William Primrose - La vita, le opere, l'influenza

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CONSERVATORIO DI MUSICA “AGOSTINO STEFFANI” CASTELFRANCO VENETO a.a. 2013/2014 Diploma Accademico di II livello Corso di Viola – Prof. Luca Volpato WILLIAM PRIMROSE La vita, il pensiero, l'influenza Diplomando Relatore Federico Carraro prof. Alberto Vianello (mat. 47914) 1

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Tesi di Diploma Accademico di 2° livello in Viola conseguita presso il Conservatorio di Castelfranco Veneto con votazione 110/110 e lode. Federico Carraro

Transcript of William Primrose - La vita, le opere, l'influenza

CONSERVATORIO DI MUSICA “AGOSTINO STEFFANI”

CASTELFRANCO VENETO

a.a. 2013/2014

Diploma Accademico di II livello

Corso di Viola – Prof. Luca Volpato

WILLIAM PRIMROSE

La vita, il pensiero, l'influenza

Diplomando Relatore

Federico Carraro prof. Alberto Vianello

(mat. 47914)

1

ai miei genitori, e alla mia famiglia in generale, che anche nelle condizioni

economiche e di salute più difficili non mi ha mai fatto mancare il proprio

sostegno

a mia nonna, che è sempre stata severa ma premurosa e in vita ha letteralmente

salvato la mia carriera da un probabile tracollo

a tutti gli insegnanti che ho avuto, soprattutto a quelli a cui devo di più la mia

formazione, Bruno Giuranna, Giovanni Battista Rigon, Giacobbe Stevanato,

Luca Volpato e Domenico Nordio, che mi hanno accompagnato in questo

percorso che è appena cominciato

a Alberto Vianello, che ha curato questo approfondimento e che mi ha dato

delle importanti opportunità lavorative

a Eleonora

a tutti i meravigliosi allievi del Conservatorio di Castelfranco Veneto, perché

ognuno di essi mi è stato vicino e ha provveduto al mio recupero psicofisico

dopo un periodo estremamente difficile

a tutti gli amici al di fuori del conservatorio Steffani, principalmente Elia,

Alessandro, Clervie

a chi mi sono dimenticato di ringraziare

….e a me stesso, perché me lo merito.

2

INDICE

INTRODUZIONE...............................................................................................................p. 4

WILLIAM PRIMROSE (1904-1982): RITRATTO DI UN UOMO........ p. 6

L'INFANZIA.....................................................................................................................p. 6

LONDRA..........................................................................................................................p. 7

L'INCONTRO CON EUGENE YSAYE...........................................................................p. 8

PRIMROSE E LA VIOLA: IL LSQ E LA NBC SYMPHONY...................................... p. 10

CAMMINANDO SUL LATO NORD: L'INCONTRO CON RICHARD CROOKS......p. 13

GLI ULTIMI ANNI: I PROBLEMI DI SALUTE, L'INSEGNAMENTO E

IL GIAPPONE.................................................................................................................p. 16

PRIMROSE E LA DIDATTICA................................................................................p. 19

CONSIDERAZIONI GENERALI..................................................................................p. 19

SULLA MANO SINISTRA............................................................................................p. 23

SULLE DITEGGIATURE..............................................................................................p. 26

SULLA MANO DESTRA..............................................................................................p. 28

LA MUSICA: LE TRASCRIZIONI E IL CONCERTO DI BARTOK..p. 31

IL CONCERTO PER VIOLA DI BARTOK: LA STORIA............................................p. 31

L'ANALISI.....................................................................................................................p. 32

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO.............................p. 46

3

INTRODUZIONE

La figura di William Primrose è, per vari motivi, molto interessante e complicata allo stesso tempo.

Da un lato, infatti, è stato un musicista e strumentista estremamente importante per quanto riguarda

lo sviluppo della tecnica strumentale, di una scuola di uno strumento che fino a qualche decennio

prima era suonato principalmente da violinisti negati (con poche illustri eccezioni, quale un tal

Paganini), quindi bistrattato dai compositori e impossibilitato di svilupparsi come strumento solista.

Dall'altro lato, tuttavia, è stato un musicista estremamente “lineare”, sia per quanto riguarda la sua

formazione accademica che per quanto riguarda la sua vita privata. Mentre stavo infatti

documentandomi su questa figura proprio al fine di scrivere questo approfondimento, speravo di

imbattermi in una vita avventurosa o in un carattere particolarmente fuori dagli schemi per poter

avere del materiale molto invitante da poter inserire nella tesi. Sono quindi venuto a scoprire che la

carriera di Primrose è stata simile a quella di molti altri grandi virtuosi di altri strumenti, come

andremo a vedere più nel dettaglio, e dunque ho corso il rischio di affogare nella noia questa mia

tesi, rischio che spero di aver eluso.

Resta comunque il fatto che Primrose resta, insieme all'inglese Lionel Tertis, uno dei

pionieri nella scoperta della viola come strumento solista, e ormai al giorno d'oggi il livello dei

violisti italiani e non è talmente alto che, senza una tecnica in grado di affrontare il più arduo

repertorio solistico per viola, competere nelle audizioni e nei concorsi è pressoché impossibile. Per

questo ho ritenuto interessante e molto fruttifera la mia indagine sulla figura, sul pensiero e sul

metodo didattico di questo grande violista del nostro tempo; infatti, Primrose fu un grande

insegnante e ho deciso di dedicare buona parte di questo scritto appunto alla parte didattica della sua

attività, poiché sono tanti, troppi, gli esempi di grandi talenti rovinati da insegnanti che, in buona

fede e non, oltre a non seguire in maniera opportuna i loro discepoli, riempiono le loro plasmabili

teste di sciocchezze che li menomeranno per tutta la loro carriera (e, nei casi peggiori, gli allievi

difenderanno il loro inutile percorso di studi pur di non ammettere di aver sprecato 10 anni del loro

tempo). Inoltre, Primrose nei suoi scritti ha lasciato degli importanti suggerimenti non solo sulla

tecnica o sulla musica, ma anche, come vedremo, sul come ci si presenta in pubblico, sui colpi di

fortuna nella carriera di un musicista e così via. Quindi, i saggi consigli di un uomo che la viola,

oltre che suonarla, la sapeva anche insegnare e trasmettere, penso che possano fare solo bene.

Un'altra sezione dell'approfondimento sarà dedicata a uno dei massimi capolavori che

furono mai scritti per viola e che fu composto proprio per Primrose da Béla Bartok, ovvero il

Concerto per viola, opera incompiuta (a dire la verità Bartok la lasciò in fase poco più che

4

embrionale) a causa della leucemia del compositore e completata da vari (almeno quattro)

compositori, tra cui Peter Bartok, figlio del compositore, e Tibor Serly, suo allievo, la cui versione

resta la più conosciuta ed eseguita.

Spero quindi che questo mio lavoro possa risultare utile non solo a un fine puramente

intellettuale e di soddisfazione di una curiosità personale di musicologi e appassionati, ma anche a

un arricchimento delle conoscenze tecniche e musicali di eventuali studenti di viola, come potrebbe

fare un vero e proprio trattato di viola di Primrose, al quale ho però aggiunto delle considerazioni

personali.

Tutte le citazioni dai libri in lingua inglese, se non diversamente indicato, sono tradotti dal

sottoscritto nella maniera più fedele possibile al testo.

Federico Carraro

5

WILLIAM PRIMROSE (1904-1982): RITRATTO DI UN UOMO

L'INFANZIA

Un dodicenne William Primrose

William Primrose nacque a Glasgow, in Scozia, il 23 Agosto 1904. Suo padre, John, era anch'egli

violinista, musicista della Scottish Orchestra. Così Primrose ebbe modo, fin dalla tenera età, di

essere a stretto contatto con l'ambiente musicale, tanto che, come racconta nelle sue memorie, ebbe

il suo primo ¼ di violino all'età di tre anni e riuscì immediatamente a suonare una scala di sol

maggiore, con l'unico errore di suonare “[...] dopo la corda Sol, le note successive La, Si, Do e Re

con le quattro dita e ripetevo il Re (suonato con il quarto dito) con la corda vuota [...]”1.

Già all'età di quattro anni Primrose entra nella classe di Camillo Ritter, allievo di Joachim e

Sevcik e considerato il migliore insegnante di violino di tutta la Scozia. Nonostante la tenerà età, il

percorso di studi era già fatto di tecnica pura e di “[...] dieta di Studi e scale con una dose sempre

crescente di letteratura”2. Nel 1914 a Primrose venne proposto di andare a studiare direttamente con

Otakar Sevcik a Praga. Tuttavia, il viaggio venne annullato, con la motivazione di un'epidemia di

1 WILLIAM PRIMROSE, Cammina sul lato nord, La Viola Edizioni Musicali, 2000 (traduzione di Monica Cuneo), p. 7

2 PRIMROSE, op. cit., p. 11

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qualche tipo, anche se è probabile che la sorella di Ritter, donna influente con notevoli amicizie

politiche, avesse il timore dello scoppio dell'imminente Guerra Mondiale e avesse deciso quindi di

risparmiare al bambino quest'atrocità. Gli anni della guerra furono anche occasione per Primrose

per avvicinarsi al grande ambiente musicale. A Blackpool, nel Lancashire, ebbe l'occasione di

sentire grandi artisti quali Ysaye, Kreisler, Kubelik, Szigeti, e Elman.

Di Primrose giovane violinista sappiamo che era probabilmente molto dotato3, al punto di

suonare a soli dodici anni il Concerto per violino op. 64 di Mendelssohn nella St. Andrew's Hall, a

Glasgow.La personalità di Primrose era quella di un ragazzo curioso e tenace, a volte fuori dalle

righe. In gioventù praticò molto il gioco del calcio e, curiosamente, anche il pugilato. Era un vorace

lettore, come tale è rimasto in tutta la sua vita, e i suoi interessi di lettura spaziavano da Dickens ai

trattati sulla lotta sumo4. Coltivò molto attivamente, come molti altri musicisti (Prokof'ev su tutti),

l'hobby degli scacchi e quello della chimica: “Quando facemmo la chimica elementare pensai che

avrei potuto in un modo o nell'altro far saltare in aria la scuola intera. Ed ero estasiato dalla

conseguenza di una simile eruzione: niente più scuola, vacanza perpetua con calcio ininterrotto.”5.

LONDRA

Una svolta nella formazione accademica di Primrose avvenne nel 1919 quando, appena 15enne,

vinse una borsa di studio per la Guildhall School of Music di Londra per merito di Sir Ronald

Landon. Nonostante l'audizione di Primrose alla scuola fu tutt'altro che eccelsa, Landon difese il

suo pupillo, spiegando alla commissione che il padre del ragazzo era stato appena sottoposto a un

grave intervento chirurgico e quindi il giovane non aveva le condizioni psicologiche adatte a

sostenere un'audizione (ovviamente non era vero). L'insegnante di Primrose a Londra fu Max

Mossel, insegnante del quale Primrose probabilmente non aveva una buona opinione: “[...]

francamente, non un bravo insegnante. […] Gestiva una serie di concerti in Gran Bretagna […] e

trascorreva più tempo nelle sue faccende imprenditoriali che ad ascoltare l'allievo del momento.

Devo ammettere che ero così poco ispirato dall'istruzione violinista alla Guildhall School che

tenevo nel guardaroba un volume di concerti curato da Joachim che recuperavo prima della lezione

e leggevo in classe. E quella era la mia lezione del giorno. […] Nel 1923 feci il mio debutto nella

Queen's Hall6 e ricordo il Prof. Mossel il giorno prima che mi esortava a 'sperare per il meglio'. Lo

3 Per chi volesse saggiare le doti di Primrose violinista, a questo link si può sentire un 18enne Primrose suonare la Sonata BWV 1015 di Bach per violino e continuo: http://www.youtube.com/watch?v=i2enz4f9LXg

4 Questa curiosità ci è detta dal suoi allievo David Dalton nella prefazione all'edizione italiana del suddetto libro. 5 PRIMROSE, op. cit., p. 226 E' interessante notare come lo strumento con cui ha debuttato Primrose, suonando la “Sinfonia Spagnola” di Lalo e

il Concerto di Elgar, fu nientemeno che lo Stradivari Betts del 1704, ex Vuillaume. A quell'epoca i prezzi degli

7

ritenni un modo a casaccio di spedire un ragazzotto che partiva per la sua egira musicale”7.

Nonostante per Primrose gli anni effettivi di studi con Mossel non furono mai significativi e

decisivi, l'ambiente musicale era notevolmente diverso da quello già buono di Glasgow. A Londra

ebbe l'occasione di sentire artisti come Pablo Casals, Jascha Heifetz, Vasa Prihoda (violinista ceco

all'epoca molto famoso, protegé di Toscanini), cantanti come Feodor Chialiapin e Amelita Galli

Curci, e strinse amicizia con il celebre pianista Solomon Cutner, del quale Primrose, nelle sue

memorie, racconta aneddoti divertenti: “[...] era uno dei più grandi suonatori di fischietto del

mondo. Suonava questo umile strumento magnificamente e con gran virtuosismo. L'orchestra nella

buca del teatro era composta di violino, clarinetto, tromba, contrabbasso e un direttore […]. Durante

uno degli entr'acte, Solomon si sedette sul pavimento del palco dove non poteva essere visto e iniziò

a suonare con il suo fischietto di latta l'ovvia parte del flauto dell'ouverture. Il povero, confuso,

pianista-direttore continuava a voltarsi a guardare la sua orchestra per vedere da dove stesse

venendo questo magico suono di flauto. Non lo scoprì mai.”8.

Nel 1924, Primrose concluse la sua esperienza alla Guildhall, vincendo la medaglia d'oro al

merito. A seguito di ciò, cominciò a suonare in moltissime stagioni concertistiche e trasmissioni

radiofoniche. Questo diede al giovane moltissimo entusiasmo e un po' di notorietà, oltre a

importanti proventi economici (dopo la guerra la famiglia di Primrose, che lo seguì a Londra, ebbe

grandi difficoltà a sistemarsi economicamente e quindi lui dovette sostenersi da solo).

L'INCONTRO CON EUGENE YSAYE

Il passo decisivo per la formazione di Primrose e del suo conseguente passaggio alla viola fu con

l'incontro con il grande Eugene Ysaye. Durante i suoi anni di Londra, un pianista e amico di

Primrose di nome Ivor Newton disse molto chiaramente: “Devo essere franco con te e dirti che il

tuo modo di suonare sta scadendo. […] Perché non vai all'estero a studiare, magari con Ysaye?”9.

V'era tuttavia il problema finanziario; i soldi per le lezioni private a Le Zoute, in Belgio, erano molti

e Primrose non disponeva di tale cifra. Tuttavia Primrose decise di trasferirsi ugualmente in Belgio

e di pensare poi a come risolvere questa questione.

Il problema venne risolto in modo tanto incredibile quanto affascinante. Primrose venne

invitato da alcuni clienti della pensione dove alloggiava, per scommessa, in un casinò di

strumenti erano notevolmente inferiori a quelli odierni. Primrose rivela anche che suo padre comprò una viola Amati a 80 sterline (circa 5000€ di oggi). Sarebbe auspicabile una simile disponibilità di strumenti almeno nelle Accademie di alto livello anche al giorno d'oggi.

7 PRIMROSE, op. cit., p. 288 PRIMROSE, op. cit., p. 34-359 PRIMROSE, op. cit., p. 51

8

Eugene Ysaye

Blankenbergh, una città sulla Fiandra occidentale. Primrose giocò alla roulette e, grazie

all'incredibile sequenza di dieci impair consecutivi, grazie alla puntata minima lui vinse circa 250

sterline (circa 12000 € odierni).

Il periodo di studio a Le Zoute con Ysaye durò circa tre anni. Le parole di Primrose furono

sempre ricolme di entusiasmo ed ammirazione per il violinista belga, sia come didatta che come

violinista. Il suo modo di suonare estremamente anticonvenzionale (rispetto agli standard della

scuola dell'epoca) furono di ispirazione incredibile per Primrose e lo aiutarono molto nel suo

approccio alla viola, soprattutto per quanto riguarda il tema di diteggiature e di condotta dell'arco:

“le corde vuote sono usate ampiamente, le posizioni basse mantenute finché non si deve salire più in

alto e la maggioranza dei cambi di posizione sono sui semitoni. Quest'ultimo stratagemma dava ad

Ysaye una grande scorrevolezza. […] mi fece conoscere anche il fenomeno della corda vuota che

risuona un'ottava più alta quando si scende rapidamente. […] Ero incantato dalla tecnica d'arco di

Ysaye. Era capace di cavare dallo strumento una sonorità magnifica. […] Osserva il violinista o

violista medio fare i passaggi di corda e al cambio di corda si ha un terribile urto. E' questo il punto

che Ysaye sottolineava ai suoi studenti e che Szigeti sottolinea nel suo libro: seguire la linea del

ponticello. […] Ysaye teneva la parte superiore del braccio bassa. Io avevo suonato col braccio alto,

il gomito piegato in su, come diventava qualunque disciplinato studente di Sevcik, ma ciò portava a

premere l'arco nelle corde.”10

La vita in Belgio a contatto con Ysaye era di notevole levatura culturale, oltre che

estremamente formativa. Nella casa a Bruxelles del violinista si organizzavano cene sociali alle

quali partecipavano Kreisler, Szigeti, Quiroga oltre a nomi importanti di letteratura, teatro, pittura.

Anche la vita culturale alla “Chanterelle”11 era molto attiva, e si organizzavano spesso soirées di

10 PRIMROSE, op. cit., pp. 56-5711 Il nome non ufficiale della residenza estiva di Ysaye a Le Zoute. In francese vuol dire “il cantino” (prima corda del

9

musica da camera. In una di queste soirées venne in mente a Ysaye l'idea di dire a Primrose che,

secondo lui, sarebbe stato molto adatto a suonare la viola. In realtà Primrose aveva già preso in seria

considerazione l'ipotesi di cambiare strumento (specialmente dopo aver suonato la Sinfonia

Concertante di Mozart a Parigi con Lionel Tertis alla viola), ma gli ostacoli erano molti, tra i quali

l'autoritario padre, che osteggiava la decisione ritenendo che passare la viola potesse significare il

riconoscimento del proprio fallimento come violinista. Tuttavia, l'incoraggiamento di Ysaye portò il

giovane Primrose a prendere la decisione che lo spingerà verso una brillante carriera.

PRIMROSE E LA VIOLA: IL LONDON STRING QUARTET E LA NBC SYMPHONY

Arturo Toscanini

Il London String Quartet era uno dei complessi da camera più importanti dell'epoca, e Primrose

ebbe più volte l'occasione di sentirlo in gioventù (il quartetto era stato fondato nel 1908). Il nome di

Primrose era stato addirittura preso in considerazione per il posto di primo violino dopo che James

Levey lasciò la formazione nel 1927, ma l'auto-candidatura del giovane John Pellington convinse il

violoncellista e fondatore del quartetto, Warwick Evans, a preferirlo.

Tre anni dopo anche Waldo Warner, lo storico violista del quartetto, si ritirò per problemi di

salute. Primrose si propose a Evans per il ruolo, ma un altro violista, Philip Sainton, era stato già

contattato, poiché Evans non aveva idea delle recenti ambizioni violistiche di Primrose. Come

violino).

10

spesso accade, fu un evento fortuito a causare l'entrata di Primrose nel quartetto; infatti, il nuovo

violista aveva un brutto carattere e stava decisamente antipatico al resto del quartetto, e ci furono

una serie di contenziosi e incomprensioni che lo portarono a lasciare il quartetto nel mezzo di una

tournée negli Stati Uniti. A quel punto venne chiamato d'urgenza Primrose, che fu quindi integrato a

membro definitivo del quartetto.

Con il LSQ Primrose suonò per 5 anni, in tutto il mondo, e fu palcoscenico di numerosi

divertenti aneddoti: “[In Cile] Questo era [...] il mio primo contatto con cibi esotici e i miei

meccanismi interni allevati a semplice, genuino cibo scozzese […] si ribellavano ed erano riluttanti

a funzionare. […] maledetto me se non mi fossi bevuto un generoso sorso di un purgante detestato

da tutti i bambini. Risultato? Durante il concerto, budella di fuoco feroce e tumulto! In un punto

della musica in cui dovevo cambiare dalla chiave di contralto a quella di violino […] tirai dritto

nella precedente. […] Questo offrì ai miei non-troppo-teneri colleghi un'ulteriore fonte di

divertimento malizioso ed io fui per qualche tempo il bersaglio delle loro burle sconsiderate.”12.

Ancora: “Ci venne detto che il direttore del teatro aveva ordinato di dipingere un fondale speciale

per noi e cosa scoprimmo quando arrivammo in teatro? Una signora completamente nuda e

piuttosto robusta dipinta […] Non sarebbe stata fuori posto […] in un quadro di Rubens, questa

chiassosa donzella! A stento riuscimmo a contenerci: era il più osceno sgorbio che avessimo mai

visto.”13. Nonostante, inoltre, la Grande Depressione degli anni '30, il quartetto continuò a lavorare

molto, al punto che Primrose si definì “probabilmente uno degli uomini più ricchi di New York”, e

all'epoca stupì anche per la grande capacità di auto-promozione e l'innovazione in tale proposito:

“Se guardi le fotografie del Quartetto Flonzaley […] vedi quattro uomini molto seri con una gran

quantità di baffi e capelli piuttosto lunghi e non il minimo accenno di un sorriso. La fotografia del

LSQ, d'altro canto, era solitamente ravvivata da un pizzico di vaudeville. Queste foto avevano una

certa quantità di teatralità poiché Evans riteneva, e proprio giustamente, che in posti dove stavamo

cercando di instillare un gusto nuovo nella musica molto seria, la musica dovesse essere presentata

in modo da non intimidire il pubblico prima che arrivasse al concerto.”14.

Purtroppo la crisi economica si aggravò e il quartetto decise di sciogliersi, ed ognuno andò

per la sua strada. Tra il 1935 e il 1937, anno del suo ingresso nella NBC Symphony Orchestra di

Arturo Toscanini, Primrose fece diversi lavori a progetto, chiamato anche da orchestre quali

Orchestra del Teatro alla Scala e Berliner Philharmoniker (durante l'occupazione nazista). Nel '37,

dopo un fortuito incontro con Toscanini a Milano, lesse su un articolo di giornale che questa nuova

orchestra, la NBC Symphony, era in formazione. Toscanini fu convinto a tornare negli Stati Uniti

12 PRIMROSE, op. cit., pp. 62-6313 PRIMROSE, op. cit., pp. 64-6514 PRIMROSE, op. cit., pp. 66

11

(“credo che un uomo dovrebbe essere fatto di una stoffa molto più forte di quella di cui ognuno di

noi è fatto per riuscire a resistere ad un'offerta di tante migliaia di dollari a concerto, esenti da tasse

[…] ed un grandissimo appartamento sulla riva del fiume in cui vivere”15) e Primrose mandò alla

redazione della NBC una sua registrazione dei Capricci di Paganini. Primrose non fu tuttavia

ingaggiato come prima viola, come molti credono e come anche la pubblicità dell'epoca

sottolineava, ma lo fu tale Carlton Cooley, ex prima viola della Cleveland Orchestra. Tuttavia, il

ruolo di Primrose era riconosciuto, al punto che la NBC lo fece suonare molto spesso da solista e gli

chiese di formare il Quartetto Primrose (“Per inciso, la scelta del nome fu della NBC, non mia”16)

insieme a musicisti dell'orchestra, future stelle della musica, come Oskar Shumsky, Joseph Gingold

e Harvey Shapiro.

Il London String Quartet. Dall'alto: Warwick Evans, John Pennington, William Primrose

e Thomas Petre

15 PRIMROSE, op. cit., p. 8816 PRIMROSE, op. cit., p. 73

12

Il quartetto Primrose. Da sinistra a destra: Oskar Shumsky, Josef Gingold, Harvey Shapiro e William Primrose

CAMMINANDO SUL LATO NORD: L'INCONTRO CON RICHARD CROOKS

Richard Crooks

La vera importante svolta che avvenne nella carriera di Primrose e lo consacrò a violista solista di

massima importanza fu l'incontro, del tutto casuale, con Richard Crooks, nel 1941.

Richard Crooks era un tenore di grande importanza negli Stati Uniti. Nato nel 1900, era

diventato, dopo una già brillante carriera, star in residence della Metropolitan Opera di New York.

Primrose conosceva già Crooks poiché, con il LSQ, aveva già suonato in recital congiunti insieme a

lui. In quell'anno si vociferava che Toscanini fosse in procinto di lasciare la NBC (cosa che poi non

13

avvenne, visto che Toscanini la dirigerà fino al 1954) e Primrose, vista la notizia, non aveva più

voglia di continuare il suo rapporto con la NBC, visto che si arruolò nell'orchestra, come visto,

principalmente per lavorare con Toscanini. Il futuro era incerto, Primrose lasciava così

un'importante aggancio lavorativo e le possibilità per l'immediato avvenire non erano così floride,

nonostante la sua già ampia fama.

Un giorno, tuttavia, avvenne un importante evento: “All'epoca […] ero anche socio del

Lotos Club di New York, i cui locali erano allora sul Lato Sud della 57esima strada. […] Un giorno,

però, come svoltai ad ovest guardai dall'altra parte verso lo Steinway Building e vidi nella vetrina

un ritratto piuttosto insolito di Rachmaninov. Passai dall'altra parte per dargli meglio un'occhiata e,

avendolo fatto, stavo tornando sui miei passi per tornare al Club quando mi imbattei in

quell'incomparabile tenore, Richard Crooks, e sua moglie, Mildred.

[…] Mi pose la domanda che così tanti mi stavano ponendo: “Cosa farai in questi giorni?”.

Io glielo dissi ed egli lodò la mia azione [di dimettersi dalla NBC], dandomi una pacca sulla spalla.

Poi […] invece di voltarsi solamente e andar via […] disse: “Pensi in qualche modo che potresti

essere in California all'inizio del prossimo anno17?”. Cominciò così la partecipazione di Primrose

alla tournée di Crooks, per conto della Columbia, di più di quaranta concerti lungo tutti gli Stati

Uniti, con un pubblico medio di 2500-3000 persone, con il più popolare cantante del momento.

Significativa, inoltre, la dicitura “RICHARD CROOKS AND WILLIAM PRIMROSE”, che di fatto

mise i due sullo stesso piano. Per la carriera di Primrose fu un trampolino di lancio decisivo.

La collaborazione con Crooks durò 4 anni, nei quali la fama di Primrose crebbe

esponenzialmente, soprattutto tra gli agenti. Arthur Judson, della Columbia, si interessò a Primrose,

grazie anche alle raccomandazioni molto positive di Crooks, e poco dopo lo stesso Judson sarebbe

stato il suo agente fisso. In questo periodo Primrose strinse inoltre un accordo con Ward French e i

Community Concerts, un'associazione non a scopo di lucro intermediaria tra il vero committente e

l'artista (una sorta di segretariato artistico ma con una specie di regolamento che veniva imposto

agli artisti che rappresentava), sempre in collaborazione con la Columbia.

L'apporto di Judson, che era anche manager della New York Philharmonic (sebbene,

curiosamente, Primrose non abbia mai suonato con questa orchestra), fu determinante. Primrose

apparve come solista con la Boston Symphony Orchestra, la Chicago Symphony, l'Orchestra di

Minneapolis (con la quale suonò la “prima” del Concerto di Bartok, con Dorati alla direzione, il 2

17 Mi ero spesso chiesto il significato dell'enigmatico titolo della sua autobiografia, Walk on the north side, prima di arrivare a leggere questo episodio. Primrose spiega: “Quando esorto chiunque aspiri ad una carriera a camminare sul Lato Nord della 57esima strada, semplicemente intendo che non dovrebbe mai diventare così frustrato o così abbattuto da non essere pronto quando arriva l'occasione. Nelle mie circostanze all'epoca avrei potuto facilmente avere la sensazione che niente mi stesse capitando, che fosse inutile studiare, inutile fare qualunque cosa; ma capitò che io fossi pronto e fossi sul lato giusto della strada, il Nato Nord.”, PRIMROSE, op. cit., p. 4; pp. 103-104

14

Dicembre del 1949), la Philadelphia Orchestra. La sua fama in continua crescita venne premiata con

una delle più alte onorificenze non solo per un musicista, ma per un britannico in generale: il 1°

Gennaio 195218 la Regina Elisabetta II d'Inghilterra lo nomina Comandate dell'Ordine dell'Impero

Britannico.

La pagina del London Gazette nella quale viene resa pubblica la proclamazione di Primrose come

Comandante dell'Ordine dell'Impero Britannico

18 Curiosamente, molti documenti e molti articoli riportano questo evento al 1953. E' tuttavia disponibile pubblicamente il supplemento del London Gazette con il verbale del riconoscimento, datato appunto 1952: https://www.thegazette.co.uk/London/issue/39421/supplement/1

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GLI ULTIMI ANNI: I PROBLEMI DI SALUTE, L'INSEGNAMENTO E IL GIAPPONE

Nel 1948, a seguito di una malattia molto debilitante con effetti simili a quelli della scarlattina,

Primrose cominciò ad avere seri problemi all'udito. La sua capacità di suonare, almeno all'inizio,

non ne fu intaccata, ma cominciò a lamentarsi di forti fischi che lo tormentavano dalla mattina alla

sera. Il disturbo risultò cronico e incurabile ai medici statunitensi: “Questi suoni estranei sono

identificabili come altezza; quel Mi perforante nell'ultimo movimento del quartetto di Smetana

“Della mia vita”, un Mi acuto, un Mi4, […] la stessa nota che a Smetana risuonava nella testa, nota

che alla fine lo fece impazzire.”19. Come detto, non fu questo il problema che lo allontanò dalle

scene (era ancora in pieno contratto con i Community Concerts, contratto che sarebbe durato altri

10 anni da allora), bensì un infarto miocardico che, una notte del 1963 quand'era di ritorno da

Israele, lo colse.

Primrose restò in terapia per molti mesi, prima di tornare a suonare. La sua esperienza in

ospedale fu particolare: “[...] persi completamente qualunque preoccupazione per me, poiché la mia

attenzione fu presa totalmente da un bambino vicino a me che aveva circa l'età di mio figlio John.

Aveva un cancro al cervello e continuava a chiamare suo padre che lo vegliava giorno e notte nella

sala fuori. Quando alla fine l'infermiera mi disse che avevano smesso di fargli il trattamento al

cobalto e che stava per tornare a casa, intuii che quella era la fine. Ero stato così preoccupato per la

sua tragedia, giorno dopo giorno e mi ero sentito così terribilmente addolorato per lui, che non

pensai più a me.”20.

Primrose non tornò più all'attività concertistica di alto livello. Si dedicò, quindi,

all'insegnamento, dapprima all'Indiana University, dove resto per alcuni anni, finché, nel 1972, fu

chiamato dalla Tokyo University of Fine Arts and Music. In Giappone avvennero due incontri che

segnarono la vita di Primrose: quello con il dottor Harucika Noguchi e quella con il famosissimo

dottor Shinichi Suzuki.

Il dottor Noguchi veniva visto in Giappone come un luminare della medicina orientale: “[...]

arriverei a dire che è conosciuto in tutto il raggio delle Isole. Filosofo, poeta, pensatore, studioso,

scienziato, i sette Saggi in un solo essere umano e principalmente e sommamente un guaritore.”21. Il

dr. Noguchi era appassionato di musica e conosceva Primrose di fama, e aveva inoltre alcune delle

sue registrazioni. Avendo saputo dei suoi ormai gravissimi problemi di udito, Noguchi insistette

perché Primrose si sottoponesse gratuitamente (normalmente i suoi onorari erano invece molto alti)

alle sue cure. Primrose accettò e passò svariati mesi nella sua clinica di Setagaya-ku, uno dei

19 PRIMROSE, op. cit., p. 16720 PRIMROSE, op. cit., p. 16921 PRIMROSE, op. cit., p. 201

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Shinichi Suzuki Harocika Noguchi

23 quartieri speciali di Tokyo: “[…] il paziente si univa ad alcuni altri che erano seduti a gambe

incrociate, secondo l'usanza giapponese […]. Il dottore, vestito nel tradizionale haori akama, dava

ascolto ad ogni paziente a turno; il paziente, andandosene come arrivando alla sua presenza,

porgeva un inchino deferente insieme con il consueto domo arigato gozaimashita. […] un silenzio

vi pervadeva e l'unico altro suono di cui si era consapevoli era quello della musica da camera

suonata sommessamente, diffusa dappertutto da una stanza centrale in cui c'era un disco.”22. L'udito

gli tornò quasi completamente grazie a questo miracoloso quanto inusuale trattamento.

Primrose sposò una giapponese allieva di Shinichi Suzuki, Hiroko Sawa, ancora quando

abitava nell'Indiana. Quando i due si trasferirono a Tokyo, Hiroko lo portò in pellegrinaggio a

Matsumoto, dove c'era il “quartier generale” di Suzuki. Come molti dei musicisti occidentali,

Primrose era estremamente scettico sulle reali potenzialità del famoso metodo Suzuki23, che

definiva “un approccio da 'catena di montaggio' all'insegnamento del violino”. In seguito a

quell'incontro, Primrose, da persona intelligente qual era, ritrattò le sue perplessità: “[...] quando

siamo decisi a denigrare quello che non incontra la nostra approvazione, permettiamo alla nostra

intelligenza di abbandonarci. […] Non sanno leggere la musica, mi venne detto. Ma, come Suzuky

giustamente domanda, quanti di noi farebbero rimanere i nostri bambini senza parlare, finché non

sono capaci di leggere il loro sillabario? […] Imparano a memoria, probabilmente per mezzo delle

registrazioni? Che meschino, che spregevole. Ma qualcuno di noi si sviluppa senza un modello?

[…] Tutte queste osservazioni critiche, tutta quella capziosità e quel cavillare ispirati dall'invidia e

dal malanimo e, come solitamente accade, senza la minima comprensione di che cosa si tratti. Non

22 PRIMROSE, op. cit., p. 20323 Metodo basato principalmente sull'imitazione dei movimenti del maestro, così come sullo sviluppo e sulla

maturazione dell'io personale oltre che dell'io musicista, toccando ambiti come l'etica e la personalità del bambino. Viene detto anche metodo “della madrelingua” perché ha lo scopo di insegnare al bambino a suonare così come si insegna ai bambini a parlare.

17

di produzione in massa di violinisti, ma dell'arricchimento di piccole vite, per non parlare delle

personalità complete che risultano dall'esperienza.”24.

Negli ultimi anni della sua vita, a Primrose venne diagnosticato un cancro inoperabile alla

vescica25. Successivamente, tornò quindi a insegnare in quella che per lui fu la sua patria di

adozione, gli Stati Uniti, precisamente nella Brigham Young University, a Provo, nello Utah, ove

morì, il 1° maggio 198226.

Il Primrose International Viola Competition, fondato nel 1979 dalla American Viola Society,

fu il primo concorso di esecuzione musicale dedicato esclusivamente alla viola.

Hiroko Sawa Primrose

24 PRIMROSE, op. cit., p. 20625 Questo evento viene, incredibilmente, citato nella sua autobiografia, a pp. 208-209: “Mi sono sempre sentito

obiettivo e impersonale nei momenti di crisi, come ho riferito prima, nel momento in cui andava tutto storto […] mi sono sentito così durante il mio attacco di cuore. Mi sono sentito allo stesso modo riguardo la mia sordità incombente, quando la mia prima moglie mi informò della diagnosi del dr. Griffith e non meno della sua prognosi. Devo assicurare tutti coloro che sono stati con me fin qui, che ebbi la stessa reazione distaccata quando, poco prima di impegnarmi a scrivere queste parole di addio in questo libro, mi trovai faccia a faccia con un cancro non operabile. La mia reazione immediata fu che siamo tutti sotto sentenza di morte, dal momento in cui nasciamo. Siamo le sole creature viventi (per quanto ne sappiamo) coscienti di questo fatto. […] Malcolm Muggeridge […] sostiene di non aver mai sentito di avere una vera relazione con questo mondo, di non essere mai stato una parte indivisibile di esso, ma piuttosto di essere qui solo per un breve soggiorno. […] Qualcuno una volta scrisse: “E' stata una bella festa, odio davvero lasciarla. E' stata una bella festa, devo davvero rifarla.”. E' stata una bella festa […] “porto dopo mari agitati,... la morte dopo la vita è davvero assai gradita” Così, finché cala il sipario: Ave atque vale!”. Ritengo questa testimonianza di Primrose estremamente toccante e commovente ed è difficile non esserne coinvolti quando la si legge.

26 Articolo del New York Times sulla scomparsa del Maestro: http://www.nytimes.com/1982/05/04/obituaries/william-primrose-77-is-dead-violist-knowen-for-purity-of-tone.html

18

PRIMROSE E LA DIDATTICA

CONSIDERAZIONI GENERALI

Ho deciso di cominciare questo capitolo della sezione sull'attività didattica di Primrose affrontando

un tema estremamente delicato che affligge una grande parte degli studenti di viola: i violinisti che

cominciano a suonare la viola sono effettivamente facilitati nell'apprendimento rispetto a chi la

viola la suona dal principio o quasi?

Primrose, nella sua lunga intervista27 con David Dalton, suo allievo di viola, dedica un'ampia pagina

a questo spinoso argomento, dando un'opinione molto netta: “preferisco [come allievo] qualcuno

che sia prima passato dal violino con una tecnica di mano sinistra in condizioni ragionevolmente

buone.”28, richiamando un vecchio ariticolo di Walter Trampler, violista tedesco emigrato negli Stati

Uniti, nel quale dice che i violisti migliori sono quelli che furono già violinisti in grado di suonare

brani quali i concerti di Mozart, il 2° di Wieniawski op.22, la “Sinfonia Spagnola” di Lalo e simili,

poiché hanno più facilità di mano sinistra. I difetti che i violinisti si portano poi sulla viola sono

fondamentalmente due: l'uso dell'arco e una concezione un po' “violinistica” della mano sinistra e

delle diteggiature in sé (posizione del pollice, uso delle dita al posto di corde vuote, etc.). Per

Primrose, questi difetti sono perfettamente correggibili e costituiscono una grande ed interessante

sfida, e solo in pochi casi si è trovato nelle condizioni di dover dissuadere un violinista dal mettersi

a suonare la viola, solitamente per problemi di vibrato (troppo veloce e stretto, inadatto allo

strumento).

Un altro aspetto da tenere in considerazione è la fisicità dello strumentista, che può aiutare

ad approcciarsi allo strumento, ovvero per esempio avere una mano grande ed estesa (Primrose, ad

esempio, aveva un'apertura tra pollice e mignolo di 22.8 centimetri, apertura agevolata inoltre da un

mignolo insolitamente lungo, quasi quanto l'anulare), anche se, com'è intuibile, queste non sono

condizioni necessarie; sono molti infatti gli esempi di violisti minuti nel fisico e quindi nelle mani,

specialmente le donne, che riescono a suonare repertorio anche molto virtuosistico. A questo

proposito, mi sono personalmente reso conto che i violisti con le mani molto piccole, specie le

violiste orientali, hanno una tecnica di mano sinistra estremamente diversa da chi magari ha delle

mani di dimensioni maggiori, e addirittura poggiano la punta del pollice sotto il manico, più o meno

a metà, invece di poggiare la falange del pollice sul lato del manico com'è più solito vedere.

Parlando invece dell'atto dell'insegnamento vero e proprio, Primrose fa spesso paragoni con

27 DAVID DALTON, Playing the viola, conversations with W. Primrose, Oxford University Press, 1988.28 DALTON, op. cit., p. 5

19

La mano di Primrose

il mondo medico: “Ascolto uno studente e gli chiedo di quali debolezze ha sensazione. [...] Se una

persona va da un dottore e questo è un vero e proprio diagnosta, sovente questi gli chiederà di

spiegargli i sintomi e gli prescriverà un rimedio per questi.”. Ancora: “Non tollero la situazione in

cui una persona va dal dottore dicendogli che non si sente bene e questi gli prescrive una serie di

aspirine che la persona abbia mal di testa, un glaucoma, un cancro, una gamba rotta o qualsiasi

cosa. La medicina deve essere mirata alla malattia.”29. E' quindi importante che l'allievo abbia una

buona dose di coscienza di sé e di intelligenza da capire quali sono i suoi “sintomi” e quindi le sue

debolezze, in modo da recepire gli insegnamenti del docente e applicarli con successo.

Un altro aspetto al quale io sono molto legato, e sul quale Primrose insiste in maniera non

trascurabile, è l'insegnamento dell'atteggiamento sul palco di un eventuale solista o camerista.

Tempo addietro scrissi un articolo30 su un giornale del conservatorio di Padova nel quale

denunciavo il totale disinteresse da parte dei docenti per l'etichetta e il comportamento da tenersi in

caso di concerto. Anche per il violista scozzese l'argomento è importante, tanto che Dalton decide di

dedicarci un intero capitolo, e i consigli che dà coprono qualsiasi aspetto della questione: “Penso

che una delle cose che gli insegnanti troppo spesso ignorano […] sia insegnare a uno studente come

29 DALTON, op. cit. p. 1030 FEDERICO CARRARO, Allargare i propri orizzonti, Alterazioni, febbraio 2013.

20

presentarsi in pubblico. […] Se siete su un palcoscenico dove le sedie e il legno non funzionano

armoniosamente insieme, semplicemente sollevate le sedie, non trascinatele. […] Ci sono inoltre gli

orrendi momenti che ho attraversato quando i musicisti si accordano interminabilmente. Non posso

scordare la scena di una studentessa di viola che, accordandosi e accorgendosi che i piroli erano

recalcitranti, appoggiò il riccio sul ginocchio e da lì le sue contorsioni degenerarono in un incontro

di wrestling con lo strumento. Questi “mortal combats” non devono accadere per nessun motivo.

[…] L'accordatura dovrebbe inoltre essere fatta dietro le quinte. […] Penso che sia noioso per gli

spettatori, e so per certo che lo è per me. […] Mi oppongo strenuamente anche a un solista che

suona un brano in Mib maggiore, per esempio, e alla fine del movimento accorda immediatamente

le proprio corde vuote. E' una giustapposizione orribile. […] (riguardo alla possibilità che lo

strumento si scordi col cambio di temperatura tra il dietro le quinte e il palco) penso che questa

perdita di intonazione sia molto esagerata31 . Inoltre si può controllare suonando pianissimo alla

punta dell'arco. […] Un violista deve imparare a suonare da seduto perché nella maggior parte dei

casi nella sua vita professionale starà seduto più tempo che in piedi. […] La maggioranza degli

studenti non sa come ci si siede, secondo me. Mettono e a volte dondolano i piedi sotto la sedia.

Quando io suono seduto, il mio piede sinistro è leggermente avanzato (FOTO), e sicuramente non

sotto la sedia. […] Incrociare le gambe in qualsiasi modo, sia in orchestra che in ensemble da

camera, è verboten32. […] (quando invece si suona in piedi) credo che i piedi debbano stare

divaricati, sullo stesso allineamento e alla stessa distanza tra loro delle due spalle. […] Un

insegnante dovrebbe inoltre guidare i suoi allievi sul come affrontare gli applausi. Alcuni studenti,

non sapendo come reagire, fanno l'uscita più veloce possibile come per voler tornare alle loro case

più in fretta possibile. […] c'è un'arte nell'essere capaci di stimolare gli applausi. Ho dovuto

imparare a tirare fuori gli applausi da alcuni pubblici che erano restii a mettere le mani insieme. […]

Esistono alcune tecniche quali suonare con un sipario. Si esce di scena e talvolta si ha la sensazione

che l'applauso sta per spegnersi perché il pubblico non vuole richiamarti sul palco. […] Ho

imparato a scuotere il sipario da dietro, e il pubblico risponde, perché pensa che ero sulla via del

ritorno. Qualche pubblico non apprezza se si rientra in scena troppo velocemente. In altri muore

l'entusiasmo se non si riappare. E' come cucinare un soufflé. E' difficile da dire in parole, ma è una

questione di tempismo che l'esecutore deve imparare. […] Uno dei problemi di questo tipo più

difficili per i violisti è l'ultimo movimento dell' Aroldo in Italia di Berlioz, quando il cosiddetto

solista non suona una nota per oltre dieci minuti. Sapere come stare in questo lasso di tempo, non

31 Qui mi sento personalmente di dissentire. Mi è capitato diverse volte di entrare su un palco riscaldatissimo da un dietro le quinte gelido e sentire le mie corde calare di anche un quarto di tono abbondante. Senza considerare le volte in cui i piroli cedono completamente.

32 Proibito, dal tedesco. Questo termine figura anche nell'intervista originale.

21

sparendo dalla scena, e non intromettendosi, richiede un po' di conoscenza del palcoscenico. La mia

consuetudine […] sapendo dove l'orchestra era veramente al climax, era di girarmi gentilmente e di

guardare la sezione dell'orchestra che stava suonando il tema principale. Quando questo finiva, mi

rigiravo verso il pubblico tenendo lo strumento in una posizione rilassata [...]”33

Un Primrose con una perfetta postura

In genere, si evince un Primrose che come didatta dev'essere stato molto severo, un po'

“all'antica”, tramandante di una fiera eleganza del tempo che fu, sia per quanto riguarda la musica

che per quanto riguarda l'atteggiamento sul palco. Nella prefazione della medesima intervista

scrive: “Se pensate che sto cercando di imprimere le mie idee sui presunti esecutori e che credo che

siano le migliori idee possibili, avete ragione! Non varrei un centesimo34 se la pensassi

diversamente. Un uomo senza il coraggio delle sue convinzioni è una creatura invero debole.

Continuerò a insistere che il mio metodo è giusto, specialmente nei lavori scritti per me o ai quali

sono stato vicinamente (talvolta esclusivamente) associato.”; un personaggio moderatamente contro

la tradizione (che, come disse Toscanini, è “la peggiore delle peggiori esecuzioni”), ma anche

contro l'innovazione senza fondamento e fine a se stessa, specie in materia di interpretazione (lo si

vedrà in seguito).

33 DALTON, op. cit., pp. 173-18034 Nell'originale inglese questa frase figura come “I wouldn't be worth my salt”. Questo è indicativo dell'uso forbito ma

allo stesso tempo originale, informale e con molti modi di dire del linguaggio di Primrose.

22

SULLA MANO SINISTRA

Ovviamente, la prima cosa sulla quale si può discutere in questo senso è, appunto, la posizione della

mano sinistra, in particolare del pollice. Primrose spiega che, all'inizio della sua formazione, fu

indotto dal suo insegnante, Camillo Ritter, a mettere il pollice quasi interamente sotto il manico.

Successivamente, Primrose cambiò la sua impostazione fino a far intravedere la punta del pollice al

lato del manico35: “Non ho deciso di proposito di cambiarla; è successo e basta. […] Quando

suonava Kreisler, si poteva sempre vedere la punta del suo pollice sopra la tastiera. Con Heifetz, lo

stesso. La posizione del pollice sul manico dipende moltissimo sulla conformazione di ogni mano.

Il principio fondamentale è quello di evitare qualunque tipo di tensione sul pollice o di “effetto

pinza” tra pollice e indice”36. La cosa in effetti non sorprende, se si considera la grandezza della

mano di Primrose; un'impostazione di pollice troppo sotto alla tastiera, vista la lunghezza delle sue

dita, avrebbe posto la mano in posizione troppo ruotata rispetto alle corde, rendendone impossibile

la mobilità. Le dita dovranno inoltre scendere non per forza ricurve, come spesso viene insegnato,

ma in posizione assolutamente naturale. Verrà quindi da sé che il primo dito tenderà a scendere

ricurvo, il secondo un po' meno, il terzo ancora meno, e il mignolo poggerà sulla tastiera in

posizione quasi eretta.

Varie posizioni del pollice

Un altro aspetto fondamentale che

riguarda la tecnica di mano sinistra,

e che si ricollega inesorabilmente a

quanto si è detto nel capitolo

precedente a proposito della

lentezza di cui di solito soffre la

mano sinistra dei violisti, riguarda

l'articolazione esagerata delle dita.

Ho notato nelle mie peregrinazioni

all'estero che al giorno d'oggi

questa scuola è molto presente

35 Una piccola considerazione a tal riguardo. William Primrose, come la maggior parte dei musicisti a lui contemporanei, suonava senza spalliera. Senza spalliera, una posizione del pollice troppo alta sulla tastiera può limitare molto il vibrato così come la mobilità delle mani. Nella scuola odierna, che abbonda di spalliere, si vedono frequentemente pollici quasi interamente sopra il manico, poiché non serve il perno del pollice per poter vibrare largamente, visto l'aiuto della spalliera, anche nel caso di mani molto più piccole. Vi sono tuttavia delle interessanti eccezioni. Il portentoso violista Simonide Braconi suona senza spalliera, usando tuttavia un'impostazione molto alta del pollice sulla tastiera. Questo tuttavia non incide sul suo vibrato estremamente ampio, che lui effettua solamente di polso senza alcun ausilio del braccio, quindi non avendo bisogno di alcun perno sul manico se non quello del polso stesso.

36 DALTON, op. cit., p. 130

23

soprattutto nell'istruzione musicale statunitense (io stesso ricordo questo insegnamento in una

masterclass di un importante violista). Primrose rigetta questa convinzione, citando il violoncellista

Emanuel Feuermann: “Non è tanto come le dita vengono poste sulla tastiera, quanto come vengono

tirate via”. Aggiunge: “Talvolta in uno studente c'è un sollevamento letargico delle dita. […] Mentre

qualche esecutore può immaginare che si sta purificando l'anima nello sbattere le sue dita sulla

tastiera, questa azione eccessiva può invece essere un impedimento nello sviluppare l'agilità.”37. Un

buon sollevamento delle dita, contrariamente a quanto si può intuire, risiede anche nel sollevarle

perpendicolarmente alla corda con un movimento laterale. Questo darà inoltre grande chiarezza alla

nota in questione, e non solo nei passaggi veloci38. Primrose fa l'esempio di Pablo Casals e la sua

interpretazione della Suite n.3 BVW 1003 di J. S. Bach: “[...] alla fine della scala discendente che

porta al do vuoto [della prima battuta], sentii distintamente il suono del pizzicato della mano sinistra

allo stesso tempo in cui suonava la corda vuota con l'arco. Ho pensato che fosse un'idea molto

ingegnosa e che si adattasse perfettamente anche alla viola”39.

Molto importante che riguarda la tecnica della mano sinistra è anche ciò che concerne i

cambi di posizione. Come dice molto chiaramente Otakar Sevcik nel suo trattato sui cambi di

posizione40, ci sono fondamentalmente due tipi di cambi di posizione: quelli con la “nota guida”,

ovvero scivolare con il dito della nota di partenza fino alla posizione desiderata e solo in seguito

poggiare il dito della nota di arrivo, e quelli col portamento, ovvero poggiare subito il dito della

nota di arrivo nella posizione di partenza e farla scivolare fino alla nota desiderata (ovviamente con

la giusta discrezione, per evitare “muggiti”). La prima tecnica è solitamente associata al modo di

suonare di Fritz Kreisler, mentre il secondo viene associato di più alla scuola di Jascha Heifetz.

Entrambi i modi sono più che validi se giustificati da un valido motivo musicale, anche se può

essere curioso notare come Primrose sottolinei che i violisti giapponesi sono incredibilmente legati

al primo modo di effettuare i cambi di posizione41, spesso anche esagerando in maniera fastidiosa il

cambio di posizione della nota guida.

37 DALTON, op. cit., pp. 130-13138 Questa tecnica risulta particolarmente utile in passaggi veloci e legati. Si notino le battute conclusive del recitativo

del primo movimento del Concerto di Bartok (bb. 241-243)39 DALTON, op. cit., p. 13740 OTAKAR SEVCIK, Changes of position and preparatory scale studies op.8, Bosworth and co. Ltd., 200341 Questa è una tendenza che personalmente vedo spesso anche al giorno d'oggi. Penso che sia legata anche alla

conformazione delle mani degli orientali, molto più affusolate, che rende più difficoltoso e meno efficace il portamento del dito di arrivo del cambio.

24

I due metodi principali di cambiamento di posizione

Non si può parlare di mano sinistra, però, senza menzionare il vibrato, argomento che

Primrose tratta con molta minuziosità con i suoi studenti e al quale è molto attento42. A livello di

formazione iniziale, ovvero nel caso degli alunni più piccoli, il vibrato non è sempre presente fin da

subito. Per Primrose questo non è un problema, poiché se a uno studente non viene intuitivo vibrare

e tuttavia impara una corretta impostazione di sinistra e di arco, a quel punto gli si potrà insegnare a

vibrare senza il timore che potrebbe non impararlo. Inoltre, sia dalle sue registrazioni che dalle sue

dichiarazioni, si può ritrovare la sua natura di violista della prima metà del '900, quello che oggi si

definirebbe “di vecchia scuola”, ovvero con un vibrato quasi sempre presente, anche se in intensità

diverse, e un suono molto a fuoco. Tuttavia, Primrose minimizza la “difficoltà concettuale” del

vibrato, inneggiando sempre alla naturalezza del movimento: “Molti insegnanti hanno diversi

metodi di insegnare il vibrato. C'è chi posiziona la base della mano sulla fascia in terza posizione e

la fa muovere avanti e indietro. […] Io insegno questi metodi ai miei studenti, se necessario, ma se

questi non hanno un vibrato naturale, trovo che il risultato, anche con grandi quantità di studio, sia

artificiale e poco soddisfacente.”43. Ancora: “Sono abbastanza sicuro che un musicista non sia

consapevole del cambio da un tipo di vibrato all'altro. Non penso che questi cambi siano fatti

deliberatamente. Se fosse così, sarei propenso a credere che l'esecuzione sia altamente artificiale.”44.

Comunque, il vibrato e soprattutto la continuità di vibrato tra una nota e l'altra può essere esercitato

e studiato. Un esercizio possibile è quello di cambiare dito ad libitum sulla stessa nota cercando di

mantenere l'omogeneità del vibrato. Questo migliora sensibilmente anche la capacità di intonare.

Inoltre, Primrose rivendica l'importanza dello studiare anche le scale e gli arpeggi con il vibrato,

contrastando un'imponente scuola di pensiero: “[...] non lascerei sicuramente uno studente suonare

scale, arpeggi e studi senza vibrato, perché, nella mia esperienza, allena gli studenti ad atrofizzare i

muscoli. […] perché studiare in un modo e suonare in un altro?”45. Questo può sembrare abbastanza

scontato. Trovo invece molto più interessante il fatto che allenare la mobilità della mano possa

anche aiutare l'intonazione in generale e che possa migliorare il suono anche nei passaggi veloci

42 Dalle documentazioni videografiche e dalle registrazioni di Primrose è facile apprezzarne il vibrato ampio, sinuoso e costante, effettuato quasi esclusivamente di polso.

43 DALTON, op. cit., p. 15444 DALTON, op. cit., pp. 155-15645 DALTON, op. cit., p. 157

25

dove il vibrato non viene (almeno, coscientemente) usato: “Occasionalmente si sente una nota,

inizialmente stonata, ma immediatamente vibrata e corretta di intonazione. […] Gli esecutori

conosciuti per la loro impeccabile intonazione in realtà alterano la posizione delle loro dita molto

rapidamente e istintivamente;46.”47 “[nell'ultimo tempo di Bartok] [la mano mobile] si ode anche

nell'esecuzione veloce. Riconosco che è una cosa molto sottile, e non la posso spiegare esattamente,

poiché io non sono uno di quei tipi analitici48.”49.

SULLE DITEGGIATURE

Uno degli aspetti che personalmente trovo più interessanti dell'“estetica della tecnica” di Primrose

riguarda le diteggiature. Com'è noto, le diteggiature sono una parte cruciale della vita degli

strumentisti ad arco ancor più che dei suonatori di tastiera, poiché noi abbiamo la facoltà di poter

scegliere non solo il dito con cui premere la corda, ma anche quale corda suonare per ottenere una

determinata nota.

Primrose è estremamente chiaro riguardo alla caratterizzazione che una diteggiatura può

dare, non solo a un'interpretazione piuttosto che a un'altra, ma anche al suonare la viola in sé,

diverso dal suonare il violino: “[...] sono arrivato alla conclusione che lui [Lionel Tertis] era arrivato

a un sistema di diteggiature che evocava le sonorità e le bellezze esclusive della viola, distintamente

dal violino. […] Ci viene insegnato che la bellezza di una donna risiede nei suoi capelli. […] Io

ritengo che la bellezza della viola risieda nelle corde vuote, con un uso libero di armonici naturali e

molto bariolage50.”51. Sul violino questa varietà di suoni e colori spesso non funziona e non suona

convincente, tanto che Szigeti, nei suoi scritti, la condanna, prediligendo una condotta più lineare

delle diteggiature. Tuttavia, sulla viola l'effetto è indubbiamente differente. In fondo, essendo la

viola uno strumento meno brillante e più “chiuso” del violino, evitare di strozzare ancora di più la

risonanza delle note può, se opportunamente fatto, risultare un'idea vincente: “Dobbiamo eliminare

[…] il pregiudizio dell'ascoltatore medio che ritiene che la viola sia il cane beota della famiglia

degli archi.”52.

L'arte del scegliere la giusta diteggiatura non dev'essere mai qualcosa che prescinde l'idea

musicale che si vuole trasmettere: “Sono convinto che nelle diteggiature noi dobbiamo esprimere

46 Questo concetto è espresso molto chiaramente anche nel celebre trattato di Carl Flesch, L'arte del violino.47 DALTON, op. cit. p. 14748 “Analytical blokes”.49 DALTON, op. cit., p. 15850 Barioler, termine francese che letteralmente significa “variopingere”, termine che in italiano così come in inglese

ovviamente non esiste. 51 DALTON, op. cit., p. 11452 DALTON, op. cit., p. 115

26

Due esempi di “bariolage”. Sotto il rigo, una diteggiatura “standard”, con molte note premute e

sulle stese corde. Sopra, una diteggiatura “bariolée”, con molti cambi di corda e corde vuote

abbastanza drammaticità e interesse affinché la nostra esecuzione non assomigli a una rassegna

stampa, un'infermità prevalente in coloro la cui percezione dei problemi di diteggiatura ha un

orizzonte limitato: andare da un posto all'altro [con la mano].”53. Tuttavia, a volte la scelta della

diteggiatura giusta non concerne soltanto l'idea musicale, ma si tratta di questione di vera e propria

sopravvivenza: è il caso della musica di Hindemith.

“Se può sembrare che ho un'ossessione per Hindemith, lasciatemi spiegare che è

decisamente vero. Trovare una diteggiatura soddisfacente per le cadenze di Hindemith [della

Kammermusik n.4 op. 36], o per un passaggio talmente rapido e strepitoso come quello del terzo

movimento [idem] mi dà un'alta quantità di divertimento simile a risolvere un problema di scacchi.

E' immediatamente evidente che è coinvolta una serie di 'sequenze' con delle 'sotto-diteggiature'

intermediarie, per così dire. La prima sequenza (SEQ 1) […]: 3-2-1-2-4-1. Questo appare otto volte

(segnati come sequenze 1a-h). Due battute dopo, la seconda sequenza [2-4-1], appare 15 volte,

arrivando a 5 battute dopo E. Tutto quello che rimane è trovare la diteggiatura per i passaggi

intermediari che permetta di arrivare alle sequenze in modo ottimale.”54.

53 DALTON, op. cit., p. 12454 DALTON, op. cit., p. 124

27

SULLA MANO DESTRA

Ovvero, il punto cruciale del come suonare bene la viola. Primrose riconosce alla tecnica d'arco

un'importanza vitale: “La mano sinistra è il mio pensiero, l'archetto la mia lingua”55.

Il punto fondamentale sul quale Primrose insiste molto è la reale fonte di produzione del

suono e, di conseguenza, l'altezza del gomito : “In ogni classe di studenti che ho sotto la mia guida,

osservo […] l'errore di voler adattare la tecnica violinistica all'archetto sulla viola. Con questo,

intendo la tecnica […] dove la mano, il polso e il braccio sono al di sopra del livello della bacchetta.

Secondo me, questo rappresenta il suono prodotto mediante una pressione. La pressione e la viola

sono inconciliabili”56. Primrose fa inoltre un'interessante indagine che ha anche dei collegamenti

con la semantica: “Si parla di “arcata in giù” e di “arcata in su.”. Che tipo di immagine evoca ciò?

Un movimento di pompaggio, niente a che vedere con quello che io credo sia la base della

produzione del suono. Non sono molto esperto in lingue straniere, ma […] c'è un linguaggio che

combacia con quello che io ritengo essere il colpo d'arco per uno strumento da spalla (non mi voglio

avventurare a discutere le tecniche d'arco di violoncellisti e contrabbassisti). Penso […] che le

parole francesi tirer e pousser descrivano esattamente cosa dovrebbe succedere quando facciamo

scorrere l'arco sulle corde.”. Questi due aspetti fondamentali vengono quindi messi insieme: “[...] il

suono può essere prodotto solo dal peso dell'arco sulla corda, non vedo alcuna utilità in un'azione

contro-produttiva che, a causa di un braccio alto, porta la bacchetta lontano dalla corda. Al

contrario, usando il peso del braccio in congiunzione al movimento stabile di tirare (tirer), il suono

che cerchiamo e il modo di produrlo diventano manifesti57.”58

Messo in chiaro questo, è importante capire come l'archetto sia, di fatto, una terza

articolazione del braccio destro, come se la mano destra fosse di fatto un secondo gomito. Questa

giuntura dev'essere scrupolosamente curata: “Questo nuovo gomito è “costruito”, ne sono

assolutamente convinto, dalla relazione e affinità tra pollice e medio. […] questa nuova

articolazione non dev'essere mai rigida ovviamente. Questo nuovo gomito dev'essere libero, ma allo

stesso tempo fermo come quello vero e proprio. […] se la presa […] tra il pollice e il medio è

55 DALTON, op. cit., p. 6056 DALTON, op. cit., p. 6157 A questo punto desidero aprire un dibattito virtuale (vista l'impossibilità del contraddittorio di rispondere) che spero

possa essere di interesse: nella mia personale esperienza e nel mio percorso di studi ho potuto verificare con alta percentuale di convinzione che in realtà una postura più alta del gomito non solo non genera pressione, né toglie peso all'archetto, ma nondimeno permette al braccio di controllare meglio la quantità di peso da imprimere sulla corda, poiché, con il braccio in posizione verticale rispetto allo strumento, il peso viene gestito dal muscolo deltoide, che è estremamente potente e quindi di conseguenza preciso nelle minime variazioni. Il suono che Primrose definisce “con pressione” avviene al contrario, nella maggior parte dei casi, quando il gomito è basso e lo studente non ha altri mezzi di governare il peso se non i muscoli di indice e mignolo...decisamente meno efficienti del deltoide destro. Sarebbe stato interessante sapere cosa ne avrebbe pensato Primrose a proposito.

58 DALTON, op. cit., pp. 61-64

28

correttamente applicata, quando io, con i miei modi rudi, cerco di portare via l'arco dall'allievo

inconsapevole, non farà resistenza, ma ciononostante non lascerà l'archetto. Non è questione di

resistenza. E' invero l'opposto: Hyperion contro al satiro!59”. Viene quindi suggerita una presa di

tipo “franco-belga”, ovvero quella dove l'indice e di conseguenza le altre dita poggiano sull'archetto

all'altezza della seconda falange (le altre due grandi scuole sono quella tedesca, dove l'archetto

viene tenuto sulla terza falange, quasi in punta di dita, e quella russa, dove invece la bacchetta

poggia sulla prima falange, quasi sulla giuntura con la seconda), anche se in realtà l'unico punto

fermo di una presa ottimale risiede nella centralità del pollice e del medio, con le altre dita che

andranno a bilanciare il peso (indice contro anulare e medio). Inoltre, l'indice dev'essere lasciato

libero di flettersi quando si cambia l'arcata, contrariamente a certe scuole che lo vogliono sempre

avvolto attorno alla bacchetta.

Una buona posizione della mano destra

Messa a punto la meccanica vera e propria, bisogna affrontare il problema dell'equilibrio e di

come gestire le dita della mano destra: “Per aiutare lo studente a rendere le sue dita forti e flessibili

sull'arco, consiglio di suonare al tallone, con solo le dita in azione, lo studio n.11 dell'op.1 di

Sevcik60, o il n. 13 di Kreutzer61. […] Sorprendentemente, ho avuto studenti che semplicemente non

riuscivano a fare questo esercizio. […] sfido inoltre gli studenti più coraggiosi a girare l'archetto e,

tenendolo alla punta – ma nella posizione convenzionale del tallone – suonare lo stesso studio. […]

Quest'esercizio è scomodo all'inizio, ma quando si padroneggia, un maggior senso di equilibrio e

una maggiore destrezza muscolare sono acquisite. E' sulla falsariga dell'uomo nel manicomio che si

martella la testa. Se gli si chiede: “So che sei pazzo, ma perché lo fai?”, lui risponde “Perché è così

59 Citazione di Primrose dall'Amleto di Shakespeare, Atto 2°, Scena 5°. Si tratta di un modo di dire per evidenziare il contrasto tra ciò che è eccezionalmente bello e ciò che è semplicemente orrendo.

60 OTAKAR SEVCIK, School of violin technique op.1, pt. 1: Exercises in first position.61 RODOLPHE KREUTZER, 42 Etudes ou Caprices pour viola solo.

29

bello quando smetto”62”63.

Tenendo l'arco per la punta

62 Questo è quello che il grande didatta della viola Bruno Giuranna definirebbe “il sistema delle scarpe strette”. Ovvero, quando si ha una difficoltà di qualche tipo, adottare una soluzione che ingigantisca questa difficoltà, in modo che poi i miglioramenti fatti in questa assurda condizione, quando si suona normalmente, risultino anch'essi ingigantiti.

63 DALTON, op. cit., pp. 78-79

30

LA MUSICA: LE TRASCRIZIONI E IL CONCERTO DI BARTOK

Quando si pensa a William Primrose, si pensa anche a due fondamentali contribuiti che ha dato alla

letteratura per viola: le sue trascrizioni per viola e pianoforte e il Concerto per viola di Béla Bartok.

Tra le trascrizioni più famose che Primrose fece vi sono sicuramente quelle dei Capricci di

Paganini op.1 (trascrisse in particolare il n.5 e il n.13 per viola sola, e il n.17 e il celebre 24 con

accompagnamento pianistico) e la Campanella (che era già a sua volta una parafrasi di Kreisler sul

3° movimento del Concerto n.2 di Paganini). Tra le trascrizioni invece meno conosciute v'è una

Cantilena dalla Bachiana Brasiliera n.5 di Villa-Lobos, originariamente scritta per soprano e

orchestra di violoncelli, la “Sarasateana” di Efrem Zimbalist (che in realtà fu trascritta dallo stesso

Zimbalist su richiesta di Primrose, che ne curò la revisione), una “Italian Serenade” di Hugo Wolf

originale per quartetto e molto altro ancora.

Delle trascrizioni di Primrose, che spesso più che trascrizioni sembrano delle vere e proprie

parafrasi, viene subito all'attenzione l'incredibile fantasia che riponeva nell'accompagnamento

pianistico, sia dal punto di vista ritmico (spesso con accordi isolati in controtempo, a volte con

battute di 7/8 ove l'originale era in 6/8, e così via), che, soprattutto, dal punto di vista armonico,

dove spesso interpretava la concezione originale dello spartito in maniera profondamente differente.

IL CONCERTO PER VIOLA DI BARTOK: LA STORIA

Primrose scrisse a Bartok nel Gennaio del '45 per commissionargli un concerto per viola. Aveva già

contattato altri musicisti tra i quali anche Igor Stravinsky (che rifiutò, avendo altri progetti in corso).

Bartok, dopo aver sentito una registrazione di Primrose suonare il Concerto di Walton, accettò la

commissione, anche se non cominciò a scriverlo fino all'agosto dello stesso anno.

L'8 Settembre del '45 Bartok scrisse a Primrose: “La bozza del vostro concerto per viola è

già pronta, solo la partitura deve ora essere scritta, il che è un compito puramente meccanico”. Due

settimane dopo Bartok veniva però purtroppo ricoverato in ospedale per l'aggravarsi della sua

leucemia. Morì il 26 Settembre. Primrose lo scoprì per puro caso, un giorno che doveva fermarsi a

New York durante un viaggio per il Maine apposta per incontrare Bartok: “Stava diluviando quel

giorno a New York, e non riuscivo a trovare parcheggio. Decisi che sarei andato avanti fino alla mia

destinazione e l'avrei incontrato al mio ritorno...durante un giorno soleggiato, due settimane dopo,

mi fermai fuori New York per pranzare, presi una copia del [New York] Times e scoprii che era

morto il giorno

31

prima”64.

Com'è noto, la bozza del manoscritto del concerto lasciata da Bartok era decisamente

problematica per l'interpretazione. A tal proposito Primrose disse: “Non so come abbia fatto [Serly]

a tirarci fuori qualcosa...il manoscritto sembrava un puzzle”65. Un allievo di Bartok, Tibor Serly (tra

l'altro anche buon violista e membro della NBC insieme allo stesso Primrose), si mise a lavorare,

dopo la morte del maestro, ad alcune partiture su cui Bartok stava lavorando, tra cui il Concerto per

pianoforte n.3 (del quale mancava l'orchestrazione delle ultime diciassette battute). La ricostruzione

richiese due anni di lavoro, dall'ottobre 1946 all'autunno del '48. Fu preparata anche una versione

per violoncello che fu proposta a David Soyer, e tra gli amici di Serly la versione per violoncello era

preferita rispetto a quella per viola. Tuttavia, Primrose mostrò la lettera dell'8 settembre di cui era in

possesso e Serly decise di onorare il suo impegno col violista scozzese.

La versione di Tibor Serly fu ampiamente criticata per il suo continuo discostarsi dalle

indicazioni del manoscritto, dal momento che la bozza del manoscritto fu disponibile alla

consultazione a partire dal 1963. Dagli anni '70 fino al giorno d'oggi molti violisti, come Csada

Erdelyi e Atar Arad, l'hanno studiata e hanno proposto le loro personali revisioni. In particolare il

violista Paul Neubauer fece un lavoro di ricostruzione insieme al figlio del compositore, Peter

Bartok, ricostruzione che venne pubblicata come revisione ufficiale del concerto nel 1995 da

Boosey & Hawkes.

L'ANALISI

Il primo movimento è in forma sonata. Il primo tema viene esposto dalla viola solista (bb. 1-13) con

degli accompagnamenti pizzicati della sezione dei bassi, ed è costruito sulla scala octofonica La-Si-

Do-Re-Mib-Fa-Sol-Sol# (il Mi naturale viene usato solo come tensione verso il Fa), sul centro

tonale di La.

64 DAVID DALTON, The Genesis of Bartok's Viola Concerto, Music and Letters 57/2, 1976, pp. 127-12865 DALTON, op. cit., p. 129

32

Questo tema viene costruito mediante il processo della diminuzione ritmica e del riempimento di

intervalli; infatti, il salto iniziale di sesta viene seguito da una serie di intervalli minori che con

andamento ondulatorio dànno l'impressione di compressione della tessitura. In questo tema iniziale

è evidente il carattere rapsodico e di quasi cadenza, sottolineato da diciture quali poco rubato e

precipitato, che chiude il primo tema con una rapida discesa di scala pentatonica. Il tema viene poi

sviluppato da b. 14, sempre caratterizzato da note corte e staccate dell'orchestra (nella fattispecie

una scala cromatica discendente), e ripreso dall'orchestra, in imitazione tra oboi e clarinetti (bb. 18-

20) sotto le volatine ornamentali della viola solista. Questa seconda sezione viene chiusa da un

inciso orchestrale (bb-23-24) in imitazione degli archi, dai violini fino ai contrabbassi, inciso preso

dalla seconda parte della prima semifrase che forma il primo tema (bb. 3-4). Comincia quindi una

terza sezione, di nuovo affidata alla viola solista, sempre costruita sul materiale del primo tema, e

che mostra un processo che è presentissimo nella musica di Bartok (specie quella del suo ultimo

periodo compositivo), ovvero quello del riempimento di intervalli e dell'interazione di due sistemi

di scale diverse. A bb. 26-27 si ha un'interazione tra la scala octofonica discendente Sib-La-Sol-Fa#-

Mi-Re-Do# e la scala cromatica Sib-La-Sol#-Sol-Fa# seguita dalla scala diatonica Fa#-Mi-Re-Do#,

interazione ottenuta dall'alternanza di toni interi e semitoni. Da b. 29 si torna in un contesto più

diatonico, fino a b. 34 dove, sopra un tappeto orchestrale, la viola prepara a quello che sarà poi la

transizione con un flusso ininterrotto di note sulla scala octofonica La-Sib-Do-Re-Mi-Fa-Fa#-Sol

che porta a una chiusura estremamente virtuosistica in imitazione con l'orchestra che porta

finalmente a b. 41 e al tema di transizione, nel centro tonale di Do. Questa sezione è formata da un

moto quasi perpetuo di terzine della viola (interrotte solo dalle strappate dell'orchestra). Lo schema

ricorrente è formato da terzine di toni interi, ascendenti e discendenti, distanziate di semitono l'una

dall'altra, così da coprire, ancora una volta, tutta la scala cromatica (Do-Do#-Re-Mib-Mi-Fa-Fa#-

Sol-Sol#-La). Lo stesso schema viene poi ripetuto una quinta sopra.

33

A b. 52 comincia una sezione diversa, introdotta dalla viola che lascia subito posto a un intervento

orchestrale che ha il suo culmine a b. 58, per poi andare a dissolversi e preparare il terreno per il

secondo gruppo tematico (b. 60).

Questo tema viene costruito su una scala discendente cromatica che copre l'intera scala

dodecafonica (ad eccezione del re# che però compare nell'orchestra), mentre l'orchestra controcanta

a distanza di terza minore, sopra un pedale di Mi.

Il disegno dei due gruppi di due semicrome (b. 62, 64-67, 68-69) permettono sempre di identificare

bene il materiale usato per lo sviluppo di questo embrione tematico. A b. 70, sulle terzine della viola

solista, l'orchestra suona un ricordo dell'appena proposto tema, quindi la viola si esibisce in una

breve cadenza che la porta verso l'acuto (b. 73-76). L'atmosfera viene nuovamente calmata in attesa

dello sviluppo, a b. 81.

Lo sviluppo comincia proponendo il primissimo tema della viola (l'ottava sotto),

leggermente variato ed ornato. Questo tema viene ulteriormente rielaborato dall'orchestra in

imitazione a b.88, in 7/4, con l'accompagnamento di quartine della viola solista, costruito sulla scala

La-Sib-Si-Do-Reb-Mib-Mi-Fa-Solb-Lab. L'orchestra continua a rielaborare la testa del tema a

canone, lasciandolo tuttavia pressoché invariato, fino a b. 95, dove avviene la prima variazione

significativa, ovvero l'inversione, con delle piccole variazioni di intervalli, rovesciando tuttavia

34

completamente l'andamento melodico del tema.

Schema dell'inversione del primo tema

L'orchestra ripropone questo tema inverso, nel centro tonale di Si, sotto l'accompagnamento della

viola solista che suona perlopiù arpeggi sulle quattro corde (b. 102). L'orchestra è, come ormai visto

spesso e molto presente nella musica di Bartok, a canone. Questo frammento tematico permane,

ridotto via via sempre più (a partire da b. 109), e porta alla prima sezione completamente

virtuosistica della viola dello sviluppo. Il primissimo inciso del tema, tutto in seste parallele, ricorda

la testa del tema inverso, in un centro tonale di Mib. Anche la battuta dopo (b. 113) è formata in

realtà da accordi paralleli, anche se spezzati (nell'ordine: Mib-Sol-Sib-Reb, Mib-Sol-Sib-Mib,

nuovamente Mib-Sol-Sib-Reb e Mib-Sol-Sib con il Re di passaggio).

35

La battuta dopo, la viola solista suona una frase cantabile mentre l'orchestra ripropone il disegno

tematico già esposto dalla viola a b.100, leggermente variato. Le successive 4 battute (b. 116-119)

sono lo stesso materiale tematico, in un altro centro tonale (stavolta Lab), invertito dall'inizio alla

fine. Anche qui, gli accordi sono sempre accordi di settima di prima specie (ovvero di dominante,

anche se qui il senso ovviamente non è quello). Il disegno orchestrale, costituito da croma-

semicroma-semicroma-croma-croma viene ripetuto quasi ossessivamente dalla viola, con

variazioni, e poi continuato dall'orchestra in progressivo diminuendo fino a b. 127, dove comincia la

lunga cadenza della viola solista.

Benché la dicitura cadenza compaia in partitura solo al levare di battuta 136, la si può far risalire

già appunto a b. 127, con qualche sporadico accordo secco dell'orchestra a commento di quanto

appena proposto della viola. Questa prima parte di cadenza, fino a b. 136, si fonda sul concetto di

tritono. Infatti, tutto il disegno ruota ineccepibilmente attorno alle note La-Mib, suonate sempre nei

tempi forti della metrica. A b. 133 addirittura vi sono 7 quarte eccedenti parallele, con un La come

pedale. A b. 136, dove compare la dicitura cadenza (fondamentalmente perché l'orchestra non suona

più per un certo numero di battute), avviene una progressiva estensione dell'intervallo di tritono

tramite la nota più acuta della scala ascendente, portandolo a una sesta minore a b. 137 (La-Fa), a

una settima maggiore la battuta seguente (La-Sol#), fino a culminare con una decima minore (La-

Do). A b. 140 si ha un cambio di atmosfera, grazie alla diatonia della triade di Fa# minore, e a b.

142 si presagisce un ritorno dell'orchestra grazie allo schema rigido di quartine (infatti è prassi

esecutiva comune ricominciare a suonare a tempo proprio da qui), costruito sulla scala Do#-Re#-

Mi-Fa#-Sol#-La-Sib. L'orchestra propone già a b. 144 un tappeto orchestrale, che introdurrà alla

Ripresa di b. 147.

La Ripresa, nel suo senso più classico, è di fatto una riproposta dell'esposizione. Infatti,

anche qui viene riproposto il primo tema, non dalla viola solista ma dal fagotto e il flauto all'ottava,

36

mentre la viola solista esegue un accompagnamento fluido unicamente sulle note Fa-La.

L'orchestra continua a rielaborare questo primo inciso portandolo nel centro tonale di Do, fino a

b. 160, dove una rapida ascesa di quinte parallele della viola solista, costruite rigidamente sugli

intervalli di semitono-semitono-semitono-tono, quinte che si trasformano in seste minori alla fine di

b. 161 per esigenze tonali (si deve arrivare alla dominante di Mi). Questo porta, effettuando un

brusco taglio dalla rispettiva sezione dell'Esposizione (come spesso succede, anche nei brani

classici), al ponte di transizione di b. 162, che è del tutto simile a quello di b. 41. Anche la sezione

diatonica di b. 173 è ripetuta tale e quale (una quarta sopra), tuttavia la sezione che orchestrale che

segue è notevolmente ampliata, sia nell'orchestrazione che nella dilatazione dell'inciso di b.162, a

bb. 178-180. La chiusura, in diminuendo, è del tutto paragonabile a quella dell'Esposizione, e porta

anch'essa al secondo gruppo tematico che, come ci si può aspettare, è nello stesso centro tonale del

primo tema, ovvero La (a differenza dell'Esposizione, dove invece era in Mi, ovvero il quinto grado.

Nonostante la modernità del linguaggio, si può vedere come il rispetto delle forme sia estremamente

classico). Il tema è leggermente variato e presenta una discesa cromatica dell'orchestra (si noti il

pedale di la) che incornicia un disegno puntato della viola solista. Tuttavia, la relazione con il

secondo tema dell'esposizione è subito evidente a b. 191, quando la seconda parte del tema (quello

con i continui disegni di semicrome, vedi bb. 65-69) è perfettamente identico, a distanza di una

terza minore. Una discesa cromatica dell'orchestra contrappuntata da un disegno di croma puntata-

due biscrome (preso da b. 186 e b. 189) che viene poi continuata dall'orchestra in una sezione

37

misteriosa, con archi in sordino. Questo prelude alla Coda di b. 208, che ripropone una variante del

primo tema, in Do, che viene rielaborato continuamente fino alla fine del movimento.

Come collegamento tra primo e secondo movimento, vi è una sezione in stile recitativo

(denominata Lento Parlando) dove la viola suona una melodia con vaghe influenze arabiche

(notevole inoltre l'urto nell'accordo orchestra Do#-Mi#-Sol-Sol#), melodia costruita sulla scala

Do#-Re-Mi-Fa-Sol-La-Sib. Il tessuto ritmico si infittisce sempre di più fino a culminare nella

discesa rapidissima della viola solista quasi cromatica sulle note Mi e La# (ancora il tritono). Le

ultime quattro battute sono lasciate al fagotto solo che rievoca il tema di b. 151, e che introduce,

senza soluzione di continuità, al secondo movimento del concerto.

Adagio religioso è una dicitura che compare già nel secondo movimento del Concerto per

pianoforte n.3 sempre di Béla Bartok, e in effetti in entrambi i casi l'espressione rispecchia molto

bene l'atmosfera che si respira nel brano. Questo movimento, di breve durata rispetto al primo, è

nettamente tripartito. Il primo tema, esposto dalla viola nella sezione acuta dello strumento, viene

accompagnato da un dolce tappeto degli archi nella tonalità di mi maggiore. Qui, a differenza del

tritono stridente che dominava il primo movimento, prevalgono gli intervalli di quinta e quarta

giusta (bb.1, 3-4, 6, 8, 12, 15, 17 etc.).

38

Questo disegno tematico viene riproposto visitando sempre diversi centri tonali (Do#-La-Sol), fino

a un “colpo di scena” a b. 26, dove la viola, con uno stringendo e suonando melodie sempre più

rapide e sempre più dissonanti (si passa da una scala diatonica di Sol a una scala Mi-Fa#-Sol-La-

Sib-Do#-Re#). La sezione poco agitato di b. 30 è la parte centrale del brano ed è un chiaro esempio

di “musica della notte”66, con volatine dei flauti (tra l'altro si vede il ritorno del tritono, nella

fattispecie Lab-Re) su triadi tenute che si muovono cromaticamente (Lab maggiore – La maggiore –

La minore – Sol# minore – Sol minore – Fa# minore – Fa minore – Mi minore), mentre la viola

solista si destreggia nell'acuto con un disegno molto ritmico ma nondimeno estremamente

passionale (la dicitura piangendo accompagna la melodia). La viola si muove cromaticamente

pressoché in un intervallo limitato (Do-Fa#) e l'intervallo prevalente è la terza Do-Mib, intervallo

che si ripete moltissime volte fino a b. 40. L'armonia diventa ancora più stridente a battuta 36, nella

seconda metà, con l'accordo Re-Fa#-Sib, eccedente, che diviene diminuito (Re#-Fa#-La).

66 Per “musica della notte” si intende “uno stile compositivo musicale del compositore ungherese Bela Bartok che usava principalmente nei movimenti lenti […]. E' caratterizzato da misteriose dissonanze che servono da sottofondo ai suoni della natura e a delle malinconiche melodie. […] A livello tecnico, un brano o movimento di musica della notte può mostrare […] glissandi molto ampi, salti e raddoppi su molte ottave. Questo contrasta con i cluster di note adiacenti e i trilli e può aggiungere l'evocazione di spaziosità e di malinconia” (si veda la voce di Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Night_music_(Bartók) )

39

A b. 40 comincia la terza sezione del brano, che è una (falsa) riproposizione della prima.

Torna il tappeto degli archi di mi maggiore, tuttavia il tema della viola è troncato dall'inciso che ha

caratterizzato tutta la seconda sezione, chiosato da un accordo estremamente stridente dell'orchestra

(Si-Re-Fa-La, contro un Mib della viola). Questa alternanza viene ripetuta, leggermente variata, tre

volte, fino a battuta 50, dove compare di nuovo il primissimo tema del concerto (del primo

movimento), come un lontano ricordo. Compare quindi dopo una cadenza della viola, con ritmo

incalzante, sia di scrittura ritmica (duine, poi terzine quindi quartine), sia di indicazioni in partitura

(molto accelerando), cadenza costruita sugli intervalli di quarta diminuita (Mi-Lab), tritono (Si-

Mib) e settime minori e diminuite (Fa-Mib e Si-Lab). Questa attacca sull'Allegretto, che funge quasi

da introduzione del terzo movimento67, e che propone un ostinato dell'orchestra che comincia con i

corni per passare agli archi in pizzicato. La cosa che si può subito notare è che si basa interamente

sull'intervallo di quarta (Do-Fa-Sib-Mib-Lab è l'accordo che costituisce l'intera parte orchestrale

dell'Allegretto), mentre la viola solista suona anch'essa complicati accordi di quarte parallele

sovrapposte (Do-Fa-Sib-Mib, Sol-Do-Fa, Si-Mib-Lab, Do-Fa-Sib. Lab-Reb-Solb) seguita da un

disegno cromatico discendente che attacca subito sull'Allegro vivace.

67 A riprova di questo, nell'incisione di Kim Kashkashian con Peter Eotvos e la Netherlands Radio Chamber Orchestra (ECM Records) l'Allegretto compare già nella Traccia 3. Sembra un'informazione di poco conto, invece la trovo significativa su come si possa interpretare l'Allegretto sia come coda del secondo movimento che come introduzione del terzo. Io sono più favorevole a questa seconda interpretazione, sebbene sulla partitura il terzo movimento cominci effettivamente all'Allegro vivace.

40

L'Allegro vivace finale di questo concerto è un vortice di vita e virtuosismo come

potrebbero essere i finali dei concerti per violino di Tchaikovsky o Mendelssohn. Il movimento non

ha una forma ben delineata ma, anche qui, è subito evidente la tripartizione della struttura. Sopra un

vivace accompagnamento di crome (quinte vuote La-Mi) in controtempo dell'orchestra, la viola

propone un disegno tematico costituito perlopiù da semicrome e di crome con trilli. La melodia ha

un sapore squisitamente popolaresco e zigano, dato anche dalla scala sulla quale è costruita (La-So-

Do#-Re#-Mi-Fa#-Sol-La)68, scala che però viene costantemente modificata, come d'uopo nella

musica di Bartok, da intermedi cromatismi (b. 11, Mi-Re#-Do#-Mi-Re-Do# e simili). Inoltre la

scala assume forme nuove ogni volta che si decide di applicare uno schema rigido di intervalli

(semitono-tono-semitono-semitono-tono, sia a battuta 13 che a battuta 17.

68 Questa è, di fatto, la scala costruita prendendo la serie di armonici naturali di La. Un esempio di questa scala la si può trovare, costruita sul Do, all'inizio dell'ultimo movimento della Sonata per due pianoforti e percussioni dello stesso Bartok.

41

Questo vortice viene portato avanti dall'orchestra che, mentre il solista giustamente prende un po' di

respiro, sempre in canone e in imitazione ripropone il disegno semicrome-crome col trillo. A b. 30

entra di nuovo il solista, in tutt'altra atmosfera orchestrale (dal controtempo danzante di quinte

vuote a un disegno di quarte spezzate, separate a due a due, suonate in alternanza da fagotto e

violoncelli), proponendo una sorta di “episodio”, costruito su intervalli diversi dalla precedente

(Do-Re-Mib-Fa-Solb), prima in Do, poi in Fa, poi Sib. La viola porta l'episodio fino a b. 49, dove si

prepara un grandioso Tutti orchestrale (Poco meno mosso) a b. 51. L'orchestra al gran completo,

sempre in imitazione e canone, suona un tema costruito su due semicrome-croma-semiminima,

tema che sarà predominante nell'ultima sezione del movimento (come vedremo). Questo disegno

verrà, in forma semplificata, esposto da corno e tromba in sordina a b. 65 in Do#, mentre la viola

suona un moto perpetuo, uno dei passaggi melodicamente più arditi e complicati del concerto

(infatti per la memoria e l'intonazione l'esecuzione è sempre problematica). Vi ha infatti una

continua interazione di diverse scale diatoniche (Do#-Re#-Mi-Fa#-Sol#-La#-Si#, ovvero la minore

melodica, contro Do#-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si), prima in Do# (bb. 65-70), poi in Fa (71-77), quindi

nuovamente in Do#. Si può inoltre notare come, in realtà, questo turbine di note altro non sia che il

tema dell'orchestra variato (infatti le note nei tempi forti combaciano quasi sempre). Finito questo

episodio, si torna a un ricordo del primo tema, in politonalità (b. 84, la viola suona in Si mentre

l'orchestra tiene accordi di Sib maggiore). Il virtuosismo cresce insieme alla scrittura della viola

solistica (si cominciano a vedere le prime corde doppie, bb. 97-100 ma soprattutto 101-103), fino a

chiosare l'episodio similmente a come avvenne a b. 48. Anche qui la transizione porta a un Poco

meno mosso, ma la sua rilevanza è ben più profonda a quella di prima, sia per estensione che per

varietà dei temi.

42

Questo Poco meno mosso è una delle variazioni più significative che Serly ha fatto rispetto

al manoscritto di Bartok: infatti il manoscritto di Bartok presenta lo stesso tema, di carattere

evidentemente popolaresco, nel centro tonale di Lab (idea che infatti sarà ripresa nell'edizione

Bartok-Neubauer). Serly qui invece decide di trasporre tutto un semitono sopra e di trascrivere la

stessa identica melodia, con lo stesso identico accompagnamento, ma in La. Successivamente, si

ritorna in Lab a b. 134 (nel manoscritto la tonalità rimane la medesima). Si può dire che questa

strana scelta abbia dei pro e dei contro. Da un lato, nella versione originale vi è uno stacco netto sia

di carattere che di tonalità già a battuta 114, stacco che nella versione di Serly, per la staticità della

tonalità, viene un po' meno. Dall'altro lato, trovo molto apprezzabile l'idea di creare una

modulazione così ardita a b. 134, ed è vero che il carattere di questa sezione cambia un po' anche

nelle melodie, quindi viene preservata una certa coerenza. Quindi, trovo che questa scelta tolga

originalità da una parte, ma ne aggiunga dall'altra. In sostanza, a parere mio è stata un'idea felice.

Chiudendo questa parentesi, si nota a b. 116 l'esposizione del tema che ha il carattere di una

danza popolare, affidato all'oboe prima e al flauto e clarinetto poi, tema che verrà ripreso tale e

quale dalla viola solista. A b. 134, come già detto, cambia leggermente il carattere insieme alla

tonalità, e ancora v'è un secondo tema, esposto prima dagli archi e poi dalla viola solista,

43

leggermente variato ma in sostanza inalterato. Successivamente, a b. 150 comincia una lunga

sezione orchestrale in stile imitativo, dove l'inciso di b. 116 viene elaborato dalle varie sezioni

dell'orchestra, secondo un contrappunto sempre più stretto. Uno stringendo, a b. 175, ci riporta al

tempo I°, che sarà la sezione conclusiva del movimento. Il tema predominante è ancora quello che

si è già visto a b. 51, mentre la viola si esibisce nel climax di virtuosismo di tutto il concerto. Il

disegno viene riproposto in diversi centri tonali, ascendendo di terze minori (dapprima in Fa#, b.

176, poi in La, b. 184, infine in Do, b. 190). Lo stesso disegno viene riproposto dall'orchestra in Sol,

a battuta 198, mentre la viola raddoppia a ottave con il sol di pedale, successivamente in Do a b.

206.

A b. 212 comincia una sorta di coda. Sopra una serie di cadenze dell'orchestra,

principalmente cadenze perfette (Fa#7-Si min; Si#9-Mi min; Mi7-La e così via, ascendendo sempre

di quarte giuste), la viola ascende rapidamente alternando come prima toni e semitoni, fino ad

arrivare, sopra a un accordo di La minore in secondo rivolto tenuto dai legni, a un ricordo del primo

tema, nel registro acuto, guarnito da una scala cromatica discendente dell'oboe (b. 222). La

competitività tra viola solista e orchestra torna solo a b. 236, dove l'inciso di quattro semicrome

viene suonato in alternanza. Su un ostinato della viola solista che lentamente porta al centro tonale

di Do#, a 249 l'orchestra suona il tema danzante dell'oboe di b. 116, tra l'altro separato, in quanto tra

la prima parte del tema (bb.249-250) e la seconda (253-254) vi sono due battute di intermezzo. Vi

44

sono poi quattro battute (bb. 259-262) di Tutti orchestrale di massima forza, con una scala

cromatica ascendente al basso. Le ultimissime battute del brano sono formate da una scala della

viola solista costruita sulla scala octofonica Mib-Fa-Sol-La-Sib-Si-Do-Re, ornata da cadenze

orchestrali simili a quelle viste a b. 212. (Fa7-Sib; Mib9-Lab9 e infine Mi-La).

45

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA DI RIFERIMENTO

http://www.wikipedia.org

http://www.allmusic.com

http://www.naxos.com

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(traduzione a cura di Monica Cuneo)

MAURICE W. RILEY, Storia della viola, Sansone Editore, 1983 (traduzione a cura di Elena Belloni

Filippi)

ANTONIO CASTRONUOVO, Bartok: Studio biografico e stilistico e catalogo ragionato delle

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STEPHANIE AMES ASBELL: Bela Bartok's Viola Concerto: A Detailed Analysis and Discussion

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AUTORI VARI, The virtuoso violist: Six works for Viola and Piano edited by William Primrose, G.

Schirmer Inc., 1995

BELA BARTOK – TIBOR SERLY: Concerto per viola e orchestra, Boosey and Hawkes, 1949

BELA BARTOK: Concerto per viola e orchestra, facsimile del manoscritto, a cura di Nelson

Dellamaggiore e Laszlo Somfai, Bartok Records, 1995

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