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FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONIDEI DIRIGENTI OSPEDALIERI INTERNISTI

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SOCIETA'SCIENTIFICADI MEDICINAINTERNA

SOCIETA'SCIENTIFICADI MEDICINAINTERNA

TOSCANATOSCANA

XIII Congresso RegionaleFADOI ToscanaFirenzeHilton Florence Metropole24-25 Ottobre 2014

IX Congresso RegionaleANÍMO Toscana

FirenzeHilton Florence Metropole24 Ottobre 2014

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ELENCO ABSTRACT MEDICI

Redatto da Simone Meini

Congresso Regionale FADOI Toscana

Firenze 24-25 Ottobre 2014 1 A CASE OF ACUTE FORM OF SARCOIDOSIS, THE LOFGREN SYNDROME. Antonielli E. Crociani A. Vannucchi V. Ciervo D. Mannoni A. Fedeli L. Fintoni T. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 2 A CASE OF ACUTE HAEMORRHAGIC ALVEOLITIS CAUSED BY INTRAVESICAL BACILLUS CALMETTE-GUÉRIN INSTILLATION. Antonielli E. Vannucchi V. Crociani A. Ciervo D. Degl'Innocenti G. Turchi V. Mancini A. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi, Firenze 3 A CASE OF DEADLY ACUTE LIVER FAILURE DUE TO DEATH CAP. Antonielli E. Crociani A. Vannucchi V. Ciervo D. Degl'Innocenti G. Fedeli L. Fintoni T. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 4 A CASE REPORT OF ACQUIRED HEMOPHILIA A Manetti S. Cappelli F. Rosi C. Stanganini S. Santoro E. AUSL8 Arezzo Bibbiena 5 A DANGEROUS POLYARTHRITIS Vannucchi V. Ciervo D. Degl'Innocenti G. Antonielli E. Crociani A. Rocchi F. Fintoni T. Fedeli L. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 6 A DILEMMA IN DIAGNOSIS: PRIMARY HEPATIC LYMPHOMA Degl'Innocenti G. Ciervo D. Vannucchi V. Crociani A. Rocchi F. Bacci F. Biagioni M.C. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze

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7 A RARE CAUSE OF HYPERCALCEMIA IN A YOUNG WOMAN: THE PRIMARY LYMPHOMA OF THE BONE. Para O. Crociani A. Antonielli E. Panigada G. Fintoni T. Fedeli L. Biagioni MC. Manni M. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 8 A STRANGE CASE OF ANCA-ASSOCIATED VASCULITIS: CAN MYCOBACTERIAL INFECTION DELAY THE DIAGNOSIS? Ciervo D. Antonielli E. Vannucchi V. Crociani A. Casati C. Mancini A. Innocenti R. Para O. Degl'Innocenti G. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 9 ACCURACY OF NURSE-PERFORMED LUNG ULTRASOUND IN PATIENTS WITH DYSPNEA: A SINGLE-CENTRE PROSPECTIVE OBSERVATIONAL STUDY Masi L. Cresci A. Basile V. Sabatini S. Cei M. Bianchi L. Mazzi V. Mumoli N UO Medicina 1 - Ospedale di Livorno 10 ACUTE INTERMITTENT PORPHYRIA Basile V. Brondi B. Cresci A. Mumoli N UO Medicina 1 - Ospedale Livorno 11 AUDIT CLINICO COME STRUMENTO EFFICACE NEL MIGLIORAMENTO DELLA DIMISSIONE DEL PAZIENTE DIABETICO DALLE UO DI MEDICINA INTERNA Montagnani A. in rappresentanza del Gruppo DDIMA U.O. Medicina Interna, Ospedale Misericordia USL 9 Grosseto 12 CARCINOSI PERITONEALE: UNA SORPRESA DIAGNOSTICA ALLA BIOPSIA PERITONEALE Burberi L. Casati C. Fabbri M. Mannini D. Corradi F. Morettini A. Medicina interna OACA 1 Firenze 13 CARDIAC COMPLICATIONS IN PATIENTS HOSPITALIZED FOR COMMUNITY ACQUIRED PNEUMONIA IN A INTERNAL MEDICINE WARD. Vannucchi V. Ricci E. Silverii MV. Ciervo D. Antonielli E. Degl'Innocenti G. Crociani A. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 14 CASO NEUROLOGICO DI PERTINENZA INTERNISTICA Rossi F. Montagnani A. Galassi L. Randisi P. Lenzi A. Verdiani V. UO Medicina Interna Ospedale Misericordia USL 9 Grosseto

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15 CLASSIFICAZIONE E SIGNIFICATO PROGNOSTICO DELL’ IPERGLICEMIA NEL PAZIENTE RICOVERATO: RISULTATI DI UNO STUDIO PROSPETTICO OSSERVAZIONALE CONDOTTO IN TRE UNITA’ DI MEDICINA INTERNA DELLA A.O.U. CAREGGI. Bazzini C. Casati C. Fabbri A. Crociani A. Pieralli F. Corradi F. Pignone A. Morettini A. Nozzoli C. A.O.U. Careggi Firenze 16 COLITE MICROSCOPICA: UN CASO DI DIARREA IATROGENA Seghieri M. Lodato M. Taddei M. Scuola di Specializzazione Medicina Interna. Pisa 17 CYTOMEGALOVIRUS PANCREATITIS: A RARE MANIFESTATION IN IMMUNOSUPPRESSED PATIENT WITH NEW DIAGNOSIS OF SYSTEMIC SCLEROSIS. Ciervo D. Vannucchi V. Antonielli E. Bacci F. Rocchi F. Degl'Innocenti G. Mancini A. Baroncelli S. Pieralli F. Nozzoli C Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 18 DELIRIUM COME MARKER PRECOCE DI INTOSSICAZIONE DIGITALICA NEL GRANDE ANZIANO – UN CASO CLINICO Boncinelli M. Pozzi C. Barghini E. Ambrosio ML. Gabbani L. Geriatria per la Complessità Assistenziale AOU Careggi Firenze 19 DIFFERENZE DI GENERE E RISCHIO CARDIOVASCOLARE Straniti M. Teghini L. Giovannetti R. Raimondi L. Pierotello R. Pugliese N. Panigada G. ASL3 Ospedale di Pescia 20 EFFECTS OF ENDOGENOUS SEX HORMONES IN MEN WITH DEEP VEIN THROMBOSIS Mazzi V. Masi L. Cei M. Mumoli N Ospedale Civile - UO Medicina 1 Livorno 21 ELEVATI VALORI DI CA72-4: DAL CASO CLINICO A REVIEW DELLA LETTERATURA Fabbri M. Casati C. Torrigiani A. Di Marzi G. Burberi L. Corradi F. Morettini A. Medicina Interna Firenze

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22 FOURNIER’S SYNDROME: A RARE COMPLICATION OF OFFICE BASED HEMORROIDAL PROCEDURE Crociani A. Antonielli E. Vannucchi V. Ciervo D. Degl'innocenti G. Mancini A. Luise F. Sammicheli L. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 23 IL DELIRIO NEL PAZIENTE CRITICO: PREVENZIONE, DIAGNOSI E TRATTAMENTO. Tanzi M.T. Cammelli R. Marini F. Sarti A. ASF Firenze 24 IL PERCORSO GESTIONALE DELLA PANCREATITE ACUTA NELL’OSPEDALE DEL 3° MILLENNIO TRA INTENSITÀ DI CURA E ORGANIZZAZIONE DELLA RETE TERRITORIALE: SPUNTI DI RIFLESSIONE DA UN CASO CLINICO. Chiti I. Squillante R. Giovannetti R. Pantone C. Pierotello R. Pugliese N. Panigada G. ASL 3 Ospedale Pescia 25 IL SETTING ALTA COMPLESSITA’ AD EMPOLI: UNA REALTA’ INTERMEDIA TRA UNA SUBINTENSIVA E UNA DEGENZA ORDINARIA MA COMUNQUE UNA RISORSA PER L’OSPEDALE. Chiarugi L. Manzi S. Lavecchia R. Dacomo D. Cinotti S. Lombardo G. U.O.C. Medicina Interna Empoli Setting Alta Complessità Empoli 26 IL TRATTAMENTO CON COLECALCIFEROLO È IN GRADO DI INIBIRE IL SISTEMA RENINA ANGIOTENSINA E MIGLIORARE LA FUNZIONE ENDOTELIALE IN PAZIENTE AFFETTI DA IPERTENSIONE ESSENZIALE ED IPOVITAMINOSI D Carrara D. Bruno R. M. Ghiadoni L. Gervasi F. Duranti E. Bacca A. Barzacchi M. Taddei S. Bernini G. Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa 27 IMPIEGO DELLA "MINI TROMBOLISI" NEL TRATTAMENTO DELL'EMBOLIA POLMONARE A RISCHIO INTERMEDIO Fabiani P. Anelli S. Bassi P. Caniggia D. Iurato A. Montorzi G. Querci F. Villani G. Ospedale di Portoferraio (LI) 28 INAPPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA DI PPI IN MEDICINA: REVISIONE DELLA LETTERATURA E DATI PERSONALI Straniti M. Teghini L., Giovannetti R., Raimondi L. Pierotello R., Pugliese N., Panigada G. ASL3, ospedale di Pescia

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29 INFEZIONE DA C. DIFFICILE CON RETTORRAGIA E MARCATA LEUCOCITOSI: DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO Vazzana N. Beltrame C. Taccetti G. Scarti L. Fortini A. SOC Medicina Interna, Ospedale S. Giovanni di Dio, Azienda Sanitaria Firenze 30 LA SORVEGLIANZA E IL CONTROLLO DEI MICRORGANISMI MULTIFARMACO RESISTENTI NELL'AZIENDA SANITARIA DI FIRENZE. Faraone A. Bartoli D. Brugnoli S. Picca F. Serpietri L. Vazzana N. Fortini A. SOC Medicina Interna, Ospedale S. Giovanni di Dio, Azienda Sanitaria Firenze 31 MI HA CHIAMATO SOLO ORA !!! Bertoni M. Giani A. Calabrese E. Siclari O. Di Natale M.E. U.O. Medicina Interna II. ASL 4 di Prato 32 MOSCHOWITZ STRIKES BACK Crociani A. Antonielli E. Vannucchi V. Ciervo D. Degl'innocenti G. Baroncelli S. Para O. Bacci F. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 33 NAO NEL PAZIENTE NEOPLASTICO? UN CASO CLINICO Lamanna D. de Palma A. Palma E. Cati G. Mazzi A. Quattrucci L. Alessandri M. UO Medicina Interna PO Massa Marittima 34 NEW ORAL ANTICOAGULANTS VERSUS WARFARIN FOR THE PREVENTION OF PERIPHERAL SYSTEMIC EMBOLISM IN ATRIAL FIBRILLATION: SYSTEMATIC REVIEW AND META-ANALYSIS Mumoli N. Mazzi V. Masi L. Sabatini S. Basile V. Cei M UO Medicina 1 - Ospedale di Livorno 35 OUTCOMES A LUNGO TERMINE DEL PAZIENTE CON ISCHEMIA CRITICA DEGLI ARTI INFERIORI: ILOPROST MIGLIORA LA SOPRAVVIVENZA E IL TASSO DI AMPUTAZIONE Meini S1. Melillo E2. Laureano R1. Panigada G3. 1 SOC Medicina Interna OSMA Firenze 2 UO Angiologia Università degli studi di Pisa 3 SOC Medicina Interna Ospedale di Pescia

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36 PERCEZIONE E CONOSCENZA DEL PROBLEMA IPERTENSIONE ARTERIOSA Turchi G1 Faetti L1. Vagli E1. Mercantini F1. Burello E2. 1 Università degli studi di Siena 2 Università degli studi di Napoli 37 PERICARDIAL EFFUSION AND ANTILAMIN ANTINUCLEAR ANTIBODIES: AN UNUSUAL ASSOCIATION Mazzi V. Mumoli N. Mandolesi M.C. Occhipinti G. Cei M. Presidio Ospedaliero di Livorno 38 POLMONITE GRAVE ACQUISITA IN COMUNITÀ: OUTCOME ED INDICATORI PROGNOSTICI NEL PAZIENTE SOTTOPOSTO A VENTILAZIONE NON INVASIVA VERSUS TERAPIA CONVENZIONALE. Para O. Manni M. Mancini A. Pieralli F. Vannucchi V. Ciervo D. Crociani A. Degl'innocenti G. Antonielli E. Nozzoli C. Medicina Interna e D'Urgenza AOU Careggi Firenze 39 SIAMO SICURI DI CONOSCERE TUTTE LE CAUSE DI ANEMIA EMOLITICA? UN CASO NON COMUNE DI INFEZIONE DA CMV Chiti I. Alessandrì A., Checchi M., Squillante R. Raimondi L., Birindelli A, Pugliese N., Panigada G ASL 3 Ospedale Pescia 40 SINDROME DI GUILLAN-BARRÈ E RABDOMIOLISI: UNA CURIOSA ASSOCIAZIONE Seghieri M. Lodato M. Taddei M. Scuola di Specializzazione Medicina Interna Università di Pisa 41 STATINS DO NOT INCREASE BLEEDING RISK DURING VITAMIN K ANTAGONISTS TREATMENT FOR VENOUS THROMBOEMBOLISM: A RETROSPECTIVE COHORT STUDY Sabatini S. Riva N. Di Minno MND. Pomero F. Mumoli N. Ageno W. Dentali F UO Medicina 1 - Ospedale di Livorno 42 SUCCESSFUL TREATMENT OF A KLEBSIELLA PNEUMONIAE CARBAPENEMASE-PRODUCING SEPSIS WITH A DOUBLE-CARBAPENEM REGIMEN IN A VERY OLD MAN Mazzi V. Pardelli R. Mumoli N. Cei M. Presidio Ospedaliero di Livorno

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43 UN CASO CLINICO COMPLESSO CARATTERIZZATO DA ESTESE E PROFONDE ULCERE CUTANEE LOCALIZZATE LI ARTI INFERIORI. Degl'innocenti D. 1^ U.O. Medicina Ospedale Prato 44 UN CASO DI COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA ASSOCIATA ALL'USO DI SORAFENIB IN UNA DONNA AFFETTA DA EPATOCARCINOMA MULTIFOCALE IN CIRROSI EPATICA HCV CORRELATA. Lorenzini G. Spolveri S. Ospedale del Mugello Borgo San Lorenzo 45 UN CASO DI EMOFILIA ACQUISITA A COME MANIFESTAZIONE DI GVHD CRONICA IN UN PAZIENTE SOTTOPOSTO A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE CORDONALI TRATTATO CON RITUXIMAB. Bazzini C. Angarano R. Donnini I. Nozzoli C. Linari S. Crociani A. Rocchi F. Bacci F. Pieralli F. Guidi S. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze 46 UN CASO DI EMOFILIA ACQUISITA A IN UN PAZIENTE CON ARTRITE REUMATOIDE IN TRATTAMENTO CON ADALIMUMAB. Bazzini C. Galassi L. Agostino G. Lenzi A. Randisi P. Vagheggini F. Verdiani V. U.O. Medicina Interna, Ospedale Della Misericordia Grosseto 47 UN CASO DI LEISHMANIOSI VISCERALE. Tavernese G. Fortini A. Colasanti L. Fabbroni A. Contri S. Bribani A. SOS Medicina - Ospedale Serristori Figline V.no 48 UN CASO DI NEUROLUE ESORDITO CON DISTURBI PSICHICI. Lavecchia R.mChiarugi L. Schipani E. Lombardo G. U.O.C. Medicina Generale A.S.L. 11 Empoli 49 UN CASO DI PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA INDOTTA DA TICLOPIDINA Vazzana N. Taccetti G. Beltrame C. Scarti C. Calacoci L. Di Pietro G. Fortini A. SOC Medicina Interna, Ospedale S. Giovanni di Dio, Azienda Sanitaria Firenze 50 UN CASO PARTICOLARE DI GRAVE NEUTROPENIA. Chiarugi L1. Filippelli M1. Lavecchia R1. Tedici M2 Bartalucci P3. Lombardo G1. 1 U.O.C. Medicina Interna A.S.L. 11 2 U.O.C. Farmacotossicodipendenza A.S.L.11 3 U.O.C. Pronto Soccorso A.S.L.11

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51 UN'IPOGLICEMIA COMPLICATA de Palma A. Lamanna D. Quattrucci L. Palma E. Cati G. Mazzi A. Alessandri M. UO Medicina Interna PO Massa Marittima 52 UNA CAUSA INUSUALE DI COMA : INFARTO TALAMICO BILATERALE Baruffi M.C. Nenci G. Amati R. Rosso A. Fortini A. SOC Medicina Interna, Ospedale S. Giovanni di Dio, Azienda Sanitaria Firenze 53 UNA DIFFICILE DIAGNOSI DI … IPERTENSIONE ARTERIOSA. Fabiani P. Anelli S. Bassi P. Caniggia D. De Napoli V. Iurato A. Montorzi G. Querci F. Villani G. Ospedale di Portoferraio (LI) 54 UNA MIOSITE TUTTA DA INDAGARE. Cappelli F. Manetti S. Pascarella L. Rosi C. Stanganini S. Lombardini F. Santoro E. UOC Medicina Ospedale Casentino . Bibbiena 55 UNA SPADA DI DAMOCLE DEI NOSTRI GIORNI: LA REINTRODUZIONE DELLA TERAPIA ANTICOAGULANTE NEI PAZIENTI CON EMORRAGIA CEREBRALE SPONTANEA Chiti I. Bassu R. Raimondi L. Squillante R. Lucchesi I. Pugliese N. Panigada G. ASL3, Ospedale di Pescia 56 UNA STRANA DISFAGIA. Bazzini C. Romagnoli A.M. Scarpignato E. Rossi F. Panichi O. Camarda M. Verdiani V. U.O. Medicina Interna, Ospedale Della Misericordia Grosseto 57 UNO STRANO DOLORE DA ANALGESICO. Di Stasi V. Ferracane S. Casati C. Fabbri M. Cosentino E. Mannini D. Morettini A. Corradi F. Medicina Interna OACA 1 AOU Careggi Firenze 58 “THE REVOLVING DOOR SYNDROME” IN INTERNAL MEDICINE: A STUDY ON 11.846 SUBJECTS DISCHARGED FROM ALL INTERNAL MEDICINE DEPARTMENTS OF TUSCANY WITH DIAGNOSIS OF HEART FAILURE AND PNEUMONIA. Tellini M. Petrioli A. Forni S. Fruttuoso S. Bernardini M. Morettini A. Medicina Interna OACA 1 AOU Careggi Firenze

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A CASE OF ACUTE FORM OF SARCOIDOSIS, THE LOFGREN SYNDROME.

Antonielli E. Crociani A. Vannucchi V. Ciervo D. Mannoni A. Fedeli L. Fintoni T. Para O. Pieralli F. Nozzoli C.

Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze

A 49 years old men was admitted to our hospital for fever associated with hands, wrists and ankles joints arthralgia

present for about 15 days. He had no respiratory symptoms. On physical examination showed mild swelling and

tenderness in both ankle, tender red bumps was noted over bilateral lower limbs. Body weight loss around 7 kg was

noted in the last month. Laboratory studies included a complete blood count , plasma levels of creatinine, nitrogen,

electrolytes, calcium, liver enzyme, tumor markers were within normal limits. Serum angiotensin –converting enzyme

and chitotriosidasis were within the normal range. He was negative for rheumatoid factor, anti-cyclic citrullinated

peptide and antinuclear antibodies. A chest radiograph showed bilateral hilar mass lesion. A chest TC scan revealed

bilateral hilar and multiple mediastinal lymphadenopathy. On abdomen TC scan spleen is enlarged. A bronchoscopy

with endobronchial transbronchial needle aspirate (TBNA) of the hilar lymph nodes was performed with sampling for

bacterial culture and cytology resulting negative. A fluorodeoxyglucose-positron emission tomography showed

hypermatabolic lesions at the upper lung lobe, at the level of paratracheal, mediastinal and hilar lymphnodes. An

excisional lymphonode biopsy was performed and the results of histology demonstrated a non caseating granuloma wich

suggested a diagnosis of Lofgren’s Syndrome. Oral administration of prednisolone was initiated and symptoms

gradually subsided.

Sarcoidosis is a chronic multisystem inflammatory granulomatous disease with unknown etiology characterized by the

presence of non caseating granulomas in affected organs. Lofgren’s syndrome is a benigne, acute, self –limiting form of

sarcoidosis characterized by the association of erythema nodosum or polyarthralgia or polyarthritis and bilateral hilar

lymphadenopathy. Sarcoidosis can be difficult to diagnose because the disease produces few signs and symptoms in early

stage and when they occur, they can mimic those of other diorders, expecially lymphoproliferative disorders. Serum

ACE levels as a diagnostic test is limited (sensitivity 60%, specificity 70%). In literature is reported higher sensitivity

(88%) and specificity (92%)of chitotriosidase as a marker of active sarcoidosis , although in our case the results were not

significant. The chest radiographic findings has various diagnostic reliability (accuracy of 98% in stage I, 89% in stage

II, low in other stage). Chest TC scan has very high sensitivity, but low specificity for detecting sarcoidosis. In

conclusion, a biopsy with histopatological exam is essential to confirm a diagnosis of Lofgren syndrome and rule out

other causes of bilateral hilar lumphadenopathy.

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2 A CASE OF ACUTE HAEMORRHAGIC ALVEOLITIS CAUSED BY INTRAVESICAL BACILLUS CALMETTE-GUÉRIN INSTILLATION. Antonielli E. Vannucchi V. Crociani A. Ciervo D. Degl'Innocenti G. Turchi V. Mancini A. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi, Firenze We report a case of a 80-year-old man who presented to our emergency department for high fever (39°C), hematuria and dyspnea four hours after intravesical administration of Calmette-Guérin bacille (BCG) for a superficial bladder cancer. The patient already underwent two cycles of instillation. He developed hypoxemic respiratory failure with diffuse alveolitis at chest CT scan. Leukocyte count was 5.06 X 10^9/L , liver function test revealed aspartate aminotransferase 189U/L (15-37 U/L) and alanine aminotransferase 113 U/L (30-65 U/L). Search for Legionella and pneumococcal urinary antigen and sputum staining for Mycobacterium Tubercolosis were negative. A bronchoscopy revealed diffuse alveolar hemorrhage. The analysis of the bronchoalveolar lavage (BAL) fluid was negative for Mycobacterial species, pneumocystis jirovecii, and other bacterial and viral infection. The nasopharingeal swab for H1N1 was negative as well as results of galactomannan in serum and BAL. Empiric antibiotic treatment was started with no benefits. There was a rapid and significant clinical and radiological improvement with pulsed bolus of steroids and i.v. Immunoglobulins. A control of the computed tomography of the chest revealed multiple ground-glass opacities on both lung fields. Search for autoantibodies (i.e. ANCA, GBM) turned negative as well as BAL cytology. We supposed that a diagnosis of hypersensitivity interstitial pneumonitis with hemorrhagic alveolitis was the most fitting with the clinical picture. In literature there are few reports on hypersensitivity pneumonitis (HP) following intravesical instillation of BCG and none with hemorrhagic alveolitis. HP is explained by a hypersensitivity phenomenon following, usually, traumatic instillation of BCG. Hypersensitivity pneumonitis (HP) is a rare immunologically mediated lung disease caused by repeated exposition of organic antigens and should be considered in patients with acute respiratory symptoms with onset soon after immunotherapy with BCG.

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3 A CASE OF DEADLY ACUTE LIVER FAILURE DUE TO DEATH CAP. Antonielli E. Crociani A. Vannucchi V. Ciervo D. Degl'Innocenti G. Fedeli L. Fintoni T. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze On august 8th a 74-year-old female was admitted to the emergency room with nausea, vomiting, and diarrhea. She reported ingesting non commercially sold mushrooms with other members of the same family, at a common Sunday lunch nearly 96 hours earlier. No other member reported GE symptoms. Her past medical history was relevant only for hypertension. She lived alone and she did not consume alcohol, and she did not use any medication. On admission vital signs were normal, her physical examination was unremarkable except for dehydration. Arterial blood gas analysis was normal. There were laboratory signs of hepatitis. After starting fuid replacement she was admitted to our Internal Medicine Unit. On the next morning hepatitis B surface antigen, hepatitis B core antibody, immunoglobulin M, and antihepatitis C antibody were found to be nonreactive. A hepatitis B virus DNA analysis was performed using the polymerase chain reaction and was negative. After carefully reviewing her history appeared evident that, on Sunday dinner, she alone ate mushrooms deemed to be amanita cesarea (“Cesar’s mushroom”), but advised with caution from the mushroom picker to throw it away. On the second day amanituria turned positive. Along with lab signs of worsening hepatic failure, she developed hypotension and confusion. The regional referral center for liver transplantation was consulted, but unfortunately for her advanced age, despite a good performance status previous to admission and the low index of comorbidity, the patient was deemed unsuitable for the procedure. She was then transferred to Intensive Care Unit where she was intubated and supported in vital functions, as well as started venous-venous hemofiltration with MARS filters and plasma exchange. After 7 days of hospital admission she died. Mushroom poisoning is a relatively rare cause of acute liver failure. Amanita phalloides (death cap) is the most common and fatal cause of mushroom poisoning. Many illustrious deaths in the history are attributed to this mushroom commonly named “death cap”. One of the most popular is the death (or assassination?) of the Holy Roman Emperor Charles VI; as stated by the french illuminist Voltaire “as dish of mushrooms changed the destiny of Europe." Death cap, that can be confused with Cesar’s mushrooms, contains amanitins, which are powerful hepatotoxins that inhibit RNA polymerase II in liver. This process is characterized by an asymptomatic incubation period followed by the gastrointestinal and hepatotoxic phases which rapidly progress to multiorgan failure and eventually death in most cases. One option of effective treatment is plasmafiltration with dedicated filters (i.e. Molecular Adsorbents Recirculating System – MARS). It is a procedure that offers some advantage when started soon after toxic mushrooms ingestion in order to avoid or as a bridge to liver transplantation. This case is relevant since it points out two special aspects of acute liver failure due to Amanita phalloides ingestion. One is the needing of a repeated careful history taking; the second one is the needing of a basic medical culture on edible mushroom micology.

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4 A CASE REPORT OF ACQUIRED HEMOPHILIA A Manetti S. Cappelli F. Rosi C. Stanganini S. Santoro E. AUSL8 Arezzo Bibbiena Background: acquired hemophilia A (AHA) is a rare autoimmune disorder, caused by circulating auto-antibodies against factor VIII (FVIII), that results in inhibition of FVIII coagulant activity. The incidence is approximately 1 per million/year and related mortality rate is more than 20%. In 50% of cases it happens in patients with medical conditions such as postpartum, autoimmune disorders, underlying hematologic or solid cancers, infections, vaccination and use of medications. Two primary goals are: emergency management with bleeding control and inhibitor elimination, as long term therapy. Case Report: we admitted a 58 years old woman, with history of multiple sclerosis, with severe anemia caused by multiple hematomas and bruising after minor trauma; about 6 months before, she had needed hospitalization in other hospital for severe abdomen hemorrhage during heparin prophylaxis, requiring embolization of her right internal iliac artery. In the Emergency Department her blood tests revealed hemoglobin of 6,4 g/dL and prolongation of PTT (56 sec). After 3 packed red blood cell replacement and plasma infusion, hemoglobin value was 9.0 g/dL and there wasn’t any improvement in PTT (58 sec). The history of new-onset bleeding diathesis with PTT prolongation, without correction with plasma replacement and history of autoimmune disease put clinical suspicion of acquired hemophilia. Laboratory tests confirmed low FVIII levels (1,2%) and presence of antibodies against factor VIII (FVIII) with low titer (3,5 U/mL Bethesda). Clinical picture showed stability therefore it was not necessary to use specific haemostatic agents such as bypassing agents (recombinant factor VIIa and activated prothrombin complex concentrates), usually useful for patient with high titer of inhibitors, or administration of FVIII concentrates, usually required for patients with low titer of inhibitors, to control bleeding. After consultation of the main Center of Tuscany (Careggi Hospital), we started prednisone therapy 1 mg/Kg/die and we observed a progressive reduction of PTT and after a week PPT was normalized (33 sec), FVIII was 15,9% and inhibitors titer decreased to 1,7 U/mL. Conclusion: acquired hemophilia A is an uncommon cause of bleeding diathesis but prompt diagnosis is necessary to treat specifically life-threatening bleeding and to begin immunosuppressive therapy to eradicate FVIII inhibitors.

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5 A DANGEROUS POLYARTHRITIS Vannucchi V. Ciervo D. Degl'Innocenti G. Antonielli E. Crociani A. Rocchi F. Fintoni T. Fedeli L. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze Venous thromboembolism represents a complication of systemic inflammatory diseases. Acute rheumatic disease (ARF) is a severe and sometimes overlooked disease involving heart, joints, skin and central nervous system. We report a rare case of pulmonary embolism in a patient with ARF. A 45 year-old italian man was admitted in our ward for sudden onset dyspnea, fever and painful migrant polyarthritis, involving hands, wrists and knees joints. He referred recurrent pharingitis over the last 2 months treated with extended-spectrum antibiotic therapy. On examination he was tachypnoic with bibasilar crackles and severe hypoxic-hypocapnic respiratory failure; joints of wrists and knees appeared swelling and warmth with a severe limitation of motion. A CT-scan revealed a sub-massive pulmonary embolism. An anticoagulant treatment was started. Considering the severe joint involvment an extended blood test panel was performed revealing elevated levels of C-reactive protein and erythrocyte sedimentation rate associated with high-titer of antistreptolysin-O antibodies and cryoglobulines. Throat culture was negative for streptococcal infection. Lupus anticoagulant (LA) was positive but antiphospholipid antibodies were negative as well as the research for congenital thrombophilic mutations. The echocardiogram exam excluded a cardiac involvement, showing a normal left ventricular systolic function and absence of valvular defects. According with Jones criteria a diagnosis of ARF was performed and an appropriate antibiotic therapy was started with a rapid improvement of polyarthritis. Pulmonary embolism represents a rare complication associated with ARF. Systemic flogosis, cryoglobulines and LA positivity seem to be the major risk factors in this case.

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6 A DILEMMA IN DIAGNOSIS: PRIMARY HEPATIC LYMPHOMA Degl'Innocenti G. Ciervo D. Vannucchi V. Crociani A. Rocchi F. Bacci F. Biagioni M.C. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze Primary hepatic lymphoma (PHL) is an extremely rare malignancy, accounting for less than 0.4% of extranodal non-Hodgking lymphomas and 0.016% of all non-Hodgking lymphomas. The majority of PHL case originate from B cells while T-cell lymphoma is less common. The etiology of PHL is unknown and although the liver contains lymphoid tissue, host factors seem to make the liver a poor environment for the development of malignant lymphoma. We report a case of a 70-year old woman with a history of previous (5 years ago) latero-cervical lymphoma with negative follow-up. 1 month before admission she had taken nimesulide for several days for low back pain. Ten days later she was admitted to the emergency room for jaundice: abdomen Doppler ultrasound and abdomen computed tomography (CT) resulted negatives and liver damage was attributed to drugs (nimesulide); so she was discharged. For the persistent of icterus and further increase of bilirubin levels (predominantly direct share) she was admitted to our department. She had also increased level of cholestasis indices and serology for human immunodeficiency (HIV), Hepatitis C (HCV), and hepatitis B (HBV), Ebstein Barr virus (EBV) and Citomegalo-virus (CMV) resulted negatives. Tumor markers and autoantibodies specific for the liver and bile ducts resulted negatives. A supplemental colangio-MRI showed mild enlargement of the main bile duct. It was performed hepatic biopsy that resulted positive for hepatic lymphoma originate from B cells and, after haematologist evaluation, she began chemotherapy.

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7 A RARE CAUSE OF HYPERCALCEMIA IN A YOUNG WOMAN: THE PRIMARY LYMPHOMA OF THE BONE. Para O. Crociani A. Antonielli E. Panigada G. Fintoni T. Fedeli L. Biagioni MC. Manni M. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze Clinical case: a 26 years-old woman presented to our department to persistence by about 15 days of nausea, vomiting, epigastric discomfort and high fever. The patient had not relevant clinical history in the past. She had family history of primary hyperparathyroidism (mother affected by parathyroid adenoma). For about a month she referred lumbar pain in the absence of radiological changes treated with NSAIDs with little benefit. At admission to our department high values of serum calcium (14.5 mg / dl) with normal serum parathormone level were found in blood. An abdominal echography showed obstructive hydro-ureteralnephrosis. The physical examination didn’t show hepato-splenomegaly or lymphadenopathy. A chest-abdominal CT scan showed diffuse osteolytic lesions in the spine, pelvis and femur. On blood tests microcytic anemia, ferritin values within the limits and high values of vitamin B12 were present. Absence of M component in serum or urine, protein electrophoresis, immunofixation, Bence-Jones proteinuria and free light chains value excluded a multiple mieloma. In view of the family history of parathyroid adenoma with hyperparathyroidism, we performed neck ultrasonography and parathyroid 99mTc-MIBI planar scintigraphy that resulted normal. The curve of PHT has however showed a trend within the physiological limits. Urinary electrolytes (calcium, magnesium, sodium, potassium) were normal. We found mild vitamin-D deficiency. Autoantibody were negative. Mammography and breast ultrasound didn’t show pathological findings. Tumor biomarkers and immunophenotype examination were normal. A total-body PET revealed the presence of diffuse bone lesions with different degrees of metabolic activity in absence of extra-osseous sites of uptake. In the suspicion of Paget’s disease were also assayed urinary pyridinoline that found within limits. Vertebral biopsy was unrevealing. During hospitalization hypercalcemia was resistant to medical treatment with marked neurological symptoms. In consideration of the persistent hyporigenerative microcytic anaemia in the absence of active bleeding (EGS negative, absence of macroscopic bleeding) we performed bone marrow biopsy that showed large B-cell lymphoma indicative of primary lymphoma of the bone (CD45 +, CD20 +, CD10 + weak, CD3-, CD5-, Tdt-, CD30-, ALK1-, CD56-). Serology for CMV, EBV, HIV and hepatitis viruses were negative. The patient was therefore transferred to the Hematology Department where she began chemotherapy (CHOP), which is currently in progress. Discussion: Primary lymphoma of the bone (PLB) primarily arising from the medullary cavity is an extremely rare entity, with only retrospective studies and sporadic cases reported in the literature. The cause of PLB is not well-known now, however, viral infection, immunodeficiency, organ transplantation, Paget’s disease of the bone and inherited factors have been identified as possible causes in the process; although this has only been found in retrospective studies. The majority of PLB patients are >45 years of age and there is a slight male preponderance, with a male to female ratio of 1.2:1.8. Involvement of any region of the skeleton is possible, however, a trend exists in favor of the long bones with persistent bone marrow PLB has an improved prognosis compared with other bone malignant tumors, such as osteosarcoma or secondary lymphoma of the bone. A younger age has also been identified as an independent predictor of survival. PLB is a distinct clinicopathological entity with a relatively homogeneous morphology and clinical behavior, and is usually of B-cell type. PET-CT is of great importance in evaluating CR, and patients with PLB treated with combined modality therapy have been found to exhibit a superior outcome compared with those treated by single modality therapy.

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8 A STRANGE CASE OF ANCA-ASSOCIATED VASCULITIS: CAN MYCOBACTERIAL INFECTION DELAY THE DIAGNOSIS? Ciervo D. Antonielli E. Vannucchi V. Crociani A. Casati C. Mancini A. Innocenti R. Para O. Degl'Innocenti G. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze According to Chapel Hill Consensus Conference, microscopic polyangiitis (MPA) is defined as a systemic, necrotizing, non granulomatous vasculitis with few or no immune deposits, affecting small vessels. It is an autoimmune disease in which antineutrophil cytoplasmic antibodies (ANCA) play an important pathogenetic role presenting in 95% of patient: 70% are directed against MPO and 30% against PR3. This kind of vasculitis affects renal and pulmonary small vessels even if other organs can be involved such as gastrointestinal tract and Central nervosu system. Recent studies showed P-ANCA positivity also in non vasculitic disease such as chronic infections especially in Mycobacterial ones. We present the case of E.M.P, a 53 years old peruvian woman, admitted to our general ward for frontal headache associated with vomit without neurogical difects. A CT brain scan showed frontal cerebral bleeding with sub-aracnoideal hemorrhage so we performed an angiografphic study that was negative for cerebral vascular malformations. Laboratory testing showed acute oliguric renale failure with serum creatinine 4,2 mg/dL (vs 1.7 mg/dL two months before), nefritic urinary deposit and non nefrosic proteinuria (2.132 mg/24h). In her past clinical history, patient referred a renal BK infection succesfully treated with left nefrectomy and antimicrobial therapy. So we performed microbiological test (colture, genic amplification for BK and Quantiferon) that were negative per BK infection and thoracic-abdominal CT that was negative for pulmonary or renal tubercolosis relapse. Because of the renal function rapid deterioration (Serum creatinine 5.65 mg/dL) we performed an ultrasound exam, negative for urinary obstruction and laboratory tests that showed ANCA positivity (MPO 431 UI/mmL). Renal biopsy was not possibile because of patient’s clinical condition. An ANCA-associated vasculitis was susptected so we started specific therapy with plasmapheresis, high dose steroids and rituximab with gradual renale function improvement. Recent studies showed the P-ANCA positivity also in non vasculitis disease such infections especially in Mycobacterial ones. In patients affected by TB: above 52,4% had P-ANCA positivity; of theese 47,6% showed anti-MPO and 28,6% anti-PR3. The low specificity of P-ANCA autoantibodies in that contenxt suggests that treatment decision should be focused non only on the result of ANCA test but also on the clinical features and over all on hystological biopsy which is the “gold standard” for an appropriate diagnosis.

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9 ACCURACY OF NURSE-PERFORMED LUNG ULTRASOUND IN PATIENTS WITH DYSPNEA: A SINGLE-CENTRE PROSPECTIVE OBSERVATIONAL STUDY Masi L. Cresci A. Basile V. Sabatini S. Cei M. Bianchi L. Mazzi V. Mumoli N UO Medicina 1 - Ospedale di Livorno Several studies have recently shown that lung ultrasound (LUS) hold a reliable and easy evaluation of pulmonary congestion by assessment of B-lines; the aim of this study was to assess the diagnostic accuracy of nurse-performed LUS in the differential diagnosis of dyspnea. We prospectively evaluated all consecutive inpatients referred for dyspnea from April 2014 to September 2014. All patients underwent LUS, first by trained nurses and then by physicians expert in chest ultrasonography, with every group blinded with respect to each other. Interobserver agreement and accuracy of nurse-performed LUS were calculated, considering the physician's final diagnosis as the reference test. 175 nurse-performed LUS were included in the study. Nurse-performed LUS demonstrated sensitivity of 93.7% (95% CI 89.1-94.2) and specificity of 98.7% (CI 94.9-99.6), a positive predictive value of 99.2% (CI 90.1-99.5) and a negative predictive value of 97.3% (93.0-98.7). Correlation with the physician was good (r = 0.89). This preliminary report demonstrates that nurse-performed LUS achieved similar accuracy to physician-performed LUS. This approach could resolve some shortage problems in geographical areas or in times of economical constraints, where the availability of a trained physician is limited. Moreover, it should therefore be considered for routine use as part of the nurse triage in the emergency department for patients admitted with respiratory symptoms. Prospective studies with greater patient numbers would be valuable.

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10 ACUTE INTERMITTENT PORPHYRIA Basile V. Brondi B. Cresci A. Mumoli N UO Medicina 1 - Ospedale Livorno Introduction: Acute intermittent porphyria (AIP) is a hereditary disorder resulting from a partial deficiency of the heme biosynthetic pathway. Since biochemical measurements of patients and their healthy relatives overlap, the diagnosis of AIP may remain undetermined at the symptom-free phase. During an acute attack, which includes various neurovisceral symptoms, measurement of urinary porphobilinogen is a method of choice to confirm diagnosis. Clinical case: A 75-year-old woman with recent urinary infection presented with recurrent acute abdominal pain, vomiting, weakness and confusion. She also had orthostatic hypotension and bradycardia. Her medical and family history was unremarkable and she taking no medication. Physical examination showed no abnormalities except for moderate quadriparesis and abnormal behaviour with hallucinations. When a urinary catheter was placed, dark and reddish urine was drained and urinalysis showed no hematuria or pyuria. A diagnosis of AIP was confirmed by increased urinary excretion of porphobilinogen. She was treated with hematin and an adequate calorie intake and symptoms resolved in 2 days. Comments: AIC is a rare autosomal dominant metabolic disorder of the heme synthesis due to deficiency of porphobilinogen deaminase enzyme; it show low penetrance and thus might not appear in every generation. Clinical manifestations vary and consist of abdominal pain, peripheral neuropathy, orthostatic hypotension and mental disturbances and a high index of clinical suspicion is important to avoid delayed diagnosis. Drugs, alcohol, fasting, stress and infection are the most common precipitants of the acute attack.

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11 AUDIT CLINICO COME STRUMENTO EFFICACE NEL MIGLIORAMENTO DELLA DIMISSIONE DEL PAZIENTE DIABETICO DALLE UO DI MEDICINA INTERNA Montagnani A. in rappresentanza del Gruppo DDIMA U.O. Medicina Interna, Ospedale Misericordia USL 9 Grosseto Il paziente diabetico rappresenta una significativa percentuale dei pazienti dimessi dalle Medicine Interne Ospedaliere ed il miglioramento della qualità delle cure offerte è un campo di sfida quotidiano. Lo scopo del presente studio è stato quello di condurre un Audit Clinico al fine di evidenziare le potenzialità di miglioramento ed implementare gli strumenti al fine di ottenere un progresso nella qualità assistenziale dei pazienti diabetici. L’Audit Clinico è stato strutturato in 5 fasi: 1. Preparazione (selezione dei topic, definizione clinica delle domande, selezione dell’evidenze, ecc…); 2. Definizione dei criteri, indicatori e standards; 3. Raccolta retrospettiva dei dati; 4. Analisi dei dati, identificazione dei maggiori discostamenti dagli standards; 5. Implementazione delle misure correttive; 6 raccolta dei dati post-implementazione. E’ stato condotto uno studio multicentrico, che ha coinvolto 20 Unità Operative di Medicina Interna nella I fase e 13 nella II fase, da almeno 10 Regioni Italiane. La documentazione clinica è stata raccolta retrospettivamente ottenendo informazioni da 1332 e 1052 dimissioni di pazienti diabetici, rispettivamente nella I e II fase del progetto. Risultati I fase vs II fase: Indicatore 1 (Ind1): N° pazienti che ricevono informazioni sul controllo glicemico/pazienti dimessi (41,59 % vs 69,49 %; + 27,90 %) Indicatore 2 (Ind2): N ° Pazienti che ricevono istruzioni sul trattamento dell’ipoglicemia/ pazienti dimessi (32,37 % vs 72,34 %; +39,97 %) Indicatore 3 (Ind3): N° Pazienti che ricevono istruzioni sulle modalità di somministrazione sottocutanea dell’insulina/ pazienti dimessi (60,42 % vs 80,50 %; +20,08 %) Indicatore 4 (Ind4): N° Pazienti che ricevono uno schema o almeno consigli alimentari/pazienti dimessi (24,77 % vs 70,82 %; +46,04 %) Indicatore 5 (Ind5): N° Pazienti con iperglicemia nota o nuova a cui viene dato un appuntamento ambulatoriale in lettera di dimissione/pazienti dimessi (60,66% vs 84,89%; +24,23%) Indicatore 6 (Ind6): N° Pazienti con HbA1c riportata in lettera di dimissione/ pazienti dimessi (40,62 % vs 73,00 %; +32,39 %). L’Audit Clinico, dopo aver consentito l’identificazione delle carenze dei comportamenti clinici nella dimissione dei pazienti diabetici dalle UO di Medicina Interna italiane, ha permesso di ottenere i miglioramenti potenziali identificati dall’elaborazione sistematica delle LG internazionali e nazionali. Al fine di stabilizzare questi significativi progressi dovrà seguire una continua azione di controllo e feedback standardizzando quei comportamenti che determinano una maggiore qualità di cura del paziente diabetico dimesso dall’ospedale.

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12 CARCINOSI PERITONEALE: UNA SORPRESA DIAGNOSTICA ALLA BIOPSIA PERITONEALE Burberi L. Casati C. Fabbri M. Mannini D. Corradi F. Morettini A. Medicina interna OACA 1 Firenze Background: l’esordio della TBC peritoneale prevede ascite, calo ponderale, dolore addominale e febbre, potendo simulare numerose patologie addominali. L’RX del torace spesso non evidenzia reperti suggestivi per TBC e un risultato negativo al Mantoux o al Quantiferon-test non rappresenta un criterio di esclusione valido. La TC generalmente dimostra ascite, noduli peritoneali, ispessimento omentale e molteplici adenopatie, analogamente a quanto riscontrato in corso di carcinosi peritoneale. Tutto ciò rende gli errori diagnostici estremamente frequenti. Caso clinico: Pz peruviano con storia di potus, presenta tosse, anoressia, febbre e calo ponderale. L’RX-torace rivela adenopatie calcifiche perilari e nodulo parenchimale calcificato. Quantiferon e Mantoux negativi. Alla TC-addome si riscontra un quadro suggestivo di carcinosi peritoneale. Tuttavia l’esame del liquido ascitico risulta negativo per cellule maligne, con riscontro di linfociti. Eseguito quindi ago aspirato con dimostrazione di flogosi granulomatosa necrotizzante tubercoloide. La diagnosi è dunque di TBC:la regressione del quadro ottenuta mediante terapia antitubercolare ne è la conferma. Conclusione: la TBC peritoneale rientra nella DD di patologia addominale non agevolmente riconducibile a condizioni cliniche più frequenti; la provenienza del paziente da Paesi a rischio, un quadro TC tipico, il riscontro di linfociti alla paracentesi sono elementi che rafforzano il sospetto: il miglior approccio per confermare la diagnosi è l’esame istologico del materiale ottenuto con agoaspirazione o laparoscopia.

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13 CARDIAC COMPLICATIONS IN PATIENTS HOSPITALIZED FOR COMMUNITY ACQUIRED PNEUMONIA IN A INTERNAL MEDICINE WARD. Vannucchi V. Ricci E. Silverii MV. Ciervo D. Antonielli E. Degl'Innocenti G. Crociani A. Para O. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze Community-acquired pneumonia (CAP) and cardiovascular disease are leading causes of hospitalization in Internal Medicine. In patients with CAP, cardiac complication occurs in 25-50% of cases (especially in elderly population) and about 90% of these events are detected during the hospitalization. Aim of this study was to evaluate the incidence and outcome of patients with CAP developing cardiovascular events. We conducted a prospective observational study on patients with CAP admitted to an Internal Medicine ward of the Careggi Hospital of Florence between August 2012 and July 2014. Patient with Hospital Acquired Pneunomia and Health Care Associated Pneumonia were excluded from the study. The cardiovascular events evaluated were: heart failure (worsen or newly-onset), coronary acute syndrome, arrhythmias (atrial fibrillation, flutter, ventricular fibrillation/tachycardia), stroke. The outcome evaluated was intra-hospital mortality and 30-day mortality, re-hospitalization and the length of stay. We enrolled 191 patients with CAP. Of these 88 (46%) developed a cardiovascular event.. A newly onset heart failure was the most frequent cardiovascular event (23% of patients). NSTEMI was present in 7,3% of patients. Atrial fibrillation and atrial flutter appeared in 11,5% of patients. The cardiovascular events were more frequent in elderly population. A CURB-65 score >3 was not associated with cardiovascular events even if it was associated with higher mortality. Patients with cardiovascular events presented an increasing of the length of stay, 30-day mortality and 30-day re-hospitalization. Our study confirmed the close association between CAP and cardiovascular events. Therefore pneumonia should not to be considered an exclusively pulmonary disease, but a systemic disease frequently complicated by cardiovascular events. In our study, CURB-65 score represent a reliable and useful tool for risk stratification in patients with CAP but its use, especially in elderly population, is likely to underestimate the real severity of CAP.

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14 CASO NEUROLOGICO DI PERTINENZA INTERNISTICA Rossi F. Montagnani A. Galassi L. Randisi P. Lenzi A. Verdiani V. UO Medicina Interna Ospedale Misericordia USL 9 Grosseto La presenza di paresi bilaterale prevalente agli arti inferiori è un quadro clinico che spesso induce a richiedere la consulenza neurologica. L'eccitabilità neuro-muscolare dipende strettamente dall'equilibrio elettrolitico, ed in particolare degli ioni potassio, magnesio e calcio. La grave alterazione di questi può determinare quadri neurologici importanti che l'internista è chiamato a riconoscere. Il magnesio ed il calcio sono strettamente legati all'asse paratormone e attivazione della vit D. Una grave ipomagnesemia determina una resistenza all'azione del PTH determinando una ridotta attivazione della Vit D da parte del rene e quindi un'ipocalcemia che a sua volta induce la riduzione del magnesio sierico. Sia la somministrazione ev degli ioni, così come la somministrazione per os dei metaboliti attivi della vit D possono interrompere il loop negativo e risolvere velocemente i sintomi. Caso clinico: F.C., donna di 85 anni, anamnesi di IRC grave e deterioramento cognitivo su base vascolare cronica; in PS per deficit simmetrico di forza agli arti inferiori con impossibilità al mantenimento della stazione eretta e deambulazione, restante obiettività neurologica integra, non riferita altra sintomatologia, non traumatismo. Obiettività cardiotoracica ed addominale nella norma, stato di disidratazione. TC cranio (ad ingresso e controllo a 24 h) negative per eventi acuti; RX torace ed ecoaddome esenti da riscontri patologici; esami ematici: importante ipocalcemia (4.5 mg/dl) ed ipomagnesemia (0,5 mEq/L), lieve ipopotassimia con incremento di azotemia (122 mg/dl) e creatinina (2,45 mg/dl) per una clearance creatinina 25 ml/min, anemia (Hb 10,2 g/dl) normocitica normocromica. EGA con normali valori dei gas e pH; riduzione di calcio ionizzato (0,34 mEq/l); incremento di PTH (72 pg/ml), riduzione di Vitamina D. Normali elettroliti urinari. Paziente trattata nelle prime due giornate di degenza con somministrazione endovenosa di Calcio Gluconato, Solfato di Magnesio ed idratazione con soluzione fisiologica; somministrato per os Calcitriolo 0,50 mg/die. In 2° giornata, dopo miglioramento del quadro elettrolitico ripristino di normale capacità motoria degli arti inferiori con possibilità di mantenimento di stazione eretta e parziale deambulazione. Proseguita terapia per os con Carbonato di Calcio 2 gr/die e Calcitriolo 0,25 mg/die. Conclusioni: di fronte a pazienti anziani fragili con una sintomatologia neurologica importante come la paresi bilaterale degli arti inferiori diventa fondamentale effettuare una diagnosi differenziale con gli squilibri elettrolitici.

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15 CLASSIFICAZIONE E SIGNIFICATO PROGNOSTICO DELL’ IPERGLICEMIA NEL PAZIENTE RICOVERATO: RISULTATI DI UNO STUDIO PROSPETTICO OSSERVAZIONALE CONDOTTO IN TRE UNITA’ DI MEDICINA INTERNA DELLA A.O.U. CAREGGI. Bazzini C. Casati C. Fabbri A. Crociani A. Pieralli F. Corradi F. Pignone A. Morettini A. Nozzoli C. A.O.U. Careggi Firenze L’ iperglicemia (ovvero il rilievo di una glicemia a digiuno ≥ 126mg/dL o una glicemia casuale ≥ 200mg/dL) nel malato ricoverato e’ di frequente riscontro (circa 38% dei casi) ed e’ associata ad outcome peggiore rispetto ad un soggetto con normali valori glicemici. Gli studi condotti in questo ambito provengono pero’ principalmente da casistiche di reparti di Terapia Intensiva e Chirurgia e soprattutto manca in questi trials una corretta classificazione del soggetto iperglicemico. Gli scopi quindi del presente studio sono stati: valutare la prevalenza dell’ iperglicemia in Medicina Interna; classificare correttamente il paziente iperglicemico ricoverato; indagare il trattamento ed il significato prognostico dell’ iperglicemia in ospedale. Lo studio di tipo prospettico osservazionale e’ stato condotto su pazienti ricoverati in tre Unita’ di Medicina Interna nel periodo compreso tra il 1° ottobre 2013 ed il 1° giugno 2014. Sono stati arruolati soggetti di eta’ > 18 anni, con storia di diabete mellito (DM) e con rilievo di iperglicemia. I pazienti sono stati quindi suddivisi in 3 gruppi: soggetti diabetici noti (gruppo 1); soggetti con nuova diagnosi di DM ovvero con HbA1c > 48mmol/mol (gruppo 2) e soggetti con HbA1c < 48mmol/mol ovvero con iperglicemia da stress (gruppo 3). L’ ipoglicemia e’ stata definita come rilievo di glicemia < 60mg/dL. Gli outcomes valutati sono stati: lunghezza della degenza, necessita’ di incremento dell’ intensita’ di cura (ovvero un peggioramento clinico con necessita’ di trasferire il paziente in un reparto di Subintensiva o Terapia Intensiva) e mortalita’. Dei 415 pazienti studiati (48% maschi, eta’ 76±11 anni) 297 pazienti (72%) avevano gia’ una storia di DM (gruppo 1), 30 (7%) hanno avuto diagnosi di DM durante il ricovero (gruppo 2) e 88 (21%) hanno presentato iperglicemia da stress (gruppo 3). I pazienti diabetici noti (gruppo 1) avevano un numero maggiore di comorbilita’ rispetto agli altri due gruppi (l’ 85.9% dei pazienti del gruppo 1 aveva almeno 4 comorbilita’ vs 56.7% e 38.6% dei gruppi 2 e 3 rispettivamente, p<0.001 per entrambi). Il trattamento insulinico e’ stato effettuato nel 67.9% dei casi secondo lo schema basal bolus anche se il fabbisogno giornaliero di insulina e’ stato somministrato per un 60.2% come insulina basale e per un 39.8% come analogo rapido ai pasti. Le ipoglicemie si sono verificate in 63 pazienti (15.2%) e sono state osservate quasi interamente nel gruppo 1 (87.3% del totale). Il gruppo 1 ha avuto una degenza media piu’ breve rispetto agli altri due gruppi (8.8±6.4 giorni vs 11.9±9.2 giorni del gruppo 2 e 10.8±7.6 giorni del gruppo 3, p<0.05 per entrambi). In soli 9 pazienti (2.2%), di cui 5 (1.2%) appartenenti al gruppo 1 e 4 (1%) appartenenti al gruppo 3 c’ e’ stata necessita’ di un trasferimento in reparti di Subintensiva o Terapia Intensiva senza una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi (test chi-quadro: p=0.12). La mortalita’ totale dell’ intera popolazione e’ stata pari al 5.8%, 4.1% nel gruppo 1 e 1.7% nel gruppo 3, senza differenze statisticamente significative tra i due gruppi (test chi-quadro: p=0.14); nel gruppo 2 invece non sono stati registrati decessi. Questo studio rivela un’ alta frequenza di iperglicemia in ospedale nei reparti di Medicina Interna e mostra come il principale trattamento ospedaliero dell’ iperglicemia sia l’ insulina che nel 68% dei casi e’ stata somministrata secondo lo schema basal-bolus (raccomandato dalle Linee Guida), ancora comunque diffuso l’ utilizzo di uno schema sliding-scale (18% dei casi). Lo schema basal-bolus pero’ e’ stato attuato somministrando il fabbisogno totale giornaliero di insulina per il 40% come insulina basale e per il 60% come insulina rapida ai pasti, diversamente da quanto previsto (50% insulina basale e 50% analogo rapido). Il dato interessante infine che emerge dallo studio e’ che i soggetti con iperglicemia da stress hanno presentato una degenza piu’ lunga con una mortalita’ ed una necessita’ di incremento dell’ intensita’ di cure comparabili ai soggetti diabetici noti nonostante il minor numero di comorbilita’ presentate.

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16 COLITE MICROSCOPICA: UN CASO DI DIARREA IATROGENA Seghieri M. Lodato M. Taddei M. Scuola di Specializzazione Medicina Interna. Pisa Introduzione: la duloxetina, farmaco appartenente alla classe degli inibitori del reuptake della serotonina e noradrenalina (SNRI), è indicata in prima linea, oltre che nel trattamento di episodi di depressione maggiore e nei disturbi di ansia generalizzata, nella terapia della neuropatia diabetica. La diagnosi di colite microscopica si effettua su prelievo bioptico in corso di indagine endoscopica, in assenza di significative alterazioni macroscopiche e rappresenta ad oggi circa un 10% delle cause di diarrea cronica a carattere secretorio (acquoso). Sono descritte due entità: la colite collagenosica, caratterizzata da ispessimento dello strato di collagene sub-epiteliale superiore a 10 µm e la colite linfocitica, in cui è presente linfocitosi intraepiteliale (>20 % delle cellule di rivestimento epiteliale). La colite microscopica è maggiormente rappresentata nel sesso femminile e ne sono responsabili per buona parte alcuni trattamenti farmacologici. Caso clinico: una paziente di 79 aa, affetta da una neuropatia periferica prevalentemente sensitiva associata a gammopatia monoclonoclonale IgM, con attività anti MAG (glicoproteina-mielina-associata) per la quale era stata trattata con rituximab, da qualche mese assumeva con duloxetina 60 mg od per recidiva di dolore neuropatico. Tra le altre terapie in atto da diversi anni si segnalano antiaggregante (acido acetilsalicilico), furosemide, bisoprololo ed omeoprazolo. Per comparsa da circa tre settimane di abbondante diarrea acquosa (7-8 evacuazioni/die) in assenza di sangue, muco e febbre associata a calo ponderale di 4-5 kg e scarsamente responsiva a trattamento domiciliare con fermenti lattici e rifamixina, la paziente veniva condotta in ambiente ospedaliero. Intrapresi abbondante idratazione e reintegro di potassio, venivano effettuate in prima battuta indagine ecografica e Rx diretta addome, risultate negative. L’esame chimico fisico su feci, coprocolture, esame parassitologico e CD test risultavano negativi, mentre la calprotectina fecale debolmente positiva. L’indagine endoscopica risultava sostanzialmente negativa, per cui si eseguivano biopsie random lungo tutto il tratto del colon. Venivano inoltre escluse cause funzionali, quali ipertiroidismo e da sindrome carcinoide. In attesa di risposta istologica e data la discreta risposta clinica a diosmectite la paziente veniva dimessa. La presenza al referto istologico di marcato e diffuso infiltrato infiammatorio cronico nella lamina propria associato ad incremento di linfociti intraepiteliali a fenotipo T (CD 3+) superiore al 25% con architettura conservata e muciparità conservata ed in assenza di atipia ha successivamente consentito di porre diagnosi di colite linfocitica. Lo specialista gastroenterologo ottimizzava terapia con mesalazina, raccomandando sospensione di duloxetina. Conclusione: In considerazione della cronologia e dei dati in letteratura in merito alle cause iatrogene di diarrea microscopica, la duloxetina appare responsabile del quadro. Da segnalare infine che anche gli inibitori di pompa, di cui la paziente tuttavia faceva uso da diverso tempo, sono una classe tra i farmaci imputati.

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17 CYTOMEGALOVIRUS PANCREATITIS: A RARE MANIFESTATION IN IMMUNOSUPPRESSED PATIENT WITH NEW DIAGNOSIS OF SYSTEMIC SCLEROSIS. Ciervo D. Vannucchi V. Antonielli E. Bacci F. Rocchi F. Degl'Innocenti G. Mancini A. Baroncelli S. Pieralli F. Nozzoli C Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze Systemic sclerosis is a chronic systemic autoimmune connective tissue disorder encountred in about 0.5-1% of general population especially in middle age females (Female/male = 9:1). It is characterized by diffuse fibrosis, degenerative changes, and vascular abnormalities involving the skin, blood vessels, muscles and joints, internal organs (especially the esophagus, lung and kidney). About 5-8% develops NH Lymphoma. Diagnosis is made on the basis of clinical features, autoantibodies positivity especially for Anti-Cepn A-B (20-40% of cases), ANA and Anti-Scl70 (15-40% of cases). In SSc there is an impairment of immunitary system with an increased risck for infections. We present the case of an 87 years old woman affected by arterial hypertension, atrial fibrillation treated with anticoagulation therapy and idhiopatic piastrinopenia (45.000 /mm3). She was admitted to our general ward for fever, acute abdominal pain and vomiting. Clinical exam showed: oral lesions, micrognatia, dry oral and eyes mucous, Raynaud’s phenomenon. Because of abdominal pain and an increased levels of lypase and amylase, we performed a CT abdominal scan that suggested an acute pancreatitis so we sterted iv hydratation therapy. Blood colture were negative. The patient’s clinical features were suspected for autoimmune disease so we performed an autoantibodies panel that showed positivity for: Anti-Cepn A-B, Anti Scl70, ANA > 1:640 and we suggests a diagnosis of Systemic Sclerosis (SSc) After the esclusion of common cause of pancreatitis, we suspected a viral panreatitis infection. Sierology for viral agents was postive for high levels of CMV DNA so we started anti-viral agents therapy with rapid viral genomes decreased and clinical improvement. Unfortunately, the clinical course was complicated by a septic polimicrobic shock in immunosuppressed patient that cause the patient death.

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18 DELIRIUM COME MARKER PRECOCE DI INTOSSICAZIONE DIGITALICA NEL GRANDE ANZIANO – UN CASO CLINICO Boncinelli M. Pozzi C. Barghini E. Ambrosio ML. Gabbani L. Geriatria per la Complessità Assistenziale AOU Careggi Firenze INTRODUZIONE La digossina è un farmaco comunemente usato nel soggetto anziano, assolutamente sempre attuale anche alla luce di ultimi dati scientifici che pongono in discussione l’efficacia e la sicurezza dei beta-bloccanti nel controllo della frequenza cardiaca nello scompenso cardiaco e fibrillazione atriale (1). L’intossicazione digitalica è un evento frequente nel paziente anziano, spesso misdiagnosticata e talvolta fatale, con manifestazioni cliniche che variano da lievi a moderate. Le variazioni farmacodinamiche associate alla età e le interazioni farmacologiche di politerapie impiegate nel trattamento di quadri comorbosi contribuiscono ad un aumento del rischio di eventi avversi e di casi di tossicità da digossina. Sebbene gli effetti avversi cardiaci e gastrointestinali associati all’impiego di digossina siano più frequenti e ben noti, minore attenzione è stata rivolta negli anni ai possibili effetti sul sistema nervoso centrale. I disturbi del sistema nervoso centrale associati a sovradosaggio digitalico (cefalea, astenia, torpore, scotomi, visione indistinta, visione gialla) sono senz’altro più rari (2); nel paziente anziano si può inoltre manifestare un quadro di psicosi con agitazione psicomotoria e allucinazioni visive, rappresentando spesso un segno precoce di tossicità da digossina rispetto a sintomi e segni cardiaci/gastrointestinali (3,4). CASO CLINICO Donna, 96 anni, ricoverata presso il Reparto di Geriatria per la Complessità Assistenziale della AOUCareggi per dispnea ingravescente associata a scompenso cardiaco congestizio IV classe NYHA complicato da stato anasarcatico con versamento pleurico bibasale a lenta risoluzione. Agli esami ematici lieve incremento degli indici di funzionalità renale (1,26 mg/dl creatininemia, 0,97 mg/dl urea), TnI 0,13 ug/L, ProBNP 4702 pg/mL, Cl creatinina 37 ml/min adeguata per età e peso. EGA: pH 7.36, PaO2 73 mmHg, PaCo2 38 mmHg, 133 Na+, K+ 3.6, lattati 1.1, SBE -2.9. All’ECG fibrillazione atriale normofrequente (in terapia con bisoprololo), alla RX torace congestione polmonare del piccolo circolo e versamento pleurico, trama polmonare addensata a sede basale destra. Perfettamente integra sul piano cognitivo, vigile e collaborante, eloquio nella norma, ricordava la propria terapia. Sempre adeguata al contesto, ha riferito per tutta la durata del ricovero con esattezza sintomi e bisogni, in assenza di alterazioni psico-comportamentali, pur in presenza di alterazioni organiche acute quali una sepsi intercorrente, alterazioni elettrolitiche ed il posizionamento di drenaggio pleurico per il trattamento di scompenso refrattario. Per ipotensione e tachicardia (105 bpm) ed impossibilità ad incrementare il bisoprololo, veniva sospeso il ramipril, ridotto il bisoprololo ed associata digossina a basso dosaggio con valori sierici raggiunti di 0,78-0,81 ug/L. Dopo 4 giorni dall’introduzione del farmaco comparsa improvvisa di stato confusionale acuto con eloquio confabulante, allucinazioni visive e convinzioni errate, in assenza di variazioni del restante quadro clinico; è stata quindi trattata con aloperidolo e sono state necessarie misure di contenzione fisica con persistenza di allucinazioni visive disturbanti, agitazione ed ansia, non responsive al colloquio e/o nuova sedazione. Dopo rivalutazione della terapia è stata sospesa la terapia con digossina e reintrodotto bisoprololo a bassi dosaggi con rapida remissione dello stato di delirium acuto. Dopo la sospensione del farmaco, a distanza di circa due giorni, la paziente ha recuperato la condizione psico-cognitiva precedente senza bisogno di ulteriori terapie di contenzione fisica e/o farmacologica. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Studi clinici che mettano in evidenza effetti avversi neuropsichiatrici associati all’uso di digossina nel soggetto anziano sono scarsi e solo in pochi casi recenti. Allucinazioni e deliri causati da digitale sono stati riportati come effetti associati al farmaco già dai primi anni della sua scoperta ed impiego; negli anni successivi sono stati segnalati casi di allucinazioni visive come effetto avverso isolato in grandi anziani, favorito dallo stato di disidratazione soprattutto in associazione alla terapia diuretica (2). A causa della polipatologia che caratterizza l’età geriatrica e alla sintomatologia a volte sfumata e atipica, si può osservare spesso una sintomatologia aspecifica con disturbi neuropsichiatrici, in particolare allucinazioni visive, come esordio di intossicazione digitalica, indipendente dal dosaggio sierico, favorita da disidratazione, ipossia, alterazioni elettrolitiche e interazione fra farmaci (3,4); queste manifestazioni cliniche dovrebbero quindi essere considerate sospette per iniziale intossicazione da digossina ed il farmaco individuato come possibile causa di delirium, tali da condurre al tentativo di una immediata sospensione, prima di proporre altre possibili ipotesi e/o trattamenti che potrebbero confondere il quadro o portare al cosiddetto fenomeno della “cascata prescrittiva” con il rischio di, trattando eventi avversi, generare altri eventi avversi.

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BIBLIOGRAFIA 1) Efficacy of β blockers in patients with heart failure plus atrial fibrillation: an individual-patient data meta-analysis D.Kotecha Lancet. 2014 2) Photopsia as a manifestation of digitalis toxicity A.Oishi, Canadian Jour.of Ophthalm. 2006 3) Symptoms of severe digoxin intoxication in patients hospitalized in geriatric wards R.Neumann Przegl Lek. 2004 4) Visual Hallucinations as the Earliest Symptom of Digoxin Intoxication R.G. Closson, Arch Neurol. 1983

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19 DIFFERENZE DI GENERE E RISCHIO CARDIOVASCOLARE Straniti M. Teghini L. Giovannetti R. Raimondi L. Pierotello R. Pugliese N. Panigada G. ASL3 Ospedale di Pescia Il rischio CV nelle donne risulta più basso rispetto agli uomini mentre in realtà la mortalità per malattie CV è più alta nel genere femminile; le nuove Linee Guida Internazionali(ATP IV, ESH, ESC) indicano la emicrania con aura, la FA il diabete e l’ipertensione come fattori di rischio a maggior prevalenza nel genere femminile. Abbiamo revisionato la casistica personale di 780 pazienti consecutivi afferenti per prima visita al centro Dislipidemie e Prevenzione Cardiovascolare per valutare l’eventuale corrispondenza con le nuove acquisizioni. I dati ambulatoriali sono strati trasferiti su foglio di Excel e sono stati calcolati i valori di prevalenza dai fattori di rischio per genere. Nella nostra popolazione si osserva una leggera prevalenza di sesso femminile e di età media più elevata rispetto a quella maschile; mentre il fumo e le cardiopatie sono più rappresentate fra i maschi, l’ipertensione ed il diabete prevalgono fra le femmine. Questi dati preliminari concordano con quanto rilevato dalle Linee Guida; stiamo espandendo le analisi statistiche per rilevare ulteriori corrispondenze circa la FA, l’emicrania, il diabete gestazionale e gli altri parametri al fine di migliorare la rilevazione del rischio reale per un trattamento più mirato.

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20 EFFECTS OF ENDOGENOUS SEX HORMONES IN MEN WITH DEEP VEIN THROMBOSIS Mazzi V. Masi L. Cei M. Mumoli N Ospedale Civile - UO Medicina 1 Livorno Numerous studies have established that hormone replacement therapy is associated with increased risk of deep vein thrombosis (DVT) in women; the effects of endogenous sex hormones as DVT risk factors have been less well defined in men than in women. Between August 2012 and Serptember 2014 we prospectively evaluated 300 men with suspected acute DVT; all patients underwent compression ultrasound (CUS) to enable the evaluation of deep and superficial veins. In 300 eligible patients, the incidence of DVT was 20% (60). Blood samples obtained after CUS were then analyzed for estradiol (E2), progesterone (P), and testosterone (T) in men with acute DVT (60), and compared with age-matched healthy men (59). Odds ratio with confidence intervals were calculated for all relevant variables; statistical analysis was performed with χ2 analysis. Median serum concentrations of E2, P and T were no significantly higher among patients who had a DVT than among those who did not (odds ratio 1.08; 95% confidence interval 0.39, 2.88; (P=0.86). Our study provide the first direct evidence that endogenous sex hormones in men are not independent risk factors for DVT.

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21 ELEVATI VALORI DI CA72-4: DAL CASO CLINICO A REVIEW DELLA LETTERATURA Fabbri M. Casati C. Torrigiani A. Di Marzi G. Burberi L. Corradi F. Morettini A. Medicina Interna Firenze D.F.G., uomo di 50 anni; pregresso linfoma di Hodgkin trattato con RT/CT, splenectomia e successivo autotrapianto di midollo osseo nel 2001 con successivi controlli negativi per ripresa di malattia; cardiopatia ischemica cronica post-infartuale con lieve riduzione della FE in pregressa SCA trattata con PCI + DES su a. circonflessa; IRC lieve. In seguito a recente faringotonsillite, giunge alla nostra attenzione per febbre e dolore toracico con rilievo di pericardite essudativa verosimilmente post-infettiva visto il riscontro di elevato titolo antistreptolisinico, per cui è stata impostata terapia con Ibuprofene. Tra i vari esami ematici richiesti, è emerso marcato incremento dei valori di Ca72-4 (715,70 U/mL) che ha portato ad eseguire ulteriori accertamenti radiologici ed endoscopici senza documentazione di masse sospette. Tuttavia i controlli seguenti hanno mostrato progressivo incremento dei valori di Ca72-4 fino oltre 4000 U/mL: nel sospetto di esame falsamente positivo, tramite review della letteratura è stata confermata tale eventualità proprio in caso di pericardite essudativa trattata con Ibuprofene, il quale è stato dunque sospeso e sostituito con Colchicina. I successivi controlli ECOcardiografici hanno mostrato progressiva riduzione del versamento pericardico e graduale riduzione dei valori di Ca72-4. Questo caso clinico dimostra come il dosaggio dei markers tumorali pùo essere talvolta anche marcatamente aumentato in patologie non oncologiche, rappresentando quindi un falso positivo in grado di influenzare l’iter diagnostico-terapeutico.

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22 FOURNIER’S SYNDROME: A RARE COMPLICATION OF OFFICE BASED HEMORROIDAL PROCEDURE Crociani A. Antonielli E. Vannucchi V. Ciervo D. Degl'innocenti G. Mancini A. Luise F. Sammicheli L. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze A 76 years old albanian male who was in Italy for vacation, came to the emergency department reporting fever associated with edema, erythema and necrosis of the perineum. A month before, while he was in Albany, he underwent peri-anal abscess surgery due to a complication of a previous hemorrhoidal office-based procedure. Blood analysis showed leucocytosis, moderate increase in procalcitonin and normocytic anemia. His past medical history included hypertension, diabetes mellitus type 2 treated with oral agents. On physical examination the perineal and the genital area presented erythema with some dusky spots and subcutaneous crepitation. Intense pain and tenderness of the perineum were present. A Fournier’s gangrene was suspected, broad spectrum antibiotics were administrated and surgical debridement of the perineal region with penis deglovement were performed. After surgery patient developed a clinical picture of septic shock requiring care in intensive care setting. Ten days later the patient was transferred in our department. Antibiotical treatment was continued and a cycle of hyperbaric oxygen therapy was started. The patient underwent others debridement surgery and started negative pressure medication but although all the efforts, orchiectomy should be performed. The patient showed then progressive improvement and after the end of the hyperbaric treatment was discharged after a 65 days of stay. Fournier’s gangrene is a rare and serious infectious disease characterised by necrotising fascitiis of the genital and perineal regions. It’s considered a surgical emergency with a mortality that can reach up to 40%. It can affect all age groups with a mean age of about 50 yrs and a preference for men. Among predisposing factors we find diabetes mellitus, malignancy, alcoholism and immunocompromised hosts. Etiology is often polymicrobial, involving both anaerobic and aerobic organisms. Most frequently the infection spread from colorectal and urogenital tract lesions such abscesses or trauma. Treatment is based on extensive debridement, broad-spectrum antibiotics and hyperbaric oxygen, although negative Pressure Wound Therapy (NPWT) is becoming more and more popular due to its easy-to-use and wound healing characteristics. Colostomy is routinely performed when the anal sphincter and/or the perianal region are involved in order to prevent fecal contamination of the wound although other solution for faecal diversion (such the Flexi Seal device) should be valuated in the future for reducing the risk of colostomy-related complications.

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23 IL DELIRIO NEL PAZIENTE CRITICO: PREVENZIONE, DIAGNOSI E TRATTAMENTO. Tanzi M.T. Cammelli R. Marini F. Sarti A. ASF Firenze Il delirio è un disordine neurologico acuto e fluttuante che riflette alterazioni dello stato cognitivo basale ed è caratterizzato da disattenzione e pensiero disorganizzato. L’American Psychiatric Association nel manuale dei disordini mentali (DSM V) elenca gli elementi che lo caratterizzano: 1. disturbo della coscienza con ridotta capacità di focalizzare, sostenere o spostare l’attenzione. I pazienti possono essere sia agitati (delirio iperattivo) che letargici (delirio ipoattivo) 2. si sviluppa in un periodo di tempo breve, tipicamente ore o giorni e tende a fluttuare nella sua gravità, e spesso peggiora la sera e durante la notte. 3. alterazioni cognitive che tipicamente si manifestano come problemi di memoria, disorientamento o allucinazioni. 4. non è possibile far diagnosi di delirio in presenza di coma; stati ad insorgenza acuta di sopore con difficile risveglio sono compatibili infatti con un delirio con grave disattenzione. 5. è associato ad un insulto acuto quale un disturbo medico o chirurgia maggiore, che porta alla perturbazione neurofisiopatologica. Sono stati definiti e classificati diversi tipi di delirio: • delirio ipoattivo : il paziente appare sottomesso, distante ed ha scarsa risposta agli stimoli. • delirio iperattivo : il paziente può mostrare agitazione o aggressività e può fare esperienza di illusioni o allucinazioni. • delirio misto : Il paziente fluttua tra i precedenti sottotipi. Il delirio quindi appare più come uno spettro di disturbi che come una singola entità; è un sintomo non una malattia e per questo se ne devono ricercare le cause per poterlo trattare. La fisiopatologia di questa entità non è ancora del tutto chiarita: tra le varie ipotesi la più accreditata risulta essere quella di una coesistenza di alterazioni tra neurotrasmettitori (GABA, acetilcolina, dopamina), aminoacidi (triptofano, fenilalanina…) e risposta metabolica allo stress che induca un’alterazione su larga scala della rete neuronale nell’encefalo responsabile della disfunzione cognitiva acuta. Il delirio insorto durante un ricovero è associato ad un aumento di mortalità nei 12 mesi che seguono la dimissione ospedaliera che oscilla tra il 20 e il 40% come riportato in studi differenti. E' associato inoltre ad un aumento della durata del ricovero stesso (LOS, lenght of stay), del numero di giorni di assistenza respiratoria con metodiche di ventilazione meccanica sia invasiva che non invasiva, dell’incidenza delle complicanze acquisite in ospedale, oltre che del numero di dimissioni presso strutture per lungodegenti. E' dimostrata l'associazione con la persistenza di deficit cognitivi a lungo termine. Alla luce dell’alta incidenza e degli outcome avversi e della mortalità associata, ogni caso sospetto o di diagnosi incerta di delirio deve esser trattato come tale fino a prova contraria. Studi dimostrano che di fronte a delirio, soprattutto se ipoattivo, tutte le figure professionali coinvolte nella cura dei pazienti, medici compresi, sottostimano la patologia e i dati più pessimistici mostrano una percentuale di riconoscimento di delirio del solo 24% in determinati setting. Il paziente critico è affetto da insorgenza di nuova patologia o da una sua esacerbazione tale che necessiti il ricovero in ambiente monitorizzato, quali le terapie intensive o subintensive per il trattamento e il supporto delle funzioni vitali; spesso è gravato da comorbidità tali che peggiorano la sua situazione e complicano il suo iter se non di guarigione, di stabilizzazione. La difficoltà di far diagnosi di delirio nel paziente critico risiede anche nel fatto che nella maggior parte dei casi questi oscillano tra le forme di delirio ipo e iperattivo mentre la forma più presente è quella ipoattiva, contrastando con l’immaginario collettivo che reputa un paziente delirante come manifestante solo sintomi di iperattività. Inoltre la principale difficoltà della gestione del paziente con delirio consta nel precoce riconoscimento di tale stato che non può prescindere da una sua attenta e continua osservazione finalizzata a comprendere e rilevare tempestivamente le variazioni sia dello stato di coscienza che delle funzioni cognitive. Al fine di migliorare e velocizzare il riconoscimento del delirio sono stati sviluppati strumenti facili, velocemente utilizzabili al letto del paziente anche da team multidisciplinari e non esclusivamente psichiatrici o geriatrici. Questi ne hanno decisamente migliorato la diagnosi anche in ambienti particolari quali ad esempio le unità di Terapia Intensiva (ICU, Intensive Care Unit) e sub-intensiva. La scala più ampiamente utilizzata in ambito intensivo è la CAM-ICU, Confusione Assessment Method for the Intensive Care Unit, a sua volta declinata dalla scala CAM. Consistono in un algoritmo basato sugli elementi cardinali dei criteri DSM di delirio. La CAM-ICU è ampiamente validata in studi di alta qualità che ne dimostrano una sensibilità del 94% ed una specificità dell’89%. Le peculiarità di questo strumento sono la velocità di applicazione ed esecuzione -5 minuti - possibile in qualsiasi momento e sia da personale medico che

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infermieristico, la somministrabilità anche in pazienti impossibilitati a parlare, siano essi intubati o portatori di tracheostomia, oltre alla standardizzazione e oggettività dei risultati. Dalla nostra esperienza riteniamo che la scala CAM-ICU possa essere utilizzata anche in ambienti diversi da quello intensivo, quali le terapie sub- intensive, specialistiche e non, qualora non siano presenti le condizioni per applicare la CAM. Una volta diagnosticato tale stato, le strategie per trattarlo dovrebbero primariamente mirare a contenere ed eliminare quei fattori scatenanti – uso di farmaci psicoattivi, misure di contenzione fisica, alterazioni ematiche varie tra cui aumento di BUN (blood urea nitrogen) o azoto ureico, acidosi metabolica, alterazioni elettrolitiche, ma anche ipotensione, ipossiemia, ipoglicemia... – che si sommano ai fattori predisponenti sui quali invece è impossibile agire (demenza, dipendenza da alcool, età, storia di ipertensione e gravità della patologia di base tra cui frattura di femore) e che combinati danno origine al delirio stesso. Le strategie non farmacologiche per trattare il delirio tentano in prima istanza di ottimizzare l’equilibrio precario del paziente critico; si devono quindi trattare il dolore e le alterazioni mediche, ma non hanno meno importanza ed efficacia la rimozione, qualora possibile di sondini, drenaggi e tubi responsabili di disturbo al paziente, nonché la mobilizzazione precoce, l’ottimizzazione del ritmo sonno-veglia con la gestione dell’illuminazione notturna e dell’acustica del setting, il riorientamento frequente del paziente anche grazie alla presenza dei parenti, di orologi, calendari. Fondamentale inoltre fornire al paziente occhiali e protesi acustiche qualora ne sia portatore, per non escluderlo dall’ambiente circostante. Questi interventi semplici e anche potenzialmente facili, da soli possono abbattere notevolmente l’incidenza e la durata del delirio. La gestione del delirio dovrebbe focalizzarsi su trattamenti che migliorano il ricovero, ottimizzano lo stato funzionale e migliorano gli outcome clinici. Spesso tuttavia è necessario utilizzare anche strategie farmacologiche per le quali attualmente non esistono forti evidenze di assoluta efficacia. Questo rende il trattamento del delirio decisamente arduo e necessariamente materia di ulteriori studi. Lo stimolo alla semplificazione della diagnosi di delirio nonché alla sua prevenzione ed efficace trattamento deve provenire quindi dalla necessità di abolire la componente dannosa, dispendiosa e potenzialmente eliminabile di quel ricovero medico gravato dal delirio. Bibliografia: - Inouye SK. Et al. “Delirium in elderly people.” Lancet 2014; 383:911–922. - Lawlor PG. et al. “Delirium diagnosis, screening and management.” Curr Opin Support Palliat Care. 2014 Sep;8(3):286-95 - Barr et al. “Clinical Practice Guidelines for the Management of Pain, Agitation, and Delirium in Adult Patients in the Intensive Care Unit” Crit Care Med 2013; 41:263–306 - Maldonado JR.et al “Neuropathogenesis of delirium: review of current etiologic theories and common pathways.” Am J Geriatr Psychiatry. 2013 Dec;21(12):1190-222. - Mashour GA. Et al “ Neurological complications of surgery and anaesthesia” Br J Anaesth. 2014. - Wong CL et al. “Does this patient have delirium?: Value of bedside Instruments.” JAMA 2010; 304(7):779-86. - Carrothers KM. et al “Contextual issues influencing implementation and outcomes associated with an integrated approach to managing pain, agitation, and delirium in adult ICUs.” Crit Care Med. 2013 Sep;41(9 Suppl 1):S128-35.

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24 IL PERCORSO GESTIONALE DELLA PANCREATITE ACUTA NELL’OSPEDALE DEL 3° MILLENNIO TRA INTENSITÀ DI CURA E ORGANIZZAZIONE DELLA RETE TERRITORIALE: SPUNTI DI RIFLESSIONE DA UN CASO CLINICO. Chiti I. Squillante R. Giovannetti R. Pantone C. Pierotello R. Pugliese N. Panigada G. ASL 3 Ospedale Pescia La pancreatite acuta è un esempio di acuzie ad elevata complessità assistenziale e ad alto rischio di instabilità clinica che necessita dell’intervento intergrato di diverse figure specialistiche spesso all’interno di setting assistenziali di vario livello. Nei casi più gravi può rendersi necessario il ricorso a Strutture Ospedaliero-Universitarie di III livello per una migliore gestione della patologia. Descriviamo un caso di pancreatite acuta che è stato spunto di riflessione per la complicata gestione clinica e le implicazioni organizzative. Una donna diabetica di 61 anni è stata trasferita nel nostro reparto dall’UTI del nostro Ospedale dove era stata ricoverata per quadro di MOF da pancreatite acuta biliare. Pur essendo una paziente di pertinenza chirurgica, in attesa di una stabilizzazione del quadro è stata scelta la collocazione in reparto medico ad alta intensità di cura (livello2A) per la presenza di elevata complessità clinica (insufficienza respiratoria richiedente NIMV, infezione del CVC da Acinetobacter Baumannii, diabete mellito scompensato in corso di nutrizione artificiale). Qui è stata gestita da un’equipe multidisciplinare costituita dal gastroenterologo, dal chirurgo e dal rianimatore sotto il tutoraggio del medico internista. Nonostante questo la paziente ha presentato deterioramento clinico e radiologico (severa pancreatite necrotico- emorragica complicata da sepsi) per cui è stato deciso il trasferimento presso il Centro di Riferimento Regionale per la chirurgia del pancreas. Le gravi condizioni cliniche non hanno reso possibile l’intervento chirurgico e la paziente è deceduta per shock settico. Per la sua complessità, la necessità di integrazione di competenze specialistiche diversificate per disciplina e livello di intensità assistenziale e per l’elevata mortalità la pancreatite acuta è un modello di malattia che incrocia in maniera trasversale problematiche attuali riguardanti l’organizzazione dell’assistenza ospedaliera per la sanità del nuovo millennio.

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25 IL SETTING ALTA COMPLESSITA’ AD EMPOLI: UNA REALTA’ INTERMEDIA TRA UNA SUBINTENSIVA E UNA DEGENZA ORDINARIA MA COMUNQUE UNA RISORSA PER L’OSPEDALE. Chiarugi L. Manzi S. Lavecchia R. Dacomo D. Cinotti S. Lombardo G. U.O.C. Medicina Interna Empoli Setting Alta Complessità Empoli Per contenere i costi delle cure intensive vengono proposti livelli di cura differenziati in relazione al grado di criticità del paziente. In Europa ed in Italia la riorganizzazione degli ospedali secondo “il modello” dell’intensità di cura é stato adattato alle singole realtà locali. Nell'ospedale San Giuseppe della USL 11 di Empoli il setting Alta Complessità costituisce il livello di cure intermedio, definito 2A, tra il livello 1 (Terapia Intensiva) e il livello 2B (degenza ordinaria dell'area medica e chirurgica). Ad esso sono assegnati attualmente 21 posti letto il cui tutoraggio clinico è affidato a medici internisti presenti 24/24 ore ed ha un un rapporto paziente/infermiere di 7/1. Il setting 2A, secondo protocolli aziendali condivisi tra tutte le unità operative della USL, accoglie pazienti clinicamente instabili e/o per i quali potrebbero essere necessarie procedure diagnostico-terapeutiche invasive e avanzate quali emofiltrazione, ventilazione non invasiva, terapie infusionali di farmaci vasoattivi. Per analizzare l’efficacia in questo contesto di un trattamento specifico quale la ventilazione non invasiva (NIVM) abbiamo realizzato uno studio osservazionale retrospettivo su un campione di convenienza costituito da 286 dei 580 pazienti ricoverati negli ultimi 6 mesi (49,3%). Del campione analizzato, 172 pazienti provenivano direttamente dal Pronto Soccorso (60%), 50 erano trasferiti per normale step down dal livello 1 (17,4%) e all'opposto 51 provenivano da livello 2B (17,8%) per sopraggiunta instabilità clinica. Sono state trattate patologie respiratorie (149 casi, 49%), cardiovascolari (46 casi,16%), neurologiche (39 casi,13%), ma anche squilibri metabolici, sepsi severa/shock settico, complicanze post-chirurgiche e politraumi (in totale 52 casi,18%). In particolare sono stati trattati 34 casi di BPCO, 41 di polmonite e 12 di edema polmonare acuto Sono stati sottoposti a NIVM 45 pazienti (16%), 29 maschi e 16 femmine, con eta’ media di 74 anni. Nel 20% dei casi erano presenti sia ipercapnia che ipossemia, nel 17% solo ipercapnia, nel 37% solo ipossemia. Di questi pazienti 25(55%) erano affetti da BPCO, 12 (26%) da polmonite, 3 (6%) da edema polmonare. La durata del trattamento e’ stata in media di 6 giorni con una mediana di 3. In questo sottogruppo, 24 pazienti (53%) hanno beneficiato del trattamento, mentre 6 (13%) sono stati trasferiti al livello 1, 4 sono deceduti (9%) e in 11 casi (24%) la NIVM é stata inefficace o non tollerata. Per minimizzare l’intolleranza sono state utilizzate interfacce diverse, in 38 pazienti la maschera oronasale e in 4 la total face e in 3 le maschere nasali. Lo studio sembra far emergere che il setting di Alta Complessita’ della nostra USL, pur non avendo caratteristiche organizzative e gestionali proprie delle classiche degenze post intensiva e’ in grado di gestire efficacemente il trattamento avanzato del paziente respiratorio in fase di instabilità clinica proveniente sia dal PS che dal livello 2B e rappresenta una risorsa anche per il livello 1

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26 IL TRATTAMENTO CON COLECALCIFEROLO È IN GRADO DI INIBIRE IL SISTEMA RENINA ANGIOTENSINA E MIGLIORARE LA FUNZIONE ENDOTELIALE IN PAZIENTE AFFETTI DA IPERTENSIONE ESSENZIALE ED IPOVITAMINOSI D Carrara D. Bruno R. M. Ghiadoni L. Gervasi F. Duranti E. Bacca A. Barzacchi M. Taddei S. Bernini G. Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa L’ipovitaminosi D è associata ad un aumentato rischio cardiovascolare, ma gli effetti della supplementazione di vitamina D sugli endpoints cardiovascolari sono ancora discordanti e scarsamente indagati. Scopo dello studio è stato quello di valutare l’effetto della somministrazione di colecalciferolo sul sistema renina angiotensina (RAS) e sulla funzione e struttura vascolare. 33 pazienti consecutivi (13 maschi, età media 50 anni), affetti da ipertensione arteriosa (in trattamento non farmacologico o con Ca-antagonisti) ed ipovitaminosi D venivano sottoposti a terapia con colecalciferolo (50.000 U.I. per os 1/settimana per 2 mesi). Basalmente ed alla fine dello studio venivano dosati i componenti del RAS plasmatici (angiotensinogeno, renina, PRA, angiotensina II, aldosterone) e urinari (angiotensinogeno urinario e renina urinaria), valutata la vasodilatazione endotelio dipendente (Flow Mediated Dilatation, FMD) e indipendente (somministrazione di nitroglicerina, GTN 25 mcg s.l.) e misurata la pressione arteriosa centrale, l’Augmentation Index (AIx) e la Pulse Wave Velocity (PWV) mediante tonometria ad applanazione. Venivano inoltre valutati i livelli di vitamina D (25(OH)D) e la pressione arteriosa (PA). Dopo reintegrazione con colecalciferolo tutti i pazienti risultavano in euvitaminosi. Il dosaggio dei componenti del RAS al termine dello studio ha evidenziato una riduzione dei livelli plasmatici di angiotensinogeno (p<0.05), PRA (p<0.05), renina (p<0.001) e angiotensina II (p<0.05). Nessuna modificazione veniva riscontrata per l’aldosterone, l’angiotensinogeno urinario e la renina urinaria. La FMD risultava aumentata (p<0.05), in presenza di simile diametro dell’arteria omerale e risposta a GTN. La PWV e l’AIx non hanno evidenziato significative variazioni, così come la PA periferica e centrale. Alla riduzione dell’angiotensinogeno e della renina plasmatici si associava un aumento, sebbene non significativo, della FMD (r=-0,225, p=ns e r=-0,047, p=ns rispettivamente). La normalizzazione dei livelli di 25(OH)D dopo trattamento con colecalciferolo è in grado di inibire il RAS e migliorare la FMD in pazienti ipertesi essenziali con ipovitaminosi D.

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27 IMPIEGO DELLA "MINI TROMBOLISI" NEL TRATTAMENTO DELL'EMBOLIA POLMONARE A RISCHIO INTERMEDIO Fabiani P. Anelli S. Bassi P. Caniggia D. Iurato A. Montorzi G. Querci F. Villani G. Ospedale di Portoferraio (LI) La trombolisi sistemica rappresenta un trattamento elettivo nell’embolia polmonare ad alto rischio, spesso identificata in passato come embolia polmonare massiva. In effetti per embolia polmonare ad alto rischio si identifica una condizione caratterizzata da impegno ostruttivo embolico del circolo polmonare tale da causare un calo marcato della pressione arteriosa sistemica. La cosiddetta embolia polmonare submassiva in cui l’impegno delle sezioni destre evidenziabile con varie metodiche fra cui l’ecocardiografia rappresenta un entità di confine in cui non sono ben stabiliti i vantaggi di un approccio aggressivo con trombolisi tradizionale, rispetto ai rischi ad essa connessi. Si stanno accumulando evidenze (lo studio MOPPET ed altri studi) che indicano come la fibrinolisi a dosaggio ridotto si associ a un calo della mortalità totale, mortalità intraospedaliera e rischio di recidiva di embolia polmonare, con un verosimile minor rischio di sanguinamento. Un uomo di 65 anni con storia di asma bronchiale si presenta il 14 maggio 2014 al PS per dispnea invalidante da 3 giorni. L’ipossia (pO2 54 mmHg) associata ad ipocapnia (pCO2 30 mmHg), onte T negative all’ECG da V1 a V4, la tachicardia sinusale 108/m’, l’incremento dei D-dimero (3797 ng/ml – v.n.: <230), troponina 0,7 ng/ml, hanno indotto ad effettuare un’angioTC del cicrcolo polmonare. È stata così evidenziata grossolana embolia polmonare bilaterale, con subocclusione del ramo principale dx. I valori pressori erano normali: PA 130/80. Viene impostata al PS terapia con eparina sodica e.v. secondo schema classico. Tuttavia all’arrivo in reparto di Medicina viene effettuato ecocardiogramma che dimostra cospicua dilatazione ed ipocinesia delle ventricolo destro. Il paziente presentava dipendenza dall’ossigenoterapia a causa di dispnea e della desaturazione emoglobinica in aria ambiente. Il paziente ed i familiari sono stati informati della possibibilità di praticare una terapia, quella della “mini trombolisi”, non del tutto validata, della quale esistevano esperienze incoraggianti per i risultati più rapidi e duraturi, tuttavia gravati da maggiori rischi emorragici del trattamento classico con eparina, benché minori di quelli della trombolisi effettuata con dosaggio pieno. Il trattamento con la “safe dose” (rTPA 10 mg in bolo + 40 mg in 1h) ha consentito di ottenere un rapido migliroamento dei sintomi una riduzione del sovraccarico delle sezioni cardiache destre, monitorizzato con ecocardiogramma ed ECG. Dopo la trombolisi è stata ripresa terapia eparinica e.v. ed il giorno successivo effettuato lo switch con rivaroxaban 15 mg 1 c 2 volte al dì. Il paziente è stato dimesso il 21 maggio 2014 in buon equilibrio emodinamico, buona funzionalità respiratoria e tolleranza allo sforzo. Ha proseguito il dosaggio di 15 mg x 2 di rivaroxaban per 21 giorni, successivamente 20 mg 1 c die. Attualmente il paziente ha recuperato lo stato di tolleranza allo sforzo quo ante, ed ha mantenuto i parametri ecocardiografici di normalità delle sezioni dx.

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28 INAPPROPRIATEZZA PRESCRITTIVA DI PPI IN MEDICINA: REVISIONE DELLA LETTERATURA E DATI PERSONALI Straniti M. Teghini L., Giovannetti R., Raimondi L. Pierotello R., Pugliese N., Panigada G. ASL3, ospedale di Pescia Negli ultimi anni si è osservato un notevole incremento nella prescrizione di inibitori di pompa protonica che ha dato luogo a vere e proprie ‘patologie da PPI’. La prescrizione inappropriata induce importanti patologie collaterali quali il rischio di cadute e le fratture , le infezioni da clostridium difficile, la gastrite atrofica, le polmoniti comunitarie e da aspirazione con un notevole impatto dal punto di vista non solo sanitario ma anche economico. Abbiamo effettuato una revisione della letterature e delle nostre schede di terapia allo scopo di controllare l’appropriatezza prescrittiva di PPI nella nostra U.O. Abbiamo revisionato la letteratura recente ed abbiamo effettuato una indagine a campione sulle STU dei nostri pazienti ricoverati, raccolto ed elaborato i dati su un foglio Excel (età, sesso, patologie, terapie in atto al momento del ricovero). Totale STU esaminate in un giorno campione : 44 In trattamento con PPI : 32 (72.7 %) Prescrizione Inappropriata : 20 (62.5%). Le conseguenze della inappropriatezza prescrittiva di PPI nei pazienti ricoverati si riflette sulla popolazione generale e vista la alta percentuale rilevata anche nei nostri pazienti, è stato indetto un incontro (audit) con tutti i Medici della U.O. per ribadire le indicazioni (note AIFA e Linee Guida) alla prescrizione di PPI ed analizzare i motivi della prescrizione inadeguata. E’ stato programmato un ulteriore campionamento a distanza di qualche mese per valutare l’efficacia dell’intervento.

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29 INFEZIONE DA C. DIFFICILE CON RETTORRAGIA E MARCATA LEUCOCITOSI: DESCRIZIONE DI UN CASO CLINICO Vazzana N. Beltrame C. Taccetti G. Scarti L. Fortini A. SOC Medicina Interna, Ospedale S. Giovanni di Dio, Azienda Sanitaria Firenze Caso clinico. Un uomo di 88 anni con storia di malattia diverticolare del colon con pregressi episodi di sanguinamento, broncopneumopatia cronica ostruttiva, leucemia mielo-monocitica cronica, giunge in DEA per ripetuti episodi di rettorragia. All’ingresso gli esami ematici documentavano anemia severa (Hb 7.0), con conta leucocitaria e piastrinica e funzione renale sovrapponibile ai precedenti controlli (WBC 27.700/μL, PLT 54.000/μL, creatinina 1.12 mg/dL). E’ stato avviato trattamento con mesalazina ed acido tranexamico e programmato esame colonscopico. Il decorso clinico è stato caratterizzato da ulteriori episodi di rettorragia, con anemizzazione e necessità di supporto eritrocitario ripetuto, peggioramento della funzione renale (creatinina 3.36 mg/dL), e comparsa di febbre, marcata leucocitosi (86.250/μL), piastrinopenia (62.000/μL), coagulopatia (PT 35%, INR 2.12) e stato anasarcatico associato ad ipoalbuminemia (albumina 1.98 g/dL). L’esame dello striscio di sangue venoso periferico, effettuato per il sospetto di un’evoluzione blastica della patologia ematologica, ha documentato spiccata neutrofilia con significativa presenza di forme a banda, in assenza di elementi immaturi. La pancolonscopia non ha documentato significative alterazioni della mucosa colica, in presenza tuttavia di sanguinamento attivo da una formazione diverticolare del sigma distale, sottoposta ad emostasi con clips e infiltrazione di adrenalina. In considerazione del progressivo deterioramento del quadro clinico-laboratoristico con segni di reazione infiammatoria sistemica (SIRS) e marcata leucocitosi neutrofila, abbiamo prelevato esami colturali microbiologici su sangue ed urine (negativi) ed effettuato la ricerca sulle feci dell’antigene e della tossina del C. difficile, risultata positiva. E’ stato pertanto effettuato trattamento antibiotico con metronidazolo endovena e vancomicina orale. Nonostante la tendenza alla normalizzazione dell’alvo ed un’iniziale riduzione delle disfunzioni d’organo e delle alterazioni ematologiche, le condizioni cliniche generali sono ulteriormente peggiorate ed il paziente è deceduto dopo 7 giorni dall’inizio del trattamento antibiotico. Discussione. La manifestazione tipica dell’infezione da C. difficile (ICD) è rappresentata da diarrea ed enteropatia protido-disperdente. Meno frequentemente possono essere presenti segni di SIRS, talora con spiccata leucocitosi neutrofila. In letteratura sono stati descritti solo pochi casi di infezione associata a rettorragia, tipicamente con riscontro endoscopico di ulcerazioni della mucosa colica. Non risultano invece dati di correlazione tra ICD e sanguinamento diverticolare. Nel presente caso, l’assenza di diarrea, la storia di malattia diverticolare con ripetuti pregressi sanguinamenti e la sottostante patologia ematologica rappresentavano fattori potenzialmente confondenti ai fini di una diagnosi precoce.

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30 LA SORVEGLIANZA E IL CONTROLLO DEI MICRORGANISMI MULTIFARMACO RESISTENTI NELL'AZIENDA SANITARIA DI FIRENZE. Faraone A. Bartoli D. Brugnoli S. Picca F. Serpietri L. Vazzana N. Fortini A. SOC Medicina Interna, Ospedale S. Giovanni di Dio, Azienda Sanitaria Firenze La resistenza dei microrganismi agli antimicrobici è stata riconosciuta dalla Organizzazione Mondiale della Sanità come una delle maggiori minacce per la salute dell’uomo. I batteri multifarmaco resistenti (MDR) sono i principali responsabili delle infezioni correlate all’assistenza. Tali infezioni sono gravate da alta morbilità e mortalità e comportano costi economici elevati per il nostro sistema sanitario. La frequenza di isolamento dei patogeni MDR è in costante crescita a livello internazionale, e il fenomeno oggi interessa in modo sostanziale anche i reparti di medicina interna. La sorveglianza epidemiologica dei microrganismi MDR è uno strumento conoscitivo di primaria importanza, poiché fornisce informazioni fondamentali per l’attuazione di efficaci interventi di controllo, prevenzione e trattamento delle infezioni da questi patogeni determinate. L’Azienda Sanitaria di Firenze (ASF) ha recentemente introdotto un sistema di sorveglianza e controllo dei microrganismi cosiddetti alert, patogeni particolarmente rilevanti dal punto di vista epidemiologico poiché caratterizzati da un profilo di sensibilità agli antibiotici molto ristretto e/o da un’alta diffusione in ambiente ospedaliero. Oggetto del sistema di sorveglianza sono i seguenti batteri: Acinetobacter spp. resistente ai carbapenemi, Enterobacteriaceae resistenti ai carbapenemi, Enterococcus spp. resistente a vancomicina, Pseudomonas aeruginosa resistente ai carbapenemi, Staphylococcus aureus resistente a vancomicina, Stenotrophomonas maltophilia resistente al cotrimossazolo. Tali patogeni sono oggi tra i maggiori responsabili di infezioni correlate all’assistenza. Il sistema di sorveglianza prevede che il personale medico notifichi presso la direzione sanitaria di presidio - entro 24 ore dal ricevimento di referto microbiologico - ogni caso di infezione/colonizzazione da patogeno alert (isolamento colturale da qualsiasi campione biologico). A seguito di notifica è prevista l’attivazione, da parte del personale addetto, delle misure di controllo atte a prevenire la diffusione ospedaliera dei microrganismi e l’avvio di un’indagine epidemiologica sul paziente infetto/colonizzato per la raccolta dei seguenti dati: tipo di campione biologico esaminato, natura dell’isolamento colturale (infezione - colonizzazione), provenienza del paziente (comunità, ospedale per acuti, terapia intensiva, lungodegenza, RSA), patologie del paziente, fattori di rischio riconosciuti per infezioni da patogeni MDR. Nel primo semestre 2014, nei presidi ospedalieri della ASF (ospedale San Giovanni di Dio, ospedale Santa Maria Annunziata, ospedale di Borgo San Lorenzo, ospedale Santa Maria Nuova, ospedale Serristori) sono stati notificati 41 casi totali di infezione/colonizzazione da microrganismi MDR, così suddivisi: 18 casi presso l’ospedale San Giovanni di Dio (44%), di cui 10 identificati in Medicina Interna e 8 in Terapia Intensiva; 15 casi presso l’ospedale Santa Maria Annunziata (37%), di cui 2 identificati in Medicina Interna, 3 in Malattie Infettive, 10 in Terapia Intensiva; 5 casi presso l’ospedale di Borgo San Lorenzo (12%), di cui 2 identificati in Medicina Interna, 1 in Chirurgia, 2 in Terapia Intensiva; 3 casi presso l’ospedale Santa Maria Nuova (7%), tutti identificati in Terapia Intensiva; nessun caso notificato presso l’ospedale Serristori. Complessivamente, i casi di infezione/colonizzazione identificati presso i reparti di Medicina Interna sono stati 14 su 41 (34%). Il 73% degli isolamenti (30) ha interessato pazienti di sesso maschile. Il 59% dei patogeni isolati (24) sono stati identificati come agenti di infezione, i restanti 17 (41%) come semplici colonizzatori. I 41 microrganismi isolati appartengono alle seguenti specie: K. pneumoniae resistente ai carbapenemi (19), A. baumannii resistente ai carbapenemi (14), E. faecalis vancomicina resistente (8). Dieci dei pazienti infetti/colonizzati provenivano dal domicilio, 16 da altra Unità Operativa dello stesso ospedale di notifica, 3 da altro ospedale, 4 da case di cura, 1 da RSA, 6 da istituti di riabilitazione e cura. Le misure di controllo e prevenzione applicate per il contenimento della diffusione dei microrganismi alert sono state le seguenti: attivazione per ogni singolo paziente del codice colore (codice per l’identificazione da parte degli operatori sanitari delle specifiche precauzioni da adottare in relazione al tipo di patogeno isolato), informazione dei volontari ospedalieri, operatori addetti al trasporto, operatori addetti alla pulizie, familiari e visitatori (consegna opuscoli informativi); assegnazione al paziente di bagno dedicato (1 caso), trasferimento in reparto di Malattie Infettive (2 casi), isolamento funzionale in stanza multipla (6 casi), isolamento in stanza singola con bagno dedicato (11 casi), assegnazione di box singolo in terapia intensiva (18 casi). Per tutti i pazienti sono state attivate le misure di precauzione da contatto (oltre a quelle standard) e, quando indicate, quelle per droplets. Le stanze di degenza e le suppellettili sono state sottoposte a igienizzazione mediante ipoclorito di sodio 1000 ppm, 3 volte al giorno. I dati di sorveglianza dei microrganismi MDR sopra descritti illustrano lo scenario epidemiologico attuale negli ospedali della ASF. I reparti di Medicina Interna, con 14 casi totali (34%), risultano secondi solo alle terapie intensive per numero di segnalazioni. I principali microrganismi isolati sono K. pneumoniae resistente ai carbapenemi (19 casi) e A. baumannii resistente ai carbapenemi (14).

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Il numero di infezioni/colonizzazioni notificate, ancorché esiguo, non appare trascurabile. I dati epidemiologici descritti sono da considerarsi la punta di un iceberg e forniscono verosimilmente una sottostima della reale prevalenza di infezioni/colonizzazioni da patogeni MDR. La notifica dei casi è infatti affidata al personale medico, che risulta variabilmente sensibilizzato e incline alla segnalazione. A tal proposito, come già avvenuto in altre realtà ospedaliere italiane, sarebbe auspicabile l’attivazione di un sistema di segnalazione automatico dei patogeni alert, da parte del Laboratorio di Microbiologia. Il nostro sistema sanitario si trova oggi a fronteggiare un fenomeno quanto mai subdolo e di difficile controllo che, in assenza di nuove molecole antibiotiche efficaci, nel prossimo futuro potrebbe vanificare i progressi conseguiti dalla medicina, soprattutto negli ambiti della chirurgia, trapiantologia, oncologia, terapia intensiva. Varie esperienze hanno dimostrato come l'applicazione di rigide misure di sorveglianza e contenimento delle infezioni da patogeni MDR, oltre ad uso appropriato degli antimicrobici, siano in grado di ridurre significativamente l'emergenza e diffusione di questi patogeni. La conoscenza approfondita della epidemiologia locale dell'ecosistema microbico appare imprescindibile ai fini della ottimizzazione delle terapie antibiotiche e delle strategie di controllo delle infezioni.

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31 MI HA CHIAMATO SOLO ORA !!! Bertoni M. Giani A. Calabrese E. Siclari O. Di Natale M.E. U.O. Medicina Interna II. ASL 4 di Prato La diagnosi di cancro o, in fase ancor più precoce, la comparsa di sintomi e segni sospetti per patologia neoplastica, inducono nei pazienti reazioni psicologiche comprensibili e codificate. I meccanismi difensivi messi in atto dai pazienti sono spesso determinati dall’elaborazione dei vissuti personali, tanto che le componenti psicologiche giocano un ruolo fondamentale sia per l’adattamento alla malattia, sia, in casi ben più rari, per la negazione della stessa che si esprime con comportamenti di evitamento per fobia semplice. M.L., di anni 40 e sesso maschile, operaio tessile, convivente con madre e sorella, si recava dal medico curante alla fine dell'Agosto 2014 per una sintomatologia caratterizzata da edema vistoso ed ingravescente dell'arto inferiore destro associato ad tumefazione inguinale destra con dislocazione verso sinistra dello scroto. Da circa 2 anni aveva notato la comparsa della suddetta tumefazione, caratterizzata da un lento e progressivo incremento volumetrico. Da circa 3 mesi era comparsa anche sudorazione notturna profusa, non associata a febbre. Venivano negati precedenti infettivi ed abuso di sostanze stupefacenti. Seppur ripetutamente esortato dai familiari e dal datore di lavoro, in precedenza il paziente non si era mai rivolto al medico curante per fobia semplice degli ambienti sanitari con comportamenti di evitamento, motivata dalla presenza nell'anamnesi familiare di neoplasia polmonare maligna nel padre e ovarica maligna nella sorella. All'ingresso in reparto il paziente si presentava estremamente defedato, con i seguenti reperti obiettivi: 1. massa in sede addomino-pelvica originante dalla regione inguinale destra, di diametro di circa 30 cm, ulcerata in alcuni punti, con gemizio sieroso; 2. edema dello scroto e del pene; 3. linfedema dell'arto inferiore destro; 4. lesioni da grattamento diffuse con gemizio sieroso; 5. linfoadenopatie a sede inguinale bilateralmente. 6. splenomegalia con polo inferiore splenico debordante di 5 cm dall'arcata costale sinistra. Gli esami ematochimici all’ingresso evidenziavano le seguenti alterazioni: leucociti 63,1 10^3/µL; eosinofili 22,7 10^3/µL; Hb 9,7 g/dL; eritrociti 3,33 10^6/µL; VES 51; PCR 1,85 mg/dl; uricemia 8,8 mg/dL; LDH 627 UI/L; β2microglobulina 0,65 mg/dL. Era negativo il dosaggio dei markers HBV, HCV e HIV. La tipizzazione linfocitaria su sangue periferico mostrava le seguenti alterazioni: CD3 totali T 3963 cellule/µL (v.n. 1000-1850); CD4 T Helper 23034 cellule/µL (v.n. 680-1250); CD8 T Suppressor 1434 cellule/µL (v.n. 230-630); CD19 Totali B 42 cellule/µL (v.n. 110-330). La TC Addome con mdc evidenziava linfoadenopatie a sede celiaca, interaortocavale, intercavoportale e lomboaortica; formazioni solide avvolgenti a manicotto i grossi vasi addominali (aorta e vena cava inferiore) a sede sottorenale con estensione ad interessare i rami iliaci; a sede addomino-pelvica massa solida disomogenea paramediana destra dislocante verso sinistra e comprimente le strutture adiacenti, in particolare la vescica e la porzione distale dell'uretere di destra, attraversata dalle strutture vascolari dell'asse iliaco-femorale con associati multipli circoli venosi collaterali ectasici; linfoadenopatie a sede inguinale bilateralmente. Venivano infine effettuate sia l’agobiopsia della tumefazione inguinale destra, sia la biopsia osteomidollare. L’esame istopatologico di entrambe evidenziava una infiltrazione di piccoli linfociti con prevalente fenotipo CD3+ frammisti a plasmacellule ed eosinofili. Infine veniva eseguito un ago aspirato midollare la cui tipizzazione linfocitaria evidenziava una sottopopolazione di linfociti T (27% dei linfociti totali) coesprimente i seguenti marcatori: CD3 citoplasmatico, CD4, CD2, CD5, CD17 e CD1a. In sintesi il quadro clinico era compatibile con malattia linfoproliferativa T. Tale caso clinico, a prima vista collocabile in una medicina di altri tempi, ci conferma come in un’epoca di affinamento continuo delle tecniche diagnostiche e di innovazione in ambito farmacologico, sia ancora possibile riscontrare, anche se di rado, forme clamorosamente avanzate di malattia nell’evoluzione delle quali la fobia semplice con comportamenti di evitamento per vissuti personali svolge un ruolo di rilievo.

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32 MOSCHOWITZ STRIKES BACK Crociani A. Antonielli E. Vannucchi V. Ciervo D. Degl'innocenti G. Baroncelli S. Para O. Bacci F. Pieralli F. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze A 50 years old woman was admitted to the emergency department for thrombocytopenia found on a routine blood test performed during a febrile episode of sorethroat. 9 years before, after an episode of hemorrhagic muco-cutaneus syndrome, a diagnosis of Moschowitz disease was made and the patient underwent plasmapheresis, steroidal and Rituximab treatment. Her PMH also consisted of a diagnosis of Gilbert’s disease and previous appendectomy and cholecystectomy. On physical examination she had no neurological signs but petechiae were found on lower limbs. Blood tests confirmed low platelet count (19x10^9/l), mild increase in serum lactate dehydrogenase and creatinine. The peripheral blood smear showed schistocytes suggesting the possibility of a Moschowitz relapse. Steroid treatment was started and daily plasmapheresis was performed for the first 10 days and then on alternate days (18 sessions). A cycle of 4 administrations (one weekly) of Rituximab was planned and started. The patient showed gradual improvement of the platelet count and of the blood smear and was discharged to complete the Rituximab threatment in day-hospital. The syndrome first described by Dr Eli Moschowitz in 1924 is now known as thrombotic thrombocytopenic purpura (TTP). Most cases of TTP are due to a lack of activity of ADAMTS-13 (a metalloprotease responsible for cleaving the vVF) which leads to platelet activation and consequential blood clotting in small vessels. Moschowitz syndrome may present as congenital or adquired forms. Among the last ones we can find idiopathic and secondary forms (eg. cancer, HIV, bone marrow transplant, medication induced, pregnancy related). The classic pentad includes (1) thrombocytopenia leading to bruising and petechiae (2) microangiopathic hemolytic anemia (3) kidney failure (4) neurologic symptoms (5) fever. Treatment is based upon plasmapheresis (plasma-exchange or PEX) and immunosoppressive therapy. The introduction of plasmapheresis in the early 1990s had drastically reduced the mortality to 10% at six months, against the 90% of the era before. Among immunosoppressive agents Rituximab should be considered in adquired TTP not responding to PEX and corticosteroids as well in the relapses of the idiopathic form. Recently it has been proposed a role as first line treatment in acute idiopathic forms presenting with neurological/cardiac involvement (which are associated to higher mortality).

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33 NAO NEL PAZIENTE NEOPLASTICO? UN CASO CLINICO Lamanna D. de Palma A. Palma E. Cati G. Mazzi A. Quattrucci L. Alessandri M. UO Medicina Interna PO Massa Marittima C.I. : uomo di 92 anni. Si ricovera per accesso da P.S. con diagnosi di: “ Sincope”. ANAMNESI: pneumosilicosi, ipertensione arteriosa, pregressi episodi di FA, portatore di colostomia per ETP con ripetizioni epatiche. Obiettivamente all’ingresso: buone condizioni generali; attività cardiaca aritmica; MV ridotto con stasi basale bilaterale; presenza di colostomia; paziente viglie, orientato e collaborante; PA 90/60 mm Hg INDAGINI ESEGUITE ➢ ECG: all’ingresso; Aritmia da Fibrillazione atriale ad alta risposta ventricolare, ➢ Durante la degenza ripristino del ritmo sinusale (conversazione farmacologica) ➢ Alle dimissioni: ritmo sinusale interrotto da un breve run di FA ➢ EGA basale all’ingresso: lieve ipossiemia ➢ RX torace: Versamento pleurico basale bilaterale ➢ TC Cranio: Negativa per focalità ➢ Ecocuore: Ipertrofia del SIV ➢ Esami ematochimici: Hb 12g/dl con MCV 86 Fl ➢ Lieve iponatremia corretta alle dimissioni ➢ Creatinina 1,2 ➢ Azotemia 45 ALLE DIMISSIONI: Quale terapia anticoagulante intraprendere in considerazione della probabilità di recidiva di fibrillazione atriale? IL PAZIENTE VIENE DIMESSO CON: ➢ Rivaroxaban 15 mg ➢ Creatinina 1,2 ➢ Clearance creatinina 34 ml/ min ➢ CHA2DS2 VASC: 4 ➢ HAS- BLED 4 ➢ Successivi Controlli: Esami ematoclinici nei limiti; ➢ Dopo circa 4 mesi si è registrato un episodio di ematuria dovuto al cambio di catetere Foley PERCHE’ NAO Pur essendo l’eparina a basso peso molecolare la terapia di scelta nei pazienti neoplastici, abbiamo optato per i nuovi anticoagulanti orali in considerazione soprattutto delle buone condizioni cliniche del paziente rapportate all’età, all’ambiente familiare di supporto, allo stadio della patologia neoplastica e al rischio-benefico che si attribuisce alla terapia con anticoagulanti orali nella prevenzione del cardioembolismo.

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34 NEW ORAL ANTICOAGULANTS VERSUS WARFARIN FOR THE PREVENTION OF PERIPHERAL SYSTEMIC EMBOLISM IN ATRIAL FIBRILLATION: SYSTEMATIC REVIEW AND META-ANALYSIS Mumoli N. Mazzi V. Masi L. Sabatini S. Basile V. Cei M UO Medicina 1 - Ospedale di Livorno Although new oral anticoagulants (NOACs) have demonstrated efficacy within randomized clinical trials (RCTs) in preventing stroke in patients with atrial fibrillation (AF), the relative effectiveness in preventing peripheral systemic embolism (PSE) of these agents is not clear. Aim of our study was to assess the efficacy of NOACs versus warfarin for the prevention of PSE in patients with AF. MEDLINE and EMBASE databases were searched. Two reviewers independently performed study selection and extracted study characteristics. The events including primary efficacy endpoint (PSE) were used for efficacy analysis; instead of combing both doses to one meta-analysis, the high dose groups of RELY (150 mg twice daily) and ENGAGE (60 mg twice daily) were combined with the single dose studies ARISTOTLE and ROCKET AF. A separate meta-analysis was done for the low dose groups of RELY (110 mg twice daily) and ENGAGE (30 mg twice daily). Pooled odds Ratios (OR) and 95% confidence intervals (CIs) were calculated using a random-effects model. Statistical heterogeneity was evaluated using the Cochran Q and I(2) statistics. Four RCTs (RELY, ROCKET-AF, ARISTOTLE and ENGAGE) involving 71,390 patients were included. All the four studies were of high quality (Jadad score ≥ 3). After pooling the result of the four studies, PSE occurred in 92 of 42,247 patients (0.22%) in the NOACs group, and in 83 of 29,143 (0.28%) in the warfarin group, the reduction in end-point being not significative (RR 0.67, 95% CI 0.40, 1.10). Heterogeneity among the studies was high (I2 = 57%). When considering only patients treated with NOACs in full dosage, however, there were 48 events in 29,189 patients, as compared with 83 events in 29,143 patients allocated to warfarin, the relative risk reduction became significant (RR 0.5, 95% CI 0.36, 0.93; P = 0.03). Again, heterogeneity among trial remained high (I2 = 41%). Among NOACs, rivaroxaban showed the best efficacy (RR 0.23, 95% CI 0.09, 0.60). The new oral anticoagulants demonstrated promising alternatives to warfarin in prevention of peripheral systemic embolism in patients with atrial fibrillation. The high-dose regimen had better performance than low-dose in efficacy.

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35 OUTCOMES A LUNGO TERMINE DEL PAZIENTE CON ISCHEMIA CRITICA DEGLI ARTI INFERIORI: ILOPROST MIGLIORA LA SOPRAVVIVENZA E IL TASSO DI AMPUTAZIONE Meini S1. Melillo E2. Laureano R1. Panigada G3. 1 SOC Medicina Interna OSMA Firenze 2 UO Angiologia Università degli studi di Pisa 3 SOC Medicina Interna Ospedale di Pescia I prostanoidi hanno mostrato un impatto favorevole sui tassi di mortalità e di amputazione a breve termine nei pazienti con ischemia critica degli arti inferiori (CLI). Fino ad oggi mancano però dati sul lungo termine. Nel presente studio retrospettivo caso-controllo, 181 pazienti CLI consecutivi arruolati presso l’Università di Pisa, sottoposti alla migliore strategia di trattamento possibile, sono stati sottoposti a follow-up a lungo termine (almeno 5 anni), con l'obiettivo di identificare i fattori di rischio, i tassi di mortalità, le cause di morte, la risposta farmacologica . La mortalità complessiva è stata del 15%, 24% e 43% a 1, 2, e 5 anni, rispettivamente. Non sono state trovate differenze significative tra diabetici e non diabetici. Gli eventi cardio e cerebro-vascolari sono stati le cause di morte nel 83% dei pazienti. Nel sottogruppo A (n = 62, primi 5 anni degli anni 1990, follow-up minimo di 15 anni), i tassi di mortalità sono risultati 15%, 24%, 61%, 79% e 92% a 1, 2, 5, 10 e 15 anni rispettivamente, mentre nel sottogruppo B (n = 119, primi 5 anni degli anni 2000, follow-up minimo di 5 anni) sono risultati 13%, 20% e il 34% a 1, 2, e 5 anni, rispettivamente. Iloprost è stato utilizzato nel 46% dei pazienti (6% nel gruppo A, 67% nel gruppo B) e ha mostrato, a 5 anni di follow-up, una correlazione significativa (p <0,0001) nei pazienti in terapia farmacologica, rispetto ai non trattati, con i risultati a lungo termine, in termini di amputazione maggiore (6% vs 21%), successivo intervento di chirurgia vascolare (4% vs 32%) e tasso di sopravvivenza (69% vs 47%). Le amputazioni maggiori sono risultate significativamente correlate con bassi valori mediani di TcPO2 (0/3 mmHg, p <0,001) e alti valori mediani di TcPCO2 (83 / 53mmHg, p <0,0001) in posizione supina / declive, rispettivamente. Solo l’ipertensione arteriosa, tra i fattori di rischio, significativamente ha correlato con il tasso di sopravvivenza.

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36 PERCEZIONE E CONOSCENZA DEL PROBLEMA IPERTENSIONE ARTERIOSA Turchi G1 Faetti L1. Vagli E1. Mercantini F1. Burello E2. 1 Università degli studi di Siena 2 Università degli studi di Napoli Introduzione. L'ipertensione arteriosa nonostante sia da tempo riconosciuta come fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di patologie cardio-cerebrovascolari, rischia talvolta di essere trascurata o non diagnosticata in tempo, anche in virtù della sua asintomaticità. Inoltre per l'alta prevalenza e del forte impatto sulla salute pubblica vengono di continuo effettuate campagne educative. Scopo dello studio. E' stato quello di organizzare a scopo di tirocinio una giornata di educazione sanitaria sul grado di consapevolezza dei fattori che influenzano la pressione arteriosa e delle possibili complicanze cui l'ipertensione espone. Materiali e metodi. Abbiamo distribuito un questionario a tutti coloro che si avvicinavano spontaneamente al gazebo posto di fronte all'ingresso dell'Ospedale San Donato di Arezzo. A coloro che firmavano il consenso abbiamo misurato la pressione arteriosa e raccolte delle informazioni anamnestiche. Risultati. Hanno partecipato 62 cittadini (36 M e 36 F, con età media di 46.3 anni). Il 30% presentava familiarità per malattie cardiovascolari e il 28% era affetto da ipertensione in terapia. La maggior parte era consapevole che l'ipertensione investe oltre il 70% della popolazione, ma ritengono, nel 90% dei casi, che solo l'infarto del miocardio sia l'unica complicanza vera dello scarso controllo dei valori pressori e che non sono a conoscenza di complicanze renali e cerebrali. Il 78% svolge attività fisica, ma il 50% fuma. Seguono nel 70% dei casi una dieta priva di grassi; solo il 25% effettua controlli periodici annuali dal medico e appena il 30% fa una regolare automisurazione almeno una volta al mese. I valori pressori medi registrati sono di 126+18/75+12 mmHg. Conclusioni. Dall'analisi dei nostri dati emerge una scarsa consapevolezza sulle complicanze renali e cerebrali a cui vanno incontro gli ipertesi non controllati e la prevalenza del fumo di sigaretta. Pertanto è importante continuare a informare i cittadini sulla correzione dei fattori di rischio e sulle possibili complicanze dell'ipertensione per motivarli a cambiare stile di vita

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37 PERICARDIAL EFFUSION AND ANTILAMIN ANTINUCLEAR ANTIBODIES: AN UNUSUAL ASSOCIATION Mazzi V. Mumoli N. Mandolesi M.C. Occhipinti G. Cei M. Presidio Ospedaliero di Livorno A 75-years old woman was admitted in November 2013 because of a large pericardial effusion with impending haemodynamic impairment. Her medical history included COPD, juvenile pleurisy, two miscarriages (and two childbirths at term), asymptomatic gallstones and nephritis. At age of 40 she experienced a rash on abdomen and limbs preceded by fever and itching. She reported no hystory of Raynaud's phenomenon, xerostomia, xerophtalmia, arthritis or psoriasis. Three months before admission she has been investigated for dyspnea on mild effort and bilateral edema of the lower estremities: a diagnosis of atrial fibrillation was made and she started taking warfarin, bisoprolol and clortalidone. Nevertheless, dyspnea worsened. Further investigation including chest X-ray and echocardiography revealed increased cardio-thoracic ratio, a right pleural effusion and a large pericardial effusion (25 mm). Warfarin was interrupted and NSAID and low-dose enoxaparin was begun. On fourth hospital day a pericardiocentesis was performed; 1170 ml of yellow serous fluid was drained and antibiotic therapy was started. Anti-nuclear antibodies were present with a titre of 1:320 with antilamin pattern and IgM anti-phospholipid antibodies were found; anti-mitochondrial antibodies were absent and liver enzymes were within normal range. All other rheumatologic test was negative. Prednisone 50 mg daily was initiated with improved clinical condition; on subsequent follow-up however the effusion did not resolve, and the patient is awating surgery (pleuropericardial window). The presence of antilamin antibodies and anti-phospholipid antibodies is known to be associated with seronegative polyarthritis. To our knowledge this is the first case associated with a large pericardial effusion. Up to date, after ten months of observation no sign of systemic lupus erythematosus developed.

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38 POLMONITE GRAVE ACQUISITA IN COMUNITÀ: OUTCOME ED INDICATORI PROGNOSTICI NEL PAZIENTE SOTTOPOSTO A VENTILAZIONE NON INVASIVA VERSUS TERAPIA CONVENZIONALE. Para O. Manni M. Mancini A. Pieralli F. Vannucchi V. Ciervo D. Crociani A. Degl'innocenti G. Antonielli E. Nozzoli C. Medicina Interna e D'Urgenza AOU Careggi Firenze L’impiego della Ventilazione Non Invasiva nei pazienti con polmonite acquisita in comunità è controverso. Ad oggi soltanto pochi studi hanno valutato l’efficacia della NIV nelle polmoniti comunitarie. Nel nostro studio abbiamo analizzato le caratteristiche demografiche, clinico-laboratoristico e strumentali e l’outcome combinato in termini di mortalità e/o necessità di intubazione orotracheale di pazienti con polmonite acquisita in comunità e insufficienza respiratoria, confrontando il trattamento convenzionale con l’impiego della NIV. ). In particolare è stata condotta una sotto-analisi nel sottogruppo di pazienti con polmonite comunitaria severa (definita da un PSI IV-V). Infine abbiamo infine valutato gli indicatori clinici e laboratoristici predittivi di outcome sfavorevole. Studio retrospettivo su una coorte di 121 pazienti con polmonite acquisita in comunità inducente insufficienza respiratoria. I pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: uno di 77 pazienti trattati con terapia convenzionale, l’altro di 44 pazienti sottoposti anche a NIV. Sono stati esclusi dallo studio i pazienti con immunodepressione (definita da patologia neoplastica ematologica o solida in fase attiva in trattamento chemioterapico, la positività per HIV ed infine il trattamento con steroidi o immunosoppresivi > 2 settimane). Nel nostro studio i pazienti erano in prevalenza donne (63 donne, 58 uomini) con età media di 76,86 ± 14,61 anni. In particolare nel gruppo di pazienti sottoposti a NIV l’età media era 76,59 ± 14,10. Nel gruppo di pazienti trattati con NIV è risultata significativamente (p<0,005) maggiore la prevalenza di bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), cardiopatia ischemica o valvolare e l’anamnesi di pregressa esposizione tabagica. Questi pazienti mostravano inoltre una frequenza respiratoria e un valore di pCO2 basale significativamente più elevato rispetto ai pazienti trattati con terapia convenzionale con più alti i valori di natremia ed azotemia. Infine i pazienti sottoposti a NIV avevano un PSI più alto ed un rapporto PaO2/FiO2 pari a 176,29 ± 71,56 ( vs 209,32 ± 72,82) . Alla radiografia del torace all’ingresso il 45,45 % dei pazienti trattati con NIV presentava versamento mono- o bilaterale. Il gruppo di pazienti trattati con NIV presentava una degenza ospedaliera media più lunga (12,16± 8,43 vs 8,75 ± 5,02, p < 0,05) ed una maggior prevalenza di outcome sfavorevole rispetto al gruppo trattato con terapia convenzionale (O.R. 4.05 p 0,029). La presenza di BPCO era un fattore prognostico favorevole nei pazienti con polmonite inducente insufficienza respiratoria trattati con NIV (O.R. 0.10 p 0,035). La NIV è stata ben tollerata dalla maggior parte dei pazienti (90%). Dalla sotto-analisi dei pazienti con polmonite severa (PSI IV-V) è emerso che la durata di degenza era significativamente maggiore nel gruppo trattato con NIV, mentre non vi era una differenza statisticamente significativa in termini di outcome tra i due gruppi. In questa popolazione di pazienti i fattori prognostici significativamente correlati con l’outcome all’analisi di regressione logistica univariata erano l’azotemia (O.R. 3.61 p 0,028) e la frequenza respiratoria (O.R. 1.09 p 0,026). La Polmonite Acquisita in Comunità è una importante causa di morbilità e mortalità ed in particolare la forma severa richiede un’alta complessità assistenziale ed è gravata da un elevato rischio di morte. Dall’analisi retrospettiva di una popolazione di pazienti ricoverata per polmonite acquisita in comunità ed insufficienza respiratoria è emerso che i pazienti trattati con NIV presentavano una maggior prevalenza di BPCO e cardiopatia ischemia o valvolare, valori più alti di FR, PCO2 e PSI all’ingresso, con un impegno radiologico del torace più severo. In tale gruppo di pazienti è inoltre emersa una durata di degenza media più elevata con una maggiore prevalenza di eventi sfavorevoli (mortalità intraospedaliera e/o necessità di IOT). Tale dato riflette verosimilmente la maggior gravità, sia in termini di comorbilità che in termini di quadro clinico-laboratoristico, strumentale ed emogasanalitico dei pazienti trattati con NIV rispetto a quelli trattati con terapia convenzionale. La sotto-analisi dei pazienti con polmonite acquisita in comunità severa (PSI>IV) ha mostrato una degenza media significativamente maggiore nel gruppo di pazienti trattati con NIV, non confermando, in accordo con i dati riportati in letteratura, una differenza statisticamente significativa riguardo l’outcome. Infine i pazienti con BPCO avevano un minor rischio di mortalità intraospedaliera o di intubazione orotracheale in accordo con i dati riportati dalla letteratura. Quest’ultimo dato sembrerebbe sottolineare l’utilità della NIV particolarmente in pazienti selezionati con polmonite inducente insufficienza respiratoria.

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39 SIAMO SICURI DI CONOSCERE TUTTE LE CAUSE DI ANEMIA EMOLITICA? UN CASO NON COMUNE DI INFEZIONE DA CMV Chiti I. Alessandrì A., Checchi M., Squillante R. Raimondi L., Birindelli A, Pugliese N., Panigada G ASL 3 Ospedale Pescia L’infezione da CMV ha un ampio range di manifestazioni cliniche, alcune delle quali rare e poco conosciute. L’emolisi è una di queste e può essere una complicanza anche mortale a patogenesi non ben determinata. Di solito è più frequente nell’ospite immunocompromesso. Descriviamo il caso di un paziente immunocompetente di 27 anni giunto alla nostra osservazione per astenia e dispnea da sforzo. Gli esami eseguiti in Pronto Soccorso hanno evidenziato anemia normocitica (Hb 8.4 g/dl, MCV 86 fl) con modico incremento di LDH e bilirubina indiretta (LDH 404 U/L, bilirubina totale 3.19 di cui diretta 2.65 mg/dl). All’ingresso il paziente era piretico (TC 38.4°C), pallido, sub-itterico. Nessun altro reperto patologico all’esame obiettivo, in particolare non linfoadenomegalie palpabili né splenomegalia. Sono risultati negativi la radiografia del torace e l’ecografia dell’addome. L’emocromo mostrava un’inversione della formula (N 32%, L55%) senza anomalie nella conta dei globuli bianchi e delle piastrine. Si associava negatività del test di Coombs diretto ed indiretto, consumo dell’aptoglobina ed incremento dei reticolociti. Sono risultati nella norma lo striscio di sangue periferico, la tipizzazione linfocitaria e lo screening per G6PD e EPN. L’ EGDS ha mostrato gastrite con aspetto varioliforme. Nel sospetto di infezione virale è stata quindi richiesta sierologia per EBV, CMV, HSV che ha documentato positività delle IgM per CMV con modesto incremento delle altre classi anticorpali per probabile effetto di trascinamento. Il paziente è stato trattato con prednisone 1 mg/kg/die con risoluzione del quadro clinico e laboratoristico. L’opportunità della terapia steroidea è controversa secondo la letteratura. L’infezione da CMV deve essere considerata nella diagnosi differenziale dell’anemia emolitica nel paziente immunocompetente.

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40 SINDROME DI GUILLAN-BARRÈ E RABDOMIOLISI: UNA CURIOSA ASSOCIAZIONE Seghieri M. Lodato M. Taddei M. Scuola di Specializzazione Medicina Interna Università di Pisa Introduzione: la sindrome di Guillan-Barrè (SGB) è una polineuropatia simmetrica caratterizzata da una riduzione della forza a partenza dai distretti distali degli arti inferiori con rapida diffusione ascendente, abolizione dei riflessi osteotendinei ed un grado variabile di compromissione di tipo sensitivo. L’incidenza in Italia è di 1-2 casi/anno ed include sottotipi quali la polineuropatia acuta infiammatoria demielinizzante (AIDP), la neuropatia acuta motoria assonale (AMAN) ed acuta motoria sensitiva assonale (AMSAN). L’eziopatogenesi è ritenuta di natura immuno-mediata, essendo spesso preceduta da episodi infettivi (prevalentemente del tratto GI od affezioni respiratorie). Questo caso clinico tratta di un paziente affetto da polmonite atipica, in cui la co-somministrazione di claritromicina e simvastatina, ha verosimilmente determinato un quadro di rabdomiolisi associato a SGB. Caso clinico: un uomo di 81 anni giungeva alla nostra attenzione in seguito a dispnea associata a progressiva limitazione funzionale prevalente agli arti inferiori e mialgie, dopo essere stato dimesso due settimane prima da altro presidio ospedaliero con diagnosi di polmonite a focolai multipli a lenta risoluzione, per la quale era ancora in trattamento con claritromicina 500 mg bid. Il paziente, affetto da cardiopatia ischemica cronica (pregresso BPAC), ateromasia carotidea sinistra sottoposta a stent, insufficienza renale di grado moderato, ipertensione arteriosa ed iperlipemia mista assumeva tra gli altri farmaci simvastatina 20 mg od. Gli esami ematochimici mostravano oltre alla positività di indici di infezione (leucocitosi neutrofila associata a incremento di PCR e procalcitonina), elevati valori di CPK, mioglobina e mioglobinuria (al picco rispettivamente di 3946 U/l, 5039 ng/ml e 1010 mg/l), di transaminasi (AST 142 U/l, ALT 77 U/l) associati a peggioramento della funzione renale, con eGFR (sec CDK-EPI) di 41 ml/min. Veniva impostata idratazione, terapia con furosemide e mannitolo, oltre che bicarbonati ev e sospesa terapia antiipertensiva ed ipolipemizzante. L’esame obbiettivo neurologico mostrava tetraparesi flaccida con iporiflessia degli arti superiori e completa assenza del riflesso patellare bilateralmente. Tali reperti richiedevano approfondimento mediante EMG/ENG con riscontro rispettivamente di segni di danno neurogeno con diffusa attività di denervazione in atto sui muscoli tibiali anteriore destro e sinistro, di diaframma destro e I interosseo dorsale sinistra e polineuropatia somatica sensitivo-motoria prevalentemente assonale. L’analisi del liquido cefalo-rachidiano mostrava danno moderato della barriera emato-encefalica e quoziente dell’albumina patologicamente aumentato. Veniva quindi posta diagnosi di SGB ed intrapresa terapia con immunoglobuline IgG aspecifiche. Conclusione: si tratta di un caso di SGB, verosimilmente sottotipo AMSAN, legato ad una recente polmonite, il cui trattamento con claritromicina in associazione con statina ed in presenza di compromissione della funzione renale sembrerebbe essere stato determinante nella genesi della rabdiomiolisi. D’altra parte un lieve incremento delle CPK è stato descritto nelle prime fasi della SGB, legato ad un possibile danno da denervazione.

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41 STATINS DO NOT INCREASE BLEEDING RISK DURING VITAMIN K ANTAGONISTS TREATMENT FOR VENOUS THROMBOEMBOLISM: A RETROSPECTIVE COHORT STUDY Sabatini S. Riva N. Di Minno MND. Pomero F. Mumoli N. Ageno W. Dentali F UO Medicina 1 - Ospedale di Livorno Statins, beyond cholesterol synthesis inhibition, have a number of pleiotropic effects, including improvement of endothelial function and decreased production of proinflammatory cytokines. Regarding hemostatic function, they decrease thrombin generation and enhance fibrinolysis. Statins have been shown to reduce the rate of venous thromboembolism (VTE), but whether their use correlates with bleeding events is still debated. The aim of this study was to evaluate the use of statins in VTE patients taking vitamin K antagonists (VKA). We retrospectively included consecutive adult patients with acute VTE referred to five Italian Anticoagulation Clinics (Cuneo, Livorno, Mantova, Napoli, Varese), between January 2010 and August 2012. Patients were included from the beginning of VKA treatment and followed-up for one year or until the end of treatment, whichever came first. Bleeding events were classified as major bleeding (MB) or clinically-relevant-non-major-bleeding (CRNMB). Statin users were analyzed separately with regards to baseline characteristics and outcomes. Among the 681 patients included in this cohort, 140 (20.6%) were receiving statins (median age 60 years old, 45.0% males). Apart from dyslipidemia, statin-users were also more likely to have arterial hypertension (53.6% vs 41.8%, p=0.016), obesity (23.6% vs 14.2%, p=0.011), previous cardiovascular events (24.3% vs 7.0%, p<0.001), and they were also more likely to receive concomitant antiplatelet therapy (13.6% vs 5.0%, p=0.001), than non-users. During a mean follow-up of 8.82 (± 3.59) months, the composite outcome of MB and CRNMB occurred in 50 patients, corresponding to an overall bleeding incidence of 9.99/100 patient-years. Bleeding occurred in 11 statin-users and 39 non-users (7.9% vs 7.2%, p=ns). Statin use did not correlate with the risk of any bleeding (HR 0.91, 95% CI 0.45-1.82, p=0.778), MB only (HR 0.65, 95% CI 0.14-2.93, p=0.573) or CRNMB only (HR 1.01, 95% CI 0.46-2.22, p=0.989). When we included in a multivariable Cox regression model, the use of statins and the use of antiplatelet therapy, none of them emerged as independent predictor of bleeding complications. Despite evidence that statins reduce thrombin generation and enhance fibrinolysis, the results of our study suggest that they do not increase the risk of bleeding during long-term VKA treatment. This finding needs to be confirmed in larger prospective cohort studies.

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42 SUCCESSFUL TREATMENT OF A KLEBSIELLA PNEUMONIAE CARBAPENEMASE-PRODUCING SEPSIS WITH A DOUBLE-CARBAPENEM REGIMEN IN A VERY OLD MAN Mazzi V. Pardelli R. Mumoli N. Cei M. Presidio Ospedaliero di Livorno A 93-years old man with permanent bladder catheterization was admitted for suspected brain ischemia. His medical history was notable for systemic hypertension and permanent atrial fibrillation with a previous transitory ischemic attack; he was not on oral anticoagulant therapy with warfarin. In the past, he underwent total gastrectomy for unclear reason and colostomy for colonic cancer. Three days after admission the substitution of bladder catheter was scheduled and, shortly thereafter, he experienced shivering and fever. Blood samples were drawn for culture, and empiric therapy with intravenous ceftriaxone and ciprofloxacin was instituted. After 3 days blood cultures revealed the presence of Klebsiella pneumoniae with an extended drug resistance pattern (only colistin and TMP/SMX retained susceptibility), including resistance to carbapenems (KPC). Due to frailty of the patient a treatment with colistin was judged not feasible, and the patient was treated with ertapenem, 1 g qd and, after 1 hour, with meropenem, 1 g tid in 3-hours infusions. Fever disappeared, surveillance cultures were negative after 7 days and the patient was discharged alive after 2-week course of double carbapenem therapy. Dual carbapenem efficacy is thought to be due to carbapenemase consumption by ertapenem, thus permitting to another carbapenem (meropenem or doripenem) to remain sufficiently available to maintain efficacy against KPC strains.

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43 UN CASO CLINICO COMPLESSO CARATTERIZZATO DA ESTESE E PROFONDE ULCERE CUTANEE LOCALIZZATE LI ARTI INFERIORI. Degl'innocenti D. 1^ U.O. Medicina Ospedale Prato Introduzione - Il Pioderma Gangrenoso (PG) è una rara dermatosi infiammatoria neutrofila sterile a eziologia sconosciuta (la disregolazione del sistema immune potrebbe essere implicata) caratterizzata da ulcere cutanee ricorrenti di profondità e grandezza variabili dai bordi violacei o bluastri, sottominati, circondate da eritema; sono maggiormente colpiti gli arti inferiori. Si associa tra 50-70% dei casi a malattie infiammatoria viscerale, ematologica, reumatica o neoplastica maligna. L’incidenza nel mondo è stimata intorno a 3-10 casi per milione di popolazione generale per anno. Il sesso femminile tende a essere lievemente più colpito; l’età varia tra i 20-50 anni. La patergia rappresenta il più importante fattore trigger del PG. Nel 20-30% dei pazienti il PG è innescato da un trauma poco importante. La diagnosi differenziale è posta con: infezioni, malattie infiammatorie intestinali, disordini vascolari e lesioni maligne. Si manifesta spesso con singolo episodio e la prognosi è buona ma molto influenzata dalla malattia sottostante. Il decorso clinico può essere drammaticamente violento. Caso clinico - Paziente di cinquantatré anni, di sesso maschile, razza caucasica afferisce nel nostro reparto di medicina interna per il progressivo peggioramento in estensione e approfondimento di vaste lesioni cutanee di tipo ulcerativo localizzate bilateralmente agli arti inferiori, prevalentemente alla gamba sinistra e sintomatiche per marcata e persistente sintomatologia dolorosa tale da richiedere analgesici maggiori quotidianamente. Nella storia clinica del paziente emergeva la presenza d’ipertensione arteriosa trattata con farmaci e la comparsa di una lesione cutanea ulcerosa localizzata a un arto inferiore in sede perimalleolare interpretata come ulcera di Martorell a eziologia ipertensiva. Il peggioramento delle lesioni cutanee imponeva un accertamento bioptico che diagnosticava la presenza di una vasculite necrotizzante con panniculite.Il paziente era trattato con Deltacortene ed Endoxan a cicli. Tale associazione farmacologica non impediva la progressione violenta della malattia complicata anche dallo sviluppo di una sovra infezione polimicrobica (Ps. Aeruginosa).Si riconsiderava l’ipotesi diagnostica istopatologica sottoponendo il paziente ai seguenti accertamenti diagnostici: 18FDG-PET total body, angio-RMN aorta addominale, vasi renali e iliaci, RMN Encefalo, TAC torace HR, Ecografia addominale e del collo,sierologia (ANA,ENA screen, anti-DNA,profilo ANCA,anti-CL,anti-betaGPI,Crioglobuline,criocrito,tipizzazione linfocitaria,C3,C4,FR a caldo),profilo coagulativo,diagnostica endoscopica digestiva completa.Il paziente in base a una diagnosi clinica e di esclusione era sottoposto a trattamento medico con Ciclosporina e Corticosteroidi con un drammatico miglioramento clinico fino alla completa guarigione. Discussione - La diagnostica ematochimica, sierologica, strumentale escludeva un’attività vasculitica sistemica e altre cause associabili e/o responsabili dell’esteso interessamento ulcerativo cutaneo degli arti inferiori. Conclusioni - In letteratura sono stati proposti alcuni criteri diagnostici per il PG e tra questi i maggiori sono: da un lato la rapida progressione di un’ulcera cutanea particolarmente dolorosa con aspetti necrotici, la presenza di un margine violaceo, irregolare, sotto minato e dall’altro l’esclusione di altre cause di ulcera cutanea. L’ipotesi diagnostica di PG era maturata grazie alla collaborazione attiva tra specialisti ospedalieri e universitari a livello di area vasta. Ringraziamenti - Rivolgiamo i più sinceri ringraziamenti al Dr.L.Emmi, Responsabile del Centro di Riferimento Regionale per le Malattie Autoimmuni Sistemiche, per il decisivo contributo clinico offerto alla risoluzione del caso clinico.

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44 UN CASO DI COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA ASSOCIATA ALL'USO DI SORAFENIB IN UNA DONNA AFFETTA DA EPATOCARCINOMA MULTIFOCALE IN CIRROSI EPATICA HCV CORRELATA. Lorenzini G. Spolveri S. Ospedale del Mugello Borgo San Lorenzo La coagulazione intravascolare disseminata (CID) si definisce come una sindrome caratterizzata dall'attivazione sistemica della coagulazione con formazione intravascolare di fibrina e rappresenta una condizione potenzialmente fatale. Il primo provvedimento terapeutico da adottare è, se possibile, la rimozione della causa scatenante. Il Sorafenib è indicato nel trattamento dell'epatocarcinoma avanzato in pazienti che abbiano fallito o che non siano candidabili a trattamenti loco-regionali e con buona funzionalità epatica (Child-Pugh A). Tra gli effetti collaterali descritti si segnala depressione midollare, alterazione della bilirubina e transaminasi ed eventi emorragici gastrointestinali. Vengono inoltre riportati casi aneddotici di rialzo dei valori di INR in seguito alla co-somministrazione di Sorafenib e Warfarin. Una donna di 73 anni, non fumatrice, caucasica, giunge in Pronto Soccorso lamentando astenia. All'anamnesi patologica remota riferisce cirrosi epatica (Child-Pugh A) HCV correlata complicata con HCC multifocale, gia' sottoposto a chemioembolizzazione ed alcolizzazione percutanea ed in terapia con Sorafenib da circa due anni, diabete mellito di tipo 2, ipotiroidismo. In DEA ha eseguito esami ematochimici che hanno evidenziato anemia (10, 3 g/dl), leucopenia e piastrinopenia (3700/mcl e 59000/mcl rispettivamente), riduzione dell'aPT (65%, INR 1.23) e del filtrato glomerulare (creatinina 2.68 mg/dl, eGFR 18.32 ml/min/1.73mq, potassiemia 5.4 mEq/l). E' stata sottoposta ad una radiografia del torace che è risultata negativa. In seconda giornata si è riscontrato una riduzione dei valori dell'emoglobina (8,1 g/dl), un aumento dei leucociti e delle piastrine (7960/mcl; 155000/mcl), un peggioramento dell'aPT (40%, INR 1, 82) con aPTT stabile ed al rialzo dell'LDH (570 U/l), della bilirubina totale e diretta (2,98 mg/dl, 1, 64 mg/dl) e delle transaminasi. Dopo circa dieci ore la paziente ha presentato un deterioramento emodinamico (PAS 70 mmHg), associato a sintomi e segni di ipoperfusione; e' stata quindi intrapresa replezione di fluidi con colloidi e cristalloidi ed eseguito un emocromo ed un profilo coagulativo di controllo che ha evidenziato una riduzione significativa dell'emoglobina e delle piastrine (5 gr/dl, 69000/mcl) con peggioramento globale dei parametri della coagulazione (aPT 28%, INR 2, 47, aPTT 43 sec). Nell'attesa degli emocomponenti, sono stati somministrati 1500 UI di complesso protrombinico, 1 grammo di acido tranexamico ev, 10 mg di fitomenadione ev, 2 unita' di emazie gruppo zero negativo e sospeso il Sorafenib nell'ipotesi di una emorragia secondaria al farmaco. Al prelievo di controllo i parametri coagulativi erano ulteriormente peggiorati (aPT 24%, INR 2,79, aPTT 60 sec) con significativa riduzione del fibrinogeno (100 mg/dl) e dell'ATIII (21%). Sono stati somministrati quindi 1 grammo di fibrinogeno concentato, 1000 ml di plasma fresco e 2 unita' di emazie concentrate. Una volta raggiunta la stabilità emodinamica abbiamo eseguito un'esofago-gastro-duodenoscopia che ha evidenziato aree di pregresso gemizio ematico riferite a trauma da suzione da sondino. Successive TAC addome e pancolonscopia sono risultate negative per possibili fonti di sanguinamento. Gli esami ematochimici del giorno successivo hanno confermato il miglioramento clinico (Hb 10,1 g/dl, Plt 32000/mcl, aPT 50%, INR 1.48, fibrinogeno 208 mg/dl, ATIII 43%) ed è stata esclusa la presenza di emolisi. Tali valori si sono mantenuti stabili anche nei giorni successivi, dopo la sospensione del Sorafenib. In accordo con i criteri ISTH possiamo formulare diagnosi di overt CID (score > o = 5). Sia l'emoglobina che i parametri coagulativi (INR, aPTT, fibrinogeno, ATIII) hanno beneficiato della terapia somministrata in acuto e della sospensione del Sorafenib. Tra gli effetti collaterali più frequenti del farmaco vongono infatti riporatati l'anemia (anche di grado IV) e la tossicità midollare, ma in nessun studio viene segnalata CID. Del resto, prima della terapia trasfusionale e di supporto, la raccomandazione è quella di eliminare la condizione patologica determinanate la coagulopatia; dal momento che né l'epatocarcinoma né la cirrosi epatica rappresentano due condizioni reversibili e che dopo la sospensione del Sorafenib i parametri della coagulazione si sono mantenuti stabili, riteniamo probabile che il farmaco sia stato causa, anche se probabilmente non unica, del quadro clinico della paziente.

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45 UN CASO DI EMOFILIA ACQUISITA A COME MANIFESTAZIONE DI GVHD CRONICA IN UN PAZIENTE SOTTOPOSTO A TRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE CORDONALI TRATTATO CON RITUXIMAB. Bazzini C. Angarano R. Donnini I. Nozzoli C. Linari S. Crociani A. Rocchi F. Bacci F. Pieralli F. Guidi S. Nozzoli C. Medicina Interna e d'Urgenza AOU Careggi Firenze Riportiamo il caso di un uomo di 42 anni ricoverato presso la nostra U.O. per la comparsa di un ematoma spontaneo muscolare a livello di gluteo e coscia destra con anemia secondaria. Anamnesi: All’ eta’ di 40 anni diagnosi di leucemia mieloide acuta (M2 FAB, NPM1/FLT3 neg/neg) refrattaria a terapia di prima linea quindi trattata con trapianto di cellule staminali da sangue di cordone ombelicale (compatibilita’ 4/6 HLA). La terapia di condizionamento ha incluso: thiotepa (5mg/Kg), busulphan (3.2 mg/Kg) e fludarabina (50 mg/m2). Siero antilinfocitario, ciclosporina (CSA) e micofenolato mofetile (MMF) sono stati somministrati poi come profilassi per la graft versus host disease (GVHD). 9 mesi dopo il trapianto il paziente ha sviluppato GVHD cronica cutanea di tipo lichenoide per cui e’ stato iniziato trattamento corticosteroideo (1mg/Kg). All’ interruzione del trattamento steroideo ricomparsa di GVHD cutanea con sovrapposizione di una forma “eczema-like” per cui il paziente e’ stato trattato prima con CSA sostituita poi da MMF per riscontro di insufficienza renale senza miglioramento clinico; e’ stato quindi ripreso trattamento corticosteroideo (1mg/Kg) e sono state effettuate sedute di fotoaferesi extracorporea (2volte/settimana) con miglioramento del quadro. Decorso: All’ ingresso in reparto paziente emodinamicamente stabile, apiretico, scambi respiratori stabili in aria ambiente, non deficit neurologici focali; era presente un ematoma muscolare a livello di gluteo e coscia destra con dolorabilita’ alla mobilizzazione dell’ arto; le lesioni cutanee erano in remissione in trattamento con prednisolone (5mg/die) e MMF (2000mg/die). E’ stata eseguita TC total body che ha escluso la presenza di sanguinamenti intracranici, di altri ematomi muscolari o di ematomi viscerali. Agli esami ematici: anemia normocitica (Hb 8.4g/dL, MCV 89fL), non leucocitosi, piastrine nei limiti, allungamento del tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) pari a 60.5 sec (v.n.22-38 sec), tempo di protrombina nella norma, funzione renale ed epatica nei limiti; la ricerca degli anticorpi antifosfolipidi (Lupus anticoagulant, anti-beta2glicoproteina1 e anti-cardiolipina) e degli anticorpi antinucleo sono risultate negative. E’ stato quindi dosato il fattore VIII(FVIII) con riscontro di severa riduzione dell’ attivita’ (4%, v.n.60-150%) e presenza di inibitori del FVIII con titolo di 1.6 Bethesda Units(BU)/mL (v.n.<0.6BU/mL). E’ stato quindi effettuato trattamento con corticosteroidi (metilprednisolone ev 1mg/Kg/die) e FVIII attivato ricombinante (5000UI ogni 12 ore). E’ stato effettuato trattamento con rituximab ev (375mg/m2, 1 volta/settimana) per 4 settimane con progressivo miglioramento dei parametri coagulativi. Dopo il trattamento rilievo di: aPTT 26sec, FVIII 156.7% ed inibitori del FVIII 0.1BU/mL. Il paziente ha proseguito trattamento steroideo con lento decalage senza recidive di sanguinamenti e con parametri coagulativi stabili anche alle visite di follow-up fino a 5 mesi dalla dimissione. Discussione: L’ emofilia acquisita A (AHA) e’ un raro disordine ematologico (incidenza 1.5 casi/milione/anno) legato alla presenza di autoanticorpi inibenti il FVIII. E’ caratterizzata clinicamente da sanguinamenti spontanei talora anche rilevanti e che possono mettere a rischio la vita del paziente (in particolare le emorragie cerebrali) associato al riscontro agli esami di laboratorio di un allungamento dell’ aPTT senza altre alterazioni dei parametri coagulativi. Il trattamento indicato dalle Linee Guida e dalle raccomandazioni di esperti consiste nella somministrazione di corticosteroidi ad alte dosi da soli o in associazione ad altri farmaci immunosoppressori (come la ciclofosfamide), mentre l’ anticorpo monoclonale rituximab e’ consigliato come terapia per i casi refrattari o quando gli agenti di prima linea sono controindicati o non tollerati. L’ eziologia dell’ AHA rimane sconosciuta fino al 50% dei casi. Tra le condizioni associate all’ AHA la GHVD e’ stata descritta in pochi case report in letteratura e non esistono casi descritti di AHA associata a GVHD cronica in soggetti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche cordonali.

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46 UN CASO DI EMOFILIA ACQUISITA A IN UN PAZIENTE CON ARTRITE REUMATOIDE IN TRATTAMENTO CON ADALIMUMAB. Bazzini C. Galassi L. Agostino G. Lenzi A. Randisi P. Vagheggini F. Verdiani V. U.O. Medicina Interna, Ospedale Della Misericordia Grosseto Riportiamo il caso di un uomo di 78 anni ricoveratosi presso la nostra U.O. per la comparsa da alcuni giorni di epistassi ed ematomi cutanei spontanei diffusi con anemizzazione secondaria. Anamnesi: artrite reumatoide in trattamento con adalimumab (1fl/2 settimane). Cardiopatia valvolare calcifica (stenosi valvolare aortica di grado severo ed insufficienza mitralica moderato-severa) con funzione sistolica ventricolare sinistra conservata, con recente ricovero per scompenso cardiaco ed in attesa di intervento cardiochirurgico. Decorso: all’ ingresso in reparto paziente emodinamicamente stabile, apiretico, parametri vitali nei limiti, non deficit neurologici focali; ematomi cutanei diffusi. Agli esami ematici: anemia normocitica (Hb 7g/dL, MCV 88fL) senza segni di emolisi, non leucocitosi, piastrine nei limiti, allungamento del tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) pari a 50.3 sec (v.n.22-38 sec), tempo di protrombina nella norma, funzione renale ed epatica nei limiti. E’ stato quindi dosato il fattore VIII (FVIII) con riscontro di severa riduzione dell’ attivita’ (2.2%, v.n.60-150%) e presenza di inibitori del FVIII con titolo di 1.8 Bethesda Units(BU)/mL (v.n.<0.6BU/mL). E’ stata eseguita TC total body che ha mostrato la presenza di versamento pleurico di lieve entita’ con densita’ compatibile con liquido siero-ematico. All’ esofagogastroduodenoscopia non segni di sanguinamento attivo. E’ stata sospesa la terapia antiaggregante (acido acetilsalicilico 100mg/die) che il paziente stava effettuando a domicilio, e’ stata intrapresa terapia con corticosteroidi (metilprednisolone ev 1mg/Kg/die) e FVIII attivato ricombinante (4000UI ogni 12 ore), il paziente ha inoltre necessitato di 2 emotrasfusioni con successiva stabilita’ clinica e dell’ emocromo, e progressiva normalizzazione dei parametri della coagulazione. Il paziente ha proseguito trattamento steroideo con lento decalage senza recidive di sanguinamenti e con parametri coagulativi stabili anche alle visite di follow-up fino a 6 mesi dalla dimissione. Discussione: l’ emofilia acquisita A (AHA) e’ un raro disordine ematologico (incidenza 1.2-1.5 casi/milione/anno) legato alla presenza di autoanticorpi diretti contro il FVIII. L’ eziologia dell’ AHA rimane sconosciuta fino al 50% dei casi; nell’ altra meta’ circa dei casi tra le condizioni cliniche associate sono state identificate le malattie autoimmuni, le neoplasie solide, le neoplasie ematologiche (linfomi e leucemie) e la gravidanza. Altri potenziali fattori di rischio sono l’ esposizione a farmaci (penicillina, clopidogrel, fludarabina, interferone-alpha, levodopa, fenobarbital), emotrasfusioni o infezioni. Clinicamente l’ AHA si presenta con sanguinamenti spontanei a livello di cute e mucose, muscoli e tessuti molli con riscontro di un isolato allungamento dell’ aPTT. I sanguinamenti possono mettere anche a rischio la vita del paziente (specie le emorragie cerebrali,1.1% dei casi) quindi e’ fondamentale una precoce diagnosi ed un rapido inizio del trattamento. La presenza di comorbilita’ e di altri trattamenti farmacologici (come una terapia antiaggregante) puo’ influenzare la presentazione clinica e richiedere un approccio terapeutico individualizzato. I trattamenti indicati dalle Linee Guida e dalle raccomandazioni degli esperti sono corticosteroidi ad alte dosi in monoterapia o in associazione ad altri farmaci immunosoppressori (es. ciclofosfamide), mentre l’ impiego del rituximab e’ di seconda scelta. Isolati case report sono presenti in letteratura su pazienti con emofilia acquisita A trattati con adalimumab che e’ risultato anche in grado di ridurre le recidive di sanguinamento articolare in casi di emofilia congenita A associata ad artrite reumatoide o artrite psoriasica. Nel nostro caso il paziente gia’ in terapia con adalimumab ha mostrato buona risposta clinica e laboratoristica al trattamento con corticosteroidi e FVIII ricombinante anche dopo la sospensione del farmaco.

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47 UN CASO DI LEISHMANIOSI VISCERALE. Tavernese G. Fortini A. Colasanti L. Fabbroni A. Contri S. Bribani A. SOS Medicina - Ospedale Serristori Figline V.no La Leishmaniosi è causata da protozoi parassiti, trasmessi dalla puntura di ditteri flebotomi (pappataci), che si moltiplicano all’interno dei macrofagi. Le manifestazioni cliniche, che spaziano dalla paucisintomaticità a quadri di estrema gravità, sono la Leishmaniosi viscerale, la Leishmaniosi cutanea e la Leishmaniosi mucocutanea. Presente in tutti i continenti (eccetto in Oceania ed Antartide), la Leishmaniosi in Italia è diffusa soprattutto nelle regioni Meridionali, in Liguria ed in Toscana dove è presente la macchia Mediterranea e dove è frequente l’infestazione dei cani randagi che rappresentano il principale serbatoio. Caso clinico: P.M., maschio, 53 anni, obeso, forte fumatore (40 sigarette al giorno), iperteso, ridotta tolleranza glicidica. Giunge in PS per febbre elevata (fino a 40°C) preceduta da brivido scuotente. Riferita disuria episodica, lieve cefalea e dispnea. Ha assunto Lomefloxacina + Paracetamolo, senza beneficio. Agli esami ematici progressiva anemizzazione, pancitopenia (trasfuso con emazie conc. e piastrine), alterazioni degli indici di necrosi epatica e colestasi. All’ecografia addome e alla Tc mdc rilievo di lesioni spleniche. La BOM (escluse malattie ematologiche), l'Ecocardiogramma (negativo per endocardite), gli esami colturali (sempre negativi) e numerosi esami sierologici (HIV, Marker epatitici, CMV, EBV, Toxoplasma, Leptospirosi, Sierodiagnosi Weil-Felix e Widal-Wright ecc.) non hanno portato alla diagnosi. Non sono stati repertati parassiti (Leishmanie o Plasmodi) all’esame microscopico dell’aspirato midollare. Il pz non ha risposto alla terapia steroidea nè a terapia antibiotica empirica in diversi protocolli (somministrati Chinolonici, Penicillina protetta, Meropenem, Vancomicina, Azitromicina, Difluconazolo). Nonostante l'iniziale negatività Sierologica per Leishmaniosi, nel sospetto di falso negativo, è stata comunque somministrata ex-juvantibus terapia con Amfotericina B liposomiale (Ambisome) e sono stati inviati campioni per amplificazione genica (Leishmania PCR); l'esame ha confermato la Leishmaniosi viscerale. Dopo la terapia specifica si è osservata defervescenza e progressivo miglioramento dei parametri ematologici che sono rientrati nella norma a successivi controlli. Ad un’anamnesi più approfondita, a posteriori, il pz riferiva di essere stato punto da un insetto in sede sottomammaria sx e di aver manifestato una modesta reazione locale, prima dell’insorgenza della febbre (non ricorda il lasso temporale). Ad un controllo ecografico della parete toracica rilevabile reperto nodulare (7mm) compatibile con granuloma, verosimile sede d’inoculo. Il caso clinico esaminato suggerisce di considerare nella diagnosi differenziale l’infezione da Leishmania, spesso posta in secondo piano nonostante in Italia vi siano zone endemiche. La conferma diagnostica, spesso negativa con il solo semplice esame sierologico, deve essere posta con l’invio di campioni (sangue e/o aspirato midollare) per amplificazione genica (Leishmania PCR). L’utilizzo precoce di molecole come l’Amfotericina B liposomiale (con tossicità minore rispetto alle cure del passato), porta a brillanti risultati supportati da evidenze scientifiche.

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48 UN CASO DI NEUROLUE ESORDITO CON DISTURBI PSICHICI. Lavecchia R. Chiarugi L. Schipani E. Lombardo G. U.O.C. Medicina Generale A.S.L. 11 Empoli Il 28.3.2014 viene ricoverato in Psichiatria, su indicazione del medico di riferimento territoriale, il sig. F.L. di anni 40 a cui era stato diagnosticato un Disturbo Bipolare in fase di grave scompenso. Persona accreditata da sempre di un ottimo livello di funzionamento socio-professionale, dopo aver lavorato nel campo della moda, dirige con il compagno di 15 anni più giovane di lui una scuola di yoga. In assenza di evidenti cause scatenanti, aveva presentato 6 mesi prima una ipovalidità dell’ideazione con spunti persecutori e instabilità timica con rapidi viraggi contropolari e anomalie del comportamento. Era stato trattato con olanzapina con risultati inizialmente incoraggianti. Durante la degenza in Psichiatria il quadro si accentua comparendo franchi aspetti deliranti con fluttuazione del tono della voce e soliloqui (“parlo con me stesso”). Non vengono trascurati gli aspetti neurologici: l’EEG dimostra sequenze diffuse onde lente a fronte ripido, prevalenti in regione fronto-temporo centrali a sinistra. La RMN Encefalo con mdc mette in evidenza atrofia temporale bilaterale e iperintensità delle strutture temporo-mesiali, ippocampo in testa, del fornice, delle porzioni periventricolari adiacenti al III ventricolo. Tali reperti propongono una correlazione con encefalite herpetica, limbica paraneoplastica ovvero una neurolue. Il paziente viene trasferito nella UOC di Medicina Interna e sottoposto in prima istanza a indagini sierologiche (VRDL positiva e TPHA positivi a 10.240, FTA-ABS positivo su siero e su liquor, HIV 1+2 negativo). Inizia quindi terapia con penicillina G sodica 6 milioni di UI + G potassica 6 milioni di UI: dose raddoppiata dopo 24 ore, durata del trattamento 14 giorni. La situazione psichiatrica non migliora in modo significativo e le probabilità di un recupero sono da ritenersi comunque molto poche. Ciononostante, considerata anche la giovane età il paziente è stato indirizzato ad un Centro che tratta i disturbi cognitivi per un tentativo di trattamento Riabilitativo. DISCUSSIONE L’Istituto Superiore di Sanità segnale che dall’inizio degli anni 2000 i Centri che trattano le malattie sessualmente trasmesse hanno registrato un incremento della lue. Tra gli omosessuali maschi, nei primi 4 anni l’incidenza è stata sei volte superiore ai dieci anni precedenti. L’interessamento del SNC è frequente: in assenza di trattamento e il 13-20% dei soggetti non trattati può andare incontro a neurosifilide sintomatica. In ordine cronologico possono comparire, in un lasso di tempo di 1-25 anni: meningite sifilitica precoce (1.4-6%), sifilide meningovascolare (3.2-15%), paralisi generale (5%), tabe dorsale (3-9%). La sifilide terziaria si manifesta in 3 forme: sifilide gommosa, sifilide cardiovascolare e neurosifilide tardiva. Il caso discusso fa riferimento alla neurosifilide tardiva, relativamente alla quale la forma con paralisi generale è quella più frequentemente associata a disturbi psichiatrici e si caratterizza per la rilevante perdita neuronale a fronte delle lesioni vascolari e infiammatorie che caratterizzano le altre forme di neurosifilide. Le manifestazioni psichiche descritte nella letteratura come sostanzialmente quelle del caso descritto, con la sola nota che l’acatisia (irrequietezza, agitazione, impossibilità a stare fermi) manifestata da F.L è probabilmente da ascrivere al trattamento con aloperidolo. L’evoluzione, nella maggior parte dei casi descritti, è verso la demenza. www.iss.it/binary/urpu/cont/SIFILIDE.1129907719.pdf Clinics in dermatology 2010;5:533-538 European Journal of Clin. Microb. 2008;12:1151-1157 Bollettino Soc. Medico Chir.Pavia 126(3):601-606

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49 UN CASO DI PORPORA TROMBOTICA TROMBOCITOPENICA INDOTTA DA TICLOPIDINA Vazzana N. Taccetti G. Beltrame C. Scarti C. Calacoci L. Di Pietro G. Fortini A. SOC Medicina Interna, Ospedale S. Giovanni di Dio, Azienda Sanitaria Firenze Caso clinico. Un uomo di 81 anni viene ricoverato per per dolore in ipocondrio-fianco dx associato a febbre, nausea ed oliguria con urine ipercromiche. Da circa 4 settimane era in trattamento con ticlopidina per il riscontro di stenosi carotidea destra. Il quadro di ingresso era caratterizzato da piastrinopenia severa (PLT 4.000/μL), moderata anemia normocitica (Hb 9.3 g/dL), insufficienza renale (creatinina 2.59 mg/dL), elevati livelli di LDH (1.101 U/L) e troponina (2.51 ng/mL). Nel sospetto iniziale di una sepsi, è stato avviato trattamento parenterale con cristalloidi ed antibiotico-terapia ad ampio spettro. Per successiva comparsa di alterazioni neurologiche (GCS 10, crisi tonico-cloniche generalizzate), in assenza di significative alterazioni all’esame TC dell’encefalo, è stata sospettata la presenta di una microangiopatia trombotica. I livelli di aptoglobina erano ridotti e l’esame dello striscio di sangue venoso periferico ha documentato la presenza di schistociti pari a ≅10%, confermando il sospetto diagnostico. E’ stato pertanto avviato trattamento con plasma-exchange (PEX) e terapia steroidea (metilprednisone 1 mg/Kg/die). I livelli di ADAMTS-13 pre-trattamento erano severamente ridotti (<0.1%), con positività per autoanticorpi inibitori. Il decorso clinico è stato caratterizzato da progressivo miglioramento del quadro neurologico, riduzione delle disfunzioni d'organo e progressivo incremento della conta piastrinica. Abbiamo avviato terapia con aspirina a basse dosi ed eparina a basso peso molecolare con PLT >30.000/μL. Dopo 45 giorni di degenza ed un totale di 31 sedute di PEX, la conta piastrinica è incrementata fino a valori stabilmente compresi tra 140 e 150.000/μL, rendendo possibile la sospensione del trattamento. I livelli di ADAMTS-13 durante e dopo sospensione della PEX erano incrementati a 15% e 46%, rispettivamente. Al termine del trattamento di PEX, il paziente ha presentato una sepsi polimicrobica (S. aureus e E. faecium) CVC-correlata, sottoposta a trattamento con carbapenemico e con decorso favorevole. Dopo passaggio a terapia orale con prednisone, il paziente è stato dimesso con indicazione a riduzione graduale fino a sospensione dello steroide nell’arco di 4 settimane. Al successivo controllo dopo 8 settimane, il paziente mantiene buone condizioni cliniche generali con normali valori di emoglobina e conta piastrinica. Discussione. La porpora trombotica trombocitopenica (PTT) è sindrome da microangiopatia trombotica potenzialmente fatale, più frequentemente causata da autoanticorpi inibitori della metalloproteasi del vWF ADAMTS-13, ad insorgenza spontanea o, più raramente, farmaco-indotta (es. tienopiridine). La presentazione clinica è spesso insidiosa e rapidamente evolutiva. La classica pentade sintomatologica è presente all’esordio solo nel 5% dei pazienti ed è caratterizzata da trombocitopenia, anemia emolitica microangiopatica, insufficienza renale, sintomi neurologici e febbre, come osservato nel presente caso. La PTT indotta da ticlopidina è generalmente caratterizzata da una mediana di pregressa esposizione al farmaco di ≅3 settimane, nessuna preferenza di genere, severo deficit di ADAMTS-13, ed elevata mortalità (≅10%). Un’attenta anamnesi ed un elevato indice di sospetto sono essenziali per una diagnosi ed un trattamento precoce, che spesso pone significative problematiche per il coesistere di rischio ischemico ed emorragico.

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50 UN CASO PARTICOLARE DI GRAVE NEUTROPENIA. Chiarugi L1. Filippelli M1. Lavecchia R1. Tedici M2 Bartalucci P3. Lombardo G1. 1 U.O.C. Medicina Interna A.S.L. 11 2 U.O.C. Farmacotossicodipendenza A.S.L.11 3 U.O.C. Pronto Soccorso A.S.L.11 Accede al Dipartimento di Emergenza una donna di anni 36 perché presentava da 4 giorni faringodinia con un quadro obiettivo di tonsillite acuta ulceronecrotica, di entità tale da determinare difficoltà ad alimentarsi da due giorni. In anamnesi patologica remota recente (circa un mese) una salpingectomia destra per gravidanza extrauterina ed ancor più recente una incisione di ascesso mammario sinistro con persistenza di gemizio purulento. Negli esami eseguiti in urgenza si rileva una neutropenia grave, con GB totali 980/microl e neutrofili 2.2% (22 neutrofili/microl) e viene disposto ricovero nella nostra UOC di Medicina Interna, in stanza singola con la finalità di mettere in atto un isolamento inverso. Se si esclude il citato reperto di neutropenia la crasi ematica (GR, Hb, P) è assolutamente normale ed anche gli altri esami di routine. La paziente veniva trattata fin dall’ingresso con Filgrastim 60 MU/die e trattamento antibiotico per via endovenosa (Ceftriaxone + Levofloxacina). Ad un colloquio immediatamente successivo al ricovero emergeva l’uso frequente di cocaina (3-4 volte la settimana con sensazione di sottodimensionamento), sostanza che in una recentissima occasione aveva assunto in misura maggiore rispetto al saltuario consumo abituale. Si procedeva quindi, in prima istanza rispetto all’abituale protocollo diagnostico delle neutropenie, alla determinazione del levamisolo sierico risultato 916,7 ng/ml. Tale valore è normale in caso di assunzione di levamisolo nella abituale posologia terapeutica (2.5-5 mg/Kg), farmaco che però la signora non aveva assunto a tale scopo. Con il trattamento effettuato si otteneva un valore dei neutrofili solo in lievissimo incremento nei primi 3 giorni, ma un netto rapido aumento tra la 4a e la 6a giornata quando raggiungevano i 7000/microl. Il trattamento con Filgrastim veniva ridotto e poi sospeso alla 8a giornata e la paziente, con una completa remissione del quadro di tonsillite che aveva motivato il ricovero, veniva dimessa in 9 giornata. Negativa la ricerca degli ANCA. DISCUSSIONE Il taglio della cocaina e dell’eroina da strada con levamisolo non è di recente osservazione negli USA (dal 2004): a partire dal 2009 circa il 69% della cocaina e il 3% dell’eroina sequestrate dalla DEA risultano contenere tale sostanza. Dal 2008 si sono succedute segnalazioni ed Alerts anche in Europa dal 2008 e il problema è all’attenzione del Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Una revisione delle pubblicazioni scientifiche riporta 203 segnalazioni di complicanze cliniche correlate ad assunzione di cocaina adulterata con levamisolo: 140 di esse erano caratterizzate da neutropenia. Il levamisolo è molecola sperimentata nella malattie reumatiche perché aumenta la chemiotassi dei macrofagi e la funzione dei linfociti T, ed è altresì utilizzato come antielmintico in veterinaria. Può determinare agranulocitosi anche grave sintomatica per febbre ed infezioni con lesioni in particolare oro-faringee e ano-rettali. Gli elementi principali da considerare relativamente al caso segnalato sono: - che la concentrazione del levamisolo in situazioni di tossicità non differisce da quella riscontrata a seguito della somministrazione ad una posologia terapeutica, ma naturalmente si deve presupporre che tale concentrazione sia mantenuta per un lungo lasso di tempo, mentre nel trattamento medico il preparato è assunto per periodi brevi (effetto di sommazione) - la neutropenia è reversibile alla sospensione del levamisolo - la piastrinopenia compare, e più spesso con valori superiori a 50.000/ml più raramente, con una frequenza 30-50 volte inferiore - ancora più raramente si manifestano epatite, dermatite bollosa, vasculiti cutanee, leucoencefalopatie e porpora. Inoltre: - l’anamnesi di artrite reumatoide e la positività dell’HLAB27 sembrano favorire la complicanza - agranulocitosi - interessante è l’associazione con vasculite leucocitoclastica e ANCA positiva Relativamente al “vantaggio” del taglio della cocaina con levamisolo, si ritiene che possa essere rappresentato dal fatto che uno dei suoi metaboliti è l’aminorex, una molecola di tipo anfetaminico con proprietà stimolanti e allucinogene.

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La produzione di tale molecola è infatti confermata dal fatto che sistematicamente compare nelle urine in associazione al levamisolo quando quest’ultimo è assunto per os. Dinauer M Hematology of Infancy and Childwood 2003:p923-101 Belgian J of Hematology Vol.2, Issue 1: 2001 Annals of Internal Medicine 2009;150(4): 287-289 Ann Emerg Med. 2013 Jan 25. pii: S0196-0644(12)01709-X. doi: 10.1016/j.annemergmed.2012. 10.036. Clinical Toxicology 2012;50: 231-241

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51 UN'IPOGLICEMIA COMPLICATA de Palma A. Lamanna D. Quattrucci L. Palma E. Cati G. Mazzi A. Alessandri M. UO Medicina Interna PO Massa Marittima I.B. di anni 84, giungeva alla nostra osservazione per il persistere di uno stato soporoso, conseguente ad ipoglicemia, nonostante terapia con glucosio somministrato per via endovenosa dal personale del 118 prima e poi dal collega di PS. Anamnesi: diabetica da molti anni, sempre in cattivo compenso (ultima HbA1c 8.9%), allettata per pregresso ictus cerebri nel 2007, insorgenza negli ultimi 5 anni di deficit cognitivo moderato ed ulcera neuropatica 2° e 3° dito piede sinistro. Assumeva glibenclamide/metformina 1 cp ai tre pasti, acido acetil salicilico 100 mg 1 cp, furosemide 25 mg 2 cp. Decorso: la paziente si presentava in pessime condizioni fisiche con piaghe da decubito a livello sacrale e stato soporoso non rispondente agli stimoli dolorosi; la figlia ci riferiva che la madre negli ultimi quindici giorni aveva cessato progressivamente di idratarsi e nutrirsi, pur continuando l'assunzione dei farmaci. Agli esami ematici creatinina 1.6 mg/dl (con clearance calcolata di 20 ml/min), glicemia 28 mg/dl, sodio 128 mEq/l; l'HbA1c era 8.6%. Veniva eseguita in PS anche una TC cranio basale risultata negativa per fatti acuti; l'EGA basale documentava un quadro di acidosi metabolica. La paziente veniva reidratata nelle prime 24 ore mediante soluzione fisiologica oltre a glucosio in soluzione al 33% seguito da glucosio al 10% in infusione continua, cercando di mantenere i valori di glicemia intorno a 110 mg/dl. Alle dimissioni la paziente si presentava vigile, rispondeva ai comandi, permanendo il deficit cognitivo, con un equilibrio acido/base e ionemia corretti, una clearance della creatinina di 35 ml/min e glicemie stabili intorno a 180 mg/dl avendo ripreso ad alimentarsi. Veniva sospeso il diuretico e sostituito glibenclamide/metformina con acarbose 50 mg 1 cp a pranzo e cena. Il caso è esemplificativo del labile equilibrio e della difficoltà nel trattare pazienti "anziani fragili": è importante la massima "personalizzazione" della terapia, dai target metabolici (con obiettivi glicemici più ragionevoli) alla scelta dei farmaci; nel paziente anziano la soglia glicemica che rende l'ipoglicemia sintomatica è alterata dalla politerapia e da condizioni come il deficit cognitivo, richiedendo pertanto un'attenta selezione e conoscenza dei farmaci da poter usare, un periodico controllo dello stato nutrizionale e funzionalità renale, ed un adeguata educazione dell'entourage familiare

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52 UNA CAUSA INUSUALE DI COMA : INFARTO TALAMICO BILATERALE Baruffi M.C. Nenci G. Amati R. Rosso A. Fortini A. SOC Medicina Interna, Ospedale S. Giovanni di Dio, Azienda Sanitaria Firenze L'arteria di Percheron è una variante anatomica non comune in cui il singolo tronco comune origina dall'arteria cerebrale posteriore ed irrora bilateralmente la regione paramediana del talamo ed il mesencefalo superiore. L'infarto talamico bilaterale rappresenta lo 0,6% dei casi di stroke ischemico. La molteplicita' di segni e sintomi con cui si manifesta l'occlusione dell'arteria di Percheron puo' indurre il medico a considerare erroneamente cause diverse da quella vascolare . Un uomo di 75 anni , iperteso e diabetico, è giunto in coma alla nostra osservazione ( CGS 7 ).La TC diretta del cranio non evidenziava alcuna alterazione densitometrica . Venivano escluse cause metaboliche della alterazione dello stato di coscienza. Il controllo TC a 24 ore evidenziava la comparsa di aree di ipodensita' a livello di entrambi i talami. L'effettuazione della angio RMN encefalo poneva diagnosi di occlusione dell'arteria di Percheron. L'E.O. evidenziava alternanza di sopore e lucidita' , paralisi dello sguardo verticale e disturbi della memoria a breve termine . L'infarto talamico bilaterale è una causa rara di alterazione dello stato di coscienza ed in fase acuta puo' creare problemi di diagnosi differenziale. La RMN è l'indagine strumentale che meglio definisce le aree danneggiate . L'evidenziazione angiografica dell'occlusione arteriosa non è indispensabile alla definizione diagnostica .

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53 UNA DIFFICILE DIAGNOSI DI … IPERTENSIONE ARTERIOSA. Fabiani P. Anelli S. Bassi P. Caniggia D. De Napoli V. Iurato A. Montorzi G. Querci F. Villani G. Ospedale di Portoferraio (LI) Una giovane donna di 26 anni in trattamento con estroprogestinici per sindrome dell’ovaio policistico, lieve irsutismo e ridotta tolleranza al glucosio, si riferisce al proprio medico curante nel Gennaio 2014, per disturbi del visus, in particolare scotomi bilaterali maggiori a dx. Visitata da uno specialista oculista privato viene posta diagnosi di retinite bilaterale di sospetta origine infettiva, per il concomitare di recente faringite e positività IgG per citomegalovirus. Per tale motivo viene inviata presso una clinica oculistica universitaria dove, persistendo il dubbio di retinite infettiva, viene richiesta consulenza infettivologica il 18 Aprile 2014. Vengono consigliati numerosi accertamenti fra cui: VDRL, TPHA, test HIV, viremia quantitativa per CMV, emocolture per batteri e miceti, ASO, C3, C4, Dosaggio IgG, IgA, IgM, sierologia per Toxocara e Bartonella (inviati presso altra università), tampone faringeo e nasale per per batteri e miceti, Quantiferon. Viene misurata anche la pressione arteriosa rilevando 140/90 mmHg. Viene richiesta una visita cardiologica e riprogrammato un controllo infettivologico per il 28 Aprile 2014, avvertendo la paziente di ripresentarsi in caso di qualsiasi positività degli esami richiesti. Il giorno 24 aprile 2014 viene eseguito un ecocardiogramma che dimostra ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro (SIV 14,2 PP 12 DTD VS 4,8). Il giorno 28 aprile al controllo infettivologico prefissato, viene rilevata PA 180/115, con ulteriore sollecito da parte dell’infettivologo della definizione delle condizioni cardiocircolatorie. La paziente si riferisce al nostro centro, dove viene confermata l’ipetrofia concentrica del ventricolo sinistro all’ecocardiogramma, l’ipertrofia sovraccarico ventricolare sinistro all’ECG, lo stato ipertensivo grave ed il sospetto che la retinopatia possa essere inquadrabile come ipertensiva, piuttosto che infettiva. Viene sospeso l’estroprogestinico ed impostata terapia con amlodipina 10 mg, in attesa di effettuare gli esami endocrinologici ed ecografia delle arterie renali. Al terzo controllo infettivologico (30 giugno 2014), viene esclusa la presenza attuale o recente di episodio infettivo correlabile alla retinopatia. Lo studio ecografico delle arterie renali esclude la presenza di stenosi. Gli esami endocrinologici evidenziano un normale profilo adrenerergico, potassiemia ai limiti inferiori della norma, valori lievemente aumentati di aldosterone plasmatico, con dosaggio della renina entro i limiti della norma. Normale la funzione renale. Nessun’altra causa documentabile di ipertensione. A distanza di 5 mesi, la sospensione dell’estro-progestinico unita al trattamento con amlodipina ha consentito insieme alla normalizzazione dei valori pressori la regressione del danno d’organo cardiaco con riduzione degli spessori parietali fino a 1,09 cm del SIV e 1 cm della PP, con regressione dei segni di sovraccarico ventricolare all’ECG, oltre alla regressione delle alterazioni retiniche erroneamente inquadrate all’esordio della sintomatologia.

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54 UNA MIOSITE TUTTA DA INDAGARE. Cappelli F. Manetti S. Pascarella L. Rosi C. Stanganini S. Lombardini F. Santoro E. UOC Medicina Ospedale Casentino . Bibbiena Caso clinico: donna di 27 anni che lamenta da circa tre mesi edema delle mani e dei piedi, associato ad astenia profonda e mialgie, dapprima alla porzione prossimale degli arti, poi diffuse, con conseguente impossibilità nei movimenti e nelle attività quotidiane. E’ presente inoltre lieve e saltuaria disfagia soprattutto per i liquidi. Non riferito fenomeno di Raynaud, non xerostomia/xeroftalmia, non fotosensibilità o manifestazioni cutanee, non ulcere orali. Non cefalea, non disturbi mnesici. Gli esami ematochimici mostrano incremento consistente degli indici di citolisi muscolare, aumento di VES e transaminasi, ipergammaglobulinemia, fattori reumatoidi aumentati, ipocomplementemia. Non alterazioni significative della crasi ematica o della funzionalità renale. Rilievo di ANA positività a titolo significativo (1:640), anti-DNA nativo (38), positività di antiPM-scl (+++), antiPM-scl 75 (+) ed antiPM-scl100 (++). La capillaroscopia periungueale mostra pattern compatibile con connettivopatia in fase early. La RM della coscia destra mostra reperti nel complesso aspecifici e l’EMG/ENG segni di sofferenza muscolare di tipo miositico e miopatico, con interessamento dei 4 arti. Lo studio dinamico del transito faringo-crico-esofago-cardiale documenta interessamento del terzo inferiore dell’esofago. Gli accertamenti ad oggi eseguiti escludono una forma di polimiosite paraneoplastica. Viene posta diagnosi di “sindrome overlap sclerodermia/polimiosite in fase acuta, con interessamento esofageo.” La paziente viene trattata con infusione di immunoglobuline a dosaggio immunomodulante, boli di corticosteroidi, infusione di Rituximab e Metotrexate i.m. Si assiste ad un miglioramento progressivo del quadro clinico e degli esami ematochimici (in particolare riduzione degli enzimi muscolari), mantenendo bassi dosaggi di steroidi di mantenimento.

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55 UNA SPADA DI DAMOCLE DEI NOSTRI GIORNI: LA REINTRODUZIONE DELLA TERAPIA ANTICOAGULANTE NEI PAZIENTI CON EMORRAGIA CEREBRALE SPONTANEA Chiti I. Bassu R. Raimondi L. Squillante R. Lucchesi I. Pugliese N. Panigada G. ASL3, Ospedale di Pescia Le emorragie cerebrali spontanee (ICH) sono patologie gravate da un’importante mortalità, sia a breve che a lungo termine e da elevato rischio di recidiva. Nei pazienti che sviluppano un’ICH in corso di terapia anticoagulante orale deve essere attentamente soppesata l’opportunità di riprendere la terapia (in base al profilo di rischio trombo-embolico) e il timing adeguato, eventualmente valutando l’introduzione dei nuovi anticoagulanti orali (NAO). Presentiamo il caso di una paziente in terapia con warfarin per fibrillazione atriale permanente ricoverata nella nostra unità operativa per ICH a cui è stata prescritto Dabigatran 110 mg x2/die a 10 settimane dall’evento emorragico. Una donna di 75 anni, affetta da diabete mellito in terapia con ipoglicemizzanti orali e fibrillazione atriale in terapia con warfarin, giungeva al nostro Pronto Soccorso per comparsa al risveglio di ipostenia dell’emisoma sinistro. All’ingresso nel nostro reparto presentava emiparesi facio-brachio-crurale sinistra, lieve dismetria alla prova indice naso (NIHSS 7) e INR 3,77. La Tac cranio documentava una lesione emorragica nucleo-capsulare destra del diametro trasverso massimo di 31mm. Veniva eseguito trattamento con concentrati protrombinici e vitamina K per revertire l’azione del warfarin con successiva stabilità clinica e radiologica. La mortalità a 30 giorni (calcolata con ICH score) risultava pari a 0. Il rischio trombotico della paziente (stimato con score CHAD2DS2VASC pari a 5 punti) risultava di 6.7% eventi/anno, a fronte di un rischio di sanguinamento pari a 4 punti HAS-BLED. La Tac cranio di controllo a 30 giorni dimostrava il riassorbimento del focolaio emorragico. A distanza di 10 settimane dall’evento è stata introdotta terapia con dabigatran 110 mg bid che è stata ad oggi ben tollerata. La reintroduzione della terapia anticoagulante nel follow up del paziente con ICH deve essere attentamente considerata dopo aver attuato in urgenza i trattamenti del caso e aver valutato il rischio di mortalità (calcolato con ICH score). Questa scelta non può prescindere dalla sede dell’emorragia (profonda e lobare) e dal bilancio globale del rischio tromboembolico ed emorragico del paziente. Nei pazienti con alto rischio trombotico ed emorragico è ragionevole passare a NAO, dal momento che si sono mostrati non inferiori al warfarin per efficacia e superiori per sicurezza per quanto riguarda i sanguinamenti intracranici.

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56 UNA STRANA DISFAGIA. Bazzini C. Romagnoli A.M. Scarpignato E. Rossi F. Panichi O. Camarda M. Verdiani V. U.O. Medicina Interna, Ospedale Della Misericordia Grosseto Riportiamo il caso di una donna di 76 anni ricoveratosi presso la nostra U.O. per disfagia associata a dispnea. Anamnesi: ipertensione arteriosa. Insufficienza cardiaca in classe NHYA II in cardiopatia ipertensiva e valvolare (insufficienza valvolare mitro-aortica calcifica di grado moderato) con funzione sistolica ventricolare sinistra ridotta (FE 45%). Pregresso intervento di artroprotesi di ginocchio per gonartrosi. Insufficienza venosa cronica con pregressi episodi di tromboflebiti superficiali, non trombosi venose profonde. Cifoscoliosi ed asma bronchiale in terapia con broncodiltatori inalatori e corticosteroidi per os con riscontro di deficit ostruttivo e restrittivo alle prove di funzionalita’ respiratoria; nell’ anno precedente ricovero per riacutizzazione di insufficienza respiratoria cronica con riscontro di infezione delle alte vie respiratorie da Klebsiella oxytoca. Da alcuni mesi comparsa di disfagia per solidi e liquidi con riscontro di candidosi del cavo orale trattata con fluconazolo; negli ultimi giorni peggioramento della sintomatologia e comparsa di dispnea ingravescente in assenza di febbre. Decorso: all’ ingresso la paziente si presentava vigile, orientata, dispnoica a riposo, apiretica, voce nasale. Candidosi del cavo orale. Al cuore toni parafonici, ritmici, soffio olosistolico puntale dolce irradiato all’ ascella. All’ E.O. torace grave cifoscoliosi, ottusita’ plessica bibasale, MV diffusamente ridotto su tutto l’ ambito, crepitii bibasali, alcuni ronchi sparsi. Edemi declivi perimalleolari bilaterali. All’ E.O.N. disfagia per liquidi, ipostenia dei muscoli orbicolari degli occhi bilateralmente, non deficit oculomotori, non diplopia, non deficit di forza o sensibilita’ ai 4 arti, ROT ipoevocabili. All’ EGA insufficienza respiratoria globale. Agli esami ematici leucocitosi neutrofila. All’ Rx torace segni di stasi polmonare e lieve versamento pleurico bilaterale. E’ stata effettuata terapia con diuretici e corticosteroidi ev, broncodilatatori e corticosteroidi inalatori con progressivo miglioramento respiratorio con necessita’ di ossigenoterapia a bassi flussi solo nei primi giorni di degenza. L’ esame colturale dell’ espettorato e’ risultato positivo per Pseudomonas putida trattata secondo antibiogramma con ciprofloxacina. Alla valutazione otorinolaringoiatrica riscontro di scialorrea, edema aritenoideo con ristagno nel seno piriforme e segni di candidosi. E’ stata proseguita terapia antifungina con lieve miglioramento della disfagia. Alla radiografia dell’ esofago con pasto baritato buon transito del mdc , non alterazioni intrinseche parietali. Alla Tc cranio collo e torace con mdc non lesioni acute intracraniche, formazione (36x25x35mm) nel mediastino anterosuperiore compatibile con neoplasia timica di tipo cistico senza segni di compressione ab-estrinseco sull’ esofago, non linfoadenopatie. Per i reperti neurologici e la lesioni timica e’ stata eseguita EMG con riscontro di decremento del potenziale per stimolazioni ripetitive del n. ulnare bilateralmente e sono stati dosati gli anticorpi anti-recettore dell’ acetilcolina (anti-AChR) risultati positivi (40nmol/L). E’ stata quindi intrapresa inizialmente con prednisone (25mg/die) poi con piridostigmina (60mg/die) con miglioramento clinico. Discussione: la miastenia gravis e’ il piu’ comune disordine della trasmissione neuromuscolare; e’ una malattia autoimmune legata alla presenza di autoanticorpi contro il recettore (anti-AChR, i piu’ comuni) o contro le proteine associate al recettore dell’ acetilcolina (tirosinchinasi muscolo specifiche, anti-MuSK) a livello della membrana post-sinaptica della giunzione neuromuscolare. Le manifestazioni cliniche possono presentare diversa gravita’ ed associazione tra di loro, le principali sono debolezza oculare, bulbare, degli arti e dei muscoli respiratori (fino alla necessita’ di ventilazione meccanica). La diagnosi viene effettuata sulla base della clinica, degli esami sierologici e mediante studio elettromiografico; la sensibilita’ di questi esami naturalmente varia a seconda che il paziente presenti il solo coinvolgimento oculare o presenti un quadro di malattia generalizzata. La miastenia e’ associata ad una serie di patologie: neoplasie del timo, intimamente coinvolto nella patogenesi della malattia, nel 75% dei casi di miastenia infatti e’ stata evidenziata una anomalia timica (85% dei casi iperplasia e 15% dei casi timoma generalmente corticale non invasivo, piu’ raramente carcinoma) e per questo e’ importante effettuare un esame radiologico (TC o RM del torace) per lo studio del mediastino; neoplasie extra-timiche (microcitoma polmonare e linfoma di Hodgkin); altre malattie autoimmuni (patologie tiroidee, artrite reumatoide, LES). Nel nostro caso il quadro clinico era molto sfumato, probabilmente anche per la terapia steroidea cronica in corso, inoltre l’eta’ e le comorbilita’ della paziente potevano inizialmente allontanare dal sospetto di un quadro di miastenia.

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57 UNO STRANO DOLORE DA ANALGESICO. Di Stasi V. Ferracane S. Casati C. Fabbri M. Cosentino E. Mannini D. Morettini A. Corradi F. Medicina Interna OACA 1 AOU Careggi Firenze Donna, 52 anni,pregressa colecistectomia in anamnesi, comparsa di dolore addominale localizzato in epigastrio, irradiato posteriormente, associato a vomito. La sintomatologia è insorta poco dopo l'assunzione di paracetamolo/codeina. Assunzione sporadica di solo paracetamolo, ben tollerato. All’ obiettività addominale dolorabilità diffusa alla palpazione superficiale e profonda, principalmente ai quadranti superiori; non segni di ileo. Esami ematici in urgenza nella norma, tranne: Amilasi 374U/L (v.n.<115), Lipasi 4144U/L (v.n.<393), AST 685U/L (v.n.<37), ALT 356U/L (v.n.<65), Gamma GT 175U/L (v.n <85), Bilirubina Totale 2.2 mg/dl(v.n.<1). L’ecografia addominale non mostrava reperti patologici. Si disponeva, pertanto, per ricovero ospedaliero, trattando la paziente con digiuno, idratazione, protezione gastrica e terapia analgesica. Dopo circa 12 ore risoluzione della sintomatologia algica e netto miglioramento del quadro clinico-laboratoristico. Per l’evolutività del quadro clinico e l’assenza di alterazioni organiche si poneva diagnosi di pancreatite indotta da codeina. In letteratura son descritti pochi casi di pancreatite indotta da codeina; tale evenienza sembra più frequente nei pazienti colecistectomizzati. La fisiopatologia è riconducibile ad una iperattività dello sfintere di Oddi indotto dalla codeina, combinata alla disfunzione dello stesso correlata alla precedente colecistectomia. Pertanto, in tali pazienti, si raccomanda di utilizzare con cautela farmaci a base di codeina, preferendo la sola somministrazione di paracetamolo per l’analgesia.

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58 “THE REVOLVING DOOR SYNDROME” IN INTERNAL MEDICINE: A STUDY ON 11.846 SUBJECTS DISCHARGED FROM ALL INTERNAL MEDICINE DEPARTMENTS OF TUSCANY WITH DIAGNOSIS OF HEART FAILURE AND PNEUMONIA. Tellini M. Petrioli A. Forni S. Fruttuoso S. Bernardini M. Morettini A. Medicina Interna OACA 1 AOU Careggi Firenze Rehospitalization is the return of a patient to a surgical or medical department within 30 days from discharge. Although it is well studied in USA, we have limited information on the frequency and patterns of rehospitalizations in Italy. Our purpose is to describe this phenomenon in Tuscany (Italy) especially among patients discharged from Internal Medicine wards. We collected data from the ARS database (Agenzia Regionale di Sanità Toscana) and we conducted a retrospective analysis of DRGs of patients discharged with diagnosis of heart failure and pneumonia (11.846 subjects) to find out 30-day readmission rates. We evaluated relationship between rehospitalization and demographic or clinical characteristics. 18,3% and 15,2% of subjects respectively discharged with diagnosis of heart failure and pneumonia were readmitted for any cause within 30 days. The first cause of readmission was the same of discharge in most of cases. Patients were more often rehospitalized in the same hospital of previous admission. Risk factors significantly related to readmissions were longer length of stay, increasing number of different medications taken in and greater number of previous hospitalizations. Age did not represent a significant factor in determining rehospitalizations. Our study showed impact of rehospitalizations in the Italian background. From the analysis of risk factors we found that frailty and complexity of patients (identified by long hospitalization stays, high number of drugs and previous admissions) are the most important factors for unplanned readmissions.

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XIII Congresso RegionaleFADOI Toscana

FirenzeHilton Florence Metropole

24-25 Ottobre 2014

IX Congresso RegionaleANÍMO Toscana

FirenzeHilton Florence Metropole24 Ottobre 2014

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