Zagajewski, Adam - Dalla Vita Degli Oggetti

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Biblioteca Adelphi 590 Adam Zagajewski DALLA VITA DEGLI OGGETTI

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Zagajewski, Adam - Dalla Vita Degli Oggetti

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Biblioteca Adelphi 590

Adam Zagajewski

DALLA VITA DEGLI O GGETTI

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I versi che Adam Zagajewski ha scelto per l ’ampia antologia che qui presentiamo ri­flettono la fase più alta e matura della sua produzione. Messo a confronto con in­terrogativi e dilemmi, con il mondo della natura e della storia, il poeta coglie tutte le contraddizioni della nostra condizio­ne: «La sua è una tessitura in cui fiori, al­beri e uomini convivono in un’unica sce­na. Ma questo mondo ricreato dall’arte non è un luogo di fuga, al contrario è in relazione con la cruda realtà di questo se­colo» ha scritto Czeslaw Milosz. E se nelle metropoli occidentali un ’umanità priva di passioni paga il benessere con la noia, l ’indifferenza e la solitudine, egli può cat­turare - grazie a un ’illuminazione inte­riore che si traduce nel «fervore» dei ver­si - l’istante in cui l’esperienza del dolore si fonde con quella della bellezza e l’aura del divino si manifesta anche nella realtà più misera: «La pelle levigata degli ogget­ti / è tesa come la tenda di un circo. / ... / Siamo come palpebre, dicono le cose, / sfioriamo l’occhio e l’aria, l’oscurità / e la luce, l’India e l’Europa. / E all’improv­viso sono io a parlare: sapete, / cose, cos’è la sofferenza?...». Così, nella poesia di Za­gajewski, l’invisibile si coniuga con il mon­do concreto, e l’anima si fonde con le co­se della terra, dando vita a quell’assoluto quotidiano che spiega il complesso intrec­ciarsi di destino individuale e universale.

Nato a Leopoli (ora L ’viv, in Ucraina) nel 1945 e considerato uno dei maggiori poeti vi­venti, Adam Zagajewski ha ottenuto numerosi riconoscimenti internazionali, come il Cze­slaw Milosz Prize (2008) e il Premio Europeo di Poesia (Treviso, 2010). Attualmente vive tra Cracovia e gli Stati Uniti, dove insegna all’Università di Chicago. I testi qui radunati coprono un arco cronologico che va dal 1983 al 2005. Di lui Adelphi ha pubblicato Tradimento (2007).

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Sempre occupate in ciò che definivano il lato pratico della nostra vita (toccava a Fiatone la teoria), immerse fino al collo in mobili, lenzuola, in giardini di dispense e credenze, senza dimenticare il sacchetto di lavanda che tramutava l’armadio della biancheria

in prato.

Il lato pratico della vita, come la faccia oscura della Luna, non era privo di misteri; sotto Natale la vita diventava pura praxis,prendendo provvisoria dimora nei corridoi, rifugiandosi in valigie e nécessaire.

E quando qualcuno moriva, il che purtroppoaccadeva anche in famiglia,le mie zie tutte presedal lato pratico della dipartitasi scordavano del sacchetto di lavandae del suo ebbro, altruistico profumosotto un manto nevoso di lenzuola.

In copertina: Disegno a penna e pastello di Jósef Czapski, tratto dal quaderno datato 25 aprile-19 giugno 1968 (Londra).© 2012 M U Z EU M N A RO D O W E W K RA KO W IE

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BIBLIOTECA ADELPHI 590

Scansione a cura di Natjus, Ladri di Biblioteche

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D E L L O S T E S S O A U T O R E

Tradimento

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Adam Zagajewski

DALLA VITA DEGLI OGGETTI

PO ESIE 1983-2005

A cura di Krystyna Jaworska

ADELPHI EDIZIONI

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TITOLO o r ig in a l e :

Questa scelta antologica si basa sul volume WithoutEnd. Le poesie Klgska, Chorqgiew, Rzym, miasto otwarte, Marze,

Muzyka stuchana z tobq vengono qui pubblicate per gentile concessione dell’autore

Questa pubblicazione è stata sovvenzionata dal Book Institute - thè © p o l a n d Translatìon Program

INSTTIUI (Sltfll

©POLAND

© 2002 A D A M Z A G A JE W SK I

Published by arrangement with Farrar, Straus and Giroux, LLC, New York

© 2012 A D E L P H I E D IZ IO N I S .P .A . M ILA N O

w w w .a d e l p h i .i t

IS B N 978-88-459-2682-2

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INDICE

La sconfitta 13La bandiera _ 14Il viandante 13Ode alla morbidezza 16Nell’enciclopedia di nuovo non c’è posto per

Osip Mandel’stam 17Tardo Beethoven 18Schopenhauer piange 20La febbre 22Kierkegaard su Hegel 23Negli alberi 24Il fiume 26Egli agisce 27Vitalizio 28Ode alla molteplicità 29Venerdì santo nei corridoi della metropolitana 32Il volto di Van Gogh 33A maggio 34Il fuoco 35Il fuoco, il fuoco 36Io 38

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Andare a Leopoli 39I fulmini 42Veduta di Delft 44Si arresta 45Franz Schubert, conferenza stampa 46Scale mobili 49Senza fine 51La generazione 53Tre voci 55Esprit d ’escalier 56Nella bellezza altrui 59II ferro 60Versi sulla Polonia f 62I miei maestri 63Triste, stanca 64Ciò che 65Veduta di Cracovia 66Ninnananna 69Lava 71R. dice 73Conversazione con Friedrich Nietzsche 75All’alba 77Morandi 78L ’alleanza 79Presenza 81Feste tardive 83Anton Bruckner 84Requiem per i viventi 86I prati della Borgogna 87Elegia elettrica 88Pomeriggio di settembre in una caserma

abbandonata 90II gotico 91Il fiume nero 94Le falene 95Vacanze 96

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Guardando la Shoah in una stanza d ’albergo, in America 97

A mezzanotte 99Le scimmie 100Nelle città straniere 101Diciassettenne 102Senza forma 103Storia della solitudine 105Dalla vita degli oggetti 106Crudele 107Simone Weil guarda la vallata del Rodano 109La tela 110Poesia veloce 111Mistica per principianti 113I Re Magi 115Giardino d ’inverno 117Pittori d ’Olanda 119La conchiglia 121Anni Trenta ' 123I profughi 124Lettera da un lettore 126PerM. 128Questa è la Sicilia 130Siete i miei fratelli silenziosi 131La fanciulla di Vermeer 132La terra del fuoco 133Autoritratto 135L ’attimo 137Elegia 138II violoncello 140Scriveva al buio 141L ’aeroporto di Amsterdam 142Lanette 144La stanza 146La città in cui vorrei abitare 148Persefone 150

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Tre angeli 151Dalla memoria 154Sul nuoto 156Suore di carità 157Houston, sei del pomeriggio 159Senza flash 161How high thè moon 162La separazione 164lire 165Solo bambini 167Lunghi pomeriggi 168La morte di un pianista 170Mattina a Vicenza f 171Piena estate 173Opera postuma 175La fiamma 177Vedere 178Foresteria per studiosi 180Addio a Zbigniew Herbert 181Le mie zie 183Square d ’Orléans 184Valzer 186I tigli 187Parla pacatamente 188Là, dove il respiro 180II Dizionario biografico polacco nella biblioteca

a Houston 191Prova a cantare il mondo mutilato 193Roma, città aperta 194lim are 196L ’Europa d ’inverno 198La musica ascoltata con te 200

Note 203La poesia tra incanto e ironia di Krystynajaworska 209 Indice dei titoli delle poesie 229

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D A LLA V ITA D EG LI O G G ET T I

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LA SCONFITTA

Davvero sappiamo vivere solo dopo la sconfitta, le amicizie si fanno più profonde, l ’amore solleva attento il capo.Perfino le cose diventano pure.I rondoni danzano nell’aria, a loro agio nell’abisso.Tremano le foglie dei pioppi, solo il vento è immoto.Le sagome cupe dei nemici si staglianosullo sfondo chiaro della speranza. Cresceil coraggio. Loro, diciamo parlando di loro, noi, di noi,tu, di me. Il tè amaro ha il saporedi profezie bibliche. Purchénon ci sorprenda la vittoria.

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LA BANDIERA

La mattina mi sveglio e cerco di appurare con l’aiuto di un binocolo da teatro quale bandiera sventoli sulla mia città nera, bianca o grigia come il terrore, se la mia città è già stata conquistata o ancora si difende, se implora la clemenza dei vincitori oppure porta il lutto per alcuni secondi di oblio, o forse io stesso sono la bandiera solo che non so vederla, così come non vediamo il nostro cuore.

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IL VIANDANTE

Entro in sala d ’aspetto alla stazione, manca l’aria.

In tasca ho un libro, poesie altrui, tracce d ’ispirazione.Accanto, sulle panche, due vagabondi e un ubriaco (oppure due ubriachi e un vagabondo).Al lato opposto della sala, lo sguardo volto altrove, in alto, verso l ’Italia e il cielo, siede un’elegante coppia anziana.Fummo sempre divisi. L ’umanità, i popoli, le sale d ’aspetto.

Mi fermo un attimo, incerto a quale sofferenza unirmi.

Infine mi siedo al centro, leggo. Sono solo, ma non mi sento tale.Un viandante che non viaggia.

Svaniscela visione. Montagne di respiri, soffocanti pianure. La divisione perdura.

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ODE ALLA MORBIDEZZA

Le albe sono cieche come gattini.Fiduciose crescono le unghie, ancora ignaredi ciò che toccheranno. Morbidisono i sogni, la tenerezza incombecome nebbia su noi, come la campana di Sigismondo,prima che cessasse di battere.

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NELL’ENCICLOPEDIA DI NUOVO NON C ’È POSTO PER OSIP MANDEL’STAM

Nell’enciclopedia di nuovo non c’è postoper Osip Mandel’stam di nuovo è senza un tettoè sempre così difficile trovare un alloggioregistrarsi a Mosca è quasi impossibilelo chiama il Caucaso echeggia la bassa forestadell’Asia quei giorni non sono ancora giuntialtri raccolgono ciottoli sulle spiagge del Mar Nerocontinua sempre l’iniqua istruttoria sebbene l’unifomiemostri un taglio nuovo e un sarto sempre diversosenza volto s’inabissi in inchini profondiChiudi il libro un fragore di sparo e la polverebianca della carta solletica il naso è seracade ima neve latina nessuno verrà più oggiè tempo di dormire quando busserà alla tua porta sottileaprigli.

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TARDO BEETHOVEN

Non ho ancora visto nessuno che ami la virtù con la stessa intensità con cui si ama il bello

C O N F U C IO

Nessuno sa chi fosse lTmmortale Amata. A parte questo tutto è chiaro. Note di piuma riposano tranquille sui fili del pentagramma come rondini appena tornate dall’altra sponda dell’Atlantico. Chi dovrei essere io per parlare di lui che cresce di continuo. Ora camminiamo soli, senza fantasmi e bandiere. Vìva il caos, dicono le nostre labbra solitarie. Sappiamo che si vestiva in modo trasandato, soffriva di attacchi di avarizia, non sempre era giusto con gli amici.Gli amici sono in ritardo di cent’anni con i loro irreprensibili sorrisi. Chi era lTmmortale Amata? Di certo più del bello amava la virtù.Ma in lui albergava il dio senza nome della bellezza esigendo obbedienza.Per ore improvvisava. Ogni volta soltanto una manciata di minuti è rimasta annotata.

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Minuti estranei al diciannovesimoe al ventesimo secolo; come se l’acido muriaticoavesse bruciato una finestra nel velluto,aprendo così un varco a un vellutoancora più morbido, sottile comeuna ragnatela. Danno ora il suo nome anavi e profumi. Non sanno chi fossel’Immortale Amata, altrimentiil suo nome conquisterebbe nuove cittàe paté. Nessun profitto. Solo il vellutoche cresce sotto il velluto, come foglia nascostaal sicuro in una foglia, luce nell’ombra.Adagi senza fine. Così respira la stanca libertà. I biografi discettano solo sui dettagli. Perché tormentasse così Karl, il nipote. Perché camminasse così in fretta. Perché non fosse andato a Londra. A parte questo tutto è chiaro. Non sappiamo cosa sia la musica. Chi parli in lei. E a chi si rivolga. Perché così ostinata taccia, perché si muova in cerchio e poi ritorni, invece di offrire una semplice risposta, come esige il Vangelo. Le profezie non si sono avverate. I cinesi non sono giunti al Reno. Ancora una volta si è visto che il mondo reale non esiste > per somma gioia degli antiquari. Altrove si celava il mistero, non era negli zaini militari, ma solo in un paio di quaderni. Grillparzer, lui, Chopin. I generali sono fusi in piombo e zinco per dare alle fiamme dell’inferno un attimo di tregua, dopo kilowatt di paglia. Adagi senza fine, ma soprattutto gioia, gioia selvaggia della forma, radiosa sorella della morte.

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SCHOPENHAUER PIANGE

Sì, è proprio quello Schopenhauer (1788 -1860), l’autore del Mondo come volontà e rappresentazione, lo scopritore degli inganni della natura e della musica delle sfere. Qualcuno poi10 definì un educatore. Nulla è successo, poiché nulla succede; solo un bambino, un moccioso, che un poco somigliaa quella donna conosciuta in gioventù - la gioventù non esiste -, gli sorrise e non ce n ’era bisogno, certo era un agente della natura.

Settembre, cosa indifferente, non apre più i cuori, solo la terra a poco a poco s’indurisce.

Torna a casa, chiudela porta a chiave, per nascondersi al servente. Come gira bene la serratura, prende parte al complotto senza dubbio. Piange. Il corpo minuto del grande filosofo, il settimo continente, trema.11 suo panciotto. Il colletto inamidato.Le guance gialle. La redingote marrone.

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Tremano queste cose superflue, come se già cadessero le bombe su Francoforte. Trema la sua solitudine, spessa, sottile come una tela olandese.

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LA FEBBRE

La Polonia, febbre riarsa sulle labbra dell’emigrato. La Polonia, mappa stirata dai ferri pesanti di treni a lunga percorrenza.Non scordare il sapore della prima fragola, della pioggia, il profumo degli umidi tigli a sera, registra il suono metallico della bestemmia, annota l’odio, il pelo raso di ciò che è straniero, ricorda ciò che unisce, ciò che divide.Paese di gente così innocente da nonpoter essere salvata. Un agnello lodato dal leoneper buona condotta, un poetasempre sofferente. Paese senza aculei,confessione senza peccati mortali. Sii solo,ascolta il canto non battezzatodel merlo. Giunge fluttuando il profumo acerbodella primavera, presagio crudele.

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KIERKEGAARD SU HEGEL

Kierkegaard diceva di Hegel: ricorda qualcuno che erige un enorme castello, ma vive in una semplice capanna, lì nei pressi.Così l’intelligenza abita in una modestastanza del cranio, e quegli stati meravigliosiche ci furono promessi sono ricopertidi ragnatele, per ora dobbiamo accontentarcidi un’angusta cella, del canto del carcerato,del buonumore del doganiere, del pugno del poliziotto.Abitiamo nella nostalgia. Nei sogni si apronoserrature e chiavistelli. Chi non ha trovato rifugioin ciò che è vasto, cerca il piccolo. Dio è il semedi papavero più piccolo al mondo.Scoppia di grandezza.

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NEGLI ALBERI

Negli alberi, nelle loro chiome, sotto sontuosevesti di foglie e sottane di luce,sotto i sensi, sotto le ali, sotto gli scettri,negli alberi si cela, respira, palpitauna vita quieta, sonnolenta, un abbozzo d ’eterno.Prosperi reami crescono nell’ambonedelle querce. Gli scoiattoli corrono, immobilicome piccoli tramonti rossi nascostisotto le palpebre. Ostaggi invisibiliformicolano sotto i gusci delle ghiande,gli schiavi portano cesti con frutta e argento,i cammelli oscillano come studiosiarabi sopra i loro manoscritti, i pozzibevono acqua e aceto, l ’acerba Europastilla come resina dal legno, Vermeer dipingevesti e una luce che non va scemando.Sotto la cupola del circo danzano i tordi.Slowacki già abita a Parigi e gioca perseverante in borsa. Un ricco si infila nella cruna d ’un ago e geme, ah, che tortura, Socrate

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spiega ai cercatori d ’oro che cos’è la menzogna, che cosa il bene e la virtù.I rematori remano lenti. E lente navigano le barche a vela. I fuggitivi dell’Insurrezione di Varsavia bevono un tè dolce, sui rami asciuga la biancheria, qualcuno nel sonno chiede « dov’è la mia patria ». Un veliero verde è fissato a un’ancora arrugginita. Un coro di anime immortali prova una cantata di Bach, in silenzio.Accanto, su un angusto divano, dorme, stanco, capitan Nemo. Un picchio trasmette un telegramma urgente con la notizia della conquista di Cartagine e del Boston Tea Party.La donnola non si tramuta affatto in lady Macbeth, nelle chiome degli alberi non esistono rimorsi. Icaro serenamente affoga.Dio riavvolge il nastro. Le spedizioni punitive rientrano in caserma. Vivremo a lungo negli intrecci di un arabesco, nel balbettio dell’allocco, nel desiderio, nell’eco senza casa, sotto sontuose vesti di foglie, nelle chiome degli alberi, nell’altrui respiro.

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IL FIUME

Dalle poesie poesie, dai canti canti, dai quadri quadri, continua sempre l’amichevole fecondazione. Sull’altra riva del fiume, nel raggio dell’esistenza, marciano i soldati. L ’armata nera, l ’armata rossa, l ’armata verde, arcobaleno di ferro. Nel mezzo l’acqua tranquilla, l’onda indifferente.

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EGLI AGISCE

Egli agisce, nel fulgore e nelle tenebre, nel fragore delle cascate e nel silenzio del sonno, ma non come annunciano i vostri pastori, che restano ben protetti.Cerca la linea più distante,una strada così lontana che quasinon si vede. Si perdenel dolore. Solo i ciechi, soloi gufi talora ne percepiscono la tenue improntasotto le palpebre.

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VITALIZIO

Sono ormai cessate quelle sofferenze. Tace il pianto. In un vecchio album vedi il volto di un bambino ebreo a un quarto d ’ora dalla morte.Hai gli occhi asciutti. Scaldi l ’acqua per il tè, mangi una mela. Vivrai.

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ODE ALLA MOLTEPLICITÀ

Non capisco tutto e mi rallegro persino che il mondo come un oceano inquieto superi la mia capacità di comprendere il senso dell’acqua, della pioggia, dei bagni nello Stagno del Fornaio, vicino al confine boemo-tedesco, nel settembre del 1980; dettaglio questo senza particolare significato, un profondo stagno germanico.Che l’Ego in crisi di ossigenorespiri tranquillo, un nuotatore taglia la lineadel meridiano, è sera, le civette si sveglianodal sonno diurno, in lontananzarombano pigramente le auto. Chi per una voltaha sfiorato la filosofia è perduto,non lo salverà la poesia, resteràsempre, rimanenzaincalcolabile, la nostalgia. Chi per una volta ha conosciuto la folle corsa della poesia più non proverà la quiete petrosa della prosa familiare dove ogni capitolo è nidodi una generazione. Chi per una volta è vissuto non

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dimenticherà la delizia mutevole delle stagioni, persino le bardane gli appariranno in sogno e le ortiche e i ragni, solo un poco più brutti delle rondini. Chi per una volta ha incontrato l’ironia sbufferà ridendo durante la lezione del profeta, chi per una volta ha pregato non solo con le labbra asciutte ricorderà la presenza di una strana eco rimbalzata da una parete. Chi per una volta ha taciuto non vorrà parlare durante il dessert, chi è stato ustionato dallo shock dell’amore farà ritorno ai libri con volto mutato.Rimani dritta, anima singola, di fronteall’eccesso. Due occhi, due mani,dieci dita ingegnose eun solo Ego, un quarto d’arancia,la più giovane delle sorelle. Il piaceredell’udito non guasta il piaceredella vista, ma l’ebbrezza della libertà distruggela pace degli altri sensi quieti.La pace, un nulla spesso, pieno di dolce succo come una pera a settembre.Brevi istanti di felicità svanisconosotto una slavina di ossigeno, d ’inverno una cornacchiasolitaria batte il becco sulla bianca distesagelata del lago, una coppia di picchi impauritadall’accetta cerca sotto la miafinestra un pioppo abbastanza malato.Una donna dall’aria assente scrive lunghe lettere e la nostalgia si gonfia come l ’oppio; in un museo egizio un papiro bruno è intriso della stessa nostalgia, più antica di alcuni millenni, incrollabile e intatta.Le lettere d ’amore vanno sempre a finire nei musei, i curiosi sono più ostinati degli innamorati. L ’Ego avido

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trangugia l’aria, la ragione si risvegliadal sonno diurno, il nuotatore escedall’acqua. Una donna avvenente posa perla felicità, gli uomini fingono di esserepiù coraggiosi di quanto non siano veramente,il museo egizio non cela le debolezzeumane. Esistere, per esistere ancora,forse offrendosi in affittoa una delle gelide stelle. E talvoltabeffarsi di lei che è fredda e viscidacome una rana nello stagno. La poesia cresce sullacontraddizione, ma non la ricopre.

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VENERDÌ SANTONEI CORRIDOI DELLA METROPOLITANA

Gli ebrei di varie religioni si incontrano nei corridoi della metropolitana, rosario sparpagliato da dita premurose.

Su loro dormono i preti dopo la cena di magro, su loro piramidi di chiese e sinagoghe si ergono come rocce portate da ghiacciai.

Ho ascoltato la Passione secondo Matteo che tramuta in bellezza il dolore.Ho letto Fuga di morte di Celan che tramuta in bellezza il dolore.

Nei corridoi del metrò il dolore non si tramuta, solo perdura, senza tregua.

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IL VOLTO DI VAN GOGH

A JózefCzapski

Pomeriggio, torrenti di folle che si squagliano,Parigi. Sul tabellone degli annunci, accantoai bandi di arruolamento di una nuova levastrappata al registro delle nascite, accanto alla pubblicitàdi pellicce di volpe e del nuovo Beaujolais,appare il tuo volto spigoloso, il voltodi un giusto, l ’inquietudine rivestitadi pelle.Ci separiamo, passiamo oltre, scorriamo via sotto la lama di uno sguardo lacerante.Continui a osservarci, uomo ricco, più vivo dei vivi e più pensoso.

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A MAGGIO

Camminando nel bosco, in un’alba di maggio, chiedevo, dove siete, anime dei morti. Dove siete, giovani scomparsi, dove siete, ormai del tutto mutati.Un grande silenzio regnava nel bosco e udivo le foglie verdi sognare, udivo i sogni della corteccia da cui nascono barche, navi e vele.Poi a poco a poco gli uccelli si fecero sentire, cardellini, tordi e merli nascosti nei balconi dei rami; ognuno parlava a suo modo, con voce diversa, senza chiedere nulla, senza amarezza o rimpianto.E capivo che voi siete nel canto, inafferrabili come la musica, indifferenti come le note, lontani da noi quanto noi da noi stessi.

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IL FUOCO

Sono, suppongo, un comune borghesepaladino dei diritti individuali,la parola libertà per me non ha confinidi classe, politicamente ingenuo, mediamenteistruito (brevi attimi di chiarezzasono il principale alimento), ricordol’appello ardente di quel fuoco che prosciugale labbra assetate della folla, e poi bruciai libri e carbonizza la pelle delle città, ho anchecantato quei canti, so quanto sia stupendocorrere assieme agli altri, poi, una volta solo,in bocca resta un sapore di cenere e odol’ironica voce della menzogna, e il coro che grida,e sfiorando la testa, sotto le dita sentoil cranio convesso, della mia patria la dura sponda.

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IL FUOCO, IL FUOCO

Il fuoco di Cartesio, il fuoco di Pascal, cenere, scintilla.La notte arde un bivacco invisibile, un fuoco che consumandosi non distrugge ma crea, come se in un attimo volesse restituire ciò che le fiamme hanno sottratto in vari continenti: la biblioteca di Alessandria, la fede dei Romani e la paura di una bimba della Nuova Zelanda.

Il fuoco, come le armate dei Mongoli, svuota e brucia le città di legno e pietra, e poi innalza case lievi e palazzi invisibili, ordina a Cartesiodi demolire la filosofia ed erigerne un’altra, si trasforma nel roveto ardente, sveglia Pascal, suona le campane e le fonde per eccesso di zelo.Avete visto come legge i libri? Pagina dopo pagina, lentamente,

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come chi ha appena imparato a sillabare.

Il fuoco, il fuoco eterno, il fuoco di Eraclito, l’avido messaggero, un ragazzo dalle labbra nere di bacche.

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IO

È piccolo e invisibile come i grilli ad agosto. Come tutti i nani ama agghindarsi e cambiarsi. Abita tra blocchi di granito, in mezzo a verità utili. Riesce a stare persino sotto un cerotto, o una benda. Non lo troveranno i doganieri e neppure i loro superbi cani. L ’io si nasconde tra gli inni e i partiti.Pernotta sulle Montagne Rocciose del cranio.Eterno fuggiasco. E me, io sono in lui nell’inquieta speranza di aver trovato infine un amico. Ma egli è solitario, così diffidente da non ricevere nessuno, me compreso.Agli eventi storici aderiscecome l’acqua a un bicchiere. Anche una brocca neolitica potrebbe contenerlo.E insaziabile, vuole nuotarenegli acquedotti, ha fame di recipienti sempre nuovi, gradirebbe uno spazio senza pareti, vorrebbe dissolversi, dissolvere. Poi svanisce, come la sete, e nel silenzio di una notte di agosto si sentono solo i grilli che parlano pazienti con le stelle.

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ANDARE A LEOPOLI

Andare a Leopoli. Da quale stazione andarea Leopoli, se non in sogno, all’alba,quando la rugiada ricopre le valigie e proprio alloranascono i rapidi e gli espressi. D’un tratto partireper Leopoli, nel cuore della notte, di giorno, a settembreoppure a marzo. Se Leopoli esiste sottola fodera delle frontiere e non solo nel mionuovo passaporto, se gli stendardi degli alberi,pioppi e ontani, respirano ancora rumorosicome gli Indiani e i ruscelli balbettano nel lorooscuro esperanto e le bisce spariscononell’erba come altrettanti segni molli dell’alfabetorusso. Fare i bagagli e partire, senza neppuresalutare, a mezzogiorno, svanire così comevenivano meno le fanciulle. E le bardane, la verdearmata delle bardane, là sotto, sotto gli ombrellonidi un caffè veneziano, le lumache conversanodell’eternità. Ma svetta la cattedrale,ricordi, così verticale, così verticalecome la domenica e i tovaglioli bianchi e il secchiopieno di lamponi sul pavimento e il miodesiderio, che ancora non esisteva,solo i giardini e le erbacce e l ’ambradelle ciliegie e il disdicevole Fredro.

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C ’era sempre troppa Leopoli, nessuno sapevacapirne i quartieri, sentireil sussurro di ogni pietra bruciatadal sole, la chiesa uniate di notte taceva in mododel tutto diverso dalla cattedrale, i gesuiti battezzavanole piante, foglia dopo foglia, ma quelle crescevano,crescevano immemori, e la gioia si celava ovunque,nei corridoi e nei macinini da caffèche giravano da soli, nei bricchi celestie nell’amido, che era il primo formalista,nelle gocce di pioggia e nelle spine delle rose.Sotto la finestra ingiallivano le forsizie velate di brina.Le campane suonavano e l ’aria tremava, le cuffiedelle monache veleggiavano come golettedavanti al teatro, c’era così tanto del mondoda concedere infinite repliche,il pubblico impazziva e non volevalasciare la sala. Le mie zie non sapevanoancora che un giorno le avrei resuscitate,e vivevano così fiduciose, nella loro unicità,le cameriere linde, con le vesti stirate,correvano per la panna fresca, dentro le case c’eranoun po ’ di collera e molta speranza. Brzozowskiera venuto a fare conferenze, imo dei mieizii scriveva un poema intitolato Perché?dedicato all’Onnipotente e c ’era troppaLeopoli, traboccava dal vaso,crepava il vetro dei bicchieri, straripavadagli stagni, dai laghi, fumava dai comignoli,si mutava in fuoco e in tempesta,rideva con i fulmini, diventava umile,tornava a casa, leggeva il Nuovo Testamento,dormiva sul divano sotto il kilim carpatico,c ’era troppa Leopoli e ora non ce n’èaffatto, cresceva irrefrenabile e le forbicitagliavano, i freddi giardinieri come semprea maggio, senza pietà né amore,ah aspettate che giunga il caldo

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giugno con le morbide felci, il campo sconfinato dell’estate, ossia la realtà.Ma le forbici tagliavano lungo la linea e attraversol’ordito, sarti, giardinieri e censoritagliavano il corpo e le ghirlande, le cesoie indefesselavoravano, come in un gioco da bambinidove ritagli il profilo di un cigno o di un cerbiatto.Forbici, coltellini e lamette grattavano,tagliavano e accorciavano le vesti ariosedei prelati e le piazze e i palazzi, gli albericadevano senza rumore, come in una giungla,e la cattedrale tremava e ci si congedava all’albasenza lacrime, senza fazzoletti, così asciuttele labbra, non ti vedrò mai più, tanta è la morteche ti attende, perché ogni cittàdeve farsi Gerusalemme e ogniuomo un ebreo? e ora, ma in fretta,fare i bagagli, sempre, ogni giorno,e andare senza fiato, andare a Leopoli,eppure esiste, quieta e pura comeuna pesca. Leopoli è ovunque.

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I FULMINI

Ad Adam Michnik

Vivevamo comprendendo poco e bramando conoscenza. Come piante che cercano la luce cercavamo giustizia, trovandola solo nelle piante, nelle foglie di castagno immense come l’oblio, nei cespugli di felce che ondeggiavano lenti, senza promettere nulla.Nel silenzio. Nella musica. Nei versi. Cercavamo la giustizia confondendola con la bellezza.Leggi severe governano la commozione.Voltavamo le spalle a crudeltà e noia.Non c’è soluzione, solo questosapevamo, solo frammenti, parlavamoapertamente e questo già ci parevauno scherzo strano. Com’era facile odiareun poliziotto. Persino la sua faccia sembravaappartenere, alla divisa. Era facile riconosceregli errori altrui. Nel fiume, in un giorno afoso,si riflettevano nuvole e montagne. La vita alloraera rotonda come un palloncino che sale verso l’alto.Gli abeti si ergevano immobili, pieni d ’ombra

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e frescura come gli abissi dell’oceano. Occhi verdi, la tua pelle umida, o lucertola.La sera fulmini muti brillavanonel cielo. Erano i pensieri altruiche bruciavano la quiete e le certezze. Bisognavafare in fretta i bagagli e andarsene ancora più lontano,a oriente o a occidente, disegnando la mappadi un percorso di fuga.

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VEDUTA DI DELFT

Case, onde, nuvole e ombre (tetti blu scuro, mattoni bruni) infine siete diventate solo sguardo.

Quiete pupille degli oggetti, indomite, rilucenti di nero.

Sopravviverete alla nostra meraviglia,al nostro pianto, alle nostre fragorose, infami guerre.

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SI ARRESTA

Si arresta la città la vita si fa quadroè fragile come le piante di un erbario vai su una bicicletta che non si muove, solo le case ruotano lentamente, mostrando naso, fronte e labbra prominenti. La sera si fa quadro, non ha voglia di esistere e per questo riluce come un lampione cinese in un giardino silente. Resta immobile il crepuscolo, è l’ultimo ormai. L ’ultima parola. Nella chioma degli alberi si nasconde la felicità. Dentro le foglie dormono i sovrani. Non c ’è vento, la vela gialla del sole resta immobile sui tetti come la tenda abbandonata di Cesare.Il dolore si fa quadro e la disperazioneè solo un quadro, incorniciatonelle labbra di questo passante. Il mercatotace nello scuro fogliame d ’alidegli uccelli. C’è silenzio come a Jena,dopo la battaglia, quando donneinnamorate guardano i volti dei caduti.

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FRANZ SCHUBERT, CONFERENZA STAMPA

Sì, ho vissuto poco, sì, ho amato, sentivo crescere la luce, sotto le dita nascevano scintille.Sì, ho avuto poco tempo, non sapevo quanto, compativo Gretchen, chi muore giovane e chi ama infelice.Sì, la fiamma non era muta, sìcorrevo per i boschi ghiacciati,incalzato da neve, stelle gialle,dall’estraneità dello stile; no, non la polizia,chissà se era il diavolo. Non esisteva l’epoca,solo l’erba verde, i frassini, gli oggettiimmobili, le libellule sugli stagni,non esisteva l’epoca, ma un pavimento di legno,sedie taciturne, sì, Vienna,lo stesso gusto del caffè,i colombi sui davanzali. No,non avevo previsto la Primavera dei Popoli,non so, non ricordo, è una domandatroppo personale. No, non conoscola musica di Wagner. Se possiamo

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capirci? Rammarico, e persino invidia, non so se il destino, un guanto, i fiocchi di neve così delicati se non diventano tormenta.Gli occhi verdi di quella ragazza.Il destino per me era troppo grande, come una tenda,il mio cuore palpitava maldestronelle stanze enormi. Sì, il talento,piccolo amaro chicco di caffè sgranocchiato.No, avevo paura, tutto mi si rovesciava addosso, eserciti di mercenari mi assalivano, ah, signori, come potete paragonarmi all’ammiraglio Nelson, no, le ombre ingigantivano, i bisbigli rimbombavano come campane nelle cattedrali, le parvenze latravano, sì, lo riconosco, talvolta mi sbagliavo, non potevo sapere di essere Schubert, lo stavo diventando, cercavo una strada, un colore, perciò non potete conoscere me, ma solo l ’eco.Sì, sono passato da quello stretto doveil dolore si muta in canzone,sì, i boschi verdi per l’eternità e l’amoremai corrisposto, la gioiadell’indifferenza, volevo direla felicità di esprimersi, a metàstrada tra la vita e la morte,proprio a metà strada, sì, quigiungono ancora le grida di coloro che danzano,ma condensate nella gelatina della memoria.Non voltare la testa, non sbagliare direzione,sì, certo, la vita non si racchiudenel canto, in una piccola arca di Noè,sapete signori, non personesolo generi, non fiori solo esemplari,non profumi solo nomi, e noiabbiamo vissuto selvaggi e rigogliosi come un prato,con le gramigne e il vento, con il tarassaco e l’anemone,

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r

nell’immenso plurale di colori e suoni,muti e appassionati, obbedienti alle richiestedi messi trafelati, nelle nozze,nel peccato e nella preghiera, di serae di mattina, nella noia e nel riso,perdurava la danza eterna, a maggio, a giugno,quante cose accadevano, angoscia e gioco,dita ferite, labbra aperte,baci veri o baci soloin sogno, trecce, spighe,il tuo sguardo, la veranda, il silenzioe il nulla, la porpora d ’autunno, sì, tuttoricordo, le allodole sui lunghi fili,i papaveri, i boschi di noccioli, in città i caldi mattoni,le voci smorzate nel crepuscolo, e la notte -una scatola in cui i bambini nascondonoi tesori, il sonno e la veglia, Venerenel cielo pallido, che trema per il freddo.Sì, ora è persino meglio, nel canto,solo due labbra che parlano fra sé,accanto il pianoforte nel suo smoking lucente,sì, ora sono stanco, no, questanon è una rimostranza.

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SCALE MOBILI

Quanto immobili stanno sulle scale mobili le statue dei miei cari sconosciuti.Quanto s’innalzano pian piano, senza sforzo o fatica. Giace sotto di loro la città che mai più sarà conquistata da qualcuno perché oggi non si assediano le mura.Il destino volentieri capitola, e i vincitori non sono peggio di chi c’era prima.

Il sole tramonta come sempre, una crema rosata sfiora l ’orizzonte.Le vie si aprono come lattine di birra vuote, e cantano la stessa spontanea canzone.Perché conquistare le città,lanciare pietre e bruciare i templi,se un sussurro, un sorriso e il disprezzo sono sufficienti.Le scale crescono come un bosco di pini.

La notte di San Bartolomeo può durare un quarto d ’ora, senza sangue - solo il coraggio si consuma lento. Guardo la folla che sale.

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Tanti volti, tante guance, speranze, attese, mani che s’intrecciano, nelle iridi di occhi gonfi la luce incrocia l’ombra.

Tanti volti, tante mani e una sola illusione.Noi che torniamo lo sappiamo già: nessuno ci aspetta lassù in cima.Lottano i colombi per le briciole di pane, e le rondini con geroglifici fulminei scrivono lettere al presidente e il presidente ride come il vento.

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SENZA FINE

E nella morte vivremo,solo diversamente, con delicata dolcezza,dissolti nella musica;chiamati a uno a uno in corridoio,soli, seppure in schiere,come compagni di ima stessa classeche si estende sin oltre gli Uralie arriva fino al Quaternario. Affrancatidalle eterne discussioni politiche,aperti e sinceri, liberi, anche se proprio allorasi chiuderanno sbattendo le persianee la grandine suonerà sul davanzalela sua marcia turca, spavalda come sempre.Il mondo delle apparenze non svanirà d ’un tratto, a lungo farà ancora i capricci accartocciandosi come un foglio umido gettato dentro il fuoco.La sete di perfezione si avvererà quasi contro voglia, eviterà tutti gli ostacoli, come i Teutoni impararono a eludere la linea Maginot. Cose

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minime e dimenticate, aquiloni fatticon la cartavelina più sottile, fragili fogliedegli autunni passati ritroveranno la lorodignità immortale, e i grandisistemi vittoriosi si contrarrannocome il sesso di un gigante. Non ci sarà piùla nostalgia, perché raggiungerà se stessa, stupitaper aver così a lungo cacciato la propriaartica ombra. Neppure noi ci saremo,poiché ancora non sappiamovivere a una simile altitudine.

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LA GENERAZIONE

Alla memoria di Helmut Kajzar

Camminavamo molto lentamente sulle lastre di pietra vicino allo Stadio Olimpico a Berlino, dove la stella nera di Jesse Owens arse in tempi preistorici, e urlava l ’aria tedesca.Mi veniva da ridere,non credevo si potesse andare così piano là, dove lui aveva corso così forte, andare in una direzione, e guardare in un’altra, come i piatti profili degli egizi. Eppure proprio così camminavamo, legati dai fili lievi dell’amicizia.Due morti ci girano intorno.Una ci addormenta in gruppo, ci prende tutti, il gregge intero.Poi fa un lungo discorso e motiva il verdetto. L ’altra è selvaggia, analfabeta, ci rapisce isolati, spersi, noi animali, noi corpi, noi dolore, noi sbadati e incolti.

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Le onoriamo entrambe in due religioni spezzate dallo scisma. Questa cicatrice ci divideva a volte se dimenticavo che abbiamo due morti, e una vita sola.Non ti voltare quando sentiraiil mio sussurro. Nella gran folla di greci,egizi, ebrei, in questa fertile generazioneincenerita vai avanti dritto,come allora, senza fretta,da solo.Le pareti non sono ermetiche, le finestre si aprono di notte alla pioggia, al canto delle stelle che la distanza smorza.Eppure ogni istante dura eterno,si fa punto, porto, involucro di commozione.Ogni pensiero è un lieve cerchio cheruota, celato nella sua timidaesistenza, in un canto, in un quadro. Ogni gioia,pur se inesistente, lascia dietro di séuna traccia trasparente. Il gelo baciail vetro perché non sa entrare nella stanza.In questo modo nasce un’altra patria, che creiamo quasi involontariamente, è di riserva, costruita in basso, piena di corridoi, incompiuta, ombra luminosa della prima casa.

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TRE VOCI

La nube del crepuscolo si addensa nella stanza, cresce l’ombra della sera, quieto desiderio.Per radio il Canto della terra di Mahler.Fuori dalla finestra i merli fischiano sonori e spensierati. E intanto sento il sommesso sussurro del mio sangue (come neve che scivola dai monti).Queste tre voci, tre voci straniere, si rivolgono a me, ma nulla vogliono, nulla promettono. In lontananza, laggiù sul prato, a lungo si schiera, si prepara il corteo della notte percorso da sordi bisbigli.

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ESPRIT D’ESCALIER

Sulla rampa delle scale, triste come una camera oscura, in uno zoo affollato da lettere, mosche e topi esplode all’improvviso la scintilla azzurra del pensiero. Di sopra continuano la festa e il frastuono, il fragoroso festival al plurale. La notte, monaca dal copricapo ad ampie falde, corre lungo via San Giovanni.Giungono le parolenon pronunciate prima, piene di vergogna,il sì, il no, la formula di sdegno,la ragion logica; appare infine, senza fiatocome uno sprinter, la conversazionevittoriosa. Con lei vengonole ombre, le chimere, i sogni non ripagati,il primo bacio con un grandenumero 1 che fende il cielo,il ballo della scuola, le buffe melodie,You are my destiny, e in effetti, quanto è successo ricorda il destino in apparenza, gli stessi occhi, lo stesso

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naso, solo il senso è differente.Per le strade marciano corteisotto bandiere sempre diverse,negli alloggi i mariti uccidonola giovinezza delle mogli; per le scalein penombra, tra finestre semiaperte,correnti d ’aria, mancorrentiincompleti, sui mezzanini si dispiegaun’altra sfera. L ’oscurità è soloassenza di luce, un’ombrascura, carta spiegazzata, un grigiogrigiore, un biancore nero, un carminioesangue. L ’oscurità rende spavaldi lettere,mosche e topi, si odono dei passileggeri, echi indistinti, sul davanzaledormono volantini stanchi,figli del pathos e del pettegolezzo. Invisibile,sotto la soglia un ragno, semidiodi questa regione, tesse le sue viscidereti. Non sono persuase le moschedella sua esistenza, ridonosolo, talvolta una lacrima scorre ouna muta preghiera. Lettere non ritirate,orfane, leggono il loro oscuro messaggio, lentamente,come in un testo di geologia,si staccano dalle buste i francobolli.Sul muro, vicino alla cantina, ima scritta col gesso, un po ’ storta:« Nulla di peggio dell’ego altrui », e una firma illeggibile.A Cet, può essere, o forse Acid oppureZeta. Basta allungare la mano,subito c’è il cortile,ora deserto, come un piattino inattesa delle fragole, le tortoredormono da sveglie, nelle confetturesi conserveranno i ricordidei bimbi del quartiere. Le cose bisbigliano

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tra loro, scricchiola il vecchio legno.Uno dei sorci più vecchi si chiama Voltaire e tace ostinato, disprezza l ’epoca romantica, persino da morto evita di parlare della morte. Chi di notte loda la notte non vedrà l ’alba. La tentazione dell’oscurità, dolce come cioccolato al latte, non ha senso, ghigna il vecchio topo in parrucca.Di sopra continuano la festae il frastuono, tra un attimo qualcuno in un’auradi allegria lascerà gli ospiti, salteràpesantemente sul marciapiede, se ne andràall’inglese, nuoterà nell’ossigeno, veleggeràcercando nella memoriale parole non dette, che come piombocucito nella tela lo tirerannogiù in mezzo all’erba, tra canne, sabbiae fango. Ma nel mondo libero e grigiodelle scale, dopo un sordo attimo diterrore risuoneranno ancora gemitiamorosi, accaniti alterchi e ironici sospiri.

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NELLA BELLEZZA ALTRUI

Solo nella bellezza altrui vi è consolazione, nella musica altrui e in versi stranieri.Solo negli altri vi è salvezza, anche se la solitudine avesse sapore d ’oppio. Non sono un inferno gli altri, a guardarli il mattino, quando la fronte è pulita, lavata dai sogni.Per questo a lungo penso quale parola usare: se lui o tu.Ogni lui tradisce un tu, ma in cambio nella poesia di un altro è in fedele attesa un dialogo pacato.

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IL FERRO

Perché mai dev’essere dicembrevolano le grevi, cupe colombe della nevecadendo sul selciato. Cos’èil talento rispetto al ferro, cos’èil pensiero rispetto alla divisa, cos’è la musicarispetto al manganello, cos’è la gioia rispettoalla paura, una neve cupa e greve incurvai germogli dei sogni, dal balcone vediil giovane Norwid che mostra alla pattugliai documenti e giuradi non poter firmare la Volkslist, quelliridono sprezzanti, con le naricidilatate e le guance arrossate,carnefici presi in prestito d a quadridella Passione, cos’è rispetto a lorola folla silente in un tram celeste,chi è quella ragazza triste, forseinizierà così una nuova epoca,quel carro armato dal lungonaso gogoliano è forse il suo padrino,questo ferro che stride, sotto

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il quale si piega la delicata colombadella neve, suggellerà forse la Dichiarazionedi Lealtà ferendo a morteil canto della libertà, intanto vediche il giovane Norwid, rimesso in libertàda quelli con narici dilatate e guance arrossate,si nasconde in un portone, lui,al pari di te, è fragile come undisco di vinile, e tuttii passanti - ognuno tiene in manoun pugno di infinito - tuttisono stati fermati e restano immobili,oscilla il selciato sotto i cingolidei decreti. La sera mi chiedi,disperato, cosa fare, m a come, mi sorprendo,le tue idee si sono forse rivelate false,si è forse spezzato il cerchio della tua immaginazione,no, solo il ferro si è gonfiato.

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VERSI SULLA POLONIA

Leggo versi sulla Polonia scritti da poeti stranieri. Tedeschi e russi non hanno solo mitra, ma anche inchiostro, penne, un po ’ di cuore e molta fantasia. Nei loro versi la Polonia ricorda un unicorno spavaldo che si ciba della lana degli arazzi, bella, debole e incauta. Non so in che cosa consista il meccanismo dell’illusione, ma incanta persino me, lettore smaliziato, quest’indifeso paese delle fiabe, di cui si cibano aquile nere, imperatori famelici, il Terzo Reich e la Terza Roma.

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I MIEI MAESTRI

I miei maestri non sono infallibili.Non sono Goethe che solo quando in lontananza piangono i vulcani non riesce a prender sonno, né Orazio che scrive nella lingua degli dèi e dei chierichetti. I miei maestri mi chiedono consiglio. Avvolti da morbidi cappotti gettati in fretta sopra i sogni, all’alba, mentre un vento freddo interroga gli uccelli, i miei maestri parlano sussurrando.Sento che la loro voce trema.

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TRISTE, STANCA

Triste, stanca, brutta e sola stai alla finestra, vicino alla tela chiamata via, mondo o città, signora Arnolfini scissa dal marito.Dondola, dondola, l ’insetto di Bergson catturato nella tela del ragno. Tra noi scorre l ’oceano. Tra noi dormono i cicloni. Tra noi sonnecchiano le guerre.S ’annoia l ’estranea indifferenza degli altri. Tra noi i generali contano le frecce nella faretra.Tra noi arde la nostalgia. Triste,stanca, brutta e sola, aspetta,spalanca il bianco ventaglio della finestra.

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CIO CHE

Ciò che pesa troppo e trascina in basso che fa male come il dolore e brucia come uno schiaffo, può essere pietra o àncora.

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VEDUTA DI CRACOVIA

Davanti a me Cracovia in una valle grigia.Le rondini la trasportano su lunghe trecce d ’aria. Cornacchie dalle nere mantelle la sorvegliano. Nel cespuglio di ciliegie selvatiche affamate ronzano le api.I gatti vegliano sui tetti delle auto.Ciò che era, ciò che è, separati con estrema cura. Sovrani nelle marmoree tombe, tombe nelle cantine, Dio nelle preghiere, dita inanellate.Davanti a me la chiesa di Santa Caterina,mai terminata (come una bozzaspessa). Gli archi gotici si arrampicanoin alto, spalle di monaci assonnatiche hanno dimenticato quale parola possarisvegliare Dio. Davanti a me una bassa pianura.Una vecchia sola che abitavaqui è morta da poco, di solitudineo vecchiaia. Chi mai ricorderàil dolce che faceva e i suoi occhi irati?Di quale Stato è ora

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cittadina? Chi le ha dato asilo?(Un passaporto di cenere, occhi: spavaldi).Le stanno accanto neri pioppi, e un usignolo, imprigionato tra le foglie, si esercita con la solita perlacea profezia.A sera i pipistrelli con volo incerto costruiscono fragili alleanze.Davanti a me Cracovia in una valle grigia.Lungo il viale, sotto un fitto tunnel di foglie, una ragazza in ritardo corre a lezione.Nei suoi capelli crescono petali di peonia, nei suoi capelli la tenerezza del tempo ha intrecciato un nido.Corre in fretta, ma è come se non si muovesse, è sempre nello stesso punto, sotto gli ippocastani che si spogliano del solito verde per indossarne uno nuovo.Davanti a me erba rilucente, coltelliniaperti, storni come esploratori, l ’orizzonte,altre città, frontiere, balconi, pensieri,doppi significati. La nebbia si alza,e la nebbia cala. I grandi corpi delle chiesecome palloni legati dondolanolentamente, le loro campane, bronzei e tempraticuori, emettono sottili ragnatele sonore.I bambini corrono sui lastroni di pietra, facendo rotolare i cerchi, e il sole lì davanti, assetato di frescura, si nasconde nell’ombra dei platani. Dai camini sale un esile fumo, come per un conclave ininterrotto, come se persino i muri delle case volessero prender parte al gioco dell’esistere.E sento un canto via via più forte che cresce nelle strette gole dei cortili, il canto dei dimenticati, degli oltraggiati, dei muti, degli assenti, dei morti, le voci di coloro che vissero in silenzio, sento, sento la musica che cresce,

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strepito, fragore, preghiera, ninnananna, canto di navi che affondano e urla di sopravvissuti.Al mattino gli orioli chiedono acqua, a sera piangono i gufi e nel teatro cittadino si lamentano le amanti abbandonate e vibra in chissà quante laringi un canto selvaggio e si addormentano il prigioniero e l’aguzzino e l ’etemo mondo preso in prestito dalla grande biblioteca.

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NINNANANNA

Oggi non dormirai. Tanto è il chiarore alla finestra. Sulla città s’innalzano i fuochi d ’artificio.Non dormirai, sono accadute troppe cose.Su te vegliano i libri, in file ordinate.A lungo penserai a ciò che è accaduto e a ciò che non è stato. Oggi non dormirai.Le tue palpebre rosa si ribelleranno, avrai gli occhi arrossati, bruceranno, e il cuore gonfio di ricordi.Non dormirai. Si aprirà l’enciclopedia e ne usciranno i vecchi poeti, vestiti con cura, al riparo dal freddo. Si aprirà la memoria, come un paracadute, con un sibilo improvviso.Si aprirà la memoria e tu non dormirai, ti cullerai tra le nuvole, bersaglio mobile e chiaro dei fuochi d ’artificio.Non dormirai mai più, troppo ti è stato detto, troppo è accaduto.Eppure ogni goccia di sangue potrebbe scrivere la sua Biade scarlatta.Ogni alba potrebbe essere autrice

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di cupe memorie. Non ti addormenterai sotto la spessa coltre di tetti, solai, camini che gettano verso l’alto una manciata di cenere.Le notti in bianco fluttuano nel cielo silenziose e i remi frusciano, calze di seta.Uscirai nel parco e i rami ti batteranno amichevolmente sulle spalle, per cresimarti un’altra volta, come se non fossero certi della tua promessa. Non dormirai.Correrai per il parco deserto, diventerai un’ombra, incontrerai altre ombre. Penserai a qualcuno che non c ’è più e a qualcuno che vive con tale intensità che questa vita ai margini si trasforma in amore. Sempre più luce si affolla nella stanza. Oggi non dormirai.

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LAVA

E se Eraclito e Parmenideavessero ragione contemporaneamentee due mondi esistessero affiancatiuno tranquillo, l ’altro folle; una frecciascocca immemore, e l ’altra indulgentela osserva; lo stesso flutto si frange e non si frange,gli animali nascono e muoiono nello stesso istante,le foglie di betulla giocano con il vento e al contemposi struggono in una crudele fiamma rugginosa.La lava uccide e serba, il cuore batte e viene colpito, c’era la guerra, la guerra non c’era, gli ebrei sono morti, vivono gli ebrei, le città bruciarono, le città rimangono, l ’amore avvizzisce, il bacio è eterno, le ali dello sparviero devono essere brune, tu sei sempre con me, anche se non ci siamo più, le navi affondano, la sabbia canta e le nuvole vagano come veli nuziali sfilacciati.

Tutto è perduto. Tanto incanto. I colli reggono cauti lunghi stendardi boscosi, il muschio sale sul campanile di pietra della chiesa

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F F

e con labbra minute timidamente loda il Settentrione. Al crepuscolo i gelsomini brillano come lampade folli stordite dalla propria luce.Nel museo davanti a una tela scura si stringono pupille feline. Tutto è finito.I cavalieri galoppano su cavalli neri, il tiranno scrive una sgrammaticata condanna a morte.La giovinezza si dissolve nell’arcodi un giorno, i volti delle fanciulle si fannomedaglioni, la disperazione volge in estasie i duri frutti delle stelle crescono nel cielocome grappoli d ’uva e la bellezza dura, tremula, immotae Dio c’è e muore, la notte torna a noisul fare della sera, e l’alba è brizzolata di rugiada.

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R. DICE

Sorci letterari - dice R. - ecco chi siamo.Ci incontriamo in coda davanti alle casse dei cinema

economici.Al tramonto, quando negli stagni verdi affondano

pesanti solidi broccato, usciamo dalla biblioteca arricchiti dall’opera

di Kafka- illuminati sorci in giubbotti militari, in cappotti del potenziale esercito di un despota colto; polizia segreta di un poeta che forse giungerà al potere in una provincia

lontana.Sorci con borse di studio, domande confidenziali,

osservazioni sarcastiche, topi dal pelo irto, dai baffi ispidi, pungenti.Ci conoscono le grandi città, l’asfalto rovente, le dame di

carità,non ci hanno mai visto i deserti, l’oceano e la fitta giungla. Benedettini di un’epoca atea, missionari di una facile

disperazione,siamo forse una forma transitoria in un lungo processo

evolutivo,

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r

il cui fine, l ’indirizzo e il senso ancora a nessuno furonosvelati.

E siamo ripagati con una monetina d ’oro, priva di valore:la voluttà

di un attimo, quando la fiamma della metafora fonde dueoggetti finora liberi,

quando l’astore scende in picchiata l’esattore si fail segno della croce.

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CONVERSAZIONE CON FRIEDRICH NIETZSCHE

Illustrissimo Signor Nietzsche, mi pare di vederla, sì, sulla terrazza del sanatorio, all’alba, quando cala la nebbia e il canto gonfia la gola degli uccelli.

Non troppo alto, la testa a forma d ’obice, lei scrive un nuovo libro e una strana energia le scorre intorno: mi pare di vedere i suoi pensieri che danzano come eserciti possenti.

Lei sa che Anna Frank dai neri capelli è morta e così i suoi compagni e le compagne, i coetanei, le amiche dei compagni e i suoi cugini.

Vorrei chiederLe cosa sono le parole e cos’è la chiarezza, perché mai le parole ardono anche dopo cent’anni, nonostante il greve fardello della terra.

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È ovvio che non c’è nesso tra l’incanto e il cupo dolore, la ferocia.Esistono almeno due regni, se non altri ancora.

Ma se Dio non esiste e nessuna forza salda tra loro gli elementi, che cosa sono le parole, da dove viene quella luce interiore?

E da dove la gioia? Dove va il nulla? Dove abita il perdono?Perché i piccoli sogni svaniscono al mattino, e quelli grandi crescono?

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ALL’ALBA

All’alba dai finestrini del treno vedevo città disabitate, spopolate dal sonno, aperte e indifese come grandi animali sdraiati sul dorso.Per le vaste piazze camminavanosolo i miei pensieri e un vento freddo,sulle torri perdevano i sensi bandiere di lino,nelle chiome degli alberi si svegliavano gli uccelli,nelle folte pellicce dei parchi scintillavanoocchi di gatti selvatici,nelle vetrine dei negozi si specchiavala timida luce del mattino, eterno debuttante,le giostre, finalmente assorte,pregavano il loro invisibile centro,i giardini fumavano come le rovine di Varsavia,e alle mura brune del macelloancora non era arrivato il primo camion.All’alba le città non sono di nessuno,non hanno nomie neppure io ho un nome,sul far del giorno, quando svaniscono le stellee il treno corre sempre più veloce.

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MORANDI

Gli oggetti vegliavano anche di notte, mentre lui dormiva sognando l’Africa; la brocca di porcellana, due annaffiatoi, le verdi bottiglie da vino, un coltello. Quando dormiva sodo, come può dormire solo un artista esausto, stremato, gli oggetti ridevano, prossimi alla rivolta.

L ’annaffiatoio, ficcanaso dal lungo becco, sobillava gli altri, febbrile, e il sangue pulsava selvaggio nella porcellana ignara del tocco di labbra assetate, solo occhi, sguardo, percezione.

Di giorno erano più docili e persino fieri: tutta la ruvida esistenza del mondo trovava rifugio in questi oggetti, abbandonando per un attimo il ciliegio in fiore e il cuore afflitto dei morenti.

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L ’ALLEANZA

Durò un attimo la tacita alleanzanelle sale del Museo egizio a Torino:le cose e le persone, le vetrinestipate, i bambini vocianti diun gruppo tedesco, le vigili mummiearse dal lungo fuoco della contemplazione,con labbra sottili e serratecome quelle dei condottieri prima della battaglia, il granito delle piramidi, le statuette a protezione dalla morte e dalla dannazione e ora, lontane dall’Egitto, diventate inutili,tagliaunghie di tremila anni addietro, il mio cuore paziente come un ragazzo che balbetta, e le famiglie italiane spensierate, felici della vita e della domenica.Stavamo l’uno accanto all’altro, timorosi, ma senza astio, con pari diritti e osservandoci l ’un l’altro.Il tempo, come una spilla di rame per capelli, scivolò via dai riccioli di una principessa egizia.

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Impassibili, quasi con amiciziaci osservavamo, generazioni diversedi uno stesso mondo, muti oggetti imperfettidel desiderio e dell’oblio,strumenti del dolore e dell’amore.Persino i lisci coltelli, che pongono fine alla nostalgia, giacevano silenti sui ripiani e forse rimpiangevano le emozioni violente, i notturni colpi al cuore, il tradimento e il disonore.Alla finestra, sui muri giallo scuro dei palazzi, il sole scriveva rapido il manifesto di gennaio, giorno di festa.

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PRESENZA

Sono nato nella città dei ciliegi selvatici e dei girasoli dai duri semi (a metà strada fra l’Occidente e l ’Oriente, come si soleva credere allora; globi verderame vigilavano sbadati sulle case).Solo l’assenza può essere perfetta?La presenza è infatti contagiata dal peccato originale dell’esistere - dall’eccesso, da un selvaggio orgoglio orientale, mentre il bello, come un coltellino da frutta, si accontenta di un ritaglio di pienezza.La vita si accumula nelle peschiere delle generazioni e non svanisce del tutto quando queste scompaiono, ma diventa secca e leggera, ricorda una preghiera distratta, le labbra screpolate di un ragazzo che si confessa per la prima volta e sente il legno del confessionale scricchiolare sotto le ginocchia.A sera giunge l’autunno e porta via le messi, gialle, mature per la fiamma.So che le realtà sono almeno quattro,

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e non già una, e si compenetrano a vicenda, come i Vangeli.So di essere solo e al tempo stesso unito a te, per sempre, nel dolore e nella gioia. So che immortali sono solo i misteri.

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FESTE TARDIVE

La sera, ai confini della città, dopo un giorno intero di vuoto, iniziano all’improvviso feste tardive e il sanscrito del crepuscolo parla nella lingua rovente della gioia.In alto neH’aria fluttuano fuochi fatui di sigarette che nessuno fuma.Arde la carta di fugaci segreti;le confidenze del cielo che si spegne sommessonon si lasciano annotare o ricordare.Che importa se t’insegue l’esercito del faraone, quando l’eternità è intrecciata ai giorni della settimana come il muschio tra le travi di ima casa di legno.

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ANTON BRUCKNER

All’alba sale dai prati bassi profumo di trifoglio.Le chiese barocche comprimono la terra.I carri contadini vanno nella nebbia, le oche gemono

piano.II Danubio scorre sulle pietre piatte, esercitandosi nella dizione come un timido Demostene.I topi si rincorrono in gallerie di paglia.Oscillano le lampade in corridoi scuri e ombre spaventate corrono sulle pareti.I passeri cercano di parlare con il linguaggio umano.II manto arruffato dei cavalli, la paglia gialla nelle stalle, evaporano fiumi di respiri, gelano mani arrossate.Il mondo è troppo materico, denso, identico a se stesso, e i suoi mutamenti non conducono a nulla; gli specchi oramai sono stanchi di riflettere sempre gli stessi oggetti, persino l’eco balbetta.Sulla soglia di una casa intonacata sta un ragazzo dal volto sgraziato e dal collo troppo possente - E buono e pio, ma non piace alle ragazze.Sulle spalle un piccolo fagotto, scarpe pesanti ai piedi. Gocce d ’acqua cadono dal tetto in bizzarra successione,

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scricchiola l’argano nel pozzo, sottovoce parlano le sedie. Dov’è il confine tra le sfere? Dove sono le guardie di

frontiera?In cosa si somigliano due elementi diversi, l’ossigeno e

il piombo,l ’inerzia dei muri di pietra e la musica che corre senza fiato, come volesse liberarsi della compagnia degli oboi, dei comi e delle trombe, eppure a loro è legata per sempre e i tamburi di pelle animale correranno insieme ai leggeri archetti delle viole, fluiranno nel ritmo di una danza sonnolenta, attratti dall’altra parte, invisibile e muta, e in questa corsa affannata, che non è una fuga, spariranno il lucente Danubio, la cattedrale di Linz con

i due campanili,persino la grande Vienna con il seme d ’oro

dell’imperatorepiantato nei fertili giardini resterà indietro, come fosse un punto insignificante sulla mappa.Anton Bruckner abbandona la casa natale.

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REQUIEM PER I VIVENTI

La gioia dell’attimo trascorso presto si trasformain un nero cappuccio con fessureper occhi, bocca, lingua e rimpianto. Rimpianti.I viventi sono sempre occupatia dire addio ai giorni che passanosimili a una pellicolaimpressionata e mai sviluppata.I viventi vivono così spensierati, noncuranti che i morti ne strabiliano.Ridono tristi ed esclamano, ah, ragazzi, anche noi eravamo così. Proprio uguali. Fiorivano le acacie.Gli usignoli fischiavano tra i rami, sopra di noi.

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I PRATI DELLA BORGOGNA

I prati della Borgogna s’inerpicano sui collie lì stanno distesi immobili come abitisugli attaccapanni. Nulla sappiamo, un nulla disperato.La memoria minimalista si limitaa ciò che è accaduto, è impotentedi fronte alle incompiute possibilità romaniche.Un corvo, geometra metodico, misura il campo.I frassini, che nessuno accusa di estetismo, sanno costruirsi rigogliose tende di foglie.Le allodole con folle furia corrono tra le nuvole, come il cameriere in un bar affollato, la domenica. Entrammo in una chiesetta vicino a Vézelay; non c’era nessuno, solo un prete attempato che cantava messa. Era talmente solo che la lacrima - da trecento anni si stava formando sotto la palpebra della campana incrinata - era pronta a partire per l ’ultimo viaggio.E tuttavia si fermò. Non ancora, ancora no.Finché chi è solo canta...

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ELEGIA ELETTRICA

Addio, radio tedesca dall’occhio verde, pesante scatola fatta - pressappoco - di corpo e anima (le tue lampade ardevano di luce rosa salmone, come l’io profondo in Bergson).Attraverso lo spesso tessuto dell’altoparlante(il mio orecchio si incollava a te come allegrate del confessionale), un tempo bisbigliava Mussolini,urlava Hitler, Stalin calmo spiegava,sibilava Bierut, Gomulka teneva discorsi senza fine.Ma nessuno, radio, ti accuserà di tradimento, no, l’unica tua colpa era l’obbedienza assoluta, la tenera fedeltà ai megahertz: chi arrivava era ascoltato, chi trasmetteva - ricevuto.

Eppure so bene che soltanto con i LiederAi Schubert attingevi alla massima, smeraldina beatitudine.Per i valzer di Chopin il tuo cuore elettrico batteva con forza e dolcezza e il tessuto sull’altoparlante si sollevava come il petto di giovani innamorate nei romanzi di un tempo.

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Altra cosa le notizie - soprattutto se trasmesse da Radio Europa Libera o dalla BBC; il tuo occhio diventava inquieto e la verde pupilla si restringeva e dilatava, come se fosse sotto l’effetto di dosi diverse di atropina.In te abitavano folli gabbiani, e Macbeth.Di notte si raccoglievano nelle tue stanze segnali persi. I naviganti chiedevano soccorso, piangeva una giovane cometa rimasta senza testa.Ho accompagnato la tua vecchiaia - l’annunciavano la voce rauca, frasi spezzate, e poi scoppiettìi (la tosse), la cecità infine (l’occhio marino si era spento), e un sordo, sordo silenzio. Dormi serena, radio ex tedesca, sogna Schumann e non ti risvegliare al canto del prossimo gallo dittatore.

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rPOMERIGGIO DI SETTEMBRE

IN UNA CASERMA ABBANDONATA

II sole, il sole sazio di settembre, il sole delle messi e delle stoppie si fermò su di me e sulla caserma abbandonata.Il silenzio bivaccava là dove un tempo risuonavano ordini tonanti, silenzio dove prima c ’erano soldati, silenzio nell’infermeria dove un tempo si udivano i lamenti dei malati.L ’erba alta e superba, matura per la lama della falce, ha invaso il cortile. C ’era silenzio là dove un tempo piangevano le reclute dai lividi crani rasati.E in me c ’era silenzio, là dove un tempo abitava la disperazione.Per il viottolo corre un gallo nero, vessillo gonfio di sangue ardente.Scolorisce l’autunno, si spegne la guerra.

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IL GOTICO

A Ed Cohen

Chi sono io nella fredda cattedrale, chimi parla con parole oscure; chi sono,sottoposto d’un tratto a una pressionediversa, e a chi appartengono le voci che si affollanonella spazio di pietra, voci di carpentieri,divenuti polvere della polvere,o voci di pellegrini che giàsono spariti, ma che non possono tacere?Chi sono, sepolto sotto una volta slanciata, dov’è il mio nome, chi vuole impadronirsene, chi farlo cadere, come un cappello che il vento fa volare via dal capo?

Piccoli demoni rivestiti di pelle presa .in prestito da animali amici guardano in basso come tuffatori dal trampolino; sotto si stende un oceano di terra verde.Demoni annoiati da torture provinciali, piccoli comunisti dai cuoricini rigidi; ah, anche loro furono creati,

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come le foglie, le lucertole e le ortiche; crescono fuori dalla chiesa, sporgono metà nell’aria, metà nella pietra, la pioggia sciacqua loro la gola con un discorso bagnato, scorre il balbettìo, il progresso, il partito e il tradimento, scorrono fiumi lungo le strette laringi.

Non ascoltare le cascate artificiali, torna dentro, sotto le navate di granito, tom a là, dove la vita acuminata spumeggia, dove gli archi del gotico pettinano le ore oziose e perseverano in preghiere ardite come una teodicea eretta su di un prato.Torna là, dove ci sono altezza e ombra,dove vivono desiderio e dolore, la gioiae la fede nel buon Dio che creae uccide, accende e distrugge ogni lucee ogni desiderio, e sui bei volti scrivelunghe lettere con il pennino degli anni,tenta Abramo, erige le cupole di Romae le baracche di Auschwitz, canta ninnenannesulle rive di fiumi silentie si spegne nei lampi; toma, tom alà, dove si è colmato il lagomontano del raccoglimento, dove si raffreddail metallo delle illuminazioni e delle suppliche.

Vaghi smarritonella cattedrale vasta come le piazze di Babilonia,è sera, buio, sentì suoniestranei, sussurri, voci che chiamano,i fischi acuti delle rondini, qualcunopiange con la voce di un dolore più antico di Caino,in lontananza le imposte si chiudonoper sempre e terra gialla cade rullandocome tamburo su un feretro di quercia,qualcuno ride forte, sei solo,

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senza oratori e guide, vaiper il bosco, felci enormi si celanoalla vista, erbe e fiori, bianchiconvolvoli profumano, talvolta i mortitrovano una parola serena, rilucono le foglie di frassino,le civette volano morbide come liane e gli alberilievi, lievi, si schiudono perpronunciare un suono.

Sentola tua presenza nei bagliori del crepuscolo, foglio strappato che si ricompone senza sosta senza un segno, senza cicatrice. Odo molte lingue diverse, voci, sospiri, il lamento e la speranza di chi ama e di chi sceglie l’odio, di chi ha tradito e di chi fu tradito, e tutti in viaggio, nel lungo labirinto; sopra di loro si leva il fuoco, un puro fuoco di benvenuto. Sento la tua presenza, odo il silenzio.

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IL FIUME NERO

Un fiume nero scorreva nel parco.Più in là si stendevano giardini indifferenti e le trecce folte delle siepi.Là, dove cantavano i merli, un tempo c ’era una succursale di Auschwitz, e sotto l’erba furono sotterrate le bende dell’ospedale russo per questo il prato era gonfio, rigoglioso. Alianti innocenti senza un fremito si libravano nel cielo e cadeva la pioggia, leggera, spensierata come una lacrima di gioia

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LE FALENE

Le falene ci guardavano attraverso la finestra chiusa. Le falene ci guardavano, seduti al tavolo, con uno sguardo ardente più intenso delle loro fragili ali.

Resterete per sempre fuori, dietro il vetro. E noi saremo qui, all’interno, sempre più all’interno. Le falene ci guardavano attraverso la finestra chiusa, in agosto.

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VACANZE

Sono scuri i capelli dell’estate.E le foglie dei faggi tese come corde di violini per bimbi.La pioggia si perde nelle lunghe grondaie della chiesa di campagna e piange.Il giovane Rembrandt, ancora altero, ci osserva da una cartolina.Il mare infuriato s’infrange sulle rocce e qualcuno sussurra: ci sarà la guerra.Il sole di ieri si raffredda nei mattoni.Nascosti da rigide mantelle due ciclisti attraversano il ponte.Nel giardino rilucono i lampi verdi delle cince. L ’asfalto caldo evapora umile, come se un barbiere vi avesse poggiato le ciotole per la rasatura.Respiri sollevato: sono solo stanchi pellegrini che ritornano a casa portando il dolce pane dell’oblio, la felicità, il silenzio.

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GUARDANDO LA « SHOAH »IN UNA STANZA D’ALBERGO, IN AMERICA

La notte talvolta è delicata come il manto di un puledro, ma noi preferiamo le carte o gli scacchi: ecco, gli ospiti dell’albergo cantavano Happy Birthday toyou, e il televisore monocolo mischiava indifferente le figure. Gli alberi della mia infanzia avevano varcato l ’oceano e mi salutavano freddamente dallo schermo.I contadini polacchi si avventuravano in dispute

teologichecon gesuitica disinvoltura, solo gli ebrei tacevano, stanchi per il lungo morire.I ruscelli delle mie vacanze scorrevano cauti lungo un continente sconosciuto, straniero.I carri con le rastrelliere trasportavano capelli invece di fieno, scricchiolando sotto un peso di piuma. Siamo innocenti, dichiaravano gli abeti.Le SS si sono trasformate in fragili vecchi, i medici lottavano per salvarne cuore, vita, coscienza. Era già tardi, sentivo l ’onda insidiosa del sonno.Volevo dormire, dormire, ma gli ospiti dell’albergo sempre più forte gridavano Happy Birthday to you (più forte ancora degli ebrei morenti).

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Grandi camion trasportavano stelle del firmamento, i treni viaggiavano mesti nella pioggia.Sono innocente, si discolpava Mozart,solo il pioppo tremulo rabbrividiva come sempre,confessando ogni crimine.Dov’è la mia casa, cantavano gli ebrei della Boemia.Non c ’è casa, bruciano le case, nelle case sibila un gas

freddo.Ero sempre più assonnato e innocente.Il televisore mi rassicurava: noi due siamo al di sopra di ogni sospetto.La festa di compleanno diventava più chiassosa.I lillà fioriscono ogni anno come petardi viola.Le scarpe di Auschwitz, una piramide alta fino al cielo, si lamentavano sommesse: purtroppo siamo sopravvissute all’umanità.Dormiano, dormiamo, non abbiamo dove andare.

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A MEZZANOTTE

Parlammo a lungo nella notte, in cucina; alla morbida luce della lampada a petrolio gli oggetti, incoraggiati dalla sua delicatezza, spuntavano dal buio, svelando i propri nomi: sedia, tavolo, saliera.

A mezzanotte dicesti: andiamo fuori. D’un tratto vedemmo il cielo ed esplosero le stelle, stelle d ’agosto.Il pallido fuoco della notte tremava sopra di noi, indomito, eterno.

Il mondo ardeva, senza voce, avvolto .dal bianco incendio in cui dormivano i villaggi, le chiese e le biche di fieno profumate di menta e di trifoglio. Ardevano gli alberi e le torri, l’acqua e l’aria, il vento e le fiamme.

Cos’è il silenzio di questa notte se i vulcani hanno gli occhi spalancati e il passato è presente, minaccioso, e spunta dalla tana come la luna o l’arbusto di ginepro?Sono fresche le tue labbra e sarà fresca l ’aurora, telo gettato su una fronte che scotta.

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LE SCIMMIE

Un giorno le scimmie presero il potere.Si infilarono alle dita sigilli d ’oro, indossarono camicie bianche inamidate, fumando sigari avana profumati, costrinsero i piedi in nere scarpe di vernice.Non lo notammo, poiché eravamo intenti ad altre occupazioni: chi leggeva Aristotele, chi proprio allora viveva un grande amore.I discorsi dei potenti si fecero caotici,persino farfuglianti, comunque non li ascoltavamomai attentamente, era meglio la musica.Le guerre divennero ancora più selvagge, le carceri ancora più fetide di un tempo.Le scimmie, a quanto pare, avevano preso il potere.

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NELLE CITTÀ STRANIERE

A Zbigniew Herbert

Nelle città straniere c’è una gioia sconosciuta, la fredda felicità di un nuovo sguardo.Gli intonaci gialli delle case, sui quali il sole si arrampica come un agile ragno, esistono ma non per me. Non per me furono costruiti il municipio, il porto, il tribunale, la prigione. Il mare scorre per la città con una marea salata e allaga le verande e le cantine.Al mercato i prismi delle mele, piramidiche svettano per l ’eternità di un pomeriggio.E pure la sofferenza non è poi cosìmia: il matto locale farfugliain una lingua straniera, e la disperazionedi una ragazza sola in un caffè è comeil frammento di una tela in un cupo museo.Le grandi bandiere degli alberi si agitanoal vento così come nei luoghia noi noti, e lo stesso piombo fu cucitonegli orli di lenzuola, di sogni,dell’immaginazione folle e senza casa.

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DICIASSETTENNE

Franz Schubert, un adolescente di diciassette anni, scrive la musica per il lamento di Gretchen, sua coetanea.Meine Ruh ist hin, mein Hertz ist schwer.Il grande cacciatore di talenti, la morte, subito gli riserva una benevola attenzione.Manda inviti, uno dopo l’altro.Uno. Dopo. L ’altro. Schubert domanda comprensione, non vuole presentarsi a mani vuote. L ’invito non si può declinare. Quattordici anni dopo si tiene il suo primo concerto sull’altra sponda.Perché la limpidezza uccide? Perché la forza acceca? Meine Ruh ist hin, mein Hertz ist schwer.

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SENZA FORMA

Se solo questo esiste,l ’albero sul quale sonnecchia una stella,la cattedrale vuota di Chartrese la guida che ha fretta,e donne che aspettano un trenoe una musica fresca come la sete.Se solo questo esiste, governi che reclutano ministri e ministri che reclutano poliziotti e una piccola strega che a letto bacia le loro labbra di cera, e i dissidenti che protestano, e i manifestanti che marciano insieme a bambini ridenti e una musica fresca come la sete e una forza che non dorme mai.Se solo questo esistee le maschere funebri dei poeti e le orme dei giganti a grandi altezze e i libri sull’orgasmo dell’organismo, e i Neri eleganti che non mi vedono

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e Keats che piange e gli assenti che non ci sono, e tracce leggere come l ’arsenico nei capelli di Napoleone e maschere immobili su volti inerti, i musei dei sogni chiusi e la forza che non vuole addormentarsi e i simboli massonici che Mozart, ingannando Dio, inserì nel Requiem-, tante cose non dette, e le donne che devono vivere in questo tempo, senza averlo chiesto, e i paesi, un tempo liberi, ora senza pelle, sbucciati come mele, e il tempo così mutevole, e io, maturo senza forma.

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STORIA DELLA SOLITUDINE

Si smorzano le voci degli uccelli.La luna si mette in posa per la foto. Luccicano le umide guance delle vie.Il vento porta il profumo di campi verdi. Lontano, in alto, un piccolo aeroplano gioca come un delfino.

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DALLA VITA DEGLI OGGETTI

La pelle levigata degli oggetti è tesa come la tenda di un circo.Sopraggiunge la sera.Benvenuta, oscurità.Addio, luce del giorno.Siamo come palpebre, dicono le cose, sfioriamo l’occhio e l ’aria, l’oscurità e la luce, l’India e l’Europa.

E aH’improwiso sono io a parlare: sapete, cose, cos’è la sofferenza?Siete mai state affamate, sole, sperdute?Avete pianto? E conoscete la paura?La vergogna? Sapete cosa sono invidia e gelosia, i peccati veniali non inclusi nel perdono?Avete mai amato? Vi siete mai sentite morire quando di notte il vento spalanca le finestre e penetra nel cuore raggelato? Avete conosciuto la vecchiaia, il lutto, il trascorrere del tempo?

Cala il silenzio.Sulla parete danza l’ago del barometro.

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CRUDELE

A Józef Czapski

Nel parco di Saint-Cloud cantavano gli uccelli.Un vasto parco narcisistache guarda su Parigi. Ero da solo.Pensavo alle parole che avevi detto: il mondo è crudele, e divora se stesso, è crudele, crudele.

Vagavo per il parco di Saint-Cloud, camminando in senso orario.Passavo sotto rami spogli di castagni, salutavo cedri cupi.Sentivo lo schiocco delle pigne spaccate da cinciallegre e passeri.Nel parco non c’erano rapaci, salvo il tempo che mutava da inverno in verde primavera e per un attimo era denudato come un attore che getta la tunica nel freddo camerino.

È crudele, pensavo. È un assassino tollerato da polizia e preti,

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persino tu sei indulgente,ne hai fatto il protagonistadei tuoi quadri. Forse vi è altra scelta?Un mondo migliore, più delicato, alberi più belli, cedri dagli aghi ancor più scuri, feste ancora più sfarzose, attimi di riflessione che ci portano dritti al cuore del sapere, un tempo mite, benigno, che ci ridà chi abbiamo per sempre perduto, e ci ridà noi stessi, giovani e innocenti?

Il cielo, rosa, legato da fettucce di nuvole.Muri bruni di prigioni, ospedali, tribunali, corridoi del pianto senza fine, attimi di riflessione lacerati, minacciati dal timore, da ansia e tradimento.

Vagavo per il parco di Saint-Cloud sempre più in fretta. L ’inverno era finito, la primavera era ancora lontana. Nel parco deserto, abbandonato dal sovrano, ripetevo più volte la parola « crudele », mi ascoltavano gli uccelli e le lucertole, un sole bianco emerse dalle nebbie, mi trapassò l ’arpione acuminato dell’incanto.

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SIMONE WEILGUARDA LA VALLATA DEL RODANO

... la ritrovai davanti alla casa, sedeva su un tronco d’albero, immersa nella contemplazione della valle del Rodano.

G U ST A V E T H IB O N

All’improvviso smette di comprendere,guarda solamente:laggiù si apre la vallata del Rodanodominata dagli antichi borghi,e la vasta scrittura dei vigneti, i pioppi assetati.I platani si risvegliano dal sonno,i galli riprendono la loro lunga marcia,tornano gli sparvieri nel cieloe lei quasi vede i lievi respiri delle allodole,i monticelli eretti dalle talpe nere,i tetti dei casolari, gli alberi di noce,le chiese dai campanili arrotolati come foglie di tabacco,le macchie scure del grano maturo, e bagliori di falci;l’uva è adagiata in cesti di vimini,la morte si nasconde nell’ombra dei gineprie la guerra è vicina.II mercurio dell’ampio Rodano scorre nella valle trasportando chiatte e barconie un minuto di perdono, un istante di felicità, l ’ulivo del nulla.

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LA TELA

Stavo in silenzio davanti a un quadro scuro, una tela che avrebbe potuto trasformarsi in cappotto, camicia, stendardo, e invece è diventata cosmo.

In silenzio davanti alla tela scura, ero pieno d ’incanto e ribellione e pensavo all’arte della pittura e all’arte della vita, a tanti giorni freddi e vuoti,

agli attimi di impotenza, alla mia fredda fantasia, cuore di una campana che vive solo quando oscilla,

colpendo ciò che ama e amando ciò che va colpendo, e mi venne in mente che la tela avrebbe anche potuto essere un sudario.

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POESIA VELOCE

Ascoltavo un canto gregoriano nella macchina che sfrecciava su un’autostrada della Francia.Gli alberi erano di fretta. Le voci dei monacilodavano il Signore invisibile(all’alba, nella cappella che tremava di freddo).Domine, exaudi orationem meam,pregavano le voci maschili con tale calmacome se la salvezza crescesse nel giardino.Dove andavo? Dove si nascondeva il sole?La mia vita giaceva lacerataai lati della strada, fragile come la carta di una mappa.Insieme ai monaci soavimi avvicinavo alle nuvole, plumbee,pesanti, impenetrabilicome la benda sugli occhi del reo,verso il futuro, verso l’abissoche inghiotte le lacrime dure della grandine.Lontano dall’alba. Lontano da casa.Invece dei muri - una lamiera sottile.Una fuga invece della veglia.

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Un viaggio invece dell’oblio.Invece di un inno - una poesia veloce. Davanti a mecorreva una piccola stella stancae l’asfalto della strada brillavaindicando dov’era la terra,dove si celavano la lama dell’orizzontee il nero ragno della serae la notte, vedova di così tanti sogni.

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MISTICA PER PRINCIPIANTI

II giorno era mite, la luce amica.Quel tedesco sulla terrazza del caffè teneva sulle ginocchia un libriccino.Riuscii a leggere il tìtolo:Mistica per principianti.All’improvviso compresi che le rondiniin ricognizionecon striduli richiamisulle vie di Montepulciano,e i dialoghi sommessi degli intimiditiviaggiatori dell’Europa Orientale detta Centrale,e i bianchi aironi fermi - ieri, ier l’altro? -nelle risaie come tante monache,e il crepuscolo, lento e sistematico,che cancellava i profili delle case medioevali,e gli olivi sulle basse collineesposti ai venti e agli incendi,e la testa della Principessa ignota,che vidi e ammirai al Louvre,e le vetrate delle chiese simili ad ali di farfallacosparse del polline dei fiori,

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e il piccolo usignolo che si esercitava nella dizioneproprio accanto all’autostrada,e i viaggi, tutti i viaggi,erano soltanto mistica per principianti,un corso introduttivo, prolegomenidi un esame rimandatoa più tardi.

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IRE MAGI

Arriveremo troppo tardi... A N D R É f r é n a u d , IRe Magi

Se non fosse stato per il deserto, le risa, la musica - saremmo giunti in tempo se la nostra nostalgia non si fosse fusa con la polvere delle strade.Vedemmo paesi poveri, resi ancora più poveri da un odio secolare; un treno pieno di soldati e fuggiaschi si fermò a lungo alla stazione in fiamme.Ci ricevettero con tali onori che pensammo: forse davvero uno di noi è un monarca?Ci trattennero prati primaverili, fiori di calendula, lo sguardo delle ragazze di campagna, assetato di amore straniero.Presentammo offerte agli dèi, ma non sappiamo se loro riconobbero i nostri volti attraverso l’ambrato velo del fuoco.Una volta ci addormentammo, dormimmo molti mesi, i sogni infuriavano in noi minacciosi, pesanti come le onde della marea sotto la luna piena.Ci risvegliò la paura, e di nuovo andammo maledicendo il destino e le locande luride;

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per quattro anni soffiò un vento freddo, la stella era gialla, cucita sul cappotto maldestramente come un distintivo di scuola.Il taxi sapeva di anice e Ventesimo secolo, il tassista parlava con accento russo.E la nave colò a picco, l’aereo d ’un tratto sobbalzò. Ci fu un violento alterco e ognuno di noi partì verso un’altra speranza.A malapena ricordo quel che cercavamo, non sono certo se la notte di dicembre si aprirà mai come la pupilla di un apparecchio fotografico.Sarei forse felice, vivrei sereno, non fosse per la luce che esplode sulle mura della città ogni giorno all’alba e acceca il desiderio.

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GIARDINO D’INVERNO

In questa piccola città nera, la tua città,dove anche i treni si fermano senza voltar la testa,senza distogliersi dai destini finali,nel parco, a dispetto di ombre e di caligini,c ’è un grigio edificio dall’interno periato.

Dimentica la neve, i duri attacchi del gelo,qui ti accoglie l’umida antologia dell’aria tropicalee il misterioso fruscio di foglie smisurateavviluppate come pigri serpenti -neppure un egittologo saprebbe decifrarle.

Dimentica la tristezza delle strade anonime e degli stadi, il peso delle domeniche riuscite male.Accogli il respiro caldo che soffia dalle piante.Un profumo lieve di lampi scoloriti ti avvolgerà, ti condurrà laggiù, lontano.

Forse vedrai le vele rugginose di navi all’ancora, isole ricamate di nebbia rosa, torri di templi diroccati; vedrai ciò ch’è perduto, ciò che non c’era,

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ma pure quanti vivono la tua stessa vita.

Vedrai d ’un tratto il mondo sotto una diversa luce, i cancelli di case estranee per un istante si apriranno, i pensieri nascosti diverranno visibili, le feste meno

fastidiose,la gioia altrui sarà più comprensibile, più belli i volti.

Dimentica te stesso, lasciati abbagliare dall’incanto, dimentica tutto e forse tornerà una memoria più profonda e una più profonda fratellanza, e dirai: non so, non so com’è successo - le palme hanno aperto il mio avido cuore.

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PITTORI D’OLANDA

Coppe di stagno gravide e grevi di metallo.Spesse finestre rigonfie di luce.La matericità di nuvole di piombo.Vesti come trapunte. Ostriche stillanti.Gli oggetti sono immortali, ma non servono noi.Gli zoccoli di legno sanno camminare da soli.Le piastrelle del pavimento non si annoiano mai, giocano talvolta a scacchi con la luna.Una brutta ragazza studia una lettera scritta con inchiostro simpatico.Si tratterà d ’amore o di ricchezza?Le tovaglie profumano d ’amido e di moralità.La superficie non si congiunge alla profondità.Il segreto? Non ci sono segreti, vi è soltanto il blu, inquieto e ospitale come un grido di gabbiano.Una donna sbuccia in raccoglimento una mela vermiglia. I bambini sognano la vecchiezza.Qualcuno legge un libro (il libro è letto), qualcuno dorme e si muta in caldo oggetto che respira (come una fisarmonica).Amavano abitare. Abitavano ovunque,

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nello schienale ligneo della sedia e nel filo di latte sottile come lo Stretto di Bering. Le porte erano spalancate, il vento amico, le scope riposavano dopo un lavoro accurato.Le case svelate. La pittura di un paese in cui non c ’era la polizia segreta.Solo sul volto del giovane Rembrandt era apparsa un’ombra prematura. Perché?Dite, pittori d’Olanda, cos’accadrà quando la mela sarà sbucciata, quando si offuscherà il velluto, quando tutti i colori diventeranno freddi?Dite cos’è l’oscurità.

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LA CONCHIGLIA

La notte i monaci cantavano sommessi, e il vento impetuoso sollevava i rami degli abeti come ali.Non ho conosciuto le città antiche, meli sono stato a Tebe oppure a Delfi e non so che dicessero le sibille ai viandanti.La neve ricopriva strade e forre e silenziosamente corvi dai manti cupi seguivano le orme delle volpi.Confidavo nei segnali effimeri, nell’ombra delle rovine, nei serpenti d ’acqua, nelle sorgenti alpine, negli uccelli profetici.I tigli fioriscono come giovani spose, ma i loro frutti sono modesti e aspri.Non nella musica, in quadri stupendi, nelle azioni grandiose, nel coraggio e neanche nell’amore dimora la saggezza, ma soltanto nel tutto,nella terra e nell’aria, nel dolore e nel silenzio. La poesia può trattenere l’eco della burrasca

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come la conchiglia sfiorata da Orfeo in fuga. Il tempo sottrae la vita e ridà la memoria, dorata dalla fiamma, annerita dalla vampa ardente.

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ANNI TRENTA

Anni Trenta Io ancora non ci sono Germoglia l’erbaUna ragazza mangia un gelato alla fragola Qualcuno ascolta Schumann (il folle Schumann, smarrito)Che felicità Io ancora non ci sono Sento tutto.

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I PROFUGHI

Piegati da un pesoche non sempre si vedeavanzano nel fango o nella sabbia del deserto,chini, affamati,

uomini di poche parole dai pesanti caffettani,adatti a tutte le stagioni,donne vecchie dai volti sciupatiche portano qualcosa, un neonato, una lampada- un ricordo - oppure l ’ultimo tozzo di pane.

Può essere la Bosnia, oggi, la Polonia nel settembre ’39, la Francia otto mesi più tardi, la Turingia nel ’45, la Somalia, l’Afghanistan o l’Egitto.C ’è sempre un carro, o almeno un carretto, colmo di tesori (il piumino, la tazza d ’argento e il profumo di casa che presto svanisce), un’auto senza benzina abbandonata nel fosso, un cavallo (che sarà tradito), la neve, molta neve, troppa neve, troppo sole, troppa pioggia,

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e quel caratteristico curvarsi,come verso un altro pianeta, migliore,con generali meno ambiziosi,meno cannoni, meno neve, meno vento,meno Storia (purtroppo un simile pianetanon esiste, resta solo il curvarsi).

Trascinando i piedi, vanno lentamente, molto lentamente, verso il paese da nessuna parte, verso la città nessuno, sul fiume mai.

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LETTERA DA UN LETTORE

Troppo sulla morte, sulle ombre.Scrivi della vita,di una giornata normale,del desiderio di armonia.

Il campanello della scuola può essere modello di moderazione, persino di erudizione.

Troppo sulla morte, un eccesso di nero incanto.

Guarda,popoli ammassati in stadi stretti cantano inni d ’odio.

C ’è troppa musica,troppo poca concordia, pace,saggezza.

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Scrivi degli attimi in cui le passerelle dell’amicizia paiono più durature della disperazione.

Scrivi dell’amore, delle lunghe serate, delle albe, degli alberi, dell’infinita pazienza della luce.

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PERM.

Sotto le stelle di un altro cielo ero sdraiato sull’erba nera a mezzanotte.La mezzanotte respirava lenta, pigramente,e io pensavo a te, a noi,agli attimi lucenti e affilati,estratti dall’immaginazione comeuna spina estratta dal piede magro di un atleta.Un giorno il mare divenne cupo,minaccioso, le orchidee della tempesta correvanosull’acqua increspata.Poteva anche essere l’infanzia, il paese dell’estasi lieve e dell’eterno desiderio, papaveri rossi tra le labbra del pomeriggio e i campanili delle chiese attenti come colibrì.Per la via camminavano i soldati, ma la guerra era già terminata e i fucili fiorivano.Certi giorni il silenzio era così ardenteche avevamo paura di muoverci. La volpe correva per il

campo.Gustavamo il sapore delle foglie, il sapore della luce che accecava gli innocenti.

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Ma nell’aria c’era un sapore amaro, l’amaro dei garofani, della cannella, della polvere e delle ghiande, dell’inverno e della prima settimana d ’autunno. L ’amaro del sangue non versato.Ci fermammo a lungo sul viadotto sopra i binari e forse sotto di noi passò un treno; nei suoi finestrini senza fine si rispecchiava un solo, asciutto sole.Questo è il riso, dicesti, questo è il ferro, il sale, la sabbia, il vetro.

E il futuro,il tessuto del tuo abito, la vita che condividiamo come un pasto durante il viaggio.

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QUESTA È LA SICILIA

Navigavamo nella notte lungo le ombrose, misteriose coste - le grandi foglie dei promontori fluttuavano lontano, pigre come i sogni di un gigante.Le onde si frangevano sul legno della barca, baciava le vele un vento caldo, le stelle alla rinfusa cercavano di narrare la storia del mondo.Questa è la Sicilia, sussurrò qualcuno, la Trinacria, il respiro della civetta, il sudario dei morti.

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SIETE I MIEI FRATELLI SILENZIOSI

Siete i miei fratelli silenziosi,0 morti.Mai vi dimenticherò.

In vecchie lettere trovo tracce della vostra scrittura che s’inerpica in cima al fogliocome la chiocciola sul muro di un ospedale psichiatrico.

1 vostri indirizzi e i telefoni bivaccano ancora nella mia agenda, aspettano, sonnecchiano.Ieri ero a Parigi, ho visto centinaia di turisti stanchi e intirizziti. Sono simili a voi,ho pensato, non si danno pace, girano inquieti.

Eppure vivere sembra talmente facile.Bastano un pugno di terra, una nave, un nido, una

prigione,un po’ di respiro, qualche goccia di sangue, e la nostalgia.

Siete i miei maestri, o morti.Non dimenticatemi.

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LA FANCIULLA DI VERMEER

La fanciulla di Vermeer, ora famosa, mi guarda. La perla mi guarda.La fanciulla di Vermeer ha labbra rosse, umide, lucenti.

Fanciulla di Vermeer, perla, turbante azzurro: tu sei luce, e io sono fatto d ’ombra.La luce guarda l’ombra dall’alto, con indulgenza, forse con rimpianto.

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LA TERRA DEL FUOCO

Tu, che di notte vedi le nostre case e le esili pareti delle nostre coscienze, tu, che senti come ronzanole macchine da cucire delle nostre conversazioni - salvami, strappami dal sonno, dall’amnesia.

Perché l’infanzia - oh, tesori della carta stagnola, oh, fruscio del piombo, bello e nefasto, rimane l’unica sorgente, l’unica nostalgia? Perché l’età adulta, che sostituisce la maturità, è una strada senza fine, gialla come il Sahara?

Eppure sai che capitano giorniin cui persino l’anelito inaridiscee si induriscono le labbra della preghiera.

Talvolta si fa opaca la moneta del sole e la vita rimpicciolisce tanto da potersi infilare

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nei guanti azzurri di una zingarache predice il passatofino alla settima generazione

e allora anche nella piccola cittadina del Sud un certo impostore decide di annientare te e me e se stesso.

Tu, che vedi il bianco dei nostri occhi, tu che ti celi tra i sorbi come un ciuffolotto e nelle calde calze delle nuvole come un falco- apri gli scrigni pieni di canto, apri il sangue che pulsa nell’aorta degli animali e delle pietre, accendi i lampioni nei giardini bui.

Senza nome, invisibile, silente,salvami dall’analgesia,portami nella Terra del fuoco,portami là dove i fiumiscorrono in verticale, in verticale scorronoi fiumi orizzontali.

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AUTORITRATTO

Tra computer, matita e macchina da scrivere passa metà della mia giornata. Col tempo farà mezzo secolo. Abito in città straniere e talvolta parlo con sconosciuti di cose indifferenti.Ascolto molta musica: Bach, Mahler, Sostakovic, Chopin. Vi trovo tre elementi, forza, debolezza, dolore.Il quarto non ha nome.Leggo i poeti, i vivi e i morti, da loro apprendocostanza, fede e orgoglio. Cerco di capirei grandi filosofi - ma di solito riescoad afferrare solo brandelli dei loro preziosi pensieri.Amo fare lunghe passeggiate per le strade di Parigie guardare i miei simili, animati dalla gelosia,dalla brama o dall’ira, osservare la moneta d ’argentoche passa di mano in mano e lentamente perdela sua forma rotonda (si usura il profilo dell’imperatore).Accanto crescono gli alberi, e nulla esprimono,a parte la verde, indifferente perfezione.Sui campi volteggiano uccelli neriche attendono pazienti come vedove spagnole.Non sono più giovane, ma c’è ancora chi è più vecchio

dime.

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Amo il sonno profondo, quando non ci sono,la corsa veloce in bicicletta per la campagna, quando i

pioppie le case si dissolvono come cumuli in un cielo sereno. Talvolta mi parlano i quadri nei musei e allora l’ironia svanisce all’improvviso.Adoro osservare il volto di mia moglie.Ogni domenica telefono a mio padre.Ogni due settimane incontro gli amici, in questo modo restiamo fedeli gli uni agli altri.Il mio paese si è liberato da un male. Vorrei che a ciò seguisse ancora un’altra liberazione.Potrei in ciò essere d ’aiuto? Non so.Non sono un vero figlio del mare, come scrisse di sé Antonio Machado, ma figlio dell’aria, della menta e del violoncello e non tutte le strade del mondo alto incrociano i sentieri della vita che, per ora, mi appartiene.

Giugno 1995

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L ’ATTIMO

Un attimo di chiarezza dura così poco L ’oscurità resta più a lungo. Vi sono più oceani che terraferma. Più ombra che forma.

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ELEGIA

Era un paesaggio grigio, case basse come cavallini tatari o edifìci di cemento, enormi, nate morte; molte uniformi, pioggia, fiumi lenti che non sapevano dove scorrere, polvere, divinità sovietiche dalle palpebre gonfie, l ’odore acido della benzina, l ’odore dolce della noia, treni sporchi, le rosse palpebre dell’alba.

Era un paesaggio piccolo, inverni senza fine, nei quali, come nelle chiome dei vecchi tigli, abitavano i passeri e i coltelli, l’amicizia e i virgulti del tradimento; gli archi delle vie nei villaggi, i prati stretti, nel parco su una panchina c ’era chi suonava svogliato la

fisarmonicae per un attimo si poteva respirare un’aria più leggera della stanchezza.

Era una sala d ’attesa dalle pareti marroni, un tribunale, una clinica; un locale dove i tavoli si incurvavano sotto il peso degli atti e i posacenere erano colmi.Era il silenzio o megafoni pieni di rabbia.

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Era una sala d ’attesa in cui dovevi aspettare tutta la vita per nascere.

I nostri amori frettolosi, che duravano a lungo,le nostri grandi risate, le ironie, i trionfiforse vanno ancora svanendo in qualche commissariatoai confini della mappa, ai limiti dell’immaginazione.Sono le voci dei morti, sono i capelli dei morti.Erano i cronometri dei nostri desideri, era un tempo pieno di vuoto.

Era un paesaggio nero, azzurri solo i monti e l ’arcobaleno obliquo. Senza promesse o speranze, ma vivevamo lì e non eravamo stranieri.Era la vita a noi concessa.Era la pazienza pallida come un ghiacciaio.Era l’angoscia, piena di colpa. Era il coraggiopieno di inquietudine. Era l’inquietudine piena di forza.

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IL VIOLONCELLO

Dicono i detrattori: è solo un violino che, mutata la voce, è stato espulso dal coro.Non è così.Il violoncello ha molti segreti, ma non piange mai, canta solo a voce bassa.Non tutto però si muta in canto. Talvolta si può udire un sussurro o un fruscio: sono solo,non posso prender sonno.

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SCRIVEVA AL BUIO

A Ryszard Krynicki

Quand’era a StoccolmaNelly Sachs lavoravadi notte a luce spentaper non svegliare la madre malata

Scriveva al buio.La disperazione le dettava parole pesanti come la scia di una cometa.

Scriveva al buio,in un silenzio rotto soltantodai sospiri del pendolo.

Persino le lettere erano assonnate, la loro testa ricadeva sul foglio.

E il buio scrivevareggendo in mano quella donnaattempata come una penna stilografica.

La notte poi si impietosiva, sulla città cresceva la grigia prigione dell’alba, l’aurora dalle dita rosate.

Quando si addormentava, si svegliavano i merli e non vi erano pause nella tristezza e nel canto.

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L ’AEROPORTO DI AMSTERDAM

AUa memoria di mia madre

La rosa di dicembre, desiderio angusto in un giardino buio e vuoto, ruggine sugli alberi e fumo spesso come se bruciasse un’altrui solitudine.

Ieri, passeggiando, pensavo un’altra volta all’aeroporto di Amsterdam - ai corridoi senza abitazioni, alle sale d ’attesa piene di sogni altrui che l’infelicità ha macchiato.

Gli aerei urtavano il cemento quasi con rabbia, sparvieri famelici privati della preda.

Forse il tuo funerale avrebbe potuto essere qui - molta disattenzione, folle in fuga, un buon luogo per l’assenza.

I morti andrebbero vegliatisotto la grande tenda dell’aeroporto.Eravamo nomadi di nuovo,

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andavi verso occidente con un vestito estivo, sorpresa dalla guerra e dal tempo, dalla muffa delle rovine e dallo specchio in cui si rifletteva una piccola vita stanca.

Rilucevano nell’oscurità le cose ultime, l’orizzonte, il coltello e ogni sorgere del sole.Ti dicevo addio all’aeroporto, nella valle febbrile, là, dove sono in vendita le lacrime.

La rosa di dicembre, la dolce arancia: senza di te non ci saranno feste di Natale.

Foglie di menta per lenire l’emicrania...Eri sempre tu che al ristorante studiavi più a lungo la carta del menu...Nella nostra ascetica famigliaeri maestra di espressione,ma sei morta con tale discrezione...Un vecchio prete storpierà il tuo cognome.Il treno si fermerà nel bosco.All’alba la neve cadrà fìtta sull’aeroporto di Amsterdam.

Dove sei?Là, dove è sepolta la memoria.Là, dove cresce la memoria.Là, dove sono sepolte la rosa, l’arancia e la neve. Là, dove cresce la cenere.

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LA NOTTE

Poiché sei solo morto, senza dubbio ci ritroveremo.Avrai sempre nove anni,come quando ti vidi 1’ultìma volta,su in montagna.Era agosto, un tardo pomeriggio maturo e così diafano che le foglie dei ciliegi erano immobili e i fili d ’erba silenziosi.Le more già nere si scioglievano in bocca. Nel loro dolce succo si celava il ricordo della primavera e dell’estate.Di tempeste, di albe e del volo dell’allodola. Correvi davanti a noi ridendo e sapevi che dietro ti seguiva la nostra tenerezza, leggera come il respiro dei dormienti.D’un tratto sparisti tra le piante, nell’ombra degli abeti. Era già sera e freddo, all’ombra verde degli abeti.E noi ancora illuminati dai raggi del sole che calava chiedevamo

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dov’eri, senza angoscia. Così vicini,separati soltanto dai fischi degli uccelli assonnatie dalle tende dei rami intrecciati.La notte saliva, lentamente.Passando per tunnel e corridoi, la notte attraversava il giorno.

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LA STANZA

A Derek Walcott

La stanza in cui lavoro è un esaedro che assomiglia a un dado da gioco.Là dentro un tavolo di legno dal duro profilo contadino, una pigra poltrona e una teiera dal labbro absburgico sporgente.Alla finestra vedo qualche albero stentato, esili nuvole e bimbi dell’asilo, vocianti, sempre allegri.A volte in lontananza scintilla un parabrezza o, più in alto, la squama argentea di un aereo.E evidente, gli altri non perdono tempo mentre io lavoro, cercano avventure sulla terra o nell’aria.La stanza in cui lavoro è una camera oscura.Ma cos’è il mio lavoro -lunghe attese, immobile,pagine sfogliate, riflessione paziente,una passività poco graditaa un giudice dal cupido sguardo.Scrivo lentamente, come se potessi vivere duecent’anni.

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Cerco immagini che non ci sono, e se ci sono, sono ripiegate e riposte come gli abiti estivi durante l’inverno, quando il gelo screpola le labbra.Sogno la concentrazione totale; se la trovassi certamente smetterei di respirare.Forse è bene che non riesca a fare molto. Eppure sento il sibilare della prima neve, la delicata melodia della luce del giorno e il cupo brontolio della metropoli.Bevo da una piccola fonte,la mia sete è più grande dell’oceano.

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LA CITTA IN CUI VORREI ABITARE

È una città silenziosa al crepuscolo, quando pallide stelle riprendono i sensi, e a mezzogiorno sonora per le voci di ambiziosi filosofi e mercanti che hanno portato velluti dall’Oriente. Vi ardono i fuochi delle conversazioni non certo i roghi.Le vecchie chiese, le pietre muscose di antiche preghiere sono la sua zavorra e il suo razzo diretto verso il cosmo.E una città imparzialeche non condanna gli stranieri,una città che rapida ricordae lentamente scorda,che tollera i poeti e perdona ai profetila mancanza di humour.E una città erettain base ai preludi di Chopin,da cui ha preso solo la gioia e la tristezza.Un largo anello di collinela circonda; vi crescono

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i frassini campestri e il pioppo slanciatoche è il giudice del popolo degli alberi.Un fiume vivace che vi scorre in mezzonotte e giorno sussurrasaluti incomprensibilidelle sorgenti, delle montagne, del cielo.

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PERSEFONE

Di nuovo Persefone scende sottoterra, con l’abito estivo e i grandi occhi di bambina ebrea.

Volteggiano aquiloni, foglie gialle, pulviscolo autunnale, un bianco aeroplano, ali nere di cornacchia.Lungo il sentiero qualcuno corre con una lettera tardiva.

Lei avrà freddo sottoterracon i sandali di sughero, e i capellinon la proteggeranno dal vento cieco, dall’oblio.

Scampanellano allegri i tram azzurri, i passanti si affrettano al cinema, al lavoro, all’incontro di calcio,

ma lei scompare già nell’ombra dei castagni e solo il nastro della sua treccia ancora splende del roseo riflesso della rassegnazione.

Di nuovo Persefone scende sottoterra, di nuovo la stessa pellicola dell’indifferenza serra il mio minuscolo cuore d ’uccello.

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TRE ANGELI

D’improvviso apparvero tre angeli alla gente proprio accanto al panifìcio di via San Giorgio; uffa, di nuovo un questionario sociologico, sbuffò un signore annoiato.No, spiegò paziente il primo angelo,vogliamo solo sapereche ne è stato della vostra vita,che sapore hanno i giorni e perché le nottisono segnate da inquietudine e angoscia.

Oh sì, l ’angoscia, rispose una bella donna dallo sguardo sognante; ma io lo so perché.Le imprese della mente umana oggi sono fragili,paiono aver bisogno di aiuto, di sostegno,senza trovarlo. La prego, caro signore- disse « signore » a un angelo! -,guardi ad esempio Wittgenstein. I nostri saggi,le nostre guide sono tristi e follie forse sanno anche meno di noi,persone usuali (ma lei non erausuale).

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E pure, disse un ragazzetto che studiava il violino, le sere sono solo una custodia vuota, una scatola priva di segreti, verso il mattino invece il cosmo sembra estraneo e arido come lo schermo del televisore.I treni vanno avanti senza vita, monotoni, e nel battito delle loro ruote non si ode l ’esametro. E inoltre sono pochi quelli che amerebbero la musica in se stessa.

Anche altri presero la parola, e le loro lagnanze crescenti composero una possente sonata dell’ira.

Signori, se volete conoscere la verità- gridò uno studente alto che avevaperso da poco la madre - ne abbiamo abbastanzadi morte e crudeltà, malattie, persecuzionie lunghi periodi di una noia immobilecome l’occhio di un serpente.Abbiamo troppo poca terra, e troppo fuoco. Non sappiamo chi siamo.Vaghiamo nel bosco e stelle neretrascorrono pigre su di noi,come se fossero solo un nostro sogno.

Eppure, disse timidamente un altro angelo, c’è sempre un po ’ di gioia e persino il bello si trova accanto a noi, sotto la corteccia di ogni ora, nel cuore silente del raccoglimento, e in ognuno di voi si cela l’uomo universale, forte, invincibile.I fiori della rosa selvatica trattengono il profumo dell’infanzia, nei giorni di festa le ragazze vanno a passeggio come un tempo, e nel modo in cui legano gli scialli colorati c ’è un che di immortale.

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La memoria vive nel mare, nel pulsare del sangue, nelle scure pietre bruciate, nei versi e in ogni quieta conversazione.Il mondo è lo stesso di sempre, pieno di ombre e di attese.

Avrebbe forse parlato ancora, ma la folla crescevasempre più ed echeggiavanoi mormorii di sorda rabbia,finché i messi lievi si alzaronoin volo e allontanandosiripetevano miti: pace a voi, paceai vivi e ai morti e ai non nati.Solo il terzo angelo non profferì parola, poiché era l’angelo del lungo silenzio.

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DALLA MEMORIA

Dalla memoria sale una stretta via- sia la laringe di questa poesia -e un plumbeo, denso fumo sulla fabbrica di coke,vulcano che eruttava in cielole scintille, restituendo il debito alle stelle.

La mia via: due zitelle orgogliose dalle labbra sottili - sopravvissute a Stalin e alla Siberia; un attor giovane, avido di fama, e il professor G. che aveva perso un braccio nell’Insurrezione, la manica vuota simile a una vela.

Ancora nulla so, nulla è successo, eccetto la guerra e gli ebrei sterminati.D’inverno la neve grigia se ne sta sui tetti come un vigile indiano e paventa la primavera.Ed ecco le vacanze, un’arancia sbucciata.

Un prete goloso trangugia il Vangeloin una chiesa neogotica vermiglia;oh cuore dei cuori, Cristo ha una ferita al petto.

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Per fortuna ci sono i bignè dopo la messa e sì dimentica la tortura latina.

Nelle caserme si addestrano le reclute, uno dei miei amici suona la tromba come Miles Davis, se non meglio.Le ragazze escono sul corso in ampie gonne inamidate.

Questa terra deforme, squarciata da piattifiumi neri, piena di cicatricicome la guancia di uno studente tedesco,di giorno taceva, ma di notteintonava canzoni in entrambe le lingue.

E noi pure vivevamo dentro due idiomi, nel gergo stretto delEordinario, dell’invidia, e nella lingua di un grandioso sogno.A mezzogiorno, mite si apriva l’occhio delle nuvole, occhio di lacrime e di luce.

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SULNUOTO

I fiumi di questo paese sono dolci come il canto dei trovatori, un sole pesante si sposta a occidente sui carri gialli di un circo.Nelle piccole chiese di campagna si svela il tessuto di un silenzio così sottile e antico che può lacerarlo perfino il respiro.Amo nuotare nel mare che di continuosi narra qualche cosacon la voce monotona del viandanteche ormai non ricorda piùda quanto tempo è in viaggio.Nuotare è come una preghiera: le mani si uniscono e si separano, si uniscono e si separano, quasi senza fine.

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SUORE DI CARITÀ

A mio padre

Era l ’infanzia, che non torna più - le more così nere da fare invidia alla notte; lungo l ’esile fiume c’erano pioppi snelli come suore di carità e non temevano gli estranei.Dal balcone vedevo la breve via e due alberi, ma ero anche l’imperatore che ascolta estasiato come echeggiano le infinite divisioni dei suoi eserciti e frusciano al vento i vessilli conquistati ai turchi.

Mi piaceva il sapore dell’erba sminuzzata fra i denti, le foglie amare dell’acero, e sulle labbra l ’aspra dolcezza della prima fragola di giugno.La domenica mattina mamma faceva il caffè vero e in chiesa il vecchio prete esortava all’umiltà.Alla vista dei poveri mi si stringeva il cuore.Paesi gialli e azzurri abitavano badante; i grandi Stati inghiottivano i piccoli, ma sui francobolli

si vedevano solo aquile immobili, zebre, giraffe e piccole cince dalla grazia non detta.Sugli scaffali impolverati di un negozietto buio

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si accumulavano barattoli di caramelle appiccicose da cui poi spuntavano fuori farfalle scarlatte.Fui uno scout e conobbi la solitudinenel bosco, quando scende il crepuscolo, piange il gufoe crepitano inquietanti i rami delle querce.

Ho letto romanzi cavallereschi, fiabe russe e la trilogia interminabile di Henryk Sienkiewicz.Mio padre mi aveva costruito un mulino in miniatura che girava veloce nel ruscello montano.La mia bicicletta superava la locomotiva ansimante, l ’afa d ’agosto squagliava come gelato la città grigia.Le more così nere... Le foglie amare dell’acero...Era l’infanzia, sangue e giorni di festa.

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HOUSTON, SEI DEL POMERIGGIO

L ’Europa dorme già sotto la ruvida coltre dei confini e degli odi antichi: la Francia stretta alla Germania, la Bosnia tra le braccia della Serbia, la Sicilia solitaria nel mare turchino.

È quasi sera qui, la lampada è accesa e presto si spegnerà il sole oscuro.Sono solo, ora leggo, ora rifletto, ora ascolto un poco di musica.

Sono là dov’è l’amicizia, ma non gli amici, dove cresce l’incanto, ma senza incantesimi, là dove ridono i morti.

Sono solo perché l’Europa dorme. La mia amata dorme in una casa alta nei pressi di Parigi.A Cracovia e a Parigi i miei amici guadano lo stesso fiume dell’oblio.

Leggo e rifletto; in una poesia ho trovato: Accadono disgrazie così terrìbili...

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-Non chiedere! Non chiedo. Nel silenzio della sera irrompe un elicottero della polizia.

La poesia chiama a una vita più alta - ma ciò che è basso ha la sua eloquenza —, più sonora della lingua indoeuropea, più forte dei miei libri e dei miei dischi.

Non ci sono usignoli o merli dalla dolce, triste cantilena, solo il tordo beffeggiatore che imita e fa il verso a tutte le altre voci.

La poesia chiama alla vita, al coraggio di fronte all’ombra che si espande.Sai guardare con calma la Terra - come un ideale cosmonauta?

Dall’indolenza innocente, dalla Grecia dei libri e dalla Gerusalemme del ricordo d ’un tratto emerge l’isola della poesia, disabitata, che un novello Cook un giorno scoprirà.

L ’Europa dorme già. Gli animali notturni,rapaci e malinconici,vanno a caccia, muovono alla morte.Tra poco anche l’America si addormenterà.

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SENZA FLASH

«Senza flash!»(divieto udito spesso nei musei italiani)

Senza fiamma, senza notti insonni, senza ardore, senza lacrime, senza grande passione, senza convinzione,

così vivremo; senza flash.

Calmi e misurati, docili e assonnati, le mani macchiate dall’inchiostro nero dei quotidiani,

i volti unti di crema; senza flash.

Turisti sorridenti in camicie impeccabili Herr Lange e Miss Fee, Monsieur et Madame Rien

entreranno nel museo; senza flash.

Indugeranno davanti a Piero della Francesca, al Cristo che, quasi folle, si leva dal sepolcro,

libero, risorto; senza flash.

E allora accadrà forse qualcosa d ’imprevisto: sussulterà il cuore, nascosto sotto il cotone ben stirato,

calerà il silenzio, lampeggerà il flash.

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HOW HIGH THE MOON

Ovviamente c’erano gite familiari in estate, picnic lungo il canale nero

(un tempo detto di Adolf H ider), in cui ancora vivevano i granchi; sulle rive esili pini nani.

A volte - raramente - chiatte cariche di carbone, simili ai colori di un pittore dilettante, scivolavano verso occidente.

Come una diva dell’opera, l ’afa si cambiava d ’abito: era turchina, rosata, vermiglia, e infine bianca, trasparente.

Ci guidava mio zio che tanto amava la vita (non corrisposto).

Se qualcuno mi avesse detto allora che quella era l’infanzia non gli avrei creduto;

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erano solo ore e giorni,ore infinite,dolci giorni di giugno

sulle rive del canale che mai aveva fretta, immerso in umidi sogni,

e una giovane, timida luna che solitaria muoveva alla conquista della notte.

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LA SEPARAZIONE

Quasi con invidia leggo le opere dei miei contemporanei su divorzi, addii, il dolore delle separazioni; sofferenza, nuovi inizi, piccole morti; lettere lette e bruciate, bruciare e leggere, fuoco e cultura, ira e disperazione - magnifica materia per una poesia

riuscita;un duro giudizio, a volte una risata sarcastica di

superiorità morale, e insieme definitivo trionfo della continuità individuale.

E noi? Non ci saranno elegie, né sonetti sulla separazione, non ci dividerà lo schermo dei versi, non si porrà fra noi una metafora riuscita, l’unica separazione che ora ci minaccia è il sonno, il profondo antro del sonno la cui soglia varchiamo

separati,- e devo sempre ricordare che la tua mimo, stretta nella mia, è fatta di sogni.

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IL RE

In memoria di Józef Czapski

Era già molto vecchio. Ma la mente era possente. Diceva di ima conoscente (come lui non più giovane) : E una famosa bellezza di Pietroburgo: osservane il volto. Dipingeva ancora. Viveva. Scriveva. E pensava.

Aveva conosciuto l ’Achmatova, conversato conDe Gaulle,

attirato anche l’attenzione di Malraux.Gide l’aveva deluso (troppo parigino).Aiutava i poveretti, nonostante fosse un conte povero.

Era così alto (e buono), come se la natura, fiera di sé - lo avesse messo in mostra.Mary McCarthy una volta lo aveva notato tra la folla di un museo, e scrisse: ecco un giusto.

Lo appassionava il bello. Ma il brutto, il dolore, erano ancor più presenti nelle sue parole - anche se, pare, ne avesse scarsa conoscenza (ma possiamo davvero esserne certi?).

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Cos’è l ’istante in cui si manifesta l ’essere divino?Come possiamo saperlo, parlandone al passato o al futuro? (con speranza! ).Ne parliamo, e siamo già in un altro regno,

come se il treno selvaggio che ci porta non volesse fermarsi in una piccola stazione quieta, chiamata Bello, un luogo che gli pare troppo insignificante.

Del brutto invece possiamo discettarea iosa, e sul dolore scriveremo ancorapiù di un tomo; il nostro treno rapido scorgendolisi muterà in un tram, umile tartaruga.

Morì lentamente, e con pazienza; forse coloro che reggono la terra giocando a scacchi erano in dubbio se rovesciare quella meravigliosa figura verticale, un re, in una linea orizzontale, la scrittura.

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F

SOLO BAMBINI

A Ew unia

Erano solo bambini che giocavano nella sabbia(teneva loro compagnia il profumo ipnoticodei tigli in fiore, non lo scordare),solo bambini, eppureil diavolo e le divinità minorie persino i politici dimenticatiche avevano infranto tutte le promesse,erano lì anche loro e li guardavanocon ammirazione infinita.Chi non vorrebbe essere un bambino - per l’ultima volta!

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LUNGHI POMERIGGI

Erano lunghi i pomeriggi quando la poesia miabbandonava.

Paziente scorreva il fiume, sospingendo pigre barcheverso il mare.

Erano lunghi i pomeriggi, una costa d ’avorio.Le ombre distese sulle strade, nelle vetrine orgogliosi

manichiniche mi guardavano con piglio risoluto, di sfida.

I professori uscivano dai licei, i volti vuoti, come se Omero li avesse sconfitti, umiliati, uccisi.I giornali della sera portavano notizie inquietanti, ma non cambiava nulla, nessuno si affrettava.Nessuno alle finestre, tu non c ’eri,anche le suore parevano vergognarsi deliavita.

Erano lunghi i pomeriggi quando la poesia svaniva e restavo solo con l ’opaco moloch della città come un povero viaggiatore davanti alla Gare du Nord con una valigia troppo pesante, legata con la corda, sotto una pioggia nera, la nera pioggia di settembre.

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Oh, dimmi, come guarire dall’ironia, dallo sguardo che vede senza penetrare; dimmi come guarire dal mio silenzio.

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LA MORTE DI UN PIANISTA

Mentre gli altri facevano guerre o negoziavano la pace, oppure giacevano in scomodi letti di ospedale o su qualche campo, lui per giorni interi

eseguiva le sonate di Beethoven, e le sue magre dita, come quelle di un avaro, toccavano grandi ricchezze che non erano sue.

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MATTINA A VICENZA

In memoria di Io sif tìrodskij e Krzysztof Kieslowski

Il sole era così fragile, così giovane, che un po ’ temevamo per lui; un gesto distratto poteva scalfirlo, persino un grido - se qualcuno avesse gridato - poteva minacciarlo; solo alle rondini in volo dalle ali temprate, come fuse in uno stampo di ghisa, era concesso stridere forte, poiché la loro infanzia era stata breve, colma d ’affanno, in nidi d ’argilla, insieme ai fratelli, minuscoli, folli pianeti, neri come more silvestri.

Nel piccolo caffè un cameriere assonnato - sotto i suoiocchi

confluivano le ultime ombre della notte - cercavaspiccioli

in una tasca fonda, e il caffè profumava solenne d ’inchiostro di stampa, di dolcezza, d ’Arabia. Nel cielo

turchinola promessa di un lungo meriggio, di un giorno infinito. Ti guardavo come se fosse la prima volta.Persino le colonne del Palladioparevano sorte in quell’istante, emerse dalle onde

dell’albacome Venere', la tua sorella maggiore.

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Iniziare di nuovo, contare le perdite, contare i caduti, iniziare un nuovo giorno, anche se non ci siete più, tu, che due volte abbiamo seppellito e pianto - hai vissuto due volte più degli altri, in due continenti, in due lingue, nella realtà e nella fantasia-, e tu, dal viso

affilato,e dallo sguardo che ingrandiva oggetti e cuori (sempre

troppo minuscoli).Non ci siete e per questo noi ora condurremo una

duplice vita,nella luce come nell’ombra, nell’abbagliante sole del

giornoe nel freddo dei corridoi di pietra, nel lutto e nella gioia.

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PIENA ESTATE

In estate, su un fiume di montagna, dove profuma ilsalice delicato

e farfalle purpuree, onuste di bellezza, la vanessa e ilmacaone,

compiono il loro ultimo volo sull’acqua lucente, sull’ontano lucente e sul mondo lucente; quando l’aria è così colma di olio essenziale che puoi versarla nei bicchieri sentendo sotto le dita il suo convesso

menisco,in agosto, quando arde la resina al di là dei ramoscelli

dei pini e le pignecrepitano come se fossero già lambite dalle lingue del

fuoco eterno,e il mare proprio azzurro si culla in basso dolcemente come un vincitore, come un sovrano che ha sconfitto i

persiani e tuttii suoi yacht gli si inchinano lievi a ogni moto dell’onda, e i nuotatori immersi in un diafano lenzuolo con infinita lentezza si spostano lungo linee invisibili, lungo i bianchi fili che legano ogni sostanza, e s’ode il mormorio grandioso delle creature infine

appagate,

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quando pare che persino gli insetti debbano avere ilproprio Dioniso,

in agosto, quando all’improvviso tace il fragoredell’Europa

si fermano le fabbriche, e i turisti ridono rumorosi sulle spiagge del Mar Ligure, basta avanzare di pochi

passi,andare dietro le quinte - e là, nella penombra di un fitto

bosco, si celano forsele ombre di coloro che vissero poco, nell’angoscia e

disperati, ombredei nostri fratelli, delle nostre sorelle, le ombre di Kolyma

e di Ravensbrùck,poveri angeli di una nera redenzione, e avidi ci guardano.

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OPERA POSTUMA

Il treno si fermò tra i campi; il silenzio improvviso risvegliò persino gli indefessi fautori del sonno.Luci lontane di magazzini o fabbriche mandavano bagliori nella nebbia come occhi gialli di

lupi.Uomini d ’affari in viaggio sudavano al computer calcolando profitti e perdite del giorno trascorso.La hostess portava un caffè colmo di amarezza.Ewig, ewig, l’ultima parola del Canto della terra, così spesso ripetuta; ricordi, ascoltavamo insieme la musica e la promessa in cui allora volevamo credere tanto.

Non so se fossimo ancora in Olanda, o forse già in Belgio. Che differenza fa.Era una sera di primo inverno e la terra si era nascosta sotto spessi nastri di crepuscolo; si poteva indovinare la presenza dell’acqua nera del canale, immobile, priva della gioia dei torrenti montani e del grande stupore dei nostri oceani.Gli occhi gialli dei lupi tremavano di una nervosa

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luce al neon, ma nessuno temeva un attacco d ’indiani.Il treno si era fermato nel momento in cuila ragione non dorme, ma dorme l’anima, la sua nobile

sete.

Un’altra volta ascoltavamo il quintetto postumo di Schubert, in cui la disperazione si dichiara più volte, appassionata, quasi invadente, rinnovando il suo attacco all’indifferenza dell’elegante sala da concerti, delle signore impellicciate e dei recensori, piccoli inviati di grandi testate.Tempo fa, mentre passeggiavamo a mezzanotte, in

campagna,d ’estate, ci fermò un suono inconsueto: lo sbuffare e il

nitriredi cavalli invisibili al pascolo. Era come se la notte ridesse, per se stessa, felice.Cos’è la poesia, se così poco è quello che vediamo?

Cosa può essere la salvezza, se nulla ci minaccia?Un quintetto postumo! Solo la musica cresce ancora dopo la morte, la musica e le chiome degli alberi, Se i fiumi ci dessero il miele e il latte dell’mcanto, se le danzatrici ricominciassero a danzare folli...Eppure non siamo soli. Una chitarra antiquata un giorno inizierà a cantare, solamente per sé.E il treno ripartirà infine, la terra ondeggerà sotto il suo peso maestoso e lentamente comincerà ad avvicinarsi Parigi, con la sua aura dorata, con il suo grigio dubitare.

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LA FIAMMA

Signore Iddio, dacci un lungo inverno, una musica sommessa, labbra pazienti, e un po ’ d ’orgoglio - prima che finisca il nostro tempo.Dacci la meraviglia e una fiamma, alta, chiara.

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VEDERE

Mia città muta, città ambrata e d ’oro,sepolta in forre dove i lupi correvanoin silenzio lungo un freddo meridiano;se ti dovessi raccontare, cittàassopita sotto un cumulo di foglie morte,se dovessi descrivere la pelle dell’oceanosu cui le navi tracciano lunghe scie di versi luminosie gli yacht come pavoni ostentano le loro alte vele,e il Mediterraneo, assorto in un rapimento salino,e le città dalle torri aguzze che brillanonel sole intenso del mattino,e la forza selvaggia degli aerei che forano le nubi,l’eterno disprezzo dei burocrati per noi, gente comune,le viuzze dell’Umbria, cisternain cui è fermo il vecchio tempo che sa di vino dolce,e una certa collina dove crescel’albero più quieto;Parigi grigia, attraversata dal fiume del perdono, Cracovia di domenica, quando persino le foglie dei

castagnipaiono stirate da un ferro invisibile,

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i vigneti in cui fanno incursioni l’avido autunno e le autostrade piene di sgomento; se dovessi descrivere la solennità della notte in cui ciò avvenne,e il fragore del treno che avanzava verso il nulla, e il barbaglio della lama d ’acciaio su una pista

di ghiaccio improvvisata; scrivo viaggiando - perché volevo vedere, e non solo sapere - vedere chiaramente incendi e scorci di quell’unico mondo, e tu, città immobile, pietrificata, i miei fratelli nella piatta sabbia; su voi la terra continua a ruotare e avanzano le legioni romane, la volpe artica tende l’orecchio al vento nel deserto bianco dove i suoni svaniscono.

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FORESTERIA PER STUDIOSI

Nella foresteria per studiosi in visita- sullo scaffale qualche romanzo uggioso in una lingua che non è quella dei tuoi, un Buddha sonnolento,e un televisore muto, una padella graffiata in cui di sabato sera hanno colto più d ’una melanconica frittata,

e un bollitore opaco che fischia in qualsiasi idioma- cerchi di sistemarti, persino di pensare.Leggi Meister Eckhart sulla distanza (Abgeschiedenhdt ), i versi di un inglese innamorato della Francia, la prosa di un francese che ammira l ’Inghilterra;

e solo dopo giorni di eroici tentativi per ambientarti in queste stanze asettiche per le quali passò l’élite umana acculturata, scopri quasi stupitoche nessuno abita qui; non c’è vita sulla terra.

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ADDIO A ZBIGNIEW HERBERT

All’inizio c’erano solo i ciliegi e il buffo volodei pipistrelli, il pomo della luna, la civetta sonnolenta,il sapore dell’acqua fresca durante le gite scolastiche.Le torri della città come parole d ’amore.Più tardi, molto più tardi, la polvere dorata di Provenza, i fichi nelle vigne, la lezione della bianca Grecia, i musei di provincia, Piero e la Madonna del parto- e in mezzo due occupazioni militari, eserciti disumani, tozzi veicoli di morte sulle tue strade.

I lunghi giorni passati a tradurre Georg Trakl, il Canto del merlo catturato, la tua prima gioiosa Parigi dopo anni di brutture e miserie sovietiche; il tuo sorriso impertinente, gli scherzi da ragazzo, lo

humoure l’aria solenne visitando la piccola cattedrale di Meaux (Bossuet ci guardava un po ’ severamente), le serate berlinesi: HerrDoktor, Herr Privatdozent, il riso lanciato al matrimonio degli amici, come

coriandoli- ma anche il silenzio e l ’amarezza dei mesi cattivi.

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Mi piaceva immaginare le tue passeggiate in Umbria o in Liguria: le eleganti incursioni, alla ricerca del luogo in cui si scioglie il ghiacciaio del passato e disvela le forme.Mi piaceva immaginarti vagabondotra le vette della poesia, in cerca del luogodove airimprowiso dal silenzio erompe la parola.Ma ti ho sempre incontrato negli alloggi angusti di quei grigi moloch detti metropoli.

Mi ricordavi talvolta il tragico della nostra vita.Di te la vita si ricordava quasi tutti i giorni.Penso ai tuoi coetanei schiacciati dal destino, a come ti ammalasti a Madrid, ad Amsterdam (Hotel Ambassade) e persino nella santa Gerusalemme, all’ospedale Saint-Luis, in estate, quando l’afa fondeva i muri delle case e i confini degli Stati, alle tue ultime settimane a Varsavia.Ammiro l’orgoglio regale dei tuoi versi.

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LE MIE ZIE

Sempre occupate in ciò che definivanoil lato pratico della nostra vita(toccava a Platone la teoria),immerse fino al collo in mobili, lenzuola,in giardini di dispense e credenze,senza dimenticare il sacchetto di lavandache tramutava l’armadio della biancheria in prato.

Il lato pratico della vita, come la faccia oscura della Luna, non era privo di misteri; sotto Natale la vita diventava pura praxis,prendendo provvisoria dimora nei corridoi, rifugiandosi in valigie e nécessaire.

E quando qualcuno moriva, il che purtroppoaccadeva anche in famiglia,le mie zie tutte presedal lato pratico della dipartitasi scordavano del sacchetto di lavandae del suo ebbro, altruistico profumosotto un manto nevoso di lenzuola.

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SQUARE D’ORLÉANS

Luogo dove si mescolarono il dolore e l ’incanto - due sostanze che si conoscono da tempo.Qui ora c’è la sede di una banca;andirivieni di uomini eleganti,ognuno snello come una banconota nuova.

Qui un tempo abitava Chopin. Le sue dita colpivano appassionate la materica tastiera. Qui un tempo abitava una fervida poesia. Adesso invece regna il silenzio, nei dintorni agenzie di assicurazioni e un medico che riceve dietro appuntamento.

Imbrunisce; i palazzi ritti come aironi affranti per le rovine del secolo presente.(si ode fischiare la città in lontananza).La fontanella al centro della piazza innalza timida due treccioline d ’acqua, e così ci ricorda che cos’è la vita.

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Sediamo sui gradini; nulla accade. Nemmeno si può dire che proviamo tristezza.Al posto di febbre e inquietudine(le due giovani nazioni)c’è ora un classicismo discreto.

La sera di settembre si spegne lentamente, un vento lieve attraversa Parigi come un vecchio attore del kabuki che recita nel ruolo di una giovane beltà.E se qualcosa ci disturba - ma nulla ci disturba - è solo il vuoto.

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VALZER

Sono così sgargianti i giorni, così chiari, che la polvere bianca della disattenzione copre persino le rare esili palme.Le serpi scivolano silenziose nelle vigne, ma alla sera il mare si fa cupo e i gabbiani sospesi neU’aria si muovono appena, punteggiatura di un più alto scritto.Sulle tue labbra una goccia di vino.Le montagne calcaree all’orizzonte si dissolvono lente mentre una stella appare.La notte, in piazza, un’orchestra di marinai in uniformi bianche immacolate suona un valzer di Sostakovic; piangono i bimbi, come se intuissero di cosa parla quella musica allegra.Siamo stati rinchiusi nella scatola del mondo. L ’amore ci renderà liberi, il tempo ci ucciderà.

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ITIGLI

Quanta dolcezza - la città è sotto anestesia; il ragazzo scarno che quasi non occupa spazio sulla terra, e il cane,e io, soldato in una guerra invisibile, e il fiume che amo.Fioriscono i tigli.

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PARLA PACATAMENTE

Parla pacatamente: sei più vecchio di quello che a lungo sei stato; sei più vecchio di te stesso - e ancora non sai cosa siano l’assenza, la poesia e l’oro.

Un’acqua bruna ha inondato le vie; ima breve tempesta ha scosso questa piatta città sonnolenta.Ogni tempesta è un addio, come se centinaia di fotografi roteassero su noi, fissando con il flash attimi di panico e di angoscia.

Sai cos’è il lutto, la disperazione tanto violenta da soffocare il ritmo del cuore e il futuro.Hai pianto fra estranei, in un negozio moderno dove svelto continuava a girare il denaro.

Hai visto Venezia e Siena e, sulle tele come nelle vie, tristi giovani Madonne che sognavano di essere ragazze come tante e ballare a carnevale.

Hai visto anche piccole città, non certo belle, gente vecchia, spossata dal tempo e dalla sofferenza.

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Nelle icone medioevali brillavano gli occhi di santi bruni, occhi ardenti di fiere.

Raccoglievi sassolini sulla spiaggia, a la Galère, e di colpo avvertivi una così grande tenerezza - per loro e per il pino snello, per coloro che erano lì con te e per il mare che è davvero possente, ma molto solo -

così grande, come se tutti fossero orfani della stessa casa, separati per sempre e condannati solo a vedersi per brevi istanti nelle fredde prigioni del presente.

Parla pacatamente: non sei più giovane, l’abbagliante incanto deve accordarsi con settimane di

digiuno,devi scegliere, rinunciare, temporeggiare

e parlare a lungo con gli emissari di paesi aridi e di labbra screpolate, devi aspettare, scrivere lettere, leggere libri di cinquecento pagine. Parla pacatamente. Non rinunciare alla poesia.

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r

LÀ, DOVE IL RESPIRO

Sta sulla scena senza alcuno strumento.

APP°ggia le mani sul petto, là dove nasce il respiro e dove si spegne.

Non sono le mani a cantare e nemmeno il petto.Canta ciò che tace.

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IL « DIZIONARIO BIOGRAFICO POLACCO » NELLA BIBLIOTECA A HOUSTON

Il principe Roman Sanguszko attraversa a piedi la Siberia (Joseph Conrad gli dedicherà un racconto).Al termine della sua lunga vita fonderà ima biblioteca; morirà come un cittadino da tutti stimato.

Maria Kalergis (si veda: Muchanow, Maria)- rapporti non dimostrati con l’Ochrana;« metà del suo cuore è polacco », l’altra - non sappiamo. Amica di Liszt e Wagner,

allieva di Chopin. Patrona dei teatri di Varsavia, a turno patriota e rinnegata, rinnegata e patriota. S ’innamorò di lei il povero Norwid (si veda: Norwid). Con tutto il cuore l ’amava.

Julian Klaczko: « Era piccolo di statura, grassoccio ... incline all’esaltazione. Di notevole amor proprio» (StanislawTamowski).Forse figlio illegittimo del famigerato Pelikan.

Brillante prosatore, vanto della « Revue des DeuxMondes».

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C o lla b o r a to r e d i C zarto ry sk i, q u in d i im p ie g a toin u n m in iste ro au str iaco (q u elli p o la c c h i n o n e s iste v an o ).M o r irà a C ra c o v ia , p a ra liz z a to , in e r te .

E ta n ti a ltr i: A n to n i C z a p sk i ( t 1 7 9 2 ) , s tu d iò p it tu r a in In g h ilte r r a e F r a n c ia , m a s so n e d e l la lo g g ia II S a r m a ta v ir tu o so ; la p r o b ità in p e r so n a . J o a c h im N am y sl, p e d a g o g o - g ià s ia m o n e l se c o lo

V e n te s im o .

E a ltre o m b re , d a l la A a lla S ; q u e s to d iz io n a r io n o n p u ò te rm in a re .E il tu o p a e s e e la tu a la c o n ic ità .L a tu a in d iffe re n z a e la tu a c o m m o z io n e .

T a n t a v ita p e r u n a so la p a tr ia .T a n t a m o r te p e r u n so lo d iz io n a r io .

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P R O V A A C A N T A R E IL M O N D O M U T IL A T O

P ro v a a c a n ta re il m o n d o m u tila to .R ic o r d a le lu n g h e g io r n a te d i g iu g n o e le f r a g o le , le g o c c e d iv in o ro sé .L e o r t ic h e c h e m e to d ic h e r ic o p r iv a n o le c a se a b b a n d o n a te d a c h i n e f u c a c c ia to .D ev i c a n ta re il m o n d o m u tila to .H a i g u a r d a to n av i e b a r c h e e le g a n ti ; a tte s i d a u n lu n g o v ia g g io , o so lta n to d a u n n u l la sa lm a stro .H a i v isto i p r o fu g h i a n d a r e v e r so il n u lla , h a i se n tito i c a rn e f ic i c a n ta re a lle g r a m e n te .D o v resti c e le b r a r e il m o n d o m u tila to .R ic o r d a q u e g li a ttim i, q u a n d o e ra v a te in s ie m e in u n a s ta n z a b ia n c a e la te n d a si m o sse .T o m a co l p e n s ie ro a l co n certo , q u a n d o la m u sic a e sp lo se . D ’a u tu n n o rac c o g lie v i g h ia n d e n e l p a r c o e le fo g l ie v o lte g g ia v a n o su lle c ica tr ic i d e l la te rra .C a n ta il m o n d o m u tila to e la p ic c o la p e n n a g r ig ia p e r s a d a l to rd o , e la lu c e d e lic a ta ch e e rra , svan isce e r ito rn a .

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R O M A , C IT T À A P E R T A

G io r n o d i m a rz o , q u a n d o g li a lb e r i so n o a n c o r a sp o g li;i p la ta n i a sp e t ta n o

p a z ie n ti la v e r d e f ia m m a d e lle fo g lie .L a p o lv e re c o p r e i te m p li; c in a b ro e o c r a , a r a n c io e

b o r d e a u x ,a m p ie m a c c h ie d i c a n n e lla .

Perché abbiamo smesso di parlare ?A P a lazzo B a r b e r in i il b e llis s im o N a rc iso f is s a il p r o p r io

v o lto ,in a n im a to .

C ittà b r o n z e a , c h e r ip e te s e m p r e : mi dispiace.C ittà b r o n z e a , c u i a p p r o d a n o s ta n c h e d iv in ità g r e c h e ,

c o m e im p ie g a t i d a l la p ro v in c ia .Oggi vorrei vedere i tuoi occhi senza collera.

C ittà b r o n z e a , c h e c r e sc e su i co lli.L e p o e s ie so n o b rev i tr a g e d ie , si t r a sp o r ta n o c o m e r a d io

a tran sisto r .P a o lo g ia c e a te r r a , è n o t te , c ’è u n a f ia c c o la e o d o r e

d i c a tra m e .N e i c a ffè s g u a rd i f r e tto lo s i , q u a lc u n o g r id a , su l tav o lo

u n m u c c h ie t to d i m o n e te .

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Perché sì? Perché no ?N e l c h ia s so d e l le a u to e d e g l i s c o o te r , n e l c h ia s so d e g l i

even ti.L a p o e s ia sp e sso sc o m p a re e re s ta n o i fiam m ife r i

so ltan to .L u n g o il T e v e re c o r r o n o b a m b in i d a l le b u f fe m a n te lle

sc o la s t ic h ed i in iz io se c o lo ;

a c c a n to u n a c in e p r e sa e r ifle tto r i. C o r r o n o p e r il film ,n o n p e r se ste ssi.

D av id e si v e r g o g n a p e r l ’ a ssa ss in io d i G o lia . Perdonami il mio silenzio. Perdonami il tuo silenzio.

C ittà p ie n a d i s ta tu e ; so lo le fo n ta n e c a n ta n o .S i avv icin an o le fe ste ; tra b rev e i p a g a n i e n tr e r a n n o n e lle

c h ie se .V ia G iu lia : i f io r i d i m a g n o lia c u s to d isc o n o il p r o p r io

se g re to .P e r u n m in u to d i lu c e p a g h i so lo c in q u e c e n to lire d a

g e t ta rein u n a sc a to la n e ra .

C'incontreremo in piazza Navona, forse, se vorrai.M atte o c o n t in u a a d o m a n d a r s i : è v e ro c h e p r o p r io io fili

c h ia m a toa d iv e n ta re u n u o m o ?

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I L M A R E

R ilu c e n te t r a le r o c c e , a m e z z o g io r n o b lu , m in a c c io so q u a n d o lo c h ia m a il v e n to d ’o c c id e n te , m a a s e r a q u ie to , in c lin e a l la c o n c o rd ia .

In s ta n c a b ile n e lle p ic c o le b a ie , p o s s ie d e in fin ite s c h ie re d i g r a n c h i c h e a v a n z a n o d i la to c o m e u m id i v e te ra n i d e lle g u e r r e p u n ic h e .

A m e z z a n o tte d a l p o r to p a r to n o i p e sc h e r e c c i , la lu c e in te n sa d e l l ’u n ic o r if le t to re sq u a r c ia il b u io , f r e m o n o i m o to r i.

S u l la sp ia g g ia d i C e fa lù , in S ic ilia , a b b ia m o v istoin n u m e re v o li r ifiu ti, c a s se tte , p re serv a tiv i,c a rto n i d e l la tte e u n ’a sse su cu i sb iad iv a il n o m e A n to n io .

In n a m o r a to d e l la te rra , te n d e s e m p r e a lla riva, in v ia o n d a su o n d a - e c ia s c u n a m u o re e sa u s ta , c o m e u n m e s so g r e c o .

A l c r e p u sc o lo si f a se n tire f ru sc ia n d o ,

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c o n lo sp e s so b isb ig lio d e lle p ie tr e g e tta te su lla g h ia ia ( s ’o d o n o fin su lla p ia z z e tta d e i p e s c a t o r i ) .

Il m a r e M e d ite r r a n e o , in c u i n u o ta v a n o g li d è i, e il f r e d d o B a lt ic o , d o v e m i im m e rg e v o t r e m a n d o d a l f r e d d o , m a g r a a n g u il la d o d ic e n n e .

In n a m o r a to d e l la te rra , e n tr a n e lle c ittà , a S to c c o lm a e a V e n e z ia , a sc o lta le c o n v e rsa z io n i, le r i s a d e i tu risti, p o i t o m a a l su o p r in c ip io im m o b ile e o sc u ro .

I l tu o A tlan tico , in d a ffa ra to a in n a lz a re fa n ta sm i b ia n c h i e il t im id o P a c ific o , c h e si n a s c o n d e n e g li ab iss i.

I g a b b ia n i d a lle a li liev i.G li u lt im i v e lie r i su i q u a li si g o n f ia im a b ia n c a te la c ro c e fis sa .

S u s tre tte c a n o e n a v ig a n o v ig ili c a c c ia to r i e n e l s ile n z io a s so lu to s i v a le v a n d o il so le .

II g r ig io B a lt ic o ,il M a r G la c ia le A rtic o , m u to ,il m a r e J o n io , l ’in iz io e la f in e d e l m o n d o .

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L ’EUROPA D ’INVERNO

A Anders Bodegàrd

Q u a n d o u n a g r ig ia n e v e c o p r ir à i tu o i te so r i, q u a n d o le tu e g ig a n te sc h e c a tte d ra li , d o v e o r a s ’in c o n tra n o c in q u e v ec ch ie tte , sp a r ir a n n o n e lla n e b b ia e g li a e r o p la n i in v o lo r a d e n te su g li a lb e r i si la m e n te r a n n o c o m e r im o r c h ia to r i c o n la v o c e d i b a s so d i u n e m ig r a to ru sso , q u a n d o la fo l la fe stiv a , d o m in a ta d a u n ’u n ic a p a s s io n e , q u e lla d e l l ’o r o g ia llo , si r iv e r se rà su g li a m p i u m id i viali, e i m u se i s a r a n n o c h iu si p e r s c io p e ro ,

e il c ie lo b a sso c o m e u n o sb ia d ito d r a p p e g g iod a p it to r e c o p r ir à q u e s t i lu o g h i in so liti,d o v e a b ita v a n o i tu o i sa n ti e i tu o ia rtisti isp ira t i, i tu o i fo ll i e i tu o i m o n a c i -v e d rò u n f iu m e sc o rre re c o n tro c o rre n te , a se tten tr io n e ,e p io p p i p riv i d i a li; i v e n d ito r i d i c a s ta g n eg r id e r a n n o m e n tr e i v e n d ito r i d i b ia n c h i g io rn a liin s ile n z io o f f r ir a n n o il lo r o p ia t to p o e m a -c e r c h e rò d i e n tr a r e n e lle tu e v ie , c e r c h e rò d i e n tra ren e i b a ss i c o rtili d e i tu o i v ec c h i ed ific i,

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f

d i e n tr a r e n e l so t te r ra n e o d e l la m e tr o p o lita n a , là ,d o v e è m o r ta d i n o s ta lg ia P e r se fo n e , en e i q u a r t ie r i p o v e r i, d o v e la v irtù e il c r im in ep a s s e g g ia n o p o m p o s i c o m e S ta n tio e O llio ,c e r c h e rò d i trov are g li in d irizz i d e l su p p liz io e d e l l ’e stasi,g li u lt im i b r a n d e ll i d e l la tu a v o c a z io n e ,c e r c h e rò d i r itro v a re q u e l n o b ile c a n toc h e fu g g e in a lto c o m e r a p id o f i ig g e u n p a llo n c in od a lle m a n i d e i b im b i, c e r c h e rò d i tro v are il tu o a m o r e ,u n f r a m m e n to d e l la tu a fe d e .

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p 3.

L A M U S IC A A S C O L T A T A C O N T E

L a m u s ic a a sc o lta ta c o n te r e s te r à se m p r e c o n n o i.

Il g rav e B r a h m s e l ’e le g ia c o S c h u b e r t , a lc u n i c a n ti, la te rz a so n a ta d i C h o p in ,

q u a r te t t i d a l su o n oc h e la c e r a il c u o r e (B e e th o v e n , g li a d a g i)

e la tr iste zza d i S o s ta k o v ic , c h e n o n v o le v a m o r ire .

I g r a n d i c o r i n e lle p a s s io n i d i B a c h - c o m e se q u a lc u n o ci c h ia m a sse

e d e s ig e sse d a n o i la g io ia , p u r a e d is in te re ssa ta , la g io ia in c u i la fe d e è q u a lc o s a d i ovvio.

C e r t i f r a m m e n ti d i L u to sla w sk i fu g g it iv i c o m e i n o s tr i p e n s ie r i .

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I blues d i u n a c a n ta n te d i c o lo r e c i tr a f ig g e v a n o c o m e a c c ia io lu c e n te -

a n c h e se c i av ev an o r a g g iu n to in s t ra d a , in u n a b r u t ta c it tà p o lv e ro sa .

L e m a r c e d i M a h le r c h e n o n h a n n o fin e , la v o c e d e l la t r o m b a c h e a p r e la Q u in ta s in fo n ia

e la p r im a p a r te d e l la N o n a (ta lv o lta tu l a c h ia m i « m a lh e u r » ! ) .

L a d isp e r a z io n e d i M o z a r t n e l Requiem, i su o i c o n c e r t i p e r p ia n o fo r te se re n i,

c h e m e g lio d i m e c a n ta re lla v i - m a c iò lo s a p p ia m o b e n e .

L a m u s ic a a sc o lta ta c o n te t a c e r à in s ie m e a n o i.

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N O T E

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p. 16 la campana di Sigismondo : cam p an a d ella C attedrale di Cracovia, d on ata d al re S ig ism on d o il V ecchio nel 1521; a partire dalle spartizioni d el XV III seco lo assurse a sim bolo d ella sovranità nazionale. Su o n a so lo n elle prin cipali festivi­tà relig iose e civili e in circostanze eccezionali.

p. 39 Fredro: A leksan der F red ro (Surochów 1793 - L eo p o li 1876), il p iù im portan te com m ed iografo p o lacco d e ll’O tto­cento , p o e ta e m em orialista, scrisse in gioventù u n com pon i­m en to o sceno . A L eo p o li, città a cui è legata la m aggio r par­te d ella su a vita e d ella su a attività letteraria, c ’era u n a sua statua, eretta nel 1897, e trasportata nel 1956 a Breslavia.

p. 40 chiesa uniate: la confession e greco-cattolica o uniate, p ro fessata d agli ucrain i, e ra così ch iam ata in qu an to sorta nel 1596 d a ll’u n ion e alla C h iesa cattolica di parte d eg li orto­dossi dei territori o rien tali dello Stato Polono-lituano, i qu a­li, grazie a lla m ed iazion e d e i gesuiti, r icon ob b ero la sovrani­tà del pon tefice rom an o e m an ten n ero il rito orientale.

Brzozowski-, Stanislaw Brzozow ski (M aziarnia 1 8 7 8 -F irenze 1911), critico letterario e filosofo , sosten itore d e l m ateriali­sm o storico d i M arx, con il tem po si avvicinò al cattolicesi­m o; la su a filosofia d e l lavoro è in p arte basa ta su l pen siero d i Cyprian Norw id. N e ll’au tu n n o d e l 1905 e in qu ello d e l 1906

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tenne cicli d i conferenze a L eo p o li ch e eb b ero gran d e in­fluen za su lla gioventù studentesca.

kilim carpatico: n e ll’origin ale kilim huculski, ovvero degli huculi, popo lazion e dei C arpazi O rientali il cui artigianato era m olto apprezzato nella P olon ia prebellica.

p. 60 dicembre: il 13 d icem bre 1981 il governo com un ista p o lacco in trodusse la legge m arziale p e r so ffocare il sindaca­to libero So lid am o sc .

Norwid: Cyprìan Ram il Norw id (Laskowo-Ghichy 1821 - Pa­rigi 1883), u n o dei p iù originali e p ro fon di poeti polacchi d ell’O ttocento, precursore d i correnti novecentesche. R ap­presen ta qui l ’artista e il patriota perseguitato , e qu indi l ’ane­lito alla libertà e alla dem ocrazia contrapposto alle occupazio­ni e alle dittature susseguitesi negli ultim i due secoli sul suolo polacco: zarista, prussiana, austriaca, nazista, sovietica.

p. 61 Dichiarazione di Lealtà: d o p o la m essa al b an d o d i Soli- darnosc, agli attivisti d el sindacato, nel 1982, fu ch iesto di firm are u n a d ich iarazione di lea ltà nei confronti del regim e.

p. 68 aguzzino: n e ll’o rig in ale p o lacco figu ra il term ine ubék, usato p er defin ire i m em bri d ella fam igerata po lizia po litica (U B ) ch e perseguitava con brutalità gli oppositori d ella dit­tatura com unista.

p . 89 radio ex tedesca: a segu ito d eg li accord i d i Ja lta , nel 1945 i p ro fu gh i d ai territori ex p o lacch i ceduti a ll’U rss ven­n ero trasferiti nei territori e x tedesch i ced u ti a lla P olonia. G li oggetti lasciati d a i tedesch i, trasferiti a lo ro volta oltre la nuova lin ea d i con fin e, venivano defin iti com e ex tedesch i, a sotto linearne l ’estraneità.

p . 107 Józef Czapski: (P raga 1896 - M aisons-Laffitte 1993) p ittore e scrittore po lacco , pacifista, stud iò a P ietroburgo, V arsavia, Cracovia, d a l 1924 a l 1931 visse a Parigi. A seguito d e ll’invasione nazi-sovietica d el 1939 fu d ep ortato d ai sovie­tici a Starobielsk. Scam p ato - u n o d ei poch i - a lla strage del­le fosse d i Katyn, p o i liberato n e l 1941, d iresse il Settore cul­tura e stam pa d e lì’A rm ata p o lacca d el gen erale A nders. D o­p o la g u erra visse in Francia, a M aisons-Laffitte, sede d ella p iù prestig io sa casa editrice d e ll’em igrazion e po litica polac-

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rca, l ’Instytut Literacki, e della rivista «K ultura» con cui colla- boro .

p . 154 Insurrezione, riferim ento a ll’in surrezione d i Varsavia d ell’agosto-settem bre 1944 in cui p eriro n o oltre centom ila p erson e . L ’esercito sovietico, ferm o alle p orte d ella città, as­sistette a ll’operazion e senza intervenire. U n a volta rip reso il con tro llo , i nazisti raserò a l suo lo la città.

p . 158 Sienkiewicz: H enryk Sienkiewicz (W ola O krzejska 1846 - Vevey 1916), scrittore po lacco , p rem io N o b e l p e r la le tteratu ra nel 1905. A utore d i o p ere d i g ran d e successo: Quo vadis? (1896), e la Trilogia (1884-1888), ciclo d i tre ro­m anzi storici — Col ferro e col fuoco, Il diluvio e Donne ed eroi — am bientati negli ann i 1648-1674, p erio d o d i gran d i turbo­lenze politich e che la P olon ia riuscì a su p erare n on ostan te la rivolta d ei cosacchi, l ’invasione svedese e la gu erra con tro la T urchia.

p . 175 « Canto della terra »: sin fon ia di Gustav M ahler.

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L A P O E S IA T R A IN C A N T O E IR O N IA

DI KRYSTYNA JAWORSKA

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V ■ wvm

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L a m u sica è stata creata p e r ch i n o n h a u n a casa, d ato che d i tutte le arti è la m en o lega ta a u n lu o go ... L a p ittu ra è l ’arte d eg li stanziali che am an o con tem plare i lu ogh i natii ... D al can to suo la p o esia si add ice ag li em igranti, a qu egli sventurati su ll’o rlo d i u n precip izio , sosp esi con il lo ro m i­sero fagotto tra le gen erazion i, tra i continenti.1

Così A dam Zagajewski introduceva in Due città il ruolo della poesia in u n a vita perennem ente sospesa su u n altrove. L a poesia com e spazio d ell’esilio, seppu re rispecchia m olta espe­rienza letteraria otto e novecentesca (e vanta antecedenti illu­stri sin dagli albori della civiltà), ovviam ente è solo u n a delle cifre della contem poraneità (non andrebbe bene p er im a p o e­tessa com e Wislawa Szymborska, il cui esilio, am m esso sia leci­to utilizzare questo term ine nel suo caso, era solo un o stare in disparte p e r osservare con occhio sornione, m a partecipe, il gran teatro d el m o n d o ). Si deve subito specificare però che p er il nostro au tore lo stato d i « sospensione » d ell’em igrante tra tem pi e luogh i diversi va ben oltre il significato fisico o m e­taforico, e ind ica soprattutto u n o status menti.

L ’em igrazion e in sen so stretto h a segn ato in du bbiam en te

1. A. Zagajewski, Tradimento, a cura di L. Bernardini, trad. it. di V. Parisi, Adelphi, Milano, 2007, p. 16.

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la b iografia d i Zagajewski, si p u ò d ire sin d alla p iù ten era età. L a su a fam ig lia dovette lasciare L eo p o li - città dove e ra nato - nel 1945, q u a n d ’egli aveva solo quattro m esi, a seguito de­gli spostam enti d e i confin i po lacch i sanciti a Ja lta ; cresciuto in Slesia , in u n a Gliwice grig ia e an on im a, com pì gli studi universitari a Cracovia, città di ind iscusso fascin o , sebben e a ll’ep o ca svilita d alla po litica del regim e. In qu el p eriod o fu tra i pro tagon isti d e lla corrente « N ow a Fala », ch e raccoglie­va giovani poeti, spesso defin iti con il term ine « gen erazion e d el ’68 », uniti d a u n senso d i critica e d i rivolta n e i confronti delle aberrazion i d e l socialism o reale: essi puntavano al rin­novam ento d ella p o esia attraverso un lin gu aggio che affron­tava le p rob lem atich e sociali e descriveva in m o d o d iretto la rea ltà quotid ian a, ben lon tan a d a ll’im m agine edu lcorata of­ferta d alla p ro p ag an d a d i reg im e.1 D al 1979 al 1981 a Berli­n o O vest grazie a u n a b o rsa d i studio, scrisse, p rim a d i torna­re a Cracovia, u n saggio di storia politico-culturale su lla Po­lo n ia d el secon d o d o p o gu erra .2 N el 1982, d o p o l ’in troduzio­n e d ella legge m arziale, lasciò il p aese e si stabilì a Parigi, co llaboran do a period ici d ella vecchia em igrazione politica, tra cu i la p restig iosa rivista « K u ltu ra», e soprattutto alla rivi­sta « Zeszyty L iterackie » (« Q u ad ern i letterari » ) , fo n d ata nel 1983, che raccoglieva diversi intellettuali d ella « gen erazion e d el ’68 ». L a scelta d i vivere a ll ’estero rap p resen ta u n a cesura fon d am en tale che influ isce an ch e su lla poetica . N on a caso assum e a llo ra u n nuovo spessore la tem atica del viaggio e la m itizzazione d e i lu o gh i legati a lla storia fam iliare (si pen si a lla racco lta Andare a Leopoli, d e l 1985).

Si è soliti individuare d u e distinti period i nella produzio­ne d i Zagajewski: u n a p rim a fase con n essa alla «N ow a F a la » caratterizzata d a im a p o esia socialm en te im p egn ata ; po i, a partire d al saggio Solidamosc i samotnosc («S o lid a r ie tà e soli­tud ine », 1986), u n a secon d a fase « estetizzante », in cui, p u r p erm an en d o le tension i m orali d e l p erio d o p reced en te , au­m en ta la valenza delle istanze m etafisiche, cosicché la voce

1. «Nowa F a la » . Nuovi poeti polacchi, a cura di G. Origlia, Guanda, Milano, 1981.2. A. Zagajewski, Polen: Staat im Schatten der Sowjetunion, Rowohlt Taschen­buchen Veri., Reinbek bei Hamburg, 1981; trad. it. di L. Portesio, Polonia: uno Stato a ll’ombra dell’Unione Sovietica, Marietti, Casale Monferrato, 1982.

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d el p o e ta n on è p iù espression e d i u n sentire com u n e, m a d el soggetto singolo : l ’io ten de a sostituire il n o i.1

A partire d al 1988 Zagajewski tiene ogn i an n o u n corso se­m estrale d i lezioni n eg li Stati U niti; rien trato a C racovia nel 2002, divide il suo tem po tra E u ro p a e A m erica. Il m igrare di p aese in p aese si riflette fortem en te n e i suoi versi e n e lla su a p ro sa , dove riaffio ra il r icordo delle città ch e h a visitato o in cu i h a vissuto; in d u bb iam en te vivere a contatto con am bien­ti culturali diversi h a poten ziato le su e faco ltà d i osservatore sensibile e sottile che spazia tra m o n d i diversi.

P oeta apprezzato n e l p an o ram a letterario con tem pora­n eo , A dam Zagajewski h a ricevuto im portan ti r icon oscim en ­ti in tem azion ali. N el 2004 gli è stato con ferito il prestig ioso N eu stad t L iteratu re Prize e il suo nom e si trova n e lla ro sa d ei can didati al N ob el p e r la letteratura. Q uesto successo è stato possib ile an ch e grazie alle eccellenti version i inglesi e fran ­cesi. A facilitare la fam a in tem azion ale contribu isce il fatto che nelle sue poesie l ’aspetto d om in an te e determ in an te è quello sem antico, che è qu in d i p iù facilm ente com unicabile in traduzione. A p rim a vista n o n risu ltan o n ep p u re eccessive lim itazioni form ali: il verso è libero , sen za partico lari asso­nanze, con sonanze, rim e o rig ide m isure m etriche. Q ualcu­no h a anche asserito , n on senza u n a certa m alizia, che il no­stro, m entre scrive, g ià p en sa alle traduzioni. M ira cioè a cre­are im m agin i e m etafore com prensib ili e traducibili a ogn i latitudine e longitud ine. In realtà n o n è così, la lim pidezza d ei suoi versi deriva d a u n ’esigen za in trinseca, d a u n a poeti­ca che o p era p er fo rm e visive e m ateriche, an ch e se rim an d a a u n altrove, e tale concretezza favorisce d i fatto la traduzio­ne. In Italia la su a o p era n o n è an co ra abbastan za nota, an­che perch é , salvo ed izioni d i d iffu sion e lim itata,2 fin ora sul

1. Cfr. C. Cavanagh, Lyric and public. The case o f Adam Zagajewski, in «World Literature Review», maggio-agosto 2005, pp. 16-17.2. In italiano, dopo le poesie dell’antologia di «Nowa Fala», singole liri­che sono state tradotte da Giovanna Tomassucci neìY Antologia europea, a cura di F. Doplicher, Stilb, Avezzano, 1991; una scelta di nove poesie tratte dalla raccolta Ptagnienieè apparsa nella traduzione di Andrea Ceccherelli, in «In forma di Parole», XXI, 2001, 1, pp. 241-69, scelta portata poi a undici nel volume Incontri di poeti polacchi e italian i. Liriche, con la parteci­pazione di A. Anedda, F. Doplicher, J. Hartwig, M.B. Kielar, V. Magrelli, J. Mikolajewski, V. Rossella, A. Zagajewski, Istituto Polacco, Roma, 2003, pp. 120-45. Quindici poesie dedicate alla Liguria in A. Soueif, A, Zagajewski

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m ercato e ra d ispon ib ile so lo un suo volum e d i prosa , Tradi­mento, e legan ti testi che si co llocan o tra saggistica, narrativa e d iario intellettuale.

D i ch e co sa ci p arla la p o esia d i Zagajewski? A pparen te­m en te d i lu ogh i ben definiti, di bran i d i m usica, e po i di filo­sofi, artisti, am ici, fam iliari: tram ite loro riflettiam o sul n o­stro essere al m ondo. L a vita, o i fram m enti di vita dei suoi soggetti ci svelano qu alcosa d i noi. Infatti solo attraverso il contatto con l ’altro possiam o cogliere la n ostra p iù intim a essenza. A llo stesso m odo , osservando ciò che ci c ircon da p ossiam o cogliere qu an to sta sotto la superfic ie tangibile . L a d ialettica tra soggetto e o ggetto è centrale in qu esto proces­so conoscitivo. L a p o e sia d i Zagajewski, d ecisam en te intellet­tuale, si rivolge a u n a koiné id eale di lettori che condividono con lu i l ’anelito m etafisico. I suo i versi, tram ite la descrizio­n e d i u n a situazione, d i un fatto , vogliono com u n icare u n partico lare stato d ’an im o. In questo senso il suo è un tentati­vo di cristallizzare p er un attim o, e in u n attim o, u n fram ­m en to d i etern ità e cogliere in m o d o con den sato u n a p erce­zione p iù in tensa d e ll’esisten te.1

Per Zagajewski è tale esperienza a gen erare u n ’epifan ia che dischiude prospettive trascendenti la nostra e induce a spera­re in u n a dim ensione spirituale: il p o e ta la lascia intravedere nei suoi versi sospesa in u n equilibrio precario , com e se fosse costantem ente in bilico. L e paro le e le im m agini, apparente­m ente sem plici, son o scelte con estrem a cu ra e cesellate, l ’in­cantesim o è fragilissim o, basta un nulla p e r vederlo svanire, e si tratta com unqu e di un incantesim o m om entaneo.

A l p eriod o trascorso a ll’estero si lega strettam ente il tem a del viaggio - e quindi la m etafora della vita com e viaggio - , cruciale p e r chi, com e Zagajewski, ha vissuto tale condizione spinto dalla necessità p iù che d alla libera scelta. Spesso nei com ponim enti l ’autore accen n a ai luoghi visitati, e il m ondo

e J.M. Hall, Luci ed ombre di u n a città. Im magini di Genova. City o f Light and Shadow. Images o f Genoa, coordinamento editoriale: R. Testa, trad. dei testi di A. Soueif: L. Crepax, trad. delle poesie di A. Zagajewski: K. Jaworska (in italiano), C. Cavanagh (in inglese), The Bogliasco Foundation, Fonda­zione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, De Ferrari e Devega Ed., Genova, 2003. A. Zagajewski, L a ragazzina di Vermeer, trad. it. di P. Malavasi, Edizioni del Leone, Venezia, 2010.1. Cfr. A. Zagajewski, W cudzym pifknie, Wydawnictwo a5, Kraków, 1998, p. 75.

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esterno diventa spunto di u n a ritlessione che oscilla tra tim ore e trem ore. L o spazio fisico è subito trasform ato in spazio m en­tale: di fatto, H ouston , Vézelay, la L iguria, la Sicilia, d a luoghi ben definiti diventano punto d i partenza, occasione per p en e­trare « la fod era del m on do », com e recita il titolo d i im a rac­colta d i poesie d i Czeslaw M ilosz (autore m olto am ato d a Za- gajewski) nella versione di V aleria Rossella.

A partire dagli anni O ttanta abb iam o a che fare con u n a lirica che cog lien d o un fram m en to d i realtà tende a espri­m ern e il m isterioso sostrato e n on vuole lim itarsi a lla descri­zione d el m on d o sensibile.

Sareb b e p erò errato vedere in Zagajewski sem plicem ente un esteta. L ’anelito al bello non im p ed isce d i scorgere l’abis­so d ella cadu cità u m an a e d ella cru deltà d el m on do. E tica ed estetica son o p er lu i co llegate in m o d o diverso rispetto alla concezione di M ilosz, di u n a gen erazion e preceden te , e te­stim one, al pari d i m olti poeti d el N ovecento , d ella gu erra e della violenza d ei regim i totalitari. Per M ilosz il bello è u n ’an­co ra d i salvezza p e r sfu ggire al m ale d el m on do . P er Zaga- jew ski invece rap p resen ta u n ’altra d im en sion e che traspare d ietro la m ateria, e h a qu in d i u n valore conoscitivo, gn oseo­lo g ico p iù che con so latorio , h a u n a funzion e d i b ilancia­m ento del dolore.

È stato Io sif Brodskij a rilevare u n a peculiarità della lettera­tura po lacca contem poranea: la presen za in uno stesso, ri­stretto arco di tem po d i m olti poeti di altissim a levatura. Brodskij m enziona accanto a Milosz (Prem io N obel nel 1980), Zbigniew H erbert.1 M a a H erbert si devono aggiungere T a­deusz Rózewicz e Wislawa Szym borska (Prem io N obel nel 1996). A unire questi poeti dalla personalità e della sensibilità m olto diverse è u n a poesia che si fa portatrice di significati, veicolo d i id ee e riflessioni. Zagajewski non si sottrae a questa tradizione.

In du bb iam en te p o ch i poeti po lacch i con tem poran ei po n ­g o n o la qu estion e d e ll’estraneità, sep p u re p ien a d i m eravi­g lia e d i estasi, a l cen tro d ella lo ro o p e ra com e fa Zagajewski. E gli si sente in certo q u a l m o d o stran iero ovunque, in tutte le sue città: la n atia L eo p o li, la Gliwice d ell’infanzia, la C ra­

1. I. Brodskij, Lettera a l lettore italiano, in Z. Herbert, Rapporto dalla città assediata, Adelphi, Milano, 1993, p. 16.

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covia d eg li ann i universitari e giovanili, e i vari lu ogh i d ell’e­m igrazione: B erlino , Parigi, H ouston .

L ’artista com e outsider della società è u n a figu ra ricorrente n e lla le tteratura con tem poran ea, m a nel caso d eg li intellet­tuali provenienti d a paesi oppressi d a dittature assum e con ­notati pecu liari. Il poeta , esu le dalla p ro p ria patria o n ella p ro p ria patria , poteva cercare u n rip aro tem poran eo , « u n a casa provvisoria», n e ll’arte, tra « l ’ered ità delle gran d i ep o ­che d e ll’arte e u ro p e a » , com e ebbe a scrivere lo stesso Zaga- jew ski a p roposito di Zbigniew H erb ert.1 P er Zagajewski, p e­rò , il contatto con l ’arte , con il bello , intesi com e privilegi ch e n o n ci ap p arten gon o , trascende la situazione storica: p iù che « u n a casa provvisoria » è un o sp irag lio d a cui si intra­vede la d im en sion e m etafisica. N el suo caso l ’esilio , l ’estra- n iam ento , è u n a condizione esistenziale, an cor p rim a che intellettuale, destinata a sfociare in u n a prospettiva ontolo­gica, in u n partico lare m o d o d i porsi d el soggetto nei con ­fron ti d el m o n d o p e r cercare d i conoscerlo .

Spesso Zagajewski am bien ta le sue o p ere in spazi urbani. Q ualch e critico h a scritto che egli h a ded icato alle città gran parte d ella su a p ro sa e u n terzo d e lla su a p o esia .2 E d è p ro ­prio nelle città che il soggetto si sente m aggiorm en te stra­n iero ,3 com e lo stesso Zagajew ski h a p iù volte r icordato sia nei saggi sia n e i testi poetici, an ch e in quelli p iù recenti; em ­b lem atico a questo pro p osito è Autoritratto:

A bito in città stran iere e talvolta parlocon sconosciuti d i co se indifferenti.

In questo com ponim ento ricorre ripetutam ente l ’aggetti­vo obcy, che p u ò significare sia estraneo sia straniero, a secon­d a del contesto, e in italiano p u ò essere reso in diversi m odi. Si noti in fine che in p o lacco il verbo obcowac significa entrare a contatto con qualcosa, con qualcun o; ciò vuol dire che ogni relazione presu p p on e l ’estraneità, l ’alterità, e in tal senso è

1. A. Zagajewski et a l , Opinie o Labiryncie nad mmzem Zbigniewa Herberta, in « Zeszyty Literackie », 2001,1, p. 128.2. T. Nyczek, Kos. O Adamie Zagajewskim, Wydawnictwo Literackie, Kraków, 2002, p. 169.3. La città come spazio alienante è ovviamente un argomento cruciale del­la contemporaneità, oggetto di innumerevoli studi; rispetto a Zagajewski esso è stato approfondito da J. Klejnocki, Bei utopii? Rzecz o poeiji Adam a Zagajewskiego, Wydawnictwo Ruta, Walbrzych, 2002.

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u n a p o rta p e r il d ialogo : infatti p e r Zagajewski è solo n ell’in­contro con il diverso che ci è dato di a ssaporare il bello. Così in Nella bellezza altrui leggiam o:

So lo nella bellezza altrui vi è consolazion e, n ella m usica altru i e in versi stranieri.So lo negli altri vi è salvezza.

Q u i a svolgere il ru o lo d i p a ro la chiave, accan to a obcy, vi è u n altro term ine, sem anticam ente affine: cudzy, app arten en ­te ad altri. L e m aggiori d ifficoltà traduttorie n o n son o quin­d i m etriche o fon iche, m a sem antiche: m an ten ere il signifi­cato p ro fo n d o e la forza evocativa che il testo h a n ella versio­n e orig in ale . O vviam ente tradurre Zagajew ski n o n è sem pli­ce com e parrebbe, si deve rispettare il suo ritm o interiore. I riferim enti specifici, po lacch i, son o in gen ere scarsi e p er lo p iù facilm ente intuibili. In Andare a Leopoli, p e r esem pio , p iù dei riferim enti precisi alla realtà locale è com plesso ren dere il pen siero d e ll’au tore sul sign ificato d i un viaggio im possib i­le, con n esso a u n a p erd ita che si trasfigura in u n a nuova pre­senza espressa d a ll’incip it e dai versi finali.

L o n tan o d a lla p a tria si fa strad a la n o sta lg ia ch e p erò si m an ifesta n e ll’evocazione n on tanto d el grig io Stato sociali­sta sogge tto a lla d ittatu ra in cu i il p o e ta è cresciu to , m a d ella città dei gen itori, che, con osc iu ta so lo tram ite i lo ro ricordi, si volge in m ito, d iventa spazio fatato , è n o stalg ia po ten ziata d a lla m ed iazion e em otiva.

L a con dizion e d i em igrato crea u n a d o p p ia percezion e d e lla realtà , dovuta d a u n lato al r icord o d i q u an to si è p e r­d u to u n ito al sen so d i e stran eità p e r la situazione presen te, d a ll’altro a ll ’am m irazion e p er la bellezza dei lu o gh i visitati. A nche località m en o am en e, com e Gliwice, ce lan o tuttavia a lcun i lu o gh i eletti: il g iard in o d ’inverno, il fium e. U n a g eo g ra fia d e i lu o gh i in Zagajew ski - in cu i p e r altro a ll ’Italia sarebbe riservato u n o spazio raggu ard evo le - perm ettereb­b e d i rilevare la m o ltep lice valenza che città e p aesagg i oc­cu p an o n e lla su a o p era . U n e lem en to chiave è ap p u n to q u esto sen so d i a lterità ch e sign ifica sia estran eità sia possi­b ilità conoscitiva. N o n so lo n e ll’e sp erien za poetica , m a an­che n ella vita d i ogn i g io rn o , nel quo tid ian o . A ddirittura q u an d o il p o e ta visita p e r la seco n d a volta la su a città natale:

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a fargli d a gu id a è chi p e r lui è u n o stran iero , ovvero un ab i­tan te d e lla L eo p o li od iern a, u n giovane u cra in o .’

In Zagajewski vive u n ’altra specie d i n ostalg ia: il desiderio d i ricom p orre l ’im m agin e in u n m on d o ridotto in fram m en ­ti ap p aren tem en te privi di senso, recu p eran d o n ella p erce­zione d el presen te la m em oria del passato , facen d o rivivere i m orti, le o p ere d ’arte, le con oscen ze che abb iam o ereditato . M a con la consapevolezza della fugacità del presen te.

N el poeta la d im ensione spaziale e quella tem porale si dila­tano fino a congiun gere attraverso u n incessante d ialogo inte­riore passato, presente e futuro, superan do ogni barriera cro­n o logica o geografica. T ale procedim ento di annullam ento del tem po si p u ò osservare, p e r esem pio, in L ’alleanza, poesia in cui lo sguardo dello straniero in visita al M useo Egizio di T orin o pare p er u n istante incontrarsi con quello degli altri visitatori e con il presunto sguardo d i u n a m um m ia (l’inver­sione tra chi osserva e chi è osservato è un altro artificio a cui l ’autore ricorre sp e sso ), in u n a sospensione atem porale dove coesistono e si osservano a v icenda persone e oggetti di origi­ne e di epoch e diverse. A nalogam ente in Piena estate, posterio­re di un a decina d ’anni, la perm eabilità tra il m on do dei vivi e quello dei m orti, o forse, m eglio, la presen za d ei m orti nella n ostra m ente, viene evocata con gran de pregn an za tram ite le « om bre d i Kolym a e d i Ravensbrùck / poveri angeli di im a cupa red en zion e» che paion o celarsi d ietro l ’im m agine sola­re di un a sp iaggia ligure affollata di turisti.

Il m escolarsi d i sfere diverse ricorre pu re in Persefme, p o e­sia tutt’a ltro che sem plice d a tradurre p e r la su a particolare m usicalità, ove il m ito greco diventa pu n to d i riferim ento p er u n a riflessione tragica sullo sterm in io degli ebrei. Il m o­d o in cui epoch e , lu ogh i e prospettive si in tersecan o è evi­den te an ch e in poesie com e Guardando la «Shoah» in una stanza d ’albergo, in America: il soggetto lirico g u ard a il filtri su ll’O locausto , m a al tem po stesso sente i suoi vicini d i stan­za ch e festegg ian o u n com p lean n o , n e l film ricon osce p ae­saggi d ella su a terra, m a qu ei lu ogh i son o lontani m igliaia di chilom etri. M olteplici stati d ’an im o si assom m an o, senza eli­m inarsi. M entre lo sch erm o televisivo rip rop on e il ricordo 1

1. Cfr. L. Bernardini, Memoria e nostalgia della città celeste, in A. Zagajewski, Tradimento, cit., p. 297.

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d ella sofferenza di m ilioni d i esseri um ani, altre p erson e si d ivertono spensierate , ind ifferenti ai d ram m i altrui.

L a n a tu ra o c c u p a u n o spazio m in ore risp etto alle città e sp esso è in serita a ll ’in tern o d e l p ae sag g io u rb an o . T ra gli e lem en ti ricorren ti vi so n o l ’acq u a , ovvero fium i e m ari con il lo ro sen so d el flu ire , d el tem p o , d e l ritm o, e g li uccelli, com e in term ed iari tra la te rra e il c ie lo , tra il m ateria le e lo sp irituale . Si pen si a po esie com e A maggio o Tre voci. T ra gli u ccelli il p o e ta p are p red ilige re i m erli e le ron d in i, e ciò p o treb b e trovare u n a sp iegaz ion e n elle segu en ti paro le : « l a ron d in e , com e tutti gli iron isti, am a la co m p agn ia ... I m erli invece, q u an d o in to n an o i lo ro canti, cercan o la soli­tu d in e » .1 L e ron d in i q u in d i com e voce corale , com e e­sp ression e d e ll ’iro n ia b e ffa rd a , il m erlo com e voce d el sin­go lo . Si tratta di u n a n a tu ra talvolta an trop om orfizzata su cu i si p ro ie ttan o speran ze e tim ori d e l p o e ta e che con il p o e ta in trattien e u n d ia lo go : il m are p arla , g li u ccelli sem ­b ran o rivolgere a n o i il lo ro canto . Q u esta stra teg ia stilisti­ca n o n è u n a p ro iez io n e rom an tica d eg li stati d ’an im o d el p o e ta , tu tt’altro . E un m o d o p e r ren d ere d ia le ttica la n arra­zion e. In d iverse p o e sie si o d o n o le voci d i o gge tti in an im a­ti: in D alla memoria u n a viuzza stretta si tram u ta in go la , fa ­rin ge attraverso cu i p assan o i raccon ti d eg li ab itan ti, e in q u esto m o d o l ’au to re si co n fro n ta con la m em o ria d i chi h a e sp erito la g u erra ; n e lla ca tted rale d e l Gotico, dove vive « la fed e n e l b u o n D io ch e c re a e u cc id e », so n o an co ra p er­cep ib ili le voci d i carp en tie ri e an tich i p e lleg rin i, m en tre fu ori r isu on an o a ltre voci, m a q u esto trip u d io d i sussurri, fischi, g r id a , risa , term in a con u n o ssim oro ch e e sp rim e il p a rad o sso : « Sen to la tu a voce, o d o il silenzio ».

Se d a u n lato i suon i, i d ialogh i im m aginati ren d o n o d ina­m ica la scen a, d a ll’a ltro lo sgu ard o , ne l fissare l ’im m agine, la im m obilizza.

C om e è stato p iù volte rilevato, Zagajew ski trasform a il m o n d o in u n ’o p e ra d ’arte, p ra tica u n a p o e sia visuale che c rea im m agin i sim ultanee. Il suo sgu ard o è com e quello del p ittore che cog lien d o la rea ltà in un istante particolare, la sottrae al flusso d e l tem po ferm an dola , com e fa l ’am ato Ver- 1

1. A. Zagajewski, W cudzympiqknie, cit., p. 182.

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m eer. C iò che è d inam ico diviene statico. In Si arresta, si pu ò d ire che troviam o add irittu ra esplicitato tale p roced im en to :

Si arresta la cittàla vita si fa quadro .

L a pittura, d o p o la m usica, è un altro g ran d e am ore del p o e ta e torn a in diversi com ponim enti, quali ad esem pio il ritratto d ei con iugi A rnolfìn i d i ja n van Eyck rievocato in Tri­ste, stanca o la Veduta di Delfi. N on si tratta p e rò d i sem plice ékphrasis. Il p o e ta non sente l ’esigen za d i descrivere i q u ad ri - ch e diventano segn i culturali, oggetti ideali, sottratti al tem po e la storia1 - e parte d al p resu pp osto che essi siano noti al suo lettore. N e ll’im m obilità d ella p ittura, il p o e ta in­travede il p arad ossa le convivere d i esistenza e ann ien tam en ­to, in q u an to con trarre la vita in u n istante rich iam a l ’id ea d ella m orte. I q u ad ri son o in senso stretto « nature m orte », p e r cui a essi si associa l ’inqu ietud ine e il d o lore , la con sap e­volezza che u n a d im ensione diversa p re su p p o n e l ’an n ien ta­m ento d ella d im en sion e presen te. A llo stesso m o d o p erò ciò ch e è m orto rivive, ciò che è statico diviene d in am ico . I qu a­dri si an im ano. L a ragazza con il turbante d i V erm eer ci osser­va. In Morandi, la b rocca, le bottiglie e gli altri oggetti dello studio del pittore pu lsan o di em ozion i e sentim enti d i rivolta n e lla notte, e an im are gli oggetti è, com e abb iam o visto, u n o d e i trop i ricorren ti d i Zagajew ski.2

C om e osserva M agd alen a Sukiennik, i processi d e ll’im ­m agin azion e e la m em oria fan n o sì che realtà diverse si com ­p en etrin o e a llo ra « il dettaglio diviene s im b o lo ... grazie alla vita in teriore si esten de a ll’infinito . C osì p u re il tem po ».3

Se il flusso che scorre in m o d o un id irezionale n ella storia p u ò essere invertito, o p u ò d iventare p lurid irezionale nel­l ’im m aginazion e, a llo ra an alogam en te le m etafo re po sson o essere an ticipazion i d i ciò che segu e. S i p u ò individuare qu e­sto p ro ced im en to p o etico in diversi com ponim enti: si pen si

1. A questo proposito (vale a dire l’atteggiamento del poeta nei confronti della pittura intesa come opera non soggetta alla morte), A. Dziadek par­la di apocastasi, Problem ékphrasis - dwa „ Widoki D elfi” (Adam Czemiawski i Adam Zagajewski), in «Teksty Drugie », 2000, 4, p. 148.2. Cfr. W. Browarny, Konkretyzaqe i antropomorfizacje w najnowszej poezji Ada­ma Zagajewskiego, in «Dykcja», 1996, 1, pp. 53-59.3. M. Sukiennik, Czas zatrzymany w “bezczasie” (0poezji Adam a Zagajewskiego), in «Ruch Literacki», XXIV, 1993,1-2, p. 41.

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alla secon d a stro fa d i Conversazione con Friedrich Nietzsche, d o ­ve la descrizione d ella testa d e l filoso fo « a fo rm a d ’ob ice » serve a p rep arare l ’im m agin e segu en te d e i suoi pen sieri si­m ili a eserciti possenti, op p u re , in Andare a Leopoli,

D a q u ale stazione an d are a L eo p o li

Se L eo p o li esiste sottola fo d era delle frontiere e n on so lo nel m ionuovo passaporto .

L a fo d era associata a ll’im m agine delle frontiere p re p ara il q u ad ro successivo, qu ello d el n om e d ella città nascosto d en ­tro il passaporto , nei dati anagrafici d el d ocu m en to di viag­g io , e così L eo p o li si fa città m itica, p e r a lcun i versi irrag­giun gib ile , p u r con tin u an d o a esistere n ella geo gra fia d eg li atlanti. E ccoci qu in d i a l co spetto d i u n a lqu an to sofisticato costrutto sem antico, basa to su u n a m eta fo ra con cettu ale che ten de a esprim ere visivam ente le idee.

L eg g en d o le poesie d i Zagajewski si p u ò rilevare com e il p rocesso d i « distillazione » di im m agin i e p aro le porti, p u r n e lla su a ap p aren te sem plicità, a u n g rad o p iù alto d i astra­zione: l ’au tore p ren d e l ’avvio d a u n partico lare , descritto nei suoi e lem enti essenziali, e g li con ferisce valore universa­le fissan dolo in u n o spazio fu ori d al tem po.

L a p o esia p u ò esprim ere u n a trasform azione in tern a che trascen de il fen om en o p e r lievitare in u n a prospettiva nou- m enica. In izialm ente Zagajewski scopre che q u esta capacità delle cose d i trasfigurarsi è u n dom in io d e ll’im m aginazion e. Scrive in Due città:

U n g io rn o ... feci u n a scop erta che cam biò ogn i cosa. Sco­prii (e vi p reg o d i n on ridere) ch e esiste u n m o n d o dello spirito, descritto d ai g ran d i autori. O ltre a lla rea ltà em pi­rica e b an ale c ’e ra l ’am bito d e ll’im m aginazion e, costitui­to d a quello stesso m o n d o percep ib ile grazie a lla vista, al tatto e a ll’o d o ra to , m a con in p iù le sch iere in fin ite d eg li spiriti e delle o m b re ... Esiste un sen so ch e resta nascosto n ella quotid ian ità , m a diventa accessibile negli istanti di m agg io re con cen trazion e, negli attim i in cui la coscien za am a il m on do . C ogliere q u e l senso com plesso ti p o rta

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u n ’esperien za di particolare felicità, p erd erlo ti con segn a alla m alin con ia .1

T ale stato d ’an im o è p erò m om en tan eo : «n o n siam o m ai capaci d i d im orare stabilm ente nella trascenden za ... T o r­n iam o sem pre a lla quotid ian ità: d o p o aver esperito l ’ep ifa­n ia, d o p o aver scritto u n a p oesia , en triam o in cu cin a e ci m ettiam o a pen sare a cosa m an giare p er cen a » .2 N onostante la su a brevità, e ben ch é a ll’estasi segu a la m alin con ia e u n anelito che n e am plifica l ’ eco, qu e ll’ep ifan ia rap presen ta u n ’esperien za cruciale, diviene p e r il p o e ta la su a terza pa­tria.3

M entre cercavo d u e patrie p erd u te , la città e il Ubero ac­cesso alla verità, m i im battei in u n a terza an cora, d i cui non n ep p u re sapevo di essere m ai stato cittadino. Q uesto terzo p aese d isp on e d i un p iccolo territorio e n on possie­de eserciti; in esso vi è u n a p icco la fonte, in cui si riflette il cielo azzurro e nuvole b ian ch e, sfilacciate. M a q u esto ter­zo p aese h a la p ro p rie tà d i sparire talvolta dalla superficie d ella terra, p e r lun gh i p eriod i.4

Il viaggio quindi n on è solo m etafora della vita u m an a com e continuo divenire e ricerca, m a è anche, e forse soprattutto, m odahtà che favorisce la percezione d i u n a d im ensione fuori dal tem po e dallo spazio, di u n ’esperienza che svela p er un istante quanto sarebbe altrim enti im percettibile. In M istica per principianti il viaggio diventa iniziazione. I diversi elem enti che lo com pon gon o assum ono un ruolo preparatorio .

e i viaggi, tutti i viaggi,eran o soltanto m istica p e r princip ian ti,u n corso introduttivo, pro legom en i

1. A. Zagajewski, Tradimento, cit., pp. 71-722. A. Zagajewski, Obrona iarliwo.ici, Wydawnictwo a5, Kraków, 2003, p. 15.3. Secondo Klejnocki più che di epifania si dovrebbe parlare anche nel caso di Zagajewski (come aveva fatto Nycz a proposito di Milosz) di epicle­si: non tanto deH’esperire un’illuminazione improvvisa e fugace, quanto deU’esperire un’anticipazione di tale visione, dell’aspirare a una trascen­denza che pare attenderci. E quindi una prospettiva escatologica che dà senso all’esistenza e al suo vissuto. Cfr. R. Nycz, Prywatna ksifga róinosci. I. Epifanie - egzegezy - epihleiy, in «Teksty», 1981, 4-5 (58-59), p. 214. J. Klej­nocki, Bez utopiiì, cit., p. 201.4. A. Zagajewski, Wcudzym pifknie, cit., p. 42.

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a un esam e rim an dato a p iù tardi.

Per Zagajew ski l ’arte nasce d al senso d i m eraviglia p e r il m o n d o , la an im a qu in d i u n o spirito che è pro ssim o a qu ello d ella filosofia: il d esid erio d i co m p ren d ere le rag ion i u ltim e d el rea le .1 A ll’università aveva scelto d i stud iare p sico log ia e filosofia ; com e an n o ta n e l saggio Wcudzyrn р ц к те («N e lla bellezza altrui ») , a ll’ep o ca a C racovia era an cora m olto forte il r icord o d e ll’in segn am en to d i R om an In gard en , e la teoria fen om en o lo g ica del vecchio allievo di H usserl, che, com e ri­ferivano i suo i studenti, con du ceva a u n a « p o esia d eg li og­getti », a lla capacità di vederli in u n a lu ce nuova, lo affascina­va pro fo n d am en te .2

Q uesto h a portato Shallcross a vedere in Zagajewski stesso u n fen om en ologo : « è un p o eta che descrive gli oggetti con precisione fen om en ologica e un fen om en o logo che vede l’es­senza del m on do oggettivo ... U nisce il sapere del fen om en o­logo al m estiere d ell’artista. Su questa base costruisce u n ’e­quazione di idee, oggetti e paro le basata sull’in tenzionalità».3 Egli o tterrebbe in questo m odo u n a visione eidetica che con­giun ge l ’essenza d ell’oggetto alla sua m aterialità visibile. E forse si potrebbe chiosare, a questo pu nto , che il suo procedi­m ento di im m obilizzare la realtà, di sospendere il tem po, ri­cord a la sospensione del giudizio, Vepochè husserliana.

L a filosofia costituisce un altro po lo della poesia di Zaga­jew ski, com e si p u ò vedere in Kierkegaard su Hegel, e i filosofi sono presenti com e pensatori, m a anche com e persone di cui l ’au tore im m agina pensieri e paure, tim ori, dubbi, debolezze - si pensi p er esem pio a Schopenhauer piange: i m aestri sono fragili. L a poesia a su a volta appare com e sospesa tra due di­verse tendenze: u n a è d are form a alla vita spirituale, interiore, in qu an to « solo nella vita interiore, com e in u n o specchio rot­to, talvolta pu lsa la fiam m ella m obile d ell’e tem ità , qualunque

1. « La difesa della poesia è la difesa di qualcosa che è radicato nell’uomo: la capacità fondamentale di esperire l’incanto del mondo, di scoprire la divinità nel cosmo e nel prossimo, nella lucertola e nelle foglie di casta­gno, di meravigliarsi e fermarsi di colpo per un lungo attimo in questa meraviglia», iUd., p. 117.2. Ibid., pp. 128-31.3. B. Shallcross, Through thèPoet’sEye: The Travels o f Zagajewski, Herbert, and Brodsky, Northwestern University Press, Evanston, Illinois, 2002, p. 36.

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cosa il lettore sarcastico (o m eno) vorrebbe in tendere con es­sa ». L ’altra è la spinta a conoscere sia i cam biam enti del m on ­do esteriore sia a ricercare « la verità su noi stessi » .1

In u n certo qu al senso, le d u e ali d e lla p o e sia lirica che si contrastan o a v icenda p osson o essere equ iparate ai sim bo­li classici d ella rag ion e e deU’illum inazione, ad A tene e G eru sa le m m e ... Pure i poeti, com e u n a parte d ei pen sato­ri, son o obbligati avivere in u n a stretto ia tra A tene e G eru­salem m e, tra la verità m ai p ien am en te ragg iu n gib ile e il bello ... tra il p en siero e l ’isp irazione.2

È facile intravedere d ietro queste paro le rich iam i p laton i­ci, presen ti in Zagajewski n on so lo p e r via d eg li studi univer­sitari, m a an ch e tram ite la lettura di Eric V oegelin p e r quan ­to r igu ard a il concetto di metaxy app licata a ll’id ea d ella vita com e viaggio:

T ale viaggio p u ò essere descritto nel m o d o m igliore con un concetto preso in prestito d a Platone - metaxy: essere « tra» , tra la nostra terra, il nostro am biente ben noto (tale alm eno lo riten iam o), concreto, m ateriale, e la trascendenza, il m i­stero. Metaxy defin isce la situazione dell’u om o quale essere che si trova irrim ediabilm ente « a m età strad a» .3

Metaxy, in qu an to ciò ch e m ette in contatto il rea le con il m e­tafisico, al fine d i creare u n passagg io , deriva dal p latonico metéchein, che significa « p ren d er parte », « m ezzo dove gli op ­posti trovano m ed iaz ion e». Zagajewski rico rd a il tem a del «v iaggio verticale d ell’a m o re » in trodotto d a D iotim a nel Convita si tratta del passagg io in cui esso è indicato com e me­taxy, tram ite tra u m an o e divino p er m ezzo d ell’am ore. E non è casuale che D iotim a sia u n a figu ra straniera.

L o «sta re tra » è un tem a ch e en tra in effetti n e lla poetica d i Zagajewski g ià con il sagg io d ed icato al pittore Jó z e f Czap- ski, Wyobrainia - siódmy kontynent,4 e con il tem po assum e p e­so crescente n e lla su a poetica .

Se o ra si legge u n a p o e sia q u a le E viandante a lla luce di

1. A. Zagajewski, Obrona, cit., pp. 131-33.2. Ibid., p. 135.3. Ibid,., pp. 14-15.4. A. Zagajewski, Wyobrainia - siódmy kontynent, in «Kultura», 1983, 10, p. 125; cfr. J. Klejnocki, Sez utopii?, cit., p. 39.

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q u esta citazione si p u ò cap ire com e « l ’essere in m ezzo » sia legato al tem a d el v iaggio: la con oscen za è possib ile so lo in p resen za d i u n soggetto a lla ricerca p eren n e d i qu alcosa, e q u el soggetto p e r eccellenza è il p o e ta , so sp eso tra e lem enti contraddittori, tra m ateria e trascenden za, tra estasi e ironia.

N e l m o n d o d e ll’arte l ’estasi e l ’iron ia raram en te si incon­trano , il p iù delle volte si sabotan o a vicenda, cercan o di in debolirsi l ’u n l ’altra; l ’estasi vorrebbe disfarsi u n a volta p e r tutte del suo antagonista, seppellirlo sotto il m arm o d ella solennità, m entre l ’iron ia cerca d i ridicolizzare i so­stenitori dello stile a lto .1

L ’iron ia, questo asserire n egan d o , si sa, è u n o strum ento m olto po ten te e versatile, caratteristico d i p eriod i transitori, essa p u ò rap p resen tare il ru o lo d ella coscienza, il m om en to riflesso che segu e allo stupore, la scoperta d ella p luralità , m a anche il g ioco im person ale della verità.2 L ’iron ia è p e r altro b en presen te nelle o p ere di Zagajewski sia n e l p eriod o d i «N ow a F a la » com e m ezzo p e r sm asch erare, ridicolizzare la m en zogn a, l ’in autenticità d el sistem a politico in cu i egli era costretto a vivere, sia in segu ito com e caratteristica intrinse­ca a lla n atu ra delle cose. N elle o p ere d i Zagajewski l ’iron ia è spesso po lifon ica, è u n d ia lo go a p iù voci (com e in Tre ange­li) , svolge u n a funzion e com plessa in qu an to n ella su a am bi­valenza sep ara e unisce.

Per Zagajewski « l ’iron ia ovviamente è indispensabile, m a viene d op o , è “ l ’eterna correttrice”, com e la chiam ava Nor- wid ». Egli ritiene, però , che attualm ente se n e faccia un uso eccessivo, a discapito della dim ensione spirituale. Secon do lui l ’iron ia che caratterizza tanta parte della cultura contem pora­n ea porta in conclusione alla n o ia e a lla disperazione, in quanto preclude l ’apertu ra d i orizzonti sconosciuti. « L ’iro­nia, se assum e il posto centrale nel m o d o di pensare d i im a persona, è u n a variante alquanto perversa della certezza»,3 m entre « la poesia corre verso u n o scopo ignoto ».4

1. A. Zagajewski, W cudzympifknie, cit., p. 182.2. Si pensi al magistrale saggio di V. Jankélévitch, L ’ironia, Il melangolo, Genova, 1987, pp. 39, 58.3. A. Zagajewski, Obrona, cit., pp. 17-18.4. Ibid., p. 146

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È o ra d i to rn are all 'Autoritratto, p o esia del 1995 che contie­n e an ch e u n a dich iarazione d i qu an to gli è p iù caro.

A scolto m olta m usica: B ach , M ahler, Sostakovic, C hopin .

Talvolta m i p arlan o i q u ad ri nei m useie a llo ra l ’iron ia svanisce a ll’im provviso.A d oro osservare il volto di m ia m oglie.

Il m io p aese si è liberato d a un m ale. V orreiche a ciò seguisse an cora u n ’altra liberazione.

So n o passati quasi ven t’ann i e nel frattem po il p o e ta h a scritto u lteriori autoritratti, in cui com pare il tem a della vec­chiaia, m a n on son o m utati i tratti essenziali d e lla su a poeti­ca e delle su e passion i: la m usica, il be llo ch e scon figge l ’iro­nia. D egli affetti scrive con pu d o re . In essi u n ru olo rilevante spetta agli am ici, alla fam iglia, alla m oglie , p e rò la sua n on è u n a p o esia sentim entale, tu tt’altro. A nche le passion i sog­g iaccion o alle leggi del tem po e alla consapevolezza della p erd ita e d ella m orte, com e egli d ich iara in L a musica ascolta­ta con te.

Gli autoritratti che em ergon o dalla p ro sa e dalle poesie p ro iettan o le im m agin i d i u n u o m o ch e si osserva, così com e osserva il m o n d o circostante, d a fuori, d a lla superfic ie delle cose, ch e tuttavia lascian o trasparire q u a lco sa della lo ro inti­m a essenza. Q uesto p rocesso conoscitivo p assa attraverso la coscien za d e l soggetto , d a cu i la sem pre m aggio re centralità assun ta n e lla p o e tica recen te d i Zagajewski d a ll’esperienza au tob iografica .1

L ’obiettivo d e lla p o e sia d i Zagajew ski è e sprim ere autenti­cam en te il vissuto restan d o fed eli a lla realtà, a ll’etica e a ll ’e­

1. A mo’ di postilla si potrebbe aggiungere ancora un brano di Zagajewski tratto da Tradimento, cit., pp. 189-90, che è una sorta di breve paradossale favola sul rischio insito in una poesia intesa come «vista e udito »: «Il mon­do interiore, regno assoluto della poesia, ha la caratteristica di essere ine­sprimibile ... La poesia cerca d’ingannare la realtà, finge di avere a cuore i suoi affanni... La poesia teme che scoprano il suo segreto. Un bel giorno la realtà si renderà conto che il cuore della poesia è freddo. La poesia non ce l’ha, un cuore, ha solo occhi ben aperti e un ottimo udito. La realtà capirà improvvisamente di essere stata soltanto un pozzo inesauribile di metafore e scomparirà. E la poesia resterà sola al mondo, muta, vuota, triste e incomunicabile».

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stetica. E gli m ed ia questi e lem enti attraverso u n a scrittura riflessiva, concettuale ; anche le sue m etafore , in ap p aren za im m ediate , son o in realtà cerebrali e le associazioni m entali, i fili nascosti che co llegan o i versi d an d o lo ro organ icità , o p eran o n on g ià p e r m ezzo d ella m elo d ia e d ei g ioch i d i p a ­role , m a d i im m agin i che si com pen etran o in u n a costruzio­ne sottile. Q uesto fa sì ch e i suo i versi restino im pressi, p iù che com e su on o, com e visioni m entali, e in cidan o sul nostro pen siero n on tanto em otivam ente, qu an to in tellettualm en­te. E in fine si scopre che anche n o i in siem e con l ’au tore sia­m o entrati n e l d ia lo go tra passato e presen te , tra d im en sion i diverse co llegate d a u n ’im m agine in cu i si fo n d o n o sensazio­ni em otive e con oscen za razionale.

In questo sen so si p u ò d ire ch e la su a p o esia è p ro fo n d a­m en te innovativa, ap re un nuovo m o d o d i costru ire i versi, p riv ilegian do cam pi p rim a n on arati. F orse an ch e p e r qu e­sto è tanto am m irato d ai suo i colleghi, tra cu i D erek W alcott, ch e n e i suoi versi co lgon o sotto l ’ap p aren te pacato classici­sm o u n a rivoluzione brucian te. E u n a p assion e che a rd e sot­to la lava o rm ai fre d d a e consolidata. Sotto la crosta d ella superficie.

A pprezzerà il lettore ita lian o q u esto raggelato ard ore? Q uesta introversione estroversa? Q uesto m etafisico specch io rovesciato? A vranno i suoi versi in Italia la stessa po p o larità che han n o ragg iu n to in a rea an glo fon a?

D esidero ringraziare di cuore V aleria R ossella e A n n a Raf- fetto che h an n o accettato d i r ileggere f o n gran d e com pe­tenza e sensibilità le m ie traduzion i con sig lian dom i soluzio­ni interpretative. A loro si deve la m igliore riuscita d i questa versione, a m e le eventuali m ancanze.

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INDICE DEI TITO LI DELLE POESIE

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A m aggio , 34A m ezzanotte, 99A ddio a Zbigniew H erbert, 181A ll’alba, 77A n dare a L eo p o li, 39A nni T renta, 123A nton B ruckner, 84A utoritratto, 135

Ciò che, 65Conversazione con Friedrich N ietzsche, 75 C rudele , 107

D alla m em oria , 154 D alla vita d eg li oggetti, 106 D iciassettenne, 102

Egli agisce, 27 E legia, 138 E leg ia elettrica, 88 E sprit d ’escalier, 56

Feste tardive, 83

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Foresteria p e r studiosi, 180Franz Sch ubert, con feren za stam pa, 46

G iardin o d ’inverno, 117 G u ard an d o la Shoah in u n a stanza d ’albergo ,

in A m erica, 97

H ouston , sei d el pom eriggio , 159 H ow h igh thè m oon , 162

I fu lm ini, 42 I m iei m aestri, 63 I prati d ella B orgogn a, 87 I p ro fu gh i, 124 I Re M agi, 115I tigli, 187II Dizionario biografico polacco n e lla b ib lio teca a H ouston ,

191Il ferro , 60 Il fium e, 26 Il fium e nero , 94 Il fu oco , 35 Il fu oco , il fu oco , 36 Il gotico , 91 Il m are, 196 Il re, 165 Il v iandante, 15 Il v ioloncello, 140 Il volto d i V an G ogh , 33 Io, 38

K ierkegaard su H egel, 23

L ’aerop orto di A m sterdam , 142 L ’alleanza, 79 L ’attim o, 137 L ’E u ro p a d ’inverno, 198 L a ban d iera, 14L a città in cui vorrei ab itare, 148 L a conchiglia, 121 L à , dove il resp iro , 180

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rL a fan ciu lla di V erm eer, 132L a febbre, 22L a fiam m a, 177L a gen erazion e, 53L a m orte d i un pian ista, 170L a m usica ascoltata con te, 200L a n otte , 144L a sconfitta, 13L a separazione, 164L a stanza, 146L a tela, 110L a terra del fu oco , 133Lava, 71L e falen e, 95L e m ie zie, 183L e scim m ie, 100L ettera d a u n lettore, 126L u n gh i pom erigg i, 168

M attina a V icenza, 171 M istica p e r princip ian ti, 113 M orandi, 78

N egli alberi, 24N e ll’en cic lop ed ia d i nuovo n on c ’è posto per

O sip M an d el’stam , 17 N ella bellezza altrui, 59 N elle città stran iere, 101 N in n an an n a, 69

O d e alla m olteplicità, 29 O d e alla m orbidezza, 16 O p era postum a, 175

P arla pacatam en te , 188 Per M., 128 P ersefone, 150 P ien a estate, 173 Pittori d ’O lan d a, 119 P oesia veloce, 111

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P om erigg io d i settem bre in u n a caserm a abban d on ata , 90

Presenza, 81Prova a can tare il m o n d o m utilato , 193

Q u esta è la Sicilia, 130

R. dice, 73R equ iem p er i viventi, 86 R om a, città aperta , 194

Scale m obili, 49 Sch op en h au er p ian ge , 20 Scriveva a l bu io , 141 Sen za fine, 51 Senza flash , 161 Senza form a, 103 Si arresta, 45Siete i m iei fratelli silenziosi, 131Sim on e Weil gu ard a la vallata del R od an o , 109Solo bam bini, 167Squ are d ’O rléan s, 184Storia d ella solitudine, 105Sul n u oto , 156Su ore d i carità, 157

T ard o B eethoven , 18 T re an geli, 151 T re voci, 55 Triste, stanca, 64

V acanze, 96 V alzer, 186 V edere, 178 V edu ta di Cracovia, 66 V edu ta d i D elft, 44V enerdì san to nei co rrido i d ella m etropo litan a , 32 V ersi su lla P olon ia, 62 Vitalizio, 28

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