ZONA_GIORNO

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living DIVANI + CONTENITORI + PRANZO E STUDIO + PERCORSI + PROTAGONISTI INFINITE, LE COMBINAZIONI DEL DIVANO BRAQUE DI MINOTTI. ELEMENTI IMBOTTITI SFODERABILI CREANO UN SISTEMA DI SEDUTE ORIENTATE IN DIREZIONI DIVERSE (PREZZO SU RICHIESTA). TAPPETO FURRY DI I+I (CM 170X240, € 1.296). servizio di Alessandro Pasinelli – foto di Enrico Conti e Beppe Brancato – testi di Laura Zanetti MASSIMA COMPONIBILITÀ PER IL DIVANO, FLESSIBILITÀ PER I SISTEMI DI CONTENITORI, FORME E MATERIALI DI CARATTERE PER IL TAVOLO, PROTAGONISTA DELLA ZONA PRANZO E DEL HOME OFFICE. 127 Bravacasa mese/anno Teatro di posa/Bravacasa aprile/2009 127

Transcript of ZONA_GIORNO

l i v i n g

divani + contenitori + pranzo e studio

+ percorsi + protagonisti

InfInIte, le combInazIonI del divano braque dI mInottI. elementI

ImbottItI sfoderabIlI creano un sIstema dI sedute orIentate In

dIrezIonI dIverse (prezzo su rIchIesta). tappeto furry dI I+I

(cm 170x240, € 1.296).

servizio di Alessandro Pasinelli – foto di Enrico Conti e Beppe Brancato – testi di Laura Zanetti

MassiMa coMponibilità per il divano, flessibilità per i sisteMi di contenitori, forMe e Materiali di carattere per il tavolo,

protagonista della zona pranzo e del hoMe office.

127Bravacasa mese/annoTeatro di posa/Bravacasa aprile/2009 127

l i v i n g

dIsegnato da rodolfo dordonI, Il divano braque dI mInottI è protagonIsta della zona conversazIone. accostando lIberamente I modulI sI può ottenere una composIzIone angolare o sceglIere una soluzIone lIneare, arrIcchIta da ampIe chaIse longue. appartengono alla collezIone Wallara dI mIssonI home I cuscini bIanchI e nerI, quadratI (€ 53) e rettangolarI (€79). In rovere tInto Wengè la piccola libreria level dI zanotta, desIgn arIk levy (€ 875). sul tavolino dan dI de padova (da € 318), I vasi vasovasI dI franco raggI per danese, natI dalla scomposIzIone dI un vaso dalla forma consueta (cm 21 h, € 91 e cm 36 h, € 134), e Il posacenere della serIe look dI ego vetrI delle venezIe (€ 22,90). le poltroncine Werner dI roberto lazzeronI per lema sono In pelle naturale (da € 805). versIone extralarge per la lampada da terra the great JJ dI Itre, dIsegnata da Jac Jacobsen (€ 5.070). Il tappeto bacIo dI fornasettI by roubInI rugs dI può acquIstare da nIlufar (€ 12.000), mentre Il portariviste con manIcI In pelle è dI bottega veneta (€ 2.500).

Teatro di posa/Bravacasa aprile/2009 Teatro di posa/Bravacasa aprile/2009128

uno spazio importante, quello del relax, da trasformare a seconda delle esigenze

Il sistema giorno 505 progettato da luca meda per moltenI & c. (prezzo su rIchIesta). la sua struttura a spalla portante crea un’archItettura dI pIenI e dI vuotI dI grande funzIonalItà. un’anta scorrevole laccata scherma Il televisore al plasma 32pg6000 dI lg electronIcs (€ 549). sulla mensola sottostante,

ripiani, elementi ad ante e cassetti sviluppano in libertà il concetto di contenere

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Il calendario tImor dI danese (€ 96) e Il vaso In ceramIca feng dI sIa ItalIa (€ 69). In uno deI vanI a gIorno trova posto lo stereo portatile beo sound 1, desIgn davId leWIs per bang & olufsen (€ 1.680). dI forte Impatto grafIco Il tappeto beat dI gordon guIllaumIer per mInottI (€ 2.780). Il tavolo e la panca carpenter appartengono alla collezIone halIfax dI tIsettanta (prezzo su rIchIesta). sul pIano In teak naturale, la lampada naska dI fontanaarte (a partIre da € 174) e Il vaso geometrIa dI rosarIa rattIn (kose, € 415).

130 131Teatro di posa/Bravacasa aprile/2009Teatro di posa/Bravacasa aprile/2009

nella zona studio, Il tavolo scacchI ‘900 dI morelato, In legno dI cIlIegIo naturale (€ 2.688), è accostato alla sedia In accIaIo Inox lofty dI mdf ItalIa (prezzo su rIchIesta). sul pIano, Il nuovo macbook pro da 15” dI apple, l’orologio dI georg Jensen (€ 150), Il portamatite ventotene (€ 77) e Il porta cd auckland (€ 104) dI enzo marI per danese. alla parete, la sedia pieghevole In lamIera dI allumInIo stItch chaIr dI cappellInI (In versIone multIcolor, € 516). sulla libreria booxx dI denIs santachIara per desalto, estensIbIle a pantografo (€935), l’orologio uomIno dI dIamantInI & domenIconI (€ 75). Il calendario perpetuo dIdI è dI ydf (€ 72). nel pranzo, tavolo master dI feg (€ 2.035), poltroncina a gamba centrale merIdIana dI drIade (€ 298) e sedia trasparente poly dI bonaldo (da € 186). per apparecchiare, ciotola In ceramIca crystal dI I+I (€ 260), set sale e pepe In accIaIo dI georg Jensen (€ 55). I piatti bettIna (da € 13,50) e le posate In accIaIo (da € 8) sono dI alessI. bIcchIere della collezIone darksIde dI baccarat (€ 362). lampada glam dI prandIna (da € 500). dI pIanca I pensili verticali spazIo box (€ 520 l’uno). composto da elementI cIrcolarI, tappeto cosmIc red dI pachamama (€ 3.830), appendiabiti In metallo daIsy dI danese (€ 303).

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materiali forti, naturali, lucidi, tecnici arredano il pranzo e lo studio

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sopra, un dettaglIo del piano di lavoro, a sInIstra, una variazione dell’apparecchiatura allestIta sulla serigrafia blaze 4 dI brIdget rIley (da l’affIche, € 250). tuttI della serIe bettIna dI alessI, I piatti In porcellana (da € 13,50), le posate In accIaIo (da € 8) e Il bicchiere In vetro crIstallIno con fondo semIsferIco che sI appoggIa, quando non lo sI tIene In mano, a una pIccola base In pmma (da € 12). In crIstallo nero, Il calice un-parfaIt è dI phIlIppe starck per baccarat (€ 1.450, 6 pezzI), mentre è dI georg Jensen Il set sale e pepe In accIaIo (€ 55). ImpIlabIle, la sedia chaIr_one dI konstantIn grcIc per magIs (€ 250).

incroci di geometrie in bianco e nero per una

tavola d’effetto

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di Marco Biagi

adattabile e personalizzabile, che offre la possibilità di sfruttare al meglio e organizzare razionalmente gli spazi angusti delle case cittadine. Fra i prodotti, antesignani della ricerca sui sistemi a scaffale sono il Cub8 di Angelo Mangiarotti (Poltronova, 1967), l’A1 di Luigi Massoni (Boffi, 1970) e l’Oikos di Antonia Astori (Driade, 1972), tuttora in produzione, anche se evoluti con i tempi. Divenuti subito classici e modelli sui quali le aziende continuano a lavorare, sono stati poi il sistema-libreria 505 di Luca Meda per Molteni (1973), L15 Lo scaffale, primo italiano con spalla portante, disegnato da Tito Agnoli nel 1978 (Lema), e Metropolis, progettato nel 1984 da Antonio Citterio per Tisettanta, che introduce la scala su binario e il portale cablato. Negli anni seguenti il concept di questi prodotti, basato sulla libertà

nell’uniformità, rimane in linea di massima invariato. E lo si

estende semmai a tutte le parti dell’alloggio. Trasformazioni e migliorie tecnologiche intervengono sul fronte dei materiali utilizzati – resistenza, atossicità, industrializzazione – e dell’integrazione con gli accessori: ante, cassetti, meccanismi di apertura, illuminazione, elettronica. Sono però soprattutto i colori e le finiture che documentano il trascorrere delle mode. Se negli anni Settanta, come rileva Arturo Dell’Acqua Bellavitis, erano diffuse essenze quali «il palissandro, colori molto accesi come l’arancione o il giallo o, per contro, molto sobri come il marrone, il blu o il nero», gli anni Ottanta vedono un maggiore impiego di impiallacciature in «rovere, betulla, faggio, pino naturale, acero e colori come il grigio e tutti i colori base dello spettro (bianco, nero, giallo, rosso e blu)».

Sedute come paesaggi personalizzabiliNegli anni Ottanta, insieme all’affermarsi di un genere tv relativamente nuovo per l’Italia quale il talk-show, con i cosiddetti salotti televisivi del Processo del lunedì (1980), del Maurizio Costanzo Show (1982), di Pronto Raffaella? (1984) e Samarcanda (1987), al di là dello schermo anche il salotto buono degli italiani subisce qualche scossa animandosi di

forme, materiali e colori più vivaci, sempre all’insegna del comfort e di una varietà composta e controllata. Nel 1987 Antonio Citterio vince il Compasso d’Oro con la collezione di imbottiti Sity progettata l’anno precedente per B&B Italia, e rivoluziona la tipologia del divano componibile grazie a un’idea semplice quanto geniale. Il sistema si basa infatti su una gamma articolata di elementi coordinati e accostabili, ma formalmente autonomi fra loro – sedute, panche, divani, poltrone, letti, chaise longue – che consentono di dare luogo a innumerevoli configurazioni e opportunità d’uso. I produttori cominciano a proporre divani con la penisola. E nel 1987 esce da Cassina il sistema Cannaregio, disegnato da Gaetano Pesce con elementi differenziati, dagli schienali scultorei e dai policromi rivestimenti, completamente sfoderabili, utilizzabili individualmente oppure associati in linea o ad angolo. Una concezione giocosa dell’arredo, quella di Cannaregio, che nell’area living Massimo Morozzi aveva già applicato qualche anno prima, sempre per Cassina, con il sistema di tavoli

la convivenza degli opposti

Il tema del mobile modulare e componibile arriva in realtà dagli anni Settanta e forse già dai Sessanta, quando diventa emblematico di un’Italia che si sta velocemente inurbando e modernizzando. Appartamenti più piccoli e l’accesso a una quantità di beni molto maggiore che in passato impongono all’industria dell’arredamento una riflessione sul problema del contenere. Finiscono in soffitta i vecchi armadi e si sviluppa l’idea della parete attrezzata modulare e intelligente, ovvero standardizzata ma

datato 1978, lo scaffale dI tIto agnolI per lema è quI proposto In una foto dell’epoca e In una recente. oggI ha preso Il nome dI selecta.

Se il Postmoderno considera che non sia più possibile dire qualcosa

che non sia stato già detto, allora la novità può affacciarsi solo tra le

pieghe di un’intelligente reinterpretazione dell’esistente. Nel 1987,

con la Poltrona di Proust (a lato), Alessandro Mendini dà vita al

manifesto del gruppo Alchimia e a una delle icone del Nuovo

Design anni Ottanta. Attraverso un’operazione di re-design,

ottiene un oggetto inedito partendo dal ready-made kitsch di un

poltrona finto Settecento alla quale sovrappone la texture

puntinista di un prato di Signac, che invade tutte le parti

dell’oggetto, sia di stoffa sia di legno, disfacendone la

forma in una sorta di nebulosa cromatica.

nulla di nuovo sotto il sole. anzi, molto

fIrmata da anna castellI ferrIerI la poltrona su ruote 4814 dI kartell.

Da una parte, mobili di serie componibili per razionalizzare gli spazi. Dall’altra design ad alto tasso di trasgressività.

p e r c o r s i

1986

a sInIstra, dIvano letto trans dI denIs santachIara per campeggI. a destra, cassettIera sIde 1 dIsegnata da shIro kuramata per cappellInI.

con la plastica si personalizza ogni pezzo cambiando

la texture

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arte e artigianato e producono oggetti ad alto coefficiente comunicativo e a tiratura minima, quasi da collezionismo. Il manifesto di Memphis e di questa nuova categoria di oggetti “parlanti” che spalancavano inedite frontiere del desiderio davanti a un consumismo già appagato nei suoi bisogni primari è probabilmente la libreria/divisorio Carlton di Ettore Sottsass jr, vero totem da salotto in laminato plastico Abet, presentato al XX Salone del Mobile nel 1981: colori vivacissimi, forme aperte, per un mobile-scultura che non punta sull’utilità ma su virtù affettive, emozionali e narrative. Fra i tanti rappresentanti emblematici figli di quell’epoca, una citazione d’obbligo spetta senz’altro alle sinuose cassettiere Side 1 e 2 disegnate da Shiro Kuramata per Cappellini, “quasi un colpo d’anca a quei mobili che si appoggiano silenti ai muri, che accettano l’accostamento e la componibilità” (L. Lazzaroni). Persino insospettabili maestri del moderno come Achille Castiglioni e Anna Castelli Ferrieri fiutano il clima del momento e si concedono qualche divagazione nel fantastico o nel rétro. Il primo, nel 1980, dal prototipo del 1966 dello sgabello Allunaggio, disegnato all’epoca delle prime esplorazioni lunari: una sorta di

animale d’arredamento verde prato, con tre esili gambe in tubo d’acciaio e un sedile in metallo stampato verniciato a fuoco. La seconda, nel 1988, tentando la strada del pezzo unico prodotto in serie, la curiosa poltroncina su ruote 4814 di Kartell, caratterizzata da un disegno di superficie che cambia a ogni stampa.

Moderno e classico, status-symbolIl fenomeno della riedizione di pezzi originali dei maestri del Movimento Moderno, già presente negli anni Settanta, nel decennio successivo, quello dell’edonismo, si consolida per gratificare un pubblico colto e benestante. Ci pensa per primo Cassina, con la collezione I Maestri, appunto (diretta da Filippo Alison), che fin dal 1964 acquista i diritti di riproduzione dei mobili disegnati da Le Corbusier, cui si aggiungono nel tempo i pezzi di Rietveld (1971), Mackintosh (1972), Asplund (1983),

Wright (1986), Perriand (2004). Segue Zanotta con le sedie degli italiani Bottoni (Lira, 1968) e Terragni (Follia, 1971 e Lariana, 1980). Il carattere autoriale di questi mobili e la loro capacità di imporsi come simboli di appartenenza culturale e sociale sono i punti di forza che ne decretano il successo. Vicenda analoga seppure differente è la parallela riscoperta di mobili classici dell’artigianato d’antan, caduti un po’ nel dimenticatoio nella corsa alla modernizzazione e negli Ottanta invece riproposti come beni di lusso e per il comfort, la qualità e lo stile. È il caso di Poltrona Frau, che nel 1980 rispolvera dai propri archivi la dormeuse Paolina (1926), imbottita in piuma d’oca e foderata in pelle bianca capitonné, e nel 1982 rimette in produzione la poltrona Vanity Fair, ovvero il modello 904 del catalogo 1930, ringiovanita dall’abile make-up di una colorazione rosso vermiglio.

componibili Tangram (1983), ispirato all’omonimo, antico rompicapo cinese, composto da sette pezzi diversi.

L’oggetto individualistaComplementare e antitetica alla ricerca sulla componibilità, un’altra tendenza connota il design italiano degli anni Ottanta e fa emergere oggetti che si smarcano dal conformismo dell’uniformità e della funzionalità di matrice razionalista per diventare ironici protagonisti dell’arredo domestico.È il periodo del Postmoderno, consacrato da Portoghesi con la Biennale di

architettura del 1980 e lo slogan “fine del proibizionismo”; nascono

gruppi d’avanguardia come Alchimia (1978) e

Memphis (1980), che sperimentano nuovi linguaggi sul confine

tra industria,

nel 1982 poltrona frau rImette In produzIone la poltrona vanIty faIr, ovvero Il modello 904 del 1930.

achIlle castIglIonI e Il fratello pIer gIacomo fIrmano lo sgabello allunaggIo dI zanotta.

Antesignano delle ricerche sulla trasformabilità e la personalizzazione degli arredi,

l’Abitacolo disegnato nel 1971 da Bruno Munari per Robots suggella le esperienze

utopiche e radicali della fine degli anni Sessanta sul tema del mobile multiuso,

dell’integrazione delle funzioni e dell’abitare compatto, e le supera con l’idea di una

struttura leggera e trasparente destinata ai bambini, adattabile a piacere e versatile in

quanto rarefatta e priva di soluzioni d’uso preordinate. Costituito da un’impalcatura in

acciaio di soli 51 chili, corredato di cesti metallici, mensole, un tavolo reclinabile e due

piani letto regolabili in altezza, Abitacolo è un “contenitore di microcosmi”, un castello

delle favole di cui ogni bimbo può diventare re. «Abitacolo è anche un progetto

didattico», scriveva Munari, «insegna ad essere liberi di agire e di pensare, di

organizzarsi, di costruire il proprio mondo senza vedersi fornire soluzioni precostituite».

un precedente del concetto di trasformabilità: l’abitacolo di munari

Il sIstema oIkos dI antonIa astorI per drIade. nella foto al centro, sedIa dry dI massImo morozzI per gIorgettI-matrIx.

1982

sImbolo della rIvoluzIone operata da sottsass con memphIs, la lIbrerIa carlton.

1981

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Iperdecorato Il dIvano kandIssI della serIe

bauhaus creata da mendInI per alchImIa, 1979.

architetto e teorico, alessandro Mendini ha diretto le riviste casabella, Modo e domus e ha fondato il gruppo alchimia. Firma oggetti, mobili, installazioni e architetture.

di Marco Biagiprocesso alchemico

Interpretazione antropologica del kitsch e re-design ironico delle icone. Per dare valori diversi all’esistente e guardarlo con nuovi occhi.

Protagonista di primo piano del design italiano anni Ottanta, in quel periodo teorizzava il “kitsch... per riappropriarsi delle arti”. Scriveva: “credo che oggi la decorazione possa prevalere sulla progettazione”. Teorizzava la necessità di un progetto eclettico che recuperasse la cultura delle arti applicate. Da che cosa nascevano queste istanze di riforma del gusto e della cultura del progetto? Lo sviluppo teorico delle mie idee si è evoluto negli anni ’70 parallelamente alle tre riviste che ho diretto, Casabella, Modo e Domus. Tutte le istanze degli anni ’80, che ho poi sviluppato soprattutto su Domus, sono nate però dal design radicale, nel periodo di Casabella. In quel momento, vi era una grossa sensibilità contro il consumismo, contro la plastica, un sentimento quasi pre-ecologico. Allora il lavoro radicale di Casabella si è svolto nell’ipotesi di riappropriarsi dei mestieri, di forme semplici del progettare, del lavorare con le mani direttamente, senza passare attraverso la concettualità del progetto e del disegno. Questo anche in concorso con l’Arte Povera. Modo ha

portato avanti questo tipo di idee, però ha lavorato sul parallelismo delle discipline considerandole paritetiche, cioè dicendo che la fotografia è importante come l’architettura, che fare il pane è importante come produrre un’automobile: è stata l’epoca dell’infradisciplinarietà. Dopo il radical design è venuta Alchimia, che ha tentato di qualificare il progetto della normalità quotidiana in contraddittorio col progetto dell’élite del “bel design” italiano. Pertanto, specialmente io, ho lavorato su un certo tipo di stilematica, di composizione del design, affidandomi a un’analisi dei valori antropologici del kitsch, considerandolo un modo di progettare e di essere presente (l’oggetto) nelle case, accattivante, gradevole da usare, ricco di metafore, di parafrasi. Su queste basi ho cominciato il lavoro di Domus, che si è poi trasformato in un’attività sul Postmodernismo. C’è stata una specie di accettazione del collage, di molte strade da percorrere e intrecciare, anche in un solo progettista. E anziché pensare all’ipotesi di un’utopia classicheggiante, razionalizzata, razionalista, compatta, si è pensato di

frazionare il mondo in tanti enigmi, in una specie di labirinto del vivere in una foresta e cercare di essere capaci, bravi e morali singolarmente.

Ci può raccontare la sua ricerca sul re-design? I presupposti e gli esiti? A quell’epoca dire “contraddico il bel design italiano” significava compiere un’azione intima di amore/odio. Non si poteva, infatti, non ammirare Magistretti, non ammirare Castiglioni e, quindi, il rapporto con un certo gruppo di maestri era un rapporto molto sentimentale. Altri riferimenti erano il Bauhaus, con Breuer supponiamo, oppure i Futuristi, oppure Thonet. Allora, fra i materiali, fra gli ingredienti per disegnare cose nuove c’era anche il ripescaggio di oggetti iconici importanti e l’idea di interpretarli, in certi casi anche ironicamente e caricaturalmente. Io, in particolare, ho pensato di prendere una sedia di Joe Colombo, una sedia di Mackintosh, una sedia di Thonet, una di Breuer e applicare sopra di esse delle specie di protesi sotto forma di re-design, dicendo che è nell’esistente che si può trovare un alto gradiente di novità se lo si guarda con occhi diversi. La più tipica, poi, è diventata la mia Poltrona di Proust, dove, con un’operazione esclusivamente intellettuale, ho preso un oggetto finto Barocco e, combinandolo con un pezzo di prato di Signac, ho ottenuto un oggetto nuovo.

Al contrario di altri designer lei è stato prima un teorico che un progettista. Nel passaggio alla prassi, che cosa è riuscito a sopravvivere delle aspirazioni originarie e cosa si è perso? Qui non so rispondere. Il mio modo di lavorare, di pensare, è labirintico. Labirintico significa andare avanti e indietro… In sostanza io continuo sempre a tornare indietro, come una sorta di pendolo, per cui le mie istanze sono permanenti e anche un po’ testarde. Per esempio, continuo a lavorare anche su immagini di trent’anni fa. Certamente, siccome cambiano i contesti e uno va avanti a lavorare, vi sono degli adattamenti e c’è anche il desiderio di sperimentare nuove situazioni. Questo ha portato non solo me, ma anche coloro che avevano fatto il radical design italiano (Alchimia, e anche un po’ di coloro che hanno fatto Memphis) a diventare professionisti con caratteristiche molto diverse tra loro. Di quei tempi conservo il senso di incertezza di quello che faccio: cioè, non sono mai sicuro della strada in cui sono e di quella che devo percorrere. Anche perché, in questo momento, tutti si naviga a vista. Ecco, io navigo un po’ a vista, cercando di applicare una mia morale personale. Una morale che consiste nell’etica della qualità del mio lavoro, chiusa all’interno del suo gioco stilistico.

Quali sono state le coseguenze del suo lavoro sugli addetti ai lavori, i progettisti, le aziende e il pubblico, che acquista oggetti per il loro privato? Molte cose sono cambiate, per esempio nel modo di arredare, con il cambiamento di mentalità del pubblico, che ha considerato la casa un luogo molto più anarchico da usare, più libero all’interno, meno frazionato in funzioni precisissime, com’era stato all’epoca della casa popolare o del razionalismo. Pertanto oggi, sia nell’accostare il mobilio sia nel miscelare i locali, vi è una grande libertà. Però uno si compra un oggetto di design, un oggetto bello, un oggetto brutto, un ricordo e non ha paura di doversi fare una casa estetica. Oggi le persone si fanno la casa in una maniera molto più antropologica.

Quali sono gli oggetti o le esperienze di quel periodo alle quali è più legato? Alchimia, come fenomeno, critico, progettuale e collegiale. Perché dopo quel periodo non sono più esistiti gruppi di progettazione. Sì, solo Droog Design forse, che non è poi stato, però, un vero gruppo. Allora sono stati i gruppi a caratterizzare la mia attività, dalle riviste ad Alchimia.

maestro del ready-made nel desIgn, alessandro mendInI unIsce IronIa e poesIa In un sIstema decoratIvo che reInterpreta le sedute del movImento moderno.

p r o t a g o n i s t i

«nel progettare io navigo un po’ a vista, cercando di applicare

una mia morale personale»

si è tentato di qualificare gli oggetti della normalità quotidiana in opposizione

all’élite del “bel design”

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Qual è oggi lo stato del design italiano? Intravede linee di ricerca teorica o poetica promettenti? Anche a causa mia, negli anni Ottanta il design milanese, che poi è diventato italiano, si è internazionalizzato. Ora in Italia esistono forse più designer stranieri che italiani e i primi non avrebbero la fortuna che hanno se l’industria italiana non li avesse usati troppo rispetto agli italiani. Questo è stato un handicap per lo sviluppo del pensiero del design italiano. In questo momento c’è una sorta di stasi, di introversione, di isolamento dei nostri designer. Ciò che secondo me rimane e sicuramente dovrà ricomparire, è il dna estetico legato alla bottega del Rinascimento. Perché questa è la nostra qualità: la bottega del Verrocchio, la bottega dei Futuristi, Alchimia, Memphis ecc. E questo eccetera ricompare. Secondo me riapparirà nel momento in cui si applicherà un certo radicalismo, un neoradicalismo un po’ duro. Oggi c’è una grande acquiescenza e manca dialettica tra il progettista e l’industria.

Di recente ha scritto di un certo agnosticismo che permea oggi la professione del designer, al quale

anche la seduta hIll house progettata da charles rennIe mackIntosh nel 1902 è stata,

nel 1975, oggetto dI re-desIgn da parte dI mendInI.

«la qualità del design italiano sta nel dna estetico che deriva dalla

bottega rinascimentale»

Con questo titolo si inaugura l’8 aprile (fino al 5 luglio) a Roma, presso

il Museo dell’Ara Pacis, una grande mostra, a cura di Beppe Finessi,

interamente dedicata ad Alessandro Mendini. Nell’allestimento di Marco

Ferreri e con la grafica di Italo Lupi, foto, oggetti, schizzi, scritti, ritratti,

progetti illustrano il percorso culturale dell’architetto e designer (nella foto,

il Museo di Groningen, in Olanda, realizzato a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90).

dall’nfinitesimale all’infinito

oppone la necessità di un ritorno a una visione utopica. A che cosa si riferisce? Mi riferisco all’atteggiamento più generale attraverso il quale si dice che il design è un processo “liquido”, stravolgendo, secondo me, ciò che sostiene il sociologo inglese Zygmunt Bauman, il quale critica tale liquidità. In questa maniera, viceversa, la si accetta. Il design, a mio avviso, pur essendo un processo, deve produrre delle forme, e una forma, quando è formalizzata, è fissa, è visibile, deve diventare iconica, costituire, pertanto, un riferimento per la persona e trasmettere un messaggio. Un messaggio che dev’essere spirituale. Se devo concludere in una maniera precisa: si è perso in spiritualità a favore del marketing.

Ha da poco parlato anche di fragilismo? Che cos’è? Verso quali direzioni si sta orientando il suo lavoro?Dicevo appunto del navigare a vista e di quanto sarebbe utile per tutti avere l’umiltà di non atteggiarsi su situazioni elitarie, accademiche, ma essere piuttosto discorsivi, narrativi anche. Il progetto, dunque, come romanzo, un romanzo debole, perché con tanta violenza che c’è nel mondo, se uno vuol dire una parola positiva deve dirla debole. E la parola fragilismo si colloca all’interno di questo gioco di affermazioni paradossali che ho formulato nel corso del tempo, così come il progetto ermafrodita, il re-design.

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