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XXIX CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI LA COMUNICAZIONE NELLE POLITICHE DI SVILUPPO. L’ESPERIENZA DEI FONDI STRUTTURALI (2000-2006) NELLE REGIONI OBIETTIVO 1. Carolina BLOISE 1 1 Libera Università Maria SS. Assunta, via Borgo S. Angelo 13, 00193, Roma SOMMARIO Questa ricerca affronta il tema dello sviluppo economico a partire dai processi culturali e di comunicazione sui quali esso si fonda o di cui gli agenti economici fanno uso per innescarlo e sostenerlo. Definire la comunicazione e le forme che essa assume nei processi di sviluppo è una operazione complessa soprattutto se si pensa alla facilità con cui gli aspetti comunicativi di un simile fenomeno sono confusi con altre dimensioni. Il tema del ruolo della comunicazione e delle sue istituzioni è stato affrontato anche dai teorici dello sviluppo assumendo le tre diverse posizioni di forza, ambiguità e multifunzione dei media. Nella presente ricerca sulle politiche di sviluppo dei Fondi Strutturali 2000-2006 è presa a riferimento la definizione espressa nel Regolamento CE 1159/2000 che dà delle indicazioni piuttosto chiare sulle attività che possono (e in alcuni casi, “devono”) seguire gli interventi dei POR. Anche sulla base delle indicazioni emerse durante le interviste ad esperti che hanno lavorato nelle strutture regionali, è stata realizzata un’analisi del contenuto di tutti i titoli delle misure dei sette POR. Emerge la centralità dell’informazione in chiave pubblicistica e il

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XXIX CONFERENZA ITALIANA DI SCIENZE REGIONALI

LA COMUNICAZIONE NELLE POLITICHE DI SVILUPPO. L’ESPERIENZA DEI FONDI STRUTTURALI (2000-2006) NELLE REGIONI OBIETTIVO 1.

Carolina BLOISE1

1 Libera Università Maria SS. Assunta, via Borgo S. Angelo 13, 00193, Roma

SOMMARIO

Questa ricerca affronta il tema dello sviluppo economico a partire dai processi culturali e di comunicazione sui quali esso si fonda o di cui gli agenti economici fanno uso per innescarlo e sostenerlo. Definire la comunicazione e le forme che essa assume nei processi di sviluppo è una operazione complessa soprattutto se si pensa alla facilità con cui gli aspetti comunicativi di un simile fenomeno sono confusi con altre dimensioni. Il tema del ruolo della comunicazione e delle sue istituzioni è stato affrontato anche dai teorici dello sviluppo assumendo le tre diverse posizioni di forza, ambiguità e multifunzione dei media. Nella presente ricerca sulle politiche di sviluppo dei Fondi Strutturali 2000-2006 è presa a riferimento la definizione espressa nel Regolamento CE 1159/2000 che dà delle indicazioni piuttosto chiare sulle attività che possono (e in alcuni casi, “devono”) seguire gli interventi dei POR. Anche sulla base delle indicazioni emerse durante le interviste ad esperti che hanno lavorato nelle strutture regionali, è stata realizzata un’analisi del contenuto di tutti i titoli delle misure dei sette POR. Emerge la centralità dell’informazione in chiave pubblicistica e il crescente ricorso a campagne di comunicazione istituzionale; il web è comunque lo strumento più utilizzato. La varietà delle possibili iniziative non permette che il tema degli effetti di questa comunicazione si esaurisca in una descrizione rigida per cui, in conclusione, si delineano le più importanti linee interpretative del fenomeno.

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1 SVILUPPO E COMUNICAZIONE, UNA RELAZIONE POSSIBILE?

“È di fondamentale importanza che le decisioni in merito ai fattori di sviluppo economico siano soggette all’esame della società.”(Sen, 2005, p. 10)

Inteso come fenomeno complesso, quasi mitologico ma comunque fondamentale per la storia e la vita delle società, lo “sviluppo economico” è diventato, nella prassi dei diversi attori sociali, un vero e proprio filo conduttore in grado di raccogliere intorno a sé consensi e insieme disinteresse, impegno capillare e prolungato come critica e dispersione di energie.Il fenomeno potrebbe essere studiato da diversi punti di vista e con obiettivi molto differenti: contestualizzandolo in un determinato spazio e tempo, ci si potrebbe, infatti, chiedere in quale forma lo sviluppo si sia realizzato, attraverso quali combinazioni di fattori interni ed esterni alle forze sociali o con quale riflesso per la crescita generale di quello specifico territorio. La nostra ricerca è però volutamente molto meno estesa poiché affronta il tema dello sviluppo economico a partire dai processi culturali e di comunicazione sui quali esso si fonda o di cui gli agenti economici fanno uso per innescarlo e sostenerlo. Quest’analisi, per quanto delimitata ad un solo aspetto, ha però la pretesa di essere sostanziale poiché cerca un legame fra due fattori che contraddistinguono intimamente la società attuale seppure in presenza delle tipiche contraddizioni postmoderne.I punti di contatto tra la comunicazione e lo sviluppo sono di natura intuitiva:

- in quanto “processo”, risultato cioè di relazioni sociali, la comunicazione si caratterizza di quella complessità, intesa come “superamento di un qualsiasi approccio lineare e causale dei fenomeni” (Callini, 2002, p. 113), che è tipica dello sviluppo economico;

- la comunicazione è un processo sociale e culturale essenziale, di base per ogni società; lo sviluppo, a sua volta, non è un meccanismo esclusivamente e asetticamente economico ma poggia anch’esso su basi sociali e culturali;

- lo studio della comunicazione non può prescindere dalla riflessione sui mezzi attraverso i quali essa si realizza (McLuhan, 1964); proveremo ad ipotizzare che ciò accada anche per lo sviluppo – almeno per quello sostenuto dalle politiche pubbliche – e a pensare la comunicazione come un “medium” dello sviluppo.

La ricerca si apre perciò con una domanda che nel suo essere provocatoria fa da guida nella riflessione: esiste realmente una relazione fra i processi di sviluppo, identificati in particolare con le politiche di sviluppo regolamentate e attuate da amministrazioni statali, e l’agire comunicativo di tutti gli agenti in essi coinvolti? E ancora: se questa relazione esiste già, è una relazione positiva e sostenibile?

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Attraverso queste domande si introduce, quindi, il secondo termine della nostra ipotesi: la comunicazione. Cosa essa sia e cosa rappresenti in questo contesto è difficile definirlo per la generale polisemia del termine ma anche per la limitata integrazione fra la sociologia, le scienze della comunicazione e le scienze economiche. Se è vero, infatti, che “il ruolo delle relazioni sociali nell’economia contemporanea è emerso con forza”, è però anche vero che “le relative implicazioni per le politiche volte a promuovere lo sviluppo sono rimaste finora piuttosto latenti” (Trigilia, 2007, p. 12). Alcune motivazioni in particolare rendono difficile la definizione univoca del concetto di comunicazione nonché di quelle forme che essa assume nei processi di sviluppo, soprattutto se si pensa alla facilità con cui gli aspetti comunicativi di un simile fenomeno possano essere confusi con altre dimensioni. La flessibilità del concetto “comunicazione” è tale che nel settore delle politiche pubbliche la si può equiparare, infatti, tanto alla “partecipazione” quanto alla semplice “informazione”; la si può quindi leggere nell’ottica della “trasparenza” – quasi in senso giuridico – ma anche nella prospettiva molto più complessa della “formazione”. Tre sono però gli argomenti che rendono particolarmente difficile la definizione di cosa si intenda parlando di “comunicazione” nei processi di sviluppo:

- la dimensione meso-sociale in cui tanto la comunicazione quanto lo sviluppo si collocano praticamente;

- le differenti interpretazioni dello sviluppo e della comunicazione che si potrebbero dare assumendo le diverse correnti di pensiero;

- il dibattito sul ruolo svolto dai fattori culturali nei processi di sviluppo.Nel primo caso, si pone il vincolo di “maneggiare” i concetti di sviluppo e di comunicazione assecondando la loro reale natura: quella cioè di processi al di sopra della volontà e della razionalità “limitata” (Simon, 2000) dei singoli attori e, contemporaneamente, parte di fenomeni più ampi, come per esempio quello della globalizzazione che, con cambiamenti molto veloci, modifica i modelli interpretativi attraverso i quali guardare ai rapporti tra le intere società del pianeta. Dal lato della comunicazione, Pacelli evidenzia come in essa si “fronteggino i due aspetti fondanti la vita collettiva e quindi dinamiche di produzione, che rappresentano tutto il confluire di condotte individuali e sociali (…); e dinamiche di riproduzione, che fanno emergere i vincoli che la struttura pone” (Pacelli, 2002, p. 9), ricordando proprio l’importanza di impostare ogni riflessione sul doppio binario dell’osservazione micro e macro dei fenomeni. Osservare gli aspetti comunicativi dello sviluppo significa quindi tenere presente che anche questi ultimi siano a cavallo tra la dimensione “micro-sociale” in cui gli individui assumono le proprie decisioni (influenti anch’esse per i processi di sviluppo) – personali o collettive ma comunque inserite in un’arena decisionale circoscritta – e quella “macro-sociale” in cui si

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combinano molti fattori, esterni alla volontà dei soggetti e spesso frutto di processi incontrollabili. Esempi di questa duplice dimensione sul fronte dello sviluppo si possono rintracciare nella bibliografia più autorevole sul tema: nella ricerca sulle cause storiche dello sviluppo economico dell’Europa occidentale, Weber (1945) identificava nel meccanismo generale di cambiamento delle società raggiunte dall’“etica protestante” un elemento favorevole all’accumulazione di capitale e quindi allo sviluppo; McClelland (1969), più di recente, ha dimostrato come questo fenomeno macro sociale fosse comunque vincolato alla capacità dei singoli soggetti, più o meno “spinti all’efficienza” dall’educazione primaria ricevuta. Le due componenti, la macro scoperta da Weber e la micro rilevata da McClelland, insieme, avevano creato “quel meccanismo sociale attraverso cui la nuova visione del mondo poteva influenzare lo sviluppo” (Marini, 2000, p. 81).La definizione e l’osservazione delle componenti comunicative di un processo che si colloca all’incrocio tra queste due differenti dimensioni sociali sono pregiudicate da un ulteriore vincolo: quello di calare l’analisi comunicativa nell’ambito teorico dell’economia dello sviluppo che si è arricchito, nel tempo, di molte (e spesso contrastanti) teorie interpretative, dando così un valore via via diverso agli aspetti sociali, affermando o meno l’importanza di quelli culturali e, infine, iniziando a conferire un ruolo anche alla comunicazione. Un’accurata lettura delle teorie sullo sviluppo che assuma il filtro dell’analisi comunicativa si possono rintracciare in Biancheri (1990) e Viglongo (1997), che evidenziano i principali riferimenti ad aspetti comunicativi presenti nella bibliografia di alcuni dei più importanti scienziati sociali del Novecento. Un’analisi di questo tipo è però vincolata al concetto di comunicazione sottinteso dagli Autori citati: Rostow, Pye, Lerner, Schramm, per riportare solo i più noti, hanno storicamente attinto, infatti, alle linee di pensiero sviluppatesi nel tempo ponendo l’accento sui diversi elementi della comunicazione e inserendosi con interpretazioni via via differenti nell’annosa questione degli effetti del messaggio. La comunicazione di cui essi scrivono coincide essenzialmente con la comunicazione di massa, ed è osservata nei paesi sottosviluppati sulla scorta delle esperienze dei paesi occidentali. Questo presupposto non è irrilevante poiché “nel costruire la condizione di nuove libertà ma anche di nuove opprimenti schiavitù, molto dipende dall’idea che si ha di comunicazione” (Palazzo, 1990, p. 9). Preciseremo dunque a quale forma di comunicazione essi si stiano riferendo, poiché in questo ambito “per comunicazione si può intendere non solo lo scambio di notizie e messaggi ma anche la più ampia trasmissione e partecipazione delle idee, dei fatti e dei dati” (Biancheri, 1990, p. 42).Ciò puntualizzato, il tema della comunicazione e dei media è stato affrontato anche dai teorici dello sviluppo assumendo tre diverse posizioni:

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- quella delle teorie della modernizzazione (Rostow, 1962; Pye, 1963; Lerner, 1958; Schramm, 1964) che ritengono forti i media e le istituzioni mediali per uno sviluppo inevitabile;

- quella delle teorie critiche (Berrigan, 1981; Beltran, 1998; Golding, 1979) che attribuiscono un funzione “ambigua” e ambivalente ai media e alle istituzioni mediali per uno sviluppo che essi ritengono importato e incontrollato;

- quella delle teorie dello sviluppo “multiforme” (Sen, 2000; Trigilia, 2007; McBride, 1980) che si riferiscono ai media come a “collaboratori” dei processi generali di crescita, per uno sviluppo equilibrato.

Si può subito notare come questa suddivisione, per quanto didascalica, richiami bene quella di McQuail (1996) laddove si cerca di interpretare il ruolo dei mass-media in termini di effetti sulla vita degli individui e sull’evoluzione sociale. McQuail suddivide, infatti, la riflessione dei teorici in quattro fasi: in primis l’interpretazione dei media “onnipotenti” e, in successiva opposizione, le teorie degli effetti “limitati”, quindi la terza fase della riscoperta degli effetti “potenti” e, infine, quella dell’influenza “negoziata” dei media (1996, pp. 297-396).Consapevoli dell’impossibilità di affrontare in questa sede, nemmeno sinteticamente, il tema degli effetti delle comunicazioni di massa ci preme sottolineare alcuni punti che sono utili alla riflessione:

- come sostiene la stessa McQuail (1996, p. 298), i media hanno effetti importanti seppure non siano né isolabili né misurabili;

- essi possono dimostrarsi su più livelli: sul singolo o sui gruppi; sulle organizzazioni o sulle istituzioni;

- pur nella inadeguatezza di ogni definizione chiusa di “effetto” e nella impraticabilità di verifiche del “controfattuale”, gli effetti possono essere descritti attraverso molte e valide categorie.

Questi presupposti sono tali da non paralizzare il prosieguo delle ricerche che, anzi, procede ininterrottamente nel tempo seppure a ritmi alterni, poiché l’uso che si fa dei media cambia e quindi cambia, in base alla storia, anche il loro effetto.Per concludere questa riflessione iniziale si riconosce che “l’ampia letteratura proveniente dai vari settori d’indagine ha rivelato che il ruolo della comunicazione nei processi di cambiamento è molto complesso e che resta ancora molta strada fare…” (Biancheri, 1990, p. 97). Si possono, però, tenere fermi gli elementi principali raccolti in proposito negli ultimi decenni di ricerca:

1. Il rapporto tra la comunicazione e i processi di sviluppo è stato osservato tanto nelle regioni dei paesi sottosviluppati del Terzo Mondo quanto nelle regioni in ritardo dei Paesi Occidentali;

2. I risultati dell’osservazione dipendono molto da alcune variabili assunte nel corso delle fasi di studio, quali:

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Idea di sviluppo posta alla base della riflessione (teorie della modernizzazione vs teorie critiche vs teorie dello sviluppo locale);

Tipologia di comunicazione analizzata (comunicazione mass-mediale vs comunicazione interpersonale);

Variabili di contesto inglobate nelle ricerche e nelle teorie economiche (fattori culturali dello sviluppo, fattori macro sociali, fattori istituzionali).

3. La comunicazione mass-mediale ha attirato il maggiore interesse degli studiosi che hanno mostrato come:

Essa agisca in presenza di altri fattori anche di maggiore importanza; La comunicazione mediale sia una delle componenti del processo di sviluppo; La comunicazione mediale abbia numerosi effetti ma che essi non siano né

diretti né dalla funzione esclusivamente positiva sulla riuscita del processo; La comunicazione mediale non sia la sola forma di comunicazione che

intervenga nei processi di sviluppo; La comunicazione mediale debba integrarsi con quella interpersonale per

contribuire insieme a generare il cambiamento sociale necessario allo sviluppo.4. La comunicazione (di qualsiasi natura essa sia) non può da sola innescare lo sviluppo

ma deve essere considerata, se ben adoperata, una risorsa ad esso utile. 5. La comunicazione interviene nei processi di sviluppo con effetti positivi se i contesti

socio-culturali sono in fase di profonda trasformazione.6. La comunicazione può rispondere a diverse funzioni, tra le quali:

quella di legittimazione ideologica dei processi di sviluppo; quella di attivare la mobilitazione e la partecipazione attiva nei processi; quella di dare contenuti, risposte e criteri di pensiero sui problemi creati dallo

sviluppo;7. La comunicazione funzionale allo sviluppo (“comunicazione per lo sviluppo”) deve

rispondere a criteri di: Circolarità del processo; Attenzione al contenuto basato su valori di sviluppo endogeno e qualitativo del

territorio; Utilizzo non invasivo e irrispettoso delle tecnologie di comunicazione; Importanza e partecipazione delle collettività che vivono nelle aree

sottosviluppate; Integrazione con gli obiettivi di sviluppo che si intende perseguire; Sostenibilità dei contenuti e dei processi.

8. La “comunicazione per lo sviluppo” si dà in particolare nel campo delle politiche pubbliche in cui la comunicazione esprime al meglio la sua specifica funzione in favore dello sviluppo.

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2 LA COMUNICAZIONE NEL CICLO 2000-2006 DEI FONDI STRUTTURALI

Per descrivere i processi informativi e comunicativi attivati durante il ciclo 2000-2006 dei Fondi Strutturali si possono seguire diverse linee d’analisi. La più immediata è quella che riguarda i Piani di Comunicazione allegati ai Programmi Operativi Regionali delle sette Regioni Obiettivo 1, in cui sono descritti obiettivi, strumenti e target delle attività di comunicazione. Da una precedente analisi (Bloise, 2007) è emerso come gli obiettivi di tali Piani avessero una natura prettamente informativa, soprattutto al livello generale, con una accezione comunicativa più marcata invece al livello di obiettivi specifici.Tuttavia anche i POR sono una ricca fonte di informazioni per approfondire come una politica pubblica possa utilizzare e generare attività e prassi comunicative a sostegno dei processi di sviluppo. La ricerca degli aspetti informativi e comunicativi dei POR passa dunque attraverso l’analisi delle misure; una analisi che non riguarda quanto effettivamente realizzato ma i possibili risvolti generati dalle scelte progettuali, è cioè un’analisi ex-ante delle potenziali caratteristiche delle misure, e non ex-post sugli effetti, diretti o indiretti, da esse ottenuti.A monte si impone quindi una domanda: come cogliere le caratteristiche comunicative o informative di tali interventi di sviluppo? La strada di suddividere, quasi con un atteggiamento manicheo, l’insieme delle misure supportate da attività a carattere informativo da quelle impostate su attività comunicative non è però percorribile; non è plausibile né in termini metodologici (come distinguere dal solo titolo delle misure elementi pro o contro una simile suddivisione?) né tantomeno in termini di coerenza teorica. Anche il processo comunicativo, infatti, si costituisce immancabilmente di elementi e componenti informative che sono sì iniziali ma nevralgiche per la riuscita del processo: “La comunicazione prevede sempre un’attività informativa e questa, a sua volta, richiede una corretta comprensione, quindi l’instaurarsi di un canale efficace tra emittente e destinatario” (Mancini, 2004, p. 100). Poiché tale distinzione tra le due funzioni non è semplice ma è centrale per una iniziale descrizione della comunicazione “possibile” nei processi di sviluppo, si è propeso per un’analisi il cui criterio di distinzione fosse esterno alle misure e il più possibile rigoroso: la fonte che risponde a queste caratteristiche risulta essere il Regolamento CE 1159/2000 che interviene proprio sulle attività di pubblicità e informazione dei POR e che presenta i principi guida per la “trasparenza” e la “pubblicità” dei Programmi.Il Regolamento dà quindi delle indicazioni piuttosto chiare sulle attività che possono (e in alcuni casi, “devono”) seguire gli interventi specifici dei POR. Per le infrastrutture, per esempio, il Regolamento descrive, anche entrando nel dettaglio, i mezzi informativi (targhe, manifesti, cartelloni, cfr. art. 3.2.2.2) da garantire alla collettività come strumento di trasparenza. Lo stesso Regolamento, all’art 3.2.1, prescrive tale utilizzo anche per gli interventi in favore delle imprese e per le attività formative, ammettendo il ricorso a strumenti differenti. Per quanto si utilizzino strumenti diversi, però, il fine del contatto tra

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amministrazione e cittadino è comunque quello informativo sull’erogazione di risorse e opportunità per le persone o per le imprese, un fine che nella maggiorparte dei casi si realizza senza feedback, senza, cioè, reali possibilità di comunicazione circolare.Queste tre tipologie sono dunque da separare dagli altri, il cui aspetto informativo in senso stretto è prevalente (soprattutto per le infrastrutture) e per le quali anche le campagne di comunicazione hanno obiettivi finali informativi e di trasparenza. “Nel concetto stesso di campagna, così definita, si perde ogni possibile differenza tra informazione e comunicazione. Non a caso, nella maggior parte dei casi si usano indistintamente le due dizioni ‘campagne di comunicazione’ e\o ‘campagne di informazione’” (Mancini, 2004, p. 104) . E la dimensione comunicativa? Per questa funzione è importante ribadire che non possiamo associare l’uso degli strumenti di comunicazione di massa con la certezza di una comunicazione circolare; tanto più che nel contesto del Regolamento il concetto di “comunicazione” va associato soprattutto con quello di “pubblicità” o al massimo di formazione dell’opinione pubblica. La comunicazione di cui si parla nel Regolamento non esaurisce dunque quella a cui si riferisce l’esperienza degli esperti intervistati in una seconda fase della ricerca. Ai principi minimi del Regolamento sono stati aggiunti infatti anche quelli desunti dalla conoscenza sul campo delle diverse realtà e strutture organizzative di gestione dei POR.Proprio da quanto appreso nella fase della ricerca sul campo emergono ulteriori riflessioni sulle funzioni informative-comunicative: la Figura 1 presenta una ipotetica linea logica che riguarda tutte le attività “possibili” nelle politiche di sviluppo.

Figura 1 Linea logica della comunicazione nelle Politiche di sviluppo

Al primo estremo si può isolare la comunicazione interna alla Pubblica Amministrazione; all’altro capo, invece, tutte quelle attività che abbiano accenti partecipativi e deliberativi più che soltanto comunicativi. Il riferimento all’“interno” dell’Amministrazione non deve far pensare ad una restrizione di visuale e quindi di effetti. In realtà nel POR sono progettati interventi per la modernizzazione della PA, interventi che sono molto numerosi e ricalcano la stessa struttura della filiera istituzionale. Al centro, il grande blocco che va dall’informazione alla comunicazione, irrimediabilmente sfumate l’una nell’altra: nel passaggio dalla prima funzione (che si contraddistingue essenzialmente per l’informazione sui bandi e la trasparenza sulle procedure) alla seconda, si posiziona la “condivisione della visione della politica”

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(comunicare la policy – e non gli interventi –, la visione che l’amministrazione ha su una specifica macroarea come potrebbe essere la Ricerca piuttosto che il Turismo o l’Internazionalizzazione), un obiettivo che rientra tra le funzioni informative ma che pone le basi per quelle comunicative successive. La comunicazione vera e propria, può essere realizzata tanto in termini puntuali (comunicare con la collettività in occasione di uno specifico progetto), che settoriali (comunicare che le autorità amministrative stanno intervenendo con progetti specifici ma integrati su un settore dell’economia o della società locale, come il Turismo o i Beni Culturali). Un’altra sfumatura della funzione comunicativa riguarda la possibilità che alcuni interventi dei POR diano vita a vere e proprie attività di comunicazione indiretta, realizzate dai privati a completamento dell’intervento finanziato. È esemplare il caso del POR della Regione Campania: per l’Asse VI Reti e nodi di servizio una delle condizioni necessarie all’erogazione del saldo è che l’azienda disponga di un sito internet completo e accessibile (cosiddetta targa virtuale). Sulla base di queste riflessioni è stata costruita la tabella dei criteri e dei relativi codici per l’Analisi del Contenuto dei titoli delle 408 Misure attive (poichè effettivamente finanziate) e equamente ripartite tra i sette POR1. Nella tabella dei criteri sono citate tutte le parole-chiave utilizzate per l’attribuzione dei codici (micro e macro): i primi sono quelli che hanno permesso di distinguere le varie categorie mantenendo una certa varietà, i secondi sono “macrocodici” che, invece, raggruppano i precedenti e li suddividono in due categorie più ampie che fanno capo, da un lato, alle semplici “informazione” (I) e “comunicazione” (C), e dall’altro alla “comunicazione interna” (CI) e alla “partecipazione” (P).

Tabella 1 Criteri per l’attribuzione dei dodici

Reg CE 1159/00 funzione

tipologia di

interventocriterio chiave Cod. Macro

cod. strumento/attività ipotizzata

Art. 3.2.2 Informazione Infrastruttu

reinfrastrutture,

edilizia scolastica A I cartelloni, manifesti, targhe

Art. 3.2.1 Informazione Imprese

aiuti, imprese, imprenditorialità,

industriaB I

pubblicazioni istituzionali (Bur, Doc. di programmazione); bandi,avvisi pubblici su stampa, spot

radio-tv, on line-,comunicato e conferenza stampa

Art. 3.2.1

Form. Opinione Pubblica

Formazione

formazione, competenze, azioni

per le risorse umane

F I-C

Art. 4.1 Coordinamento

Amministrazione

organizzazione, pubblica

amministrazione, p.a., enti locali, settore pubblico,

PA CI

flussi comunicativi interni alla Task force, alla Regione, fra Regione e Amm. Centrali;

gestione sito web e campagna di comuincazione;

1 Sicilia 19%, Campania 17%, Puglia 15%, Sardegna 14%, Calabria 13%, Molise e Basilicata 11%.

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accompagnamento assistenza tecnica,

partenariato, cooperazione,

sistematizzazione conoscenza

manualistica per la grafica, per targhe e cartelloni;produzione loghi

Art. 3.2.2.2

Comunicazione Della Policy

…sistema,

internazionalizzazione

PC C

spot radio-tv-stampa, cartellonistica, sito web, contact center, eventi (partecipazione ad

eventi, fiere, mostre), gadget

Art. 3.2.2.2

Comunicazione Puntuale …

valorizzazione, inserimento, prevenzione,

servizi

C0 Cpubblicazioni ad hoc, cd e dvd

per gruppi di utenti presentati in occasioni comunicative

Art. 3.2.2.2

Comunicazione Di Settore …

promozione, fruizione,

patrimonioC C

spot radio-tv-stampa, cartellonistica, sito web ad hoc, contact center, eventi generali e ad hoc (eventi, fiere e mostre),

convegni e seminari ad hocArt.

3.2.2.2Marketing Territoriale … commercializzazio

ne, marketing M C

Art. 5 Partecipazione …

legalità, protezione civile, programmi di ambito locale,

reti

P P

ricerca-azione, tavoli partenariali, animazione

territoriale, comunità on line, ricerca valutativa, workshop,

restituzione risultati (inaugurazioni-cataloghi opere-

seminari-campagne pubblicitarie)

Art. 5 Deliberazione … aree urbane U P arene deliberative

I titoli sono stati quindi ripartiti in queste categorie la cui costituzione ha comportato la riflessione metodologica, molto complessa, appena descritta. L’attenzione è necessariamente caduta sui titoli delle misure poiché a causa del loro elevato numero e della loro eterogeneità sarebbe risultato impossibile scendere nel dettaglio dei loro contenuti. Una serie di misure non presentavano però un titolo in grado di permettere un ragionamento sulle possibili attività comunicative, perché troppo sintetici o, come in qualche caso, lunghi ma molto eterogenei; altre avevano titoli generici o riferimenti ad articoli di leggi. Per permettere un’analisi realmente approfondita si è perciò deciso di separare queste misure (22%) da quelle ritenute “utili” all’analisi, riducendo a 318 quelle su cui effettuare l’analisi del contenuto. Per l’attribuzione dei codici si è proceduto con una classificazione a cascata poiché l’analisi dei titoli ha evidenziato che le diverse “parole chiave” erano spesso compresenti: più che procedere meccanicamente si è pensato di dare priorità agli interventi esplicitamente descritti dal Regolamento (infrastrutture – codice A; imprese – codice B; e formazione – codice F), per poi procedere con una analisi del contenuto a carattere prettamente qualitativo.

2.1 Analisi delle Misure per Codici, Assi e POR

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Dall’analisi emergono diverse informazioni e indicazioni: la prima riflessione riguarda i valori ottenuti dai diversi codici.Come è evidente dal grafico c’è una certa predominanza del codice sull’informazione per le imprese (codice B) seguito da quello sulla formazione (codice F), rispettivamente al 23,3% e al 18,2%: il primo riguarda attività funzionali all’intervento amministrativo (come l’evidenza data ad atti pubblici o la pubblicazione dei bandi), ma comprende anche attività finalizzate alla trasparenza (come le pubblicazioni di documenti programmatici) o a carattere istituzionale, come i comunicati e le conferenze stampa; il secondo invece è relativo alle attività di formazione dal forte impatto sull’opinione pubblica. Se si aggiunge la terza categoria le cui attività info-comunicative sono descritte nel regolamento 1159/2000, quella delle infrastrutture (Codice A), che pesa per il 9,4% e che ha anch’esso funzione informativa, si può affermare che per poco più del 50% delle misure ci siano risvolti prettamente e strettamente informativi.

Grafico 1 Distribuzione di frequenza dei codici in %

Le ulteriori misure si distribuiscono fra il codice relativo ad interventi di comunicazione direttamente collegati a singoli progetti o finanziamenti (codice C0 al 12,3%), quello delle campagne di comunicazione settoriale (codice C all’8,8%) e quelle di comunicazione della policy (codice PC al 5,3%): le campagne di comunicazione singole o integrate coprono così circa il 26% delle misure. Fatte salve le due macro categorie dell’informazione (al 50%) e delle campagne comunicative (26%), sui POR possono essersi inserite attività di comunicazione interna (PA al 9,1%); forme di partecipazione e deliberazione della cittadinanza (rispettivamente codice P al 5,7% e codice U al 3,8%) e, infine, comunicazione indiretta da parte dei privati (codice M al 4,1%).

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Per arricchire la conoscenza sulle attività programmate ci siamo dunque chiesti come tali codici si disponessero nei singoli Assi. Il grafico successivo comunica le principali informazioni: nell’asse III e IV si concentrano più codici con valori alti e, coerentemente con quanto già emerso, l’informazione per le imprese (codice B) raggiunge il valore massimo nell’Asse IV dello Sviluppo Locale, confermando questa attività come la più gettonata; al secondo posto, per valore assoluto più alto, è il codice F nell’Asse III delle Risorse Umane.

Grafico 2 Distribuzione dei Codici per Asse

Queste considerazioni generali vanno quindi integrate con quelle per singolo Asse.- Con l’Asse I sono stati finanziati interventi sulle Risorse Naturali. Le sue misure sono state raggruppate in ben 7 codici su un totale di 10. Su 27 misure utili, il valore più alto è stato raggiunto dal codice P: per come titolate, 6 misure potevano cioè generare un’attività di partecipazione diretta della collettività nella realizzazione degli interventi sull’ambiente. Il dato è significativo di una possibile apertura a livello regionale in favore delle pratiche di negoziazione territoriale degli interventi più critici (in termini di sostenibilità ambientale), seppure questo valore sia ancora piuttosto basso rispetto al totale e riguardi poche regioni. La distribuzione degli altri codici non fa segnalare particolari informazioni, mentre va annotata la completa assenza del codice PC su interventi di comunicazione della policy: è plausibile pensare che, per come progettate, nessuna misura in campo ambientale abbia spinto le istituzioni a comunicare la propria visione, impoverendo quindi quella partecipazione cui si accennava.

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- Un terzo dei titoli dell’Asse II Risorse Culturali sembra generare attività di comunicazione settoriale (codice C) nel relativo ambito di interesse, mentre bassa sarebbe stata la comunicazione sulle scelte di politica (solo 2 misure).- Nell’Asse III Risorse Umane spicca il numero di misure classificate con il codice F (36 su 112), cioè attività formative, e si registra il più alto valore di misure a carattere comunicativo puntuale (codice C0). La formazione è un settore in cui è facile trovare molti interventi dedicati di comunicazione al grande pubblico. In questo Asse si concentrano molti numeri alti: anche il codice PA della comunicazione interna raggiunge un buon valore. Le misure responsabili di tale dato sono quelle per l’organizzazione dei centri e dei servizi per l’impiego ma anche quelle di formazione per il personale della PA.- Per l’Asse IV Sistemi Locali di Sviluppo spicca la forte presenza del codice B di informazione alle imprese (50 misure), seguito dal codice A di pubblicità sugli interventi infrastrutturali (18 misure): dato forte ma scontato poiché questo asse è quello che per eccellenza finanzia le imprese e le infrastrutture per il miglioramento del contesto produttivo. La componente comunicativa risulta discreta nel complesso (23 misure), e svolgono un ruolo importante le misure del codice M, quelle che potrebbero generare comunicazione da parte dei privati. Il codice relativo alle misure con ricadute nell’ambito del marketing e della commericalizzazione è infatti tutto concentrato in questo Asse. - Come era lecito attendersi, poiché per gli interventi urbani è stato predisposto un codice ad hoc, nell’Asse V Città emerge il ruolo del codice U che fa contare 11 misure con possibili attività deliberativa. I rimanenti 6 interventi sono distribuiti in altri 4 codici, mentre si segnala la mancanza del codice PA di comunicazione organizzativa nelle Amministrazioni, che invece dovrebbe accompagnare tali interventi complessi.- L’Asse VI Reti e nodi di servizio è quello che ha perduto più informazioni e non fa segnalare particolari concentrazioni delle sue 16 misure nei 6 codici interessati. Questo è dunque la tipologia di intervento per lo sviluppo sul quale la comprensione del nostro fenomeno è più scarsa.- L’Asse VII Azioni di sistema e Assistenza tecnica non ha perduto informazioni nell’analisi e le 9 misure codificate si concentrano tutte nel codice PA della comunicazione interna. La sola annotazione riguarda l’assenza di misure con possibile risvolto comunicativo di policy che, invece, sarebbero state funzionali ad estendere verso l’esterno quel clima di fiducia sempre utile allo sviluppo sociale ed economico delle comunità locali.

Questi i dati per codici e assi, ma cosa è avvenuto invece a livello di POR? Da tutte le informazioni raccolte e da quelle sui POR del grafico successivo, emerge con una certa evidenza come le misure che potrebbero aver determinato attività di informazione siano le più numerose, poiché in tutti i POR esse hanno la prevalenza. Le cifre relative alle misure che

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generano campagne di comunicazione non sono però meno rilevanti, seppure in alcuni casi la distanza dalle prime sia maggiore (Campania, Puglia e Sicilia).

Grafico 3 Distribuzione dei Macrocodici per POR

Se la comunicazione organizzativa interna alla PA si ferma in diversi casi a valori bassi (sotto il 2%), in altri si attesta su valori comunque non bassi (come Sicilia e Campania rispettivamente al 3,5% e 1,9%). Ad una certa distanza, invece, il codice delle attività partecipative che sono al minimo in Molise (0,3%) e in Basilicata (0,9%) e al massimo in Sicilia (3,5%).

3 INCONTRARE I COMUNICATORI

A completamento dell’analisi sui POR è stata realizzata anche un’indagine qualitativa per descrivere le principali problematiche e linee di approfondimento sulla Comunicazione nelle Politiche di Sviluppo dei Fondi Strutturali. Fra la prima metà del 2007 e la conclusione dell’anno sono state condotte otto interviste a diversi esperti: 2 Referenti centrali titolari di Programmi Comunitari, 4 Referenti regionali esperti per la comunicazione del POR, 2 esperti che nel ciclo 2000-2006 se ne sono occupati, uno a livello di politica europea, l’altra come esperta Formez. È subito emerso che il gruppo “Informazione e pubblicità” aveva già raccolto quanti si fossero occupati di questo tema in diverse occasioni di discussione e incontro. Bisognava quindi prendere contatto con loro e fissare la tempistica delle singole interviste ed era evidente quanto sarebbe stato difficile stabilire un contatto senza un riconoscimento formale.Piccardo (1996) riconosce, infatti, che per un’analisi in profondità la prima barriera fra intervistato e intervistatore non si pone soltanto durante la conduzione dell’intervista ma soprattutto al momento della presa di contatto, quando l’intervistato percepisce di essere sotto

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osservazione. Per questo motivo si suggerisce di “farsi introdurre”, di entrare in contatto con l’intervistato attraverso un meccanismo di fiducia preesistente. L’occasione favorevole si è data nel maggio del 2007 quando, per fare il punto della situazione sul tema delle attività di comunicazione dei Fondi Strutturali, il Dipartimento Politiche di Sviluppo ha organizzato un convegno al quale prendessero parte i referenti della comunicazione coinvolti nei vari livelli amministrativi italiani e i colleghi di altre Regioni europee, in particolare dell’Est Europa. Si è dunque deciso di prendere contatto con il solo che potesse fare da mediatore: la Responsabile dell’Ufficio Comunicazione del DPS, la quale ha subito accettato la possibilità di un’intervista e ha dedicato molto tempo – nella settimana successiva – a tale incontro.Nel maggio del 2007 è stata realizzata, dunque, la prima intervista in profondità, ottenendo anche l’obiettivo di prendere contatto con gli altri esperti attraverso un mediatore che ne conquistasse la fiducia. Prima di entrare nel dettaglio delle informazioni raccolte con le interviste, bisogna sottolineare la completa disponibilità a raccontarsi di quanti sono stati intervistati. Tale disponibilità ha dimostrato un sincero e generale interesse per il tema: si voleva cioè comprendere con l’intervistatore quali fossero le reali potenzialità della comunicazione nelle politiche di sviluppo e probabilmente sfruttare l’occasione di dialogo per effettuare un’autoriflessione su quanto realizzato; in altri casi, certamente per cause esterne all’occasione dell’intervista, il dialogo è stato volontariamente spinto dall’intervistato verso argomenti specifici, a discolpa o a rimprovero della pubblica amministrazione in cui si agiva.Entrambi i due atteggiamenti sono stati in qualche modo neutralizzati durante lo svolgimento dell’intervista, si è cioè affrontato il discorso dell’inefficienza/efficienza della P.A. con completezza una volta per tutte, per poi superare più velocemente lo scoglio del riproporsi di questo tema in tutte le altre aree di discussione.In questo senso, l’intervista è stata vissuta dagli intervistati più come una metariflessione quasi psicanalitica che una trasmissione di informazioni e dati preconfezionati.Per quanto riguarda l’incipit dell’intervista, a tutti è stata rivolta una domanda iniziale completamente aperta; è stato presentato il tema di ricerca con un brevissimo commento senza citare alcuna aggettivazione della comunicazione che si volesse osservare e discutere ma entrando nel dettaglio della specificità e della funzione delle politiche di sviluppo. Si è cioè commentato che il tema della “comunicazione inerente le politiche di sviluppo” poteva essere affrontato ad ampio raggio dagli intervisti, pur restando nel campo della politica dei fondi strutturali e del ciclo 2000-2006.Una impressione generale che si deve riportare prima di entrare nel dettaglio delle risposte è che gli otto esperti hanno descritto forme di comunicazione differenti l’una dall’altra, ricalcando alcune possibili accezioni di quella che descriveremo come la “comunicazione per lo sviluppo”.

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I discorsi di ognuno sono cioè partiti da quella comunicazione che nell’esperienza professionale era stata realmente realizzata; seguendo il filo dei loro discorsi spontanei si è poi passati per alcune aree di discorso già identificate dall’intervistatore come nevralgiche.Questa fase di raccolta delle informazioni sul campo ha quindi permesso di discutere di alcuni punti focali: in primis la struttura amministrativa in cui l’esperto si è inserito, la cultura comunicativa rintracciata al suo interno e prima ancora le strategie organizzative adottate per la gestione e comunicazione del POR; quindi le attività realmente realizzate, tanto di comunicazione esterna quanto interna, e, infine, una riflessione sulla comunicazione per lo sviluppo, il suo ruolo e le sue potenzialità. Il primo elemento su cui si deve concentrare l’attenzione è la completa sovrapposizione tra il tema della “comunicazione nelle politiche di sviluppo” e quello della comunicazione “esterna”, comunicazione cioè rivolta al di fuori delle amministrazioni, verso specifici target di pubblico essenzialmente identificabili nei “cittadini”.Questa direzione predominante verso l’esterno va di pari passo con la principale funzione attribuita alla comunicazione dei fondi dal Regolamento 1159, una funzione essenzialmente legale, introdotta direttamente da tale regolamento e realizzata in termini di trasparenza e informazione. Non si può trascurare, inoltre, che a questa tipologia di comunicazione sia associato, nella interpretazione fornita dagli intervistati, l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa, quali tv e giornali, e in maniera ancora più immediata il web.Solo in alcuni casi e spesso sotto la spinta dell’intervistatore è emerso invece il problema che la comunicazione nelle politiche di sviluppo potesse essere anche comunicazione “interna”, una comunicazione che in primis raccordasse le informazioni da partecipare ai cittadini, e che coinvolgesse e permettesse di informare anche un altro target importante delle politiche di sviluppo: le altre amministrazioni pubbliche presenti sul territorio, quelle cioè più vicine a tali cittadini.Affine a questo importante tema, è emerso anche quello della comunicazione organizzativa, realizzata essenzialmente attraverso i piani di comunicazione e il gruppo di lavoro del DPS. Entrambi gli argomenti sono stati trattati da tutti gli esperti con un linguaggio tecnico e specialistico che lascia emergere le specificità dell’esperienza osservata e che ripropone al centro dell’attenzione il tema, più generale ma nevralgico, della programmazione delle politiche di sviluppo.È risultato che nessuno degli intervistati abbia direttamente partecipato alla fase di programmazione del Piano di Comunicazione, avvenuta intorno al 2001. Questo dato dipende con molta probabilità dalla fase, storica e amministrativa, in cui si sono trovate le Regioni coinvolte: il processo di programmazione dei POR ha rappresentato per molte regioni italiane un forte momento di innovazione amministrativa che è stato insieme occasione di crescita e sforzo considerevole per i tecnici coinvolti. I tempi stringenti e il gran lavoro già effettuato per la stesure del POR non hanno spinto i decisori amministrativi ad avviare immediatamente

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la selezione del personale competente sulle azioni di comunicazione (come per tutte le altre funzioni), scelta che certamente avrebbe apportato notevoli vantaggi alla riuscita finale delle attività (basti pensare agli effetti positivi della collaborazione degli esperti coinvolti sin dal processo ideativo) ma che non era realizzabile nell’immediato. Un intervistato spiega così quelle circostanze: “I programmi sono stati approvati con gravissimo ritardo. Sono stati approvati nel secondo semestre del 2001. Tutti. Per una serie di cose che non le sto a raccontare e che conosco anche poco. Per cui nella fretta di fare…chiaramente quando tu devi redigere documenti complessi in poco tempo…è colpa di tutti. Senza responsabilità specifiche. È evidente che c’è stata questa contraddizione”.A questo fattore, che sembra ragionevole ma che svela poco del lavorìo in cui le Regioni hanno vissuto questa prima fase – e che anzi non le illumina positivamente – si aggiunge un secondo motivo che riguarda le circostanze organizative in cui i piani di comunicazione si sono imbattuti: gli esperti responsabili della loro gestione e realizzazione dovevano far parte di strutture create ad hoc per la stessa gestione e realizzazione dell’intero POR, strutture che all’epoca della scrittura del documento non esistevano e che, in alcuni casi, sarebbero state completate e rese fattive solo qualche anno dopo.Per quanto riguarda i contenuti, su tutte è significativa la ricostruzione che ne fa un altro esperto, molto utile alla ricostruzione delle problematiche generali aperte con la legge 150/2000, e con l’introduzione del regolamento CE 1159/2000 che prevedeva proprio la stesura dei Piani di Comunicazione: “Abbiamo dovuto per la prima volta cimentarci con la stesura di un piano di comunicazione. Io ancora non c’ero ma sarebbe stata la stessa cosa: non avevamo ancora la maturità per fare da soli un piano di comunicazione così complesso, di durata di sei anni, con un budget così rilevante e in effetti fu fatta una gara per scegliere dei consulenti esterni che aiutarono a scrivere il piano e da quella esperienza si è imparato a fare alcune cose…”L’articolazione di questo strumento è stata, dunque, dal nostro punto di vista, un momento cruciale, in cui è emersa la complessità, si sono moltiplicate le possibili strategie, sono state seguite traiettorie differenti per rispondere allo stesso problema. È stato l’inizio di un percorso che, ha prodotto come primo risultato il documento testuale vero e proprio e che, suscitando diverse problematiche di gestione, ha determinato l’inserimento presso la struttura complessa di gestione del POR di un “esperto per la comunicazione”.Pur nella loro varietà, le attività sono state comunque realizzate nel sessennio; motivo per cui gli intervistati hanno toccato l’elemento, non ancora centrale nella letteratura, della valutazione delle attività di comunicazione: gli intervistatori hanno lamentato tutti una carenza di attività su questo aspetto e hanno aperto anche quello centralissimo della “comunicazione della valutazione”. La comunicazione è riuscita a penetrare nella fase programmatica della politica di sviluppo, ma non nella fase valutativa: tutti gli esperti hanno cioè riflettuto sull’importanza, ai fini dello “sviluppo” (inteso come processo sociale oltre che

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economico, e condiviso con i cittadini oltre che di responsabilità amministrativa), della comunicazione dei risultati dei programmi.Infine qualche accenno, proposto dai diversi intervistati, ad altri temi: i rapporti fra la comunicazione istituzionale e quella politica, fra quella istituzionale e quella del POR; la comunicazione in occasioni di crisi, e infine la cornice delle scelte politiche europee (e della relativa comunicazione) che, tuttosommato, i fondi strutturali portano con sé.

4 CONCLUSIONE: QUESTIONI PER UNA MODELLIZZAZIONE

L’argomento di ricerca è riassunto nell’espressione “Comunicazione nelle Politiche di sviluppo”: si è verificato come affrontare un percorso di ricerca che abbia come focus le politiche di sviluppo significa entrare in uno spazio concettuale e pragmatico denso di complessità e di interdipendenza; aggiungere poi a questa base l’ingrediente “comunicazione” significa aumentare la varietà dei contenuti e dei temi in maniera esponenziale.Quali dunque le questioni aperte con la ricerca? La scelta di osservare la comunicazione dal punto di vista degli attori del processo (e non del mezzo né degli effetti) fa’ sì che in primo luogo emerga la necessità di definirli correttamente cogliendo la portata del loro operare, prima ancora le funzioni che assolvono e, infine, la visione generale entro la quale si muovono.Nonostante l’ampio dibattito sulle politiche cosiddette bottom-up, i processi di cui ci occupiamo non hanno ancora raggiunto questa caratteristica e risultato; vivono cioè il paradosso di essere politiche top-down sorte con lo scopo di innescare processi bottom-up. (Viesti, Prota, 2006).È evidente dunque come il processo comunicativo, come gli altri, nasca in ambito istituzionale e non dal basso; nelle Regioni e nelle Amministrazioni centrali più che nelle comunità locali. Pur restringendo a questa categoria di fonti il ruolo di “emittente”, il loro numero rimane comunque molto alto. Va infatti tenuto nel conto il punto di vista dell’Unione Europea, quello delle diverse Amministrazioni Centrali e di quelle Regionali, fino ad arrivare – dopo diversi passaggi – al livello degli enti locali più vicini ai cittadini. Bisogna aggiungere inoltre che in qualche caso esso nasca dal basso, che le comunità locali svolgano un ruolo forte o che, come è più comune, le Istituzioni puntino a sviluppare tale “ribaltamento” nell’ottica di una maggiore partecipazione. Affrontando il tema della regolazione del processo comunicativo ci si rende conto, inoltre, che la categoria “emittente” così intesa è da un lato troppo ampia e dall’altro troppo rigida per permettere di interpretare correttamente il processo comunicativo nelle politiche di sviluppo: anche i media come la stampa diventano spesso fonti di una comunicazione sul POR che interviene e influenza quella ufficiale, quella prodotta dalle Amministrazioni, e in quanto agenti di un più ampio processo comunicativo essi devono essere considerati.

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Ancora più problematica, sin da questa fase, è l’identificazione dei riceventi: chi sono i riceventi di questa comunicazione? Si possono equiparare ai soli “destinatari” dell’intervento pubblico? Quanto è utile sovrapporre la categoria dei riceventi con quella di imprecisati “cittadini”? Su queste domande la chiarezza è imprescindibile perché sono la fonte di molti equivoci: un errore nella definizione dei target è universalmente riconosciuto come pregiudiziale per l’intero processo. Ciò che si intuisce subito è che comunque si stia parlando di riceventi al plurale più che ad un singolare omogeneo e perfettamente composito al proprio interno. Certamente i “riceventi” saranno un pubblico vasto e multiforme da raggiungere con strumenti via via diversi e con fini che incrocino i loro interessi.Questa prima classificazione concentrata sugli attori del processo presenta comunque una terza categoria che può o non può intervenire “formalmente” ma che assume in ogni caso un significato. È una categoria “intermedia” nel senso quasi letterale del termine perché è composta da enti e organizzazioni – più che da singoli individui – che intervengono nel processo in condizione esattamente intermedia tra emittente e ricevente: sono gli spettatori/attori del Partenariato, espressione con la quale si indicano – in questa politica - tutti i “partner” dei progetti di sviluppo (dalle organizzazioni della società civile più regolamentate a quelle sporadiche e finalizzate a singoli obiettivi). Per entrambi i soggetti sarebbe utile approfondire il tema con studi specifici che potremo solo abbozzare in questa sede. Ci preme domandarci però quanto gli amministratori e i teorici siano consapevoli della loro presenza nel processo e come si relazionino concretamente (positivamente o negativamente) fra loro?Una ulteriore modalità di osservazione della “Comunicazione nelle politiche di sviluppo” è quella relativa alla attivazione/legittimazione normativa del processo. Poniamo questa questione – probabilmente secondaria agli occhi di un esterno – trasversalmente a quella fondamentale degli attori del processo perché per comprendere come il tema si declini nella realtà in un contesto come quello della pubblica amministrazione italiana, fortemente normata e spinta al cambiamento attraverso leve di natura giuridica più che organizzative, sarebbe inopportuno sorvolare sugli atti legali che, quanto più nel caso dei Fondi Strutturali, legittimano l’azione comunicativa dei diversi attori. Nel proporre questo tema ci chiediamo però se il momento dell’attivazione di processi comunicativi nei fondi sia coinciso con la legittimazione giuridica delle attività o se tale riconoscimento sia avvenuto ad esperienza già avviata, e soprattutto quanto la marca normativa abbia indirizzato lo svolgimento delle attività e quindi i relativi risultati? Nel caso specifico i campi di indagine si restringono a due atti fondamentali:

- la Legge 150/2000 sulla comunicazione pubblica;- i Regolamenti comunitari sulle attività di informazione e comunicazione

dei Fondi Strutturali.

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Le questioni più complesse sorgono probabilmente nel momento in cui ci si pone il problema della funzione svolta dalla “Comunicazione nelle politiche di sviluppo”. Le risposte possono essere infatti di varia natura:

- Legale: le funzioni sono quelle indicate dai regolamenti e, in quanto tale, la comunicazione viene così programmata e quindi realizzata;

- Pragmatica/amministrativa: la comunicazione è solo uno dei processi inerenti i finanziamenti e quindi si sceglie di darle la funzione più consona alle esigenze amministrative;

- Operativa/istituzionale: la comunicazione interviene in un contesto in cui le “esigenze” coincidono spesso con le “emergenze” e quindi assolve funzioni “riparatrici” e comunque ausiliarie.

- Teorica/politica: le funzioni della comunicazione possono spaziare in molteplici campi della vita sociale; sta quindi al decisore pubblico conciliare le diverse esigenze e visioni d’insieme finali.

Le differenti caratteristiche di queste funzioni fanno ritenere che l’analisi casistica sia uno strumento molto utile per redigere un elenco di “funzioni base” svolte dalla “Comunicazione nelle politiche di sviluppo”. Così come si può immaginare che in ogni singolo caso il processo comunicativo assolva più di una funzione. Certamente alcune di esse sono identificabili già sul piano teorico se si pensa agli obiettivi:

- “informativi” per l’informazione sui bandi, la trasparenza sulle procedure, la condivisione delle conoscenze;

- “di programmazione” per la partecipazione delle collettività nella programmazione, la condivisione della visione dello sviluppo, la negoziazione nei conflitti;

- “di gestione” per facilitare i giochi di leadership, la responsabilità condivisa, la cooperazione nella gestione, la comunicazione interna, la creazione di reti;

- di “comunicazione esterna” nei rapporti con i media per la costruzione dell’immagine territoriale, il marketing territoriale, la diffusione dei risultati, lo sviluppo di un clima di fiducia, la formazione civica.

Un passo ulteriore e ineliminabile è quello di domandarsi come trasformare questo elenco in una trattazione dettagliata, esauriente e internamente coerente, delle funzioni assolvibili in un teorico processo di sviluppo?Questa analisi tira in ballo anche altre questioni fondamentali circa l’incidenza del fattore “tempo” nel processo e la strutturazione vera e propria dei messaggi comunicativi.Il fattore “tempo” è un criterio di analisi indispensabile: questo elemento è già parte della Communication Research e ha una valenza notevole anche nel caso della programmazione delle politiche di sviluppo che nel caso dei Fondi Strutturali hanno un andamento ciclico. In

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questo momento ci chiediamo: quale comunicazione si realizza nelle diverse fasi del ciclo di vita del programma (nella fase ex-ante; nella fase in itinere; nella fase ex-post)?Utilizzando il catalogo delle attività realizzate si ottiene indirettamente anche il risultato di poter studiare “cosa” si comunichi dal punto di vista delle parti strutturali del messaggio: i contenuti, gli obiettivi, i mezzi e i codici usati.Dal punto di vista dei contenuti e degli obiettivi, l’analisi risulta certamente complessa e può andare a ritroso dall’obiettivo manifesto al contenuto del testo, come può procedere dal contenuto agli obiettivi esplicitati. Dal punto di vista dei mezzi e dei codici usati la casistica invece si restringe ad una gamma circoscritta di strumenti: i media tradizionali, i new media… Un tema che però diventa rilevante in questo ambito è l’incrocio tra le informazioni relative agli obiettivi e quelle relative ai mezzi usati, sulla base dei quali valutare l’adeguatezza dei “mezzi ai fini”. Queste, dunque, tutte le tematiche che si possono aprire studiando la “comunicazione nelle politiche di sviluppo” e in particolare nei Fondi Strutturali! Ognuna di esse ha però un carattere eminentemente descrittivo: premette cioè di ricomporre lo specifico fenomeno sulla base di ipotesi e relazioni forti già vagliate in bibliografia. C’è però un’altra serie di domande che possiamo porre a monte della nostra ricerca e che in un certo senso sono il nucleo originale e fondativo del nostro interesse conoscitivo: quelle che pongono una ipotesi su relazioni non ancora indagateLe une e le altre sono interconnesse fra loro: possiamo infatti porci una domanda in più sul fenomeno proprio perché su di esso abbiamo già percezione e notizia. La risposta alle domande cosiddette “descrittive” è quindi il mezzo per avvicinarci al cuore delle questioni più scottanti. Ci riferiamo cioè al punto di vista dei risultati, tanto generali (socioeconomici) quanto in ambito amministrativo: ci si chiede, seppure essi siano il frutto di una catena molto lunga di operazioni, se si possano imputare direttamente anche al processo comunicativo?I criteri di classificazione sono stati elaborati dalla Communication Research e sono relativi agli attori su cui essi si imprimono (avremo dunque risultati amministrativi, risultati sul contesto economico, risultati sulla sfera sociale nella valenza di opinione pubblica e di diritti esercitati dai cittadini), così come possiamo provare a seguire la catena dei risultati secondo la distinzione operata da Wolf-McQuail e relativa al tempo in cui essi si concretizzano, all’intensità e alla sfera su cui agiscono. La complessità della ricerca deriva proprio dal concatenarsi di tutti questi criteri di analisi: più comunicazioni in uno stesso programma, nelle sue diverse fasi, in base agli obiettivi di ogni fase, all’alternanza degli emittenti, alla varietà dei riceventi; o forse una comunicazione in uno stesso programma ma dai cento volti e dai mille fini!

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6 ABSTRACT

The subject of this research is the economic development, starting from the cultural and communication processes on which it is based, processes that are used by economic agents to support it. It is a complex exercise to define communication and the forms it takes during the process of development, especially if one considers how easily the concept of communication is confused with other aspects. The role of communication and the institutions involved is a topic also addressed by theorists of development, with at least three different positions of strength, ambiguity and multi-use media. In this research on development policies of the Structural Funds 2000-2006 we refer to the definition of the EC Regulation 1159/2000 which gives rather clear indications on the activities that can (and in some cases, “must”) follow the activities of ROP. Also on the basis of indications that emerged during some interviews made to experts who have worked in regional structures, an analysis was conducted about the contents of all the titles of ROP measures. It is shown, then, the importance of public information and the increasing use of institutional communication campaigns and the fact that the web is the most used mean of communication. In conclusion, we describe the most important lines of interpretation of the phenomenon, since the variety of possible initiatives does not allow that the subject of the effects of this communication runs out in a rigid description.