1, limx�!�1⌥ f(x) =±1; l’equazione f(x) = 0 da x = 0, e dunque f(0) = 0; la disequazione f(x) > 0 e soddisfatta se esolo se x < �1 oppure x > 0, e dunque f(x) < 0 per �1 < x < 0. x = �1 e asintoto verticale bi-latero e non ci sono asintoti orizzontali e obliqui; tuttavia, essendo f una funzione razionale fratta colgrado del numeratore superiore di 2 a quello del denominatore, e sensato attendersi l’esistenza di un as-

intoto quadratico y = ax2 + bx + c. Si ha infatti a = limx�!⌥1 f(x)

x2 = 1, b = limx�!⌥1 f(x)�x2

x= �1

e c = limx�!⌥1(f(x) � x2 + x) = 1, da cui l’asintoto y = x2 � x + 1, privo di intersezioni con f . La

derivata e f 0(x) = x2(2x+3)

(x+1)2; si ottengono dunque i punti stazionari x = � 3

2e x = 0. La disequazione

f 0(x) > 0 vale se e solo se x > � 32

(e x 6= �1): pertanto f e strettamente crescente in R>� 32

\ {�1} e

strettamente decrescente in R<� 32, da cui si ricava che x = � 3

2e un punto di minimo locale stretto (con

valore f(� 32) = 27

4⇠ 6, 7) mentre x = 0 non e un punto di estremo locale. Vale poi f 00(x) = 2x(x2+3x+3)

(x�1)3,

percio f 00(x) = 0 se e solo se x = 0 e f 00(x) > 0 (ovvero f strettamente convessa) se e solo se x < �1oppure x > 0: pertanto si ha un flesso (orizzontale) in x = 0.

(3) [f(x) = sin x + 12

sin 2x, vedi Figura 3.16(c)] La funzione e definita e di classe C1 su tutto R, eperiodica di periodica 2⇡; inoltre essa e dispari. Pertanto sara su�ciente studiarla su [�⇡,⇡] \ R�0 =[0,⇡]. La funzione e limitata, perche |f(x)| = | sin x + 1

2sin 2x| | sin x| + 1

2| sin 2x| 1 + 1

2= 3

2.

Non vi sono limiti interessanti; notiamo che vale f(x) = sin x + sin x cos x = sin x(1 + cos x), e pertantof(x) = 0 se e solo se sin x oppure cos x = �1, cioe x = 0 o x = ⇡, e f(x) > 0 in ]0,⇡[. La derivata ef 0(x) = cos x + cos 2x = 2 cos2 x + cos x � 1 = (2 cos x � 1)(cos x + 1); dunque f 0(x) = 0 per cos x = �1(ovvero x = ⇡) oppure cos x = 1

2(ovvero x = ⇡

3), e f 0(x) > 0 per cos x > 1

2, ovvero 0 x < ⇡

3, e ne

ricaviamo che x = ⇡3

e un punto di massimo locale (con f(⇡3) = 3

p3

4⇠ 1, 3) mentre x = ⇡ non e un

estremante locale. Si ha infine f 00(x) = � sin x + 2 sin 2x = � sin x(4 cos x + 1), da cui f 00(x) = 0 se esolo se sin x = 0 (ovvero x = 0,⇡) oppure cos x = � 1

4(ovvero x = ↵ := arccos(� 1

4) ⇠ 1, 82), e, essendo

sin x > 0 in ]0,⇡[, si ha f 00(x) > 0 (ovvero f e strettamente convessa) se e solo se cos x < � 14, cioe

↵ < x < ⇡. Pertanto x = 0, x = ↵ e x = ⇡ sono tutti flessi. In x = 0 e x = ↵ si hanno flessi obliqui,

con f(0) = 0, f(↵) =q

1 � (� 14)2(1 + (� 1

4)) = 3

p15

16⇠ 0, 72 e tangenti inflessionali di pendenze f 0(0) = 2

e f 0(↵) = 2(� 14)2 + (� 1

4) � 1 = � 9

8⇠ �1, 1; invece in x = ⇡ si ha un flesso orizzontale, con f(⇡) = 0.

Per disegnare il grafico con maggior cura, naturalmente si puo calcolare f anche in altri punti scelti: adesempio, f(⇡

2) = 1.

Figura 3.17: Grafico di (4) f(x) = log |x�1|+p

|x|, (5) f(x) = x2 +5x+6 (se x < �1), �x+1 (se �1 < x < 0),p3 + 2x � x2 (se 0 x 3), 0 (se 3 < x < 5), (6) f(x) =

px2 � x.

Corrado Marastoni 148

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(4) [f(x) = log |x � 1| +p

|x|, vedi Figura 3.17(a)] Il dominio e dato dalle condizioni |x � 1| > 0 e|x| � 0, ovvero x 6= 1; la funzione e di classe C1 in R<0, in ]0, 1[ e in R>0, ed e di certo continua anchein x = 0, in cui vale f(0) = 0. Non ci sono periodicita ne parita. I limiti interessanti sono facilmentelimx�!⌥1 f(x) = +1 e limx�!1⌥ f(x) = �1. Per determinare i punti in cui f(x) = 0 e f(x) > 0, in questocaso e conveniente usare il metodo di confronto dei grafici: infatti f(x) � 0 se e solo se log |x�1| � �

p|x|,

e si ricava l’esistenza di due punti a, b con 0 < a < 1 < b < 2 tali che f(x) = 0 se e solo se x = 0,x = a oppure x = b, e f(x) > 0 se e solo se x < 0, 0 < x < a oppure x > b. La retta x = 1 e unasintoto verticale bilatero, mentre non vi sono asintoti lineari. Per la derivabilita ci resta solo il dubbioin x = 0. La cosa piu semplice e calcolare la derivata negli altri punti, e vedere se i suoi limiti destro esinistro per x �! 0: infatti (vedi Proposizione 3.3.9) se esistono finiti, essi saranno rispettivamente f 0+(0)e f 0�(0), e se invece uno o entrambi esistono ma sono infiniti allora la corrispondente derivata non esiste.In e↵etti, per x 6= 0, 1 si ha f 0(x) = 1

x�1+ sign x

2p

|x|e dunque limx�!⌥ f 0(x) = ⌥1, da cui ricaviamo che

f e continua ma non derivabile in 0. Ora, al fine di studiare f 0(x) � 0 notiamo che f 0(x) < 0 per ogni

x < 0: percio possiamo supporre che sia x > 0, e dunque f 0(x) = x+2p

x�12p

x(x�1). Ponendo

px = t > 0, si

deve studiare t2+2t�12t(t2�1)

� 0, che equivale a t2+2t�1t�1

� 0: vale = 0 se e solo se t2 + 2t � 1 = 0, ovvero

t =p

2 � 1 da cui x = ↵ := 3 � 2p

2 ⇠ 0, 17, e > 0 se e solo se 0 < t <p

2 � 1 oppure t > 1, ovvero see solo se 0 < x < ↵ oppure x > 1, ovvero per x > 0 la funzione f e strettamente crescente in ]0,↵[ e inR>1 e strettamente decrescente in ]↵, 1[, oltreche, come visto, in R<0. Pertanto x = ↵ = 3 � 2

p2 e un

punto di massimo locale (con f(↵) ⇠ 0, 22); inoltre, sebbene f non vi sia derivabile, dalle considerazionifatte possiamo anche dire che 0 e un punto di minimo locale (con f(0) = 0). Derivando ulteriormente,

si ha f 00(x) = � 1(x�1)2

+ sign x2

(� 12)|x|� 3

2 sign x = � 1(x�1)2

� 1

4|x|p

|x|< 0 per ogni x 6= 0, 1, dunque f e

strettamente concava.

(5) [f(x) = x2 + 5x + 6 (se x < �1), �x + 1 (se �1 < x < 0),p

3 + 2x � x2 (se 0 x 3), 0 (se3 < x < 5), vedi Figura 3.17(b)] La funzione e definita a tratti, e notiamo che in ciascuno di questi trattila relativa definizione ha senso (serve solo controllare

p3 + 2x � x2, in cui il radicando 3 + 2x � x2 e

� 0 se e solo se x 2 [�1, 3], intervallo che contiene [0, 3]): dunque il dominio e definito d’autorita comeR<�1[ ]�1, 0[[ [0, 3][ ]3, 5[= R<5\{�1}. La funzione e certamente di classe C1 in R<5\{�1, 0, 3}. Si notiche f non e definita in �1 e dunque e privo di senso chiedersi se f sia ivi continua o no; tuttavia, essendolimx�!�1� f(x) = limx�!�1+ f(x) = 2, si potrebbe prolungare f per continuita ponendo f(�1) := 2.Invece f e definita in 0 come f(0) =

p3, pero limx�!0� f(x) = 1 e diverso da f(0) = limx�!0+ f(x) =p

3 e dunque f e discontinua in 0. Infine, f e definita in 3 come f(3) = 0, ed e ivi continua essendolimx�!3� f(x) = f(3) = limx�!3+ f(x) = 0. Ricapitolando, f e continua in tutto il dominio R<5 \ {�1}tranne che in 0. Per i limiti interessanti abbiamo ancora limx�!�1 f(x) = +1. Vale f(x) = 0 se e solose x = �3, x = �2 e x � 0, e f(x) > 0 se e solo se x < �3, �2 < x < �1 e x > �1. In R<5 \ {�1, 0, 3}la derivata f 0(x) vale 2x + 5 (per x < �1), �1 (per �1 < x < 0), 1�xp

3+2x�x2(per 0 < x < 3) e 0 (per

x > 3); resta da vedere se f sia derivabile anche in x = 3, ma cio non e vero perche limx�!3� f 0(x) = �1(ricordare sempre la Proposizione 3.3.9). La derivata e nulla per x = � 5

2, x = 1 e x > 0, strettamente

positiva (e dunque f strettamente crescente) se e solo se � 52

< x < �1, 0 < x < 1, e strettamente negativa(e dunque f strettamente decrescente) se e solo se x < � 5

2, �1 < x < 0 e 1 < x < 3: ne ricaviamo che

x = � 52

e un punto di minimo locale stretto (con f(� 52) = � 1

4) e x = 1 un punto di massimo locale stretto

(con f(1) = 2). Per i punti x = 0, 3 bisogna esaminare in dettaglio: vale f(0) =p

3, ed in ogni intorno di0 vi sono punti in cui f(x) < f(0) (si ricordi che limx�!0� f(x) = 1) ed altri in cui f(x) > f(0) (perchef(0) = limx�!0+ f(x) e f e strettamente crescente in 0 < x < 1): dunque 0 non e un estremante localeper f . Invece x = 3 e un punto di minimo locale non stretto, perche f(x) > 0 in un intorno sinistro di 3e f(x) � 0 per x � 3. La funzione e strettamente convessa in R<1, strettamente concava in ]0, 3[ e linearein ] � 1, 0[ e R>3.

(6) [f(x) =p

x2 � x, vedi Figura 3.17(c)] Il dominio della funzione e definito da x2 � x � 0, ovvero eR0 [R�1; essa e ivi continua, e C1 nel suo interno. Non vi sono periodicita o parita. I limiti interessantisono limx�!⌥1 f(x) = +1, vale f(x) = 0 se e solo se x = 0, 1, ed e f(x) > 0 in tutti gli altri punti del suo

dominio. Si noti che vale limx�!⌥1 f(x)x

= limx�!⌥1 |x|p

1� 1x

x= ⌥1, mentre limx�!⌥1(f(x) � (⌥1)x) =

Corrado Marastoni 149

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limx�!⌥1(p

x2 � x ± x) = limx�!⌥1 �xpx2�x⌥x

= limx�!⌥1 �1

sign xp

1� 1x⌥1

= ± 12, da cui y = ⌥x ± 1

2e

asintoto obliquo in ⌥1. La derivata f 0(x) = 2x�1

2p

x2�xnon e mai nulla nel dominio, ed e f 0(x) > 0 per

x > 1 e f 0(x) < 0 per x < 0: dunque f e strettamente decrescente per x < 0 e strettamente crescente per

x > 1. La derivata seconda f 00(x) = � 14(x2 � x)�

32 e sempre < 0 nel dominio, e dunque f e strettamente

concava. (Si osservi che la funzione diventa pari col cambio di variabili X = x � 12, ovvero x = X + 1

2:

infatti essa diventa F (X) = f(X + 12) =

q(X + 1

2)2 � (X + 1

2) =

qX2 � 1

4.)

Figura 3.18: Grafico di (7) f(x) = x log 2xx+1

, (8) f(x) = arctg x�p

3x�3

, (9) f(x) = log(1 � tg x).

(7) [f(x) = x log 2xx+1

, vedi Figura 3.18(a)] Il dominio e dato dalla condizione 2xx+1

> 0, ovvero x < �1oppure x > 0; in esso la funzione e C1, e non ci sono periodicita o parita. I limiti interessanti sonolimx�!⌥1 f(x) = ⌥1, limx�!�1� f(x) = �1 e limx�!0+ f(x) = 0�.(107) Vale limx�!⌥1 f(x)

x= log 2 e

limx�!⌥1(f(x) � (log 2)x) = �1;(108) pertanto y = (log 2)x � 1 e un asintoto obliquo per f a ±1, privodi intersezioni con f .(109) Vale f(x) = 0 se e solo se x = 0 oppure 2x

x+1= 1, ovvero x = 1; studiando poi

f(x) > 0, si ha log 2xx+1

> 0 se e solo se 2xx+1

> 1 ovvero se e solo se x < �1 oppure x > 1, da cui f(x) > 0

se e solo se x > 1. La derivata e f 0(x) = log 2xx+1

+ 1x+1

; per semplificare i conti poniamo t = 2xx+1

ovvero

x = � tt�2

=: '(t) e dunque f 0(x) = log t + 1 � t2. Si ha f 0(x) = 0 se e solo se log t = t

2� 1, e cio vale

(usando il confronto grafico) se e solo se t = a, b con 0 < a < 1 e 5 < b < 6, ovvero (osservando il grafico di'(t)) se e solo se x = ↵ := a

2�aoppure x = � := � b

b�2con 1

5< ↵ < 1

2e � 5

3< � < � 3

2; e f 0(x) > 0 se e solo

se log t > t2� 1, ovvero se e solo se a < t < b, ovvero se e solo se x < � oppure x > ↵. Cio dice che x = �

(risp. x = ↵) e un punto di massimo (risp. minimo) relativo stretto; inoltre, essendo f 0(↵) = f 0(�) = 0,ricordando l’espressione di f 0(x) si ricava f(�) = � log 2�

�+1= �(� 1

�+1) = � �

�+1=: (�) (e dunque,

essendo � 53

< � < � 32, si ricava �3 = (� 3

2) < f(�) < (� 5

3) = � 5

2) e f(↵) = (↵) (e dunque, essendo

15

< ↵ < 12, si ricava � 1

3= ( 1

2) < f(↵) < ( 1

5) = � 1

6). Essendo limx�!0+ f(x) = 0� (finito), per sapere

con quale pendenza il grafico parte a destra di x = 0 e anche interessante calcolare limx�!0+ f 0(x) = �1(dunque il grafico partira con pendenza “verticale in basso”). Infine, si calcola f 00(x) = 1

x(x+1)2, e cio

mostra che f e priva di flessi ed e strettamente concava (risp. strettamente convessa) per x < �1 (risp.per x > 0).

(107)Il limite e della forma 0 · 1: ponendo 2xx+1

= t, esso diventa limt�!0+t log tt+2

= 0� (basta ricordare che

limt�!0+ t log t = 0�). Oppure, scrivendolo nella forma limx�!0+

log( 2xx+1 )

1/xe applicando de l’Hopital, esso

diventa limx�!0+

⇣� x

x+1

⌘= 0+.

(108)Infatti vale limx�!⌥1(x log 2xx+1

� (log 2)x) = limx�!⌥1 x log xx+1

= limx�!⌥1 x log�1 � 1

x

�=

limx�!⌥1 x(� 1x) = �1 (usando il fatto che t = 1

x�! 0 e lo sviluppo asintotico di log(1 + t)); oppure,

meno elegantemente, si puo applicare de l’Hopital.(109)Da f(x) = (log 2)x�1 si ricava log(1+ t) = t per t = 1

x> 0: ma le funzioni log(1+ t) e t si intersecano

solo se t = 0, e cio e impossibile.

Corrado Marastoni 150

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(8) [f(x) = arctg x�p

3x�3

, vedi Figura 3.18(b)] Il dominio e R \ {3}; la funzione non ha periodicita o parita,ed e C1 in tutto il suo dominio; inoltre, f e limitata perche |f(x)| ⇡

2per ogni x nel dominio. I limiti

interessanti sono limx�!⌥1 f(x) = ⇡4⌥ (dunque y = ⇡

4e asintoto orizzontale a ⌥1, privo di intersezioni

con f) e limx�!3⌥ f(x) = ±⇡2

±; vale f(x) = 0 per x =p

3 e f(0) = arctg(p

33

) = ⇡6, ed f(x) > 0 se

e solo se x�p

3x�3

> 0, ovvero x <p

3 ⇠ 1, 7 oppure x > 3. La derivata e f 0(x) = � 3�p

3

2(x2�(3+p

3)x+6):

dunque f 0(x) < 0 per ogni x 6= 3, ovvero f e strettamente decrescente in R<3 ed in R>3. Poiche i limiti

di f per x �! 3⌥ sono finiti, e interessante calcolare limx�!3⌥ f 0(x) = � 3�p

36

⇠ �0, 21; si ha inoltre

f 0(p

3) = � 3+p

36

⇠ �0, 79. La derivata seconda e f 00(x) = 3�p

32

2x�(3+p

3

(x2�(3+p

3)x+6)2; vale f 00(x) = 0 per

x = ↵ := 3+p

32

⇠ 2, 37, e f 00(x) > 0 (ovvero, f strettamente convessa) per x > ↵: dunque x = ↵ e un

flesso, con f(↵) = arctg(�1) = �⇡4

e tangente inflessionale di pendenza f 0(↵) = � 3+p

33

⇠ �1, 58.

(9) [f(x) = log(1 � tg x), vedi Figura 3.18(c)] Il dominio e dato dalle condizioni 1 � tg x > 0 per illogaritmo (ovvero tg x < 1, che da �⇡

2+ k⇡ < x < ⇡

4+ k⇡ con k 2 Z) e x 6= ⇡

2+ k⇡ con k 2 Z

per la tangente, ovvero Af = {�⇡2

+ k⇡ < x < ⇡4

+ k⇡, k 2 Z}. La funzione e C1 in tutto il suodominio e periodica di periodo ⇡, e la studiamo dunque in Af \ [�⇡

2, ⇡

2] =] � ⇡

2, ⇡

4[. I limiti interessanti

sono limx�!�⇡2

+ f(x) = +1 e limx�!�⇡4

� f(x) = �1; vale f(x) = 0 se e solo se 1 � tg x = 1, ovvero

se e solo se x = 0, e f(x) > 0 se e solo se 1 � tg x > 1, ovvero se e solo se x < 0. La derivatae f 0(x) = 1

1�tg x(� 1

cos2 x) = � 1

cos x(cos x�sin x)< 0 su tutto il dominio, in cui f e percio strettamente

decrescente. La derivata seconda e f 00(x) = � sin 2x+cos 2xcos2 x(cos x�sin x)2

, che si annulla quando sin 2x + cos 2x = 0

ovvero quando tg 2x = �1, che da 2x = �⇡4

+ k⇡, da cui x = �⇡8

+ k2⇡ (con k 2 Z); di questi valori, solo

�⇡8

sta in ]� ⇡2, ⇡

4[. Vale infine f 00(x) > 0 (ovvero, f strettamente convessa0 se e solo se sin 2x+cos 2x < 0,

ovvero se e solo se � 5⇡4

+ 2k⇡ < 2x < �⇡4

+ 2k⇡, cioe � 5⇡8

+ k⇡ < x < �⇡8

+ k⇡ con k 2 Z, dunqueper �⇡

2< x < �⇡

8nel nostro dominio; pertanto x = �⇡

8e un flesso, con (usando le formule di bisezione)

f(�⇡8) = log(1 + tg ⇡

8) = log

p2 = 1

2log 2 ⇠ 0, 35 e f 0(�⇡

8) ⇠ �0, 83.

Figura 3.19: Grafico di (10) f(x) = arctglog |x�2|

x, (11) f(x) =

(x�1)2

log |x| , (12) f(x) = arctg|x|

x+2+ x

2.

(10) [f(x) = arctg log |x�2|x

, vedi Figura 3.19(a)] Il dominio di f e dato da |x � 2| > 0 e x 6= 0,ovvero R \ {0, 2}; essa non e periodica ne ha parita, ed e di classe C1 nel dominio. Limiti interessantisono limx�!⌥1 f(x) = 0⌥ (infatti l’argomento dell’arco-tangente e infinitesimo), limx�!0⌥ f(x) = ⌥⇡

2,

e limx�!2⌥ f(x) = �⇡2. La funzione e limitata, perche per ogni x nel dominio vale |f(x)| < ⇡

2. Si ha

f(x) = 0 per log |x � 2| = 0, ovvero per |x � 2| = 1, cioe x � 2 = ±1, cioe x = 1 oppure x = 3; invece

f(x) > 0 vale se e solo se log |x�2|x

> 0; il numeratore e > 0 per |x � 2| > 1, ovvero per x � 2 < �1oppure x � 2 > 1, ovvero per x < 1 oppure x > 3, mentre il denominatore e > 0 per x > 0; riassumendo,f(x) > 0 nel dominio se e solo se 0 < x < 1 oppure x > 3. Come visto, y = 0 e asintoto orizzontale a

⌥1. La derivata e f 0(x) =x

x�2�log |x�2|

x2+log2 |x�2| . Usando un confronto grafico tra le funzioni xx�2

e log |x � 2|,individuiamo un 6 < a < 7 tale che x

x�2� log |x � 2| se e solo se 2 < x < a, e dunque f 0(x) = 0 se e

solo se x = a e f 0(x) > 0 (ovvero f strettamente crescente) se e solo se 2 < x < a e f 0(x) < 0 (ovvero

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f strettamente decrescente) se e solo se x < 0, 0 < x < 2 o x > a: ne ricaviamo che x = a e un mas-

simo locale stretto, con f(a) = arctg log |a�2|a

= arctga

a�2

a= arctg 1

a�2= arccotg(a � 2), e dunque 0, 2 ⇠

arccotg 5 < f(a) < arccotg 4 ⇠ 0, 25. E interessante anche calcolare limx�!0⌥ f 0(x) = � 1log 2

⇠ �1, 44

e limx�!2⌥ f 0(x) = ⌥1. Non calcoliamo la derivata seconda, che ha un’espressione troppo complicata;notiamo tuttavia che f 0(1) = � 1

2, e percio, essendo questo valore maggiore sia di f 0+(0) che del limite

limx�!2� f 0(x) = �1, esisteranno di certo almeno due flessi tra 0 e 2.

(11) [f(x) = (x�1)2

log |x| , vedi Figura 3.19(b)] Il dominio e dato da |x| > 0 (cioe x 6= 0) e log |x| 6= 0 (cioe

|x| 6= 1), ovvero R \ {�1, 0, 1}. La funzione e di classe C1 nel dominio, non e periodica ne ha parita;i suoi limiti interessanti sono limx�!⌥1 f(x) = +1,(110) limx�!�1⌥ f(x) = ±1, limx�!�1⌥ f(x) = 0�

e limx�!1⌥ f(x) = 0⌥.(111) La funzione non si annulla mai (tutt’al piu, come visto, potrebbe essereprolungata per continuita in x = 1 col valore 0); essa e > 0 se e solo se log |x| > 0, ovvero se e solo se

|x| > 1, cioe per x < �1 oppure x > 1. Si ha limx�!⌥1 f(x)x

= 1, dunque essa non ammette asintotiobliqui. La derivata vale f 0(x) = 2 x�1

log2 |x|�log |x| � x�1

2x

�; Un confronto grafico tra le funzioni log |x| e x�1

2x

ci mostra due punti �3 < a < �2 e 0 < b < 1 tali che log |x| � x�12x

se e solo se x a, 0 < x b oppurex � 1; l’altro fattore in cui il segno puo cambiare e x� 1, che e > 0 per x > 1: riassumendo, f 0(x) = 0 se esolo se x = a, b; f 0(x) > 0 (ovvero f strettamente crescente) se e solo se a < x < �1, �1 < x < 0, b < x < 1e x > 1, mentre f 0(x) < 0 (ovvero f strettamente decrescente) se e solo se x < a e 0 < x < b. Ne deduciamo

che x = a e x = b sono punti di minimo locale stretto con f(a) = (a�1)2

log |a| = (a�1)2 2aa�1

= 2a(a�1) =: (a)

(pertanto 12 = (�2) < f(a) < (�3) = 24; in realta (a; f(a)) ⇠ (�2, 09; 12, 95)) e f(b) = 2b(b�1) = (b)(pertanto � 1

2< f(b) < 0; in realta (b; f(b)) ⇠ (0, 28;�0, 41)). Calcoliamo anche limx�!0⌥ f 0(x) = ±1 e e

limx�!1⌥ f 0(x) = 1 (dunque f potrebbe essere prolungata anche come funzione C1 a x = 1 con f(1) = 0 ef 0(1) = 1).(112) Anche qui non calcoliamo la derivata seconda.

(12) [f(x) = arctg |x|x+2

+ x2, vedi Figura 3.19(c)] Il dominio e Af = R\{�2}; la funzione non ha periodicita

ne simmetrie, ed e di classe C1 ovunque tranne che eventualmente nel punto x = 0, in cui pero e perlomenocontinua. I limiti interessanti sono limx�!⌥1 f(x) = ⌥1 e limx�!�2⌥ f(x) = ⌥⇡

2� 1. Si nota subito che

f(0) = 0, e per lo studio generale di f(x) � 0 si potra seguire il metodo di confronto grafico gia seguitonegli esempi precedenti (si ponga t = x

x+2ovvero x = � 2t

t�1: dunque se x � 0 si ha f(x) � 0 se e solo

arctg t � tt�1

, mentre se x < 0 si ha f(x) 0 se e solo arctg t � tt�1

...); tuttavia, in questo caso vogliamodedurre queste informazioni dalla derivata, tra breve. Guardiamo invece se vi sono asintoti obliqui: ine↵etti si ricava subito limx�!⌥1 f(x)

x= 1

2e limx�!⌥1(f(x) � 1

2x) = ⌥⇡

4, e percio y = 1

2x ⌥ ⇡

4e asintoto

obliquo a ⌥1; cercando le intersezioni con f , da f(x) = 12x⌥ ⇡

4si ricava arctg |x|

x+2= ⌥⇡

4, ovvero |x|

x+2= ⌥1;

se |x|x+2

= 1 si ottiene |x| = x + 2, ovvero x = �1, mentre se |x|x+2

= �1 si ottiene |x| = �x � 2, priva di

soluzioni. Veniamo ora alla derivata, che e f 0(x) = x(x+2)

2(x2+2x+2)(per x < 0, x 6= �2) e f 0(x) = x2+2x+4

2(x2+2x+2)

(per x > 0): essa non si annulla mai nel dominio Af , e f 0(x) > 0 (dunque f strettamente crescente)per ogni x > 0 e x < �2, e f 0(x) < 0 (dunque f strettamente decrescente) per ogni �2 < x < 0.Tornando allo studio di f(x) � 0, possiamo a↵ermare che in R<�2 la funzione cresce strettamente da�1 = limx�!�1 f(x) a �⇡

2� 1 = limx�!�2� f(x) e dunque vale f(x) < 0; in ]� 2, 0[ la funzione decresce

strettamente da ⇡2�1 = limx�!�2� f(x) > 0 a 0 = f(0), e dunque vale f(x) > 0; infine, in R>0 la funzione

cresce strettamente da 0 = f(0) a +1 = limx�!+1 f(x), e dunque vale f(x) > 0. Va notato, in particolare,che 0 e un punto di minimo relativo stretto; inoltre limx�!0� f 0(x) = 0 e limx�!0+ f 0(x) = 1. Infine, laderivata seconda vale f 00(x) = 2 x+1

(x2+2x+2)2(per x < 0, x 6= �2) e f 00(x) = �2 x+1

(x2+2x+2)2(per x > 0): si

(110)Infatti, essendo x � 1 ⇠⌥1 x, si ha limx�!⌥1 f(x) = limx�!+1 x2

log x= limx�!+1 2x

1/x= +1.

(111)Infatti, essendo x all’intorno di 1, si ha log |x| = log x = log(1 + (x � 1)) ⇠1 x � 1 e pertanto

limx�!1⌥ f(x) = limx�!1⌥(x�1)2

x�1= limx�!1⌥(x � 1) = 0⌥.

(112)Iniziamo da x �! 0±. Essendo x�12x

⇠⇤0 1x

si ha log |x| = o0(x�12x

) e dunque limx�!0⌥ f 0(x) =

limx�!0⌥ 2 x�1log2 |x| (�x�1

2x) = limx�!0⌥

(x�1)2

x log2 |x| = ±1 (perche il denominatore, come noto, tende a 0±). Se

ora x �! 1±, si ha x�1log2 |x| ⇠1

x�1(x�1)2

= 1x�1

e log |x|� x�12x

= (x�1)� x�12x

+o1(x�1) ⇠1 (x�1)(1� 12x

) ⇠1

12(x � 1), da cui limx�!1⌥ f 0(x) = limx�!1⌥ 2 1

x�112(x � 1) = 1.

Corrado Marastoni 152

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Analisi Matematica I

ha f 00(x) = 0 se e solo se x = �1, e f 00(x) > 0 se e solo se �1 < x < 0: pertanto x = �1 e un flesso conf(�1) = ⇡

4� 1

2⇠ 0, 28 e f 0(�1) = � 1

2.

Figura 3.20: Grafico di (13) f(x) =x�|x�2|2x+|x+1| , (14) f(x) = log

�1 + e

x2+1x

�, (15) f(x) = (x � 1)e

1x .

(13) [f(x) = x�|x�2|2x+|x+1| , vedi Figura 3.20(a)] Il dominio di f e dato da 2x + |x + 1| 6= 0: se x � �1 cio

da 2x + x + 1 6= 0, ovvero x 6= � 13, mentre se x < �1 si ha 2x � (x + 1) 6= 0, sempre vero; riassumendo,

il dominio di f e R \ {� 13}. La funzione e continua, non ha periodicita ne simmetrie, ed e di classe C1

ovunque tranne che eventualmente nei punti x = �1 e x = 2. Si tratta ora semplicemente di scrivere lafunzione continua f in forma piu chiara a seconda del segno delle quantita contenute nei moduli: si hacosı f(x) ⌘ 2 (per x �1), f(x) ⌘ 2(x�1)

3x+1(per �1 < x 2, x 6= � 1

3) e f(x) = 2

3x+1(per x > 2); nei

punti “di saldatura” si ha f(�1) = 2 e f(2) = 27. Il resto dello studio e allora immediato perche si tratta

di studiare ciascuna delle funzioni a�ni sul pezzo di dominio che le compete, e lo lasciamo continuare allostudente: in particolare notiamo che vale f(x) = 0 se e solo se x = 1 (in cui f 0(1) = 1

2), che f(x) � 0 se e

solo se x < � 13

o x > 1, che la funzione ha un punto di minimo locale non stretto in x = �1 e un puntodi massimo locale stretto in x = 2, punti nei quali essa non e derivabile (le derivate esistono a sinistra e adestra, ma sono diverse).

(14) [f(x) = log�1+e

x2+1x�, vedi Figura 3.20(b)] Il dominio di f e R⇥ = R\{0}; la funzione, non periodica

ne simmetrica, e di classe C1 ovunque; vale limx�!�1 f(x) = 0+, limx�!0� f(x) = 0+, limx�!0+ f(x) =

+1 e limx�!+1 f(x) = +1, ed e chiaro che, essendo 1+ex2+1

x > 1, si ha f(x) > 0 per ogni x nel dominio.

Come visto, y = 0 e asintoto a �1 e x = 0 e asintoto verticale a destra; si ha poi limx�!+1f(x)

x= 1 e

limx�!+1(f(x) � x) = 0, e dunque y = x e asintoto a +1, privo di intersezioni con f .(113) La derivata

e f 0(x) = ex2+1

x

1+ex2+1

x

x2�1x2 , dunque f 0(x) = 0 per x = ±1 e f 0(x) > 0 per x < �1 o x > 1: si ricava che

x = �1 (risp. x = 1) e un punto di massimo (risp. minimo) locale stretto, con f(�1) = log(1+e�2) ⇠ 0, 13

(113)Infatti, essendo ex2+1

x infinito a +1 si ha 1+ex2+1

x ⇠+1 ex2+1

x , e grazie alla Proposizione 3.2.17(iii-c)

abbiamo allora log�1 + e

x2+1x�⇠+1 log e

x2+1x = x2+1

x, e pertanto limx�!+1

f(x)x

= limx�!+1x2+1

xx

= 1.

Poi log�1+e

x2+1x��x = log

�1+e

x2+1x�� log ex = log(e�x +e

1x ); ma essendo limx�!+1(e�x +e

1x ) = 1, pur

avendosi e�x + e1x ⇠ e

1x stavolta non possiamo applicare la Proposizione 3.2.17(iii-c) (per concludere che

log(e�x + e1x ) ⇠+1 log(e

1x ) = 1

x): dobbiamo essere piu prudenti. Tuttavia basta applicare la continuita

del logaritmo: infatti limx�!+1 log(e�x + e1x ) = log(limx�!+1(e�x + e

1x )) = log 1 = 0. Per l’assenza di

intersezioni, imponendo f(x) = x e procedendo come appena fatto si trova e�x + e1x = 1, impossibile

perche se x < 0 si ha e�x > 1 e e1x > 0, mentre se x > 0 si ha e�x > 0 e e

1x > 1, cosı che in ogni caso il

primo membro e > 1.

Corrado Marastoni 153

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Analisi Matematica I

e f(1) = log(1 + e2) ⇠ 2, 12. Vale inoltre limx�!0� f 0(x) = 0�.(114) Tralasciamo lo studio della derivataseconda; tuttavia, certamente vi saranno almeno due flessi a, b per x < 0, con a < �1 e �1 < b < 0.

(15) [f(x) = (x � 1)e1x , vedi Figura 3.20(c)] Il dominio di f e R⇥ = R \ {0}; la funzione non e periodica

ne simmetrica, ed e di classe C1; vale limx�!�1 f(x) = �1, limx�!0� f(x) = 0�, limx�!0+ f(x) = �1 e

limx�!+1 f(x) = +1. Si ha f(x) = 0 se e solo se x = 1 e f(x) > 0 se e solo se x > 1; si ha limx�!⌥1 f(x)x

=

1 e limx�!⌥1(f(x) � x) = 0, e percio y = x e asintoto a ⌥1, senza intersezioni con f .(115) La derivata e

f 0(x) = x2�x+1x2 e

1x , strettamente positiva (e dunque, f strettamente crescente) in tutto il dominio. Si noti

che limx�!0� f 0(x) = limt�!+1 t2

et = 0+ e (ovvio, visto che y = x e asintoto) limx�!⌥1 f 0(x) = 1. Infine, la

derivata seconda e f 00(x) = � e1x

x4 (x+1), dunque f 00(x) = 0 per x = �1 e f 00(x) > 0 (dunque, f strettamente

convessa) per x < �1: pertanto x = �1 e un flesso, con f(�1) = � 2e⇠ �0, 73 e f 0(�1) = 3

e⇠ 1, 1.

(114)Infatti vale limx�!0� f 0(x) = � limx�!0� ex2+1

x 1x2 = � limx�!0�

e1x

x2 = � limt�!+1 t2

et = 0�.(115)Infatti, essendo 1

xinfinitesimo e ricordando che et = 1 + t + t2

2+ o0(t

2) si ha (x � 1)e1x � x =

(x�1)(1+ 1x+ 1

2x2 +o⌥1( 1x2 ))�x = x+1+ 1

2x+o⌥1( 1

x)�1� 1

x� 1

2x2 +o⌥1( 1x2 )�x = � 1

2x+o⌥1( 1

x) ⇠ � 1

2x,

da cui limx�!⌥1(f(x) � x) = 0. Per le intersezioni, si noti che (x � 1)e1x = x significa (ponendo t = 1

x)

et = 11�t

, il che sarebbe vero solo per t = 0, impossibile.

Corrado Marastoni 154

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3.5 Integrazione

“Integrare” una funzione ha un significato duplice: da un lato significa “fare l’operazio-ne inversa della derivata”, ovvero trovare la famiglia di tutte le funzioni che, derivate,danno la funzione di partenza; dall’altro significa “calcolare l’area della parte di pianocartesiano sottesa dal grafico della funzione”. Normalmente, alla prima operazione si dail nome di integrazione indefinita, alla seconda quello di integrazione definita. All’iniziole due questioni sembrano senza relazione reciproca, e sembra dunque incomprensibilelo scegliere nomi (e simboli) uguali per indicare cose cosı di↵erenti: in realta esse sonointimamente legate, come diventera chiaro nel seguito.

3.5.1 Integrazione indefinita (calcolo delle antiderivate)

Come detto, si tratta di trovare la famiglia di tutte le primitive, o antiderivate, di una Primitivedi una funzione

data funzione f : A �! R (ove A ⇢ R), ovvero la famiglia di tutte le funzioni derivabiliF : A �! R tali che F 0 = f . Come si e visto, la derivazione porta ad una perdita diregolarita (la derivata di una funzione derivabile non e nemmeno detto che sia continua, ein generale la derivata di una funzione di classe Ck con k � 1 e una funzione di classe Ck�1):dovremo dunque aspettarci che l’integrazione indefinita porti ad un miglioramento dellaregolarita. Il dubbio, allo stato presente, e piu che altro il seguente: data una funzionef : A �! R, si possono trovare sempre delle primitive di f ? La risposta e sı se f e unafunzione continua, ma per la dimostrazione bisognera pazientare un po’. Anzi, se A e unintervallo di R la famiglia delle primitive di f ha una forma particolarmente semplice:

Proposizione 3.5.1. Sia A ⇢ R un intervallo. Se f : A �! R e una funzione di classe Ck

(con k � 0) allora esiste una primitiva F : A �! R di f di classe Ck+1. Inoltre, la famigliadi tutte le primitive di f e data da {F + k : k 2 R}, ove F e una qualsiasi primitiva di f .

Dimostrazione. Se f e continua, ovvero se k = 0, mostreremo (vedi Corollario 3.5.12) che esiste unaprimitiva F di f di classe C1; per il momento, dunque, assumiamo che cio sia vero. Se allora f e di classeCk con k � 0, essa e in particolare continua e dunque ammette una primitiva F di classe C1, ma essendoF 0 = f si ha f (j) = F (j+1) per ogni 0 j k, e dunque tale F e in realta di classe Ck+1. Infine, seG : A �! R e un’altra primitiva di f , si ha (G � F )0 = f � f = 0 e basta ricordare la Proposizione3.3.7(ii).

Se il dominio A di f e un pluriintervallo (ovvero un’unione disgiunta di intervalli), laconclusione della proposizione precedente vale per ciascun intervallo disgiunto dagli altriche compone A: ad esempio, se si ha una funzione continua f : R<↵1 [R>↵2 �! R per certi↵1,↵2 2 R con ↵1 < ↵2, una volta che si sono determinate una primitiva F1 : R<↵1 �! Rdi f |R<↵1

ed una primitiva F2 : R>↵2 �! R di f |R>↵2, tutte e sole le primitive di f sono le

funzioni F : R<↵1[R>↵2 �! R date da F (x) = F1(x)+k1 (per x < ↵1) e F (x) = F2(x)+k2

(per x > ↵2) al variare di k1, k2 2 R. Pertanto, non e restrittivo pensare da subito che

Corrado Marastoni 155

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Analisi Matematica I

A sia un intervallo. Denoteremo allora l’insieme (come preannunciato, non vuoto) delleprimitive di una funzione continua f col simbolo

Zf(x) dx = {F (x) + k : F 0 = f, k 2 R},

detto integrale indefinito di f . Integraleindefinito

Siamo ora di fronte al problema concreto del calcolo delle primitive di una data funzionecontinua. Se derivare una funzione “quasi-elementare” (cioe, ottenuta operando e compo-nendo funzioni elementari) e una mera questione di conti, riuscire ad integrare una funzionequasi-elementare ottenendo un’espressione quasi-elementare delle primitive e, al contrario,una circostanza fortunata.(116) Dovremo dunque prepararci ad un problema di soluzioneelementare “quasi sempre impossibile” e, in generale, abbastanza ostico da a↵rontare an-che nei casi possibili. Tuttavia, almeno una cosa discende subito, per definizione, dallaProposizione 3.5.1:

Proposizione 3.5.2. Se A ⇢ R e un intervallo di R e f : A �! R e una funzionederivabile, vale(117) Z

f 0(x) dx = {f(x) + k : k 2 R}.

Esercizio. Calcolare i seguenti integrali indefiniti:

(1)

Zx↵ dx (con ↵ 6= �1); (2)

Z1

xdx; (3)

Zex dx; (4)

Zsin x dx; (5)

Zcos x dx; (6)

Z1

cos2 xdx;

(7)

Z1

sin2 xdx; (8)

Z1

1 + x2dx; (9)

Z1p

1 � x2dx; (10)

Zsinh x dx; (11)

Zcosh x dx.

Risoluzione. Dalla Proposizione 3.5.2 si ricava subito (1)R

x↵ dx = x↵+1

↵+1+ k (ad esempio

Rdx = x + k,R

x dx = x2

2+ k,

Rx dx = x3

3+ k,

R1

x2 dx = � 1x

+ k,R

1x3 dx = � 1

2x2 + k, etc.); (2)R

1x

dx = log |x| + k;

(3)R

ex dx = ex + k; (4)R

sin x dx = � cos x+ k; (5)R

cos x dx = sin x+ k; (6)R

1cos2 x

dx = tg x+ k; (7)R1

sin2 xdx = � cotg x + k; (8)

R1

1+x2 dx = arctg x + k; (9)R

1p1�x2

dx = arcsin x + k; (10)R

sinh x dx =

cosh x + k; (11)R

cosh x dx = sinh x + k.

Ricordando la tabella delle derivate delle funzioni elementari e la regola di derivazionedelle funzioni quasi-elementari, desumiamo la tabella degli integrali immediati riportatanella Figura 3.21, ove si suppone che k 2 R, che le funzioni che appaiono abbiano senso(ad esempio, se si scrive arcsin'(x) si intende che la funzione ' soddisfi |'(x)| 1 perogni x del suo dominio) e che ↵ 6= �1.

(116)Un’analogia e�cace per comprendere la di↵erenza tra derivare ed integrare e visualizzare il derivarecome l’operazione (pressoche meccanica) di sminuzzare una fotografia, e l’integrare come l’operazione (benpiu complessa e faticosa, talvolta impossibile) di ricostruire la fotografia incollando i pezzetti nei quali essae stata precedentemente tagliata, senza sapere nulla sul suo aspetto originario.(117)Nell’analogia fotografica fatta poco fa, cio equivale a dover ricostruire una fotografia sminuzzata avendopero a disposizione una copia fedele dell’originale da ricostruire...

Corrado Marastoni 156

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Analisi Matematica I

(a)

Z'0(x)'(x)↵ dx =

'(x)↵+1

↵+ 1+ k, (b)

Z'0(x)

'(x)dx = log |'(x)| + k,

(c)

Z'0(x)

'(x)log↵ |'(x)| dx =

log↵+1 |'(x)|↵+ 1

+ k, (d)

Z'0(x)

'(x) log |'(x)| dx = log��log |'(x)|

��+ k,

(e)

Z'0(x)e'(x) dx = e'(x) + k, (f)

Z'0(x)

1 � '(x)2dx =

1

2log

����1 + '(x)

1 � '(x)

����+ k,

(g)

Z'0(x) sin'(x) dx = � cos'(x) + k, (h)

Z'0(x) cos'(x) dx = sin'(x) + k,

(i)

Z'0(x)

cos2 '(x)dx = tg'(x) + k, (j)

Z'0(x)

sin2 '(x)dx = � cotg'(x) + k,

(k)

Z'0(x)p

1 � '(x)2dx = arcsin'(x) + k, (l)

Z'0(x)

1 + '(x)2dx = arctg'(x) + k,

(m)

Z'0(x) sinh'(x) dx = cosh'(x) + k, (n)

Z'0(x) cosh'(x) dx = sinh'(x) + k,

(o)

Z'0(x)p'(x)2 + 1

dx = sett sinh'(x) + k, (p)

Z'0(x)p'(x)2 � 1

dx = sett cosh'(x) + k.

Figura 3.21: Tabella degli integrali immediati.

Esercizio. Calcolare i seguenti integrali indefiniti:

(1)

Ztg x dx; (2)

Zcotg x dx; (3)

Zcos x sin7 x dx; (4)

Z2x

x2 � 1log3(x2 � 1) dx; (5)

Zex

ex � 4dx;

(6)

Ztg x log3(cos x) dx; (7)

Zep

x�2

px

dx; (8)

Z1

1 � x2dx; (9)

Z1

x(1 � log2 x)dx;

(10)

Zx2 sin(x3 � 1) dx; (11)

Zex + 1

sin2(ex + x)dx; (12)

Zsin x

1 + 3 cos2 xdx; (13)

Zxp

x4 � 1dx.

Risoluzione. Si fa riferimento alla tabella degli integrali immediati nella Figura 3.21. (1) Da (b) si ottieneRtg x dx = sin x

cos xdx = � log | cos x|+ k. (2) Ancora da (b) si ottiene

Rcotg x dx = cos x

sin xdx = log | sin x|+ k.

(3) Da (a) si haR

cos x sin7 x dx = 18

sin8 +k. (4) Da (c) si haR

2xx2�1

log3(x2 � 1) dx = 14

log4(x2 � 1) + k.

(5) Da (b) si ricavaR

ex

ex�4dx = log |ex�4|+k. (6) Da (c) si ha

Rtg x log3(cos x) dx = � 1

4log4(cos x)+k.

(7) Da (e) si haR

ep

x�2p

xdx =

R2 1

2p

xep

x�2 dx = 2ep

x�2+c. (8) Da (f) si ricavaR

11�x2 dx = log

��� 1+x1�x

���+k.

(9) Da (f) si ricavaR

1x(1�log2 x)

dx =R

1x

1(1�log2 x)

dx = 12

log��� 1+log x1�log x

���+ k. (10) Da (g) si haR

x2 sin(x3 �1) dx = � cos(x3 � 1) + k. (11) Da (j) si ha

Rex+1

sin2(ex+x)dx = � cotg(ex + x) + k. (12) Da (l) si ha

Rsin x

1+3 cos2 xdx =

R(� 1p

3) �

p3 sin x

1+(p

3 cos x)2dx = � 1p

3arctg(

p3 cos x) + k. (13) Da (p) si ricava

Rxp

x4�1dx =

R12

2xp(x2)2�1

dx = 12

sett cosh(x2) + k.

Per il resto dei casi, possiamo fare a�damento solo sugli integrali immediati, sulle proprietae metodi (come quello del cambio di variabili o dell’“integrazione per parti”) elencati nellaProposizione che segue e su alcuni metodi di risoluzione “ad hoc” di cui parleremo tra

Corrado Marastoni 157

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Analisi Matematica I

poco. Si notera che, a di↵erenza della derivazione, non c’e alcuna formula generale perl’integrale di un prodotto o di una composizione, ed in ultima analisi e proprio cio cherende quasi sempre impossibile integrare con risultati quasi-elementari.

Proposizione 3.5.3. Nel calcolo degli integrali indefiniti valgono le seguenti proprieta.

(i) (Linearita dell’integrale) Se A ⇢ R e un intervallo, f, g : A �! R due funzionicontinue e �, µ 2 R si ha

Z ��f(x) + µg(x)

�dx = �

Zf(x) dx + µ

Zg(x) dx.

(ii) (Metodo di integrazione indefinita per sostituzione) Se A, B ⇢ R sono intervalli,f : A �! R una funzione continua e � : B �! A una funzione di classe C1, si ha

✓Zf(x) dx

◆(�(t)) =

Zf��(t)

��0(t) dt per ogni t 2 B.

In particolare, se � e un di↵eomorfismo si puo risostituire t = ��1(x), ottenendo

Zf(x) dx =

✓Zf��(t)

��0(t) dt

◆(��1(x)) per ogni x 2 A.

(iii) (Metodo di integrazione indefinita per parti) Se A ⇢ R e un intervallo e F, G : A �!R sono due funzioni di classe C1 con derivate F 0 = f e G0 = g, vale

ZF (x)g(x) dx = F (x)G(x) �

Zf(x)G(x) dx.

(In questa formula, F (x) e detto fattore finito e g(x) fattore di↵erenziale dell’inte-grazione per parti.)

Dimostrazione. (i) Se F e una primitiva di f e G di g, allora �F + µG e una primitiva di �f + µg.(ii) Se F (x) e una primitiva di f(x), allora (usando la formula di derivazione delle funzioni composte)F (�(t))0 = F 0(�(t))�0(t) = f(�(t))�0(t), ovvero F (�(t)) e primitiva di f(�(t))�0(t). Viceversa, se � e undi↵eomorfismo e G(t) e una primitiva di f

��(t)

��0(t) si ha che G(��1(x)) e primitiva di f(x): infatti

G(��1(x))0 = G0(��1(x))(��1)0(x) = f��(��1(x))

��0(��1(x)) 1

�0(��1(x))= f(x). (iii) Essendo (FG)0 =

fG + Fg, se H(x) e una primitiva di f(x)G(x) allora F (x)G(x) � H e primitiva di F (x)g(x).

Esercizio. Calcolare i seguenti integrali indefiniti (in cui � 6= 0, � 6= 0 e n 2 N):

(1)

Z(2x2 � 4e�3x) dx; (2)

Z(2 sin(3x� 1) +

35p

x) dx; (3)

Z(

3px

cosp

x�p

2x � 3) dx; (4)

Zx2e�x dx;

(5)

Zx sin(2x � 5) dx; (6)

Zx arcsin x2 dx; (7)

Zlog x dx; (8)

Zsin2 x dx; (9)

Zcos2

x

5dx;

(10)

Ze2x sin(x � 3) dx; (11)

Zx2

x3 + 1log2(x3 + 1) dx; (12)

Zarctg 2x dx; (13)

Z1

sin xdx;

(14)

Ztg2(3x � 1) dx; (15)

Ze�x sin �x dx; (16)

Zxne�x dx; (17)

Zxn sin �x dx.

Corrado Marastoni 158

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Analisi Matematica I

Risoluzione. (1) Ponendo f(x) = 2x2 � 4e�3x si ottieneR

f(x) dx = 2R

x2dx � 4R

e�3xdx = 2x3

3�

4(� 13)R

(�3)e�3xdx = 23x3+ 4

3e�3x+k. (2) Ponendo t = 3x�1, si ha

R(2 sin(3x�1)+ 3

5px) dx = 2

Rsin(3x�

1) dx + 3R

x�15 dx = 2

Rsin t 1

3dt + 3x

4545

= � 23

cos(3x � 1) + 154

5p

x4 + k. (3) Se f(x) = 3 cosp

xpx

�p

2x � 3,

ponendo t =p

x e ⌧ = 2x � 3 (da cui dx = 2t dt = 12d⌧) si ha

Rf(x) dx = 3

Rcosp

xpx

dx �R p

2x � 3 dx =

3R

cos tt

2t dt�R p

⌧ 12d⌧ = 6 sin t� 1

3⌧p⌧+k = 6 sin

px� 1

3(2x�3)

p2x � 3+k. (4) Se h(x) = x2e�x, inte-

grando per parti con fattore finito F (x) = x2 (dunque f(x) = 2x) e fattore di↵erenziale g(x) = e�x (dunque

G(x) = �e�x) si haR

h(x) dx = x2(�e�x)�R

2x(�e�x) dx = �x2e�x +2R

xe�x dx; integrandoR

xe�x dx

di nuovo per parti con fattore finito F (x) = x (dunque f(x) = 1) e fattore di↵erenziale g(x) = e�x (dunque

G(x) = �e�x) si ottieneR

xe�x dx = x(�e�x)�R

1(�e�x) dx = �xe�x � e�x = �(x + 1)e�x + k, da cui,

tornando al problema originale, si haR

h(x) dx = �x2e�x +2R

xe�x dx = �x2e�x +2(�(x+1)e�x)+k =

�(x2 + 2x + 2)e�x + k. Giusto per esercizio, ripartiamo da capo usando stavolta il cambio di vari-

abili t = �x, ovvero x = �(t) = �t: si ha (usando due volte l’integrazione per parti come prima)

(R

h(x) dx)(t) =R

(�t)2et(�1) dt = �R

t2et dt = ��t2et �

R(2t)et dt

�= �t2et + 2(tet �

Ret dt) =

�(t2 � 2t+2)et + k da cui, ricordando che t = �x si trova nuovamenteR

h(x) dx = �(x2 +2x+2)e�x + k.

(5) Se h(x) = x sin(2x � 5), integrando per sostituzione con 2x � 5 = t (e dunque x = �(t) = t+52

)

si ha (R

h(x) dx)(t) =R

t+52

sin t 12

dt = 14

Rt sin t dt + 5

4sin t dt = � 5

4cos t + 1

4

Rt sin t dt; integrando poiR

t sin t dt per parti con fattore finito F (t) = t (dunque f(t) = 1) e fattore di↵erenziale g(t) = sin t

(dunque G(t) = � cos t) si ricavaR

t sin t dt = t(cos t)�R

1(� cos t) dt = �t cos t+R

cos t dt = sin t� t cos t,

percio ritornando al problema originale si ha (R

h(x) dx)(t) = � 54

cos t + 14

Rt sin t dt = � 5

4cos t + 1

4(sin t�

t cos t) + k = 14

�sin t � (t + 1) cos t

�+ k, e percio, ricordando che t = 2x � 5, si ha infine

Rh(x) dx =

14

�sin(2x � 5) � 2(x � 2) cos(2x � 5)

�+ k. (6) Calcoliamo

Rx arcsin x2 dx. Usando il cambio di vari-

abile x2 = t (ovvero x =p

t) si ha (R

x arcsin x2 dx)(t) =R p

t arcsin t 12p

tdt = 1

2

Rarcsin t dt. Ci

resta dunque da calcolareR

arcsin t dt. Usiamo un trucco: pensando arcsin t = 1 arcsin t, integriamo

per parti con fattore finito (ovviamente) F (t) = arcsin t e fattore di↵erenziale g(t) = 1, ottenendo percioR

arcsin t dt = t arcsin t�R

t 1p1�t2

dt = t arcsin t�(� 12)R

(1�t2)0(1�t2)�12 dt = t arcsin t+ 1

2(1�t2)

12

1/2+k =

t arcsin t +p

1 � t2 + k; dunque (R

x arcsin x2 dx)(t) = 12

Rarcsin t dt = 1

2(t arcsin t +

p1 � t2) + k da cui,

ricordando che t = x2, si ricavaR

x arcsin x2 dx = 12(x2 arcsin x2 +

p1 � x4) + k. (7) Il trucco precedente

funziona anche perR

log x dx: pensando log x = 1 log x e integrando per parti con F (x) = log x e g(x) = 1 si

ricavaR

log x dx = x log x�R

x( 1x) dx = x log x�

R1 dx = x log x�x+k = x(log x�1)+k. (8) CalcoliamoR

sin2 x dx. Dalle formule di bisezione ricaviamo sin2 x = 1�cos 2x2

, da cuiR

sin2 x dx = 12

R(1�cos 2x) dx =

x2� 1

4sin 2x = x�sin x cos x

2+k. (9) Calcoliamo

Rcos2 x

5dx. Posto t = x

5, l’integrale diventa 5

Rcos2 t dt; ra-

gionando come prima si ha alloraR

cos2 t dt =R

12(1+cos 2t) dt = t+sin t cos t

2, e risostituendo t = x

5si ricava

infineR

cos2 x5

dx = 5x5+sin x

5cos x

52

+k =x+5 sin x

5cos x

52

+k. (10) CalcoliamoR

e2x sin(x�3) dx. Sostituendo

t = x � 3 (ovvero x = �(t) = t + 3) si ricava (R

e2x sin(x � 3) dx)(t) =R

e2(t+3) sin t 1 dt = e6R

e2t sin t dt.

Ci siamo dunque ridotti a calcolareR

e2t sin t dt: integrando per parti due volte, si haR

e2t sin t dt =

e2t(� cos t) �R

2e2t(� cos t) dt = �e2t cos t + 2R

e2t cos t dt = �e2t cos t + 2(e2t sin t �R

2e2t sin t dt) =

e2t(2 sin t � cos t) � 4R

e2t sin t dt; confrontando il primo e l’ultimo membro si ha alloraR

e2t sin t dt =

e2t(2 sin t � cos t) � 4R

e2t sin t dt, da cuiR

e2t sin t dt = 15e2t(2 sin t � cos t) + k. Ricordando infine che t =

x�3, si ottieneR

e2x sin(x�3) dx = e6

5e2(x�3)(2 sin(x�3)�cos(x�3))+k = 1

5e2x(2 sin(x�3)�cos(x�3))+k.

(11) CalcoliamoR

x2

x3+1log2(x3+1) dx: si tratta di un integrale immediato, perche x2 e “quasi” la derivata

di x3+1, e dunqueR

x2

x3+1log2(x3+1) dx = 1

3

R (x3+1)0

x3+1log2(x3+1) dx = 1

3log3(x3+1)

3+k = 1

9log3(x3+1)+k.

(12) Ponendo 2x = t, l’integrale diventaR

arctg 2x dx = 12

Rarctg t dt. Calcoliamo

Rarctg t dt per parti

usando ancora il trucco arctg t = 1 arctg t e con F (t) = arctg t e g(t) = 1: si ricavaR

arctg t dt =

Corrado Marastoni 159

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Analisi Matematica I

t arctg t �R

t 11+t2

dt = t arctg t � 12

R2t

1+t2dt = t arctg t � 1

2log(1 + t2) + k = t arctg t � log

p1 + t2 + k:

pertantoR

arctg 2x dx = 12(2x arctg 2x� log

p1 + (2x)2) + k = x arctg 2x� log 4

p1 + 4x2 + k. (13) Calco-

liamoR

1sin x

dx. Conviene usare il cambio di variabile dato dalle formule parametriche t = tg x2

(dunque

x = 2 arctg t), per cui sin x = 2t1+t2

; si ricava percioR

1sin x

dx =R

1+t2

2t2

1+t2dt =

R1t

dt = log |t| + k =

log | tg x2|+k. (14) Posto t = 3x�1, si ha

Rtg2(3x�1) dx = 1

3

Rtg2 t dt = 1

3

R( 1cos2 t

�1) dt = 13(tg t�t)+k =

13(tg(3x� 1)� 3x + 1) + k. (15) L’integrale

Re�x sin �x dx generalizza quello proposto in (10), e si risolve

in modo analogo. Integrando due volte per parti, si haR

e�x sin �x dx = 1�e�x sin �x � �

Re�x cos �x dx =

1�e�x sin �x � �

⇣1�e�x cos �x � �

Re�x(� sin �x) dx

⌘= 1

�2 e�x(� sin �x � � cos �x) � �2

�2

Re�x sin �x dx,

da cuiR

e�x sin �x dx = 1�2+�2 e�x(� sin �x � � cos �x). (16)

Rxne�x dx generalizza (4); procedendo in

modo analogo, si trova e�x

�n+1

Pnj=0(�1)j n!

(n�j)!(�x)n�j . (17) In =

Rxn sin �x dx generalizza (5). Per

parti, si ottieneR

xn sin �x dx = � 1�xn cos �x + n

Rxn�1 cos �x dx = � 1

�xn cos �x + n

�2 xn�1 sin �x �n(n�1)

�2

Rxn�2 sin �x dx, ovvero In = xn�1

�2 (n sin �x � �x cos �x) � n(n�1)

�2 In�2: in questo modo si puo

calcolare In se si conosce In�2. Basta dunque calcolare esplicitamente i casi n = 0 (che da I0 = � 1�

cos �x,

da cui I2 = x�2 (2 sin �x � �x cos �x) � 2

�2 (� 1�

cos �x) = 1�3 (2�x sin �x(2 � �2x2) cos �x), I4 =...) e n = 1

(che da I1 = � x�

cos �x + 1�2 sin �x, da cui I3 =...).

Integrali di funzioni razionali fratte (casi particolari) Per trovare le primitive di

una funzione razionale fratta f(x) = A(x)B(x) , con A(x) e B(x) polinomi a coe�cienti reali

(diciamo di grado rispettivamente m ed n), si procede come segue. Innanzitutto, se f(x)e un polinomio (ovvero, se A(x) e divisibile per B(x)) l’integrazione e immediata: infatti,se f(x) =

Pdj=0 ajx

j = adxd + · · · + a1x + a0 per la linearita si ha

Z(adx

d + · · · + a1x + a0) dx = add+1xd+1 + · · · + a1

2 x2 + a0x + k.

Cosı, se m � n si puo dividere A(x) per B(x) ottenendo A(x) = Q(x)B(x) + R(x) conQ(x) polinomio quoziente di grado m � n ed R(x) polinomio di grado < n, e pertantoR A(x)

B(x) dx =R

Q(x) dx +R R(x)

B(x) dx: si e dunque ridotto il problema al calcolo diR R(x)

B(x) dx.Percio non e restrittivo supporre fin da subito che sia m < n, ovvero che si abbia a chefare con una funzione razionale fratta propria: iniziamo trattando alcuni casi particolari.

(1) Come si e visto, se f(x) = ax�↵ alloraZ

a

x � ↵dx = a log |x � ↵| + k;

(2) se f(x) = a(x�↵)� con � 2 Z�2 allora

Za

(x � ↵)�dx = � a

� � 1

1

(x � ↵)��1+ k;

(3) se f(x) = ax+bx2+cx+d

ove il denominatore x2 + cx + d abbia radici reali distinte ↵ e �,

si possono trovare due costanti reali A e B tali che f(x) = ax+b(x�↵)(x��) = A

x�↵ + Bx��

(dai conti si ricava facilmente A = b+a↵↵�� e B = � b+a�

↵�� ): dunqueZ

ax + b

x2 + cx + ddx = A log |x � ↵| + B log |x � �| + k;

Corrado Marastoni 160

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Analisi Matematica I

(4) se invece f(x) = ax+bx2+cx+d

ove il denominatore x2 + cx + d non abbia radici reali

perche c2 � 4d < 0, scrivendo x2 + cx + d = x2 + cx + c2

4 + (d � c2

4 ) = (x � u)2 + v2

(con u = � c2 e v =

qd � c2

4 )(118) ci si e ridotti alla forma f(x) = ax+b(x�u)2+v2 =

a x�u(x�u)2+v2 + au+b

(x�u)2+v2 = a2

2(x�u)(x�u)2+v2 +au+b

v

1v

1+(x�uv )

2 , da cui si ricava immediatamente

Zax + b

x2 + cx + ddx =

a

2log

�(x � u)2 + v2

�+

au + b

varctg

x � u

v+ k.

Esercizio. Calcolare i seguenti integrali indefiniti:

(1)

Z4

(3x + 1)5dx; (2)

Z3x2 + 4x � 8

x2 + 2x � 3dx; (3)

Z2x � 1

x2 + x + 3dx; (4)

Zx3 + 1

2x � 3dx.

Risoluzione. (1) Sia f(x) = 4(3x+1)5

. Col cambio di variabile t = 3x + 1 (da cui dx = 13

dt) si ricavaR

f(x) dx = 4R

1t5

13

dt = 43

t�4

�4= � 1

31t4

+ k = � 13(3x+1)4

+ k. (2) Sia f(x) = 3x2+4x�8x2+2x�3

. Dividendo

il numeratore per il denominatore si ottiene 3x2 + 4x � 8 = 3(x2 + 2x � 3) � 2x + 1, e percio f(x) =

3 � 2x�1x2+2x�3

: si ha alloraR

f(x) dx = 3x �R

2x�1x2+2x�3

dx, e ci siamo ridotti al calcolo diR

2x�1x2+2x�3

dx.

Poiche x2 +2x�3 = (x�1)(x+3), si puo scrivere 2x�1x2+2x�3

= c1x�1

+ c2x+3

per opportune costanti c1, c2 2 R:

facendo il denominatore comune a destra si ha 2x�1x2+2x�3

= c1(x+3)+c2(x�1)(x�1)(x+3)

= (c1+c2)x+(3c1�c2)

x2+2x�3da cui si

ricava c1 + c2 = 2 e 3c1 � c2 = �1, che da c1 = 14

e c2 = 74. Pertanto 2x�1

x2+2x�3= 1

4( 1

x�1+ 7 1

x+3), da

cuiR

2x�1x2+2x�3

dx = 14(R

1x�1

dx + 7R

1x+3

dx) = 14(log |x � 1| + 7 log |x + 3|) + k e, tornando al problema

iniziale,R

f(x) dx = 3x� 14(log |x�1|+7 log |x+3|)+k. (3) Sia f(x) = 2x�1

x2+x+3. Seguendo il procedimento

suggerito in precedenza, si ha 2x�1x2+2x+3

= 2x�1(x+1)2+2

= 2 x+1(x+1)2+2

� 3(x+1)2+2

= 2(x+1)

(x+1)2+2� 3p

2

1/p

2

1+( x+1p2

)2, da cui

Rf(x) dx = log(x2 + 2x + 3)� 3p

2arctg

�x+1p

2

�+ k. (4) Sia f(x) = x3+1

2x�3. Per i conti conviene far diventare

il denominatore “monico” (ovvero, con coe�ciente dominante 1). Si ha dunque x3+12x�3

= 12

x3+1

x� 32

; dividendo

x3 +1 per x� 32

si ottiene (x3 +1) = (x2 + 32x+ 9

4)(x� 3

2)+ 35

8, e pertanto f(x) = 1

2(x2 + 3

2x+ 9

4)+ 35/16

x� 32

,

da cuiR

f(x) dx = 12

�x3

3+ 3

2x2

2+ 9

4x�

+ 3516

log |x � 32| + k = 1

48

�8x3 + 6x2 + 6x + 105 log |x � 3

2|�

+ k.

Integrali di funzioni razionali fratte (caso generale) e integrali binomi Il moti-

vo per cui si sono trattati prima alcuni casi particolari per integrare funzioni razionalifratte e che, per il caso generale, si puo usare il seguente metodo (che non dimostriamo):

Proposizione 3.5.4. (Metodo di Hermite) Se f(x) = A(x)B(x) e una frazione razionale pro-

pria reale con A(x) e B(x) polinomi coprımi di grado rispettivamente m ed n, col denom-inatore nella forma(119)

B(x) = (x � a1)m1 · · · (x � ar)

mr�(x � u1)

2 + v21

�m01 . . .�(x � ul)

2 + v21

�m0l

(118)Per il Corollario 1.4.4 il polinomio x2 + cx + d ha due radici complesse coniugate, che sono propriou ± iv.(119)Vedi il Corollario 1.4.4.

Corrado Marastoni 161

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Analisi Matematica I

(ove m1 + · · · + mr + 2(m01 + · · · + m0

l) = n), esistono e sono uniche delle costanti realic1, . . . , cr; d1, . . . , dl; e1, . . . , el ed un polinomio C(x) di grado < n � r � 2l tale, posto

B0(x) = (x � a1)m1�1 · · · (x � ar)

mr�1�(x � u1)

2 + v21

�m01�1. . .

�(x � ul)

2 + v21

�m0l�1,

si abbia

A(x)

B(x)=

rX

i=1

ci

x � ai+

lX

j=1

djx + ej

(x � ul)2 + v2l

+

✓C(x)

B0(x)

◆0;

di conseguenza

Zf(x) dx =

rX

i=1

Zci

x � aidx +

lX

j=1

Zdjx + ej

(x � ul)2 + v2l

dx +C(x)

B0(x)+ k

=rX

i=1

ci log |x � ai| +lX

j=1

dj logq

(x � uj)2 + v2j +

+

lX

j=1

djuj + bj

vjarctg

x � uj

vj+

C(x)

B0(x)+ k.

Facciamo un paio di osservazioni.

(a) Nel caso base in cui tutti gli esponenti mi e m0j sono uguali a 1, il metodo di Hermite da

C(x) = 0, dunque bastera determinare le costanti reali c1, . . . , cr; d1, . . . , dl; e1, . . . , el

che decompongono la frazione A(x)B(x) in frazioni semplici.

(b) Nella forma di integrali razionali si possono ricondurre anche alcuni integrali binomi,ovvero del tipo

Rxp(axq + b)r dx con a, b 2 R e p, q, r 2 Q: (1) se p+1

q 2 Z si

pone axq + b = th con h il denominatore di r; (2) se r 2 Z si pone xq = th con h ildenominatore di p+1

q ; (3) se p+1q + r 2 Z, si pone axq+b

xq = th con h il denominatore di

r.(120)

Esercizio. Calcolare i seguenti integrali indefiniti:

(1)

Z5x2 � 10x + 9

(x � 1)(x2 � 4x + 5)dx; (2)

Z�x6 � x5 � 9x4 + 40x3 � 46x2 � 7x + 62

7(x + 1)2(x � 2)(x2 � 3x + 4)2dx;

(3)

Z5p

x(2 � 3p

x)2 dx; (4)

Z1

x2 3p

xp

x � 1dx.

Risoluzione. (1) Il metodo di Hermite dice che 5x2�10x+9(x�1)(x2�4x+5)

= ax�1

+ bx+cx2�4x+5

, con a, b, c 2 R da

determinare; i conti danno a = 2, b = 3 e c = 1, dunqueR

5x2�10x+9(x�1)(x2�4x+5)

dx = 2 log |x � 1| + 32

log(x2 �4x + 5) + 7 arctg(x� 2) + k. (2) Sia f(x) = �x6�x5�9x4+40x3�46x2�7x+62

7(x+1)2(x�2)(x2�3x+4)2. Trascurando il fattore costante

(120)Ad esempio, nell’ultimo caso, posto r = uh

e m := p+1q

+ r 2 Z, da axq+bxq = th si ricava b =

(th �a)xq ovvero x = �(t) = b1q (th �a)

� 1q , e dunque si ricava

Rxp(axq + b)r dx =

Rb

pq (th �a)

� pq tubr(th �

a)�rb1q (� 1

q)(th � a)

� 1q�1

dt = � 1qbmR

tu(th � a)�m�1 dt, e l’integrale di una funzione razionale fratta.

Corrado Marastoni 162

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Analisi Matematica I

� 17, il metodo di Hermite dice che si puo scrivere x6�x5�9x4+40x3�46x2�7x+62

(x+1)2(x�2)(x2�3x+4)2= c1

x+1+ c2

x�2+ dx+e

x2�3x+4+

�ux2+vx+w

(x+1)(x2�3x+4)

�0per costanti c1, c2, d, e, u, v, w 2 R da determinare. Derivando a destra e dopo lunghi

calcoli si determina che c1 = �1, c2 = 2, u = v = 0 e w = �1: dunqueR

f(x) dx = � 17

��R

1x+1

dx +

2R

1x�2

dx �R �

1(x+1)(x2�3x+4)

�0dx�

= 17

�log |x + 1| � 2 log |x � 2| + 1

(x+1)(x2�3x+4)

�+ k. (3) Sia f(x) =

5p

x(2 � 3p

x)2. A parte il fattore costante 5, si tratta di un integrale binomio xp(axq + b)r con p = 12,

q = 13

e r = 2. Essendo r 2 Z e p+1q

= 92, si era suggerito di porre 3

px = t2, ovvero x = �(t) =

t6: si ricava alloraR

f(x) dx = 5R

t3(2 � t2)2 6t5 dt = 30R

t8(2 � t2)2 dt = 30R

(4t8 � 4t10 + t12) dt =

30( 49t9 � 4

11t11 + 1

13t13) + k = 30( 4

9t9 � 4

11t11 + 1

13t13) + k da cui, essendo t = x

16 = 6

px, si ricavaR

f(x) dx = 30x( 49

px � 4

11

6p

x5 + 113

x 6p

x) + k. (4) Sia f(x) = 1

x2 3p

xp

x�1. Anche qui si ha un integrale

binomio, essendo 1

x2 3p

xp

x�1= xp(xq�1)r con p = �2, q = 3

2e r = � 1

3. Poiche p+1

q+r = � 2

3� 1

3= �1 2 Z,

si porra x32�1

x32

= t3, ovvero x = �(t) = (1 � t3)�23 , ottenendo

Rf(x) dx =

Rx�2(x

32 � 1)�

13 dx =

R(1 � t3)

43 t�1(1 � t3)

13�� 2

3(�3t2)(1 � t3)�

53�dt = 2

Rt�1t2 dt = 2

Rt dt = t2 + k da cui, ricordando

che t = 3

rx

32�1

x32

=3p

xp

x�1px

, si ottieneR

f(x) dx =3p

(xp

x�1)2

x+ k.

3.5.2 Integrazione definita alla Riemann (calcolo delle aree)

Ci occupiamo ora del problema del calcolo dell’area di sottoinsiemi limitati del pianocartesiano.(121) Piu precisamente, lo scopo e di sviluppare un metodo per calcolare inmodo preciso l’area di quelle zone il cui bordo si possa decomporre come unione di graficidi funzioni continue di x definite su intervalli (ovvero, da curve della forma {(x, f(x)) 2R2 : x 2 A} con f : A �! R funzione continua dell’intervallo A ⇢ R) ed eventualmente darette verticali della forma x = k (vedi Figura 3.22(a)).

Figura 3.22: Area di un insieme piano delimitato da grafici di funzioni; aree con segno.

Iniziamo dunque a studiare l’area con segno (vedi Figura 3.22(b,c,d)) della zona del pianocompresa tra il grafico di una funzione e l’asse delle ascisse. L’espressione “con segno”vuole indicare il fatto che, durante il calcolo dell’area di tale zona, le aree delle parti diessa che si trovano al di sopra (risp. al di sotto) dell’asse sono da considerarsi positive(risp. negative).

(121)Il calcolo avverra in rapporto all’unita d’area determinata dalle unita di misura scelte nel dotare sial’asse delle ascisse che quello delle ordinate di un sistema di coordinate (usualmente, come sappiamo, lalunghezza unitaria viene scelta uguale per entrambi gli assi).

Corrado Marastoni 163

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Analisi Matematica I

Funzioni integrabili E opportuno decomporre il problema che vogliamo trattare, i-niziando dalle funzioni che meglio di altre permettono questa operazione.

Una funzione s : R �! R si dira semplice (o a scalino) se esiste una “suddivisione” di R Funzione semplice

(ovvero una famiglia finita di numeri reali x0 < x1 < · · · < xn) tale che s sia costantequando ristretta a ] � 1, x0[, ad ogni ]xj�1, xj [ (per j = 1, . . . , n) e a ]xn, +1[ (vediFigura 3.23(a)).(122) Qualsiasi suddivisione di R tale che s abbia questa proprieta si diraessere una suddivisione associata ad s. L’esempio piu immediato di funzione semplice e lafunzione caratteristica di un intervallo.(123)

Denoteremo con S(R) l’insieme delle funzioni semplici su R: si tratta di un sottoinsiemedell’insieme RR di tutte le funzioni di R in R. Si noti che l’insieme RR e un’algebra su R(vedi pag. 43) ovvero vi si possono fare somme, prodotti e multipli scalari: infatti, date duefunzioni f, g : R �! R e una costante ↵ 2 R si possono costruire in modo naturale le funzionif + g, ↵f e fg ponendo (f + g)(x) = f(x) + g(x), (↵f)(x) = ↵ f(x) e (fg)(x) = f(x)g(x).

Proposizione 3.5.5. S(R) e una sottoalgebra di RR, ovvero somme, prodotti e multipliscalari di funzioni semplici sono ancora funzioni semplici. Inoltre, S(R) coincide con ilsottospazio vettoriale di RR generato dalle funzioni caratteristiche sugli intervalli di R,ovvero

S(R) = {s : R �! R : s =XN

j=1aj�Aj

per opportuni intervalli Aj ⇢ R}.

Dimostrazione. Se s, t 2 S(R), siano (xi))i=1,...,n e (x0j))j=1,...,m due suddivisioni associate a s e t rispetti-vamente, e consideriamo la suddivisione (x00k))k=1,...,p ottenuta unendo le due precedenti (ove max{m, n} p m + n, e vale p = max{m, n} se una delle due suddivisioni e contenuta nell’altra, o, all’opposto,p = m + n se i punti xi e x0j sono tutti diversi tra loro): allora, per ogni �, µ 2 R la funzione �s + µtresta costante su ogni ]x00k�1, x

00k [, e dunque anche �s + µt 2 S(R). In altre parole, S(R) e un sottospazio

vettoriale di RR. Lo stesso ragionamento mostra che anche il prodotto st 2 S(R), il che prova che S(R) eanche una sottoalgebra di RR. L’ultima a↵ermazione e chiara: poiche tutte le funzioni caratteristiche diintervalli sono semplici, il sottospazio da esse generato sara contenuto in S(R), e viceversa ogni funzione diS(R) e della forma

PNj=1 aj�Aj

(ove eventualmente alcuni degli intervalli Aj sono degeneri, ovvero ridotti

ad un punto).

Se A ⇢ R e f : A �! R e una funzione qualsiasi, il supporto di f e, per definizione, la Supporto

chiusura (in R) del sottoinsieme di A in cui f e non nulla (vedi Figura 3.23(b)):

supp f = {x 2 A : f(x) 6= 0} :

(122)Osserviamo che si richiede che s sia costante nell’interno degli intervalli, e che quello che accade neipunti di separazione non interessa per nulla: qualsiasi valore s assuma in essi, per questa definizione sresta sempre a scalino.(123)Ricordiamo che, in generale, si definisce la funzione caratteristica �A : R �! R di un sottoinsiemeA ⇢ R ponendo

�A(x) =

(1 se x 2 A,

0 se x /2 A :

si tratta della funzione che vale 1 su A e 0 altrove. E immediato verificare che se A, B ⇢ R allora�A\B = �A�B e �A[B = �A + �B � �A\B (in particolare, vale �{R A

= 1 � �A e �A\B

= �A � �A\B ).

Dunque, se A e un intervallo, il grafico di �A si presenta dunque come uno “scalino alto 1” al di sopra diA, ed e l’esempio piu immediato di funzione semplice.

Corrado Marastoni 164

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Figura 3.23: Funzione semplice; supporto; funzione semplice a supporto compatto.

notiamo che ovviamente vale supp(�f + µg) ⇢ supp f [ supp g e supp(fg) = supp f \supp g per ogni f, g : A �! R e �, µ 2 R. Diremo che f : R �! R e una funzione asupporto compatto se supp f e un sottoinsieme compatto di R, ovvero se supp f e (chiuso Funzione a

supportocompattoe) limitato: naturalmente, cio equivale a dire che esiste M > 0 tale che f(x) = 0 per

ogni x 2 R tale che |x| > M (cioe che f e nulla tranne che in un insieme limitato). Siadunque Sc(R) ⇢ S(R) il sottoinsieme di S(R) costituito dalle funzioni semplici a supportocompatto (vedi Figura 3.23(c)): per quanto detto, si ha che Sc(R) e una sottoalgebra S(R)(cioe se s, t 2 Sc(R) e �, µ 2 R vale �s + µt 2 Sc(R) e st 2 Sc(R)). Le funzioni di Sc(R)sono quelle che cercavamo per iniziare a parlare di “area (con segno) della zona del pianocartesiano compresa tra il grafico e l’asse delle ascisse”: tale area sara, in questo casoparticolarmente eloquente, quella ottenuta sommando, con segno, le aree di una famigliafinita di rettangoli. Definiamo dunque la funzione integrale ponendo Integrale di

funzioni semplici asupporto compattoZ

R: Sc(R) �! R,

Z

Rs =

NX

j=1

aj(xj � xj�1)

ove (xj)j=0,1,...,N e una qualsiasi suddivisione di R associata ad f , e si suppone ches|]xj�1,xj [

⌘ aj 2 R per ogni j = 1, . . . , N .(124) Il numero realeR

R s, detto integrale

di s esteso ad R si denota anche comeR

R s(x) dx. Si verifica facilmente che la funzioneRR : Sc(R) �! R e ben definita (cioe non dipende dalla suddivisione scelta), lineare

(ovveroR

R(�s + µt) = �R

R s + µR

R t), isotona (ovvero se s t, cioe s(x) t(x) per ognix 2 R, allora

RR s

RR t) e soddisfa la disuguaglianza fondamentale

��RR s

�� R

R |s|, conuguaglianza se e solo se s ha segno costante (tranne che eventualmente sui punti dellasuddivisione).(125)

Esempio. Dati a, b 2 R con a < b, si ha s = �[a,b[

2 Sc(R) eR

R s = b � a (la lunghezza dell’intervallo

[a, b[), e si ottiene lo stesso risultato mettendo ]a, b[, ]a, b] o [a, b] al posto di [a, b[.

Torniamo ora al caso generale, che intendiamo trattare per approssimazione con funzioni

(124)Si noti che, essendo s a supporto compatto, certamente s sara nulla prima di x0 e dopo xN .(125)Per la buona definizione: se si prendono due suddivisioni di R associate a s il risultato dell’integralenon cambia (facile esercizio: “triangolando” sull’unione delle due suddivisioni si puo supporre che una siacontenuta nell’altra...). Per la linearita e l’isotonıa si prendano due suddivisioni associate a f ed a g, e siconsideri la loro unione, che sara associata ad entrambe. La disuguaglianza fondamentale e ovvia.

Corrado Marastoni 165

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semplici. Se f : R �! R e una funzione qualsiasi e s 2 Sc(R) e una funzione semplicea supporto compatto che maggiora (risp. minora) f , ovvero f s (risp. f � s)(126),l’integrale

RR s si dira una somma superiore (risp. inferiore) di f (vedi Figura 3.24). Somma superiore

e inferiore

Figura 3.24: Somme superiori ed inferiori.

Se s+ e s� sono una somma superiore e inferiore di una medesima f si ha s� s+ edunque, per isotonia, si ha

RR s�

RR s+: pertanto, se si considerano i sottoinsiemi

U+f = {

RR s+ : s+ 2 Sc(R), s+ � f}, U�

f = {R

R s� : s� 2 Sc(R), s� f}

di R, vale certamente U�f U+

f . Ebbene, diremo che f e integrabile su R (secondo Funzioneintegrabile su R(alla Riemann)Riemann) se U�

f e U+f sono classi contigue in R (vedi pag. 48), ovvero se

⇢per ogni " > 0 esistono s+

" , s�" 2 Sc(R)tali che s�" f s+

" eR

R(s+" � s+

" ) < ".

In tal caso, l’unico elemento separatore tra U�f e U+

f (vedi Proposizione 1.3.3) si diraintegrale di f esteso a R, e si indichera con i simboli

Z

Rf oppure

Z

Rf(x) dx.

Il significato geometrico dell’integrale di f esteso a R e chiaro: ottenuto tramite conver-genza di aree a scalino superiori ed inferiori ad un medesimo valore

RR f , esso rappresenta

l’area della parte di piano compresa tra il grafico di f e l’asse x contata col segno, ovveroin cui si considerano positive le aree al di sopra dell’asse x e negative quelle al di sotto.E dunque naturale che, nella teoria dell’integrale di Riemann, cambiare la funzione su unnumero finito di punti non cambi il risultato:

Proposizione 3.5.6. Se f, g : R �! R sono due funzioni che di↵eriscono solo su unnumero finito di punti, allora f e integrabile su R se e solo se lo e g, e vale

RR f =

RR g.

(126)Naturalmente, data un f qualsiasi, si↵atte funzioni semplici a supporto compatto potrebbero nonesistere!

Corrado Marastoni 166

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Analisi Matematica I

Dimostrazione. Siano x1, . . . , xn 2 R i punti su cui f e g di↵eriscono, e supponiamo che f sia integrabile.Dato " > 0, siano s, t 2 Sc(R) tali che s f t e

RR(t � s) "; cambiando i valori di s e t nei punti xi

ponendoli uguali a g(xi) si ottengono ancora due funzioni s0, t0 2 Sc(R) tali che s0 g t0,R

R s0 =R

R s eRR t0 =

RR t: dunque

RR(t0 � s0) ", e cio mostra tutte le a↵ermazioni fatte.

La condizione di integrabilita (su R) alla Riemann e piuttosto impegnativa:

Proposizione 3.5.7. Se f e integrabile su R (secondo Riemann) allora f e limitata e asupporto compatto, ma il viceversa e falso.

Dimostrazione. Se f e integrabile su R esistono s± 2 Sc(R) tali che s� f s+, dunque f e limitata(perche sia s� che s+ sono limitate) e a supporto compatto (perche supp f ⇢ supp s+ [ supp s�). Peril viceversa, si consideri A = {x 2 Q : 0 x 1} = Q \ [0, 1]: allora f = �A (funzione di Dirichlet) elimitata e a supporto compatto (infatti 0 f 1 e supp f = [0, 1]) ma non e integrabile alla Riemannsu R. Infatti, se s 2 Sc(R) soddisfa s f , dev’essere di certo s 0 (se x < 0 oppure x > 1 si has(x) f(x) = 0; se [a, b] ⇢ [0, 1] e poi un intervallo su cui s e costante, poiche in [a, b] ci sono certamentepunti irrazionali su cui f vale 0 tale costante dev’essere 0) e pertanto

RR s 0; similmente se s 2 Sc(R)

soddisfa s � f dev’essere di certo s(x) � 0 per x < 0 oppure x > 1 e s(x) � 1 per x 2 [0, 1]. Dunque leclassi U�f (contenuta in R0) e U+

f (contenuta in R�1) di certo non sono contigue.

Esempio. Vediamo un esempio facile. Dati a, b, m, q 2 R con m > 0, sia f : R �! R data da f(x) = mx+q

(se x 2 [a, b]) e f(x) = 0 (se x /2 [a, b]). Notiamo che tale f , che come sappiamo e crescente, e anche limitata

(infatti min{ma + q, 0} f max{mb + q, 0}) e a supporto compatto (infatti supp f = [a, b]). (f non e

continua, ma cio non importa: per essere integrabile non serve essere continua, come mostra chiaramente il

caso delle funzioni di Sc(R).) Per un qualsiasi n 2 N consideriamo la suddivisione xj = a+j b�an

= (n�j)a+jbn

(con j = 0, 1, . . . , n) di R, ove si noti che a = x0 < · · · < xn = b; poiche f e crescente, se si pone

s�n =Pn

j=1 f(xj�1)�[xj�1,xj [e s+

n =Pn

j=1 f(xj)�[xj�1,xj [vale s±

n 2 Sc(R) e s�n f s+n , ora, si calcola

RR s�n =

Pnj=1(mxj�1 + q)(xj �xj�1) = b�a

n+Pn

j=1(m(n�j+1)a+(j�1)b

n+ q) = (b� a)(m 1

n2

Pnj=1((n� j +

1)a+(j�1)b)+ q) = (b�a)(m 1n2 (n(n+1)

2a+ n(n�1)

2b)+ q) = (b�a)(m

2(n+1

na+ n�1

nb)+ q), e analogamenteR

R s+n =

Pnj=1(mxj +q)(xj�xj�1) = b�a

n+Pn

j=1(m(n�j)a+jb

n+q) = (b�a)(m 1

n2

Pnj=1((n�j)a+jb)+q) =

(b � a)(m 1n2 (n(n�1)

2a + n(n+1)

2b) + q) = (b � a)(m

2(n�1

na + n+1

nb) + q): poiche lim

RR s�n = lim

RR s+

n =

(b � a)(m b+a2

+ q), abbiamo mostrato che f e integrabile su R e cheR

R f = (b � a)(m b+a2

+ q). Questa,

come si verifica direttamente caso per caso con considerazioni di geometria piana elementare, non e altro

che l’area contata con segno della parte di piano compresa tra la retta y = mx + q e l’asse delle ascisse nel

tratto [a, b], come previsto. Notiamo piuttosto un fatto che per ora sembra solo una curiosa coincidenza:

la funzione F (x) = mx2

2+ qx e, come si e visto, una primitiva di f sull’intervallo [a, b], e si verifica

immediatamente cheR

R f = F (b) � F (a). Che non sia una mera coincidenza sara chiaro nel seguito,

quando avremo a disposizione il Teorema fondamentale del calcolo (Teorema 3.5.13).

L’integrale appena introdotto soddisfa le medesime tre proprieta che abbiamo visto per lefunzioni semplici a supporto compatto.

Proposizione 3.5.8. (Proprieta dell’integrale) Siano f, g : R �! R funzioni integrabili.

(i) (Linearita) �f + µg e integrabile per ogni �, µ 2 R, eZ

R(�f + µg) = �

Z

Rf + µ

Z

Rg.

(ii) (Isotonıa) Se f g (ovvero, se f(x) g(x) per ogni x 2 R) alloraR

R f R

R g.

Corrado Marastoni 167

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Analisi Matematica I

(iii) (Disuguaglianza fondamentale) Vale����Z

Rf

���� Z

R|f |

con uguaglianza se e solo se f ha segno costante (tranne che alpiu in un numerofinito di punti).

Dimostrazione. (i) Supponiamo per semplicita che �, µ > 0, gli altri casi essendo facili adattamenti diquesto. Sia " > 0, e siano s±

" , t±" 2 Sc(R) tali che s�" f s+

" , t�" g t+" ,R

R(s+" � s�" ) < 1

2�" eR

R(t+" � t�" ) < 12µ". Allora si ha u±

" := �s±" + µt±

" 2 Sc(R), vale u�" �f + µg u+" ed usando la linearita

dell’integrale in Sc(R) si ottieneR

R(u+" �u�" ) = �

RR(s+

" �s�" )+µR

R(t+" � t�" ) � 12�"+µ 1

2µ" = "; pertanto

�f + µg e integrabile eR

R(�f + µg) = �R

R f + µR

R g. (ii) Come appena visto, h = g � f e integrabile eRR h =

RR g �

RR f ; essendo poi h � 0 e 0 2 Sc(R) si ha

RR h �

RR 0 = 0, ovvero

RR g �

RR f . (iii) Siano

f± : R �! R�0 le funzioni (entrambe positive!) parte positiva e parte negativa di f , date da

f+(x) =

(f(x) se f(x) � 0

0 se f(x) < 0, f�(x) =

(0 se f(x) � 0

�f(x) se f(x) < 0;

si noti che f = f+ � f� e |f | = f+ � f�. E facile mostrare che f e integrabile se e solo se entrambef± lo sono, e in tal caso anche |f | lo e e vale

RR f =

RR f+ �

RR f� e

RR |f | =

RR f+ +

RR f�.(127) Allora��R

R f�� =

��RR f+ �

RR f�

�� ��R

R f+��+��R

R f��� =

RR f+ +

RR f� =

RR |f |.

Funzioni localmente integrabili Abbiamo visto (Proposizione 3.5.7) che una fun-zione f : R �! R, per poter essere integrabile su R, deve essere in particolare limitata ea supporto compatto. Queste ultime proprieta sono pero irrealistiche per le funzioni piucomuni (come le funzioni elementari), che praticamente mai hanno supporto compattoe sono assai spesso illimitate nel loro dominio. Una richiesta molto piu realistica e chel’integrabilita valga quando si considera la funzione solo su un qualsiasi intervallo com-patto (ovvero, chiuso e limitato in R) contenuto nel suo dominio, ponendola uguale a zeroaltrove: sembrerebbe ad esempio che tutte le funzioni continue siano sulla buona stradaper soddisfare questa proprieta, perche esse sono limitate su un compatto (ricordare ilTeorema di Weierstrass a pag. 101).

Se A ⇢ R e un intervallo e f : R �! R una funzione, diremo che f e integrabile su A se, Funzioneintegrabilesu un intervalloper definizione, f�A (funzione che coincide con f sopra A, ed e posta uguale a 0 altrove)

e integrabile in R: si scrivera in tal casoZ

Af :=

Z

Rf�A .

Anche qui il significato geometrico e chiaro: poiche si e lasciata f tale e quale sopra A e lasi e annullata fuori di A”, il numero

RA f rappresenta l’area della parte di piano compresa

tra il grafico di f e il tratto dell’asse x dato da A, contata col segno (vedi Figura 3.25).

(127)Se f± sono integrabili tali sono anche f = f+ �f� e |f | = f+ +f�. Viceversa, sia f integrabile; preso" > 0 ed s, t 2 Sc(R) tali che s f t e

RR(t � s) ", si ha ovviamente s+, t+ 2 Sc(R) e s+ f+ t+,

e inoltre vale t+ � s+ t � s (se t(x) � 0 allora t+(x) = t(x) e dunque t+(x) � s+(x) = t(x) � s+(x) t(x)�s(x), ove l’ultima disuguaglianza si ha perche s s+; se invece t(x) < 0 allora anche s(t) t(x) < 0,e pertanto t+(x) � s+(x) = 0 � 0 = 0 mentre, come per ogni x, vale t(x) � s(x) � 0); dunque f+ eintegrabile, e similmente si prova che f� e integrabile; dunque anche |f | = f+ + f� e integrabile. Leuguaglianze

RR f =

RR f+ �

RR f� e

RR |f | =

RR f+ +

RR f� sono allora chiare, grazie a (i).

Corrado Marastoni 168

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Figura 3.25: Integrabilita locale.

Proposizione 3.5.9. Valgono le seguenti proprieta.

(i) Se A, B ⇢ R sono due intervalli tali che A = B, allora f e integrabile su A se e solose lo e su B, e vale

RA f =

RB f .

(ii) Se f e integrabile su un intervallo A, allora essa e integrabile su ogni altro intervalloB contenuto in A (in particolare, una funzione integrabile su R e integrabile anchesu ogni intervallo di R).

(iii) (Additivita rispetto al dominio d’integrazione) Se A, B ⇢ R sono intervalli tali cheA[B sia esso stesso un intervallo, allora f : R �! R e integrabile su A[B se e solose e integrabile sia su A che su B, e vale

Z

A[Bf +

Z

A\Bf =

Z

Af +

Z

Bf.

Dimostrazione. (i) Discende subito dalla Proposizione 3.5.6. (ii) Fissato " > 0, siano s, t 2 Sc(R) tali ches f�A t e

RR(t � s) ": allora, poste s0 = s�B e t0 = t�B , si ha s0, t0 2 Sc(R), s0 f�B t0 e

(essendo 0 t0 � s0 t � s) si haR

R(t0 � s0) " (iii) Essendo �A[B + �A\B = �A + �B , la conclusione eimmediata.

Veniamo dunque alla proprieta “realistica” che abbiamo preannunciato: se A ⇢ R e unsottoinsieme qualsiasi, una funzione f : A �! R si dira localmente integrabile (nel sensodi Riemann) in A se f e integrabile su ogni intervallo compatto di R contenuto in A. La Funzione

localmenteintegrabileclasse delle funzioni localmente integrabili e piuttosto larga:

Proposizione 3.5.10. Tutte le funzioni con alpiu delle discontinuita di prima specie(128)

sono localmente integrabili. In particolare le funzioni monotone, le funzioni continue, lefunzioni semplici sono localmente integrabili.

Dimostrazione. Dobbiamo mostrare che una funzione f : [a, b] �! R con alpiu delle discontinuita di primaspecie e integrabile su [a, b], ovvero che per ogni " > 0 esistono due funzioni semplici u", v" : [a, b] �! Rcon u" f v" e

R[a,b]

(v" � u") < ". Fissato " > 0, sia I" il sottoinsieme di [a, b] dato dagli x 2 [a, b]

(128)Ricordiamo (vedi pag. 104) che un punto x0 2 A di accumulazione bilatera per A si dice discontinuitadi prima specie (o di salto) per f : A �! R se esistono finiti entrambi i limiti f(x⌥

0) = lim

x�!x⌥0

, x2A2 R.

Corrado Marastoni 169

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Analisi Matematica I

tali che esistono due funzioni semplici ux, vx : [a, x] �! R con ux f vx e vx(t) � ux(t) < "b�a

: ci

bastera mostrare che b 2 I", perche allora, posto v" := vb e u" := ub si ha per isotoniaR[a,b]

(v" � u") <R[a,b]

"b�a

�[a,b] = ". Ora, chiaramente I" e non vuoto (infatti a 2 I"); inoltre, se c 2 I" con c < b esiste

� > 0 tale che anche c + � 2 I". Infatti, per ipotesi esiste � > 0 tale che |f(c+) � f(t)| < "b�a

perogni t 2]c, c + �], e allora, note le funzioni semplici uc, vc : [a, c] �! R, potremo definire le funzioni sempliciuc+�, vc+� : [a, c+�] �! R tramite uc+�(t) = uc(t) e vc+�(t) = vc(t) per ogni t 2 [a, c], uc+�(t) = f(c+)� "

b�a"

e vc+�(t) = f(c+) + "b�a

per ogni t 2 [c, c + �]. Pertanto, essendo I" non vuoto e superiormente limitato,ammettera ⇠ := sup I", e sara a < ⇠ b; anzi, per quanto appena detto dovra essere ⇠ = b. A questopunto dobbiamo solo mostrare che ⇠ 2 I", ovvero che ⇠ = max I". Essendo ⇠ > a ha senso consideraref(⇠�), che sara finito per ipotesi, ed esistera � > 0 tale che |f(⇠�) � f(t)| < "

b�aper ogni t 2 [⇠ � �, ⇠[.

Per la seconda proprieta caratteristica del sup esistera poi d 2 I" tale che d 2]⇠ � �, ⇠], e allora, notele funzioni semplici ud, vd : [a, d] �! R, potremo definire le funzioni semplici u⇠, v⇠ : [a, ⇠] �! R tramiteu⇠(t) = ud(t) e v⇠(t) = vd(t) per ogni t 2 [a, d], u⇠(t) = f(c�) � "

b�ae v⇠(t) = f(c�) + "

b�aper ogni

t 2]d, ⇠[, e u⇠(⇠) = u⇠(⇠) = f(⇠).Infine notiamo che ovviamente le funzioni continue e le funzioni semplici hanno alpiu delle discontinuita diprima specie, e che a stessa cosa accade per una funzione monotona: supposto ad esempio che f : [a, b] �! Rsia crescente, per ogni x 2 [a, b] sappiamo (Proposizione 3.2.6(a)) che esistono i limiti sinistro e destrof(x±), e che per la crescenza deve essere f(a) f(x�) f(x+) f(b).

Funzione integrale e teorema fondamentale del calcolo Introduciamo ora unanuova notazione. Se f e una funzione integrabile su un intervallo compatto di estremia e b (con a < b oppure b < a), si definisce il simbolo

R ba f(x) dx come segue:

Z b

af(x) dx :=

(R[a,b] f se a b ,

�R[b,a] f se a > b .

Si parlera, in questo caso, di integrale di f sull’intervallo orientato di estremi a e b. Insostanza, con questa nuova convenzione, l’integrale orientato di una funzione d’ora in poi Integrale

orientatopotra cambiare segno (1) o cambiando il segno ad f , (2) o invertendo gli “estremi diintegrazione”: vogliamo dire che per ogni a, b 2 A si ha

Z b

af(x) dx = �

Z b

a(�f(x)) dx = �

Z a

bf(x) dx.

Inoltre, vale(129)

Z b

af(t) dt +

Z c

bf(t) dt =

Z c

af(t) dt per ogni a, b, c 2 A.

Con l’introduzione della nozione di integrabilita locale, (che, come mostra la Proposizione3.5.10, costituisce una generalizzazione della nozione di continuita), si e fatto un notevoleprogresso. In e↵etti, se A e un intervallo di R e f : A �! R e una funzione localmenteintegrabile in A, preso un qualsiasi c 2 A ha senso definire la funzione

R •cf : A �! R (detta

funzione integrale (di punto iniziale c)) in questo modo: Funzioneintegrale

(129)Basta considerare una ad una le sei possibili disposizioni dei punti a, b, c usando la Proposizione3.5.9(iii): ad esempio, se a < b < c vale

R b

af(t) dt +

R c

bf(t) dt =

R[a,b]

f(t) dt +R[b,c]

f(t) dt =R[a,c]

f(t) dt =R c

af(t) dt; se c < a < b vale

R b

af(t) dt+

R c

bf(t) dt =

R[a,b]

f(t) dt�R[c,b]

f(t) dt = �R[c,a]

f(t) dt =R c

af(t) dt;

e similmente negli altri quattro rimanenti casi.

Corrado Marastoni 170

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Analisi Matematica I

Z •

cf : A �! R,

✓Z •

cf

◆(x) :=

Z x

cf(t) dt =

(R[c,x] f se x � c ,

�R[x,c] f se x < c .

In sostanza, la funzioneR •cf assegna ad ogni x 2 A il valore dell’integrale orientato di f

da c a x. La proposizione che segue mostra che, come preannunciato, la regolarita dellafunzione integrale sara migliore di quella della funzione di partenza: nella prima parte sidice che la funzione integrale di una funzione localmente integrabile e continua, mentrenella seconda parte, vera chiave di volta della teoria, si prova che la funzione integrale diuna funzione continua e derivabile, con derivata... la funzione stessa.

Proposizione 3.5.11. Sia A un intervallo di R, c 2 A e f una funzione localmenteintegrabile su A.

(i) La funzione integraleR •cf : A �! R e continua.

(ii) (Teorema di Torricelli) Se f e continua in x 2 A alloraR •cf e derivabile in x, e vale

✓Z •

cf

◆0(x) = f(x).

Corollario:

(Teorema della media integrale per le funzioni continue) Se [a, b] e un intervallocompatto di R e f : [a, b] �! R e una funzione continua, esiste ⇠ 2]a, b[ tale che

f(⇠) =1

b � a

Z b

af(x) dx.

Dimostrazione. Poniamo F (x) := (R •

cf)(x) =

R x

cf(t) dt. (i) Sia [a, b] un intervallo compatto di R contenuto

in A, e poniamo La,b = sup{|f(x)| : x 2 [a, b]}: allora se x0, x00 2 [a, b] si ha |F (x0)�F (x00)| = |R x0

cf(t) dt�

R x00

cf(t) dt| = |

R x0

x00 f(t) dt| |R x0

x00 |f(t)| dt| |R x0

x00 La,b dt| = La,b |R x0

x00 dt| = La,b |x0 � x00|. Percio lafunzione F e lipschitziana (vedi pag. 103) su [a, b], e dunque continua in [a, b]. Per la genericita di [a, b],si conclude che F e continua su tutto A. (ii) Dobbiamo mostrare che, dato " > 0, esiste � > 0 tale che se

|⇠�x| < � allora |F (⇠)�F (x)⇠�x

�f(x)| < ". Poiche f e continua in x, esiste �0 > 0 tale che se |⇠�x| < �0 allora

|f(⇠)�f(x)| < ": scegliamo allora � = �0, e supponiamo dunque che nel seguito sia |⇠�x| < �. Essendo f(x)costante rispetto alla variabile d’integrazione, usando la disuguaglianza fondamentale e poiche |t � x| |⇠� x| < � per ogni t nell’intervallo di estremi ⇠ e x, si ha

���F (⇠)�F (x)⇠�x

� f(x)��� =

��� 1⇠�x

R ⇠x(f(t) � f(x)) dt

��� 1

|⇠�x|

���R ⇠

x|f(t) � f(x)| dt

��� 1|⇠�x|

���R ⇠

x" dt��� = 1

|⇠�x|"|⇠� x| = ", ed il Teorema di Torricelli e dimostrato. Ne

segue che, per il Teorema del valor medio di Lagrange, esiste qualche ⇠ 2]a, b[ tale che F 0(⇠) = F (b)�F (a)b�a

,

ovvero f(⇠) =R ba f(x) dx�

R aa f(x) dx

b�a=

R ba f(x) dx

b�a.

Come immediata conseguenza del Teorema di Torricelli si puo finalmente dimostrarequanto lasciato in sospeso nella dimostrazione della Proposizione 3.5.1:

Corollario 3.5.12. (Ogni funzione continua su un intervallo ammette primitiva) Se Ae intervallo di R, f : A �! R una funzione continua e c 2 A, la funzione integraleR •cf : A �! R e una primitiva di f (cioe (

R •cf)0(x) = f(x) per ogni x 2 A).

Corrado Marastoni 171

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Analisi Matematica I

Ma la conseguenza piu importante, che mostra il legame tra integrazione definita e in-definita e apre la strada a tutte le applicazioni del calcolo integrale, e senza dubbio il

Teorema 3.5.13. (Teorema fondamentale del calcolo) Se A e un intervallo di R, f : A �!R una funzione continua ed F : A �! R una qualsiasi primitiva di F , allora

Z b

af(t) dt = F (b) � F (a) per ogni a, b 2 A.

Dimostrazione. Se F e una primitiva di f su A, per la Proposizione 3.5.1 preso un qualsiasi c 2 A esiste unacostante k 2 R tale che F =

R •cf +k: dunque F (b)�F (a) =

R b

cf(x) dx+k�

R a

cf(x) dx�k =

R b

af(x) dx.

Talvolta in luogo di F (b) � F (a) si usa scrivere anche (F (x)|ba.

Esempi. (0) Calcoliamo l’area con segno della zona compresa tra il grafico della funzione f(x) = mx + q

ed il segmento [a, b] dell’asse delle ascisse (con m, q 2 R e a > 0). Una primitiva di f(x) e F (x) = mx2

2+qx,

pertanto l’area cercata eR b

af(x) dx = F (b) � F (a) = m b2�a2

2+ q(b � a) = (b � a)(m b+a

2+ q) (vedi anche

pag. 167). Se m = 0 si ottiene semplicemente q(b� a), l’area con segno del rettangolo di lati b� a e |q|; se

a = q = 0 si ottiene mb2

2, l’area con segno del triangolo rettangolo di cateti b e |m|b. (1) Calcoliamo l’area

del settore parabolico delimitato dal grafico della funzione f : [a, b] �! R, f(x) = �(x2 � (a + b)x + ab)

(una parabola con concavita rivolta verso il basso, passante per (a, 0), (b, 0) e con vertice (a+b2

, a2+b2

2)). e

dall’asse delle ascisse. Una primitiva di f e F (x) = �x3

3�(a+b)x2

2�abx, e pertanto l’area cercata e uguale aR b

af(x) dx = F (b)�F (a) = (b�a)3

6. (2) Per quanto abbiamo spiegato, dovra essere di certo

R 2⇡

0sin x dx = 0

(le aree tra 0 e ⇡ e tra ⇡ e 2⇡ sono uguali ma di segno opposto): infatti una primitiva di f(x) = sin x e

F (x) = � cos x, e F (2⇡) � F (0) = �1 � (�1) = 0. Invece valeR ⇡0

sin x dx = (� cos)(⇡) � (� cos)(0) =

�(�1) � (�1) = 2. (3) Calcoliamo l’area (con segno) compresa tra il grafico di f(x) = e�2x � 1 e

l’asse delle ascisse sull’intervallo [�3, 1] (la funzione, essendo continua, e anche localmente integrabile, e

dunque tale richiesta ha senso). Una primitiva di f(x) e F (x) = � 12e�2x � x e dunque, essendo F (�2) =

� 12e4 + 2 ⇠ �25, 3 e F (1) = � 1

2e�2 � 1 ⇠ �1, 1, si ha

R 1

�2f(x) dx = F (1) � F (�2) = e4�e�2

2� 3 ⇠ 24, 2.

Si noti che la funzione e positiva se e solo se x < 0 e dunque, quest’area e la somma del contributo

positivoR 0

�2f(x) dx = F (0) � F (�2) = � 1

2� (� 1

2e4 + 2)) = e4�1

2� 2 ⇠ 24, 8 e del contributo negativo

R 1

0f(x) dx = F (1) � F (0) = � 1

2e�2 � 1 � (� 1

2) = �1 + 1�e�2

2⇠ �0, 6.

Proposizione 3.5.14. Nel calcolo degli integrali definiti valgono le seguenti proprieta.

(i) (Metodo di integrazione definita per sostituzione) Siano A, T intervalli di R, � : B �!A una funzione di classe C1, [t1, t2] ⇢ T un intervallo compatto, aj = �(tj) 2 A (perj = 1, 2) ed f : A �! R una funzione continua. Si ha allora

Z �(t2)

�(t1)f(x) dx =

Z t2

t1

f��(t)

��0(t) dt.

In particolare, se � e un di↵eomorfismo, dato un intervallo compatto [a1, a2] ⇢ Avale Z a2

a1

f(x) dx =

Z ��1(a2)

��1(a1)f��(t)

��0(t) dt.

Corrado Marastoni 172

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Analisi Matematica I

(ii) (Metodo di integrazione definita per parti) Siano A ⇢ R un intervallo e F, G : A �! Rdue funzioni di classe C1 con derivate F 0 = f e G0 = g. Allora per ogni intervallocompatto [a, b] ⇢ A vale

Z b

aF (x)g(x) dx =

�F (x)G(x)

��ba�Z b

af(x)G(x) dx.

Dimostrazione. (i) Va innanzitutto ricordato che l’intervallo in A di estremi �(t1) e �(t2) e compatto (siricordi la Proposizione 3.2.10(d)), e dunque il primo membro ha senso. Se F e una primitiva di f , F � �e una primitiva di (f � �)�0 e dunque ambo i membri valgono (F (�(t))|t2t1 . Se inoltre � e di↵eomorfismo,

si ha aj = �(tj) se e solo se tj = �(aj) (per j = 1, 2). (ii) Basta calcolare ( · |ba di ambo i membri dellaformula di integrazione indefinita per parti.

Esempi. (1) Si debba calcolareR 2

� 13

f(x) dx, dove f e una qualsiasi funzione continua. Se (per fare un

esempio) si vuole applicare a tale integrale il cambio di variabile x = �(t) = t(t � 2), si noti che �(t) = 2

per t = ⌥p

3 + 1 (con t01 =p

3 + 1 ⇠ 2, 7 e t001 = �p

3 + 1 ⇠ �0, 7) , e che �(t) = � 13

per t = 1 ⌥p

63

(con

t02 = 1�p

63

⇠ 0, 2 e t002 = 1+p

63

⇠ 1, 8. Pertanto l’integrale di partenza e uguale ad uno qualsiasi dei quattro

integraliR t2

t1f(t(t�2))(2t�2) dt, ove t1 sia liberamente scelto tra t01 e t001 e t2 tra t02 e t002 . (Si noti che � induce

di↵eomorfismi � : [t01, t02] �! [� 1

3, 2] e � : [t001 , t002 ] �! [� 1

3, 2].) (2) Si ha

R 3

�1te2t dt =

�t e2t

2

��3�1

�R 3

�11 e2t

2dt =

3e6

2� �e�2

2��

e2t

4

��3�1

= 3e6+e�2

2� ( e6

4� e�2

4) = 5e6+3e�2

4. (3) Ricordiamo che la funzione potenza x↵

con esponente razionale ↵ = mn

a denominatore n dispari e definita per ogni x se ↵ > 0, e per ogni

x 6= 0 se ↵ 0 (vedi pag. 4): ad esempio, (�8)13 = � 3

p8 = �2 e (� 1

2)�

25 = 1

(� 12)25

= 1

(� 5p

12)2

= 5p

4.

Pertanto, l’integrale definitoR 0

�1dx

3p

(7x�1)2ha senso, perche la funzione 1

3p

(7x�1)2= (7x � 1)�

23 e definita

e continua (dunque localmente integrabile) per x 6= 17, e lo stesso vale per

R 1

�1dx

5px�2, perche la funzione

15px�2

= (x�2)�15 e definita e continua (dunque localmente integrabile) per x 6= 2. Inoltre, nel primo caso

il risultato sara positivo (la funzione integranda 13p

(7x�1)2e positiva su [�1, 0]) mentre nel secondo sara

negativo (la funzione integranda 15px�2

e negativa su [�1, 1]). Passiamo ora al calcolo preciso di questi

integrali. Utilizzando rispettivamente il cambio di variabile t = 7x � 1 (dunque x = t+17

) e ⌧ = x � 2

(dunque x = ⌧ + 2), si ottieneR 0

�1dx

3p

(7x�1)2= 1

7

R �1

�8dt3p

t2= 3

7(t

13 ]�1�8 = 3

7((�1) � (�2)) = 3

7> 0 e

R 1

�1dx

5px�2=R �1

�3d⌧5p⌧ = 5

4(⌧

45 ]�1�3 = 5

4((�1)

45 � (�3)

45 ) = 5

4(1 � 5

p81) < 0.

Esercizio. Calcolare i seguenti integrali definiti:

(1)

Z 2

�1

x3 � 11x + 1

x2 � x � 12dx, (2)

Z 2

1

e1x

x5dx, (3)

Z ⇡

0

sin x(sin 2x + cos 2x) dx.

Risoluzione. (1) Dividendo il numeratore per il denominatore si ottiene x3 � 11x + 1 = (x + 1)(x2 �x � 12) + 2x + 13 da cui x3�11x+1

x2�x�12= x + 1 + 2x+13

x2�x�12. Poiche x2 � x � 12 = (x + 3)(x � 4), esistono

due numeri A, B 2 R tali che 2x+13x2�x�12

= Ax+3

+ Bx�4

: dai calcoli risulta che A = �1 e B = 3. Si ha

pertanto x3�11x+1x2�x�12

= x + 1 + 3x�4

� 1x+3

, e percioR

x3�11x+1x2�x�12

dx = x2

2+ x + 3 log |x � 4| � log |x + 3| + k,

da cuiR 2

�1x3�11x+1x2�x�12

dx = (x2

2+ x + 3 log |x � 4| � log |x + 3|]2�1 = 2 + 2 + 3 log 2 � log 5 � ( 1

2� 1 +

3 log 5 � log 2) = 92

+ 4 log 2 � 4 log 5 = 92� 4 log 5

2⇠ 0, 83. (2) Sostituendo x = 1

tsi ottiene dx = � 1

t2dt,

da cuiR

e1x

x5 dx =R

t5et(� 1t2

dt) = �R

t3et dt. Integrando ripetutamente per parti si ha poiR

t3et dt =

t3et �R

3t2et dt = t3et � 3(t2et �R

2tet dt) = t3et � 3t2et + 6R

tet dt = t3et � 3t2et + 6(tet �R

et dt) =

Corrado Marastoni 173

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Analisi Matematica I

t3et � 3t2et + 6tet � 6et + k = (t3 � 3t2 + 6t � 6)et + k, da cui finalmenteR

e1x

x5 dx = �R

t3et dt =

�(t3 �3t2 +6t�6)et +k = �( 1x3 � 3

x2 + 6x�6)e

1x +k = 6x3�6x2+3x�1

x3 e1x +k. L’integrale definito

R 2

1e

1x

x5 dx

vale percio ( 6x3�6x2+3x�1x3 e

1x ]21 = 48�24+6�1

8

pe � 6�6+3�1

1e = 29

8

pe � 2e ⇠ 0, 54. (3) Usando le formule

trigonometriche di duplicazione si haR ⇡0

sin x(sin 2x+cos 2x) dx =R ⇡0

sin x(2 sin x cos x+2 cos2 x�1) dx =R ⇡0

(2 sin2 x cos x+2 sin x cos2 x� sin x) dx = (2 sin3 x3

� 2 cos3(x)3

+cos x]⇡0 = (0+ 23� 1)� (0� 2

3+1) = � 2

3.

Esercizio. Si consideri la funzione f : [0, ⇡2] �! R data da f(x) = sin x log sin x (per x 6= 0) e f(0) = 0.

Mostrare che f e continua, e trovare una primitiva F (x) di f(x) su [0, ⇡2]. Usare il risultato trovato per

calcolareR ⇡

20

f(x) dx.

Risoluzione. Posto t = sin x, si ha limx�!0 f(x) = limt�!0+ t log t = 0 = f(0): dunque f e continua su [0, ⇡2],

e dunque certamente vi ammette primitive. Integrando per parti, si haR

f(x) dx = � cos x log(sin x) �R(� cos x) cos x

sin xdx = � cos x log(sin x) +

Rcos2 xsin x

dx = � cos x log(sin x) +R

1sin x

dx �R

sin x dx = cos x(1 �log sin x) + log tg x

2+ k (si e usato l’integrale

R1

sin ⇠d⇠ = log | tg ⇠

2| + k, che si calcola ad esempio usando

le formule parametriche ⌧ = tg ⇠2

ovvero ⇠ = 2 arctg ⌧ , da cuiR

1sin ⇠

d⇠ =R

1+⌧2

2⌧2

1+⌧2 d⌧ =R

1⌧d⌧ =

log |⌧ |+k = log | tg ⇠2|+k). Come primitiva possiamo scegliere dunque F (x) = cos x(1� log sin x)+log tg x

2:

si ha F (⇡2) = 0, e ci resta da calcolare F (0) = limx�!0+ F (x), che e nella forma indeterminata +1�1.

Usando ancora le formule parametriche con ⌧ = tg x2, si ha log sin x = log 2⌧

1+⌧2 = log 2+log ⌧ � log(1+⌧2),

da cui F (0) = limx�!0+ F (x) = lim⌧�!0+ [ 1�⌧2

1+⌧2 (1� log 2� log ⌧ +log(1+ ⌧2))+ log ⌧ ] = lim⌧�!0+ [ 1�⌧2

1+⌧2 (1�log 2) + 2⌧2

1+⌧2 log ⌧ + 1�⌧2

1+⌧2 log(1 + ⌧2)] = 1 � log 2: si ricava percio cheR ⇡

20

f(x) dx = F (⇡2) � F (0) =

0 � (1 � log 2) = �(1 � log 2) ⇠ �0, 3 (il segno negativo era atteso, in quanto f(x) < 0 in [0, ⇡2]).

Diamo ora una terza versione della formula di Taylor (vedi Teorema 3.3.11), nella quale ilresto e espresso in forma integrale.(130)

Proposizione 3.5.15. (Formula di Taylor con resto nella forma integrale) Sia A unintervallo, c 2 A e f : A �! R di classe Ck in A. Allora

f(x) = f(c) + f 0(c) (x � c) + · · · +f (k�1)(c)

(k � 1)!(x � c)k�1 +

Z x

c

(x � t)k�1

(k � 1)!f (k)(t) dt.

Dimostrazione. Ragioniamo per induzione su k. Se k = 1 la formula f(x) = f(c) +R x

cf 0(t) dt e niente

altro che il Teorema Fondamentale del Calcolo (Teorema 3.5.13); supponiamo poi che l’enunciato valgaper funzioni di classe Ck�1 (con k � 2), e mostriamo che allora esso vale anche per funzioni Ck. Data unaf di classe Ck, essa e in particolare di classe Ck�1 e dunque possiamo scrivere f(x) = f(c) + f 0(c) (x� c) +

· · ·+ f(k�2)(c)(k�2)!

(x�c)k�2 +R x

c

(x�t)k�2

(k�2)!f (k�1)(t) dt; calcolando ora per parti l’ultimo integrale (Proposizione

3.5.14(ii) con F (t) = f (k�1)(t) e g(t) = (x�t)k�2

(k�2)!, da cui f(t) = f (k)(t) e G(t) = � (x�t)k�1

(k�1)!) si ottiene

R x

c

(x�t)k�2

(k�2)!f (k�1)(t) dt =

�� (x�t)k�1

(k�1)!f (k�1)(t)

��xc�R x

c(� 1

k�1(x� t)(k�1)!)f (k)(t) dt = 0� (� f(k�1)(c)

(k�1)!)(x�

c)k�1 +R x

c1

k�1(x � t)(k�1)! f (k)(t) dt, che e quanto si voleva.

Misura nella retta e nel piano, area di regioni piane Trattiamo ora con mag-

gior precisione la nozione di misura nella retta R e nel piano R2. “Misurare” un sot-toinsieme di R oppure di R2 significhera rispettivamente determinarne, quando possibile,

(130)Si noti che il legame tra le versioni della formula di Taylor con resto in forma di Lagrange (Teorema3.3.11(ii)) e la seguente con resto in forma integrale e dato dal teorema della media integrale (Proposizione3.5.11) applicato alla funzione continua f (k)(x).

Corrado Marastoni 174

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la lunghezza (in R) oppure l’area (in R2), che sono numeri � 0. Una proprieta che vienespontaneo richiedere a questa “misura”, oltre alla positivita, e l’“additivita”: se A e Bsono sottoinsiemi disgiunti misurabili (ovvero, cui si puo assegnare una misura), ci si as-petta che anche A t B si misurabile e che la sua misura sia la somma di quelle di A e diB.

Una breve esposizione in termini del tutto generali puo aiutare ad inquadrare meglio laquestione. Dato un insieme non vuoto X, consideriamo una famiglia di parti A ⇢ P(X)chiusa rispetto alla di↵erenza ed all’unione numerabile (ovvero se A, B 2 A allora ancheA \ B 2 A, e se {An : n 2 N} e una famiglia numerabile di elementi di A allora ancheA =

Sn2N An 2 A) e tale che X 2 A:(131) si verifica facilmente che, allora, A e chiuso

anche rispetto all’intersezione numerabile ed alla complementazione (ovvero se {An : n 2N} e una famiglia numerabile di elementi di A allora anche A =

Tn2N An 2 A, e se A 2 A

allora anche {X A 2 A). Una misura positiva su A e una funzione Misura

� : A �! eR�0

non identicamente uguale a +1 e “numerabilmente additiva”: ovvero se {An : n 2 N} euna famiglia numerabile di elementi disgiunti di A (con A =

Fn2N An 2 A) allora �(A)

sara +1 se esiste qualche n0 2 N per cui �(An0) = +1, mentre sara uguale alla somma(in eR�0) della serie numerica (vedi pag. 79)

P�(An) se �(An) 2 R�0 per ogni n 2 N. Si

dimostra allora facilmente che vale:

(1) �(?) = 0 .

(2) (Additivita finita) Se A, B 2 A sono disgiunti allora �(A t B) = �(A) + �(B) .

(3) (Monotonıa) se A, B ⇢ A e A ⇢ B allora �(A) �(B).(132)

I sottoinsiemi di X appartenenti ad A si chiameranno i misurabili di X secondo �. Sottoinsiemimisurabili

Torniamo ora ai nostri casi particolari.

• Su X = R si considera solitamente la misura elementare di Lebesgue �1, che esprimel’idea di “lunghezza”. In questo caso, A ⇢ P(R) sara formato da tutti gli intervalli(limitati o no, con punti interni o degenerati ad un punto, aperti/chiusi o no) edalle loro unioni arbitrarie, che si diranno anche pluri-intervalli; se A e un intervallolimitato di R si porra ovviamente �1(A) = sup A � inf A che e l’usuale nozione di“lunghezza”, mentre se P e un pluri-intervallo limitato di R (ovvero P = A1t· · ·tAm

con Ai intervalli limitati e a due a due disgiunti) si avra percio, per l’additivita,�1(P ) =

Pmi=1 �1(Ai) =

Pmi=1(supAi � inf Ai); per la buona definizione, e pero

indispensabile notare (facile esercizio) che cambiando la scrittura P = B1 t · · · tBn con altri intervalli limitati e a due a due disgiunti Bj si ha anche �1(P ) =Pn

j=1 �1(Bj) =Pn

j=1(supBj � inf Bj). Notiamo che, in particolare, i punti (visti

(131)Una tale famiglia si dira una �-algebra di parti di X.(132)Per �(?) = 0 si consideri {An : n 2 N} con A1 = ? e An = A per ogni n � 2; per �(A t B) = �(A) +�(B) basta considerare {An : n 2 N} con A1 = A e An = B per ogni n � 2; infine, per la monotonıa, si haB = At (B \A) con B \A 2 A e dunque, grazie all’additivita finita, si ha �(B) = �(A)+�(B \A) � �(A).

Corrado Marastoni 175

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come intervalli degeneri) e dunque le famiglie finite di punti hanno misura nulla inR.

• Su X = R2, in generale, si considera di solito la misura elementare di Lebesgue �2,che esprime l’idea di “area”. In questo caso, A ⇢ P(R2) sara formato da tutti irettangoli, ovvero i sottoinsiemi di R2 del tipo A ⇥ B con A e B intervalli di Re dalle loro unioni arbitrarie, tra le quali si trovano anche i plurirettangoli, ovverole unioni finite di rettangoli; se A, B ⇢ R sono intervalli limitati di R si porra�2(A ⇥ B) = �1(A)�1(B) = (sup A � inf A)(supB � inf B) che e l’usuale nozionedi “area”, mentre se P e un plurirettangolo limitato di R (ovvero P = (A1 ⇥ B1) t· · · t (Am ⇥ Bm) con Ai, Bi intervalli limitati tali che i rettangoli Ai ⇥ Bi siano adue a due disgiunti) si avra percio, per l’additivita, �2(P ) =

Pmi=1 �2(Ai ⇥ Bi) =Pm

i=1(supAi� inf Ai)(supBi� inf Bi): anche qui va pero verificato che, per la buonadefinizione, cambiando la scrittura P = (A0

1 ⇥B01)t · · ·t (A0

n ⇥B0n) la misura �2(P )

non cambia (stavolta la verifica e un po’ laboriosa, e la omettiamo). Notiamo cheunendo arbitrariamente rettangoli si ottiene una classe molto larga di sottoinsiemidi R2: ad esempio, anche un cerchio (pieno) si puo ottenere unendo una famiglianumerabile di rettangoli. Notiamo anche che un segmento contenuto in R2 ha misuranulla: infatti, un segmento puo essere visto come un rettangolo degenere.

• Generalizzando in modo naturale il caso di R2, a questo punto e facile immaginare,e lo lasciamo fare allo studente, quale sara la misura elementare di Lebesgue �n suX = Rn, che esprimera l’idea di “area n-dimensionale” (di “volume” per n = 3).

La nozione di misurabilita introdotta in R2 porta ad una classe molto vasta di sottoinsiemidel piano, i cui elementi possono essere particolarmente complicati; lasciandoci ispiraredalla teoria dell’integrazione alla Riemann, ci accontentiamo di una sottoclasse di elementiparticolarmente descrivibili, come quelli che si lasciano approssimare “dal di dentro” e“dal di fuori” da plurirettangoli limitati (e dunque essi stessi saranno limitati). Per lamonotonıa della misura �2, dato D ⇢ R2 e due plurirettangoli limitati P± tali che P� ⇢D ⇢ P+ si ha �2(P

�) �2(P+), e cosı, considerati i sottoinsiemi di R

U+D = {�2(P ) : P plurirettangolo limitato, D ⇢ P}

U�D = {�2(P ) : P plurirettangolo limitato, P ⇢ D},

vale certamente U�D U+

D . Il sottoinsieme D si dira quadrabile, o elementarmente misu- Insiemequadrabile

rabile (con misura finita) se U�D e U+

D sono classi contigue in R, ovvero se

⇢per ogni " > 0 esistono due plurirettangoli limitati P±

"

tali che P�" D P+

" e �2(P+" ) � �2(P

�" ) = �2(P

+" \ P�

" ) < ".

In tal caso, l’unico elemento separatore tra U�D e U+

D si dira area di D, e sara denotatocon �2(D) oppure Area(D). Area

Siano ora A ⇢ R e f : A �! R una funzione localmente integrabile. Se [a, b] e un intervallolimitato contenuto in A, abbiamo detto cosa significa geometricamente l’integrale definito

Corrado Marastoni 176

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R ba f(x) dx: esso e l’area con segno della parte di piano compresa tra il grafico di f e

l’asse delle ascisse nel tratto [a, b]. Poiche abbiamo introdotto una nozione di “area” persottoinsiemi di R2, dobbiamo mostrare che questa e compatibile con la nostra costruzioneprecedente. Se u : A �! R e una funzione localmente integrabile positiva (ovvero u � 0) e[a, b] ⇢ A e compatto, definiamo il trapezoide T

[a,b](u) di u su [a, b] proprio come T

[a,b](u) = Trapezoide

{(x, y) 2 R2 : a x b, 0 y u(x)} (vedi Figura 3.26(a)).

Proposizione 3.5.16. Siano A ⇢ R, f : A �! R una funzione localmente integrabile e[a, b] ⇢ A un intervallo limitato. Allora i trapezoidi T

[a,b](f±) sono quadrabili e vale

Z b

af(x) dx = Area(T

[a,b](f+)) � Area(T

[a,b](f�)).

Dimostrazione. Iniziamo dal caso in cui f � 0. Se f |[a,b] e semplice, si puo suddividere [a, b] in intervalli

disgiunti (eventualmente degenerati ad un punto) I1 < · · · < Im di modo che f =Pm

i=1 ↵i�Iicon ↵i 2 R�0

per i = 1, . . . , m, e ne risulta T[a,b]

(f) =Fm

i=1(Ii ⇥ [0,↵i]), e pertantoR b

af(x) dx =

Pmi=1 ↵i �1(Ii) =

Area(T[a,b]

(f)); la conclusione ne segue anche se f e localmente integrabile, perche preso " > 0 esistono

funzioni semplici s±" tali che

R b

as+" (x) dx �

R b

as�" (x) dx = Area(T

[a,b](s+" )) � Area(T

[a,b](s�" )) < ", e cio

mostra che T[a,b]

(f) e quadrabile (infatti i trapezoidi T[a,b]

(s±" ) sono plurirettangoli limitati) e che la

sua area (elemento separatore del secondo membro) vale quanto l’elemento separatore del primo membro,

ovveroR b

af(x) dx. Tornando al caso generale, se f e localmente integrabile tali sono anche f± e dunque, per

quanto appena visto, T[a,b]

(f±) sono quadrabili e valeR b

af±(x) dx = Area(T

[a,b](f±)); essendo

R b

af(x) dx =R b

af+(x) dx �

R b

af�(x) dx, si ottiene quanto voluto.

Figura 3.26: Trapezoide; aree di piano delimitate da grafici di funzioni

Dopo questa doverosa precisazione, terminiamo la trattazione dell’integrazione precisandocome calcolare l’area di una vasta classe di sottoinsiemi quadrabili di R2. Supponiamodi avere un sottoinsieme D ⇢ R2 il cui bordo si possa decomporre in tratti descrivibilicome grafici di funzioni f1(x), . . . , fm(x) a due a due privi di intersezioni (tranne che negliestremi), eventualmente intercalati da tratti verticali (ovvero, giacenti su rette del tipox ⌘ k 2 R). Il caso piu semplice e il seguente:

Corrado Marastoni 177

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Proposizione 3.5.17. Sia [a, b] un intervallo compatto di R, f1, f2 : [a, b] �! R duefunzioni integrabili tali che f1 > f2: allora (vedi Figura 3.26(b))

D = {(x, y) 2 R2 : x 2 [a, b], f2(x) y f1(x)}e quadrabile, e vale

Area(D) =

Z b

a

�f1(x) � f2(x)

�dx =

Z b

af1(x) dx +

Z a

bf2(x) dx.

Dimostrazione. Sia k 2 R una qualsiasi costante; se cambiamo f1 e f2 con f1+k e f2+k, l’e↵etto e quello ditraslare i grafici di f1 e f2 (e dunque anche D) verticalmente di k; agli e↵etti dell’uguaglianza da dimostrarenon cambia nulla (si noti che infatti nessuno dei due membri risente del cambiamento). Possiamo dunquesupporre che sia f1 > f2 > 0. Ma allora si ha ovviamente Area(D) = Area(T

[a,b](f1)) � Area(T

[a,b](f2));

usando allora la Proposizione 3.5.16, si ha Area(D) =R b

af1(x) dx �

R b

af2(x) dx, come voluto.

L’idea e dunque quella di partire dal punto (a, f1(a)) e, percorrendo il grafico di f1(x) insenso orario (ovvero positivo, da sinistra a destra), integrare f1 da a a b; indi, portandosidal punto (b, f1(b)) al punto (b, f2(b)) (eventualmente spostandosi lungo la retta verticalex = b verso il basso; in ogni caso, questa operazione e “innocua” dal punto di vistadell’area), percorrere a ritroso il grafico di f2(x) integrando percio f2 da b ad a; infine,portarsi dal punto (a, f2(a)) al punto (a, f1(a)) (sempre spostandosi lungo la retta verticalex = a, altra operazione “innocua”) da cui eravamo partiti, chiudendo cosı il circuito datodal bordo di di D. Ma anche se fossimo partiti ad esempio dal punto (b, f2(b)) percorrendoil bordo di D sempre in senso orario (che stavolta dunque e negativo, da destra a sinistra)seguendo le stesse tappe fino a tornare allo stesso punto (b, f2(b)), il risultato al secondomembro non sarebbe cambiato; anzi, e facile vedere che, prendendo un qualsiasi c 2 [a, b]e facendo la stessa operazione (cioe, partendo da (c, f1(c)) oppure da (c, f2(c)), integraremuovendosi in senso orario sul bordo di D fino a tornare al punto di partenza) il risultatocontinua a non cambiare, dando sempre l’area di D. Insomma, per calcolare l’area diD basta prendere un punto qualsiasi del bordo di D e percorrere il bordo in verso orariointegrando la funzione sul grafico della quale ci si sta muovendo, fino a chiudere il circuitotornando nel punto da cui si era partiti.

Questa idea funziona esattamente allo stesso modo anche nel caso piu generale delineatoall’inizio, in cui il bordo di D si possa decomporre in tratti descrivibili come grafici dipiu funzioni a due a due privi di intersezioni (tranne che negli estremi), eventualmenteintercalati da tratti verticali (vedi Figura 3.26(c)). Data una famiglia (senza alcun ordine)di m + 1 punti distinti {x1, . . . , xm+1} di R con x0 = xm+1, per j = 1, . . . , m si denoticon Ij l’intervallo compatto di estremi xj e xj+1 (dunque Ij e Ij+1 hanno l’estremo xj+1

in comune) e si considerino delle funzioni continue fj : Ij �! R i cui grafici non abbianointersezioni ne tra di loro (tranne che negli estremi) ne con i segmenti verticali `j da(xj+1, fj(xj+1)) e (xj+1, fj+1(xj+1)), e si consideri il sottoinsieme D ⇢ R2 delimitato dai

grafici delle fj e dai segmenti `j : allora(133)

Area(D) =

mX

j=1

Z xj+1

xj

fj(t) dt.

(133)La dimostrazione, che non scriviamo in dettaglio, si puo ottenere riducendosi a cio che accade sopra unsingolo intervallo Ik ed applicando il caso base della Proposizione 3.5.17. Menzioniamo solamente il fattoche questa espressione e un caso particolare della formula di Green nel piano (per la quale rimandiamo

Corrado Marastoni 178

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Analisi Matematica I

Esercizio. Si calcoli l’area della regione piana limitata D racchiusa inferiormente dal grafico della funzionef(x) = x2 � 3 e, superiormente, dai grafici di g(x) = x

2+ 2 per x < 0 e di h(x) = 2 4x�3

2x�3per x > 0.

Risoluzione. I grafici di f e g si intersecano in A = (�2, 1) e A0 = ( 52, 13

4); quelli di g e h in B = (0, 2) e

B0 = ( 112

, 174

); quelli di f e h in C = (� 52, 13

4), C0 = (1,�2) e C00 = (3, 6). La regione D (vedi Figura 3.27(i))

risulta delimitata inferiormente dal grafico di f(x) per �2 x 1 e superiormente dal grafico di g(x) per

�2 x 0 e di h(x) per 0 x 1; si ha dunque Area(D) =R 0

�2g(x) dx+

R 1

0h(x) dx+

R �2

1f(x) dx. Delle

primitive di f, g, h sono rispettivamente F (x) = x3

3� 3x, G(x) = x2

4+ 2x e (essendo h(x) = 4 + 6

2x�3=

4+3 22x�3

), H(x) = 4x+3 log |2x�3|: pertanto Area(D) = G(0)�G(�2)+H(1)�H(0)+F (�2)�F (1) =

0 � (1 � 4) + 4 � (3 log 3) + (� 83

+ 6) � ( 13� 3) = 13 � 3 log 3 ⇠ 9, 7.

Figura 3.27: Le regioni piane D, S1 e S2 degli esercizi.

Esercizio. Disegnare le seguenti regioni del piano cartesiano e calcolarne l’area:

(1) S1 = {(x, y) 2 R2 : |x| 1, log(x + 2) y ⇡

2+ arcsin x},

(2) S2 = {(x, y) 2 R2 : 0 x ⇡, y x, �x sin x y x(⇡ � x)}.

Risoluzione. (1) L’area di S1 = {(x, y) 2 R2 : |x| 1, log(x+2) y ⇡2

+arcsin x} (vedi Figura 3.27(ii))

eR 1

�1(⇡

2+arcsin x) dx+

R �1

1log(x+2) dx. Si ha (per parti)

Rarcsin x dx =

R(1 · arcsin x) dx = x arcsin x�

Rxp

1�x2dx = x arcsin x + 1

2

R(�2x)(1� x2)�

12 dx = x arcsin x + 1

2(1�x2)

12

12

+ k = x arcsin x +p

1 � x2 + k,

e (ponendo t = x + 2)R

log(x + 2) dx =R

log t dt =R

(1 · log t) dt = t log t �R

t 1t

dt = t(log t � 1) + k =

(x+2)(log(x+2)�1)+k, da cui l’area risulta (⇡2x+x arcsin x+

p1 � x2]1�1 +((x+2)(log(x+2)�1)]�1

1 =

⇡ + 2 � 3 log 3 ⇠ 1, 85. (2) Le due funzioni x e x(⇡ � x) si intersecano in x = 0 e x = ⇡ � 1, dunque

l’area di S2 = {(x, y) 2 R2 : 0 x ⇡, y x, �x sin x y x(⇡ � x)} (vedi Figura 3.27(iii)) e

a un corso ulteriore di Analisi): se U e un sottoinsieme aperto del piano R2, � : U �! R una funzionedi↵erenziabile tale che il chiuso D = ��1(R0) di U sia compatto con bordo @D = ��1(0) ⇢ U curvaregolare, allora si ha Area(D) =

R@D

� ds, ove il secondo membro denota l’“integrale curvilineo” dellafunzione �(x, y) lungo la curva @D.

Corrado Marastoni 179

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Analisi Matematica I

R ⇡�1

0x dx+

R ⇡⇡�1

x(⇡�x) dx+R 0

⇡(�x sin x) dx. Essendo (per parti)

Rx sin x dx = �x cos x�

R(� cos x) dx =

sin x � x cos x + k, l’area e (x2

2]⇡�10 + (⇡ x2

2� x3

3]⇡⇡�1 + (� sin x + x cos x]0⇡ = ( (⇡�1)2

2� 0) + (⇡

3

2� ⇡3

3�

⇡ (⇡�1)2

2+ (⇡�1)3

3) + (0 + ⇡) = 3⇡2+3⇡+1

6⇠ 6, 7.

Integrale di funzioni a valori complessi Se I e un intervallo di R, una funzione Integraledi funzionicomplessef : I �! C puo essere vista come una coppia di funzioni f1 : I �! R e f2 : I �! R tali che

f(x) = f1(x)+ if2(x) (la funzione f1 si dira parte reale di f , e si indichera anche con Re f ,mentre f2 si dira parte immaginaria di f , e si indichera anche con Im f . Le nozioni diintegrale indefinito e definito hanno senso anche per f , a patto che sia possibile e↵ettuarleper le funzioni Re f e Im f :

(3.2)

Zf(x) dx =

✓Z(Re f)(x) dx

◆+ i

✓Z(Im f)(x) dx

◆: R �! R,

Z b

af(x) dx =

✓Z b

a(Re f)(x) dx

◆+ i

✓Z b

a(Im f)(x) dx

◆2 C.

Esempi. (1) Sia f : R �! R data da f(x) = x(2� 3i sin x): allora (Re f)(x) = 2x e (Im f)(x) = �3x sin x,

e percioR

f(x) dx = (R

2x dx) + i(R

(�3x sin x) dx) = x2 + 3i(x cos x � sin x) + k. Dunque, ad esempio,R ⇡2�⇡ f(x) dx = (x2 + 3i(x cos x � sin x)]0�⇡ = (⇡

2

4� 3i) � (⇡2 � 3⇡i) = � 3⇡2

4+ 3(⇡ � 1)i. (2) Sia f :

R �! C data da f(x) = 3x�i1+ix

: poiche 3x�i1+ix

= (3x�i)(1�ix)

1+x2 = 2x�(3x2+1)i

1+x2 = 2x1+x2 + i�(3x2+1)

1+x2 , si ricavaR

f(x) dx = (R

2x1+x2 dx) + i(

R �(3x2+1)

1+x2 dx) = log(x2 + 1) + i(2 arctg x � 3x) + k. Dunque, ad esempio,R 0

�1f(x) dx = 0 � (log 2 + i(�2⇡

4+ 3)) = � log 2 � (3 � ⇡

2)i.

Corrado Marastoni 180

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Analisi Matematica I

4 Equazioni di↵erenziali: primi elementi

4.1 Nozioni generali

Un’equazione di↵erenziale ordinaria scalare e un problema in cui si chiede di determinare Equazionedi↵erenzialeordinaria(EDO) scalare

una funzione y(x) : I �! C, definita su un intervallo aperto I ⇢ R, a partire da unarelazione in cui possono apparire le sue derivate (ivi compresa eventualmente la stessafunzione y(x), vista come derivata di ordine zero) e la variabile x. Si tratta di una natu-rale generalizzazione del problema dell’integrazione, dato in questi termini dall’equazioney0 = f(x). L’aggettivo ordinaria indica che la funzione incognita y(x) dipende dalla solavariabile x (o, quantomeno, che nell’equazione appaiono solo derivate rispetto x), mentrescalare indica che y(x) ha valori in C, e non in Cn con n � 2 (in questi casi si parla anchedi sistemi di↵erenziali). Nel seguito ometteremo entrambi questi aggettivi.

L’insieme delle funzioni che sono soluzione di una data equazione di↵erenziale e detto Integrale generale

integrale generale dell’equazione: solitamente esso ha infiniti elementi, come gia accadenel problema dell’integrazione(134). L’ordine di un’equazione di↵erenziale e il massimo Ordine di un’EDO

ordine di derivata presente. Un’equazione di↵erenziale di ordine n si dira essere:

(a) in forma normale se in essa la derivata di ordine massimo y(n) appare esplicitata EDO in formanormale

rispetto a quelle di ordine inferiore (ovvero y = y(0), y0, ... , y(n�1)) e alla variabile x;

(b) lineare se essa appare come un polinomio di primo grado nelle derivate y = y(0), y0, EDO lineare

... , y(n�1), y(n) della funzione incognita y(x);

(c) autonoma se la variabile indipendente x non appare esplicitamente nell’equazione. EDO autonoma

Un problema di Cauchy di ordine n consiste nell’assegnazione di un’equazione di↵erenziale Problema di Cauchy

di ordine n assieme ad una condizione iniziale, ovvero gli n valori y(x0) = ↵0, y0(x0) = ↵1,..., y(n�1)(x0) = ↵n�1 che la soluzione y(x) e le sue derivate fino all’ordine n � 1 devonoassumere in un certo punto x0 2 I. La (n+1)-upla (x0 ,↵0,↵1, . . . ,↵n�1) e detta anche datodi Cauchy. Spesso (in verita, quasi sempre nei casi standard), di un problema di Cauchy Dato di Cauchy

esiste, almeno localmente vicino a x0 , una ed una sola soluzione: il risultato principale chegoverna questa esistenza e unicita e dovuto a Cauchy e Lipschitz (e anche a Peano perquanto riguarda l’esistenza della soluzione in ipotesi di sola continuita per f), e ne diamoqui a titolo informativo un enunciato semplificato, senza scendere troppo nei dettagli (unenunciato piu preciso e generale e la su dimostrazione verranno forniti in un corso ulterioredi Analisi, dopo aver studiato le funzioni di piu variabili).

Teorema 4.1.1. (Cauchy-Lipschitz, di esistenza e unicita locale) Dato un problema diCauchy in forma normale

y(n) = f(x, y, y0, . . . , y(n�1)) , (y(x0), y0(x0), . . . , y

(n�1)(x0)) = (↵0,↵1, . . . ,↵n�1)

(134)infatti, come noto, ogni funzione continua f : I �! C ammette una primitiva F (x), e l’integrale generaledell’equazione y0 = f(x) e l’insieme infinito {F (x) + k : k 2 C}.

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ove f e una funzione continua rispetto a ciascuna delle sue variabili (x, y, y0, . . . , y(n�1))all’intorno del dato (x0,↵1, . . . ,↵n�1), esiste almeno una sua soluzione y(x) definita in unqualche intorno di x0. Se inoltre f e lipschitziana (ad esempio, se e di classe C1) rispettoa ciascuna delle variabili y, y0, . . . , y(n�1), allora tale soluzione e localmente unica, ovverodue soluzioni dello stesso problema devono essere uguali in un qualche intorno di x0.

Notiamo che il Teorema di Cauchy-Lipschitz fornisce una condizione solo su�ciente all’e-sistenza e unicita locale della soluzione per un certo dato di Cauchy. Conviene inoltreragionare subito sulle conseguenze di tale risultato nei casi base:

(1) se un’equazione di↵erenziale del primo ordine y0 = f(x, y) ha esistenza ed unicitalocale per ogni dato di Cauchy (ad esempio, cio accade se f e continua ed e di classeC1 rispetto a y), i grafici di due sue soluzioni distinte non possono mai intersecarsi;

(2) se un’equazione di↵erenziale del secondo ordine y00 = f(x, y, y0) ha esistenza ed unicitalocale per ogni dato di Cauchy (ad esempio, cio accade se f e continua ed e di classeC1 rispetto a y e y0), i grafici di due sue soluzioni distinte possono intersecarsi, ma neipunti di intersezione devono avere pendenze diverse.

Alcune soluzioni delle equazioni del primo ordine (a) y0 = 12

+ cos x e (b) y0 = y, e dell’equazione del secondo ordine (c) y00 = 6x.

Trovare soluzioni elementari di un’equazione di↵erenziale e, in generale, impossibile (comesi sa, gia lo e integrare funzioni qualsiasi), e ci si riesce in pochi, seppur importantissimi,casi particolari. Tuttavia, molto spesso, dalla sola forma di un’equazione di↵erenziale egia possibile trarre notevoli informazioni circa il comportamento delle sue soluzioni (ad es-empio sulla crescenza, la convessita, il dominio, gli asintoti, le parita, le soluzioni costanti),anche senza trovare esplicitamente quali siano queste soluzioni.

Esempi. (1) Una soluzione y(x) dell’equazione y0 = 12

+ cos x (del primo ordine, in forma normale,

lineare, non autonoma) sara crescente se e solo se y0(x) = 12

+ cos x � 0, ovvero per cos x � � 12, ovvero

per � 2⇡3

+ 2k⇡ x 2⇡3

+ 2k⇡. In questo caso l’integrale generale si trova facilmente per integrazione,

e vale {y(x) = x2

+ sin x + k : k 2 C}. Ma se aggiungiamo la condizione di Cauchy y(⇡) = �1 la

soluzione diventa unica, cioe y(x) = x2

+ sin x � ⇡2� 1. (2) Una soluzione y(x) dell’equazione del secondo

ordine y00 = 6x sara convessa se e solo se y00(x) = 6x � 0, ovvero per x � 0. L’integrale generale si

trova facilmente per doppia integrazione, e vale {y(x) = x3 + ax + b : a, b 2 C}; anche in questo caso,

aggiungendo la condizione di Cauchy data da y(�1) = 0 e y0(�1) = 2 la soluzione diventa unica, ovvero

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y(x) = x3 � x. (3) L’equazione autonoma del primo ordine y0 = y ha come sola soluzione costante

y ⌘ 0. Una soluzione y(x) sara crescente se e solo se y0(x) = y � 0, ovvero dove e positiva. Vedremo tra

breve che l’integrale generale e {kex : k 2 C}. (4) Si consideri l’equazione y0 = 2x(y � 1)2 (del primo

ordine, in forma normale, non lineare, non autonoma). Una funzione costante y ⌘ k e soluzione se vale

0 = 2x(k � 1)2 per ogni x, dunque l’unica soluzione costante e y(x) ⌘ 1. Sia ora '(x) una soluzione

definita all’intorno di x0 = 0, e chiediamoci se essa sia pari. Posto (x) = '(�x), si ha 0(x) = �'0(�x):

essendo 0(x) = �'0(�x) = ��2(�x)('(�x) � 1)2

�= 2x( (x) � 1)2, anche (x) e soluzione. Ora, poiche

(0) = '(�0) = '(0), si ha che (x) e '(x) sono soluzione del medesimo problema di Cauchy: supponendo

di sapere che le ipotesi di esistenza e unicita sono soddisfatte localmente (il che come detto accade quasi

sempre, e anche in questo caso), cio implica che sia (x) = '(x) all’intorno di x0 = 0. Ma cio ci dice

che la soluzione '(x) e pari. Veniamo ora a crescenza e convessita. Poiche una soluzione y(x) cresce se

e solo se y0(x) = 2x(y(x) � 1)2 � 0, si ha che y(x) (se non vale 1) decresce strettamente per x < 0 e

cresce strettamente per x > 0: dunque in x0 = 0 essa ammette un punto di minimo. Inoltre, derivando

con la regola di Leibniz si trova y00 = 2�(y � 1)2 + 2xy0(y � 1)

�= 2(y � 1)(y � 1 + 2x · 2x(y � 1)2) =

2(y � 1)2(1 + 4x2(y � 1)), dunque y(x) e convessa dove y � 4x2�14x2 . Questa equazione sara risolta tra poco,

e le soluzioni confermeranno questi “pronostici”.

4.2 Equazioni di↵erenziali del primo ordine a variabili separabili

Consideriamo un problema di Cauchy del primo ordine nella forma EDO del primoordine a variabiliseparabili

y0 = f(x)g(y), y(x0) = y0

ove f(x) e g(y) sono funzioni continue definite all’intorno rispettivamente di x0 e di y0 .

(i) Se g(y0) = 0, la funzione costante y(x) ⌘ y0 e soluzione del problema di Cauchy.(135)

(ii) Si supponga invece che g(y0) 6= 0. Dividendo allora ambo i membri per g(y) (che perla permanenza del segno si manterra non nulla all’intorno di y0) si ottiene l’equazione

1g(y) y0 = f(x), da intendersi valida solo in un intorno I 0 di x0 .

(iii) Integrando i due membri tra x0 ed un generico x 2 I 0 si ottieneR xx0

1g(y(t)) y0(t) dt =R x

x0f(t) dt; operando nell’integrale al primo membro il cambio di variabile ⌘ = y(x)

e ricordando che ⌘(x0) = y0 , si ottiene infineR y(x)y0

1g(⌘)d⌘ =

R xx0

f(t) dt.

(iv) Siano G(⌘) una primitiva di 1g(⌘) e F (x) una primitiva di f(x): si ottiene allora

G(y(x)) � G(y0) = F (x) � F (x0).

(135)Se le ipotesi del Teorema di Cauchy sono soddisfatte, il che come detto accade quasi sempre, talesoluzione costante e localmente anche l’unica. Ci limitiamo per ora a menzionare un caso classico in cuicio non accade: il problema y0 = 2

p|y| con y(0) = 0, oltre alla costante y ⌘ 0 ha anche altre soluzioni,

tra cui y(x) = (sign x)x2 (e dunque evidente che non c’e unicita locale). Piu in generale, dati a 0 b,la funzione che vale �(x � a)2 per x a, e nulla per a < x < b e vale (x � b)2 per x � b e anch’essasoluzione. Si noti che, non a caso, f(x, y) = 2

p|y| non e lipschitziana in y = 0, dunque il Teorema di

Cauchy-Lipschitz non era applicabile in tale situazione.

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(v) Esplicitando y(x) dall’ultima uguaglianza si ottiene la soluzione y : I 0 �! R cercata,univocamente individuata.(136) L’intervallo massimale su cui essa e definita e il piugrande intervallo I 0 contenuto nel suo dominio naturale, contenente x0 e tale cheg(y(x)) 6= 0 per ogni x 2 I 0.

Una rilettura formale del procedimento appena descritto, utile nella pratica, e la seguente.

(i) Se g(y0) = 0, allora y = y0 (costante) e soluzione. Se invece g(y0) 6= 0, si proceda come segue.

(ii) Pensando a y0 = dydx

(rapporto formale dei di↵erenziali dy e dx), si ricava 1g(y)

dy = f(x) dx.

(iii) Facendo l’integrale indefinito di ambo i membri nelle rispettive variabili di integrazione, detta G(y)una primitiva di 1

g(y)e F (x) una primitiva di f(x) si ottiene G(y) = F (x)+k con k da determinare.

(iv) Imponendo la condizione iniziale y(x0) = y0 si ricava che k = G(y0) � F (x0): dunque si arriva aG(y) = F (x)+G(y0)�F (x0). [Questo punto (iv) puo essere invertito col seguente punto (v), o puoanche essere omesso lasciando k indeterminato al fine di esibire l’integrale generale dell’equazione.]

(v) Esplicitando y dall’ultima uguaglianza si ottiene la soluzione y(x) cercata.

Esempi. (1) L’equazione autonoma y0 = y2 ha y ⌘ 0 come soluzione costante; se invece si considera

il dato di Cauchy y0 := y(x0) 6= 0, separando le variabili e integrando si ottiene � 1y

= x + k, da cui

k = �(x0 + 1y 0

) e percio y(x) = 1

(x0+ 1y0

)�x(si noti che tale soluzione, di tipo omografico, e definita solo

per x 6= x0 + 1y0

). (2) Consideriamo l’equazione xy0 = y + 2 con condizione di Cauchy y(1) = y0 : qui si ha

f1(x) = 1, f2(x) = x, g1(y) = 1, g2(y) = y � 2 e x0 = 1. Se y0 = �2 allora la soluzione e y(x) ⌘ �2. Se

invece y0 6= �2, separando le variabili si ottiene y0y+2

= 1x, da cui log |y + 2| = log |x| + c: imponendo che

y(1) = y0 si ottiene c = log |y0 + 2|, da cui log |y + 2| = log |x(y0 + 2)|, da cui |y + 2| = |x(y0 + 2)|. Cio da

due possibilita: y+2 = x(y0 +2) oppure y+2 = �x(y0 +2), ma da y(1) = y0 quella ammissibile e la prima.

Si ottiene dunque la retta y = �(y0 + 2)x � 2. (3) Risolviamo ora l’equazione y0 = 2x(y � 1)2 incontrata

in precedenza, con le tre possibili condizioni iniziali (a) y(0) = 2, (b) y(0) = 1 e (c) y(0) = �1. Il caso (b)

e subito risolto dalla costante y(x) ⌘ 1. Negli altri due casi, separando le variabili si ottiene y0(y�1)2

= 2x,

da cui � 1y�1

= x2 + c. Nel caso (a) si ottiene �1 = c, da cui y(x) = x2�2x2�1

; nel caso (b) si ha 12

= c, da cui

y(x) = 2x2�12x2+1

. Entrambe queste soluzioni, definite all’intorno di x0 = 0 (in I =] � 1, 1[ per (a), e in I = Rper (c)), soddisfano i “pronostici” dedotti precedentemente dalla sola forma dell’equazione.

Diamo ora un primo esempio di applicazione concreta delle equazioni di↵erenziali allostudio di problemi demografici.

I modelli di crescita malthusiana e logistica. L’equazione autonoma y0 = ⌫y con condizione di

Cauchy y(x0) = y0 , se y0 = 0 ha la soluzione costante y ⌘ 0; altrimenti, separando le le variabili si

ottiene y0y

= ⌫, da cui log |y| = ⌫x + c: imponendo che y(x0) = y0 si ha c = log |y0 | � ⌫x0 , da cui

log | yy0

| = ⌫(x � x0), da cui | yy0

| = e⌫(x�x0), da cui y

y0= ±e⌫(x�x

0): da y(x0) = y0 bisogna scegliere

“+”, e si ottiene dunque y(x) = y0e⌫(x�x0 ). Tale equazione schematizza il classico modello di crescita di

Malthus, in cui si suppone che il numero di individui di una popolazione p(t) cresca col tempo t con velocita

proporzionale alla popolazione stessa: in tal caso si avra infatti un’equazione del tipo p0 = (N � M)p, ove

N > 0 ed M > 0 indicano rispettivamente il tasso di natalita e mortalita della popolazione. Come visto,

detta p0 la popolazione iniziale si ottiene p(t) = p0 e(N�M)t: si noti che, secondo questo modello, per

N < M la popolazione si estingue, per N = M e stabile mentre per N > M cresce esponenzialmente.

(136)Si vedra in Analisi II, col Teorema della Funzione Implicita.

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Analisi Matematica I

Ora, se nella pratica sperimentale il modello mathusiano da risul-

tati ragionevoli quando N M , esso appare alquanto irrealistico

per N > M : in e↵etti la crescita della popolazione deve prima

o poi risentire di un e↵etto di saturazione dovuto al sovrauti-

lizzo dello spazio vitale nel quale essa si sta moltiplicando (ad

esempio la penuria di cibo). Un modello un po’ meno rozzo nel

caso N > M e allora il cosiddetto modello logistico, in cui si

suppone che la velocita di crescita del numero degli individui sia

proporzionale al numero stesso finche tale numero e basso, ma che poi l’aumento di popolazione provochi

un’attenuazione della crescita, che deve diventare decrescita quando il numero di individui superi una certa

soglia critica S. Il nuovo modello, che ra�na quello malthusiano, diventa dunque p0 = (N � M)(1 � pS)p

(si noti che il modello di crescita di Malthus ritorni eliminando la soglia critica, ovvero passando al limite

per S �! +1): supponendo che 0 < p0 < S, separando le variabili si ottiene p(t) = p0S e(N�M)t

S+p0(e(N�M)t�1),

definita per t � 0. La curva p(t) e usualmente detta sigmoide (in figura): si noti che la popolazione cresce

asintoticamente da p0 verso il valore di soglia S.

4.3 Equazioni di↵erenziali lineariEDO lineari:forma genericaLa forma piu generale di un’equazione di↵erenziale lineare di ordine n e

(4.1) ↵n(x) y(n) + ↵n�1(x) y(n�1) + · · · + ↵1(x) y0 + ↵0(x) y = �(x),

ove ↵0(x), ↵1(x), ..., ↵n�1(x), ↵n(x) e �(x) sono funzioni continue definite in un certointervallo aperto U ⇢ R ed a valori in C. Per studiare queste equazioni conviene innanzi-tutto porle in forma normale : cio richiede di dividere ambo i membri di (4.1) per ↵n(x),e dunque di studiare l’equazione al di fuori dei punti di T = {x 2 U : ↵n(x) = 0}:

(4.2) y(n) + an�1(x) y(n�1) + · · · + a1(x) y0 + a0(x) y = b(x).

D’ora in poi, si risolvera (4.2) in un qualsiasi intervallo I ⇢ U \T , riservandosi in seguitodi vedere se esistano soluzioni definite anche su qualcuno dei punti di T .

Lemma 4.3.1. (Esistenza e unicita globale per le equazioni lineari) Per ogni x0 2 I edogni (�0, . . . , �n�1) 2 Cn, il problema di Cauchy dato da (4.2) con la condizione inizialey(x0) = �0, y0(x0) = �1, ..., y(n�1)(x0) = �n�1 ha una e una sola soluzione su tutto I.(137)

Dimostrazione. Omessa (vedi pero il Teorema ?? e commenti seguenti).

Se b(x) ⌘ 0, l’equazione lineare si dice omogenea, altrimenti si dice non omogenea (oanche a�ne, o completa); ad ogni equazione a�ne si puo dunque naturalmente associareun’omogenea ponendo b(x) ⌘ 0:

(4.3) y(n) + an�1(x) y(n�1) + · · · + a1(x) y0 + a0(x) y = 0.

(137)E importante osservare come, in base al Lemma 4.3.1, le soluzioni di un’equazione lineare siano definitesu tutto l’intervallo aperto di massima definizione dei coe�cienti dell’equazione stessa. Cio non e a↵attogarantito per le equazioni non lineari: si ricordi, ad esempio, quanto ricavato in precedenza per l’equazione(non lineare) y0 = y2, le cui soluzioni non costanti, del tipo y = 1

a�x, non sono definite su tutto I = R.

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Si ricorda che r qualsiasi funzioni 1, . . . , r : I �! C si dicono linearmente indipendenti(come funzioni I �! C) se l’unica r-upla (�1, . . . ,�r) 2 Cr tale che �1 1 + · · · + �r r ⌘ 0(ovvero �1 1(x) + · · · + �r r(x) = 0 per ogni x 2 I) e �1 = · · · = �r = 0. Interessa deter-minare un criterio algebrico per descrivere, per quanto possibile, l’indipendenza lineare.A tale scopo, se le funzioni 1, . . . , r sono derivabili almeno r � 1 volte, si definisce laloro matrice wronskiana come Matrice

wronskiana

W

: I �! Mr(C) , W (x) =

0BBBBB@

1(x) · · · r(x) 0

1(x) · · · 0r(x)

.

.

....

.

.

.

(r�1)1 (x) · · ·

(r�1)r (x)

1CCCCCA.

Proposizione 4.3.2. Se esiste x0 2 I per cui det W (x0) 6= 0, allora le funzioni 1, . . . , r

sono linearmente indipendenti.

Dimostrazione. Equivalentemente, mostriamo che se le funzioni 1, . . . , r sono linearmente dipendentiallora det W (x) = 0 per ogni x 2 I. In e↵etti, se esiste una r-upla (�1, . . . ,�r) 2 Cr non nulla tale che�1 1(x) + · · · + �r r(x) = 0 per ogni x 2 I, derivando r � 1 volte tale identita si nota che per ogni x 2 Ile colonne della matrice wronskiana W (x) sono linearmente dipendenti, e dunque det W (x) = 0.

Si descrive ora la struttura delle soluzioni di (4.2) e (4.3), che ricorda chiaramente quelladelle soluzioni di un sistema di equazioni lineari algebriche. In quanto segue, denotiamocon Cn(I, C) il C-spazio vettoriale delle funzioni complesse di I di classe Cn.

Proposizione 4.3.3. Sia S (risp. S0) l’integrale generale di (4.2) (risp. di (4.3)).

(i) S0 e un C-sottospazio vettoriale di Cn(I, C) di dimensione n, ovvero vi sono nsoluzioni linearmente indipendenti '1(x), . . . ,'n(x) 2 S0 definite su tutto I tali che

S0 = {�1'1(x) + · · · + �n'n(x) : �1, . . . ,�n 2 C}.

Un tale insieme {'1, . . . ,'1}, ovvero una base di S0 su C, si dira sistema fondamen- Sistemafondamentaledi soluzionitale di soluzioni di (4.3).

(ii) {'1, . . . ,'n} e sistema fondamentale di soluzioni di (4.3) se e solo se det W'(x0) 6= 0per almeno un x0 2 I, e cio accade se e solo se det W'(x) 6= 0 per ogni x 2 I.

(iii) S e il sottospazio a�ne di Cn(I, C) ottenuto traslando il sottospazio vettoriale S0 conuna qualsiasi soluzione particolare di (4.2), ovvero

S = S0 + e'(x) = {�1'1(x) + · · · + �n'n(x) + e'(x) : �1, . . . ,�n 2 C},

ove {'1, . . . ,'n} e un sistema fondamentale di soluzioni dell’omogenea, e e'(x) 2 S.

(iv) (Metodo della variazione delle costanti arbitrarie) Nelle notazioni precedenti, unasoluzione particolare in S e

e'(x) = �1(x)'1(x) + · · · + �n(x)'n(x), �j(x) = (�1)n+jR det W',j (x)

det W' (x) b(x) dx

ove W',j (x) e il minore di ordine (n � 1) della matrice wronskiana W'(x) ottenutoeliminando l’ultima riga e la j-esima colonna. (Se n = 1 si pone det W',j (x) := 1.)

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(v) (Principio di sovrapposizione) Se b(x) = b1(x) + b2(x), e e'1(x) (risp. e'2(x)) e unasoluzione di (4.2) ove b(x) sia sostituito da b1(x) (risp. da b2(x)) allora e'(x) =e'1(x) + e'2(x) e una soluzione di (4.2).

Dimostrazione. (i) Se '(x), (x) risolvono (4.3) e �, µ 2 C allora e facile vedere che anche �'(x) + µ (x)risolve (4.3), dunque S0 e un C-sottospazio vettoriale di Cn(I, C). Preso un qualsiasi x0 2 I, l’applicazionedi valutazione vx0

: S0 �! Cn data da vx0(') = ('(x0),'

0(x0), . . . ,'(n�1)(x0)) e lineare (ovvio) e biiettiva

(grazie al Lemma 4.3.1). Dunque S0 ha dimensione n. (ii) Su�cienza: vedi la Proposizione 4.3.2. Necessita:si prenda un x0 2 I qualsiasi. Poiche det W'(x0) = 0, il sistema lineare W'(x0)� = 0 ha una soluzione non

nulla � = (�1, . . . , �n) 6= (0, . . . , 0). Posto ' = �1'1 + · · · + �n'n, si ha ' 2 S0 e '(x0) = '0(x0) = · · · ='(n�1)(x0) = 0: grazie al Lemma 4.3.1 non puo che essere ' = 0. Dunque le {'1, . . . ,'n} sono linearmentedipendenti. Si e dunque visto che esiste x0 tale che det W'(x0) 6= 0 se e solo se {'1, . . . ,'n} e una base diS0: ma allora, per il Lemma 4.3.1, in tal caso per ogni x 2 I l’applicazione di valutazione vx deve mandare{'1, . . . ,'n} in una base di Cn, e cio significa per l’appunto che det W'(x) 6= 0. (iii) Se '(x) risolve (4.2)e '(x) 2 S0, allora anche '(x)+'(x) risolve (4.2), e dunque '(x)+S0 ⇢ S; viceversa, se (x) risolve (4.2)allora (x) � '(x) risolve (4.3), dunque S � '(x) ⇢ S0, ovvero S ⇢ '(x) + S0, e pertanto S = '(x) + S0.(iv) Diamo la dimostrazione nel caso n = 2 per semplicita, ma il procedimento e facilmente adattabileal caso generale. Cerchiamo una soluzione di (4.2) della forma e'(x) = �1(x)'1(x) + �2(x)'2(x) peropportune funzioni �1, �2 da determinare. Derivando e supponendo che sia �01'1+�02'2 = 0, si ottiene e'0 =�1'

01+�2'

02. Derivando nuovamente, si ottiene e'00 = �01'

01+�

02'02+�1'

001 +�2'

002 , ma d’altra parte si ha anche

e'00 = �a1 e'0�a0 e'+b = �a1(�1'01+�2'

02)�a0(�1'1+�2'2)+b = �1(�a1'

01�a0'1)+�2(�a1'

02�a0'2)+b:

ricordando che '1,'2 2 S0, se si confrontano le due espressioni di e'00 si ottiene �01'01 + �02'

02 = b. Si ha in

sostanza il sistema⇢

�01(x)'1(x) + �02(x)'2(x) = 0�01(x)'0

1(x) + �02(x)'02(x) = b(x)

: essendo det W'(x) 6= 0 per ogni x 2 I, la tesi discende

dal teorema di Cramer, che in questo caso (n = 2) da

e'(x) = �1(x)'1(x) + �2(x)'2(x), con

8><>:

�01(x) = � '2(x)det W' (x)

b(x)

�02(x) ='1(x)

det W' (x)b(x)

, ovvero

8><>:

�1(x) = �R '2(x)

det W' (x)b(x) dx

�2(x) =R '1(x)

det W' (x)b(x) dx

.

(v) Basta sommare membro a membro le equazioni soddisfatte da e'1(x) e e'2(x).

Esempi. (1) L’equazione y00 � y0 � 2y = 4ex

ex+2e lineare del secondo ordine, dunque lo spazio S0 delle

soluzioni dell’omogenea associata y00 � y0 � 2y = 0 e generato da un sistema fondamentale di due funzioni.

Vedremo tra breve che un sistema fondamentale e ad esempio {'1(x) = e�x,'2(x) = e2x} (si noti che

W'(x) =✓

e�x e2x

�e�x 2e2x

◆, dunque det W'(x) = 3ex 6= 0), da cui S0 = {Ae�x+Be2x : A, B 2 C}. Lo spazio

delle soluzioni dell’equazione completa sara allora S = {Ae�x + Be2x + e'(x) : A, B 2 C}, ove e'(x) e una

qualsiasi soluzione particolare. Per il metodo della variazione delle costanti arbitrarie, ne esiste una della

forma e'(x) = �1(x)'1(x) + �2(x)'2(x) con �01(x) = � e2x

3ex4ex

ex+2= � 4e2x

3(ex+2)e �02(x) = e�x

3ex4ex

ex+2= 4e�x

3(ex+2).

Integrando col cambio u = ex, si trova �1(x) =R

(� 4e2x

3(ex+2)) dx = � 4

3

Ru

u+2du = � 4

3(ex � 2 log(ex + 2))

e �2(x) =R

( 4e�x

3(ex+2)) dx = 4

3

R1

u2(u+2)du = 1

3

R( 1

u+2� u�2

u2 ) du = 13(log(ex + 2) � x � 2e�x). (2) Le due

funzioni '1(x) = x e '2(x) = x2 sono di certo linearmente indipendenti su R (vale det W'(x) = x2,

dunque ad esempio det W'(1) = 1 6= 0) ma, poiche det W'(x) = 0 se e solo se x = 0, ricordando la

Proposizione 4.3.3(ii) esse possono essere un sistema fondamentale di soluzioni di un’equazione lineare in

forma normale (4.3) solo su un intervallo I ⇢ R che non contenga 0. In e↵etti, imponendo che esse siano

soluzione di y00 + a1(x) y0 + a0(x) y = 0 si ottiene rispettivamente a1 + x a0 = 0 e 2 + 2x a1 + x2 a0 = 0,

da cui a0(x) = 2x2 e a1(x) = � 2

x, ovvero l’equazione x2y00 � 2xy0 + 2y = 0 con x 6= 0 (pertanto I = R<0

oppure I = R>0 nella forma (4.3)).

Corrado Marastoni 187

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Equazioni di↵erenziali lineari del primo ordine

Data un’equazione di↵erenziale lineare del primo ordine ↵1(x) y0 + ↵0(x) y = �(x), con↵1(x),↵0(x),�(x) funzioni continue definite in un intervallo U ⇢ R, la si ponga in formanormale al di fuori di T = {x 2 U : ↵1(x) = 0} ottenendo

(4.4) y0 + a(x) y = b(x).

Proposizione 4.3.4. Se A(x) e una primitiva di a(x), l’integrale generale di (4.4) e

(4.5) S = {e�A(x)(R

eA(x)b(x) dx + k) : k 2 C}.

In particolare, la soluzione del problema di Cauchy con y(x0) = y0 e

(4.6) y(x) = e�A(x)(R xx0

eA(t)b(t) dt + y0eA(x0 )).

Dimostrazione. Moltiplicando ambo i membri di (4.4) per eA(x) si ottiene (eA(x)y)0 = eA(x)(y0 + a(x) y) =eA(x)b(x); il risultato segue allora integrando, e poi moltiplicando ambo i membri per e�A(x).

Nelle notazioni di 4.3.3 si ha dunque '1(x) = e�A(x) e e'(x) = e�A(x)R

eA(x)b(x) dx .

Esempi. (1) Risolviamo l’equazione y0 + y cos x = 12

sin 2x con condizione iniziale y(⇡2) = �3, le cui

soluzioni saranno definite su tutto R. Una primitiva di p(x) = cos x e P (x) = sin x, eR

eP (x)q(x) dx =Resin x sin x cos x dx = (sin x�1)esin x. Se ne ricava y(x) = e�P (x)(

ReP (x)q(x) dx +k) = sin x�1+ke� sin x

con k 2 C. Imponendo la condizione iniziale si ottiene 1 � 1 + ke�1 = �3, da cui k = �3e, ovvero la

soluzione '(x) = sin x � 1 � 3e e� sin x = sin x � 1 � 3e� sin x+1. (2) Risolviamo l’equazione xy0 + y = xex.

Per portare l’equazione in forma normale dobbiamo dividere per x, dunque iniziamo risolvendo il problema

separatamente in x < 0 e in x > 0: si ottiene dunque y0 + p(x)y = q(x) con p(x) = 1x

e q(x) = ex. Una

primitiva di p(x) e P (x) = log |x|, e dunque y(x) = e�P (x)(R

eP (x)q(x) dx + k) = 1|x| (R

|x|exdx + k) =1x(R

xexdx + k) = (x�1)ex+kx

, con k 2 C. Poiche la soluzione e definita su un intervallo, su R \ {0} e

y(x) =(x�1)ex+k�

x(per x < 0) e y(x) =

(x�1)ex+k+

x(per x > 0) con k�, k+ 2 C costanti indipendenti

l’una dall’altra: un’eventuale soluzione su R dovra essere del tipo appena descritto se ristretta a x > 0

oppure a x < 0. Ora, se k+ 6= 1 le soluzioni per x > 0 divergono a 1 quando x �! 0+, mentre la soluzione

con k+ = 1 tende a 0; lo stesso accade per le soluzioni per x < 0. Dunque il solo candidato soluzione

globale e la funzione continua ' : R �! R data da '(x) = (x�1)ex+1x

(per x 6= 0) e '(0) = 0. Resta da

controllare se ' sia anche derivabile in 0 (e dunque su R), e se soddisfi l’equazione anche per x = 0. Ora, si

ha limx�!0'(x)�'(0)

x�0= limx�!0

(x�1)ex+1

x2 = 12; dunque ' e derivabile in 0 con '0(0) = 1

2, e controllando se

x'0(x)+'(x) = xex in x = 0 si ottiene 0 = 0, vero. Dunque ' e l’unica soluzione globale dell’equazione.

Negli esempi appena proposti si riusciva a calcolare le primitive A(x) eR

eA(x)b(x) dx,e dunque si arrivava ad una forma esplicita per le soluzioni cercate. Tuttavia, poicheil calcolo delle primitive in forma elementare non e sempre possibile, puo accadere chenon si riesca ad ottenere una forma esplicita delle soluzioni; nondimeno, dall’espressioneintegrale (4.6) della soluzione del problema di Cauchy si possono spesso trarre interessantiinformazioni sul comportamento di tale soluzione, come accade nell’esercizio che segue.

Esercizio. Detta �y0(x) la soluzione dell’equazione y0 � 2xy = 4 tale che �y0

(0) = y0, ove y0 e un

parametro reale, si determinino i limiti di �y0a ⌥1 (dare per noto l’integrale di Gauss

R +1�1 e�t2 dt =

p⇡).

Corrado Marastoni 188

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Analisi Matematica I

Risoluzione. Da (4.6), in cui x0 = 0, A(x) = �x2 e b(x) = 4, si ricava l’espressione integrale �y0(x) =

ex2

(4R x

0e�t2 dt + y0), di cui cerchiamo ora il limite quando x �! �1 (il limite a +1 si trovera in modo

analogo). Ovviamente ex2

tende a +1, mentre la parentesi tende a y0�2p⇡: pertanto, se y0 < 2

p⇡ oppure

y0 > 2p⇡ il limite vale rispettivamente �1 e +1. Il caso y0 = 2

p⇡ presenta una forma indeterminata

1 · 0, che pero si risolve facilmente con de l’Hopital ed il Teorema Fondamentale del Calcolo: infatti

limx�!�1 �2p⇡(x) = limx�!�1 4

R x0 e�t2 dt +2

p⇡

e�x2 (= 00) = limx�!�1 4e�x2

�2x e�x2 = limx�!�1 2�x

= 0.

Equazioni di↵erenziali lineari a coe�cienti costanti

Non vi sono metodi generali per trovare un sistema fondamentale di soluzioni per un’e-quazione lineare di ordine � 2. Consideriamo allora il caso dei coe�cienti costanti

(4.7) an y(n) + an�1 y(n�1) + · · · + a1 y0 + a0 y = b(x), ove a0, a1, . . . , an 2 C.

Proposizione 4.3.5. Siano ↵1, . . . ,↵s le radici, di molteplicita m1, . . . , ms, dell’equazio-ne caratteristica anzn + an�1z

n�1 + · · · + a1z + a0 = 0, con mj � 1 ePs

j=1 mj = n.

(i) Un sistema fondamentale di soluzioni dell’equazione omogenea associata a (4.7) e

{e↵1x, . . . , xm1�1e↵1x ; e↵2x, . . . , xm2�1e↵2x ; . . . . . . ; e↵sx, . . . , xms�1e↵sx}.

(ii) Se il termine non omogeneo e della forma b(x) = A(x)e�x, per un � 2 C e un polinomiocomplesso A(x), sia µ 2 {0, . . . , n} la molteplicita di � come soluzione dell’equazionecaratteristica. Allora una soluzione particolare dell’equazione completa e della formae'(x) = xµB(x)e�x ove B(x) e un polinomio complesso da determinare, di gradoalpiu uguale a quello di A(x).

Dimostrazione. Omessa. Tuttavia si puo operare una verifica diretta a posteriori (per esercizio si mostri(i) per n = 2, e (ii) per n = 2 e A(x) di grado 1).

In particolare, ci occupiamo del caso di secondo ordine (cioe n = 2) e coe�cienti reali.

Proposizione 4.3.6. Si abbia a2 y00 +a1 y0 +a0 y = b(x) con a0, a1, a2 2 R, e siano ↵1,↵2

le radici dell’equazione caratteristica.

(i) Un sistema fondamentale di soluzioni reali dell’omogenea e ottenuto come segue.

(1) Se ↵1,↵2 sono reali distinte, allora '1(x) = e↵1x, '2(x) = e↵2x.

(2) Se ↵1 = ↵2 = ↵ 2 R, allora '1(x) = e↵x, '2(x) = x e↵x.

(3) Se ↵1 = u + iv e ↵2 = u � iv, allora '1(x) = eux cos vx, '2(x) = eux sin vx.(138)

(ii) Se il termine non omogeneo e della forma b(x) = eux(P (x) cos vx + Q(x) sin vx), percerti numeri u, v 2 R e polinomi reali P (x) e Q(x), sia µ la molteplicita di u+iv comesoluzione dell’equazione caratteristica. Allora una soluzione particolare dell’equazionecompleta e della forma e'(x) = xµeux(R(x) cos vx + S(x) sin vx) ove R e S sonopolinomi reali da determinare, di grado alpiu uguale al massimo tra i gradi di P e Q.

(138)In tal caso, lo spazio SR = {aeux cos vx+ beux sin vx = eux(a cos vx+ b sin vx) : a, b 2 R} delle soluzionireali dell’omogenea si esprime anche come S = {Aeux cos(vx + �) : A > 0,� 2 R}, ove le costanti A > 0 e� 2 R da determinare si dicono rispettivamente ampiezza e fase.

Corrado Marastoni 189

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Dimostrazione. (i) Segue facilmente dalla Proposizione 4.3.5. (ii) Posto ↵ = u+ iv, si ha b(x) = Re b1(x)+Im b2(x) con b1(x) = P (x) e↵x e b2(x) = Q(x) e↵x. Applicando per b1(x) e b2(x) la Proposizione 4.3.5,detta µ la molteplicita di ↵ come soluzione dell’equazione caratteristica esistono polinomi complessi P1(x)(di grado al piu quello di P (x)) e Q1(x) (di grado al piu quello di Q(x)) tali che, posti e'1(x) = xµP1(x) e↵x

e e'2(x) = xµQ1(x) e↵x, si abbia a2 e'001 + a1 e'01 + a0 e'1 = b1(x) e a2 e'002 + a1 e'02 + a0 e'2 = b2(x). E allorafacile (usando il principio di sovrapposizione, la linearita della derivazione ed il fatto che a2, a1, a0, P (x)e Q(x) sono reali) mostrare che e'(x) = Re e'1(x) + Im e'2(x) = xµeux(R(x) cos vx + S(x) sin vx), conR(x) = Re P1(x)+Im Q1(x) e S(x) = Re Q1(x)� Im P1(x) polinomi reali, soddisfa l’equazione di↵erenzialedi partenza.

Esempi. (1) Risolviamo l’equazione y00�4y0+3y = 4xex con le condizioni iniziali y(0) = 0 e y0(0) = �3.

L’equazione caratteristica ha soluzioni 1 e 3, dunque S0 = {a ex + b e3x : a, b 2 C}. Essendo ↵ = 1

una soluzione di molteplicita µ = 1 dell’equazione caratteristica, esiste una soluzione e'(x) = x(rx + s)ex

dell’equazione completa con r, s 2 C da determinare, che risultano poi r = s = �1. Dunque S =

{(a� x(x + 1))ex + b e3x : a, b 2 C}. Imponendo le condizioni iniziali si trova infine a = �b = 1, dunque la

soluzione cercata e �(x) = �(x2+x�1)ex� e3x. (2) Sia ⇢ 2 R, e consideriamo l’equazione y00�2⇢y0+⇢2y =

e�3x + cos 2x. L’equazione caratteristica ha soluzione doppia ⇢, dunque S0 = {a e⇢x + bx e⇢x : a, b 2 C} =

{(a + bx)e⇢x : a, b 2 C}. Per una soluzione particolare dell’equazione completa sfruttiamo il principio di

sovrapposizione, iniziando da b1(x) = e�3x. Se ⇢ 6= �3 (dunque �3 ha molteplicita µ = 0) c’e una soluzione

e'1(x) = re�3x, e si ricava r = 1(r+3)2

. Se invece ⇢ = �3 (caso in cui �3 ha molteplicita µ = 2) c’e una

soluzione e'1(x) = sx2e�3x, e si ricava s = 12. Passiamo ora a b2(x) = cos 2x: poiche 2i certamente non e

soluzione dell’equazione caratteristica una soluzione particolare sara della forma e'2(x) = r cos 2x+s sin 2x,

e si ricava r = ⇢2�4(⇢2+4)2

e s = � 4⇢(⇢2+4)2

, da cui e'2(x) = 1(⇢2+4)2

((⇢2 � 4) cos 2x � 4⇢ sin 2x). Ricapitolando,

si ha S = {(a+ bx)e⇢x + e'1(x)+ e'2(x) : a, b 2 C}, ove e'1(x) e e'2(x) sono le funzioni appena calcolate. (3)

Consideriamo l’equazione y00+2y0+5y = ex cos 2x +5x. L’equazione caratteristica ha soluzioni complesse

coniugate �1 ± 2i, dunque S0 = {a e�x cos 2x + be�x sin 2x : a, b 2 C} = {e�x(a cos 2x + b sin 2x) : a, b 2C}. Per l’equazione completa sfruttiamo ancora una volta il principio di sovrapposizione, iniziando da

b1(x) = e�x cos 2x. In questo caso �1 + 2i e soluzione dell’equazione caratteristica di molteplicita µ = 1,

e dunque una soluzione particolare dell’equazione completa con b1(x) e e'1(x) = xe�x(r cos 2x + s sin 2x),

e si ottiene r = 0 e s = 14. Passando a b2(x) = 5x, cerchiamo una soluzione particolare e'2(x) = rx + s, e i

conti danno r = 1 e s = � 25. Si ha dunque S = {e�x(a cos 2x + (b + x

4) sin 2x) + x � 2

5: a, b 2 C}.

Gli esempi piu importanti di equazioni di↵erenziali lineari scalari del secondo ordine acoe�cienti costanti vengono dalla meccanica newtoniana del punto materiale, di cui par-liamo ora brevemente e senza pretesa di sostituire una trattazione piu seria, da destinarea un corso di Fisica.

4.4 La meccanica newtoniana

Supponiamo che un punto materiale sia vincolato a stare su una retta.(139) Se y(t) e lafunzione (legge oraria del moto) che descrive l’evoluzione della coordinata ascissa y delpunto materiale all’evolvere del tempo t, la derivata prima y(t) ne descrive la velocita, e la

(139)Piu in generale, queste considerazioni possono essere estese al caso di vincolo su una curva sullaquale sia presente un’ascissa curvilinea (vedi il capitolo seguente sulle curve parametriche); in termini diMeccanica Lagrangiana, si direbbe che il punto “gode di un solo grado di liberta”.

Corrado Marastoni 190

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derivata seconda y(t) l’accelerazione.(140) Se sul punto agisce una forza unidimensionaleF (t, y, y) (dipendente in generale dalla posizione y del punto, dalla sua velocita y e magarianche esplicitamente dal tempo t), la legge di Newton(141) a↵erma che, in un riferimentoinerziale, y(t) obbedisce alla legge

my = F (t, y, y) :

ovvero, il punto subisce un’accelerazione direttamente proporzionale alla forza F ; la costantedi proporzionalita m e detta massa inerziale. Essendo l’equazione del secondo ordine, ilproblema di Cauchy si concretizzera assegnando la posizione y(t0) = y0 e la velocitay(t0) = v in un certo istante t0 (tipicamente nell’istante iniziale t0 = 0).

• Tra i modelli (spesso semplificati) piu comuni di forze unidimensionali vi sono la forzagravitazionale �mg (pensando ad una retta verticale e ad un’accelerazione di gravita gdiretta nel verso negativo discendente); la forza elastica �k(y � y0), data da una molla dicostante elastica k > 0 con lunghezza a riposo nulla, imperniata in y0 (si noti che questaforza dipende solo dalle caratteristiche della molla e dalla posizione del punto; essa tiratanto piu forte quanto piu il punto si allontana da y0 , e sempre per far ritornare il puntoverso il perno y0); la forza di attrito viscoso �⌫y, che simula la resistenza opposta al motoda un fluido nel quale il moto avviene: si intende che il coe�ciente ⌫ > 0 e tanto piugrande quanto piu viscoso e il fluido (si noti che la forza e proporzionale alla velocita delpunto, e si oppone ad essa).Si noti che tutte queste forze danno luogo a equazioni di↵erenziali lineari a coe�cienticostanti (si vedano gli esempi che seguono).

Esempi. (0) Se sul punto non agisce nessuna forza, l’equazione da my = 0, ovvero y = 0, da cui(integrando due volte) y(t) = at + b con a, b 2 R da determinare assegnando le condizioni iniziali. Se, adesempio, nell’istante t = 0 il punto si trovava in y0 con velocita v0, si trova y(0) = b = y0 e y(0) = a = v0,da cui y(t) = y0 + v0t: il punto evolve dalla posizione y0 con velocita costante v0 (in ossequio al PrimoPrincipio della Dinamica: un corpo non sottoposto ad alcuna forza resta in quiete o si muove con motorettilineo uniforme). (1) Si consideri il caso in cui sul punto agisca solo la forza di gravita: il problemae dunque my = �mg, ovvero y = �g (accelerazione costante g): esso si risolve immediatamente condue integrazioni, dando y(t) = a + bt � 1

2gt2 ove a, b 2 R sono da determinare assegnando le condizioni

iniziali. Se ad esempio richiediamo che y(0) = y0 (posizione iniziale) e y(0) = v (velocita iniziale) si ottieney(0) = a = y0 e y(0) = b = v, da cui la soluzione y(t) = y0 + vt � 1

2gt2 (caduta libera, espressione tipica

del moto uniformemente accelerato). (2) Si consideri il caso in cui sul punto agisca solo una forza elasticaimperniata in 0: il problema diventa my = �ky, ovvero y + !2y = 0 ove si e posto ! =

pk/m (detta

pulsazione propria del sistema molla-massa): si tratta di una’equazione lineare omogenea a coe�cienticostanti. L’equazione caratteristica ⇠2 + !2 = 0 ha le radici complesse coniugate ±i!: ne ricaviamo chey(t) = a cos!t + b sin!t ove a, b 2 R sono da determinare assegnando le condizioni iniziali. Se ad esempiosupponiamo che y(0) = y0 e y(0) = 0 si ha y(0) = a = y0 e y(0) = a! ·0+b! = 0, da cui b = 0: la soluzionee y(t) = y0 cos!t (il punto inizia ad oscillare armonicamente tra le posizioni y0 e �y0 con un periodotemporale 2⇡

!. (3) Consideriamo il caso piu generale in cui il punto sia soggetto contemporaneamente alle

forze gravitazionale, elastica e viscosa. Il problema diventa my = �mg�ky�⌫y, ovvero y+2⌘y+!2y = �gove ⌘ := ⌫/2m > 0: si tratta di una’equazione lineare non omogenea a coe�cienti costanti. Una soluzionedell’equazione non omogenea si vede subito essere la costante y(t) ⌘ y := �mg/k < 0; occupiamoci invecedelle radici dell’equazione caratteristica ⇠2 + 2⌘⇠ + !2 = 0. Poniamo per comodita � =

p|⌘2 � !2| (vale

(140)In Fisica e d’uso comune indicare col punto la derivata rispetto al tempo.(141)Secondo Principio della Dinamica, apparso nei Principia del 1687.

Corrado Marastoni 191

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percio 0 � max{⌘,!}). Se ⌘ > ! (viscosita forte, o molla debole) si ottengono le due soluzioni reali�⌘ ± � (si noti che sono entrambe sono < 0): dunque in questo caso la soluzione generale e

y(t) = ae�(⌘��)t + be�(⌘+�)t + y, a, b 2 R.

Si noti che per t �! +1 il moto dato dalla soluzione dell’omogenea tende sempre a spegnersi, e la posizionetende all’equilibrio y. Nel caso “risonante” ⌘ = ! si ottiene la soluzione reale negativa doppia ↵ = �⌘ < 0,con soluzione generale

y(t) = e�⌘t(a + bt) + y, a, b 2 R,

e vale ancora il discorso precedente. Se infine ⌘ < ! (viscosita scarsa, o molla forte) si ottengono le duesoluzioni complesse coniugate �⌘ ± i�: la soluzione generale diventa

y(t) = e�⌘t(a cos�t + b sin�t) + y, a, b 2 R.

Anche in questo caso il moto dato dalla soluzione dell’omogenea tende sempre a spegnersi (a causadell’esponenziale e�⌘t) andando verso l’equilibrio y, solo che stavolta lo fa compiendo delle oscillazionisempre piu strette, di pulsazione �. A titolo di esempio, risolvendo in ognuno dei tre casi il problema diCauchy con y(0) = y e y(0) = v 6= 0 (in altre parole, facendo partire il punto dalla posizione di equilibrioy con velocita v non nulla) si ottiene rispettivamente

y(t) = y +v

2�(e�(⌘��)t � e�(⌘+�)t), y(t) = y + vte�⌘t, y(t) = y +

v

�e�⌘t sin�t.

Nella figura che segue si visualizzano le leggi orarie y(t) nei tre casi precedenti, in ognuno dei quali si fa

partire il punto dalla posizione di equilibrio y = �1 m con velocita ascendente di 7 m/sec. (a) La legge

rossa (caso ⌘ > !) e ottenuta per ⌘ =p

2 sec�1 e ! = 1 sec�1. (b) La legge verde (caso ⌘ = !) e ottenuta

per ⌘ = ! = 1 sec�1. (c) La legge blu (caso ⌘ < !) e ottenuta per ⌘ = 12

sec�1 e ! = 3 sec�1.

• Una forza unidimensionale posizionale F = F (y) e “conservativa”: considerando l’energiapotenziale U(y) = �

RF (y) dy (definita a meno di una costante additiva), e noto che

l’energia totale E(y, y) = 12my2 + U(y) si conserva lungo le soluzioni y(t).(142) L’energia

totale e un esempio di integrale primo del problema, la cui presenza puo aiutare a sempli-ficarne la soluzione abbassandone l’ordine: infatti, detto E il valore costante dell’energia

(142)Infatti, moltiplicando per y ambo i membri di my = F (y) = � ddy

U(y) si ottiene ddt

( 12my(t)2) =

� ddt

U(y(t)), ovvero ddt

E(y(t), y(t)) = 0, che e quanto si voleva.

Corrado Marastoni 192

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Analisi Matematica I

lungo il moto (che dipende dalle condizioni iniziali y(t0) e y(t0)), da 12my2 + U(y) = E si

ottiene l’equazione del primo ordine a variabili separate

dypE � U(y)

= ±r

2

mdt.

Esempio. Si consideri una forza posizionale del tipo F (y) = sin y, con le condizioni iniziali y(0) = ⇡

e y(0) = � 2pm

. L’equazione autonoma del secondo ordine my = sin y non si puo risolvere con quanto

appreso; tuttavia, usando l’integrale dell’energia dyp1�cos y

= �q

2m

dt (si noti che U(y) = cos y, dunque

E = E(y(0), y(0)) = 12m( 2p

m)2 +cos⇡ = 1; inoltre y(0) < 0, dunque al secondo membro si e scelto il segno

meno), integrando(143) si ricava log tg y4

= � 1pm

t + k, e ricordando che y(0) = ⇡ si ricava k = 0, percio

y(t) = 4 arctg(e�t/p

m).

• Il problema tridimensionale per il vettore posizione x = (x, y, z) con forza F = (Fx, Fy, Fz):

mx = F (t, x, x),

puo essere decomposto nelle tre equazioni scalari

8<:

mx = Fx(t, x, y, z, x, y, z)my = Fy(t, x, y, z, x, y, z)mz = Fz(t, x, y, z, x, y, z)

.

Questo e un esempio di sistema di↵erenziale ordinario, che esula dai nostri limiti attuali:la derivata seconda di una delle coordinate puo dipendere anche dalle altre coordinatee dalle loro derivate prime. Tuttavia, in alcuni casi semplici, si puo avere un sistemaseparato (o “disaccoppiato”) che potra essere risolto indipendentemente componente percomponente.

Esempi. (1) Posto nello spazio (con z verticale ascendente), il problema della caduta del grave diventa

m(x, y, z) = (0, 0,�mg), equivalente al sistema di↵erenziale separato

8<:

mx = 0my = 0mz = �mg

. Supponendo ad es-

empio x(0) = y(0) = 0, z(0) = h, x(0) = v cos↵, y(0) = 0 e z(0) = v sin↵ (ovvero, all’istante iniziale

si lancia il punto materiale nel piano (x, z) dalla quota h con velocita v ed alzo ↵), integrando si ottiene

x(t) = (v cos↵)t, y(t) ⌘ 0 e z(t) = h + (v sin↵)t� 12gt2: si noti che tutto il moto si svolge nel piano (x, z).

Supponendo v 6= 0 e ↵ 6= ⇡2

si ricava t = xv cos↵

, e sostituendo in z(t) si ottiene l’equazione della traiettoria

z = h+(tg↵)x� g2v2 cos2 ↵

x2, che —come noto dai tempi di Galileo— e una parabola. (2) Un punto mate-

riale che si muove in un riferimento rotante con velocita angolare costante ! e soggetto alla forza peso e ad

una forza elastica con perno nell’origine e soggetto alla forza F (t, x, x) = �kx�mge3�m!^(!^x)�2!^x

(si notino le accelerazioni apparenti centrifuga �!^(!^x) e di Coriolis �2!^x, dovute alla non inerzialita);

supponendo ad esempio che ! = !e3 (cioe che l’asse di rotazione sia quello verticale), la dinamica e data

dal sistema (x, y, z) = (�(⌦2 �!2)x + 2!y, �(⌦2 �!2)y � 2!x, �⌦2z � g), ove si e posto ⌦ :=p

k/m. Si

noti che l’unico problema disaccoppiato e quello per z, che avra oscillazioni armoniche di pulsazione ⌦.

(143)si ricordi che 1 � cos u = 2 sin2 u2, e che

Rdu

sin u= log tg u

2+ k.

Corrado Marastoni 193