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FEBBRAIO 2019 www.obegyn.com PERIODICO ONLINE DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO A cura degli Specializzandi della Scuola di Ginecologia e Ostetricia Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS Roma Ethel Cochrane allo specchio Andreas M. Andersen (1900) intervista Al Dottor Francesco Cosentino «Sappiamo come studiare l’endometriosi e come operarla, ma poco o nulla sappiamo sul perché nasca, perché sia così aggressiva o perché si trasformi talvolta in tumore» u 4

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FEBBRAIO 2019 www.obegyn.comPERIODICO ONLINE

DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO A cura degli Specializzandi della Scuola di Ginecologia e OstetriciaFondazione Policlinico UniversitarioA. Gemelli IRCCSRoma

Ethel Cochrane

allo specchio

Andreas

M. Andersen

(1900)

intervista

Al Dottor Francesco Cosentino

«Sappiamo come studiare l’endometriosi e come operarla,ma poco o nulla sappiamo sul perché nasca, perché sia

così aggressiva o perché si trasformi talvolta in tumore»u 4

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SOMMARIO

intervista

Al Dottor Francesco Cosentino

«Sappiamo come studiare l’endometriosi e come operarla, ma poco o nulla sappiamo sul perché nasca, perché sia così aggressiva o perché si trasformi talvolta in tumore» ....................4

aggiornamento scientifico

Ultime novità in Ginecologia Oncologica

The International Mission study: minimally invasive surgery in ovarian neoplasms after neoadjuvant chemotherapy..................8

COMMENTO Professor Gennaro Cormio ..........................12

Risk of complications in patients with conservatively managed ovarian tumours (IOTA 5): a 2-year interim analysis of a multicentre, prospective, cohort study ...................13

COMMENTO Dottoressa Alessia Di Legge .........................16

Ultime novità in Patologia Ostetrica

Fundal pressure in second stage of labor (Kristeller maneuver) is associated with higher risk of levator ani muscle avulsion ..............18

COMMENTO Professor Giovanni Zanconato | Dottoressa Elena Cavaliere ...22

Ultime novità in Senologia

Precision Medicine and Testing for Tumor Biomarkers - Are All Tests Born Equal? ......................................24

COMMENTO Dottoressa Luisa Carbognin .........................27

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sOMMariO

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Ultime novità in Uroginecologia

Long-Term Outcomes After Ventral Rectopexy With Sacrocolpo- or Hysteropexy for the Treatment of Concurrent Rectal and Pelvic Organ Prolapse......................30

COMMENTO Dottor Giuseppe Campagna .........................35

Ultime novità in Ginecologia Disfunzionale

Linee guida internazionali sulla diagnosi e trattamento della sindrome dell’ovaio policistico 2018 ..........................37

COMMENTO Dottoressa Daniela Romualdi ........................42

aggiornamento giuridico

Gli obblighi del medico a seguito di richieste tramite WhatsApp da parte del paziente ...........................43

eventi

Le attività didattiche

Save the date marzo>luglio 2019 ...............................47

BacHeca ..................................................49

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O ggi intervistiamo il Dott. Francesco Co-sentino, specialista in Ginecologia e

Ostetricia, attualmente in servizio come Diret-tore dell’UOC di Ginecologia Oncologiapresso la Fondazione Giovanni Paolo II aCampobasso.

Dott. Cosentino, partiamo dall’inizio. Nelsuo percorso di formazione quali sono sta-te le figure più importanti per la sua cresci-ta professionale e cosa, di quello che Lehanno trasmesso, consiglierebbe ai piùgiovani in formazione?Credo di essere stata una persona fortunataperché nel mio percorso formativo ho intera-gito con validissimi professionisti dai quali hopotuto apprendere moltissimo. La mia for-mazione chirurgica è cominciata durante laspecializzazione in Ginecologia e Ostetriciacon il professore Fulvio Zullo, in seguito hotrascorso quasi nove anni lavorando al fiancodi due chirurghi di chiara fama quali i profes-sori Carmine e Mario Malzoni. Infine, dal2014 faccio parte di un gruppo tra i più im-portanti della ginecologia nazionale e inter-nazionale, che è quello del Policlinico Gemel-li IRCCS di Roma diretto dal Professore Gio-vanni Scambia. Un ringraziamento partico-lare lo devo proprio al Prof. Scambia per co-

me sono stato accolto e da subito integratonel suo gruppo. In merito alla seconda do-manda, dare consigli non è mai facile, e tuttodeve essere contestualizzato al momento edall’ambiente dove ci si sta formando. Quelloche mi sentirei di suggerire è che i giovanimedici in formazione trascorrano un periodoall’estero, bisogna conoscere altre realtà econfrontarle con spirito critico alla propria; èun percorso fondamentale di crescita, oltreche di arricchimento curriculare.

Il Dottor

Francesco

Cosentino

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Intervista al Dottor Francesco Cosentino, Direttore dell’UOC di Ginecologia Oncologia presso la Fondazione Giovanni Paolo II, Campobasso

«Sappiamo come studiarel’endometriosi e come operarla, ma poco o nulla sappiamo sul perchénasca, perché sia così aggressiva operché si trasformi talvolta in tumore»

A cura della Dottor Matteo Bruno

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Dopo anni di chirurgia a Roma, al Policlini-co Gemelli, attualmente Lei è Direttore diun’UOC presso la Fondazione GiovanniPaolo II a Campobasso. Come riesce a co-niugare una chirurgia di eccellenza che Leioffre, con una realtà più periferica?Il centro che ho l’onore di dirigere, è nato or-mai quasi vent’anni fa, come centro Oncolo-gico di Riferimento, e nel tempo si è consoli-dato come tale, grazie al lavoro dei suoi fonda-tori, in primis il Prof. Giovanni Scambia. Seb-bene la Fondazione Giovanni Paolo II sia unarealtà periferica dal punto di vista geografico,l’imprinting, il know-how e la metodologia dilavoro, sono quelli di un grande centro onco-logico, con il quale si condividono le linee gui-da e gli studi scientifici e nel quale confluisco-no pazienti provenienti da tutto il centro-sud.Questo filo diretto con la casa madre, cioè ilPoliclinico Gemelli IRCCS di Roma, rappre-senta tanto per noi addetti ai lavori quanto perle tante pazienti che trattiamo, una garanziadi qualità ed appropriatezza di cure e ancoraun ottimo esempio di come si possa fare siste-ma ed integrazione attraverso una quotidianacondivisione di informazioni. Questo per meè il significato di rete oncologica integrata.

Uno dei suoi campi di maggiore interesseè da sempre l’endometriosi profonda dallaclinica, alla chirurgia passando per la ricer-ca. In questo campo l’innovazione tecno-logica e gli studi hanno modificato moltol’approccio a questa patologia. Quali sonole nuove sfide e le innovazioni che ciaspettano?L’endometriosi è una patologia molto com-plessa e variegata, negli ultimi anni abbiamofatto molti progressi ma tante ombre ancora

restano. Per esempio oggi eccelliamo nella dia-gnosi con percorsi e tecniche di imaging moltoben definiti e sappiamo come trattare la ma-lattia dal punto di vista medico e chirurgicomodulando il trattamento per ogni singola pa-ziente. Disponiamo inoltre di una tecnologiaall’avanguardia (laparoscopia 4K, 3 D, stru-menti di taglio e coagulo avanzatissimi) che fa-cilita molto il chirurgo, ma ciò non basta, c’èbisogno di una costante di innovazione incampo tecnico e di ricerca anche su base mo-lecolare della malattia. A proposito di nuovetecnologie impiegate per l’endometriosi, il no-stro gruppo ha messo a punto una tecnica in-

novativa che, con l’utilizzo del verde di indo-cianina (protocollo GRE-Endo) iniettato pervia sistemica alla paziente, e di una speciale te-lecamera a raggi infrarossi, consente di vederenel dettaglio tutti i focolai di endometriosi pro-fonda nella pelvi e nell’addome, distinguendolidal tessuto sano e dalla semplice fibrosi. Ciò ciconsente di essere radicali sulla malattia, an-dando a visualizzare anche la cosidetta endo-metriosi occulta che potrebbe sfuggire all’oc-chio del chirurgo meno esperto, ma al con-tempo di risparmiare tessuti sani e sede distrutture nobili come per esempio le fibre ner-vose pelviche. I dati preliminari di questo stu-dio che abbiamo pubblicato recentemente so-

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Intervista al Dottor Francesco Cosentino

«Sappiamo come studiare l’endometriosi ecome operarla, ma poco o nulla sappiamosul perché nasca, perché sia così aggressivao perché si trasformi talvolta in tumore»

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Quello che mi sentirei di suggerire

è che i giovani medici in

formazione trascorrano un periodo

all’estero, bisogna conoscere altre

realtà e confrontarle con spirito

critico alla propria; è un percorso

fondamentale di crescita, oltre che

di arricchimento curriculare.

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no molto promettenti e stiamo ora ampliandola casistica per dare più potenza statistica allostudio. Tuttavia, occorre sottolineare, che sia-mo ancora molto lontani dalla comprensionedefinitiva degli aspetti biologici e molecolarialla base della malattia e questo ci limita mol-to. La vera sfida nei prossimi anni infatti saràdunque quella di capire a fondo quali sono imeccanismi di insorgenza dell’endometriosi,quali i fattori determinanti nell’attecchimentoe diffusione della malattia nella cavità perito-neale ed oltre e i possibili pattern di mutazionemolecolare che trasformano tale patologia be-nigna in oncologica. Solo così potremmo diredi aver fatto progressi significativi e finalmenteriuscire a curare la malattia all’origine, non so-lo limitandoci al sintomo che da essa deriva,ma anche imbastire programmi di prevenzio-ne che oggi sono inesistenti.

Sempre rimanendo su questa complessapatologia: sono spesso le donne giovani asoffrirne. Dal punto di vista chirurgico l’ap-proccio conservativo, in questi contesti,riesce veramente ad essere risolutivo per lasintomatologia rispetto ad uno radicale? I dati in letteratura che disponiamo in questoambito sono abbastanza chiari ed univoci.L’intervento chirurgico deve essere radicalenell’asportare i noduli di endometriosi profon-da disseminati in addome e al contempo esse-re quanto più conservativi sull’apparato ripro-duttivo. Questo comporta oltre che un bene-ficio assoluto sul sintomo dolore, anche un mi-glioramento sull’outcome di fertilità. Infatti,entrambi i sintomi dell’endometriosi, cioè do-lore pelvico e sterilità/infertilità, spesso convi-vono nella stessa paziente. Parliamo di inter-venti chirurgici molto delicati e complessi che

prevedono spesso resezioni intestinali, a voltevescicali, asportazione di noduli del parame-trio con rischio di denervazione e che comun-que possono essere accompagnati da compli-canze perioperatorie e post operatorie a lungotermine molto insidiose. È fondamentale uncounselling approfondito con la paziente perconcertare insieme a lei, sulla base dei suoi sin-tomi e dei dati di imaging preoperatori, un in-tervento su misura nel solco del concetto della“tailored surgery”. In sintesi, sappiamo come stu-diare la malattia, sappiamo come operarla,ma poco o nulla sappiamo sul perché nasca esul perché sia così aggressiva o perché si tra-sformi talvolta in tumore: è una situazione atratti paradossale.

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Intervista al Dottor Francesco Cosentino

«Sappiamo come studiare l’endometriosi ecome operarla, ma poco o nulla sappiamosul perché nasca, perché sia così aggressivao perché si trasformi talvolta in tumore» ‘‘

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A proposito di nuove tecnologie impiegate

per l’endometriosi, il nostro gruppo ha

messo a punto una tecnica innovativa che,

con l’utilizzo del verde di indocianina

(protocollo GRE-Endo) iniettato per via

sistemica alla paziente, e di una speciale

telecamera a raggi infrarossi, consente di

vedere nel dettaglio tutti i focolai di

endometriosi profonda nella pelvi e

nell’addome, distinguendoli dal tessuto

sano e dalla semplice fibrosi. Ciò ci

consente di essere radicali sulla malattia,

andando a visualizzare anche la cosidetta

endometriosi occulta che potrebbe sfuggire

all’occhio del chirurgo meno esperto, ma

al contempo di risparmiare tessuti sani e

sede di strutture nobili come per esempio

le fibre nervose pelviche.

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La chirurgia mininvasiva è ormai una sfidacontinua. In tal senso Lei si è impegnatonell’estendere l’uso della chirurgia minin-vasiva alla ginecologia oncologica. Qual èla sua esperienza e quali sono gli aggiorna-menti in tal senso?La chirurgia mininvasiva è ormai integrata neipercorsi diagnostici e terapeutici della gineco-logia oncologica: dal linfonodo sentinella pervia endoscopica, al carcinoma dell’endome-trio specie in paziente obesa, alla definizionedi operabilità del carcinoma dell’ovaio, oggisarebbe veramente difficile e controproducen-te rinunciare a un approccio mininvasivo inquesti ambiti. Tuttavia però, recentemente, la comunitàscientifica internazionale è stata scossa da unlavoro multicentrico americano circa l’inade-guatezza della laparoscopia nel trattamentodei carcinomi della cervice uterina, con daticosi a sfavore della chirurgia mininvasiva ver-sus la tecnica laparotomica, da imporre unmomento di riflessione e un’inversione di rot-ta; attualmente infatti, per tumori maggioricon specifiche caratteristiche la chirurgia tor-na ad essere laparotomica e non più laparo-scopica o robotica. Le opinioni in merito sono sostanzialmente di-vise in due blocchi, pro o contro la laparosco-pia, è chiaro quindi che bisogna produrre an-cora dei dati e disegnare nuovi studi che defi-niscano in maniera netta ed incontrovertibileil ruolo della MIS anche in ambiti che oggisembrerebbero inappropriati. In linea di massima però, anche dopo la riso-luzione di questa vicenda, in un senso o nel-l’altro, la chirurgia mininvasiva continueràad avere un ruolo importante nella ginecolo-gia oncologica.

Un’ultima domanda rimanendo nel filonedella ginecologia oncologica. Si va semprepiù verso un’individualizzazione della tera-pia e ad una medicina “personalizzata”.Questo è possibile nel contesto dei tumoriginecologici? Assolutamente si. Prendiamo ad esempio ilcarcinoma dell’ovaio, nelle sue tantissime va-riabili istologiche e genetiche. Questa variabi-lità determina maggiore o minore aggressivitàe maggiore o minore risposta alle terapie me-diche. Anche in campo oncologico medico siva verso il concetto di “tailored medicine”: la sfidaodierna è di creare infatti farmaci che agisca-no in maniera più appropriata e mirata neiconfronti di determinati sottogruppi di pa-zienti con specifiche caratteristiche (mutazionigenetiche ad esempio). La terapia risulta quin-di “personalizzata “ e sicuramente più efficacee possibilmente meno tossica. Mi viene inmente a riguardo l’utilizzo dei nuovi farmaciParp-inibitori che hanno aumentato di granlunga l’intervallo libero da malattia delle pa-zienti affetta da carcinoma ovarico con parti-colari mutazioni geniche. Attualmente vi sonoancora svariate molecole che vengono studiatecon numerosi trials clinici a cui il PoliclinicoGemelli e la Fondazione Giovanni Paolo IIpartecipano e che porteranno sicuramente anuove possibili terapie. l

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Intervista al Dottor Francesco Cosentino

«Sappiamo come studiare l’endometriosi ecome operarla, ma poco o nulla sappiamosul perché nasca, perché sia così aggressivao perché si trasformi talvolta in tumore» ‘‘

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In campo oncologico medico

si va verso il concetto di “tailored

medicine”: la sfida odierna è di

creare infatti farmaci che agiscano

in maniera più appropriata

e mirata nei confronti di

determinati sottogruppi di pazienti

con specifiche caratteristiche

(mutazioni genetiche ad esempio).

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OBIETTIVO

Questo studio internazionale retrospettivomulticentrico si prefigge l’obiettivo di analiz-zare il ruolo dell’approccio mini-invasivo nellachirurgia d’intervallo del tumore ovarico, ana-lizzandone la fattibilità ed i principali outco-mes chirurgici ed oncologici.

MATERIALI E METODI

Nel dicembre 2016 sono stati invitati a parte-cipare a questo studio internazionale 20 Cen-tri Oncologici, a condizione che si occupasse-ro di chirurgia onco-ginecologica e che aves-sero esperienza nella chirurgia mini-invasiva enel trattamento chirurgico del tumore ovaricoavanzato.Alla fine, 5 sono stati i centri coinvolti nellostudio. Sono state quindi raccolte le informazioni ri-guardanti le pazienti con tumore ovaricoavanzato che, dopo aver ricevuto un tratta-mento chemioterapico neoadiuvante, eranostate sottoposte ad una chirurgia d’intervallodi tipo mini-invasivo (laparoscopica o roboti-ca) entro un tempo massimo di 45 giorni dallafine del trattamento antiblastico. Le pazienti incluse nello studio avevano un tu-more ovarico avanzato (stadio IIIC o IV sec.

FIGO), giudicato non citoriducibile in primaistanza (giudizio ottenuto tramite indagine la-paroscopica, laparotomica, o TC-guidata) esono state tutte operate in un lasso di tempoche va dal Luglio 2009 al Luglio 2017. Sonostati presi in considerazione i dati delle pazien-ti con un follow-up di almeno 6 mesi dopo lachirurgia d’intervallo e che fossero state trat-tate con una procedura chirurgica di citoridu-zione considerata ottimale per il trattamentodel tumore ovarico (isterectomia, salpingo-oo-forectomia bilaterale, omentectomia, biopsieperitoneali).Sono stati analizzati i dati antropometrici(età, BMI), le caratteristiche istopatologichedella malattia, la classificazione di rischioanestesiologico del campione (American So-ciety of Anesthesiologists score), il tipo e i ci-cli di chemioterapia effettuati, la risposta altrattamento a livello radiologico (ResponseEvaluation Criteria in Solid Tumors - RE-CIST) ed anatomo-patologico, le complican-ze derivanti dalla chirurgia (Memorial SloanKettering Cancer Center grading system1). Ilfollow- up è stato condotto secondo le lineeguida della ‘National Comprehensive CancerNetwork Clinical Practice Guidelines in On-cology’2, e sono state analizzate la sopravvi-

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aggiornamentoscientifico

Ultime novità in Ginecologia Oncologica

The International Mission study: minimally invasive surgery in ovarianneoplasms after neoadjuvant chemotherapyA. Fagotti, S. Gueli Alletti, G. Corrado et al.

International Journal of Gynecological Cancer (IJGC) 2019 Jan; (1) 5-9

A cura del Dottor Andrea Lombisani

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venza globale, il tasso di recidive e l’intervallolibero da malattia.

RISULTATI

Sono state arruolate nello studio 127 pazienticon mediana d’età di 60 anni (range 33-84) emediana di BMI pari a 24.7 Kg/m2 (il13.8% del campione risultava obeso). L’isto-tipo più frequente è stato il sieroso di altogrado (90.6%), lo stadio patologico più rap-presentato nel campione è stato il IIIC(83.5%) secondo la stadiazione FIGO. Il giu-dizio di non resecabilità in prima istanza èstato emesso sulla base di un intervento chi-rurgico diagnostico (74% in laparoscopia,11% in laparotomia) o tramite indagini ra-diologiche (15% con tomografia computeriz-zata) in combinazione col dato citologicoconfermante la natura della neoplasia. Suc-cessivamente le pazienti sono state sottopostea chemioterapia neoadiuvante a base di pla-tino con una mediana di 4 cicli (range 3-8)dimostrando una risposta clinica nel 96.8%secondo i criteri RECIST (29.9% di rispostecomplete, 66.9% con risposta parziale).Tutte le pazienti sono state sottoposte ad unachirurgia d’intervallo ottimale (tumore residuo<1cm) con tecnica mini-invasiva.Un residuomacroscopico di malattia pari a zero (residuotumore ottimale) è stato raggiunto nel 96.1%dei casi. Il tempo operatorio medio è stato di225 minuti (range 60-600 minuti) con unaperdita ematica media di 100 ml (range 70-1320 ml). La mediana di giorni di ricovero èstata di 2 (range 1-33) e il tempo mediano diripresa della chemioterapia è stato di 20 giorni(range 15-60).Il tasso di complicanze intraoperatorie si è at-testato al 4.8%, con una paziente che ha avuto2 complicanze gravi corrispondenti a lesioni

vescicale ed intestinale. Il tasso di conversionein laparotomia è stato del 3.9% (5 conversioni)a causa della presenza di aderenze, della ne-cessità di effettuare una resezione intestinale edi una lesione vascolare maggiore. Il tasso di complicanze post operatorie nel bre-ve termine è stato del 3.9% (5 casi), di cui solo3 di grado III secondo la scala MSKCC (duefistole enteriche e un versamento pleurico).A livello microscopico sono state registrate 27risposte patologiche complete al trattamentoneoadiuvante (29.9%), 19 risposte microsco-piche (24.7%), 85 risposte parziali (66.9%).Successivamente 95 pazienti (72.5%) sono sta-te sottoposte a chemioterapia adiuvante.La mediana di follow-up è stata di 37 mesi conil 58.3% di recidive (peritoneali nel 75.7%) eil 24.4% di exitus per la malattia. L’intervallolibero da malattia si è attestato ad una media-na di 23 mesi e la sopravvivenza a 5 anni al52.6% ( da 35.2 a 67.3; IC 95%)

CONCLUSIONI

Il tumore ovarico è una neoplasia che, in con-siderazione della sua notevole aggressività, hacome trattamento standard la chirurgia diprima istanza con intento citoriduttivo seguitada un trattamento chemioterapico adiuvantea base di platino. Le pazienti con malattianon resecabile in prima istanza possono be-neficiare di un trattamento chemioterapiconeoadiuvante per aumentare il tasso di debul-

king ottimale e per ridurre le complicanze le-gate al trattamento chirurgico senza inficiarela prognosi3.Dunque, il trattamento chirurgico, con l’obiet-tivo di rimuovere ogni residuo macroscopicodi malattia, risulta essere di primaria impor-tanza nel contesto di questa patologia.Attualmente lo standard di tale trattamento èrappresentato da un approccio laparotomico,sebbene alcuni lavori abbiano recentementedimostrato come la chirurgia mini-invasiva ri-sulti essere efficace nel contesto della chirurgiad’intervallo in pazienti che hanno avutoun’adeguata risposta alla chemioterapia.

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Un’analisi della US National Cancer Databa-se ha recentemente evidenziato come la chi-rurgia laparoscopica abbia outcomes peri-operatori e curve di sopravvivenza sovrappo-nibili a quelli della laparatomica nel contestodella chirurgia d’intervallo, anche se la mini-invasiva dopo terapia neoadiuvante risulta an-cora essere utilizzata sporadicamente e i suoieffetti non sono stati ancora esaminati su largascala4.Questo studio ha lo scopo di dimostrare comela chirurgia mini-invasiva risulti essere un ap-proccio ragionevole per le pazienti sottopostea chemioterapia neoadiuvante che abbianoavuto una risposta completa o parziale al trat-tamento chemioterapico, con tutti i vantaggiche questo tipo di chirurgia offre nei confrontidi quella tradizionale. Il tasso di conversione è risultato essere basso(3.9%) in questa serie ma comunque superioreai dati presenti in letteratura, probabilmente acausa dei criteri d’inclusione adottati, che nonhanno posto limitazioni nella scelta delle pa-zienti in termini di caratteristiche fisiche (età,BMI), cliniche (ASA score) e numero di cicli dichemioterapia effettuati. La presenza di estese aderenze e di un gran-de residuo tumorale dopo chemioterapianeo adiuvante, dato che risulta essere correla-to alla presenza di una importante diffusionedi malattia alla diagnosi, può spiegare sia iltasso di conversione che di complicanze diquesta serie.I dati riguardanti la sopravvivenza globale e lasopravvivenza libera da malattia hanno dimo-strato come questo tipo di approccio risulti es-sere oncologicamente sicuro rispetto ad ap-procci tradizionali, sebbene appaia evidenteun bias di selezione delle pazienti intrinseca-mente presente in questo lavoro, poichè l’eleg-

gibilità alla chirurgia d’intervallo è determina-ta dalla risposta al trattamento chemioterapi-co neoadiuvante. Sulla base di questo studio, gli autori suggeri-scono di iniziare l’atto chirurgico con un ap-proccio diagnostico di tipo laparoscopico e, seritenuto possibile, di continuare l’interventodemolitivo in laparoscopia o robotica per di-minuire l’impatto di una chirurgia aggressivain pazienti con importanti co-morbidità, e perridurre i tempi di accesso alla chemioterapiaadiuvante.Nel contesto del tumore ovarico, la chirurgiamini-invasiva risulta inoltre avere un ottimorapporto costo-efficacia e può essere utilizzatacome uno strumento diagnostico prima dellachirurgia primaria citoriduttiva. Con questometodo le pazienti possono essere identificatecome non-responders alla terapia neoadiuvantee beneficiare di ulteriori cicli di chemioterapiao essere sottoposte ad una terapia di secondalinea5.In conclusione, gli autori suggeriscono comel’approccio mini-invasivo possa essere preso inconsiderazione nelle pazienti con tumore ova-rico avanzato che abbiano ottenuto una buo-na risposta ai trattamenti chemioterapici,quando la chirurgia si limita a procedure cito-riduttive a bassa complessità. La chirurgia mi-ni-invasiva permette, inoltre, di ricorrere al-l’occorrenza alla laparotomia nei casi in cuisiano richieste procedure ad alta complessitàche possono essere associate a più elevati rischidi complicanze.Alcune critiche nei confronti di questo lavoropotrebbero essere rivolte alla difficoltà di sta-bilire un’adeguata valutazione della malattiaattraverso un approccio minimamente invasi-vo, rischiando di non rivelare alcune zone didiffusione della malattia e peggiorare l’outco-me oncologico delle pazienti. È altresì veroche il breve tempo di reclutamento e l’etero-geneità delle pazienti, così come i loro tratta-menti in termini di chirurgia e chemioterapia,possono rappresentare potenziali limitazioni aquesto studio. l

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Bibliografia

1 Strong VE, Selby LV, Sovel M, et al. Development and assess-ment of Memorial Sloan Kettering Cancer Center’s SurgicalSecondary Events grading system. Ann Surg Oncol2015;22:1061–7.

2 CCN Clinical Practice Guidelines in Oncology, 2017. OvarianCancer including Fallopian Tube Cancer and Primary Peri-toneal Cancer. Version 3. Available from: https://www.nccn.org/professionals/physician_gls/pdf/ovarian.pdf

3 Vergote I, Tropé CG, Amant F, et al. Neoadjuvant chemothera-pyor primary surgery in stage IIIC or IV ovarian cancer. N EnglJ Med2010;363:943–53.

4 Melamed A, Nitecki R, Boruta DM, et al. Laparoscopy com-pared with laparotomy for debulking ovarian cancer after neoad-juvant chemotherapy. Obstet Gynecol 2017;129:861–9.

5 Fagotti A, Fanfani F, Vizzielli G, et al. Should laparoscopy beincluded in the work-up of advanced ovarian cancer patients at-tempting interval debulking surgery? Gynecol Oncol2010;116:72–7.

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COMMENTOProfessor Gennaro Cormio

Professore Associato | Ginecologia Oncologica |

Università “Aldo Moro” | Bari

L o studio MISSION è una raccolta retro-spettiva di 127 pazienti trattate da 2009

al 2017 in 5 Centri di ginecologia oncologicae sottoposte a chirurgia di intervallo (IDS)mediante approccio mininvasivo (laparosco-pico o robotico) in pazienti in risposta dopochemioterapia neoadiuvante (NACT) percarcinoma ovarico avanzato. Gli autori riportano 96% di citoriduzionecompleta con durata dell’intervento, perditaematica stimata, giorni alla dimissione, per-centuale di complicanze e tempo d’iniziodella terapia simili o in alcuni casi più favo-revoli rispetto a quelli riportati in serie stori-che che utilizzavano la via laparotomica perla chirurgia di intervallo. Anche la medianadi progressione e la sopravvivenza globale ri-sultano superiori rispetto a quelle riportatenegli studi randomizzati. Concludevanoquindi che la chirurgia mininvasiva potevaessere utilizzata nelle pazienti in risposta do-po chemioterapia neoadiuvante quando l’in-tervento chirurgico è limitato a “procedure di

citoriduzione standard di bassa complessità”.

Il tentativo di estendere le indicazioni dellachirurgia mininvasiva nella patologia neopla-stica dell’ovaio rappresenta un motivo digrande interesse scientifico e culturale di que-

sto gruppo e va riconosciuto, ma mi premefare alcune considerazioni:• la durata media della chirurgia mininvasiva

appare superiore rispetto ai dati storici ri-portati per la chirurgia laparotomica;

• non viene specificato quante pazienti sonostate trattate con robotica e quante con la-paroscopia (sarebbe interessante una com-parazione tra queste due metodiche);

• non vengono riportate in dettaglio le sedi direcidiva ed in particolare se vi sono state re-cidive a livello delle porte di ingresso deitrocar;

• gli autori infine riconoscono nella discussio-ne che il ricorso alla chirurgia di intervallomininvasiva soffre di un notevole bias di se-lezione. Infatti, pur trattandosi di uno stu-dio retrospettivo, non vengono citati i cri-teri di selezione delle pazienti dopo i 3 ciclidi chemioterapia neoadiuvante alla chirur-gia di intervallo laparoscopica ed è eviden-te che il numero di casi riportato rappre-senta una minima parte rispetto a tutte lepazienti sottoposte a IDS nei 5 centri nei 9anni oggetto dello studio. Nello specifico, laprincipale critica allo studio è che siano sta-te avviate alla chirurgia mininvasiva le pa-zienti che avevano ottenuto una rispostaparticolarmente buona alla chemioterapia,che presentavano una estensione della ma-lattia limitata o infine quelle con condizionigenerali particolarmente favorevoli;

• ritengo infine particolarmente utile la valu-tazione laparoscopica prima della chirurgiadi intevallo soltanto nel gruppo di pazienticon risposta parziale dopo NACT mentrenon vi è alcuna dimostrazione che la ag-giunta di ulteriori cicli di chemioterapia ol-tre i 3 iniziali possa migliorare la perfor-mance della chirurgia di intervallo.

Nonostante tali limitazioni ritengo che que-sto lavoro rappresenti un significativo con-tributo alla ambiziosa e affascinante ricercadella estensione delle indicazioni della chi-rurgia mininvasiva nella patologia neopla-stica ovarica. l

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The International Mission study: minimally invasive surgery in ovarianneoplasms after neoadjuvant chemotherapy

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OBIETTIVO

Il principale obiettivo di questo studio è la va-lutazione dell’incidenza di complicanze, qualitorsione, rottura e trasformazione maligna, dimasse annessiali ecograficamente classificatecome di probabile o certa natura benigna etrattate con approccio conservativo, con con-trolli ecografici e clinici a 3, 6 e 12 mesi conun follow up di 2 anni, in donne asintomaticheo paucisintomatiche.

MATERIALI E METODI

Tra Gennaio 2012 e Marzo 2015 sono statereclutate, da 36 centri in 14 paesi europei estatunitensi, 8519 pazienti di età superiore ai18 anni che presentavano almeno una massaannessiale (ovarica, para ovarica o tubarica)diagnosticata ecograficamente. Sono stateescluse pazienti con lesioni considerate fisiolo-giche con diametro inferiore ai 3 cm così co-me pazienti che non avevano dato il proprioconsenso allo studio. La gravidanza non è sta-ta considerata un criterio di esclusione e sonostate arruolate anche pazienti già in follow up.Tutte le pazienti arruolate sono state esamina-te con un’ecografia transvaginale, integratacon Color - Power Doppler, per caratterizzarela massa annessiale in termini di morfologia,

vascolarizzazione, presunta istologia (sempli-ce, paraovarica, tubarica, cistoadenoma siero-so, cistoadenofibroma, endometrioma, terato-ma, cisti funzionale, fibroma, fibrotecoma,idrosalpinge, cistoadenoma mucinoso o cistoa-denofibroma, ascesso, salpingite, PID, cisti diinclusione o peritoneale, tumore benigno raro,non specificato) e per classificarla come beni-gna, borderline o maligna, specificando il gra-do di certezza della diagnosi (certa, probabile,incerta). Nel caso di masse multiple, quellacon morfologia ecografica più complessa è sta-ta considerata come dominante o, per morfo-logie simili, o quella con dimensioni maggiorio con migliore accessibilità allo studio ecogra-fico. In funzione della diagnosi ecografica edella sintomatologia clinica è stata posta indi-cazione ad un trattamento chirurgico oppureconservativo. Tutte le masse annessiali consi-derate probabilmente o certamente benignesono state candidate all’approccio conservati-vo, con visite ed ecografie transvaginali cheprevedevano la visualizzazione dell’utero, de-gli annessi e dell’intera pelvi, integrata conl’ecografia addominale se necessario, ad inter-valli di 3, 6, infine 12 mesi. Tutti i dati sonostati raccolti in un database creato apposita-mente per lo studio (IOTA5 Study Screen;

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Risk of complications in patients withconservatively managed ovarian tumours(IOTA 5): a 2-year interim analysis of a multicentre, prospective, cohort study Wouter Froyman, Chiara Gandolfo, Bravo de Cock et al.

Lancet Oncol 2019, February 5, 2019

A cura della Dottoressa Ludovica Puri

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astraia software, Munich, Germany). Il followup è stato portato avanti per ogni paziente fin-ché non si è verificato un evento tra: risoluzio-ne spontanea, asportazione chirurgica dellamassa o decesso dovuto a qualsiasi causa. Éstata posta indicazione al trattamento chirur-gico in caso di sospetto di malignità, dolore osu richiesta della paziente per preoccupazioniriguardanti la fertilità o volontà di procederead intervento profilattico. Per ogni centro par-tecipante allo studio sono stati richiesti dei re-quisiti minimi affinché i dati potessero essereinclusi nell’analisi statistica: il reclutamento dialmeno 50 pazienti e una buona qualità di fol-low-up per almeno il 70% delle pazienti.

RISULTATI

Delle 8519 pazienti inizialmente arruolate, 25(<1%) sono state escluse per mancato consen-so allo studio. Di 4567 pazienti (54%) giudica-te dall’ecografista suscettibili di trattamentoconservativo, 4447 (97%) avevano una massaconsiderata in ecografia probabilmente o cer-tamente benigna.Delle pazienti candidate a trattamento conser-vativo, 3602 (79%) presentavano una massa dinuova insorgenza. Tra queste, 3494 (97%)avevano una massa considerata in ecografiaprobabilmente o certamente benigna. In unaprima analisi, sono stati esclusi 17 centri perinappropriata quantità o qualità dei dati. Delle 3144 pazienti trattate conservativamen-te nei restanti 19 centri, 734 (23%) presenta-vano una massa annessiale già diagnosticata,mentre le restanti 2410 (77%) erano primediagnosi. L’età media delle partecipanti allostudio è stata di 48 anni (37-63), 1429 (45%)in postmenopausa, 1912 (61%) presentavanouna massa dominante uniloculare senza com-

ponenti solide, 444 (14%) uniloculare concomponenti solide. Per 221 (7%) delle 3144pazienti non sono pervenute informazioni do-po la prima visita di arruolamento: di queste,177 (80%) erano prime diagnosi. Nonostantel’indicazione al trattamento conservativo, 336pazienti (11%) hanno preferito sottoporsi achirurgia, di cui 314 (93%) erano prime dia-gnosi: di queste, 13 (4%) su indicazione del cu-rante per sospetto di malignità, 113 (36%) perdolore. L’intervallo di tempo tra visita di reclu-tamento ed intervento chirurgico è stato inmedia di 2 mesi (0-3). Tra le pazienti sottopo-ste a chirurgia sono stati diagnosticati: 1 carci-noma ovarico in stadio III (<1%), 2 tumoriborderline in stadio I (1%), 7 torsioni di cisti(2%), 6 rotture di cisti (2%). Per le 1919 pazienti con una nuova diagnosial momento del reclutamento, il tempo mediodi follow-up è stato di 27 mesi (14-28). Duran-te i due anni di follow-up nelle pazienti conprima diagnosi, l’incidenza di risoluzionespontanea è stata del 20.2% (95% CI 18.4–22.1), l’incidenza di interventi chirurgici è sta-ta del 16.1% (14.3–17.7), di cui il 2% (1.3–2.6)per sospetto di malignità. L’incidenza di de-cesso per qualsiasi causa è stata dell’1.2%(0.6–1.7). L’incidenza cumulativa nel corso dei 2anni di follow-up di diagnosi di tumore mali-gno invasivo è stata dello 0.4 % (95% CI 0.1–0·6), di tumore borderline dello 0.3% (<0.1–0.5), di torsione della cisti dello 0.4% (0.1–0.7),di rottura della cisti dello 0.2% (<0.1–0.4). Nelle 1919 pazienti che sono state seguite conun follow-up di 24 mesi, sono state osservatele seguenti complicanze: 7 tumori invasivi(<1%), di cui 3 allo stadio I, 2 allo stadio III e2 secondari metastatici, 5 tumori borderline(<1%), 7 torsioni di cisti (<1%), 4 rotture di ci-sti (<1%). Delle 12 diagnosi di tumore mali-gno, 6 (50%) sono avvenute entro 3 mesi dalreclutamento, 3 (25%) tra 4 e 6 mesi, 2 (17%)entro 11 mesi, e 1 (8%) entro 20 mesi. Quattrodei tumori ovarici maligni erano di tipo I (3 instadio I e 1 in stadio III) e 1 era di tipo II ( sta-dio III).

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Per tutti i 36 centri partecipanti, l’incidenzacumulativa di risoluzione spontanea è stata del18.9% (95% CI 17.3–20.5), di trattamentochirurgico del 15.1% (13.6–16.6) e di nuovadiagnosi di tumore maligno invasivo dello0.3% (0.1–0.5), senza differenze significativerispetto all’analisi iniziale. Nell’analisi dei sottogruppi è emersa un’inci-denza maggiore di risoluzione spontanea perle cisti funzionali (83.2%, 95% CI 75.8–88.4),minore invece per i teratomi (2.2%, <0.1–4.3),fibromi e fibrotecomi (2.6%, <0.1–6.0), cistoa-denomi mucinosi e cistoadenofibromi (4.7%,<0.1–9.8). Inoltre l’incidenza di torsione della cisti e dellanecessità di intervento chirurgico, aumentavacon l’aumentare delle dimensioni della massaannessiale, in particolare con una presuntadiagnosi di teratoma (1.3%, <0.1–3.0).

CONCLUSIONE

In questa analisi ad interim in pazienti condiagnosi ecografica di massa annessiale concaratteristiche benigne selezionate per tratta-mento conservativo, con un follow-up di 2 an-ni, l’incidenza cumulativa di risoluzione spon-tanea è stata del 20.2%, di necessità di inter-vento chirurgico del 16.1%, di complicanzemaggiori (diagnosi di tumore maligno invasi-vo, torsione o rottura della cisti) meno dello0.5%, di complicanze minori del 2.7%. Lo IOTA è un grande studio prospettico coin-volgente numerosi centri, con criteri di inclu-sione ampi, che ha valutato l’insorgenza dellecomplicanze come l’incidenza cumulativa cal-colata con un’analisi statistica che ha tenuto inconsiderazione tutti i dati a disposizione, com-presi quelli di pazienti candidate a trattamentoconservativo sottoposte invece a chirurgia, se-

guendo l’evoluzione nel tempo per singola pa-ziente. La bassa incidenza cumulativa di complicanzeosservate nei primi due anni di follow-up sug-gerisce che il trattamento conservativo può es-sere un’opzione sicura nell’approccio alle mas-se annessiali considerate benigne allo studioecografico. La sfida clinica consiste nel bilan-ciare il rischio di complicanze nell’asportaremasse presumibilmente benigne in donneasintomatiche o paucisintomatiche, che in let-teratura si attesta tra il 3.5% e il 15.1%, rispet-to al rischio di trasformazione della massa la-sciata in situ. In questo studio, nelle pazienticon successiva diagnosi di tumore maligno ditipo I (sieroso di basso grado, endometrioidedi basso grado, a cellule chiare e mucinoso) èimprobabile che il lieve ritardo di diagnosi ab-bia peggiorato la prognosi, ed è stato identifi-cato un solo caso di tumore maligno di tipo II(sieroso di alto grado, indifferenziato o mistomesenchimale). Sono tuttavia necessari ulte-riori studi con un follow-up più lungo per va-lutare il rischio di trasformazione di masse an-nessiali considerate benigne non asportate chi-rurgicamente e per identificare criteri più og-gettivi di individuazione di pazienti candidatea trattamento conservativo. l

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COMMENTODottoressa Alessia Di Legge

Dirigente Medico Ginecologia e Ostetricia |P.O. Sant’Omero | Teramo

L’ interessantissimo lavoro sopra citato èuno degli ultimi pubblicato sulla rivista

“Ultrasound in Obstetrics and Gynecology”dagli autori del gruppo IOTA. Esso riporta irisulti dell’analisi ad interim del protocolloIOTA 5. A mio avviso, lo IOTA 5 rappresen-ta per varie motivazioni una pietra miliarenella storia dello studio ecografico delle mas-se ovariche; intanto per il suo disegno ed isuoi numeri, ossia, per essere un protocolloprospettico multicentrico che ha arruolato, inun arco di tempo di circa 38 mesi, 8519 pa-zienti in 36 centri in 14 paesi europei, coin-volgendo operatori con differenti livelli diesperienza; in secondo luogo per la metodo-logia con cui la studio è stato effettuato, cheè quella standardizzata e definita dal consen-sus IOTA. Inoltre, singolare e innovativo èl’obiettivo primario che lo studio si proponedi raggiungere, ossia, quanto la strategia con-servativa di neoformazioni ovariche asinto-matiche giudicate benigne all’ecografia possaessere un comportamento clinico sicuro edun’alternativa alla chirurgia.

Finora, infatti, le numerose metanalisi pre-senti in letteratura e citate nello studio indi-cano nella condotta chirurgica la strategiapiù utilizzata nella pratica clinica. Secondogli autori, a guidare tale orientamento vi èl’oggettiva mancanza di dati sulla storia na-turale di tali formazioni e, pertanto, il timoreda parte del clinico della loro natura malignao della loro degenerazione neoplastica o an-che della loro rottura/torsione. Quello che,invece, è definito chiaramente in letteraturaè l’incidenza di complicanze post chirurgichesevere nelle pazienti operate per neoforma-zioni ovariche benigne rilevate accidental-

mente all’ecografia. Essavaria da un minimo del3.5% ad un massimo del15%. A fronte di ciò, lastrategia proposta dallo IO-TA 5 in questo setting dipazienti è il monitoraggioecografico a 3,6 e 12 mesi.

Dall’analisi delle 1919 masse annessiali dinuova diagnosi ecografica sono emersi, a mioavviso, dei risultati di grande impatto clinico.Il primo riguarda la storia naturale delle neo-formazioni sottoposte a controlli ecograficilongitudinali. Emerge infatti che la risoluzio-ne spontanea della massa è l’evoluzione mag-giormente osservata con un tasso del 20.2%.Il secondo risultato riguarda l’incidenza dellecomplicanze maggiori a cui tali cisti vannoincontro nel tempo. Il rischio che esse pre-sentino una natura invasiva o borderline opossano torcersi o rompersi è piuttosto bassopoiché inferiore allo 0.5%. Tali numeri, inol-tre, non subiscono variazioni significative inbase allo stato menopausale della paziente,sfatando l’idea di un aumentato rischio di de-generazione maligna nelle donne in post me-nopausa. Altro dato utile al clinico nel mana-gement delle cisti definite benigne all’ecogra-fia è che il rischio di torsione è risultato mag-giore per le cisti dermoidi (1.3%) ed aumen-tava proporzionalmente alle dimensioni dellaneoformazione.

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Oltre ai risultati sopra citati, a mio avviso,particolare interesse desta il tasso di falsi ne-gativi all’ecografia. Nella casistica riportata,su 1919 masse, solo 12 sono state le forma-zioni definite ecograficamente benigne e ri-sultate poi maligne. A tale riguardo, gli autorisottolineano che in tutti i casi il tempo inter-corso tra l’esame strumentale e la chirurgianon ha superato i due mesi. Pertanto, appareevidente che alla base dell’incongruenza traecografia ed esame istologico non vi è unadegenerazione della neoplasia ovarica bensìun errore di interpretazione da parte del-l’ecografista.Dei 12 falsi negativi all’ecografia, 5 lesionierano tumori borderline, 5 tumori invasivi (4di tipo I, di cui 3 rilevate ad uno stadio FIGOI e 1 stadio III; 1 di tipo II rilevato ad unostadio FIGO III) e 2 metastasi ovariche pro-venienti da altri organi. Il dubbio che sorgedi fronte ai falsi negativi è se il ritardo nelladiagnosi possa aver aggravato la prognosi ditali neoplasie. Se la risposta è sicuramente noper i casi borderline o per gli invasivi stadioFIGO I, è difficile trarre una conclusione peril gruppo dei tumori stadio III e di quelli me-tastatici. Di certo, l’alternativa chirurgicacomporterebbe il beneficio di annullare il ri-schio di degenerazione neoplastica, ma nonmigliorerebbe la mortalità da cancro del-l’ovaio. Questo perché la mortalità da carci-noma ovarico è correlata principalmente altipo II che origina delle fimbrie tubariche, hauna crescita eccessivamente rapida e non ve-de come precursori le neoformazioni ovari-che benigne. In conclusione, di fronte ad una neoforma-zione ovarica giudicata benigna all’ecografia,a prescindere dallo stato menopausale della

paziente, il monitoraggio longitudinale puòessere considerato una valida alternativa al-l’intervento chirurgico. Questo, sia perché larisoluzione spontanea è osservata in un casosu 5 e sia perché il tasso di complicanze e/odi falsi negativi è praticamente trascurabile(0.5%) e sicuramente inferiore a quello ripor-tato dalla condotta interventistica. l

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INTRODUZIONE

La pressione sul fondo uterino in fase attiva ditravaglio (meglio conosciuta come manovra diKristeller) rimane un argomento controversoin ambito ostetrico.Questa manovra in genere viene applicata peraccelerare la fuoriuscita della testa fetale. Leindicazioni comprendono: sospetto di soffe-renza fetale, distocia ed esaurimento fisico ma-terno, tuttavia è ben noto che essa viene spessoutilizzata in assenza di una motivazione for-male. Quanto emerge dai dati di letteratura,infatti, è che la pratica clinica differisce nellediverse parti del mondo: in alcuni centri è ri-tenuta obsoleta, in altri viene correntementeutilizzata. Molti autori hanno già riportatol’associazione della manovra con alcune com-plicanze materne e perinatali. Tra queste siannoverano la distocia di spalla, l’acidosi feta-le, fratture costali materne, lesioni perinealiimportanti, rottura d’utero, dispareunia, in-continenza urinaria da sforzo, ritenzione uri-naria acuta nel post-partum e altre disfunzionidel pavimento pelvico ben descritte in lettera-tura. Altri autori non sono riusciti a provarel’esistenza di un beneficio dato dall’applicazio-ne della manovra. Tuttavia la qualità delleevidenze disponibili allo stato dell’arte circa ri-

schi e benefici della Kristeller è generalmentescarsa. Una Cochrane review recente ha mostrato co-me non ci siano evidenze sufficienti per trarreconclusioni circa gli effettivi benefici o i poten-ziali pericoli della pressione sul fondo uterinoe i suoi autori incoraggiavano ulteriori ricer-che a riguardo.Negli ultimi anni la nostra capacità di com-prensione dei danni a carico del pavimentopelvico dovuti a cause ostetriche è aumentatagrazie all’utilizzo di tecniche di imaging comela RMN e l’ecografia trans-perineale 3D e 4D.L’ecografia 4D trans-perineale offre uno stru-mento dinamico, affidabile e di facile esecu-zione per stabilire l’integrità e la funzionalitàdel pavimento pelvico. Ci sono evidenze ben consolidate che suggeri-scono che l’avulsione del muscolo elevatoredell’ano (LAM) è il principale evento di con-nessione tra il parto vaginale e lo sviluppo delprolasso degli organi pelvici. Tra le cause riconosciute come determinantil’avulsione delle branche del LAM si ricono-scono il parto con forcipe, l’età materna avan-zata e un secondo stadio di travaglio prolun-gato; non è stato tuttavia ancora possibile co-struire un modello utile per predire la possibi-

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Fundal pressure in second stage of labor(Kristeller maneuver) is associated withhigher risk of levator ani muscle avulsionYoussef A, Salsi G, Cataneo I, Pacella G et al.

Ultrasound Obstet Gynecol. 2019 Jan;53(1):95-100.

A cura della Dottoressa Sara Pizzacalla

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lità di una lesione del LAM, anche se identi-ficare fattori di rischio modificabili potrebbeaiutare a prevenire disfunzioni del pavimentopelvico. A questo proposito il presente studioha come obiettivo quello di stabilire l’effettodella pressione uterina nel secondo stadio ditravaglio.

METODI

Gli autori hanno realizzato uno studio pro-spettico caso-controllo in un centro di terzo li-vello presso l’Università di Bologna da Marzo2014 e Settembre 2016. Le donne sono statearruolate prospetticamente dopo il loro primoparto e prima della dimissione dall’ospedale.Per ogni caso è stato reclutato un “controllo”,ossia una paziente con caratteristiche correla-bili in termini di body mass index (BMI), anal-gesia epidurale, durata della seconda fase deltravaglio e peso alla nascita del neonato chepartoriva subito dopo “il caso”. Sono stateescluse le pazienti che venivano sottoposte aparto operativo vaginale. L’uso dell’episiotomia è ristretto e quando ènecessaria viene eseguita con taglio medio-la-terale. È stato condotto un periodo iniziale di osser-vazione prima del reclutamento formale perstabilire la frequenza con cui la manovra ve-niva effettivamente riportata nei documentiredatti nell’ambito dell’ospedale, visto che,come è anche riportato dalla letteratura, sia iginecologi che le ostetriche sono riluttanti ariportare l’esecuzione della Kristeller; infattisoltanto nel 10% dei casi era stata descrittaufficialmente la manovra. Per questo motivo casi e controlli sono statireclutati soltanto se uno dei partecipanti allostudio era presente al parto con questo speci-fico obiettivo (e non in qualità di clinico).

Tecnica della Kristeller

Nel centro in questione non esiste una tecnicaunificata per l’applicazione della pressione sulfondo dell’utero. Alcuni medici applicano unapressione costante sul fondo uterino con unasola mano, altri usano entrambi i pugni, e al-cune volte il gomito. Non sono stati usati di-spositivi gonfiabili per quello scopo.

Acquisizione del volume ecografico in 4D

Tutte le pazienti reclutate sono state invitate asottoporsi a ecografia transperineale (TPUS)a 3-6 mesi dal parto. Durante la scansioneTPUS sono stati acquisiti due volumi dinamiciin 4D per ogni paziente: la prima sotto la mas-sima contrazione dei muscoli del pavimentopelvico (PFMC) e la seconda sotto manovra diValsalva al suo acme. Prima delle acquisizionialle donne era spiegato verbalmente e con deifeedback visivi come contrarre i muscoli delpavimento pelvico e come effettuare la mano-vra di Valsalva che doveva durare almeno seisecondi.Le acquisizioni sono state effettuate con unapparecchio Voluson E8 (General ElectricKretz Ultrasound, Zipf, Austria) con unasonda RAB 8-4 MHz da un investigatore traotto partecipanti (G.S., I.C., G.P., C.A.,M.C.P., J.K., E.M., L.C.) con oltre 2 anni diesperienza in ecografie del pavimento pelvicoin 4D, sotto la diretta supervisione del primoautore (A.Y.). Tutti gli operatori non erano aconoscenza dei dati intra-partum della pa-ziente. Le scansioni in 4D sono state acquisi-te nel piano sagittale mediano attraverso unapproccio transperineale, con la paziente inposizione litotomica e con la vescica vuota.Ai fini dell’acquisizione dopo l’attivazionedella funzione 4D il piano dell’area minimadello hiatus genitale è stata ottenuta traccian-do una linea dritta sul piano sagittale media-no a partire dal margine posteriore della sin-fisi pubica fino al margine anteriore del mu-scolo pubo-rettale al livello dell’angolo ano-rettale (Omniview-VCI line); la linea omni-view era settata su 1-2 cm.

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Fundal pressure in second stage of labor(Kristeller maneuver) is associated withhigher risk of levator ani muscle avulsion

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Analisi dei volumi 4D

L’area iatale è stata misurata in modalità offli-ne e in forma anonima con la tecinca Omni-View-VCI a riposo, alla massima contrazionedei muscoli del pavimento pelvico e sotto Val-salva. Il “balloning” è stato diagnosticato inpresenza di un’area iatale maggiore di 25 cm2

durante l’acme della manovra di Valsalva. Laco-attivazione del LAM era definita da un re-stringimento dello iato genitale sotto Valsalva.Ogni misurazione era effettuata tre volte el’area media era registrata. L’integrità dell’ele-vatore era invece attestata sotto la massimacontrazione dei muscoli del pavimento pelvicoutilizzando una tecnica multistrato (Ecografiatomografica; TUI). Un’avulsione completa delmuscolo puborettale era diagnosticata se veni-va riscontrata un’anomala inserzione delLAM nelle tre scansioni centrali. Nei casi dub-bi è stato utilizzato come marker un gap traelevatore e uretra maggiore di 2.5 cm per de-finirne un’inserzione anomala.La statistica è stata disegnata al fine di identi-ficare un’incidenza raddoppiata di avulsionedel LAM nel gruppo Kristeller come outco-me primario. Era perciò necessario avere 133pazienti per ogni braccio per essere sicuri dirifiutare l’ipotesi nulla che la Kristeller nonaumenta il rischio di avulsione del LAM conuna potenza statistica dell’80% e una proba-bilità di tipo I del 5%. Aspettandosi un mas-simo del 10% di pazienti perse al follow upsono state incluse 150 pazienti per braccio. Lamedia, la deviazione standard e il tasso sonostati usati come descrittori statistici. Le carat-teristiche materno-fetali sono state comparateusando il test chi-Square per le variabili cate-goriche, mentre le variabili continue sono sta-te analizzate con ANOVA. È stato utilizzatoun modello di regressione multivariata inclusa

l’età materna, il BMI, il peso alla nascita, epi-siotomia, durata del primo e secondo stadiodi travaglio, e analgesia epidurale. I dati sonostati analizzati con SPSS versione 23.0 perWindows e un valore di p inferiore a 0.05 èstato considerato significativamente statistico.Il disegno del protocollo è stato approvato dalComitato Etico dell’ospedale universitarioSant’Orsola Malpighi (approvazione n.96/2014/O/Oss). Al momento dell’arruola-mento le pazienti firmavano un consenso in-formato.

Risultati

Nel corso dello studio 300 donne sono statearruolate prospetticamente (150 casi e 150controlli). Tra queste donne 134 (89.3%) nelgruppo Kristeller e 128 (85.3%) nel gruppo dicontrollo si sono presentate all’appuntamentoper l’ecografia transperineale. Il tasso di epi-siotomia era significativamente più alto nelgruppo Kristeller. Le pazienti sottoposte aKristeller inoltre mostravano un tasso più ele-vato di avulsione dell’elevatore dell’ano(38/134 ossia il 28.36% vs.18/128; 14.06%,p= 0.005). Le pazienti del gruppo Kristellerinoltre presentavano un’area iatale maggioresotto Valsalva (21.3+–5.8 vs. 19.7+–5.0 cm2,

p=0.017) e avevano un aumento maggioredella stessa da riposo alla manovra di Valsalva(6.4+–4.7 vs. 4.9+–4.2 cm2, p=0.007). D’altraparte, l’area iatale a riposo e sotto contrazionenon differisce significativamente tra i duegruppi. Successivamente sono state ulterior-mente esaminate le pazienti con e senza avul-sioni del LAM per indagare se eventuali fattoripredittivi si potessero correlare alle lesioni delLAM. La manovra di Kristeller era più comu-ne nelle donne con avulsione del LAM rispet-to a quelle senza avulsione (38/56; 67.9% vs.96/206; 46.7%, p=0.005). L’età materna eramaggiore nelle pazienti con avulsione delLAM 34.0+–4.9 vs. 32.5+–5.3 anni, p=0.04) .Con una regressione logistica multivariata èstato verificato che la manovra di Kristeller siconfigura come unico fattore predittivo indi-

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pendente di avulsione del LAM nella nostrapopolazione (OR 2.5, 95 C.I. 1.29- 4.51) tra ivari fattori studiati (età materna, BMI, pesodel neonato alla nascita, episiotomia, duratadel primo e secondo stadio del travaglio edanalgesia peridurale). Nella popolazione stu-diata non sono state riportate lesioni o mortineonatali , distocia di spalla o lesioni maternetraumatiche come fratture costali.

DISCUSSIONE

Lo studio fornisce dati inediti circa gli effettidella manovra di Kristeller sui muscoli delpavimento pelvico. Si è dimostrato che lapressione a livello del fondo uterino nel se-condo stadio del travaglio è associato con unrischio più che raddoppiato di avulsione delLAM dopo il primo parto vaginale di unadonna. Questo si è dimostrato come effettoindipendente considerando altri cofattori co-me il BMI, il peso alla nascita, l’episiotomia,la durata del secondo stadio di travaglio eanalgesia epidurale.Anche se la manovra di Kristeller viene am-piamente utilizzata, secondo alcuni ginecologiostetrici il suo utilizzo sarebbe ingiustificato vi-sta la scarsa numerosità di dati di alta qualitàinerenti rischi e benefici. Secondo gli autoriquesto sarebbe quindi il primo studio a valu-tare gli effetti della Kristeller sull’incidenza dilesioni del LAM. Identificare un fattore di rischio modificabileè di grande importanza clinica. Il danno sulLAM è associato a una ridotta forza della con-trazione muscolare e soprattutto ai segni e sin-tomi di prolasso del compartimento anterioree centrale. In addizione a ciò l’avulsione delLAM aumenta il rischio di incontinenza uri-naria e recidiva di prolasso. Allo stato attualesi ritiene che l’anello di congiunzione tra il

parto vaginale e il prolasso sia costituito da le-sioni del LAM. Dato che non esistono beneficicomprovati nell’applicazione della manovra diKristeller e che è associata a un maggiore ri-schio di lesioni del pavimento pelvico bisogne-rebbe tenerne conto nel valutare i pro e i con-tro dell’applicazione della manovra e richiede-re alla paziente un consenso informato qualo-ra si rendesse necessaria, al contrario di quellache sembrerebbe essere una tendenza fre-quente come emerso dallo studio e cioè il nonriportare sempre la manovra di Kristeller neidocumenti del parto.Lo studio ha ulteriori limiti. Anche se casi econtrolli sono stati incrociati per la gran partedei fattori di rischio, non si può escludere chel’indicazione all’esecuzione della Kristeller siaun fattore confondente. Tale indicazione infat-ti era data dal clinico. Servirebbe uno studiorandomizzato controllato per valutare la rela-zione tra pressione sul fondo uterino e avulsio-ne del LAM. Ovviamente uno studio del ge-nere non può essere realizzato per le implica-zioni etiche.Tra gli altri limiti va considerata la mancatastandardizzazione della tecnica di esecuzionedella Kristeller, e infine lo studio si propone dicorrelare l’avulsione del LAM e la durata delsecondo stadio di travaglio, tuttavia questo vie-ne ridotto in durata dall’applicazione dellamanovra.In conclusione lo studio suggerisce che la ma-novra di Kristeller è associata con un rischioraddoppiato di avulsione del LAM quandoapplicata nelle pazienti al primo parto vagina-le. Questa associazione è indipendente consi-derati gli altri fattori di rischio di avulsione delLAM e bisogna che ciò venga consideratoquando si pratica la Kristeller, non dimenti-cando di eseguire un adeguato counselling allepazienti. l

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COMMENTOProfessor Giovanni Zanconato

Dottoressa Elena CavaliereAzienda Ospedaliera Universitaria

Integrata | Verona

L o studio di Youssef e coll. ha come argo-mento la manovra di Kristeller (MdK) -

fundal pressure, nella letteratura internaziona-le- ed il danno perineale derivante dalla suaesecuzione nell’assistenza al parto. Nella parte introduttiva gli Autori propongo-no le considerazioni comunemente associatealla MdK: in particolare i dubbi irrisolti circail suo ruolo nell’ assistenza al travaglio, le sueincerte indicazioni, l’essere una “tecnica”non standardizzata, la dubbia efficacia e i po-tenziali rischi materno-fetali associati. Viene fra gli altri citata la Cochrane review diHofmeyr et al. (2017) che non è conclusivanei confronti della manovra, relativamente aisuoi vantaggi ed agli effetti avversi. Fra questiultimi, quelli materni includono appunto idanni al perineo, in termini di lacerazioni digrado severo e le sequele per la funzione delpavimento pelvico, in analogia a quanto si os-serva per il parto operativo con forcipe e peri parti con periodo espulsivo prolungato, con-siderati entrambi fattori di rischio per l’avul-sione del muscolo elevatore dell’ano (LAM).

All’origine dello studio vi è anche l’evidenzascientifica consolidata relativa all’associazio-ne fra l’avulsione del muscolo elevatore ed ilsuccessivo prolasso genitale. Si spiega dun-que l’importanza della ricerca, mediantel’uso delle più recenti tecniche ecografiche4D, del danno ostetrico a carico del LAM ela sua associazione con la MdK. Lo studio prospettico caso-controllo è statorealizzato in un arco temporale di 30 mesi,con reclutamento di due gruppi di nullipareo con MdK e gruppo controllo. È interessante il dato fornito circa la valuta-zione preliminare che ha accertato un im-

portante underreporting dellaMdK: per questo motivogli Autori hanno ovviatoalla mancata trascrizionedel dato nella cartella clini-ca presenziando ad ognu-no dei parti inclusi nellostudio.

I casi ed i controlli sono stati appaiati tenen-do conto di alcuni parametri materni (BMI,partoanalgesia, durata del 2º stadio) e del pe-so fetale alla nascita. A tutte le pazienti è sta-ta offerta una valutazione ecografica a di-stanza di 3-6 mesi dal parto, dal momentoche la lesione dei muscoli profondi del pavi-mento pelvico, sebbene valutabile anche conun esame clinico, viene meglio oggettivatacon l’impego, oltre che della risonanza ma-gnetica, anche dell’ecografia. Nello studio, l’esame ecografico è stato ese-guito da operatori esperti nella tecnica eco-grafica 4D, e blinded relativamente alle carat-teristiche cliniche della paziente. La tecnicaha valutato l’integrità del muscolo elevatoree le dimensioni dello hiatus genitale in con-dizioni di massima contrazione del pianomuscolare perineale e di Valsalva. Per quanto riguarda i risultati, nel periododi studio sono state reclutate 300 puerpereal primo parto, equamente distribuite neidue gruppi, mentre l’analisi finale, tenutoconto della quota persa al follow-up, ha ri-

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guardato 262 donne che hanno aderito allostudio ecografico.Le pazienti nei due gruppi di studio hannocaratteristiche simili relativamente ad alcunevariabili ritenute rilevanti per lo studio: etàe BMI materni, peso fetale alla nascita, etàgestazionale, durata dei tempi del parto, par-toanalgesia, uso di ossitocina. Unica diffe-renza significativa è la prevalenza di episio-tomia, attuata quasi esclusivamente nelgruppo MdK. Dato rilevante è quello relati-vo al danno dell’elevatore dell’ano diagno-sticato più spesso nel gruppo MdK, 28.4%vs 14.1% (p<0.005). Anche il confronto re-lativo alla frequenza dell’uso della MdK nelgruppo delle pazienti con avulsione (n=56)e in quello di donne con elevatore integro(n=206) ha prodotto una differenza statisti-camente significativa tra i rispettivi valori di67.9% e 46.6%.L’analisi multivariata dell’insieme delle pa-zienti con lesione del LAM ha consentito diriconoscere la MdK come fattore indipen-dente predisponente alla avulsione fra tutti ifattori di rischio studiati (età materna, BMI,peso fetale, episiotomia, durata del travaglioe partoanalgesia). Si conclude quindi con la considerazione chela MdK non ha causato né danni al neonatoné traumi materni di altra natura, quali adesempio fratture costali, nella popolazionestudiata.Alcune considerazioni. Lo studio ecograficoa 3-6 mesi dal parto, indica una frequenzadoppia di danno perineale a carico del LAMquando venga esercitata una manovra diKristeller in periodo espulsivo, rispetto aicontrolli che hanno concluso il parto in mo-do del tutto spontaneo.Da un punto di vista di strumenti diagnostici,

la tecnica utilizzata ha garantito la qualità deldato: l’ecografia 4D è, rispetto alla RNM,più economica ed accessibile alla maggiorparte dei ginecologi. La via transperineale èuna modalità più semplice della via transret-tale per valutare i danni ostetrici dei pianimuscolari profondi del pavimento pelvico, ilballooning dell’area dello hiatus genitale ol’avulsione del LAM.Lo studio di Youssef e coll. ha il pregio di de-dicarsi ad un argomento finora non esploratoe di creare dunque un precedente di riferi-mento per gli studi a venire. La mancanza diinformazioni relative alle circostanze in cui èstata eseguita la MdK ovvero le indicazionialla manovra, rappresenta però un limite, pe-raltro segnalato dagli stessi Autori. Come detto nella parte introduttiva del lavo-ro, l’opinione comune è che la MdK rispon-da alla necessità di accelerare la fuoriuscitadell’estremo cefalico fetale: seppure in assen-za di indicazioni “formali”, il più delle voltetale necessità nasce da alterazioni del traccia-to cardiotocografico (CTG) o dall’ esauri-mento delle forze materne. Dunque non giàuna manovra eseguita “di routine” ma bensìattuata in situazioni che richiedono all’Oste-trico di diventare, in urgenza, operativo,avendo come alternativa l’uso della ventosaostetrica (VO) o del forcipe. Queste soluzioni, anche se decisamente piùtecniche e “controllabili” comportano a lorovolta esiti all’integrità del perineo materno:la letteratura scientifica sull’argomento oltread attribuire ai parti vaginali senza distociaun rischio del 15-20% di avulsione dell’ele-vatore dell’ano, quantifica in misura supe-riore il rischio di avulsione del LAM associa-to ai parti operativi, sia a quelli con applica-zione di VO (10-30%) ma in particolar modoa quelli assistiti con forcipe (35-70%). Lo studio in esame, escludendo i parti stru-mentali dalla popolazione selezionata, man-ca perciò di un confronto utile a collocare laMdK e i rischi connessi, all’interno di una ti-pologia più ampia di parto complicato. l

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S iamo entrati nell’era della medicina onco-logica di precisione, grazie ai progressi tec-

nologici nell’analisi degli acidi nucleici e delleproteine e alla conseguente produzione diagenti terapeutici mirati. La medicina di pre-cisione si basa sull’utilizzo di biomarcatori tu-morali, di cui è essenziale conoscere anche itest che vengono utilizzati per la loro identifi-cazione. I test effettuati possono essere molte-plici per un unico biomarcatore e possono va-riare per precisione del risultato, anche for-nendo risposte differenti. Risulta pertanto im-portante che i clinici non solo conoscano i bio-marcatori tumorali ma anche come questi so-no stati determinati. Esistono due concetti fondamenti nella valu-tazione di un test per un biomarcatore: la va-lidità analitica e l’utilità clinica. La validità analitica comporta problematichepreanalitiche ed analitiche, un test deve ri-spondere a tre requisiti essenziali: accuratezza,attendibilità e riproducibilità. L’utilità clinica, invece, deve essere supportatada un alto livello di evidenza che dimostri ilmiglioramento degli outcomes del pazientegrazie all’utilizzo del biomarcatore. La validità analitica e l’utilità clinica sono duecaratteristiche imprescindibili, nessuna della

due è sufficiente da sola a giustificare l’intro-duzione nella routine clinica di un biomarca-tore e dei test utilizzati per la sua identifica-zione. Un’importante problematica è connes-sa alla regolamentazione dei biomarcatori.Per poter introdurre un nuovo farmaco è ne-cessario l’autorizzazione della US Food andDrug Administration (FDA) (o di agenzie ana-loghe negli altri Stati) previa dimostrazioneche il nuovo farmaco o l’utilizzo nuovo di unfarmaco già in uso sia sicuro ed efficace. In-vece, il quadro normativo che regola i test dilaboratorio, compresi quelli per la determina-zione dei biomarcatori tumorali, è spesso in-consistente. Negli USA la supervisione su questi test è af-fidata all’ufficio In Vitro Diagnostics on the devices

(Center for Devices and Radiologic Health) dellaFDA, che valuta in maniera eccellente la vali-dità analitica dei test ma non ha potere sul-l’analisi dell’utilità clinica di un biomarcatore.Questo significa che l’approvazione di un testnon implica necessariamente che il biomarca-tore sia utile per indirizzare le cure del pazien-te. Inoltre, alcuni test non sono mai stati sotto-messi all’autorizzazione della FDA ma sonocommercializzati come test sviluppati in labo-ratorio (laboratory-developed tests LDTs) in

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Precision Medicine and Testing for TumorBiomarkers - Are All Tests Born Equal? Daniel F. Hayes, MD

Jama oncology editorial 2018 Jun

A cura della Dottoressa Martina Arcieri

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base ad una discrezionalità di applicazionedella legge, decisa dalla FDA alcuni decennifa. Fino a quando un test non viene commer-cializzato, un LDT può essere eseguito da unsingolo laboratorio e i risultati possono essereforniti ai medici per la cura dei loro pazienti,inoltre il costo del test può essere rimborsatodai Centers for Medicaid & Medicare Serviceses o daaltri terzi paganti. Sebbene i laboratori che ef-fettuano i LDTs dovrebbero essere certificatida Medicaid & Medicare Services, la validità ana-litica e l’utilità clinica dei test non sempre ven-gono esaminate e documentate. Tutti questifattori hanno determinato confusione e incer-tezza nella pratica clinica. Pertanto, circa 3 an-ni fa, la FDA aveva iniziato un processo di re-visione della discrezionalità in materia diLDTs, principalmente per quanto riguarda itest ad alto rischio, multiparametrici e basatisulla genomica, ma le disposizioni provvisorieche erano state applicate sono state revocatealla fine del 2016, causando molte polemiche. Due articoli pubblicati su JAMA Oncology af-frontano questi temi. Nel primo, un gruppo dipatologi appartenenti ad un consorzio all’in-terno del College of American Pathologists (CAP)ha revisionato 6897 test effettuati nei loro cen-tri, su alcuni pezzi istologici fissati in formalinae paraffinati, per le anomalie genetiche inBRAF, EGFR e KRAS. Ognuno di questi bio-marcatori tumorali ha una comprovata utilitàclinica legata alla presenza di terapie target.Circa il 15% di questi test sono effettuati uti-lizzando kit commercializzati da compagnie(CD) approvate dalla FDA mentre il restante85% hanno usato kit LDTs. Gli autori hannoriportato livelli di concordanza accettabili trai due tipi di test. Gli autori concludono pertan-to che gli sforzi della FDA per imporre una re-golamentazione più rigorosa di questi test po-trebbero non essere giustificati.

Il Prof. Daniel F Hayes (past president ASCO)esprime il suo commento riguardo questo stu-dio. Primo, i test di competenza del CAP sonoun’eccellenza. Ad esempio, il CAP e l’Ameri-can Society of Clinical Oncology (ASCO)hanno collaborato alla stesura delle linee gui-da sui test per HER2 e per i recettori ormona-li nel cancro della mammella. I test di compe-tenza sono stati incorporati nelle linee guidafin dall’inizio e hanno determinato una mi-gliore standardizzazione di questi fattori pre-dittivi critici. Questo studio perciò rappresenta solo quei pa-tologi che hanno partecipato al test di compe-tenza del CAP. Bisognerebbe pertanto sperareche il campione di ciascun paziente sia testatoin uno di questi laboratori e non in uno nonincluso nello studio. Secondo, circa il 15% deilaboratori partecipanti utilizzava un kit CD espesso il metodo utilizzato è stato alterato ri-spetto alle istruzioni del produttore per soddi-sfare esigenze specifiche. Infine, l’individuazio-ne di una mutazione o di altre anomalie gene-tiche presenti in questi 3 geni richiede test re-lativamente semplici e diretti. Pertanto, sebbene sia rassicurante il fatto chelaboratori diversi, che utilizzano tecniche etest diversi, abbiano solitamente prodotto glistessi risultati per BRAF, EGFR e KRAS, que-sti risultati possono non essere validi per altritest tumorali più complessi. Questa problema-tica si collega al secondo articolo, quello diTorga e Pienta. In questo piccolo studio, cam-pioni di sangue, prelevati contemporanea-mente, sono stati inviati a due differenti labo-ratori per testare le anomalie genetiche pre-senti nel DNA tumorale libero circolante, te-stando un panel di biomarcatori che potrebberisultare utile per terapie target. L’utilità clini-ca di questo approccio è, comunque, ben lon-tana dall’essere accettata e innumerevoli trialprospettici stanno cercando di valutare questastrategia. Idealmente, si preferirebbe racco-gliere il tessuto per l’analisi genomica in tem-po reale, quando il paziente è un candidatoper il trattamento specifico e, ancora meglio,

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in modo seriale durante il corso del trattamen-to di quello specifico paziente. Tuttavia, lebiopsie in caso di metastasi possono essere dif-ficili da effettuare, dispendiose e persino peri-colose. A questo proposito, le analisi usandoun campione di sangue o la cosiddetta “biop-sia liquida” sono allettanti. Però Torga e Pien-ta hanno ottenuto, nel loro studio, risultati pre-occupanti. Sono stati raccolti campioni di san-gue da 40 pazienti ed inviati a due differentilaboratori. Sei di questi campioni sono risultatinon valutabili, e nei restanti 34, la concordan-za completa tra i due test è stata osservata soloin 9 casi (35%). Di questi 9, solo 3 avevanoprofili mutazionali concordanti e sovrapponi-bili (nei restanti 6 pazienti non sono state rile-vate mutazioni con entrambi i test). Il 65% dei34 campioni valutabili aveva solo una parzialeo addirittura nessuna concordanza tra i duetest: i test sono risultati parzialmente concor-danti in 6 casi mentre nessuna congruenza èstata trovata in 16 campioni. Qual è il vero risultato? Nessuno può saperlo.Lo studio di Torga e Pienta fornisce un impor-tante avvertimento di cautela, su cui tutti do-vremmo soffermarci. In linea di principio, sipuò assumere che sia clinicamente utile la ri-levazione di mutazioni attraverso una biopsialiquida in un paziente con malattia metastati-ca nel caso in cui siano disponibili terapie spe-cifiche. Secondo il Professor Hayes, un pessi-mo test per un biomarcatore tumorale è da in-tendersi come una pessima medicina. Pur ri-conoscendo l’importante contributo nella curadel paziente fornito da molti LDT, è possibileche per molti test eseguiti ogni giorno, in tuttigli Stati Uniti, i medici che li interpretano siassumono, senza averne la certezza, la respon-sabilità indiretta di certificarne l’accuratezza ela fondatezza d’uso. l

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COMMENTODottoressa Luisa Carbognin

Medico Oncologo | Divisione di GinecologiaOncologica | Fondazione Policlinico

Universitario A. Gemelli IRCCS | Roma

L’ innovazione che caratterizza la medicinadi precisione rappresenta la naturale

evoluzione della medicina moderna rispettoal concetto di medicina di popolazione cheha guidato la ricerca in ambito biomediconegli ultimi 50 anni. Anche l’oncologia è at-traversata da questo profondo cambiamentoche ha portato all’introduzione del concettodi ‘oncologia di precisione’ che prevede di as-segnare al paziente un trattamento persona-lizzato sulla base delle caratteristiche mole-colari della neoplasia di cui è affetto. La clas-sificazione del tumore basata sulla caratteriz-zazione delle alterazioni genetiche, epigene-tiche o proteomiche dei tumori rappresentaquindi uno dei cardini su cui si basa l’onco-logia di precisione. Questo approccio sostituisce il classico concet-to ‘one size fits all’, che prevedeva la categoriz-zazione della neoplasia sulla base dell’organoda cui prende origine e del tipo istologico. Ai fini di consentire un trattamento persona-lizzato sulla base delle caratteristiche mole-colari del paziente e della sua malattia, l’in-tegrazione tra l’innovazione tecnologica e laricerca traslazionale rappresenta un aspettofondamentale per identificare dei biomarca-tori tumorali, bersagli di specifici farmaci tar-

geted o predittivi di risposta o resistenza ad unfarmaco specifico. In tale contesto, l’editoria-

le dal titolo ‘Precision Medicine and Testing for Tu-

mor Biomarkers – Are All Tests Born Equal?’ di

Hayes DF, relativo a due studi pubblicati suJAMA Oncology (Kim AS et all. e Torga G e

Pienta KJ) sottolinea le criticità relative al-l’identificazione e all’utilizzo di biomarcatorinella pratica clinica1. In particolare, il primo lavoro condotto da un

gruppo di patologi apparte-nenti al College of American

Pathologists (CAP) suggerisceun elevato tasso di accura-tezza (97%) tra l’utilizzo ditest definiti laboratory-develo-

ped tests (LDTs) e test US Fo-od and Drug Administra-

tion-approved companion diagnostics (FDA-CDs)2.Considerando l’elevata concordanza tra ledue tipologie di test di laboratorio, gli autoriconcludono sottolineando la rilevanza clinicadell’utilizzo dei LDTs e mettendo in secondopiano il ruolo regolatorio dell’FDA nell’ap-provazione di questi test. Tuttavia, va sottoli-neato come il confronto tra i test sia statocondotto da patologi appartenenti al CAP epertanto dotati di un expertise specifica. Inol-tre, l’analisi prevedeva la determinazione dialterazioni genetiche relative a tre soli geni(BRAF, EGFR, KRAS) e pertanto non è auto-matico che la concordanza possa essere lastessa anche per altre alterazioni genetiche inparticolare se relative a test che richiedonoprocessi più complessi. La riflessione critica che emerge riguarda ildelicato rapporto tra:1) la validità intrinseca analitica di un test

specifico nell’identificare un biomarcatore;2) il valore in termini di predittività dello

stesso biomarcatore in relazione ad unospecifico farmaco (o a una classe di farma-ci) a bersaglio molecolare;

3) lo sviluppo di evidenze solide in merito al-la capacità di quel farmaco di cambiare lastoria naturale di quella malattia con quel-la determinata alterazione molecolare(quindi l’utilità clinica).

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Il concetto di validità analitica include l’ac-curatezza del test, l’affidabilità e la riprodu-cibilità. Alcuni enti regolatori come l’FDAhanno tentato di mettere appunto un proces-so di revisione dei test di laboratorio, adottatiper l’identificazione di biomarcatori moleco-lari, successivamente ritirato3. Una volta de-terminata la validità analitica, tale biomarca-tore deve essere in grado di identificare unsottogruppo di pazienti di interesse sui qualidimostrare l’impatto clinico di uno specificofarmaco. Infatti, nella complessa biologia tu-morale, non è sufficiente identificare un’alte-razione molecolare per essere certi che que-sta possa rappresentare un fattore predittivodi risposta o resistenza terapeutica, in quantola presenza di un’alterazione genetica e la di-sponibilità di un farmaco diretto contro di es-sa possono essere solo dei presupposti di effi-cacia che richiedono di essere dimostrati. In termini di valore predittivo di un biomar-catore e della sua utilità clinica, numerosiesempi caratterizzano il trattamento oncolo-gico di una serie di tumori solidi. Tra questi,il ruolo dell’overespressione e/o amplificazio-ne del gene HER2 nel tumore della mam-mella come fattore di risposta ed efficacia alTrastuzumab ha letteralmente rivoluzionatoil suo trattamento indipendentemente dalsetting di malattia (adiuvante, neoadiuvantee avanzato), identificando un sottogruppo dipazienti le quali, pur partendo da prognosipeggiore, grazie alla disponibilità di farmaciattivi anti-HER2, hanno beneficiato in ter-mini di outcome globale4. A questo biomar-catore, che accompagna i recettori ormonalinella definizione più utilizzata degli immu-nofenotipi di carcinoma mammario, è vero-simile che si aggiunga lo stato mutazionaledel gene PIK3CA, alla luce dei recenti risultatidello studio SOLAR-1, che hanno evidenzia-

to l’efficacia di alpelisib (un inibitore dell’iso-forma α di PI3K) in aggiunta all’ormonote-rapia in pazienti con tale gene mutato5. Se nel carcinoma della mammella i biomar-catori ad oggi necessari per impostare il mi-glior trattamento possibile sono pochi, in al-tre neoplasie solide, come i tumori del pol-mone non a piccole cellule (NSCLC), i pa-zienti in fase avanzata (al momento) richie-dono una caratterizzazione molecolare cherichiede almeno 5 test molecolari (in accordocon le linee guida della Società Europea diOncologia Medica, ESMO), cioè lo statomutazionale dei geni EGFR e BRAF, il riar-rangiamento dei geni ALK e ROS1, e la de-terminazione immunoistochimica di PD-L16. A questi, si aggiungeranno a breve altricome la ricerca della mutazione puntiformedell’esone 14 di MET, il riarrangiamento diRET e la analisi del carico mutazionale (Tu-mor Mutational Burden, TMB). Questo nonsolo a fini nosografici di classificazione mo-lecolare, bensì perché per ognuna di questealterazioni una serie di farmaci a bersagliomolecolare e l’immunoterapia per il TMBstanno dimostrando di migliorare la progno-si in modo clinicamente rilevante. Inoltre,proprio in questa malattia, è richiesta l’ana-lisi molecolare alla progressione durante iltrattamento con anti-EGFR nei pazienti mu-tati (per identificare un ulteriore marcatore,la mutazione di resistenza T790M necessariaal momento per identificare pazienti eleggi-bili a Osimertinib), e il monitoraggio deimeccanismi di resistenza diventerà a breveuna necessità per scegliere i trattamenti piùappropriati in caso di progressione nei pa-zienti con traslocazione di ALK. La necessità clinica di ottenere in tempo rea-le queste informazioni molecolari sull’anda-mento della neoplasia avanzata e sulla possi-bilità di candidare o meno il paziente ad untrattamento specifico e la difficoltà, in alcunesituazioni, ad ottenere una biopsia tissutale,hanno incrementato l’interesse nei confrontidella biopsia liquida, cioè la ricerca di altera-

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zioni molecolari specifiche su DNA circolan-te (cfDNA o ctDNA).Il secondo lavoro commentato nell’editorialesi inserisce proprio all’interno del complicatocontesto di questa procedura, sottolineandoanche in questo caso la rilevanza della validi-tà analitica7. Il dato eclatante che emerge daquesto lavoro è rappresentato da un tasso diconcordanza completa solamente del 22.5%dall’analisi molecolare su ctDNA mediantedue diverse piattaforme (caratterizzate daun’elevata self-reported accuratezza, sensibilitàe specificità) di next-generation sequencing, analisidi 40 campioni di sangue condotta in due di-versi laboratori (CAP accreditati). La necessità della validità analitica, che rap-presenta un prerequisito per la validazione diun biomarcatore predittivo di efficacia di undeterminato farmaco targeted, richiede unprocesso di analisi di utilità clinica (che si at-tua attraverso la sperimentazione clinica) al-trettanto rapido ed efficace. In questo conte-sto, la frammentazione molecolare delle pa-tologie in funzione delle alterazioni riscontra-te, e la rapidità con la quale ogni anno la ri-cerca biomolecolare identifica nuovi sotto-gruppi di neoplasie sulla base di nuovi bio-marcatori, spinge i ricercatori clinici a svilup-pare nuovi modelli di disegno sperimentaleche ottimizzino il tradizionale processo cheva dalla fase I agli studi randomizzati. Inol-tre, del tutto recentemente, l’approvazioneFDA di alcuni farmaci a bersaglio molecola-re e immunoterapici non sulla base della sededella neoplasia, bensì sulla presenza di alcu-ne specifiche alterazioni molecolari (cioè lacosiddetta indicazione ‘agnostica’), sottolineala necessità di percorrere nuove strade nellasperimentazione clinica che includano dal-l’inizio l’analisi molecolare estesa, l’identifi-cazione di biomarcatori e la loro validazione.

Le riflessioni che emergono dallo stato dellaselezione molecolare nei tumori solidi, e leincertezze che ancora affiorano da questi ul-timi dati, rappresentano certamente deglielementi di accortezza nella trasferibilità im-mediata e automatica di ogni innovazionetecnologica in questo contesto, ribaltando latematica sulla necessità di supportare sem-pre e rapidamente tali innovazioni con daticlinici solidi e riproducibili. Chiaramente di-venta un problema etico un risultato falsa-mente negativo che non indica una terapia‘salvavita’ a un paziente in fase precoce dimalattia (quindi con auspicabili obiettivi diguarigione), e diventa un problema socialeper la comunità e la sostenibilità globale deisistemi sanitari un risultato falsamente posi-tivo, che offre a un paziente una terapia co-stosa ma inefficace. l

Bibliografia

1 Hayes DF. Precision Medicine and Testing for Tumor Bio-markers - Are All Tests Born Equal? JAMA Oncol. 2018Jun 1;4(6):773-774.

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I l prolasso rettale e quello degli organi pelvicierano tradizionalmente trattati come entità

separate, tuttavia più recentemente si è verifi-cata una graduale transizione verso un ap-proccio multidisciplinare per curare al megliola paziente che presenta concomitanza deidue disturbi. Questo approccio ha miglioratoil risultato chirurgico sia in termini di outco-mes soggettivi che di risultato anatomico og-gettivo. Il trattamento chirurgico del prolassourogenitale può essere eseguito per via addo-minale o vaginale, tuttavia la colposacropessio isteropessi per via addominale sono conside-rate il gold standard. Contemporaneamente larettopessi ventrale ha guadagnato un ruolocentrale nel trattamento del prolasso rettale. Le due tecniche prevedono la dissezione dipiani e spazi anatomici sovrapponibili, e unchirurgo esperto in chirurgia del pavimentopelvico può eseguirle entrambe senza partico-lari difficoltà. Esistono diversi studi che dimo-strano la fattibilità e la sicurezza della colpo-sacro o isteropessi concomitante alla rettopessiventrale, tuttavia sono pochi i dati circa glioutcomes chirurgici sia in termini di risoluzio-ne dei sintomi delle pazienti che in termini dirisultato anatomico.L’obiettivo primario di questo studio dunque

è quello di analizzare gli outcomes a lungo ter-mine in una coorte di donne sottoposte a trat-tamento combinato di colposacropessi o iste-ropessi con rettopessi ventrale e di descrivernele complicanze peri e post operatorie

METODI

È stata selezionata retrospettivamente una co-orte di 59 pazienti sottoposte tra gennaio2009 e settembre 2015 a colposacropessi oisteropessi e concomitante rettopessi ventralein un centro di terzo livello. Sono state esclusele pazienti sottoposte a rettopessi con resezio-ne del sigma. Tre chirurghi esperti in medici-na e chirurgia ricostruttiva pelvica femminile,con consolidata esperienza nell’esecuzionedella colposacro o isteropessi addominale la-paroscopica o robotica hanno eseguito la par-te più strettamente uroginecologica; un unicochirurgo esperto in chirurgia colorettale e nel-lo specifico nel trattamento del prolasso retta-le ha eseguito la rettopessi ventrale. In tutti icasi l’intervento chirurgico è stato eseguito inmodo standardizzato eccetto che per il tipo diprotesi utilizzata per la rettopessi ventrale. Lapaziente era posta in posizione litotomicaclassica utilizzando la laparoscopia standardoppure robotica o la via addominale open.

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Long-Term Outcomes After VentralRectopexy With Sacrocolpo- or Hysteropexyfor the Treatment of Concurrent Rectal and Pelvic Organ ProlapseKarl Jallad, Beri Ridgeway, Marie Fidela R. Paraiso et al.

Femle Pelvic Medicine & Reconstructive Surgery Month 2017

A cura della Dottoressa Sara Pizzacalla

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Per quanto concerne la tecnica, la fascia pre-sacrale veniva sezionata fino al legamentolongitudinale vertebrale tra S1-S2. Uno stru-mento utilizzato nella definizione dell’am-piezza delle anastomosi termino-terminali(dilatatore) è stato posizionato in vagina e nelretto per ridurre il prolasso e permetterel’identificazione più accurata del setto retto-vaginale. La dissezione del peritoneo pre-sa-crale era ampliata fino al Douglas fino a con-sentire lo sviluppo del setto retto vaginale,estesa lateralmente al retto e medialmente allebranche dell’elevatore dell’ano fino al pianoperineale. Il peritoneo sulla vagina veniva in-ciso trasversalmente e anteriormente consen-tendo lo sviluppo del setto vescico vaginale fi-no alla base vescicale (trigono).Per la rettopessi ventrale è stata utilizzata unaprotesi realizzata con sottomucosa intestinaleporcina (Surgisis Biodesign, Cook Medical,Lafayette, IN) o una mesh di Polipropilene amaglie leggere (NovaSilk or Restorelle, Colo-plast, Minneapolis, MN). La protesi è stata poiancorata alla parete rettale anteriore e ai fascidell’elevatore dell’ano (in particolare il pubo-coccigeo) con 10-12 punti con fili a lento rias-sorbimento. Per la colposacro o isteropessi èstata impiegata una mesh a maglie leggere inPolipropilene (NovaSilk or Restorelle, Colo-plast, Minneapolis, MN), ancorata alla paretevaginale mediante 4-6 punti con fili a lentoriassorbimento. La vagina e il retto sono stati spinti delicata-mente per mezzo del dilatatore in direzionecraniale e le protesi sono state ancorate al le-gamento longitudinale anteriore del sacro (S1-S2) con due suture con fili non riassorbibili oa lento riassorbimento senza ulteriore tensio-ne. Il peritoneo al di sopra delle protesi è stato

richiuso con fili a lento riassorbimento o conuna “barbed suture” V-Lock (Covidien, Min-neapolis, MN). È sempre stata eseguita una ci-stoscopia per controllare l’integrità della vesci-ca e dell’uretra. Gli eventi avversi sono statidefiniti a priori e raccolti fino a 6 settimanedopo l’intervento e sono riassunti nella Tabella2. Sono stati considerati come correlati all’in-tervento chirurgico gli eventi verificatisi fino a30 giorni dall’intervento. Nella valutazionepost operatoria è stata inclusa il “Patient’s Glo-bal Impression of Change” (PGIC). L’outco-me composito “ricorrenza del prolasso degliorgani pelvici “è stato definito come : 1) de-scensus apicale maggiore di un terzo della va-gina o descensus della parete anteriore o po-steriore fino o oltre l’imene, 2) la sensazione diun ingombro fastidioso in vagina, 3) re-inter-vento per prolasso degli organi pelvici finoall’ultima visita registrata. La definizionedell’outcome del prolasso rettale includeva: 1)evidenza di prolasso rettale esterno, 2) prolas-so rettale percepito come fastidioso, oppure 3)re-intervento chirurgico per prolasso rettaleentro l’ultima visita registrata. Un valore di Pinferiore a 0.05 è stato fissato per definire la si-gnificatività statistica.

RISULTATI

In totale 59 pazienti sono state sottoposte arettopessi ventrale in concomitanza a colposa-cro o isteropessi. L’età e il BMI medi erano ri-spettivamente 55.7 anni e 25.6 kg/m2 rispet-tivamente. Cinquantatré (89.8%) su 59 pa-zienti sono state operate con approccio LPS-robot assistito, cinque (8.5%) sono state ope-rate in LPS standard, ed una paziente (1.7 %)con approccio laparotomico programmato.Tutte le pazienti erano sintomatiche e avevanoun prolasso urogenitale di grado 2 o superioreed un evidente prolasso rettale a tutto spessoredella parete. Il 36.3% era già stato sottopostoin precedenza a chirurgia per prolasso rettaleo urogenitale; Quarantotto pazienti (81.3 %)su 59 sono state sottoposte a colposacropessi,11 su 59 a sacroisteropessi; 15 (31.2%) pazien-

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ti sono state sottoposte a isterectomia conco-

mitante. In ventisette (45.7%) su 59 pazienti è

stata impiantata anche una sling; tre (5.1%)

pazienti hanno subito anche una riparazione

di rettocele e una donna (1.7%) una correzio-

ne di cistocele. La perdita media intraopera-

toria era 119.7 ml (SD, 75.8); il tempo opera-

torio medio era 308 (73.7) minuti, l’ospedaliz-

zazione media era di due giorni (range, 1-18).

La mediana di follow up per tutti i pazienti è

stata di 17 mesi (range 1,76).

Il tasso di successo per la correzione del pro-

lasso rettale da solo, del prolasso urogenitale

da solo e di entrambi è stato rispettivamente

dell’86.4 % (51/59), del 91.5 % (54/59) e del

79.6 % (47/59) rispettivamente. La Tabella 1rappresenta il tasso di recidiva del prolasso ret-

tale e degli organi pelvici secondo la definizio-

ne di recidiva. Quando la recidiva è stata ana-

lizzata secondo modelli di analisi di sopravvi-

venza il tasso di successo composito per la cor-

rezione del prolasso urogenitale e prolasso ret-

tale è risultato essere del 57.4 %. Gli score del

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Tabella 1

Tabella 2

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test PGIC, disponibili per 44(74.5%) su 59 pa-zienti hanno mostrato che 40 (91%) su 44 pa-zienti avevano un punteggio di 6 o 7 indican-do una percezione di miglioramento significa-tivo dopo la chirurgia. Per quanto concerne le complicanze 15 pa-zienti (25.4%) sono andati incontro ad eventiavversi correlati alla chirurgia come mostratonella Tabella 2. Il tasso di complicanze intrao-peratorie è stato basso con un solo caso di le-sione vescicale riportato. Non ci sono state le-sioni intestinali o vascolari. Nessuna delle pa-zienti ha subito perdite ematiche superiori a500 mL e nessuna ha richiesto una trasfusioneintraoperatoria. Nel post operatorio, 5 (8.5%)su 59 pazienti sono state re-ricoverate per sep-si, ileo paralitico, occlusione del piccolo inte-stino, embolia polmonare e ascesso pelvico. Iltasso di infezione della ferita è stato di 4 (6.8%)su 59, ed è stato attribuito a infezione dei tes-suti molli nei siti di inserzione dei trocars; tuttii casi sono stati risolti con terapia antibioticaorale. L’incidenza di occlusione del piccolo in-testino e ileo paralitico è stata del 3.4% e 6.8%rispettivamente. Una paziente ha avuto unascesso pelvico post operatorio che è stato ri-solto con terapia antibiotica. Due pazientihanno avuto embolia polmonare nel post ope-ratorio: di esse una aveva una mutazione delfattore V Leiden e ha sviluppato una TVP se-guita da EP. Entrambe avevano fatto eparinasottocutanea come profilassi per il tromboem-bolismo. In una paziente è stata riscontrataun’erosione di mesh in vagina al controllo a 12mesi, ed è stata trattata conservativamente consuccesso con estrogeni locali. In una pazienteè stata fatta diagnosi di discite: in tale circo-stanza la donna era stata sottoposta a colposa-cropessi con impianto di una mesh sintetica e

rettopessi ventrale con mesh biologica. Lamesh era stata fissata al sacro con due punti diPolydioxanone riassorbibile. La paziente è sta-ta quindi rioperata e la porzione della meshancorata al sacro è stata rimossa, di seguito hafatto terapia antibiotica intensiva e la ripresaè stata completa senza ripercussioni a lungotermine. L’utilizzo di mesh biologiche sul ret-to era associato a un tasso globale di eventi av-versi più elevato (p<0.01). Questa differenzarimaneva statisticamente significativa anchestratificando per i diversi parametri (odds ratioaggiustato, 4.9; 95% CI, 1.1–22.1; P = 0.037).

DISCUSSIONE

Le disfunzioni del pavimento pelvico si carat-terizzano per la presenza frequente di prolassomulticompartimentale, basti considerare chein pazienti che lamentano descensus urogeni-tale è presente un prolasso rettale nel 14-55%dei casi. Recentemente la rettopessi ventraleha guadagnato popolarità perché oltre ad evi-tare i rischi chirurgici correlati al confeziona-mento di un’anastomosi dopo una resezionedel colon (tipico delle tecniche meno recenti),previene l’insorgenza di costipazione de novoassociata alla dissezione dei legamenti lateralidel retto e del retto stesso. Nello stesso tempola colposacro o isteropessi è considerata comeil gold standard per il trattamento del prolassouterovaginale o del prolasso di cupola dimo-strandosi superiore in termini di correzioneanatomica alle tradizionali procedure per viavaginale. In questo studio retrospettivo la co-orte di donne sottoposte a entrambe le proce-dure dimostrava di avere un significativo

miglioramento anatomico e soggettivo

dopo chirurgia. All’interno del campioneanalizzato le complicanze intraoperatorie so-no rare, si sono però riscontrati eventi avver-

si nel post operatorio correlati alla chi-

rurgia in una donna su 4. È stato riscon-trato rispetto ad altri studi sulla colposacropes-si mininvasiva un tasso più elevato di ileo pa-ralitico, occlusione del piccolo intestino e infe-zione della ferita nelle pazienti sottoposte a

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concomitante correzione del prolasso rettale.La concomitanza della rettopessi potrebbe es-sere sufficiente a spiegare il rischio di questieventi avversi, tuttavia un’ampia serie di pub-blicazioni sulla rettopessi ventrale non ha ri-scontrato questo dato. Ad ogni modo è impor-tante considerare che i tempi operatori piùlunghi necessari per eseguire una chirurgiaconcomitante e il più alto tasso di comorbiditàmediche e chirurgiche che sono spesso com-presenti nella tipologia di pazienti che presen-tano un disturbo significativo del pavimentopelvico, pone le stesse pazienti a rischio mag-giore di sviluppare queste complicanze. Il tas-so globale di eventi avversi registrati in questostudio non si discosta molto da quelli riportatiin letteratura. È stato anche riscontrato chel’utilizzo di protesi biologiche per sospendereil retto era associata a un tasso globale signifi-cativamente più alto di eventi avversi (risultatiche si ottenevano anche stratificando per i variparametri come BMI, età ecc.), nonostantequeste sembrerebbero essere preferibili per ilminor rischio di erosione. Le mesh biologichesono spesso utilizzate quando si praticaun’estesa adesiolisi vicino al retto o quando lapaziente presenta delle comorbidità significa-tive, fattori che potrebbero spiegare un tassopiù alto di complicanze; inoltre secondo gliautori il tasso di eventi avversi potrebbe esserecorrelato al tipo di mesh utilizzata. Sono tut-tavia necessari studi più ampi per stabilire sele protesi biologiche siano realmente associatea un più alto tasso di complicanze. Anche serara, la discite è una complicanza seria chepuò portare a gravi sequele a lungo termine.Diversi casi di discite associate a colposacro eisteropessi sono state riportate in letteratura; ècomunque poco chiaro se l’aggiunta della ret-

topessi e l’utilizzo di una mesh biologica au-mentino il rischio di discite. Essa si può verifi-care in conseguenza della fissazione della pro-tesi a un punto più alto del sacro e alla tran-sfissione con il punto, del disco tra L5 e S1.Data la natura retrospettiva dello studio non èstato possibile stabilire se questa era la regioneper cui le pazienti sviluppavano una discite.Tuttavia è importante ricordare che la protesidovrebbe essere suturata sempre sotto S1 enon in profondità nello spazio interdiscale perevitare questa complicanza. Punti di forza dello studio sono un follow up alungo termine (mediana 17 mesi, range 1-76),e l’affidabilità dei dati raccolti nel databaseelettronico. Un bias è certamente quello rela-tivo al disegno retrospettivo dello studio e al-l’eterogeneità della coorte con alcune pazientigià sottoposte in precedenza a chirurgia; altracriticità è relativa alle informazioni inerenti al-le pazienti perse al follow up, e della mancan-za di potenza statistica nel definire fattori di ri-schio associati alle complicanze peri e postoperatorie. l

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COMMENTODottor Giuseppe Campagna

Dipartimento di Scienze della Salute dellaDonna e del Bambino e di Sanità Pubblica |Centro di medicina e chirurgia ricostruttiva

pelvica femminile | Fondazione PoliclinicoUniversitario A. Gemelli IRCCS | Roma

T radizionalmente il prolasso degli organipelvici (POP) e il prolasso rettale sono

sempre stati trattati come entità separate purcondividendo una comune fisiopatologia.Negli ultimi anni, tuttavia, si è verificata unaprogressiva tendenza a trattare in manieraintegrata le due patologie ed i sintomi ad essecorrelate.Il trattamento chirurgico combinato del pro-lasso rettale e pelvico concomitanti può av-venire per via addominale o perineale. Se lacolposacropessi è oramai considerata il trat-tamento gold standard per il prolasso apicalecon tassi di successo anatomico superiori aquelli ottenuti con la chirurgia vaginale, larettopessi ventrale ha progressivamente ac-quisito un ruolo di prima istanza nella curadel prolasso rettale.Entrambe le procedure, beneficiando dellamedesima dissezione chirurgica, possono es-sere effettuate nello stesso tempo chirurgicoavvalendosi dell’approccio mini-invasivo la-paroscopico. Sebbene ci siano ancora pochi

studi che analizzano gli outcome anatomicie le complicanze perioperatorie delle dueprocedure combinate, i dati che ne emergo-no dimostrano che il trattamento integratoper via laparoscopica sia sicuro ed efficace.L’obiettivo primario dello studio “Long-Term Outcomes After Ventral RectopexyWith Sacrocolpo- or Hysteropexy for theTreatment of Concurrent Rectal and PelvicOrgan Prolapse” è quello di descrivere glioutcome anatomici e soggettivi a lungo ter-mine della rettopessi ventrale associata allacolposacropessi/ isterosacropessi per il trat-tamento del prolasso rettale e uterovaginale

concomitante. L’ obiettivosecondario è invece quellodi descrivere le complican-ze peri e post operatorie as-sociate a tale interventochirurgico. Il lavoro analizza in manie-ra retrospettiva 59 pazientisottoposti a tale tipo di pro-

cedura tra il 2009 ed il 2015 in un centro diterzo livello. Di queste, 53 sono state operatecon approccio LPS-robot assistito, cinque inLPS standard, e un approccio laparotomico. Tutte le pazienti selezionate erano sintoma-tiche, con un prolasso urogenitale di grado 2o maggiore, ed un prolasso rettale a tuttospessore. In questo studio la coorte di donnesottoposte a entrambe le procedure dimo-strava di avere un significativo miglioramen-to anatomico e soggettivo dopo chirurgia. Al-l’interno del campione analizzato le compli-canze intraoperatorie sono rare, si sono peròriscontrati eventi avversi nel post operatoriocorrelati alla chirurgia in una donna su 4.La peculiarità di questo studio è, certamente,quella di aver analizzato gli outcomes a lun-go termine e, quindi, l’efficacia di due tecni-che chirurgiche attuate simultaneamente peril trattamento di un prolasso tricomparti-mentale. Come accennato precedentemente,infatti, la colposacropessi e la rettopessi ven-trale sono tecniche innovative di appannag-

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gio di due discipline diverse (uroginecologiae proctologia) e ciò ha portato, in passato, adun trattamento subottimale delle pazienticon prolasso urogenitale. Secondo questostudio, tale trattamento combinato sembraessere efficace nella cura del prolasso uroge-nitale associato a sindrome da defecazioneostruita, ove sia presente un prolasso rettale.Inoltre, il lungo follow up di circa un anno emezzo, con una mediana di 17 mesi, ha con-cesso di riportare l’effettivo tasso di compli-canze a lungo termine che sono, spesso, nonconosciute. È importante sottolineare chetutte le complicanze presentatesi sono co-munque state risolte con terapia medica con-servativa, eccetto che per una paziente, cheha presentato discite sacrale, per cui è statonecessario un re-intervento per rimuovere laparte di protesi suturata sul sacro. I limiti dello studio, di contro, sono in partegià ben descritti dagli autori stessi: tra questi,il disegno retrospettivo dello studio, l’etero-geneità della coorte con alcune pazienti giàsottoposte in precedenza a chirurgia; la per-dita di informazioni inerenti alle pazientiperse al follow up, e della mancanza di po-tenza statistica nel definire fattori di rischioassociati alle complicanze peri e post opera-torie. Va aggiunto a questo, che un BIAS dello stu-dio è l’aver sottoposto alcune pazienti a ret-topessi con posizionamento di rete biologicae altre con posizionamento di rete sintetica.È risaputo, infatti, che l’utilizzo di rete biolo-gica è gravato da un tasso di complicanzemaggiore. Inoltre, alcune pazienti sono sottoposte a chi-rurgia LPS tradizionale, altre a LPS-roboticae una sola paziente a chirurgia open. Questo

sottolinea la necessità di uniformare il cam-pione per una migliore definizione dell’effet-tivo tasso di complicanze.Infine, la valutazione soggettiva dell’efficaciadel trattamento, viene valutata esclusiva-mente mediante indice PGIC. Sarebbe op-portuno valutare, mediante somministrazio-ne di questionari validati per il prolasso uro-genitale, per la sindrome da defecazioneostruita, nonché per la funzionalità sessuale(elemento di fondamentale importanza nellaqualità di vita di questi soggetti) l’effettivomiglioramento dei sintomi delle pazienti do-po chirurgia. In conclusione questo lavoro descrive unaimportante innovazione nella chirurgia rico-struttiva pelvica per il trattamento del prolas-so multicompartimentale. La conferma instudi prospettici con adeguata campionaturadelle pazienti potrà portare ad un utilizzoroutinario di tale promettente trattamentocombinato. l

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Linee guida internazionali sulla diagnosi e trattamento della sindrome dell’ovaiopolicistico 2018Dall’International PCOS network

A cura della Dottoressa Valeria Versace

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COMMENTODottoressa Daniela Romualdi

Primario UOC Ginecologia e Ostetricia |Pia Fondazione di Culto e Religione |

Azienda Ospedaliera “Card. G. Panico” |Tricase (Lecce)

L e linee guida internazionali evidence-ba-sed per la valutazione e la gestione della

Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS) so-no il risultato di un’importante iniziativa suscala mondiale che ha coinvolto sia le donneaffette da PCOS che i loro professionisti sa-nitari, al fine di migliorare la salute, l’assisten-za e la qualità di vita delle pazienti affettedalla sindrome. La loro pubblicazione rap-presenta una pietra miliare nella storia dellaginecologia endocrinologica.Un aspetto innovativo di questo progetto èrappresentato dalla piena partecipazione del-le donne con PCOS in tutte le fasi della co-struzione del documento. Ciò ha consentitodi prediligere i temi di loro interesse, le prio-rità espresse e le esigenze rapportate alla pra-tica clinica.Un’enfasi particolare è stata riservata all’im-portanza della partnership multidisciplinarenel processo di cura e alla necessità di consa-pevolezza delle donne con PCOS, tenendo-ne in considerazione le caratteristiche perso-nali, preferenze, cultura e valori.

Lo spirito di collaborazione internazionaleche ha animato il processo ha portato alcoinvolgimento di ben trentasette societàscientifiche a livello mondiale, sotto l’egidadel CRE-PCOS australiano (Center for Re-search Excellence in PCOS), dell’ESHRE(European Society for Human Reproductionand Embriology) e dell’ASRM (AmericanSociety for Reproductive Medicine). I gruppidi lavoro delle linee guida hanno inclusodonne con PCOS, pediatri, endocrinologi,ginecologi, medici di base, endocrinologi del-la riproduzione, psichiatri, psicologi, dietolo-gi, fisiologi, esperti di salute pubblica, ricer-

catori e altri esperti. Le linee guida internazio-nali per la valutazione e lagestione della PCOS, e ilrelativo programma di tra-duzione, mirano a fornireai medici del settore un’af-fidabile fonte di alta qualità

scientifica, condivisa a livello internazionale.I contenuti saranno un ausilio inestimabileper condurre una pratica clinica coerente efornire alle donne assistenza e informazionibasate sull’evidenza. Tutte le raccomandazioni sono state formu-late dopo una valutazione sistematica dellemigliori evidenze disponibili, in base all’espe-rienza clinica multidisciplinare e successiva-mente ad una trasparente ricerca di consensointerdisciplinare. Nei 5 capitoli delle linee guida vengono for-nite un totale di 166 raccomandazioni: 31raccomandazioni basate sull’evidenza (EBR),59 raccomandazioni di consenso clinico(CCR) e 76 punti di pratica clinica (CPP). Nel complesso, le evidenze riportate sono diqualità da bassa a moderata, il che implica lanecessità nel futuro di condurre una ricercascientifica più rigorosa nei diversi ambiti diquesto complesso, e al tempo stesso affasci-nante, disordine endocrino-metabolico. Tuttisiamo chiamati a fornire un contributo in ta-le direzione. l

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Linee guida internazionali sulla diagnosi e trattamento della sindrome dell’ovaiopolicistico 2018

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W hatsApp è un app di messaggistica chepermette di scambiare dati e messaggi

in maniera rapida e diretta con il proprio in-terlocutore. In una sanità sempre più conge-sta, quindi, questa app si mostra come unabuona soluzione per ridurre il numero di vi-site superflue. Infatti, se pur il suo impatto inambito clinico è stato ancora poco studiato,sempre più sono i medici che ne usufruiscono. Un’indagine dell’Osservatorio InnovazioneDigitale in Sanità del Politecnico di Milanoha osservato addirittura come, il 42% deimedici utilizzi WhatsApp per comunicarecon i propri pazienti e il 29%, pur non utiliz-zandolo attualmente, intende servirsi del-l’app in futuro.Negli ultimi anni si è passati pertantoda un rapporto del tutto asimmetricotra il medico ed il paziente, in cui si man-teneva quel distacco e divisione dei ruolitale da esaurirsi al mero incontro, nelmomento in cui, appunto, “si an-dava dal medico” a unmomento di confron-to in cui ormai l’infor-mazione, costrut-

tiva ma anche distorta, ha portato ad un ne-cessario confronto pedissequo e perpetratonel tempo. L’utilizzo di WhatsApp racchiude in sé nu-merosi vantaggi, quanto meno teoricamente.In effetti oltre a semplificare il contatto me-dico-paziente, per la semplicità d’uso potreb-be favorire la continuità del rapporto. Que-sto, ad esempio, risulterebbe particolarmenteefficace ed utile in soggetti con patologie cro-niche che comportano cure protratte e/o ri-petute ospedalizzazioni. In tal senso, quindi,facilita e rafforza il rapporto medico-pazien-

te, tassello fondamentale nel percor-so terapeutico, offrendo altresì la

possibilità di scambiarsi file co-me cartelle cliniche ricette ecc.

È vero però anche che piùvolte lo Studio ha ricevu-to richieste di consulenzada parte di clienti medi-ci, a volte anche impau-

riti sull’utilizzo diWhatsApp nell’eser-cizio della propriaattività medica.

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aggiornamentogiuridico

Gli obblighi del medico a seguito di richieste tramite WhatsApp da parte del paziente

A cura dell’Avvocato Giovanni Meliadò e dell’Avvocato Vincenzo CampelloneStudio Legale Meliadò

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Sarebbe opportuno a tal uopo approfondiregli obblighi/doveri del medico derivanti dallerichieste del paziente tramite WhatsApp, conun’analisi accurata che parta dal codice de-ontologico e applicata alle varie fatti spe -cie/ipotesi di violazione delle stesse attraver-so l’utilizzo della ormai monopolista app dicomunicazione.Si pensi agli articoli del codice deontologicomedico applicato alle conseguenti responsa-bilità da malpractice medica più sensibili altema ovvero: Art. 8 - Doveri di intervento;Artt. 11 e 12 - Riservatezza e trattamento deidati;Art. 13 - Prescrizione e diagnosi;Art. 22 - Rifiuto della prestazione;Art. 23 - Continuità delle cure;Art. 33 - Obblighi di Informazione;Art. 36 - Assistenza in caso di urgenza;Art. 38 - Dichiarazioni Anteriori al tratta-mento;Art. 59 - Rapporti con il medico Curante;Art. 78 - Utilizzo delle Tecnologie Informa-tiche.Ebbene Ob&Gyn in collaborazione con loStudio Legale Meliadò si occuperà di orga-nizzare appositi moduli volti ad approfondiredetta tematica di attualità estrema.Pensando a che valore legale abbiano i mes-saggi spediti e ricevuti via WhatsApp, è op-portuno ricordare che nel nostro ordinamen-to vige il cd. principio di tipicità dei mezzi diprova, in base al quale possono avere accessonel processo civile soltanto le prove espressa-mente previste e disciplinate dalla legge.L’art. 2712 c.c. prevede che le riproduzionimeccaniche, fotografiche, informatiche(CAD) o cinematografiche, le registrazionifonografiche e, in genere, ogni altra rappre-

sentazione meccanica di fatti e di cose forma-no piena prova dei fatti e delle cose rappre-sentate, se colui contro il quale sono prodottenon ne disconosce la conformità ai fatti o allecose medesime.L’art. 2719 c.c. dispone inoltre che le copiefotografiche di scritture hanno la stessa effi-cacia delle autentiche, se la loro conformitàcon l’originale è attestata da pubblico ufficia-le competente ovvero non è espressamentedisconosciuta.Proprio partendo da tali disposizioni, la Cas-sazione aveva già riconosciuto pieno valoreprobatorio per gli SMS e per le immaginicontenute negli MMS, ritenute “elementi di

prova” integrabili con altri elementi anche incaso di contestazione (Cass. Civ. 11/5/05 n.9884), chiarendo peraltro che in caso di di-sconoscimento della “fedeltà” del documen-to all’originale, rientrerebbe nei poteri delGiudice accertare la conformità all’originaleanche attraverso altri mezzi di prova, com-prese le presunzioni (Cass. 26/01/2000 n.866, ex multis).Allo stesso modo, tali disposizioni normativesono state invocate con riguardo ai messaggiWhatsApp ai quali peraltro, costituendo do-cumenti informatici (ormai equiparati ai do-

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Gli obblighi del medico a seguito di richieste tramite WhatsApp da parte del paziente

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Pensando a che valore legale abbiano

i messaggi spediti e ricevuti via

WhatsApp, è opportuno ricordare che nel

nostro ordinamento vige il cd. principio

di tipicità dei mezzi di prova, in base al

quale possono avere accesso nel processo

civile soltanto le prove espressamente

previste e disciplinate dalla legge.

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cumenti tradizionali ai sensi della L. 40/08)a tutti gli effetti, si applicano tutte le normein materia presenti nel nostro ordinamento.Tuttavia, se utilizzato inappropriatamente,WhatsApp include anche potenziali rischi.I pazienti infatti non hanno la stessa perce-zione di un medico riguardo la rilevanza diuna sintomatologia. Questo possibile utiliz-zo smisurato della messaggistica da partedel paziente espone a due potenziali proble-matiche.In primis, tale app potrebbe risultare un po-tenziale elemento di disturbo dell’attenzionedel medico rispetto alle visite in corso. In se-condo luogo, vi è la possibilità che pazienti ofamiliari richiedano pareri clinici e indicazio-ni terapeutiche attraverso WhatsApp in as-senza di motivi validi di urgenza.Questo comporta ricadute sia sul piano pro-fessionale del medico che nell’ambito dellaresponsabilità medico-legale. In effetti, da unlato non risulta definito se il medico abbial’obbligo di rispondere a richieste di consul-tazione online e in quali tempi (esponendoloa conteziosi legali) e inoltre, interferirebbenegativamente sulla vita personale e familia-re in quanto potrebbe essere contattato an-che in momenti destinati al riposo.Inoltre vi è il problema della privacy e dellasicurezza di dati sensibili che con il Reg. UE279/2016 (General Data Protection Regula-tion) ha inasprito notevolmente il trattamen-to dei dati personali, in particolare nelle mo-dalità di consenso al trattamento del dato esuccessiva revoca.La possibilità di ricevere durante l’orario dilavoro comunicazioni, attraverso lo smar-tphone, da parte di pazienti non direttamen-te presenti a una visita costituisce sia una ri-sorsa sia un potenziale elemento di disturbo

dell’attenzione rispetto alle visite e alla routi-ne in corso. Nonostante la raccomandazionedi usare il telefono solo in caso di urgenza, ipazienti possono avere una percezione diver-sa rispetto ai clinici circa la necessità di con-sultazione o alla rilevanza di una condizionesintomatologica. Dedicare spazio alla forma-zione dei clinici rispetto all’impiego dellenuove tecnologie di comunicazione può con-tribuire a un migliore equilibrio fra il miglio-ramento dell’efficienza offerto da questi mez-zi e la possibilità di un ulteriore elemento didisturbo dell’attività clinica oltre alle consue-te difficoltà quotidiane.Una criticità rilevante riguarda la tutela della

privacy. WhatsApp è utilizzato da clinici epazienti a scopi personali e professionali. Seteoricamente infatti solo i destinatari delleconversazioni possono accedere ai dati, tut-tavia esiste la possibilità di disseminazione in-controllata di informazioni personali. Questaapp, benché in grado minore rispetto ad altrisocial network, rende disponibili ai parteci-panti alcune informazioni sensibili relativeall’interlocutore, in particolare: immagine delprofilo; messaggio di stato; ora dell’ultimocollegamento; situazione di stato. La dispo-nibilità di questi dati, da cui è possibile desu-

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Non risulta definito se il medico

abbia l’obbligo di rispondere a richieste

di consultazione online e in quali tempi

(esponendolo a conteziosi legali)

e inoltre, interferirebbe negativamente

sulla vita personale e familiare

in quanto potrebbe essere contattato

anche in momenti destinati al riposo.

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mere abitudini personali (ora di sveglia, orain cui si va a dormire, abitudini e frequenzadi collegamento, ecc.) può creare un illusoriosentimento di confidenza o fornire elementidi critica e controllo. Occorre quindi parti-colare attenzione a mantenere i propri ruoliin caso d’impiego di tecnologie che fornisco-no occasioni per ridurre le usuali distanzeprofessionali. I clinici, in particolare, dovrebbero mantene-re un atteggiamento di cautela nell’avviareuna conversazione mediante WhatsApp conun paziente, vista la possibilità di fraintendi-menti rispetto alla partecipazione del sanita-rio a una dimensione di vita privata fuori dalsetting clinico. Un problema sul piano professionale e dellaresponsabilità medico-legale riguarda la pos-sibilità che pazienti o familiari richiedano pa-reri clinici e indicazioni terapeutiche attra-verso WhatsApp oppure comunque fuori daicanali istituzionali (visite o reperibilità telefo-nica). Rispetto ad altri canali come le e-mail,questa applicazione offre la possibilità di sa-pere se il destinatario ha letto il messaggio(salvo se le impostazioni della privacy del de-stinatario non siano settate appositamente inmodo diverso) e per un clinico può essere vis-suto come un problema dover rispondere auna richiesta presentata come urgente attra-verso un mezzo di comunicazione personale.Non risulta definito in modo univoco in ter-mini etici se il medico abbia l’obbligo di ri-spondere a richieste di consultazione onlinee in quali tempi. Si tratta di un aspetto nonprivo d’implicazioni legali e che espone il cli-nico a essere interpellato professionalmenteanche in momenti destinati al riposo e conpossibili ricadute sulla vita personale e fami-liare. È in generale utile che i clinici chiari-

scano ai pazienti che ogni consiglio terapeu-tico non può invece prescindere da una valu-tazione clinica completa, in un setting ido-neo, che comprenda un contatto diretto, lapossibilità di praticare un esame obiettivo ela disponibilità della cartella clinica; ogni ri-chiesta dovrebbe quindi essere indirizzata auna consultazione clinica non virtuale.Se pur al momento non ci sono studi di effi-cacia in ambito clinico, WhatsApp è a oggiuno strumento di comunicazione sempre piùutilizzato da medici e pazienti. Come abbia-mo potuto osservare presenta ampi marginid’impiego ma anche problematiche. Questeultime potranno essere evitate solo con un ra-

gionevole utilizzo da parte del medico chedovrà, a sua volta, educare il paziente nel-l’uso della messaggistica istantanea. Anche losviluppo di una regolamentazione e la crea-zione di un’app da utilizzare in ambito esclu-sivamente medico potrebbe rivelarsi una so-luzione ad alcune problematiche.Bisogna tuttavia sottolineare che mezzi di co-municazione come WhatsApp devono solorappresentare un sostegno all’attività medicae mai sostituire le interazioni reali tra medicoe paziente. l

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Gli obblighi del medico a seguito di richieste tramite WhatsApp da parte del paziente

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WhatsApp è a oggi uno strumento di

comunicazione sempre più utilizzato da

medici e pazienti. Come abbiamo potuto

osservare presenta ampi margini d’impiego

ma anche problematiche. Queste ultime

potranno essere evitate solo con un

ragionevole utilizzo da parte del medico

che dovrà, a sua volta, educare il paziente

nell’uso della messaggistica istantanea.

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2019Le attività didattiche

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marzo> luglioDATA CORSO

marzo

4 Uptodate cyclin inhibitors: how to increase the bar

4>5 Corso di isteroscopia diagnostic e operativa

9 Master di Monitoraggio Cardiotocografico del Benessere Fetale in Travaglio

12 Gesea certification session. Bachelor in Endoscopy

14 Officina del Parto. Technical Learning and Prompt Training

14>15 Medical expert training in advanced laparoscopic gynecological surgery

20>22 Tre giorni con noi a “CLASS ultrasound”

aprile

8>13 Gynaecology Expert Training for Upcoming Professionals (GET UP) course

11>12 Workshop: Corso di chirurgia ricostruttiva laparoscopica dell’apparato di sospensione degli organi pelvici

15>17 Laparoscopic suturing & knotting course. The stitch up

26>27 Gestione del dolore per una medicina personalizzata della donna

maggio

4 Master di Monitoraggio Cardiotocografico del Benessere Fetale in Travaglio

9>11 Dalla Sicurezza delle Cure alla Responsabilità professionale in Sanità. L’esperienza in Ostetricia e Ginecologia- I Modulo

15>17 Tre giorni con noi a “CLASS ultrasound”

16 Unmet needs and patients’ reported outcomes in oncology. Integrative approach for a personalized medicine

20>22 Advanced Course on Endoscopy in Gynecologic Oncology

23>24 Simulazione in ostetricia. Le abilità tecniche e non tecniche incontrano le competenze teoriche nelle urgenze ed emergenze

28 Corso osteoporosi

30>1º Giu Dalla Sicurezza delle Cure alla Responsabilità professionale in Sanità. L’esperienza in Ostetricia e Ginecologia- II Modulo u

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giugno

12>14 Tre giorni con noi a “CLASS ultrasound”

13 Officina del Parto. Technical Learning and Prompt Training

18 Gesea certification session. MIGS

19 Trattamento dei tumori vulvari. Corso base

17>18 Dalla Sicurezza delle Cure alla Responsabilità professionale in Sanità. L’esperienza in Ostetricia e Ginecologia- III Modulo

19 Trattamento dei tumori vulvari. Corso base

20-21 Medical expert training in advanced laparoscopic gynecological surgery

21 Ornella Sizzi Women Surgeon Day - ISGE

24 La menopausa precoce: cambiamenti e soluzioni

luglio

8>9 How to Hyst

11>12 Simulazione in ostetricia. Le abilità tecniche e non tecniche incontrano le competenze teoriche nelle urgenze ed emergenze

27>28 Master di Monitoraggio Cardiotocografico del Benessere Fetale in Travaglio

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2019m

arzo>

luglioLe attività didattiche

Save the date

Segreteria Organizzativatel. (+39) 06.30156014 | e-mail [email protected]

[email protected]

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www.obegyn.comBacHeca

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contatti

e-mail

[email protected]

Scuola di Specializzazione

in ginecologia e ostetricia

dell’università Cattolica

del Sacro Cuore di roma

Fondazione Policlinico Universitario

A. Gemelli IRCCS | L.go A. Gemelli, 8 | Roma

eventi

dedicato a Voi!Se desiderate far conoscere CONVEGNI ed EVENTIda voi organizzati, scrivete a:

[email protected] pubblicati nel prossimo numero della rivista!

CON IL PATROCINIO DI Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS

Molipharma SrlSpin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Periodico online di aggiornamento scientifico A cura degli Specializzandi della Scuola di Ginecologia e Ostetricia |Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS | Roma

DIRETTOREFrancesca Ciccarone

REDAZIONESilvia BuongiornoSimona FragomeniLuigi PedoneMassimo RomanoLuigi TurcoLorenzo [email protected]

SEGRETERIA SCIENTIFICAAlessia Camperchioli

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONEFabrizio Munari

RESPONSABILE MARKETINGSofia Maracchioni

RUBRICA LEGALEStudio Legale Meliadò

EDITORE E STAMPATOREMolipharma Srl SEDE LEGALE

Viale del Castello 386100 [email protected]

REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE Tribunale Ordinario di Campobasso01-08-2014

HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMEROMartina ArcieriMatteo BrunoAndrea LombisaniSara PizzacallaLudovica PuriValeria Versace

SI RINGRAZIANOGiuseppe CampagnaLuisa CarbogninElena CavaliereGennaro CormioFrancesco CosentinoAlessia Di LeggeDaniela Romualdi Giovanni Zanconato