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5·6 MARZO 2014 Auditorium Camera di Commercio via Einaudi, 23 - Brescia www.cgil.brescia.it Tel. 030 3729204 XVII congresso Cgil Per la democrazia e il cambiamento relazione di Damiano Galletti segretario generale Camera del Lavoro di Brescia

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5·6 MARZO 2014Auditorium Camera di Commerciovia Einaudi, 23 - Brescia

www.cgil.brescia.itTel. 030 3729204

XVII congresso Cgil

Per la democraziae il cambiamentorelazione di Damiano Gallettisegretario generale Camera del Lavoro di Brescia

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XVII Congresso Cgil - Per la democrazia e il cambiamento

In premessa ricordo che quest’anno ricorre il 40esimo anniversario della strage di piazza Loggia. Nei giorni scorsi la Cassazione, in merito al processo per la strage, ha annullato le assoluzioni per Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, ordinando per loro un nuovo processo.

È peraltro proprio rispetto alle loro posizioni che Federico Sinicato, avvocato di parte civile anche per la Camera del Lavoro – il quale interverrà nella giornata di domani - aveva chiesto l’annullamento della sentenza di assoluzione. Con la riapertura del processo si tiene quindi aperta la possibilità di arrivare non solo a una verità politica sulla matrice della strage, oramai assodata da tempo, ma anche all’individuazione della responsabilità individuali a partire da Carlo Maria Maggi, allora capo indiscusso dell’organizzazione fascista Ordine Nuovo nel Triveneto. Sono passati 40 anni dalla strage e il ricordo è ancora vivo, come il desiderio di giustizia. Questo risultato si è ottenuto grazie al lavoro dei magistrati e degli avvocati di parte civile, all’impegno della Casa della Memoria e dei cittadini democratici che ogni anno riempiono piazza Loggia.

I NUMERI DEL CONGRESSOUn saluto e un ringraziamento a tutti i delegati, le delegate e gli ospiti di questo congresso, il diciassettesimo. E siccome non siamo superstiziosi, speriamo porti bene alla Cgil. E in ogni caso, non si sa mai, iniziamo di mercoledì e non di venerdì.

Un ringraziamento anche alla segreteria della Camera del Lavoro e a tutto l’apparato politico e tecnico per il lavoro svolto per questo congresso e non solo.

114 mila iscritti31 mila votanti

95% al documento«Il Lavoro decide

il futuro»tra il 55 e il 70%gli emendamenti

Concedetemi un minuto, per dare i numeri di questo congresso: Su 114 mila iscritti aventi diritto tra attivi e pensionati del comprensorio della Camera del Lavoro, hanno votato oltre 31 mila persone nelle assemblee di base e nei luoghi di lavoro, il che corrisponde al 27% del totale degli iscritti, un dato in linea con lo scorso congresso Cgil.

Il primo documento, «Il Lavoro decide il futuro» (prima firmataria Susanna Camusso), ha ottenuto il 95,1% dei consensi pari a 30.123

voti, mentre il documento «La Cgil è un’altra cosa» (primo firmatario Giorgio Cremaschi) ha ottenuto il 4,9% dei consensi pari a 1.550 voti. Nel documento “Il lavoro decide il futuro” hanno ottenuto la maggioranza dei consensi le posizioni emendatarie:gli emendamenti contro la legge Fornero e il ripristino delle pensioni di anzianità con 40 anni di contributi,per la pensione di vecchiaia dai 60 anni, per l’acqua bene comune e per il reddito minimo garantito hanno ottenuto circa il 70% dei voti. L’emendamento del capitolo Contrattazione che prevede «una funzione di tutela universale utile a contrastare la frammentazione dei cicli produttivi e le diverse tipologie di lavoro» ha ottenuto circa il 60% dei voti. L’emendamento aggiuntivo proposto dai luoghi di lavoro che chiede democrazia e partecipazione in Cgil e l’apertura di una consultazione tra i lavoratori interessati dall’accordo

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unico sulla rappresentanza firmato il 10 gennaio scorso da sindacati confederali e Confindustria ha ottenuto il 54 % dei voti dei lavoratori e pensionati che hanno partecipato alle assemblee di base.

Nel risultato dei congressi di base si può evidenziare il ruolo dei delegati e degli attivisti pensionati. Se valutiamo attentamente il voto nello specifico luogo di lavoro o di lega si evince che il risultato finale sul documento 1 o 2 è stato determinato da come i delegati si sono schierati e questo mi fa dire subito che è sbagliata la tendenza a personalizzare lo scontro fra Camusso e Landini. Il leaderismo, lo sappiamo, ha già fatto in politica molti guasti e non è il caso di portarlo anche dentro il sindacato. Vale invece la pena sottolineare e valorizzare il ruolo di tanti militanti, delegate e delegati, capi lega, uomini e donne che - nonostante tutto quello che è avvenuto in cinque anni di crisi - continuano ad avere fiducia nella nostra organizzazione, nella Cgil. Lo confermano gli iscritti, rimasti più o meno un egual numero negli ultimi anni. Ecco, prima di proseguire, credo valga proprio la pena ricordare a noi stessi e a tutti che la Cgil esiste perché ci sono milioni di persone che la sostengono, anche attraverso il tesseramento sottoscritto liberamente, e perché ci sono migliaia di delegati, delegate e capi lega che hanno un rapporto quotidiano con gli iscritti e con uomini e donne nei luoghi di lavoro.

UN GIUDIZIO SUL CONGRESSODopo i numeri, un giudizio sul congresso. Sgombriamo subito il campo dalle polemiche: i rappresentanti del documento 2 hanno dichiarato, sia a livello locale che nazionale, che i dati del congresso sono falsi. Queste parole sono inaccettabili e non rispettose del lavoro che tutti e tutte, a partire dai delegati e dagli attivisti pensionati, abbiamo svolto.

Il congresso è una prova di democrazia.Parole gravi quelle di

chi ha detto che“i risultati sono falsi”

Come dice Roberto Saviano le parole possono essere potenti. Pertanto quando, durante una conferenza stampa fatta a Brescia, i compagni e le compagne che hanno sostenuto il documento che ha come primo firmatario Giorgio Cremaschi, hanno dichiarato che «i risultati e i dati del congresso sono falsi» senza portare alcun fatto concreto che sostenga questa affermazione, ecco, lì si determina una rottura non solo politica ma anche personale tra i compagni. Rimarginare quella rottura richiede tempo, e consapevolezza che

tutti ci dobbiamo impegnare per evitare l’implosione della Cgil e della Camera del Lavoro, già sperimentata nei partiti della sinistra radicale.

Fatta questa precisazione, il congresso è stato sicuramente un momento di discussione importante e di confronto tra le diverse anime che rendono viva la Cgil. Una prova di democrazia, pur con tutti i limiti.

Un congresso non serve però a celebrarsi ma è anche occasione preziosa per valutare lo stato di salute della nostra organizzazione nel rapporto con gli iscritti. Il congresso, a suo modo, è una sorta di termometro. Non dice tutto, ma qualcosa racconta. Non solo della nostra organizzazione peraltro, ma anche di quello che è il sentire diffuso, o almeno di un pezzo.

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E quindi, cosa ci ha detto questo congresso? 2234 assemblee nei luoghi di lavoro in poco più di un mese, più di 31 mila votanti. Neanche male si potrebbe pensare: una buona prova di vitalità e di capacità organizzativa potrebbero dire alcuni osservatori esterni.In una settimana si sono svolti tutti i congressi di categoria con la presenza di oltre 1200 delegati e delegate.

Ho letto le 12 relazioni dei segretari uscenti tutti riconfermati, che danno uno quadro di quanto sono cambiati il mondo del lavoro e il tessuto sociale, e dicono quanto sia importante la confederalità, perché tutte le categorie, dalle più piccole alle più grandi, devono conoscersi meglio e contribuire sempre più alle proposte e alle iniziative della Camera del Lavoro di Brescia.L'andamento dei congressi di categoria non era scontato. Nella partecipazione dei delegati e delle delegate, negli oltre 150 interventi, ho constatato la passione e l'impegno necessario in un momento molto difficile per la Cgil, in primo luogo per la crisi sociale ed economica che da troppo tempo i lavoratori subiscono, ma anche per la divisione interna acuita dopo l'accordo del 10 gennaio, sottoscritto proprio nel momento dell'avvio delle assemblee di base.

Nelle 2200 assemblee di base tante critiche

anche alla Cgil, da “destra” e da

“sinistra”

Ebbene, non credo di esagerare nell’affermare che nelle tante assemblee che abbiamo tenuto nei luoghi di lavoro siano emersi in modo evidente disagio e sfiducia, rabbia e rassegnazione.Più di 2200 assemblee, 31 mila votanti, e in ogni assemblea c’è stata almeno una critica nei confronti della nostra organizzazione.

C’era un po’ di tutto in quelle critiche. C’erano quelle più radicali – da sinistra si sarebbe detto una volta - che ci hanno accusato

di non aver fatto nulla contro la legge Fornero, per impedire la modifica all’art. 18, per cancellare l’art.8. C’erano anche quelle più qualunquistiche – da destra direbbero alcuni– che hanno paragonato il sindacato ai partiti “magna-magna” e ci hanno buttato nel calderone dell’antipolitica. E se per alcuni il sindacato, il nostro, deve fare di più – anche se non sempre è chiaro in che direzione – altri ci hanno già dati per morti. Cosa ne facciamo di queste critiche? Le bolliamo come inutili radicalismi? Diciamo che era inevitabile che un po’ di qualunquismo intaccasse anche il sindacato e proseguiamo dritti come se nulla fosse?

Non credo sarebbe utile. Tranquillizzante forse sì, ma utile no.

Quello che voglio dire è che la crisi della rappresentanza attraversa anche la nostra organizzazione.

La crisi della rappresentanza

attraversa anche la Cgil. Il rischio di

“essere conservatori”

Della crisi di rappresentanza e rappresentatività dei partiti si discute da anni, e non è peraltro solo problema italiano. Il governo nato pochi giorni fa è il terzo consecutivo che non esce dalle urne ma da tavoli extraparlamentari. Governi di larghe o piccole intese, in Italia come in altri dieci Paesi europei, tutti vincolati da parametri decisi a Bruxelles.

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Ma, tornando a noi, chi rappresentiamo noi oggi?Siamo in grado di intercettare i malumori, di raccogliere i segnali della protesta e del disagio, di trasformarli in forza collettiva e proposta di cambiamento?O siamo visti anche noi, e forse lo siamo, come elementi di conservazione?

Siamo forza nata nell’Ottocento, a Brescia abbiamo 122 anni di storia, e credo che abbiamo ancora molto da dire. Ma riusciremo a farlo solo restando legati alla realtà in mutamento.

La crisi di rappresentanza sta colpendo in modo vorticoso tutti i corpi intermedi: partiti, sindacati, associazioni di rappresentanza delle imprese.

E, permettetemi un piccolo inciso sul quale tornerò più avanti, non credo che accordi come quelli sottoscritti il 10 gennaio scorso da noi come Cgil insieme a Cisl, Uil e Confindustria aiutino a risolvere i problemi di rappresentanza, anzi.

Ma il tema è: servono ancora i corpi intermedi – partiti, sindacati, associazioni - quelli che aiutano a raccogliere istanze, a formulare proposte, quelli che creano identità, che sono anche antidoto alla solitudine?

Servono, certo, non saremmo nemmeno qui se non ne fossimo convinti, e ricordarlo non è nostalgia ottocentesca per un mondo che non c’è più. Non solo servono, ma questi corpi intermedi dovrebbero essere più forti. Perché l’alternativa, quella che vediamo manifestarsi da tempo, è peggiore: da un lato le burocrazie tecnocratiche di Bruxelles, che tutto decidono sopra le nostre teste; dall’altro il rancore verso gli altri, magari nella versione localistica, come ben sappiamo in questa provincia, magari nella versione nuova della demagogia orizzontale di internet e del popolo che si ribella contro tutto e tutti.

La necessità di cambiare, per essere più vicini al lavoro

in profondo mutamento

Il fatto è che per essere rappresentativi bisogna cambiare. Non perché il nuovismo e lo scarto generazionale siano moda da inseguire, ma perché se la società è cambiata, se il lavoro si è trasformato, anche noi dobbiamo cambiare per essere più adeguati alla nuova realtà.

Un’organizzazione che celebra un congresso lungo mesi, che discute di documenti di decine di pagine che in pochi hanno letto,

anche tra quel 27% di iscritti alla nostra organizzazione che hanno votato nelle assemblee, e che nel frattempo sottoscrive senza dibattito interno – nemmeno ai vertici - un accordo sulla rappresentanza che è sì migliorativo per alcuni aspetti ma è fortemente limitante su altri, ha qualche problema. E lo dico non perché sono stato stregato da twitter e dai messaggi di 140 caratteri. Solo quattro anni fa, ai tempi dell’ultimo nostro congresso, le critiche c’erano ma se non altro come sindacato eravamo riconosciuti come argine al governo di destra e alla crisi che montava.

Scioperi in difesa dell’occupazione, contrattazione per distribuire il lavoro che c’era, ammortizzatori sociali, proposte su innovazione e green economy: eravamo riconosciuti

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come un sindacato in campo, che si faceva sentire e che si opponeva alla crisi e alla deriva.

In quattro anni, durante i quali la crisi è continuata, ha eroso legami e alimentato sofferenze e rancori, le ragioni di questa sfiducia sono esplose e hanno colpito anche noi.

LA CRISI A BRESCIA

La crisi a Brescia: nel 2013, sesto anno di crisi, 46 milioni di ore di cassa integrazione e il record di fallimenti

La crisi a Brescia. Ogni comparto ha le sue lacrime e nei congressi di categoria sono state ricordate le situazioni specifiche. Nel materiale che trovate nella cartella, nella chiavetta Usb per essere precisi, troverete i dettagli della situazione. Nessuno ne è uscito indenne: l’edilizia è forse stato il comparto più devastato, ma nel commercio, nel metalmeccanico, nello stesso Pubblico impiego, le ferite sono profonde e tutt’altro che rimarginate. Addirittura l’export, da sempre traino dell’economia locale, sta mostrando difficoltà.

E i 46 milioni di ore di cassa integrazione autorizzati nel Bresciano nel 2013 non sono i 60 milioni del 2010 anche perché nel frattempo diverse unità produttive hanno esaurito gli ammortizzatori sociali e pertanto sono aumentati i licenziamenti, ma sono comunque molto di più, otto volte di più, delle ore di cassa integrazione autorizzate nel 2007. Nel 2013 c'è stato il record di fallimenti in provincia di Brescia e il 2014 è iniziato anche peggio.

I dati resi noti nel fine settimana a livello nazionale dicono che i senza lavoro hanno raggiunto il 13% della popolazione attiva, un dato che negli ultimi 35 anni non era mai stato raggiunto. E dicono che oramai quasi un giovane su due che cerca lavoro non riesce a trovarlo.

PER UNA NUOVA ECONOMIA

L’emergenza è il lavoro: che manca e

che deve essere creato

Il neonato Governo ha promesso il jobs act che, al di là dell’inutile inglesismo, è per il momento poco più di un elenco di titoli che deve essere ancora spiegato nei dettagli. Vedremo: di sicuro, lo diciamo da sei anni, a volte anche in solitudine, l’emergenza è oramai il lavoro per tutti. Anche per chi sta al governo, ed è già un passo in avanti dopo anni in cui premier e ministro dell’Economia,

mi riferisco alla coppia Berlusconi-Tremonti, ci dicevano che l’Italia non era toccata dalla crisi e i ristoranti erano pieni. E sicuramente, se l’onda della crisi che montava non fosse stata sottovalutata, forse qualche rimedio si sarebbe potuto mettere in campo anche prima.

Il lavoro che manca e che deve essere creato. Bene le proposte sull’edilizia scolastica annunciate proprio in questi giorni, seppure tardive, che vanno incontro a una richiesta che come Cgil facciamo da tempo: meno grandi opere e al contrario mille piccole opere, diffuse sul territorio e finalizzate a creare buona occupazione.

In cartella c’è un documento dal titolo «Per un piano del lavoro territoriale».

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Si parla di sistema integrato di trasporti in ottica sostenibile, di bonifiche del territorio, di rigenerazione urbana, di interventi nell’ottica dell’efficienza energetica in edilizia. Come è stato ricordato anche nel congresso degli edili Fillea «c’’è in primo luogo la necessità che si vari un programma di opere pubbliche che attrezzino il territorio a rendere la presenza delle persone più sostenibile e rispettosa dell’ambiente in cui vivono. Perché non è possibile che ad ogni intemperia, parti del territorio vedano le persone dover abbandonare la loro abitazione perché minacciate da frane o da allagamenti».

Tutela del territorio, efficienza energetica,

bonifiche, gestione dei rifiuti possono

essere un nuovo modo di interpretare lo

sviluppo

Il documento sul Piano del lavoro territoriale approfondisce ed allarga l’orizzonte delle parole d’ordine che sono state anche al centro del nostro sciopero generale territoriale del 18 aprile dello scorso anno, quando avevamo posto l’urgenza di un Piano strategico per le bonifiche a livello provinciale, per una politica industriale degna di questo nome e contro i licenziamenti. Partendo dal presupposto che a Brescia, ma non solo, il risanamento ambientale è un tema centrale. Tutela del territorio, efficienza energetica, bonifica dei terreni e gestione dei rifiuti, depurazione

delle acque possono essere un nuovo modo di interpretare lo sviluppo della nostra provincia contrastando la grave crisi economica e producendo nuova occupazione.

Di una cosa siamo convinti: da questa crisi ne usciremo solo se sapremo interpretare il cambiamento con l’ottica dell’innovazione e della sostenibilità. Altre strade non ce ne sono.

SULL'AUSTERITÀ E L'EUROPAAttenzione ai conti e lotta agli sprechi, ma senza crescita c’è un

avvitamento al ribasso dove non tengono né l’occupazione né il

deficit

Per uscire in modo positivo dalla crisi è anche necessario che si spezzino finalmente le politiche di austerità che negli ultimi anni hanno creato disastri. Al di là di ogni giudizio sul governo Renzi, sulla maggioranza che lo compone, su come è stato sostituito Letta o sulle critiche di essere un “berlusconino di sinistra” - cose che personalmente mi appassionano fino a un certo punto - l’unica vera possibilità che il nuovo governo riesca a fare qualcosa parte dal presupposto che a livello più generale si rompa con le politiche di austerità. Attenzione ai conti pubblici, certo, ma sapendo che se non c’è crescita - sostenibile sottolineo di nuovo - c’è

un avvitamento al ribasso dove non tengono né l’occupazione né il deficit pubblico.A livello europeo i sindacati da tempo chiedono un’inversione di rotta e chiedono risorse da convogliare in buona occupazione ed economia sostenibile. Proposte concrete, reali, che offrono un’orizzonte percorribile e che allontanano gli spettri del populismo montante. Rancori e disagi, è bene dirselo, sottovalutati troppo a lungo. Per anni è stato bollato come atteggiamento antieuropeo o populista qualsiasi critica alle politiche economiche di Bruxelles.

Più che di meno Europa, noi

abbiamo bisogno di più Europa: più democratica e più

partecipata

Più che di meno Europa noi abbiamo bisogno di più Europa, più democratica e partecipata. Purtroppo la politica – in Italia e in Europa - appare sempre più inadeguata a dare risposte all’altezza dei problemi. Aldo Schiavone, docente di Diritto Romano all’Istituto di Scienze Umane a Roma, nel suo recente «Non ti delego» usa il concetto di

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«sindrome dell’impotenza democratica»: da un lato gli Stati, chiusi nei loro confini; dall’altro il sovranazionale e il globale fatto di finanza, mercati, moneta virtuale che circola da un capo all’altro del pianeta in pochi bit. Un’«asimmetria di poteri» nella quale la dimensione nazionale, locale potremmo dire, conta sempre di meno.

Il resto, i privilegi della politica, la corruzione, l’autoreferenzialità di un ceto politico sono solo un ulteriore tassello che si aggiunge a - sono sempre parole di Schiavone - «una modernità spezzata: vita veloce e democrazia lenta; informazione istantanea e deleghe settecentesche». Insomma, politica incapace, ordinamenti democratici inadeguati, burocrazie che vivono con fastidio «il popolo» e si arroccano in castelli dentro i quali prendere decisioni tecniche. Spesso sbagliate verrebbe da aggiungere.

I populisti semplificano ma non

sono la causa dei problemi, sono la

manifestazione della malattia

I populisti semplificano ma non sono la causa dei problemi, sono solo la manifestazione della malattia. Il problema è di democrazia e partecipazione, di come far funzionare meglio le istituzioni democratiche allargando la partecipazione, di come aumentare la trasparenza e la conoscenza, di come costruire un percorso condiviso e sostenibile per il futuro. Cose da fare in tempi rapidi, perché se il castello dentro il quale si

arroccano i potenti sembra sempre più di sabbia, le alternative attuali sono solo le praterie che aprono spazi ad avventure pericolose. Noi, come sindacato, non facciamo parte dei potenti dove a volte qualcuno in modo interessato ci mette, ma anche noi corriamo il rischio di arroccarci nei nostri castelli. E democrazia e partecipazione sono temi che stanno investendo anche la nostra organizzazione.

Ucraina, Siria, Turchia, sponda Sud

del mediterraneo: tutte questioni che ci

riguardano

Più Europa, dicevo, e maggiore attenzione a quanto avviene fuori dai confini di casa. Le vicende dell’Ucraina di questi giorni sono drammatiche, e drammatico è anche il procedere in ordine sparso dei paesi europei. E se l’auspicio è che la situazione non degeneri, auspicabile è anche che non ci siano fughe in avanti, ma si cerchi un accordo con la Russia per aiutare economicamente L’Ucraina, un Paese a rischio frammentazione e vicino al default anche di tipo economico.

E più attenzione anche al Mediterraneo, ai paesi della zona sud in sommovimento continuo, alla Turchia di piazza Taksim che guarda all’Europa. E alla Siria, al dramma di centinaia di migliaia di profughi e ai crimini di guerra che tutte le parti in conflitto stanno compiendo in quel paese. Crimini peggiori di quelli avvenuti nell’ex Jugoslavia, come ha ricordato nei giorni scorsi Carla Del Ponte della commissione d’inchiesta Onu sulla Siria. Sono situazioni che ci riguardano, e sempre di più lo saranno in futuro.

LA DISUGUAGLIANZA

Un’economia sostenibile significa

anche ridurre le disuguaglianze, le

stesse all’origine della crisi globale

Fine delle politiche di austerità, nuova economia, sostenibilità quindi. Sostenibile non è termine che si adatta solo all’ambiente, riguarda anche la sostenibilità sociale ed è risaputo, anche se mai abbastanza ricordato nemmeno da noi, che una delle cause più importanti della crisi mondiale in corso è la crescente diseguaglianza che c’è stata negli ultimi decenni. Il welfare, il fisco, la crescita almeno fino a metà degli anni settanta, hanno svolto un grande

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ruolo di ammortizzatore sociale. Che da tempo è però venuto meno.I redditi da lavoro sono sempre più bassi, e oramai non basta nemmeno più averlo un lavoro per sentirsi immuni dalla povertà. E anche questo dovrebbe essere motivo di riflessione sull’efficacia della nostra azione sindacale.

Secondo l’ultimo rapporto di Banca d’Italia il 10% delle famiglie più ricche possiede il 47% della ricchezza. In ambito Ocse l’Italia è uno dei Paesi più diseguali, nel quale le disuguaglianze sono più marcate.

L’indice di concentrazione della ricchezza, un modo per provare a raccontare le differenze tra ricchi e poveri, dal 2008 al 2012 è cresciuto di quattro punti. Questo significa che le ragioni di fondo che hanno contribuito a questa crisi non sono state rimosse ma si sono in questi anni accentuate.

Una distribuzione così diseguale del reddito ha diversi effetti: una di tipo economico, perché la propensione ai consumi dei ceti ricchi certo non supplisce alle difficoltà sempre maggiori dei più poveri. Questo lo si vede nei supermercati e nei negozi.

Ci sono però altre conseguenze, collegate a questa, anche più gravi.

Disuguaglianze eccessive, magari all’interno dello stesso luogo di lavoro, dove il manager si ritrova a prendere centinaia di volte lo stipendio dell’operaio o dell’impiegato, o magari tra tipi diversi di lavoro (l’infermiere che fa i turni di notte a confronto del consulente finanziario o, perché no, del consigliere regionale o del deputato) mandano in frantumi la coesione sociale, soprattutto in tempi di crisi.

Il tema dell’uguaglianza è

ancora oggi, e lo sarà anche in futuro, il

centro dello scontro sociale e politico

Rimettere al centro il tema dell’equità e dell’eguaglianza non è nostalgia novecentesca, né ha a che fare solo con la solidarietà nei confronti dei più deboli. No, il tema dell’uguaglianza è ancora oggi, e lo sarà anche in futuro, il centro dello scontro sociale e politico. A meno che non si pensi che la Rivoluzione Francese con la proclamazione di «libertà uguaglianza e fratellanza» sia accaduta per caso. Una società sempre più diseguale, alla lunga, si rompe, spezza i legami minimi di convivenza.

IL FISCOViviamo in un Paese nel quale si sente ripetere un giorno sì e l’altro pure che paghiamo troppe tasse, che la pressione fiscale è insostenibile, che le imprese non ce la fanno più, che il cuneo fiscale è troppo alto. Il neonato governo Renzi ha promesso un taglio immediato di addirittura dieci punti del cuneo fiscale.

Tutto vero, ma serve chiarezza. Non voglio essere provocatorio, ma è così vero che in Italia si pagano troppe tasse? E, poi, le tasse, a cosa servono?Forse occorre tornare ai fondamentali.

Non voglio citare l’ex ministro dell’Economia Padoa Schioppa, quando affermò che pagare le tasse è bellissimo. Mi permetto di segnalare un libro uscito in tempi recenti che ha per titolo «In Italia

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paghiamo troppe tasse? Falso!». L’ha scritto Innocenzo Cipolletta, economista, già direttore di Confindustria e tanti altri ruoli. Il quale è vero che scrive anche sulle pagine dell’Espresso ma non credo sia comunista.

In Italia paghiamo troppe tasse? Falso!

E, poi, a cosa servono le tasse?

La spesa pubblica va migliorata, non

tagliata

Ebbene cosa ha scritto Cipolletta in questo libro? Che «Vivere in un Paese che fornisce buoni servizi è meglio che vivere in un paese dove si pagano poche tasse». In Francia, dove la pressione fiscale è uguale alla nostra, la maggioranza dei francesi pensa ancora che «pagare le tasse sia un atto di cittadinanza». Lo ha affermato un recente studio pubblicato dal quotidiano Le Monde. Forse, allora, in Italia bisogna ricostruire il senso civico dello Stato, il solo capace di far apprezzare i servizi collettivi come un bene

prezioso e non come un peso. È anche quanto ci ricorda l’articolo 53 della Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche». Aggiunge anche, questo articolo della Costituzione, ma vi tornerò più avanti, «in ragione della loro capacità contributiva» e che «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Perché, certo, bisogna combattere gli sprechi, possiamo anche abolire le provincie, tagliare i cosiddetti enti inutili, togliere le auto blu ai parlamentari. Alcune di queste campagne sono meritorie, non tutte, e servono a ridurre il rancore di chi sta soffrendo una durissima crisi, ma in termini di impatto economico bisogna anche dirsi che i risultati di molte di queste campagne sarebbero assai scarsi.

La spesa pubblica va migliorata, non tagliata.

Purtroppo anche in Italia si è fatta strada - anche nei settori più popolari - l’idea che la spesa pubblica, a priori, sia negativa.

E questo nonostante diversi studi, anche recenti, abbiano dimostrato che, specie nel nostro paese, la spesa pubblica ha una funzione di perequazione dei redditi ben maggiore del sistema fiscale.

Chi chiede di ridurre le tasse tagliando la spesa pubblica, chiede in realtà anche di ridurre la funzione di riequilibrio dei redditi operata dallo Stato. Ripeto, i tagli agli sprechi ci vogliono - e nei luoghi di lavoro del Pubblico dovremmo essere protagonisti nelle proposte in tal senso - ma altra cosa è dire che il Pubblico deve arretrare dalla Scuola o dalla Sanità

Nel materiale che vi abbiamo consegnato oggi c’è anche un documento sul welfare, uno spunto di riflessione. Non sono le sacre leggi ma qualcosa di interessante lo si trova. E, a proposito del welfare e della sanità in particolare, si parla anche delle positive esperienze emiliane e toscane delle Case della Salute come luoghi fisici dove le persone vengono accolte e accompagnate in un percorso individualizzato che risponde in modo appropriato alla richiesta di salute e di presa in carico per altri bisogni sociali ed assistenziali.

In queste esperienze un grande ruolo giocano i Medici di Medicina Generale, associati, coordinati e, soprattutto, responsabilizzati in diverse forme di gestione dei servizi integrati.

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Questi luoghi strutturati sono anche stati l’alternativa al ridimensionamento dei piccoli ospedali di comunità che si è resa necessaria sia per problemi di sostenibilità della spesa che per intervenire in modo appropriato.

Questo per dire che il tema delle risorse è fondamentale e noi, come sindacato, dobbiamo essere protagonisti della riorganizzazione del Pubblico, nella convinzione che questo sistema di welfare reggerà solo se lo si riforma e lo si riorganizza.

La via della riorganizzazione del welfare è faticosa, non solo nella sanità, significa rimettere in discussione il modello che abbiamo conosciuto ed anche il ruolo stesso del sindacato. Ma non è più tempo di conservare, è ora di andare in mare aperto, di essere propositivi e non in attesa. E questo, ovviamente, anche al momento di contrattare.

EVASIONE FISCALE

Le tasse servono, ma bisogna che tutti le paghino. Solo negli

anni di crisi 400 miliardi di euro evasi, l’equivalente di 100 piani per l’edilizia

scolastica

Rischiamo di ripeterci, ma dopo aver ricordato che le tasse servono a qualcosa e sono il fondamento minimo perché ci sia uno Stato e una comunità di cittadini e cittadine, bisogna anche ricordare che le tasse devono essere pagate da tutti. É una questione di sostenibilità sociale. Se abbiamo un debito pubblico che ci costa 80 miliardi di euro all’anno di interessi, 20 manovre sull’Imu per la prima casa per intendersi, non è solo perché in passato si è speso in modo allegro, ma anche e soprattutto perché per troppi anni alcuni, tanti, le tasse non le hanno proprio pagate. E non sono sicuramente i lavoratori dipendenti e i pensionati.

Le stime, in questi casi, è sempre difficile farne, ma l’ordine di grandezza è ben superiore ai 100 miliardi di tasse evase all’anno. E fino a quando non si riuscirà a rimettere mano ad almeno un pezzo di quell’immenso malloppo che ci viene sottratto quotidianamente, non ci saranno manovre o spending rewiev che tengano.

Viviamo in un paese strano: da un lato mettiamo sullo stesso piano spinelli ed eroina. E lo stesso Giovanardi sapeva di averla fatta grossa - come ha ricordato recentemente la Corte Costituzionale - se ha fatto approvare la legge sulle sostanze stupefacenti di notte in mezzo a un decreto urgente sulle Olimpiadi invernali di Torino

Dall’altro il nostro paese è particolarmente generoso nei confronti di chi compie reati fiscali. Tutti si lamentano, per alcune rigidità di Equitalia forse anche a ragione, ma nessuno ricorda che nelle carceri italiane italiane sono pochissimi i detenuti per reati fiscali. Cinquantacinque volte meno che nelle carceri tedesche per essere precisi. Lo ha scritto Gian Antonio Stella poco più di un mese fa, osservando che in Germania prevale l’idea che a un’economia seria serve il rispetto delle regole.

È uscito a riguardo, da poche settimane, un libro scritto da Stefano Liviadotti: un giornalista peraltro non molto tenero col sindacato visto che qualche anno fa, sull’onda delle inchieste di Rizzo e Stella aveva scritto un saggio dal titolo «L’altra casta» e si riferiva a noi come sindacato. Non so se Liviadotti abbia cambiato idea sui mali dell’Italia, resta che il suo ultimo libro si intitola «Ladri» ed è una ricerca, come recita il sottotitolo, «sugli evasori e i politici che li proteggono».

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Cosa fanno questi ladri? Iniziamo dalla refurtiva che sottraggono: 180 miliardi di euro evasi, il 18 percento del Prodotto interno Lordo. Nel 2011 su 5 milioni di sospetti evasori, il fisco ne ha controllati 200 mila, ed ha recuperato poco più di 7 miliardi di euro, il 4% del totale evaso. Ecco, questo potrebbe essere un buon compito per il neonato Governo che deve fare scelte importanti e coraggiose e ha bisogno di tante risorse. Sapete quanti sono i miliardi sottratti al fisco anche in questi anni di crisi? Più di 400. Sapete chi li ha protetti questi evasori, che sono una bella fetta di elettorato? Un po’ tutti, anche nel centrosinistra, ma è indubbio – lo leggiamo nel libro – che la vera festa gli evasori l’abbiano fatta con la destra berlusconiana, un pezzo della quale è ancora oggi al Governo, ufficialmente o meno. E sappiamo tutti che con 400 miliardi a disposizione, o anche solo la metà, di problemi ne avremmo risolti un bel po’ e di piani per l’edilizia scolastica non ne annunciavamo uno ma ne avremmo fatti 100. E avremmo così anche qualche problema di lavoro in meno, perché tutto alla fine si tiene: i conti pubblici, il lavoro, lo spread, la sfiducia crescente, la crisi democratica, i rischi di deriva.

LEGALITÀ

Non ci sono solo le tasse evase, l’Italia

è il Paese delle tante illegalità: in azienda o nei campi, per la corruzione, per i

crimini ambientali

Non ci sono però solo le tasse evase. C’è un problema di legalità più generale. Un’emergenza, anche nei luoghi di lavoro. Abbiamo fatto anche campagne ad hoc in diversi ambiti. C’è stata la campagna per la legalità nelle vendemmie della Franciacorta, e cresce anche nella nostra provincia il fenomeno delle cooperative spurie, come è stato ricordato nei congressi della Funzione Pubblica, della Filt e della Filcams. E non aiutano in tal senso gli appalti al massimo ribasso che si stanno diffondendo ancora di più anche nel Pubblico, dal Comune di Brescia ad A2A.

I compagni e la compagne della Funzione Pubblica hanno chiesto una assunzione di responsabilità da parte dell'Associazione dei Comuni Bresciani sul tema della legalità ma stiamo ancora aspettando risposte.

Crescono anche, è stato sottolineato nel corso dell'ultima inaugurazione dell'anno giudiziario, le infiltrazioni della criminalità organizzata nell'economia bresciana e la corruzione è piaga tutt'altro che estirpata, anzi rimaniamo uno dei paesi europei nei quali è più diffusa. Educazione alla legalità, quindi, e in questo senso va anche il nostro rapporto e sostegno alle attività dell'associazione Libera, e impegno preciso per la legalità nei luoghi di lavoro e nelle attività di contrasto. E qui potremmo aprire, ma mi limito solo a farvi cenno, al grande capitolo degli organici che mancano nella giustizia e nelle attività ispettive.

LE PRINCIPALI VITTIME DELLA CRISI

Troppe donne espulse dal lavoro, troppi

diritti (a partire dalla maternità) messi in

discussione

La crisi ha eroso e rotto i legami famigliari, abbassando drasticamente il reddito espellendo soprattutto le donne dal lavoro, cancellando diritti fondamentali come la maternità, che, ancora tutelata sulla carta, nella realtà lavorativa lo è molto meno. Un tema drammatico è quello della violenza contro le donne, tema che è sempre più all’ordine del giorno nel dibattito pubblico anche grazie all’impegno di tante militanti della nostra organizzazione.

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Anche su questo problema la riflessione della cgil e la elaborazione contenuta nel documento congressuale deve continuare e trovare terreni di incontro e dialogo, per scardinare la forte disuguaglianza e arretratezza culturale che ancora oggi, trasversalmente, scontiamo nel nostro paese.

Gli immigrati vivono ancora col cappio del permesso di soggiorno legato al lavoro e sono costretti a un surplus

di burocrazia

In questo quadro le vittime maggiori sono i più ricattabili. Gli immigrati innanzitutto, che vivono ancora col cappio del permesso di soggiorno legato al lavoro e sono costretti ad un di più – costoso non solo in termini economici – di burocrazia. Sono anche cittadini di serie B, o meglio, non sono proprio cittadini. Pagano le tasse ma non votano, pagano le tasse ma qualcuno vorrebbe escluderli dalle politiche di welfare. Come ben sappiamo a Brescia dove, negli ultimi anni, abbiamo dovuto contrastare i tentativi di diverse amministrazioni locali di introdurre delibere

discriminatorie. Abbiamo contrastato queste politiche, in difesa dei principi cardine della Costituzione, e in difesa di lavoratori e lavoratrici che stavano subendo gli attacchi di diverse amministrazioni comunali. E a chi ci ha accusato di non fare sindacato quando contrastavamo tali politiche, non solo a destra peraltro, dico che sarebbe stato ben strano un sindacato che non diceva nulla su discriminazioni che stavano colpendo lavoratori e nostri iscritti. Noi non accettiamo che ci siano lavoratori di serie A e di serie B, anche quando non sono al lavoro. Non dirlo, e non impegnarci per questo, avrebbe fatto venire meno la nostra credibilità.

Sono cose, queste, che abbiamo ricordato meno di due mesi fa ad Adro - la capitale del welfare discriminatorio, e anche del modello di appalti dati forse agli amici - dove abbiamo inaugurato la trentesima sede provinciale della camera del lavoro bresciana. Un modo per essere sempre più sindacato di territorio, attento a quello che accade nella società.

SUI GIOVANI

L’Italia non è un Paese per giovani,

nemmeno nel sindacato

L’Italia non è un paese per i giovani. Siamo all’ultimo posto come laureati e, lo dicono gli ultimi dati dell’Anagrafe universitaria del Ministero dell’Istruzione, nell’ultimo anno sono ulteriormente diminuiti coloro che si sono iscritti all’università. Troppo costosa, certo, e forse anche aspettative basse su cosa si riuscirà a fare dopo la laurea. L’Italia ha due milioni e mezzo di giovani che non studiano e non lavorano. L’Italia è anche uno dei paesi che spende meno in istruzione fra quelli Ocse.

Nell’ultimo anno 80 mila giovani sono andati all’estero a lavorare, a cercare nuove esperienze. Non una fuga di cervelli, termine orrendo, ma circolazione di idee e voglia di fare. Il problema non sono quei giovani che sono andati all’estero, ma è il fatto che non ritornano dopo aver fatto esperienza o che di laureati stranieri che vogliono venire in Italia ve ne siano pochi. Siamo un paese fermo, immobile. Come sindacato dovremmo fare la nostra parte per cercare di movimentarlo.

Rappresentiamo il lavoro dipendente, pubblico e privato, abbiamo tanti pensionati, ma abbiamo forse perso l’ambizione di provare a rappresentare anche il lavoro che è cambiato e che è sempre più frammentato. Rischiamo, in parte è già accaduto, di perdere tanti giovani che ci vedono come il sindacato che difende solo alcuni tipi di lavori ma non è vicino alle loro condizioni di vita reali. E il Nidil, la nostra categoria dei precari, non è sufficiente per dare risposta. Serve una riflessione più profonda, che attraversi la Cgil nella sua interezza. In parte questo è un lavoro già avviato, come

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dimostrano alcune iniziative messe in campo, ma molto resta da fare. La proposta di reddito di cittadinanza va in questa direzione, ma non è certo esaustiva. Quello che serve è tenere insieme legami, fare un lavoro di tessitura che ravvivi in vincoli di solidarietà necessari per portare a casa risultati concreti. Se vogliamo che lo slogan «Non lasciare da solo nessuno” sia anche pratica sindacale, occorre uno sforzo maggiore.

UNITÀ SINDACALE E DEMOCRAZIA

L’unità sindacale?Va bene, ma

serve memoria e, soprattutto, cosa si fa quando non c’è una sintesi unitaria? Il

tema della democraziaè ancora una volta

centrale

Nel rapporto con gli altri sindacati, con Cisl e Uil, temo che la storia recente degli ultimi anni abbia creato fratture pesanti. Le rotture, gli accordi separati, non possono essere rimossi in nome dell’unità, e in nome di questa unità proseguire come se nulla fosse accaduto. Abbiamo memoria di queste rotture, e ne hanno soprattutto i lavoratori e le lavoratrici che gli accordi separati magari li hanno subiti sulla propria pelle, in fabbrica o in azienda. L’unità sindacale va bene, è una cosa che tutti auspichiamo. Allo stesso tempo, però, è assodato che i tre sindacati confederali abbiano strategie diverse, così come è chiaro che tutte e tre le visioni abbiano e debbano avere pari dignità.

Ma cosa si fa – chiedo - quando non si riesce ad arrivare ad una sintesi unitaria? Il tema della democrazia, ancora una volta, è centrale. Anche nel dibattito sull’unità sindacale.

Non voglio banalizzare né semplificare ma il protagonismo delle persone che cerchiamo di rappresentare deve essere per tutti il faro che ci guida. Accordi su salari, condizioni di lavoro, ritmi: sono aspetti che, ricordo, hanno conseguenze importanti sulla vita delle persone, che al lavoro trascorrono un terzo della loro giornata. Pensare di chiudere accordi senza interpellarli, senza far sì che siano veramente protagonisti, sarebbe disastroso.

Ritorno ai numeri del nostro congresso: 31 mila votanti su 114mila fanno il 27% ma se li rapportiamo alla popolazione dell’intera provincia la percentuale scende di molto, addirittura al 3% in rapporto al totale degli abitanti. E quindi, fosse anche solo per senso del pudore, coinvolgere i lavoratori e le lavoratrici interessati dalle piattaforme e dagli accordi è il minimo che si possa fare. Credo che sia proprio attraverso regole nuove e trasparenti di democrazia diretta che si possa riacquistare credito e fiducia nei confronti del sindacato, che negli ultimi anni è diminuito sensibilmente.

Il confronto con Cisl e Uil a tutti i livelli, dal piano nazionale a quello locale, va bene.A Brescia ci sono diversi terreni unitari sui quali continuare a confrontarsi, quali ad esempio la contrattazione sociale, ambito nel quale – anche negli ultimi anni - il lavoro unitario fatto dallo SPI insieme ai pensionati di Cisl e Uil ha dato risultati positivi. E dal momento che la crisi ha determinato nuove povertà non solo tra i pensionati ma anche tra i giovani e i migranti, la contrattazione sociale deve vedere un maggior coinvolgimento delle categorie degli attivi e delle Confederazioni.

Un’esperienza positiva già in atto nel confronto con il Comune di Brescia è l’elaborazione sullo stato sociale che stiamo discutendo con Cisl e Uil, ACLI, il Terzo Settore e Confcooperative.

Anche sulla tematica del contrasto all’evasione fiscale e al lavoro nero le confederazioni Cgil Cisl Uil possono mettere in campo iniziative e proposte comuni.

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Tanti i possibili terreni di

iniziativa comune: dall’immigrazione all’evasione fiscale, alla sicurezza nei luoghi di lavoro

Ed altro tema che si può affrontare con iniziative unitarie è quello dell’immigrazione. In questo campo abbiamo già organizzato con le ACLI e altre associazioni iniziative in passato quali ad esempio la campagna «L’Italia sono anch’io» sulla cittadinanza e per il voto dei migranti alle elezioni amministrative, che hanno dato buoni risultati.

La proposta, su indicazione dell’assessore Marco Fenaroli, di avere 35 consigli di quartiere eletti anche con il voto dei migranti è stata approvata in Consiglio Comunale. È per tutti un impegno che si deve realizzare nei

tempi previsti: bisogna partire dal principio basilare della partecipazione, pilastro fondante della vita democratica. Il voto ai migranti nei consigli di quartiere è un’opportunità preziosa.

Un altro terreno che può essere condiviso è quello dell'ambiente e sicurezza nei luoghi di lavoro. Su questo tema è già prevista una assemblea unitaria il 20 marzo prossimo proprio qui in Camera di Commercio, dove saranno presentati e affrontati i problemi drammatici degli infortuni e delle morti sul lavoro.

Altri ambiti di confronto e iniziativa comuni per arrivare a proposte concrete sono quelli dell'aereoporto di Montichiari, della raccolta differenziata e del ruolo di A2A in provincia di Brescia.

Insomma, tante sono le iniziative comuni e sono convinto che le visioni differenti aiutino ad arrivare a soluzioni più avanzate su diverse questioni sempre più complesse e che la crisi ha complicato ulteriormente. Aperti a tutte le contaminazioni ma fermi su una cosa: nessun soggetto, e questo vale anche per il sindacato, può decidere senza il consenso delle persone interessate dagli accordi che si sottoscrivono. La democrazia è partecipazione e partecipazione significa discutere e votare.

RELAZIONI SINDACALI

Disponibili al Patto per Brescia, se questo serve ad allargare la

contrattazione e non a mortificarla

A Brescia, dal 2008 a oggi, gli accordi sulla ristrutturazione delle aziende sono stati molti, siamo la provincia dove ci sono stati più contratti di solidarietà e siamo stati i primi a partire con questo strumento, ora diffuso anche in altre zone d’Italia. Ci sono stati anche accordi con le banche per avere anticipi di credito rispetto ai tempi biblici del ministero, accordi di flessibilità e modifica delle turnazioni in funzione dell’andamento degli investimenti e del mercato. Una provincia dinamica, dove il sindacato contratta.

Accordi, in molti casi, che si sono conclusi fuori dall'Associazione Industriali Bresciana. Oggi c'è una rappresentanza diversa in A.I.B. più desiderosa di essere protagonista su tanti tempi e peraltro anche più rappresentativa e più allargata rispetto al passato, grazie al ritorno di alcuni grandi gruppi.

Per avere nuove relazioni sindacali bisogna però che ci sia il rispetto e il riconoscimento reciproco, cosa che però non avviene in tutte le realtà produttive.

Da tempo si parla del Patto per Brescia lanciato dal nuovo presidente di A.I.B. Va bene, ma non si inizi col dire che bisogna derogare dal contratto nazionale. In Germania, spesso citata a sproposito, la dimensione media aziendale è molto più grande che da noi e avere un contratto nazionale di

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riferimento è interesse non solo dei lavoratori e delle lavoratrici, ma credo anche delle stesse imprese, se vogliono evitare il proliferare di dumping aziendale. A meno che non si voglia andare nella direzione dell'abolizione dei contratti collettivi e verso una contrattazione il più possibile individuale.

Noi su questo non ci stiamo: il sindacato è nato per difendere interessi collettivi dei lavoratori e non per fare consulenza.

Noi siamo disponibili al Patto per Brescia, se questo serve ad allargare la contrattazione e non a mortificarla, e se avviene nel rispetto dell'autonomia delle parti. Pensare di risolvere i problemi delle aziende avendo mano libera sugli orari non è pensabile, servono accordi coraggiosi che innovino, anche sul piano delle relazioni sindacali.

La mediazione tra interessi diversi è premessa di avanzamento e di superamento della crisi drammatica che stiamo vivendo.

L'ACCORDO SULLA RAPPRESENTANZA DEL 10 GENNAIO

L’accordo sulla rappresentanza ha

alcuni aspetti positivi, ma ve ne sono altri

molto critici per la stessa libertà

sindacale

E ora l’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio. Sicuramente, come ho già detto, sottoscrivere un accordo di tale portata nel momento in cui prendevano il via le assemblee di base non è stata una bella mossa. Qualche maligno potrebbe osservare che non è stata nemmeno casuale, ma andiamo alla sostanza.

Ci sono avanzamenti sulla rappresentanza sindacale? Sì ci sono. Ci sono però anche diversi aspetti critici che, in almeno due punti, evidenziano pericoli per la stessa libertà sindacale, quali ad esempio i criteri di accesso

ai negoziati e il sistema sanzionatorio. Come ho avuto modo di scrivere nella lettera firmata insieme al segretario della Camera del Lavoro di Reggio Emilia, c’è in molti la netta percezione che l’obiettivo dichiarato di superare gli accordi separati, da noi sinceramente condiviso, si sia concentrato più sulla rinuncia dei lavoratori ad un autonomo esercizio della contrattazione e del sostegno alla stessa attraverso le lotte ed il conflitto sindacale (quando serve...) piuttosto che sul democratico coinvolgimento degli stessi.

In quella lettera auspicavamo che si recuperasse un concreto avvio di confronto dialettico dentro la Cgil.In quella lettera chiedevamo anche due cose: 1. dare corso al più presto ad un approfondito confronto sul “testo unico” con la Fiom, non per un diritto di dissenso ma per la evidente specificità della storia sindacale in quel settore (CCNL e FIAT e relativa sentenza della Corte Costituzionale), al fine di costruire congiuntamente eventuali soluzioni emendative;

2. qualora non fosse praticabile quell’ipotesi prevedere una consultazione davvero democratica, con rigorose procedure - voto segreto e trasparenza innanzitutto - sul testo del 10 gennaio 2014, che però coinvolga i lavoratori delle imprese associate a Confindustria (perché solo a loro si applicherà l’accordo) dando loro spazio e strumenti per approfondire, discutere e decidere consapevolmente e quindi prevedendo dialettica tra opinioni opposte sull’accordo. Cosa, questa, che invece non è stata prevista.

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Non dobbiamo temere la pratica democratica. Noi

siamo un sindacato che discute e

riteniamo che questo sia un valore

Abbiamo bisogno di un’organizzazione che non abbia timori nei confronti della pratica democratica. Tutti, in Cgil, considerano il documento firmato il 10 gennaio non un semplice regolamento attuativo ma un accordo che modifica in profondità questioni quali la certificazione, le elezioni delle Rsu, il modello contrattuale. Questioni, queste, che riguardano l’essenza stessa del sindacatoMa se questa è una novità storica, come è stato detto anche nel recente direttivo nazionale, a maggior ragione non si capisce perché questo

accordo non debba essere sottoposto a una consultazione realmente democratica dei nostri iscritti. Non dobbiamo temere che, presentandoci con due relatori, così come invece al momento è stato deciso, i lavoratori non capiscano. I lavoratori ci chiedono unità all’interno della Cgil e se oggi ci sono differenze, non dobbiamo nasconderle ma discutere e ritrovare l’unità. Anzi, se praticassimo una vera consultazione democratica, al di là dell’esito del voto, daremmo un segnale di cambiamento importante. Noi siamo un sindacato che discute, sì, e non solo non ce ne vergogniamo ma riteniamo sia un valore.

PER CONCLUDERE

Abbiamo bisogno di una Cgil coraggiosa,

che fonda la sua linea su democrazia

e partecipazione, che non teme il mare

aperto

La crisi in corso ha diviso, frantumato, e ha messo la generazione degli anziani contro giovani, i lavoratori cosiddetti garantiti contro i precari, gli esodati contro i pensionati, i migranti contro gli italiani, una frantumazione sociale che diventa crisi democratica. Questo è il rischio che corriamo.

Ma se c'è diffidenza, se c'è scoramento, l'unico modo per farvi fronte è costruire legami continuativi, tessere relazioni, alimentare la partecipazione, non temere di essere messi in discussione.

Abbiamo bisogno di una Cgil che fonda la sua linea su partecipazione, democrazia, cambiamento. Per questo la Cgil deve essere coraggiosa e affrontare questa tempesta non chiudendosi nel palazzo ma aprendosi anche con nuovi strumenti democratici, radicandosi sul territorio e nei luoghi di lavoro: dobbiamo andare noi verso i lavoratori e i cittadini, e non viceversa.

Se saremo in grado di farlo, sicuramente la Cgil uscirà più forte e a giovarne, credo, non sarà tanto la Cgil come organizzazione ma i tanti lavoratori e lavoratrici, pensionati e pensionate che hanno bisogno di un sindacato forte e radicato dentro e fuori i luoghi di lavoro. Un sindacato dei lavoratori e delle lavoratrici, un sindacato per il territorio.

Grazie

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5·6 MARZO 2014Auditorium Camera di Commerciovia Einaudi, 23 - Brescia

www.cgil.brescia.itTel. 030 3729204

XVII congresso Cgil

Per la democraziae il cambiamentorelazione di Damiano Gallettisegretario generale Camera del Lavoro di Brescia