www. unisob.na.it/inchiostro Gli insoliti · “Napoli ti voglio bene”. Ancora un’altra...

12
Spedizione in A.P. - 45% art. 2 - comma 20/b - legge 66/92 - Filiale di Napoli 1° maggio 2009 anno IX n. 8 Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli www. unisob.na.it/inchiostro Alla ricerca d’identità di Francesco Trinchillo Identità nascoste, o perdute, a confronto con altre identità più che consolidate. Questo numero di ‘In- chiostro’ ruota innanzitutto intorno a una serie di storie e di persone. Perso- ne che cercano ad esempio un’iden- tità dimenticata, come i clochard, che vivono nell’ombra con la speranza di ritrovare quella vita che – anni addie- tro – cambiò a causa di una serie di disavventure economiche, familiari o anche fisiche. Uomini e donne con un passato “normale”, che improvvi- samente si sono ritrovati a vivere in strada e che sembrano, per l’appun- to, dimenticati dalla società, se non fosse per alcune associazioni umani- tarie presenti sul territorio. Altro volto nascosto è quello di Margherita, giovane donna che con- vive con il virus dell’Hiv e che, con una forza di volontà fuori dal comu- ne, fa di tutto per aiutare chi si trova nella sua stessa situazione. E quale identità potrebbe ave- re oggi Angela Celentano? A tredici anni dalla scomparsa di quella ch’era solo una bimba, i genitori sono con- vinti che lei sia viva e che trascorra i suoi giorni vivendo un’esistenza diversa da quella che avrebbe dovu- to condurre: in un luogo lontano da Vico Equense, con genitori diversi. Ecco invece una personalità più che nota come quella di Luciano De Crescenzo. A ottant’anni, De Cre- scenzo è uno dei più importanti auto- ri partenopei, e racconta tutto l’amo- re verso la sua città d’origine nel libro “Napoli ti voglio bene”. Ancora un’altra individualità de- cisamente forte, sul piano politico ma non solo: quella di Ezra Pound, morto nel 1972, le cui idee sono se- guite oggi dai giovani della nuova de- stra. In questo numero di maggio di ‘Inchiostro’ c’è spazio anche per le identità minacciate: quelle, ad esem- pio, dei cronisti che nel compiere il loro mestiere sono ostacolati dalle mafie, e che rischiano la vita tutti i giorni. Ci siamo concessi infine un pic- colo cenno autobiografico. Come al- lievi-giornalisti del biennio 2007-09 della Scuola di giornalismo “Suor Or- sola Benincasa”, siamo giunti ormai al termine del nostro corso di ma- ster. Stiamo insomma per abbando- nare per sempre la nostra identità di “studenti”. A breve saremo giornali- sti professionisti. E dovremo cercare un’identità tutta nuova, in una socie- tà che sembra paralizzata dalla crisi e che – a un primo sguardo – sembra offrire spazi assai ristretti per i nostri percorsi. Il primo passo? Armarsi di forza di volontà. La nostra identità è lì che ci aspetta. Vita da clochard Viaggio tra speranze e illusioni delle persone abbandonate di B. Daniele e W. Medolla pag. 2 Sieropositivi E dopo Margherita occorre rialzare l’attenzione di Ylenia Gifuni pag. 3 Legalità e mafie Nasce l’Osservatorio sui giornalisti sotto minaccia di Laura Conti pag. 9 Viaggi Ecco le vacanze per conoscere persone invece che musei di Brunella Rispoli pag. 10 Gli insoliti ignoti Se l’anima si ammala di nostalgia Il professor Marcelletti è morto all’improv- viso, aveva sessantacinque anni. Qualcu- no avanza il dubbio che si sia suicidato, qualche altro che sia stato spinto a farlo. Non conoscevo il professor Marcelletti, so soltanto che era stato considerato per mol- ti anni il maggior cardiochirurgo infantile italiano: una specie di benefattore della giovane umanità ammalata. Poi su di lui si erano abbattute infinite polemiche e terribili accuse come quella di pedo-por- nografia: era stato in galera, tuttora aveva l’obbligo di firma in questura. Non opera- va più. Nulla so della veridicità delle accuse, che rispetto proprio come la presunzione di in- nocenza che sento di dovergli. So, per certo, che quando l’immagine di una persona, bruscamente diverge dall’identità che egli ha costruito di sé, e che gli altri gli hanno a lungo riconosciuta, l’artiglio della morte comincia a tentare il suo corpo. L’anima, ammalata di nostal- gia del suo sé perduto, distrugge quel cor- po fattosi estraneo nell’immaginario del mondo. Il fratello di Caino

Transcript of www. unisob.na.it/inchiostro Gli insoliti · “Napoli ti voglio bene”. Ancora un’altra...

Sped

izio

ne

in A

.P. -

45%

art

. 2 -

com

ma

20/b

- le

gge

66

/92

- Fili

ale

di N

apol

i

1° maggio 2009anno

IXn. 8

Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoliwww. unisob.na.it/inchiostro

Alla ricerca d’identità di Francesco Trinchillo

Identità nascoste, o perdute, a confronto con altre identità più che consolidate. Questo numero di ‘In-chiostro’ ruota innanzitutto intorno a una serie di storie e di persone. Perso-ne che cercano ad esempio un’iden-tità dimenticata, come i clochard, che vivono nell’ombra con la speranza di ritrovare quella vita che – anni addie-tro – cambiò a causa di una serie di disavventure economiche, familiari o anche fisiche. Uomini e donne con un passato “normale”, che improvvi-samente si sono ritrovati a vivere in strada e che sembrano, per l’appun-to, dimenticati dalla società, se non fosse per alcune associazioni umani-tarie presenti sul territorio. Altro volto nascosto è quello di Margherita, giovane donna che con-vive con il virus dell’Hiv e che, con una forza di volontà fuori dal comu-ne, fa di tutto per aiutare chi si trova nella sua stessa situazione. E quale identità potrebbe ave-re oggi Angela Celentano? A tredici anni dalla scomparsa di quella ch’era solo una bimba, i genitori sono con-vinti che lei sia viva e che trascorra i suoi giorni vivendo un’esistenza diversa da quella che avrebbe dovu-to condurre: in un luogo lontano da Vico Equense, con genitori diversi. Ecco invece una personalità più che nota come quella di Luciano De Crescenzo. A ottant’anni, De Cre-scenzo è uno dei più importanti auto-ri partenopei, e racconta tutto l’amo-re verso la sua città d’origine nel libro “Napoli ti voglio bene”. Ancora un’altra individualità de-cisamente forte, sul piano politico ma non solo: quella di Ezra Pound, morto nel 1972, le cui idee sono se-guite oggi dai giovani della nuova de-stra. In questo numero di maggio di ‘Inchiostro’ c’è spazio anche per le identità minacciate: quelle, ad esem-pio, dei cronisti che nel compiere il loro mestiere sono ostacolati dalle mafie, e che rischiano la vita tutti i giorni. Ci siamo concessi infine un pic-colo cenno autobiografico. Come al-lievi-giornalisti del biennio 2007-09 della Scuola di giornalismo “Suor Or-sola Benincasa”, siamo giunti ormai al termine del nostro corso di ma-ster. Stiamo insomma per abbando-nare per sempre la nostra identità di “studenti”. A breve saremo giornali-sti professionisti. E dovremo cercare un’identità tutta nuova, in una socie-tà che sembra paralizzata dalla crisi e che – a un primo sguardo – sembra offrire spazi assai ristretti per i nostri percorsi. Il primo passo? Armarsi di forza di volontà. La nostra identità è lì che ci aspetta.

Vita da clochardViaggio tra speranze e illusioni delle persone abbandonatedi B. Daniele e W. Medollapag. 2

SieropositiviE dopo Margherita occorre rialzarel’attenzionedi Ylenia Gifunipag. 3

Legalità e mafieNasce l’Osservatoriosui giornalistisotto minacciadi Laura Contipag. 9

ViaggiEcco le vacanze per conoscere personeinvece che museidi Brunella Rispolipag. 10

Gli insolitiignoti

Se l’anima si ammala di nostalgiaIl professor Marcelletti è morto all’improv-viso, aveva sessantacinque anni. Qualcu-no avanza il dubbio che si sia suicidato, qualche altro che sia stato spinto a farlo. Non conoscevo il professor Marcelletti, so soltanto che era stato considerato per mol-ti anni il maggior cardiochirurgo infantile italiano: una specie di benefattore della giovane umanità ammalata. Poi su di lui si erano abbattute infinite polemiche e terribili accuse come quella di pedo-por-nografia: era stato in galera, tuttora aveva l’obbligo di firma in questura. Non opera-va più.Nulla so della veridicità delle accuse, che rispetto proprio come la presunzione di in-nocenza che sento di dovergli.So, per certo, che quando l’immagine di una persona, bruscamente diverge dall’identità che egli ha costruito di sé, e che gli altri gli hanno a lungo riconosciuta, l’artiglio della morte comincia a tentare il suo corpo. L’anima, ammalata di nostal-gia del suo sé perduto, distrugge quel cor-po fattosi estraneo nell’immaginario del mondo.

Il fratello di Caino

I duemila invisibili del marciapiedeStorie di clochard. Abbandonati tra speranze e illusioni di una vita normale

di Beniamino Daniele e Walter Midolla

Un cartone come casa e lunghe file per un pasto caldo. La giornata di chi non ha un tetto passa così, in attesa delle 6 del pomeriggio per bussare alle porte delle mense dei poveri e alla ricerca di un angolo di strada più sicuro e riparato dove trascor-rervi la notte. Non esistono cifre precise su quanti senza fissa dimora ci sono a Napoli e in Italia. Si tratta di persone che tendono continuamente a spostarsi rendendo difficile ogni forma di censimento.I dati più recenti risalgono al 2001 e parlano di diciasset-temila persone sparse su tutto il territorio naziona-le. Una cifra destinata inevitabilmente a crescere se si considerano gli abitanti di baraccopoli, campi nomadi ed edifici dismessi. Ma qual è l’identikit del senza tetto di oggi? I tratti distintivi sono ben diversi da quelli tramandati della tradizionale iconografia del clochard. L’individuo che rifiuta il mondo, le sue con-venzioni e che è completamente avulso dal tessuto sociale quasi non esiste più. I nuovi senza tetto sono persone con alle spalle un passato apparentemente normale, finiti in strada a causa di una serie di di-savventure economiche, familiari, fisiche o perché vittime della recente crisi economica. Secondo uno studio del 2008 coordinato da Michela Braga e Lucia Corno per il PhD Students in Economics dell’Università Bocconi di Milano, la popolazione è prevalentemente composta da stra-nieri (quasi il 70%), per lo più immigrati di nuova generazione arrivati dopo il 2000, di età compresa tra i 30 e i 40 anni. Secondo la ricerca, tutti hanno un discreto livello di istruzione, addirittura il 6% di questi è laureato. Quasi l’80% è attivo sul mercato del lavoro, circa un terzo ha svolto un lavoro nell’ul-timo mese, nella maggior parte dei casi a nero, sen-za alcun tipo di contratto. “Si tratta di dati molto importanti – spiegano le due ricercatrici –. Questa fotografia del fenomeno dimostra che si tratta di una popolazione estrema-mente variegata, ma con caratteristiche di capitale umano che lasciano pensare alla possibilità di un reinserimento. Politiche di assistenza – continuano - sono importanti, ma rischiano di creare una sorta

di dipendenza. Politiche di inclusione sociale e di aiuto nella ricerca di un lavoro e di una casa posso-no invece dare risultati positivi”. Una bella scommessa dunque. Scommessa vinta da Viktor, cinquantenne ucraino, che per anni è stato uno dei circa 2000 invisibili che vivono per strada a Napoli. Ha rischiato anche di morire Vik-tor, a causa della sua dipendenza dall’alcool. Poi è riuscito a rialzarsi, ha smesso di bere, ha trovato una casa e adesso collabora con le asso-ciazioni di volontariato napoletane per aiutare le persone che patiscono quelle stesse pene che lui in passato ha provato sulla sua pelle. “Tu provi a fare qualcosa per cambiare la tua

situazione – racconta Viktor – ma quando vedi i fal-limenti ti viene un dubbio: forse è meglio vivere per strada, bere e non pensare. L’importante per chi ne vuole uscire – conclude – è capire che vivere e finire così non è giusto per nessuno”. La morte per i senza tetto sembra essere una costante e oscura presenza. Ogni anno in inverno si registra una vera e propria mattanza. Freddo e alcool sono infatti la causa principale di morte tra i senza fissa dimora. “Questo non mi fa paura – dice Hadji, senza-tetto di origine marocchina – . Quando vivi per stra-da non hai paura di niente perché la pena massima già la stai scontando”.

Ecco chi aiuta veramente i senza tetto A Napoli sono tante le realtà del terzo settore che aiutano i senza fissa dimora. In prevalenza sono cooperative sociali e isti-tuti religiosi a offrire vitto, alloggio, assistenza medico sanitaria e supporto per un reinserimento nel mondo del lavoro e nella so-cietà. Una di queste è la cooperativa “Il Camper” di Mario Rimoli che durante la settimana gira le strade della città con un furgone messo a disposizione dal Comune di Napoli e fornisce pasti caldi, coperte e vestiti a chi non ha una casa.

La “Fondazione Leo-ne” mette a diposizio-ne dei senza tetto un centro di ascolto, la-boratori di avviamen-to al lavoro con corsi di informatica e di la-vorazione di cuoio e ceramica e un ambu-

latorio per l’assistenza odontoiatrica gratuita. Nel cuore del centro storico, nei pressi del Grande archivio nazionale, c’è invece il dormitorio pubblico. “Lo specchio della no-stra società”: così lo definisce il suo direttore responsabile Luigi Del Prato. “Negli ultimi tempi – spiega Del Prato – sta bussando alla nostra porta la cosiddetta nuova povertà. Persone con un passato di normalità, vittime della recente crisi economica. D’al-tronde – continua Del Prato – anche i miei stessi impiegati sono in difficoltà. Sfido chiunque ad andare avanti con circa 700 euro al mese”. Gli ospiti del dormitorio sono sottoposti a un rigido regime di regole e a un programma di reinserimento in società. Ogni mese fanno richiesta per entrarvi circa trenta persone, molte del-le quali finiscono nelle lunghe liste di attesa a causa della man-canza di posti.

B.D. W.M.

ZOOM pagina 2 inchiostro n. 8 – 2009

Aids, a Napoli aumentano i sieropositiviI dati forniti dall’ospedale Cotugno: sono diminuiti i controlli periodici

di Ylenia Gifuni

Nessuna emozione sembra scalfire una soli-da barriera di rassegnazione. Lo sguardo è spento, segnato da borse scure che contrastano con il co-lorito incredibilmente pallido. Se li guardi dritto negli occhi ti accorgi immediatamente del perché sono chiamati invisibili. A piccoli passi attraversano l’ambulatorio del Gruppo C dell’ospedale Cotugno di Napoli. E’ uno dei luoghi in cui è possibile ef-fettuare il test gratuito e anonimo dell’hiv ed è qui che i sieropositivi, in media una volta ogni tre mesi, devono sottoporsi ai controlli di rito per definire la terapia antiretrovirale. La più seria epidemia infettiva del mondo è ben lontana dall’essere sconfitta. Secondo il rapporto Coa (Centro operativo aids) dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2008 si sono registrati 1.400 nuovi casi di Aids conclamata in Italia. In 25 anni, dall’annun-cio della scoperta a oggi, si contano 60.500 conta-gi. I due terzi non ce l’hanno fatta. “La Campania è al di sotto della media nazionale - sottolinea Oreste

Perrella, direttore del dipartimento Emergenze infettive dell’azienda ospeda-liera Cotugno - ne-gli ultimi 12 mesi si sono registrati 834 nuovi casi. Il trend epidemiologico ri-spetta quello degli altri Paesi occidenta-li: la prima via di tra-

smissione è il rapporto eterosessuale”. Nella corsia ambulatoriale del Cotugno non è necessario fermarsi alla macchinetta taglia code. Il numero di utenti in attesa dei prelievi si conta sul-le dita di una mano. Chi vuol fare il test dell’Hiv può prendere posto sull’unica fila di sedie e attendere il proprio tur-no. “Il target è variegato - dice il re-sponsabile dell’unità operativa Roberto Gnarini -. Sono sempre meno i tossico-dipendenti che per lo più vengono as-sistiti nei Sert e si alza l’età media del contagio. Oggi assistiamo a un aumen-to di donne sieropositive che scoprono il virus intorno ai 37/38 anni e non san-no quando possono averlo contratto”. Secondo Gnarini c’è stato “un calo di attenzio-ne generale che ha comportato la diminuzione dei controlli periodici da parte di persone con compor-tamenti sessuali a rischio”. Dai 1679 screening ef-fettuati all’ospedale Cotugno nel 1992 si passa, negli ultimi due anni, a soli 691 test nel 2007 e a 562 nel 2008. La percezione del rischio si abbassa ma, in proporzione, aumenta la sieropositività con 41 Hiv positivi nel 2007 e 56 negli ultimi dodici mesi. Un enorme passo indietro rispetto ai primi anni ’90 quando Lupo Alberto e la sua fidanzata, la gallina Marta, prestavano i loro volti sorridenti alle campagne ministeriali sull’uso del preservativo nel-la lotta all’Aids. “Cosa aspetti a metterlo? Che sia fir-mato Nike?”, recitava un’indimenticabile vignetta. Dopo il boom mediatico e i progressi della ri-cerca scientifica i riflettori si sono abbassati. La di-

sponibilità sul merca-to della te-rapia anti-retrovirale a elevata a t t i v i t à (Haart) ha

aumentato notevolmente il tempo che intercorre tra la diagnosi e la morte. “Possono trascorrere - riferi-sce il professor Perrella - anche più di 20 anni dal passaggio dall’Hiv all’Aids”. Oggi la maggior parte dei pazienti può curarsi e sopravvivere per lungo tempo, ma la comunità medica conferma che “nes-suno può guarire e non esistono vaccini”. Questo esercito silenzioso ha assunto contor-ni sempre più indefiniti. Ogni anno l’Istituto Su-periore di Sanità pubblica il report sullo stato della malattia. Se è abbastanza semplice disporre di una mappatura aggiornata dell’Aids in Italia, diventa complicato quantificare il numero di contagi da Hiv. I centri diagnostici che effettuano i test han-no l’obbligo di comunicare annualmente i prelievi effettuati e i risultati conseguiti, ma la legge 135 del 1990 stabilisce che “la rilevazione statistica dell’in-fezione da HIV deve essere comunque effettuata con modalità che non consentano l’identificazione della persona”. Per motivi di privacy un registro na-zionale della sieropositività non è mai stato appron-tato. Le statistiche risultano solo campioni appros-simativi e il numero reale di Hiv positivi potrebbe essere di gran lunga superiore a quelli ufficialmen-te riconosciuti.

La testimonianza di Margherita “Sono preoccupata per i giovani” Il bacio che prepara l’amore: è la differenza che intercorre tra il virus dell’Hiv e l’Aids. Margherita l’ha sperimentata sulla propria pelle a 16 anni, “un’età in cui si è convinti che è possibile salvare il proprio uomo che si fa del male da solo”. Ma non ci si improvvisa crocerossine e l’Aids non perdona. “Sapevo del ri-schio, lui mi aveva avvertito – racconta cercando di nascondere un velo di com-mozione nei grandi occhi color nocciola –. Trascorrevo i giorni con la speranza di non essere contagiata. Siamo rimasti insieme 7 anni, non potevo evitarlo”. Oggi Margherita ha 31 anni, da 15 convive con i check up trimestrali e l’assunzione, più volte al giorno, dei farmaci antiretrovirali. E’ un’attivista Nps (Network Persone Sieropositive), una onlus che da qualche anno si è emancipa-ta dalla più ampia Anlaids. La malattia ha deciso di affrontarla a viso aperto, parlandone ogni giorno con chi c’è dentro. Non utilizza pubblicamente la sua immagine perché i suoi genitori “non sarebbero contenti”, e si occupa quoti-dianamente della difesa dei diritti delle persone Hiv positive. Durante l’inter-vista il suo cellulare squilla spesso. “Ricevo telefonate da diversi luoghi della penisola – dice – mi cercano per segnalare disservizi da parte di strutture ospe-daliere o chiedere informazioni sulle terapie. Ormai con il federalismo sanita-rio ognuno fa quello che vuole, alcune strutture chiedono addirittura un ticket per effettuare il test”. Margherita è informatissima sulle nuove frontiere della ricerca e sulle fasi di sperimentazione del vaccino Tat dell’Istituto superiore di Sanità. Cono-sce a mente quanti contagi si sono registrati in Italia e in Campania negli ultimi anni e i decreti governativi in materia. “Sono preoccupata soprattutto per le nuove generazioni – ammette –. La fascia di età più a rischio è dai 16 ai 31 anni che non conosce le campagne ministeriali di prevenzione”.

Y.G.

pagina 3

Per i test anonimi c’è l’ambulatorio esterno dell’ospedale Cotugno di Napoli

Ecco chi aiuta veramente i senza tetto

Caso Celentano, sulle tracce di AngelaLa mamma: “Sono convinta che adesso mia figlia viva in una famiglia normale”

di Lilly Viccaro Angela è viva. È da qualche par-te del mondo insieme a una famiglia che non è la sua, ma sta bene ed è una ragazza bellissima, così come era bel-la quando era piccola, tre anni e viveva una vita che non appartiene più, fisi-camente, ai Celentano. E’ la certezza di Catello e Maria Celentano, genito-ri di una bimba dai grandi occhioni scuri che aveva solo tre anni quando è scomparsa misteriosamente dal Mon-te Faito. Da allora ne sono trascorsi tredici. La speranza dei suoi genitori non ha vacillato nemmeno per un se-condo. Sentono dal profondo del loro affetto genitoriale, che la loro Angela è viva, lontana da loro, dalla casa di Vico Equense, dalla montagna dalla quale è stata rapita, ma c’è. E la aspettano. Senza la dispe-razione dei primi tempi, Maria e Catello affrontano ogni giorno nell’attesa che la loro Angela possa torna-re a casa, quella vera. Era il 10 agosto del 1996 quando, durante una gita sul Mon-te Faito, Angela scompar-ve dagli occhi dei genitori, parenti e amici in quella che sembrava una frazione di secondo. Le ricerche sul massiccio partirono immediata-mente ma non diedero esito: soprat-tutto questo, insieme a una “certezza incrollabile che viene dal cuore e che siamo sicuri che la gente potrebbe far fatica a comprendere”, fa credere a Ca-tello e Maria che Angela sia stata rapita e poi immessa nel giro delle adozioni

illegali. L’11 giugno Angela compirà se-dici anni: “Speriamo di festeggiare il suo compleanno con lei”, ci racconta la mamma-coraggio, una di quelle con una forza d’animo che non ti aspetti, alimentata anche dalla solidarietà della gente che, dopo tredici anni, non è ve-nuta mai a mancare. In questo lasso di tempo, i messaggi di solidarietà sono stati tantissimi e continuano ad arriva-re copiosi all’indirizzo dei Celentano. Hanno sofferto Catello e Maria, ma hanno altre due figlie da crescere. Due bambine che vivono dei ricordi della sorella, che sanno qual è il letti-no di Angela, i suoi giocattoli, le cose a lei care. Oggettini semplici, quelli preferiti da una serena bambina di tre anni che oggi è una ragazza di sedici. I suoi giochi sono in primo piano nel nuovo sito internet a lei dedicato, tra-

dotto in più lingue. Angela oggi potrebbe essere una ragazzina che come tante altre della sua età naviga e curiosa nella rete. Se capitasse sul suo sito, potrebbe avere un barlume di ricordo

che la faccia riconoscere nella bambina che è stata e di cui probabilmente non può avere memoria. Le indagini oggi, a tredici anni dal dramma del Faito sono ferme. “Gli inquirenti prendono in considerazione solo le segnalazioni, che pure sono state tante – dice mam-ma Maria –. In un certo periodo ci si accaniva sulle famiglie rom, ma biso-gna cercare dappertutto. Sono convinta

che Angela si trovi in una famiglia nor-male”. La signora che appare sul sito angelacelentano.com è una ragazza abbracciata al marito, sorridente nono-stante il dolore sordo che fiaccherebbe qualsiasi donna, ma non lei, convinta di poter abbracciare un giorno la sua Angela. Dal balcone della loro casa, il Monte Faito si vede bene. “I primi tempi solo dare uno sguardo alla mon-tagna mi faceva stare malissimo. Mi passavano tanti brutti pensieri per la testa. Ma non vogliamo demonizzare un luogo. La montagna è bellissima e lei non c’entra”. Nessun risentimento, neanche verso il luogo dal quale la figlia non è tor-nata più a casa. Da oggi il Monte Faito diventa un simbolo: “Abbiamo avuto a che fare con la sofferenza di tante persone ed è pro-prio ai bambini a rischio che dedichiamo i nostri pensieri”. Nata sulla scorta del voler aiutare, figlia della sofferenza, l’associazione “Angela Celentano Onlus” sta costruendo proprio sul Faito un centro d’ac-coglienza per i minori a rischio e i bambini in diffi-coltà. Un atto d’altruismo che viene da una famiglia privata del bene più pre-zioso e convinta del ritor-no di Angela. Magari pro-prio per il giorno del suo compleanno.

L’11 giugnocompirebbesedici anniSparì nel 1996

PERSONE pagina 4 inchiostro n. 8 – 2009

Angela Celentano aveva tre anni quando è scomparsa dal Monte Faito, il 10 agosto del 1996. L’11 giugno ne compirà sedici. Da poco è stato realizzato un restyling al sito a lei dedicato e gestito dalla famiglia. Moltissimi volontari hanno tradotto il contenuto delle pagine web che parlano di Angela in sei lin-gue, in modo che la ricerca della scomparsa sia sempre più vasta e che tocchi quante più comunità possibili. Non si contano, già da anni, i messaggi di solidarietà che arrivano da ogni parte del mondo ai genitori Catello e Maria. Inoltre, connettendosi al sito www.angelacelentano.com, si possono vedere due “invecchiamenti”. Si tratta di un proce-dimento scientifico basato sulle ricostruzio-ni fotografiche che mostrano come Angela potrebbe essere oggi: le due operazioni sono state messe a punto dall’Fbi e dai Ris.

L.V.

De Crescenzo: “La mia Napoli non è Gomorra”Nuova edizione di Bellavista. “Questo libro è un segno d’amore per la mia città”

di Marco Perillo

La sua vocazione letteraria Luciano De Crescenzo la deve a un giorno di parecchi anni fa. La funicolare centrale è in sciopero e l’allora studente d’inge-gneria, oggi ottantenne, è costretto a farsela a piedi dal Vomero a Mezzocan-none. Scendendo le scale del Petraio trova un uomo malridotto accasciato sui gradini, il piattino dell’elemosina e una scritta su un pezzo di cartone: “Ridotto in questo stato dal cognato”. De Crescenzo fotografa la scena e da quel momen-to decide di mettersi alla ricerca di situazioni simili da immortalare. Qualche anno dopo, scrivendo le didascalie delle foto, capisce che può ricavarne un ro-manzo. “Così parlò Bellavista” diventa un successo editoriale da più di 600mila copie vendute, ma pochi sono in possesso del libro fotografico su Napoli che fu pubbli-cato nel 1979. Di recente quel libro è tor-nato a vedere la luce grazie alla riedizione a tiratura limitata, quasi una “chicca” con l’introduzione di Domenico De Masi, da parte del piccolo editore Grimaldi di via San Pasquale a Chiaia. Una sola novità: il titolo non è più “La Napoli di Bellavista” ma “Napoli ti voglio bene”. Per quale motivo, De Crescenzo? Questo libro vuole essere un ulterio-re segno d’amore nei confronti della mia città, che ormai non abito più da anni, ma che porto con me ogni giorno della mia vita. Si figuri che sono arrivato a conside-rare Roma e un quartiere periferico di Na-poli! Ecco perché il “Ti voglio bene”, cosa che ultimamente non sento dire nei con-fronti della città. Sa che oggi in molti vorrebbero andar via? Purtroppo lo so, ma continuo a pensare che tutti quelli che ci sono nati debbano ritenersi fortunati! Napoli è un luogo in cui è ancora possibile parlare, incontrarsi, confrontarsi. Le faccio un esempio: quando sono stato in Giappo-ne, ho visto la gente che usciva dalla metropolitana andare così di fretta da non fermarsi a parlare con nessuno. Questo l’ho trovato orribile. A Napoli, invece, succede proprio il contrario. Si può stare ancora bene in questa città perché la gente è ancora piena di calore umano. Eppure non basta. In molti ritengono che non esista più la romantica “Napoli di Bellavista”; oggi si parla di “Gomorra”. Lei ha letto il libro di Roberto Saviano o ha visto il film?

No, nessuno dei due. Si rifiuta di vedere com’è ridotto oggi questo territorio? Mi creda: non riesco mai a trovare il tempo di leggere quel libro! E il dramma dell’emergenza rifiuti come lo ha vissuto? Non le ha fatto male che i napoletani siano stati identificati in tutto il mondo con l’immondi-zia? Ringraziamo Dio che è così! Quand’ero bambino, morivamo talmente di fame che l’immondizia non esisteva proprio! Era un piccolissimo pacchetto avvolto in carta di giornale che veniva a prendere a domicilio il munnezzaro. Dall’immondizia si misura la ricchezza di un popolo, e Napoli da questo punto di vista mi sembra abbastanza ricca! Ovviamente sto scherzando per esorcizza-re un dramma, ma sto pensando di scriverci un libro a riguardo. Lo intitolerò

proprio “Munnezza”… Quale sarà invece la sua prossima pub-blicazione? Sto lavorando a un romanzo indirizza-to a mio nipote di 12 anni. Lo voglio intito-lare “Nonno, che cos’è la filosofia”? E dove vive suo nipote? Proprio a Napoli, come mia figlia. Hanno mai pensato di andar via? Nemmeno per sogno! Qual è una persona o una situazione che la lega ancora a questa città? Il ricordo di Renato Caccioppoli, che è stato mio professore universitario quan-do studiavo matematica. Con lui ho preso un voto altissimo: 21! Un grande risultato, visto che agli esami bocciava tutti. È una di quelle persone che spero di ritrovare in un’altra vita.

In Paradiso? Anche all’Inferno, che mi sembra più divertente! E chi altri vorrebbe incontrare nell’Aldilà? La mia prima fidanzatina, Giuliana, che amavo quando avevo 15 anni. Poi Federico Fellini, uno dei miei maestri più grandi. Lo raggiungevo ogni mattina alle 6 a Piazza di Spagna, per farmi raccontare in anteprima le sue sceneggiature. Quindi, secondo lei, esiste l’Aldilà? E che ne so? Spero! Anzi, mi ha dato l’idea per un terzo libro. Mi sa che lo intitolerò proprio così: “Spero”!

di Anna Maria Giaquinto “In Italia, il vero dramma della cultura è il velleitarismo”. Il giudizio del maestro Nicco-lò Parente è inequivocabile. Pianista di fama internazionale, direttore alla programmazio-ne del teatro alla Scala di Milano, poi diretto-re artistico del teatro Carlo Felice di Genova e del San Carlo di Napoli, oggi Niccolò Parente è presidente del Conservatorio San Pietro a Ma-jella di Napoli. La vicenda dei tagli ai fondi destinati al teatro San Carlo non lo appassiona. Come la provocazione, lanciata dallo scrittore Alessan-dro Baricco, di deviare alla televisione i soldi stanziati ai teatri italiani. “Oggi – commenta – è cultura avere una strada pulita, non uno spettacolo commissionato da un assessorato, perché quella non è cultura, è impresariato. La politica dovrebbe favorire gli impresari, non sostituirsi a essi per generare clientela”. Nell’analisi della realtà italiana sono molti gli aspetti che lo preoccupano. Al primo

posto, la progressiva rarefazione delle compe-tenze. “Quando gli spettacoli erano rivolti allo stesso pubblico che generava l’offerta – spiega – anche se c’era il rischio dell’ autoreferenzia-lità, si affermava solo chi aveva le competen-ze”. Parente non si diletta nel catastrofismo, si limita ad indicare esempi concreti. “Intorno al Mercadante c’è stata più una contesa po-litica che l’intenzione reale di farne un’isti-tuzione culturale. A Napoli le persone capaci hanno dovuto arrangiarsi contro un sistema perverso dominato dalla politica”. I giudizi si fanno pungenti quando la conversazione si sposta sul Teatro Festival di Napoli. “Tutti questi festival mi paiono senza senso – sorride –. Sono inutili tritacarne in cui si butta di tutto. Si è perso il rapporto tra do-manda e offerta, quella sensibilità condivisa che consentiva solo alla qualità di prevalere. Eliminare la compartimentazione tra i vari mezzi espressivi è stato un danno e le conta-minazioni non hanno portato a nulla di buo-

no perché hanno azzerato le competenze spe-cialistiche, abbassato il livello generale delle proposte. La mediocrità ha sommerso l’eccel-lenza”. E i Conservatori? “Ai miei tempi – ricor-da – quando all’estero si guardava all’Italia come a un modello da emulare, i Conservatori erano scuole professionali in cui si imparava a suonare uno strumento ai massimi livelli, così sono nati gli Accardo e i Pollini. Oggi si studia musica e si ha l’idea che lo stru mentista debba avere una cultura uni-versitaria per l’ambizione di formare dei tut-tologi. Il mercato ci punisce, siamo diventati più deboli sul piano della competizione inter-nazionale”. Lo sguardo del Maestro si rivolge al fu-turo. “La computer music potrebbe salvarci – dice sorprendendo l’ascoltatore – il desiderio di fare musica si può appagare in altri modi e lo studio dello strumento potrà essere riserva-to a chi dimostra di averne le capacità”.

Le eccellenze perse nel mare della mediocritàPolitica e cultura: parla Niccolò Parente, presidente del Conservatorio di Napoli

pagina 5

di Antonio Crispino

Nella home page del sito ufficiale c’è ancora il video con il discorso del Presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano venne a inaugurare il Polo della Qualità di Marcianise il 22 settembre di due anni fa. “Mi auguro che sap-piate andare avanti così” disse alla presenza delle centinaia di imprenditori che diedero vita al centro polifunzionale. Eppure, c’è chi sostiene che i problemi siano nati proprio da quel giorno. “Non dovevamo chiamare il Presidente della Repubblica – dice l’amministratore delegato della Harmont & Blaine Dome-nico Menniti - i guai sono iniziati da lì, abbiamo badato alla forma più che alla sostanza”. Fin dall’inizio Menniti ha aderito al Polo con la sua azienda che oggi è un punto di riferimento nell’abbigliamento di lusso made in Campania. La Harmont & Blaine è solo un pezzo delle 220 imprese che hanno creduto nel progetto e delle 400 previste nel futuro del consorzio. Nessuna immaginava che dopo poco più di un anno sarebbe andata incontro al fallimento. La settima sezione fallimentare del Tribunale di Napoli ha di recente dichiarato lo sciogli-mento della società consortile fondata da Guglielmo Aprile. Del Polo della Qualità, oggi, resta una cattedrale nel deserto. Vive solo in occasione di qualche spettacolo o sfilata di moda. Nella bellissima struttura zen che si trova alle spalle del Tarì (il polo dell’oreficeria la cui notorietà e successo invece hanno varcato i confini nazio-nali) non c’è più nessuno. La visitiamo in un sabato pomeriggio, quando negli altri centri com-merciali c’è il pienone. Nel mega parcheggio da più di 2000 posti ci sono solo 12 auto. Il “tempio della moda”, come lo avevano battezzato all’inizio, è aperto al pubblico. Tutto è funzionante e curato. Anche se il personale è stato ridotto al minimo. Ci sono solo due uscieri all’ingresso. Persino il bar all’interno ha abbassato le serrande. Quando si entra si sente ancora l’odore dei divanetti in pelle sistemati nella grande hall. Lo scenario è spettrale. I corridoi sono de-serti. Gli store ospitano i marchi più prestigiosi della moda e della gioielleria napoletana. Ci sono Marinella, Mario Valentino, Harmont&Blaine, Altanus e tanti altri. Ma sulle grandi vetrine sono rimasti solo i nomi. C’è anche uno

spazio dedicato all’Accademia delle Belle Arti. Qui dovevano venire giovani a studiare Moda, Fashion & Design. Un po’ tutti i 131 mila metri quadri appaio-no come lande australiane: desolanti. Di vivo ci sono solo i 110 milioni di euro di debiti, di cui gran parte maturati per l’inadempienza di alcuni imprenditori che hanno prenotato i moduli senza pagarli. La via di svolta è nelle mani delle banche. Ci sono Unicredit, SanPaolo e Monte Paschi di Siena attorno al tavolo che dovrebbe portare al rilancio del progetto. Anche se molti investitori hanno chiesto di uscirne. Si parla di un interessamento da parte di imprenditori libici. Di concreto non c’è ancora niente. I più scettici sono i lavoratori. Alcuni sono rimasti senza stipendio per tre mesi, altri aspettano una chiamata dalle rispettive aziende. “Parados-salmente – dicono alcuni – più che alle nostre sorti lavorative, guardiamo alle vicende giudiziarie. Sappiamo che la società ha fatto opposizione al decreto di fallimento del Tribunale (a giorni si attende la decisione, ndr) e tutti noi preghiamo che possa essere accolto per ricominciare a programmare anche il nostro futuro”.

La recessione non esiste per Louis VuittonLa casa di moda francese si conferma leader mondiale nel settore del lusso

di Filomena Leone C’è chi se ne infischia della crisi e “investe ugualmente in borsa”. Sono le donne che non rie-scono a fare a meno di acquistare un accessorio fir-mato Louis Vuitton. Ci sono le solite note che spendono l’intero stipendio nell’acquisto del pezzo cult. Ci sono quelle che mettono i soldi nel salvada-naio fino a quando avranno rag-giunto la somma necessaria per avere l’oggetto del desiderio. Ma non solo. Infine ci sono donne disposte a fare liste d’attesa imbarazzanti pur di ordinare il must di stagione. Le fashion victim non possono fare a meno di sfoggiare borse della mai-son francese. Ce ne sono per tutti i gusti. Da quelle intra-montabili e classiche a quelle in edizione limitata. Sono tutte eleganti, raffinate e soprattutto costo-se. Louis Vuitton è da sempre leader nella moda d’avanguardia e fedele alla tradizione artigianale degli articoli di pelletteria. Anche nel 2008 si è confermato campione mondiale nel settore del lusso. E’ riuscito a genera-re un fatturato di 17,2 miliardi di euro, in aumento del 4 per cento rispetto al 2007. Il gruppo guidato da Bernard Arnault ha chiuso così il 2008 con un utile netto di 2,02 miliardi, stabile rispetto all’anno pri-ma, ma inferiore alle attese delle analisti. Arnault ha sottolineato come il gruppo sia sempre uscito forte anche dalle precedenti crisi

economiche, grazie alla dinamica innovazione del-le sue marche. “I risultati - ha detto - dimostrano l’eccezionale capacità di reazione alla recessione”. E punta ancora più in alto: nel 2009 intende rafforza-re la sua posizione di leader del lusso. In generale il settore della moda e la pellette-ria, nel 2008, ha registrato una progressione: gli uti-li sono aumentati a 1,9 miliardi, pari al 5 per cento;

sul fronte del fatturato, si è avuto un +10 per cento a 6 miliardi. Viene da dire: “Altro che crisi”. O addirittura: “Alla faccia della cri-si”. Scrive Melissa su un blog di

moda: “Siete pazze. Come si fa a spendere così tan-to per una borsa, quando c’è gente che non riesce ad arrivare a fine mese?” La pensa così anche Cecilia che ha lasciato questo messaggio: “Esibire borse da mille euro equivale a dare uno schiaffo alla miseria. Ci sono persone che non hanno nemmeno i soldi per comprare il pane e l’acqua”. Per Daniela, un’altra internauta della moda, “Vuitton è un modo di vivere. La borsa con questo marchio è un accesso-rio indispensabile per una donna che vuo-le essere sempre elegante e chic”. Roberta, invece, compra le borse al mercatino dell’usato, ma ritiene che chi è ricco debba “far girare l’economia”, acqui-stando borse dai prezzi altissimi. Louis Vuitton sa come accontentare le sue clienti. ‘Minaudiere’ è un oggetto per nababbi: è una pochette, un lingotto d’oro finemente lavorato

da artigiani specializzati. E’ tutta in oro 18 carati, in serie limitata, numerata e disponibile solo su ordi-nazione. Il prezzo? Per averla bisogna spendere 222 mila euro. Nonostante alcune polemiche, Louis Vuitton, facendosi portavoce dei prodotti francesi di lusso, ha aperto il suo negozio parigino di domenica e se-gna un nuovo record con l’apertura del più grande negozio del brand in Indonesia. Niente crisi per LV, ma solo fascino, brio, se-duzione e allegria nella collezione autunno inverno 2009-2010 disegnata da Marc Jacobs. In passerella hanno sfilato abiti e accessori uno più bello dell’al-tro, con fantastiche borse protagoniste. Persino più belle delle modelle. Jacobs ha realizzato una mini-collezione di

borse in canvas, sul cui fronte è stata impressa l’in-segna dei furgoni che, nel 1929, consegnavano va-ligie, sacche e bauli firmati Louis Vuitton. Non tro-vate che sia una strana coincidenza l’aver scelto le insegne risalenti all’anno del crollo della borsa ame-ricana proprio nel periodo in cui c’è crisi?

A Marcianise non c’è più la QualitàIl Tribunale di Napoli ha dichiarato il fallimento del Polo guidato da Guglielmo Aprile

ECONOMIA pagina 6 inchiostro n. 8 – 2009

“La borsa è un accessorio indispensabile per una donna chic ed elegante”

Il “Polo della Qualità” di Marcianise

Un dettaglio di una campagna pubblicitaria di Louis Vuitton

La nuova destra agisce nel nome di EzraGli attivisti campani di Casapound: “Niente legami con i partiti”

La battaglia di De Mita in terra d’Irpinia di Rosa De Angelis

In guerra e in amore tutto è concesso. Anche il nemico storico può diventare il miglior alleato. È il caso del Pdl che per strappare al Pd le pro-prie roccaforti ha deciso di allearsi in Campania con l’Udc. In Irpinia il partito di Pierferdinando Casini è incarnato dallo storico leader Ciriaco De Mita, dopo la rottura con Walter Veltroni e con il Partito democratico. La strategia del Pdl è lascia-re il Comune a De Mita, che propone come can-didato l’ex sindaco Massimo Preziosi, e puntare alla presidenza della Provincia con la candidatu-ra di Cosimo Sibilia. Si apre così la campagna elettorale. Il Pdl schiera i suoi. Il Pd, con le primarie, ripropone gli stessi candidati vincitori delle scorse elezio-ni amministrative. E’ in corsa per la Provincia la presidente dimissionaria Alberta De Simone, che era caduta proprio a causa della rottura tra De Mita e il Pd. Al Comune è candidato il sindaco Giuseppe Galasso, forte del 70% di preferenze, ottenuto alle primarie. Bruno Guerriero, direttore del quotidiano di Avellino Ottopagine, parla di una particolarità tutta irpina: “Il leader di Nusco si è schierato da tempo in rotta di collisione col partito democra-tico, qui siamo in casa De Mita. Quelli che erano i compagni di viaggio ora sono gli odiati nemici”. Il suo obiettivo è chiaro: liquidare la classe di-rigente del Pd in Campania, anche se come dice De Mita stesso: “L’alleanza non cancella nessuna storia”. E quella del leader è lunga cinquant’an-ni. “Quando una persona ha una storia partico-lare, da leader dentro un partito, dentro un per-corso logico che è quello dei popolari. È evidente che esistono delle difficoltà in caso di cambio di campo”, spiega. Sull’intesa è lo stesso ex leader Dc a spiegare: se l’intesa non darà i suoi frutti dopo le elezioni il matrimonio strategico verrà sciolto e ognuno tornerà alla propria casa. La partita è ancora tutta da giocare. Per Guerriero “Galasso parte come grande favorito, ma il voto è tutt’altro che scontato, so-prattutto alla Provincia”. Ancora prima dell’accordo tra i due schiera-menti sono cominciati i malumori in seno al Pdl. “C’è una parte della destra - spiega il direttore - che immagina che con l’alleanza con De Mita si possa vincere perché significa portarsi dietro un elettorato forte di centro. Ma una parte della destra non dimentica gli scontri, i rancori, le ruggini che ci sono stati in passato proprio con De Mita, e c’è anche qualcu-no che immagina che l’abbraccio con il leader di Nusco possa essere mortale”. A questa mossa il Pd risponde riproponendo l’alleanza con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. De Mita potreb-be essere ancora una volta l’ago della bilancia di questa campagna elettorale.

di Carmine Saviano e Nicola Sellitti

Il Pdl? No grazie. La nascita del sogget-to politico guidato dal presidente del Consi-glio Silvio Berlusconi solleva forti polemiche e distinguo nell’associazionismo di destra campano. Tra queste c’è anche Casapound, centro sociale romano che conta cinque sedi in Campania e settanta iscritti tra Aversa e Na-poli. “Il neonato parti-to è uno spazio liberal-conservatore espressio-ne della nuova destra reazionaria, molto simi-le all’esperienza ‘gaulli-sta’ in Francia - spiega un militante di Aversa -. Si tratta di una fusione politica che si rivolge ai moderati, maggioranza invisibile da sempre presente in Italia. In de-finitiva il Popolo della libertà si ispira agli ide-ali della vecchia Democrazia Cristiana e trova un collante principale nella presenza cari-smatica del suo leader, il presidente del Con-siglio. E’ avvantaggiato dalla frammentarietà che caratterizza sia la sinistra che le altre famiglie politiche”. Identità e autarchia, Carta del lavoro mussoliniana e culto del neofascismo della prima re-pubblica formano il credo dell’as-sociazione. Sullo sfondo il degra-do sociale dei militanti incanalato in atti di intolleranza, teppismo e violenza. Come quella più volte minacciata nel caso in cui il sin-daco di Roma Alemanno non avesse rinun-ciato a presenziare alla celebrazione del 25 aprile nella capitale. Il punto di riferimento è l’integralismo ideologico della destra rivoluzionaria euro-pea, unica sopravvissuta al de profundis delle ideologie. “La nostra associazione ha l’obiettivo di svolgere attività di promozione culturale e di sensibilizzazione sociale – spiega il militante -. Cerchiamo di offrire spazi e occasioni d’in-contro ai cittadini che vogliono adoperarsi

per la comunità e il territorio in cui vivono”. Un modello sperimentato nella capitale e poi esportato nelle altre sedi italiane. Casapound è volontariato e militan-za sul territorio, ma anche musica. Gli Zeta Zero Alfa sono il manifesto in note del centro

sociale. Romani, sette dischi in 10 anni, nel 2007 il clou della loro esposizione mediatica con il clip “Cinghiamattanza”: un frammento di “Fight Club”, un palco spoglio all’interno di una palestra mentre i fan si colpiscono con le cinghie. Altri inni alla violenza sono “Nel dubbio mena” e “Fare Blocco”. Quest’ultima

rappresenta l’inno di Blocco Studentesco, ala universitaria del movimento accusata dagli studenti dell’Onda di aver provocato scontri nell’ottobre 2008 in piazza Navona durante le manifestazioni di protesta contro la rifor-

ma Gelmini. “La violenza non rientra nel nostro modo di fare attivismo nè siamo mai stati vittima di ag-gressioni da parte degli antifasci-sti” si difende l’attivista che indi-ca nell’indifferenza la causa dei mancati scontri ad Aversa tra i nostalgici del littorio e della falce e martello. “Invece militanti della nostra

sede di Napoli sono stati più volte aggrediti da frange riconducibili alla sinistra”. L’ultimo scontro è avvenuto a Napoli il 18 marzo all’ingresso della Facoltà di Giuri-sprudenza Federico II tra studenti del Collet-tivo di Lettere e Filosofia e quelli di Blocco Studentesco. Nella circostanza un ragazzo è stato ferito da una coltellata. Le iniziative realizzate sul territorio da Casapound hanno fatto registrare una buona partecipazione della cittadinanza. “In generale c’è un clima d’apertura alla nostra attività – aggiunge – Mi preme ricor-darne qualcuna: presidi di protesta e solida-rietà ai dipendenti di Alitalia; raccolta di firme a sostegno del progetto del “mutuo sociale”; aiuti alla popolazione abruzzese vittima del sisma. Si percepisce l’apprezzamento verso giovani che sono attivi nel tessuto sociale”. Il centro opera in totale autonomia dalle forze politiche locali. “Non abbiamo legami organici con alcun partito – aggiunge l’attivi-sta –. Esistono saltuariamente collaborazioni con organismi, senza preclusione di area, su progetti specifici, specie nell’ottica della riso-luzione di problematiche delle singole realtà sociali”.

Le teorie di Ezra Pound influenzano l’azione dei militanti del centro sociale

POLITICA pagina 7

Il simbolo dell’ala universitaria di Casapound

Una delle ultime immagini del poeta americano Ezra Pound morto nel ‘72

È a Pozzuoli l’ultima frontiera del ‘packaging’Il Cnr riesce a ottenere coperture di plastica con gli scarti del pomodoro

di Claudia Ceci

Plastica con gli scarti del pomodoro. Bucce e semi diventano imballaggi biodegradabili. È l’ulti-ma frontiera del packaging e arriva da un progetto di ricerca della sede del Cnr di Pozzuoli. Si tratta di polimeri di origine biologica, com-pletamente biodegradabili, sviluppati in laboratorio dai ricercatori napoletani. Possono sostituire i teli di copertura e i vasetti per trapianto delle colture agri-cole. I prodotti che nascono dalle bucce del pomo-doro vengono trasformati in biofilm. I lavori del Cnr sono coordinati dai docenti Barbara Nicolaus (Istituto di chimica biomolecola-re) e Mario Malinconico (Istituto di tecnologia dei polimeri). “È un progetto partito nel 2000, finanziato dalla Regione. Poi il Miur ha destinato nuovi fondi alla nostra ricerca”, spiega Barbara Nicolaus. In Italia uno stabilimento di medie dimen-

sioni trasforma in una stagione 110 mila quintali di pomodoro fresco, producendo 2500 quintali di scarti rappresentati da bucce e semi. Ogni anno si processano 6 milioni di tonnellate di pomodoro. Gli scarti sono il due per cento. Lo smaltimento di que-sti rifiuti ha una notevole ricaduta in termini di costi e inquinamento. I residui dei prodotti agricoli pos-sono diventare un valore aggiunto. Non solo scarti del pomodoro. La sperimentazione del Cnr ricerche coinvolge anche gli agrumi e la canapa. “Partiamo da prodotti naturali – dice Mario Malinconico –. Bucce e semi sono fonte di prodotti chimici pregiati che possono sostituire quelli di origine petrolifera: oli essenziali, antiossidanti, cosmesi farmaceutica”. Alla fine del processo di estrazione degli scarti re-stano fibre di cellulosa e pigmenti; uniti con adesivi naturali diventano imballaggi. Tra i primi prototipi, il vasetto biodegradabile per i trapianti, che sostitu-isce quello di plastica. Impiantati direttamente nel terreno, i vasetti causano minor trauma alle pianti-

ne. Le radici riesco-no ad attraversare queste strutture e a demolirle. In al-ternativa gli scarti diventano biofilm per coperture agri-cole sotto forma di vernice spray eco-logica. La copertura del terreno impe-disce la crescita di erbe infestanti (ef-fetto pacciamante). Viene forata per far spuntare le piante. “In un anno si mescola al terreno con l’aratura e le bio-plastiche vengono smaltite - aggiunge Malinconico -. I teli in vernice spray rispondono a una doppia esigenza: concimano il terreno e ne migliorano la struttura”. La terza strada è l’istant packaging per l’oggettistica di valore: gioielleria, cristalli. Una volta usato, l’im-ballaggio bio è immerso in acqua e si scioglie. I tre prototipi sono ancora sperimentali. “Manca un vero e proprio spin-off tecnologico - commenta Nicolaus -, anche se le aziende sono molto interessate. Abbiamo partecipato a un pro-getto dell’Ue per passare dalla fase sperimentale a quella commerciale”. A marzo il Cnr di Pozzuoli è sbarcato alla Fie-ra di Milano nella grande rassegna Ipack-Ima, pas-serella per l’industria mondiale del packaging. Le bioproduzioni si sono confrontate con le proposte della grande industria, in un’area altamente specia-lizzata, alla presenza dei consorzi nazionali per il reimpiego e il riuso dei materiali come Conai e Co-mieco.

di Simona Pizzuti

Il futuro della ricerca è nell’impresa. La sinergia con il mondo aziendale garantisce alle scoperte scientifiche di andare oltre le pub-blicazioni e di entrare fattivamente nell’attività produttiva. E’ la stra-tegia scelta anche dai centri di competenza in Campania che hanno deciso di fare sistema e creare un distretto delle biotecnologie avanza-te. Si tratta di CamBio, acronimo di Campania Biotechnologies, costi-tuita tra i tre Centri regionali di competenza operanti nel campo della Biologia e delle sue applicazioni. I tre poli scientifici coinvolti sono il

Bioteknet, della Seconda Università degli Studi di Napoli (Sun), e i centri di competenza Gear e Dfm, guidati ri-spettivamente da Tommaso Russo e da Carlo Pedone. Il distretto è aperto alla partecipazio-ne di medie e grandi imprese leader a livello nazionale internazionale nel campo chimico-farmaceutico e nel suo indotto. “Non siamo ancora operativi - dice Ma-rio De Rosa, prorettore della Sun - ma abbiamo messo a punto il progetto di lavoro sinergico tra i tre centri di com-petenza coinvolti. Il prossimo passag-gio da fare è dotarci di una struttura organizzativa”. Sulla velocità del via ai lavori il prorettore non ha dubbi. “La novità del distretto è che non dovremo

sostenere costi per costruire nuove sedi o laboratori - spiega De Rosa - perché i tre centri di competenza coinvolti metteranno a disposizione le proprie strutture. L’unica struttura fisica di nuova costruzione sarà un incubatore di ricerca che ospiterà le aziende impegnate nella pro-duzione di nuovi prodotti farmaceutici. Grazie a un finanziamento del vecchio Por Campania, in un anno e mezzo completeremo la costru-zione della struttura nel polo biotecnologico dell’ospedale Cardarelli di Napoli”. La sfida è di applicare una cultura manageriale alla ricerca scien-tifica per ottimizzare “La Campania è molto forte sul piano delle biotecnologie - conti-nua il professore - basti pensare che sono circa un migliaio i ricercatori del settore sul territorio. La nostra regione si candida in modo quasi naturale ad avere un distretto biotech che deve essere anche un attrat-tore di capitali e risorse umane estere”. La mission produttiva del distretto è innanzitutto farmacologi-ca. Si punta a creare una filiera del farmaco in cui il prodotto è gestito dall’idea fino alla fase di registrazione. Il professor De Rosa ci tiene a sottolineare la rete che terrà insieme il distretto. “Non stiamo costruendo una cattedrale nel deserto – chiari-sce – l’investimento punta proprio a integrare e collegare le apparec-chiature e le competenze esistenti”. Il professore è forte dell’esempio di Bioteknet, il centro di compe-tenza gestito dalla Sun. “Anche in questo caso abbiamo applicato un modello industriale – spiega il professore – Il centro di ricerca infatti è gestito da una società consortile in grado di attrarre forti investimenti anche stranieri come l’Ibsa, società farmaceutica svizzera, con cui ab-biamo lanciato un progetto da 40 milioni di euro”.

CamBio, esperimenti di biotecnologia aziendaleAl via in Campania il primo distretto produttivo sulla ricerca scientifica

RICERCA pagina 8 inchiostro n. 8 – 2009

Cronisti nel mirino delle mafieNasce l’Osservatorio nazionale. Lirio Abbate: “Servirà a proteggerci”

di Laura Conti È morto perché è stato lasciato solo. Questa frase spesso accom-pagna il ricordo delle vittime di mafia. È l’isolamento l’arma che Cosa Nostra usa contro le ‘persone scomode’. Soprattutto se nel mirino c’è chi racconta i collegamenti tra criminalità organizzata e potere, il gior-nalista. Una categoria a rischio: dieci i cronisti uccisi dalle mafie in questi anni e oltre 40 i professionisti che dal 2006 a oggi sono stati og-getto di intimidazioni o violenze verbali e fisiche. Per analizzare questo fenomeno è nato l’Osservatorio nazionale sulle notizie oscurate e sui giornalisti minacciati dalle mafie, presentato al Festival internazionale del Giornalismo di Perugia dalla Federazione nazionale della stampa, dall’Ordine dei giornalisti, da Libera informazione e dalla redazione di “Problemi dell’informazione”. Per Angelo Agostini, direttore della rivista, c’è sempre meno spazio per le notizie di mafia sui giornali: “Gli approfondimenti si trovano solo nei libri-inchiesta”. Bisogna poi distinguere tra notizie che piacciono ai vertici delle mafie, perchè creano un mito e notizie scomode, che analizzano gli intrecci tra criminalità e potere. “La mafia è un problema serio. Non è roba da fiction”, afferma Lirio Abbate, redattore dell’Ansa Palermo, sot-to scorta dal 2006. “La gente – continua – preferisce la televisione ed è anche colpa di un giornalismo mordi e fuggi che porta a dimenticare le cose in poco tempo”. Per il redattore dell’Ansa, l’antidoto per un certo giornalismo superficiale è “la strada” e i giovani dovrebbero ispirarsi a cronisti come Giancarlo Siani. “Mi auguro che l’Osservatorio protegga i giornalisti anche all’interno delle redazioni. Le censure non arrivano necessariamente da fuori”, conclude Abbate. D’accordo con lui Roberto Morrione, presidente di Libera Infor-

mazione che in un editoriale pubblicato su “Problemi dell’informazio-ne parla del “condizionamento e isolamento con i quali tanti editori dominano le redazioni, inibiscono le inchieste, sfruttano il lavoro vo-lontario di giovani precari, […] e inducono all’autocensura e alla perdita dell’identità professionale […]”. Agostini si augura che il lavoro dell’Os-servatorio accresca nei giornalisti “il sentimento di solidarietà e di vici-nanza ai cronisti che continuano da soli la loro battaglia perché tutti noi si possa essere un poco più liberi”. Perché, finalmente, non si debba più dire: è morto perché è stato lasciato solo.

Giornalisti minacciati: nomi da una lunga lista Nel biennio 2006-2008, secondo il rapporto dell’Osservato-rio sui cronisti minacciati dalle mafie, oltre 40 fra giornalisti e direttori di testate sono stati minacciati dalle mafie, da anoni-mi o in sede di incontri politici pubblici. Lirio Abbate (Agenzia Ansa), 4 settembre 2007, Palermo. Tro-vata sotto la sua automobile una bomba. Il giornalista era sotto scorta per le minacce ricevute dopo la pubblicazione del libro ‘I Complici’. Roberto Saviano (Scrittore), ottobre 2006, Casal di Principe (Ce). Riceve lettere minatorie e telefonate mute. Minacciato da esponenti del clan dei Casalesi, subisce varie forme di isolamen-to e di intimidazione. Pino Maniaci (Emittente Telejato), 30 gennaio 2008, Partini-co (Pa). Il direttore di Telejato viene picchiato con calci e pugni da tre esponenti della mafia locale. Antonio Sisca (Quotidiano Gazzetta del Sud), settembre 2008, Filadelfia (Vv). Nella lettera di minacce che riceve c’è scrit-to: “La lupara bianca te la metteremo noi in bocca. Smettila di scrivere o te la vedrai brutta”. Rosaria Capacchione (Quotidiano Il Mattino) 10 ottobre 2008, Casal di Principe (Ce). Alcuni anonimi entrano nella sua abitazione e rubano la targa del premio giornalistico recente-mente assegnatole. Angela Corica (Quotidiano Calabria Ora), 29 dicembre 2008, Cinquefrondi (Rc). Cinque colpi di revolver contro la sua auto. La reporter si era occupata della questione rifiuti nel piccolo co-mune calabrese.

LEGALITÀ pagina 9

CamBio, esperimenti di biotecnologia aziendaleAl via in Campania il primo distretto produttivo sulla ricerca scientifica

ALTA SCUOLA DI

FORMAZIONE PIANISTICA

ottobre 2009 - maggio 2010

Direttore

Michele Campanella

Scadenza Bando

18 settembre 2009

Info

www.centrostudivincenzovitale.org

[email protected]

tel. 081-2522279

UNIVERSITÀ

DEGLI STUDÎ

SUOR ORSOLA

BENINCASA

Centro di Studi Pianistici

Vincenzo Vitale

Siamo viaggiatori, non chiamateci turistiUn viaggio reale e virtuale tra i siti dell’ospitalità mondiale

di Brunella Rispoli

Lynn ci aspetta alla fermata dell’autobus che dall’aeroporto ci ha portato nel cuore di Valletta, antica capitale di Malta. Con lei ci sono suo figlio Will, 12 anni, e una piccola yorkshire isterica. Lynn è una couchsurfer e noi siamo i suoi primi ospiti. Letteralmente significa “surfare sul divano”: sci-volare da un divano all’altro, da un capo del mondo all’al-tro, come sulle onde dell’oceano. Couchsurfing.com è attualmente la maggiore comunità di viaggiatori per numero di iscritti: nata nel 2003, da poco ha superato il milione di utenti registrati, più di 32mila “divani” di-sponibili in Italia. E cresce al ritmo di circa 2000 nuove iscrizioni ogni settimana. La procedura è semplice: si costruisce il proprio profilo con dati anagrafici, foto, numero di passaporto, in-teressi, attitudini, lingue parlate, eventuali disponibilità. Poi parte la ricerca: selezionando il Paese che si desidera visitare, appare la lista dei couchsurfer registrati in quella zona a cui chiedere ospitalità. Un modo per fare vacanze low cost? Assolutamente no. La fi-losofia che sta alla base di siti come Couchsurfing.com o Hospitality-Club.org - 328.629 iscritti in tutto il mondo, oltre 15mila in Italia - è che si viaggia per scoprire l’umani-tà e le persone, piuttosto che le bellezze architettoniche: un punto di vista “interno” che non passa per guide turi-stiche, alberghi e luoghi comuni ma per la quotidianità vissuta con gli abitanti del luogo. Guai a chiamarli turisti. Gli iscritti di questa comunità si definiscono viaggiatori. “Il couch ti dà l’opportunità di conoscere un sacco di persone, parlare le lingue e allargare gli orizzonti – racconta Valeria, 41enne napoletana e neofita di Couch-

surfing -. Ho già ospitato tantissime persone anche se finora non ho avuto la possibilità di muovermi. Mi sono iscritta sei mesi fa e non credo che lo abbandonerò tanto facilmente”. Non c’è l’obbligo di ricambiare l’ospitalità ricevu-ta: basta rendersi disponibili per fare da “cicerone” o per una chiacchierata davanti a un caffè, perché “contano solo gli incontri tra le persone”, come sostiene Veit Kue-hne, 35enne tedesco e fondatore di Hospitality nell’ago-sto del 2000. Così si coltiva l’utopia della tolleranza e della pace nel mondo “attraverso lo scambio di ospitalità tra persone di culture e classi sociali differenti”. Indipendente dalle ideologie, dai partiti e dichia-ratamente pacifista è Servas.it, ramo italiano di Servas International, associazione nata nel 1972, riconosciuta dall’Une-sco e rappresentata all’Onu come organizzazione non governativa. Questo sistema spontaneo di ospitalità, come lo definiscono

gli oltre 1800 membri italiani, nasce sull’onda lunga del pacifismo post-bellico. “Servas” è una pa-rola in esperanto - la lin-gua artificiale creata nel 1887 dal medico polacco Ludwik Zamenhof - e si-

gnifica “noi serviamo”: a creare rapporti più profondi tra le per-sone, a superare pregiudizi e diffidenze, a contribuire a una maggiore comprensione tra i popoli. Tutto questo grazie alle “porte aperte”: gli utenti di Servas sono di-sponibili a ospitare qualcuno in casa propria. Solo per qualche giorno e rispettando regole precise. Così come le altre comunità virtuali del genere,

Servas non è un’organizzazione di “viaggi a sbafo”. In cambio dell’ospitalità, il viaggiatore è tenuto a seguire le abitudini del suo ospite, a dare una mano nelle pulizie di casa, ad avvisare se porterà con sé altre persone; gli iscrit-ti di Servas, ad esempio, hanno in valigia una “lettera di viaggio”, per provare l’appartenenza alla comunità e per mostrare le loro referenze di buoni viaggiatori. La regola comunque è il buon senso: comportarsi educatamente, nel rispetto di chi apre la propria casa a un estraneo. Couchsurfing e Hospitality, oltre a suggeri-re un semplice vademecum per uno scambio sereno, la-sciano ampio spazio ai commenti degli ospitanti e degli ospitati: una sorta di autoregolamentazione interna che esclude i tipi considerati poco raccomandabili.

Un altro servizio di ospitalità mondiale è Pasporta Servo, interamente dedicato agli aspiranti esperantisti. Nato nel 1974 fornisce al costo di 15 euro una pubblicazione annuale che raccoglie gli in-dirizzi di chi è disponibile a ospitare quanti conoscano o vogliano imparare l’esperan-to; attualmente sono circa 1350 persone, sparse in 85 Paesi del mondo, soprattut-to in Europa e in Giappone. Non conosce l’espe-ranto il giovane Will, che

ci fa da guida per le stradine di Valletta ma promette di imparare qualche parola d’italiano quando ricambierà la nostra visita. “Surfando” su un comodo divano italiano con la sua mamma.

Esotici eppur domestici, a Napoli esplode una mania Tarantole, pitoni e iguana invadono le strade del centro

In giro a scoprire umanità e volti piuttosto chebellezze artistiche

NOVITÀ E TENDENZE pagina 10 inchiostro n. 8 – 2009

di Giusi Spica

Chi pensa che Napoli sia una grande giungla di cemento, non sbaglia. Ormai non è più solo un modo di dire. Da mesi le strade del centro danno albergo a coloratissimi quanto pericolosi “ospiti” stra-nieri. Iguana, tarantole e serpenti hanno sostituito cani e gatti nel cuo-re dei napoletani. I titolari dei pet-shop si trovano sempre più spesso a far fronte a richieste di esemplari strani, con nomi impronunciabili. Secondo i titolari dei punti vendita regolari, negli ultimi dodici mesi la domanda di animali esotici è cresciuta del 30 per cento rispetto all’an-no precedente. Ma una cosa è occuparsi di un tenero cucciolo di chihuahua, un’al-tra è accudire un vorace esemplare di pitone. Capita così che gli estrosi proprietari del malcapitato animale, in uno slancio di magnanimità,

decidano di liberarlo per le vie del centro. A danno dei propri concittadi-ni che sono costretti a fare attenzione a dove mettono i piedi. Ultimamente le squadre di accalappiacani dell’azienda sanita-ria, più che con branchi di cani affamati, hanno avuto a che fare con bestie striscianti, mutanti e volanti. A lanciare l’allarme è il servizio veterinario dell’Asl. In pochi giorni gli operatori hanno catturato un iguana a piazza Dante, una tarantola a piazza Medaglie d’Oro e un pitone in un palazzo di via Foria. Hanno anche salvato dal suicidio una papera sorpresa a camminare sui cornicioni dell’Università Partheno-pe e con l’aiuto dei vigili del fuoco hanno recuperato al porto un raro pappagallo Ara d’origine sudamericana. Marina Pompameo, respon-sabile del Policlinico per randagi del Frullone, risponde ogni giorno alle segnalazioni dei cittadini. “Non è il genere di servizio che ci compete - spiega - e non siamo attrezzati per fronteggiarlo. Ma non possiamo ignorare le denunce di mamme e bambini terrorizzati. Così interve-niamo coi mezzi che abbiamo a disposizione”. Una cosa è certa: i napo-letani sono stufi dei soliti animali domestici. Il trend è confermato dal successo del business illegale di specie rare e protette. Uno dei centri di smistamento è via Brecce a Sant’Erasmo, quartiere Poggioreale, dove ogni domenica mattina si anima un vivacissimo mercato di animali. Rigorosamente abusivo. Proprio qui, durante l’ultima operazione del-la polizia municipale, i caschi bianchi hanno sequestrato falchi, upupe e cardellini e li hanno affidati all’Oipa, l’organizzazione internazionale per la protezione degli animali. Sul sito dell’ente c’è un numero verde al quale rivolgersi per di-sfarsi del proprio animale, quando non si è più in grado di accudirlo. Grazie a un protocollo di collaborazione siglato con la riserva “Parco degli Uccelli” di Licola, gli animali saranno rimessi in natura.

Il Maggio? È un racconto collettivoIl mondo artistico ricostruisce leggende e tradizioni per i cinque fine settimana del mese

di Rosa Anna Buonomo

Attori si diventa con fatica, stu-dio e tanta determinazione. A volte, però, i sogni si avverano e anche i giovanissimi possono diventare pro-tagonisti di una favola. Sono gli stu-denti della Scuola Suore Benedettine di Mercogliano e del Liceo Scientifico “Genoino” di Cava de’ Tirreni, scel-ti per partecipare al viaggio di “Rac-contami”, il format inedito che si sta affiancando al tradizionale appunta-mento partenopeo con il Maggio dei Monumenti. Gli alunni completano il cast dei cento artisti che, durante i cinque week end del mese, accompa-gneranno i visitatori alla scoperta del patrimonio artistico della Campania, ricostruendone in libera invenzione poetica storia, leggende e tradizioni. L’insolita operazione culturale è una tappa di “Viaggio nella storia”, uno dei sei progetti tematici promossi dall’as-sessorato al Turismo e ai Beni Cul-turali per rilanciare l’immagine della regione e dimenticare definitivamente l’emergenza rifiuti. I giovani attori “racconteran-no” l’abbazia di Loreto a Mercogliano e quella benedettina della SS. Trinità a Cava. Con gli studenti dell’istituto irpino ci sarà Chiara Project che, con l’omonima associazione onlus, opera da oltre dieci anni nella promozione

del Turismo giovanile, cul-turale, gastronomico e cine-matografico nella regione. Ad accompagnare gli alunni del liceo “Ge-noino” sarà, invece, Fran-cesco Puccio, direttore ar-tistico del gruppo teatrale “Kalokaghatoi”. “Quella di coinvolgere nel proget-to i ragazzi delle scuole mi è sembrata una buona occasione per avvicinare i giovanissimi all’affascinante storia del territorio - spiega il direttore artistico Giulio Baffi -. Come gli attori, con Chiara Project, Francesco Puccio e i docenti, anche loro hanno avuto la possibilità di inventare storie ispira-te ai monumenti assegnati”. Oltre a quella di avvicinarsi al mondo della re-citazione. “Attori si diventa con fatica - prosegue -. Da giovani, però, questa fatica assomiglia a un gioco. E chissà se questa esperienza non lascerà in loro segni più profondi”. Le due location di Mercogliano e Cava de’ Tirreni si aggiungono alle altre quarantotto distribuite sull’in-tero territorio campano, presentate da volti noti del teatro e del piccolo e grande schermo. “Ai turisti che parte-ciperanno al viaggio di ‘Raccontami’ saranno proposte visite a siti e spazi di grande bellezza e importanza storico-

culturale - dice Baffi - . Nella scelta dei monumenti, quando possibile, è stata privilegiata la poca notorietà”. Non solo, dunque, siti visitati come la Cer-tosa di Padula, gli scavi di Ercolano e la Reggia di Caserta: protagonisti del viaggio saranno anche borghi e monu-menti poco conosciuti, tutti da scopri-re. Il percorso si divide in nove itinera-ri, costruiti in base alle diverse epoche dei cinquanta luoghi scelti. Si inizia dalle epoche più remote, la “Preistoria e Protostoria”, con la scoperta del vil-laggio di Nola in compagnia di Rosa-rio Sparno e Luca Iervolino e le Grot-te dell’Angelo a Pertosa con Mimmo Corrado ed Enzo Varone, per arrivare al Secolo dei Lumi con la visita alle re-sidenze dei Borbone e alle architetture dell’epoca. I turisti potranno rivivere le “Suggestioni di Roma antica” e la grandezza di un Impero che ha gover-

nato il mondo, riscoprendo con Luca Saccoia e Rosaria De Cicco siti come il Tempio di Diana a Bacoli e quello di Serapide a Pozzuoli. Spazio anche ai “Greci in Occi-dente”, con l’area archeologica di Velia e quella di Paestum, e a un “Itinerario mistico” attraverso le prime testimo-nianze paleocristiane nella regione. Non mancheranno le “Testimonianze del Medioevo” che accompagneranno il visitatore alla scoperta di usi e costu-mi dell’epoca. Completano il viaggio “Umanesimo e Rinascimento”, con il Palazzo Mediceo di Ottaviano presen-tato da Adriano Mottola, la rievocazio-ne dei “Fasti aragonesi” e il fascino delle “Eleganze barocche”. Tra i protagonisti del format ci sono anche Lello Arena e Marisa Lau-rito.

InchiostroAnno IX numero 81 mag 2009www.unisob.na.it/inchiostro

Periodico a cura della Scuola di giornalismo diretta da Paolo Mieli nell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa

Direttore editorialeFrancesco M. De Sanctis

CondirettoreLucio d’Alessandro

Direttore responsabileArturo Lando

Coordinamento redazionaleAlfredo d’Agnese, Carla MannelliAlessandra Origo, Guido Pocobelli Ragosta

CaporedattoreFrancesco Trinchillo

Capi servizioRosa Anna BuonomoFabio CapassoDanilo CirilloYlenia Gifuni

In redazioneClaudia Ceci, Laura Conti, Antonio Crispino, Beniamino Daniele, Rosa De Angelis, Serena Esposito, Annamaria Giaquinto, Manuela Giordano, Rosa Lella, Filomena Leone, Marco Marino,

Walter Medolla, Marco Perillo, Maria Grazia Petito Di Leo, Simona Petricciu-olo, Enza Petruzziello, Simona Pizzuti, Brunella Rispoli, Carmine Saviano, Claudia Scognamiglio, Nicola Sellitti, Giusi Spica, Elio Tedone, Alessandro Vaccaro, Lilly Viccaro.

SpedizioniVincenzo Crispino, Vincenzo Espositotel. 081.2522278

EditoreUniversità degli Studi Suor Orsola Benincasa80135 Napoli via Suor Orsola 10Partita Iva 03375800632

Redazione80135 Napoli via Suor Orsola 10tel. 081.2522212/226/234fax 081.2522212

RegistrazioneTribunale di Napoli n. 5210 del 2/5/2001

Stampa Imago sas di Elisabetta ProzzilloNapoli 80123 via del Marzano 6Partita Iva 05499970639

Progetto graficoSergio Prozzillo

Impaginazione Biagio Di Stefano

Campania Show Una piccola guida ai festival di Rosa Lella In crisi perenne, ma ancora vitale, l’industria degli spet-tacoli campana quest’estate ha un carattere internazionale. È il caso del Giffoni Film Festival, la rassegna di cinema per ragazzi di Giffoni Valle Piana, in provincia di Salerno, ri-battezzata da quest’anno Giffoni Experience (12-25 luglio). Dedicata al tema “Taboo”, l’edizione 2009 si prepara a cele-brare i suoi primi 40 anni nel 2010 con due appuntamenti, il Giffoni-Australia e il Giffoni-Hollywood, e fissa nel 2013, anno del Forum delle Culture, il termine per l’inaugurazione della Giffoni Multimedia Valley, la cittadella per cui la Regione ha deliberato 30 milioni di euro. Dalle capitali mondiali al centro storico di Napoli è inve-ce l’iter che caratterizza il “Napoli Teatro Festival” (4-28 giu-gno) che propone 20 nuove creazioni internazionali in cui ar-tisti italiani lavoreranno insieme con artisti di altri Paesi. Sul palco si parleranno 12 lingue e ci saranno 2500 artisti. Cosmopolita involontario è invece il Ravello Festival che, come dice il direttore Stefano Valanzuolo, “nasce come festi-val multidisciplinare includendo talenti internazionali del mondo dello spettacolo”. Il leitmotiv di questa edizione, che si terrà dal 26 giugno al 27 settembre, è il Coraggio.

SPETTACOLI pagina 11

La Reggia di Caserta

Esotici eppur domestici, a Napoli esplode una mania Tarantole, pitoni e iguana invadono le strade del centro

Generazione Stage L’estate è il tempo dei tirocini e degli studenti a caccia di lavoro

di Enza Petruzziello

Per molti si tratta di un tirocinio formativo. Per altri è una tappa ob-bligata nel proprio percorso professionale. Per altri ancora (le aziende) l’oc-casione di trovare collaboratori a costo zero. È lo stage: si ama o si odia. Un’esperienza inevitabile che con l’avvicinarsi dell’estate coinvolge più di 500 mila persone. Secondo il consorzio Almalaurea circa il 61% dei laureati veste i panni, non sempre comodi, dello stagista. Nella maggior parte dei casi non è retribuito; se si è fortunati si riesce ad avere un rimborso spese oppure un buono pasto. Chi sono gli stagisti-tipo? Sono giovani e disoccupati, carini e pieni di speranza. Hanno un’età compresa tra i 20 e i 30 anni. Una laurea triennale o magistrale. Alcuni sono anche titolari di un ma-ster. Tutti cercano lavoro. Lo stage è diventato, infatti, il primo contatto con il mondo occupazionale per due terzi di loro. Sono solo 23 su 100 i neolaure-ati che vedono nello stage l’anticamera per l’assunzione. Per il 19 per centosi tratta di una scelta obbligata, per mancanza di altre opportunità di inseri-mento. Se prima si poteva contare su contratti a progetto, oggi la strada per il successo passa attraverso il tirocinio formativo. La legge 196 del 1997 dice che scopo dello stage è “realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali median-te la conoscenza diretta del mondo del lavoro” (art. 18). È pensato, quindi, come strumento per favorire un passaggio morbido dal mondo della scuola a quello del lavoro, da svolgersi anche nel corso del periodo di formazione. Le garanzie, però, sono minime e i giovani non sempre tutelati. Per fortuna c’è il web. Il popolo degli stagisti ha trovato i suoi tutor proprio su internet. Il blog più celebre è “La Repubblica degli stagisti” fondato dalla giornalista Eleonora Valtolina, che propone una lista dei buoni e una dei cattivi. Tutti possono raccontare le proprie esperienze. Navigando, si trovano blog di tutti i tipi: dalla StakaStagista (www. stakastagista.wordpress.com) a “Da grande voglio fare lo stagista” (dagrandevogliofarelostagista.blogspot.com). L’ulti-mo nato è “La sindrome della stagista” (www.stagistaoffair.splinder.com), diario in cui si raccontano i retroscena del mondo giornalistico visto dagli occhi ironici di una stagista. Per tutti la speranza è la stessa: essere assunti al termine dello stage. La realtà è un’altra: tanti saluti e grazie, e poi chissà. Forse un altro stage.

FORMAZIONE pagina 12 inchiostro n. 8 – 2009

via Port’Alba 19 80134 Napoli tel. 081 290768 fax 081299744e.mail [email protected]

pp. 192 E 12,00

pp. 78 E 8,00

pp. 232 E 15,00 pp. 592 E 54,00

pp. 296 E 19,00

pp. 284 E 14,00

pp. 112 E 10,00

pp. 219 E 14,80

pp. 192 E 11,00

segr

eter

ia o

rgan

izza

tiva

FON

DA

ZIO

NE

SD

Nt

081.

2408

260

dg@

sdn-

napo

li.it

w

ww

.sdn

-nap

oli.i

t

UNIVERSITÀDEGLI STUDÎ

SUOR ORSOLABENINCASA

SCIENCEART&

PHILOSO

PHY IL SABATO

DELLE IDEE

SAB 30 MAG

UNIVERSITÀ DEGLI STUDISUOR ORSOLA BENINCASACORSO V. EMANUELE 292AULA MAGNAORE 10,30

LO SPAZIO DEL NOMOS

introduzione F. DE SANCTIS M. SALVATORE M. VERGIANI coordinamento A. RUFFOinterventi L. BORZACCHINI R. CANTONE R. CASATIB. MORONCINI E. MOSCATO M. NIOLA S. RODOTÀ P. SIANI G. TROMBETTI in esposizione opere di M. ROTONDOconsultazione artistica J. DRAGANOVICProiezione video vincitore del Premio Siani al Festival Internazionale

del Giornalismo di Perugia

ed. 2009www.ilsabatodelleidee.it