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PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ Welfare locale, qualità dei servizi socio-assistenziali e qualità del lavoro Quaderni del socio sanitario n. 11

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PER IL DIRITTO ALLA SALUTE, UN SISTEMA DI QUALITÀ

Welfare locale, qualità dei servizi socio-assistenziali

e qualità del lavoro

Quaderni del socio sanitario n. 11

Questo numero dei Quaderni contiene gli atti del convegno “Welfare locale, qualità dei servizi socio-assistenziali e la qualità del lavoro” promosso dalla CdLT Roma Est e dal Dipartimento Welfare e Nuovi Diritti della Cgil nazionale che si è svolto a Roma il 7 e 8 novembre 2003. I temi del convegno sono stati aggiornati all’attuale situazione del quadrante di Roma Est.

Segreteria di Redazione: Velia Mariconda Progetto grafico: Daniela Boccaccini Stampa: Tipografia C.G.E. srl - Roma Finito di stampare nel mese di dicembre 2005 Disponibile on line: www.cgil.it/welfare

INDICE

Prefazione di Sandro Del Fattore 06 Relazione introduttiva di Teresa Berzoni 08

1. Per un sistema sanitario di qualità 10 2. Una politica per la famiglia 11 3. Lotta alla povertà e all’esclusione 12 4. L’invecchiamento della popolazione 13 5. La qualità del lavoro 13 6. Il decentramento del Comune di Roma 15 7. Unità sindacale 15

Analisi dei bilanci relativi alle politiche sociali dei Municipi di Roma Est di Giorgio Brunori 17

1. La programmazione degli Enti Locali e la lettura dei bilanci 17 2. Il percorso programmatorio degli Enti Locali 17 3. Analisi dei bilanci 19 Slide e grafico 24

Imprese sociali e lavoro atipico di Federico Bozzanca 27

1. L’espansione del lavoro atipico che ha toccato le imprese sociali 27 2. Cosa ci dice lo studio di caso 1 28 3. Cosa ci dice lo studio di caso 2 29 4. Conclusioni: come intervenire 31

Anziani: i nuovi bisogni di Marcella Salvatore 33

Premessa 33 1. Innanzitutto il territorio: Roma Est 33 2. La diversificazione dei servizi 36 3. Le politiche sociali, i parametri del benessere 37 4. Conclusione 41

Qualità del lavoro e diritti di Gervasio Capogrossi 43

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Il welfare locale di Roma Est - Giorgio Montesi 50 - Carmine Farcomeni 55 - Tonino Vannisanti 60 - Giampiero Cioffredi 63 Interventi - Antonio Ferraro 66 - Pier Paolo Inserra 68 - Mimmo De Angelis 71 - Domenico Giraldi 74 Conclusioni di Augusto Alonzi 77 Tavola Rotonda - Raffaella Milano 80 - Stefano Bianchi 83 - Domenico Giraldi 87 - Tiziana Biolghini 89 - Gervasio Capogrossi 91 - Anita Maddalone 93 - Giulia Coscia 93 - Teresa Frassinelli 94 - Enrico Sacchi 94 - Maurizio Piccini 95 - Raffaella Milano risponde 97 Conclusioni Tavola Rotonda di Stefano Bianchi 102 Le prospettive della negoziazione sociale a Roma Est di Ernesto Rocchi e Roberto Briganti 107 La negoziazione sociale territoriale nel territorio

1. I protocolli di relazioni sindacali 109 2. Le premesse della negoziazione comprensoriale 110 3. I servizi Cgil 111 4. Contenuti della negoziazione territoriale 111 5. La negoziazione in sintesi 121

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PREFAZIONE di Sandro Del Fattore, Coordinatore Dipartimento Welfare e Nuovi Diritti

Come già abbiamo fatto per altri numeri dei quaderni socio sanitari riportiamo qui gli atti di un convegno organizzato da una delle quattro camere del lavoro di Roma, la camera del lavoro di Roma Est: un quadrante assai ampio di città ove sono concentrate alcune delle periferie storiche romane e le aree di insediamento industriale che hanno conosciuto, nel corso degli anni, profonde trasformazioni. Un “pezzo” di città, quindi, che proprio per le sue caratteristiche insediative, sociali, produttive, si presta ad una riflessione attenta sulle politiche sociali sul resto del sindacato nel confronto con le istituzioni e con i diversi “altri” che operano nel territorio. Il convegno individua due temi centrali: la contrattazione sulle politiche sociali e i diritti, le tutele, le qualità del lavoro nei servizi socio-sanitari. La contrattazione sociale assume oggi un ruolo centrale proprio in relazione all’ampiezza e alla profondità delle questioni che sono sul tappeto. Infatti, sono molteplici oggi i fattori che determinano le nuove forme delle diseguaglianza sociale: la diffusione del lavoro precario e saltuario, il livello del reddito da lavoro o da pensione, l’allentarsi delle reti parentali e relazionali, l’alto costo delle case. Si amplia, insomma, la fascia delle persone che si trovano in condizioni di precarietà, insicurezza, “vulnerabilità sociale”. Ed è proprio per queste ragioni che occorre dare forza e qualità alla contrattazione territoriale sulle politiche sociali. Per rendere, in sostanza, sempre più concreta ed efficace la battaglia del sindacato per la difesa e l’estensione dei diritti. In secondo luogo, come è noto, nell’area del welfare e, più in generale, dei servizi alle persone, è cresciuta – e può crescere ancora – occupazione ad alta intensità di manodopera e con forte presenza femminile. Molto spesso però si presentano proprio qui condizioni di sfavore in materia di salari e di diritti. In questo segmento di lavoro si collocano anche situazioni al limite della regolarità e molte condizioni soggettive poste ai limiti della povertà.

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Il riconoscimento pieno, quindi, dei diritti e delle tutele per questi lavoratori e lavoratrici non solo costituisce una priorità per il sindacato ma è un elemento fondamentale per sviluppare un welfare di qualità. Naturalmente gli atti del convegno della Cgil Roma Est su questi temi non hanno la pretesa di dare indicazioni valide per tutti ma vogliono arricchire la riflessione, la ricerca su temi complessi e delicati quali condizioni irrinunciabili per rendere più incisiva la battaglia del sindacato.

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RELAZIONE INTRODUTTIVA di Teresa Berzoni, Segreteria Cgil Roma Est

Nel settore socio sanitario la questione delle risorse, della qualificazione della spesa e degli equilibri di bilancio vive una situazione assai critica, con la finanziaria in via di approvazione da parte del Governo siamo quasi al collasso dell’intero sistema. Il Governo tenta di affermare una cultura orientata alla incompatibilità fra sviluppo economico e politiche di welfare anziché considerarlo, strumento efficace per combattere disoccupazione ed emarginazione, capace di creare occupazione diffusa. La gravità della crisi economica italiana peggiora la situazione, rendendo più difficile la nostra azione e più facile il seguente messaggio: lo Stato offre contributi in danaro, ognuno compri sul mercato il servizio migliore! Mai verità fu tanto bugiarda! Se per avere un servizio, ogni cittadino versa allo Stato un contributo ad esempio di 10 euro, in una struttura privata come minimo dovrà pagare 30 euro per lo stesso servizio. La Carta di Nizza, varata nel 2001 anche con il contributo delle Organizzazioni sindacali europee, impegna tutti gli Stati membri dell’Unione a risolvere positivamente il problema della cittadinanza sociale europea, all’interno della definizione di un quadro comune di “livelli essenziali uniformi” dei diritti sociali. Nel contesto europeo, i sindacati pensionati italiani sostengono la Piattaforma rivendicativa della Ferpa (sindacato dei pensionati europeo) costruita sui seguenti obiettivi: istituzione del reddito minimo vitale contro la povertà; garanzie per il mantenimento di un sistema pensionistico

pubblico a ripartizione e la determinazione di un minimo di pensione;

diritto a cure sanitarie di qualità; diritto all’educazione e alla formazione permanente; rispetto e miglioramento della Carta dei diritti fondamentali

dei cittadini europei e sua integrazione nel Trattato dell’Unione.

Il Fondo nazionale per le politiche sociali è sottostimato e comunque, con la finanziaria 2004 si riduce in modo consistente, inoltre il blocco delle addizionali Irpef e i gravi ritardi nei trasferimenti alle Regioni, creano situazioni di

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drammatica sofferenza di cassa. Si scarica quindi sul sistema delle autonomie locali la responsabilità dell’impoverimento o della chiusura dei servizi. Da una parte i diritti di cittadinanza sociale hanno ora una tutela Costituzionale con la Riforma del Titolo V (legge n. 3/2001) ma il loro finanziamento, affidato alla legislazione ordinaria, soffre di gravi problemi di garanzia della loro esigibilità. E’ sufficiente proseguire il sottofinanziamento della spesa sociale e sanitaria per accelerare la crisi del welfare pubblico ed universale, trasformando la domanda sociale in oggetto di mercato. Dice Betty Leone: “la sanità per esempio è un mercato in crescita proprio perché la salute non conosce limiti di prezzo, ma conosce i limiti della disponibilità economica di chi ha bisogno di cure”. Denunciamo quindi le inadempienze del Governo relative agli impegni assunti e mai onorati: fare una legge per definire i livelli essenziali delle prestazioni

sociali, istituire il fondo nazionale per la non autosufficienza, finanziare misure adeguate di contrasto alla povertà e

all’esclusione sociale. Uno degli obiettivi primari di questo seminario, è un appello perché si determini una grande movimento di massa, portatore di valori quali il diritto alla salute, i diritti di cittadinanza sociale, una migliore qualità della vita e del lavoro, rivendichiamo cioè un modello economico e sociale fondato sulla solidarietà, l’eguaglianza, le pari opportunità, la coesione sociale. Chiediamo la fine dei tagli e l’incremento delle risorse dedicate al Welfare tale da porci agli stessi livelli dei Paesi Europei. Invitiamo tutti alla mobilitazione assieme a Cgil, Cisl, Uil contro i tagli della finanziaria, contro il Governo che ha sottovalutato il ruolo insostituibile della politica dei redditi e della lotta all’inflazione, causando la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni. Nella storia dello Stato Italiano non è mai esistita una vera cultura del Welfare come si è sviluppata negli altri Paesi del Nord Europa: la famiglia e le donne all’interno di essa sono state delegate a sostituirlo. Ora è cambiato il contesto sociale, sono cambiate le famiglie, mononucleare, spesso formate da un genitore solo, sono cambiate culturalmente anche le donne che non sono più disponibili a farsi carico degli anziani, dei portatori

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di handicap, dei minori senza un aiuto da parte dello Stato. Inoltre sul nostro territorio insiste una forte presenza sia di extracomunitari regolari ma con gravi problemi di lavoro, di casa, di luoghi di integrazione sociale e sanitaria, sia di irregolari, senza una casa, riparati in luoghi non degni di una società civile, in balia di caporali che alla mattina presto li selezionano come animali sulla Palmiro Togliatti o in via di Pietralata. Nell’anno europeo del disabile la linea di disimpegno del Governo verso queste persone che hanno bisogno più di altre di servizi per acquisire autonomia sembra una beffa che cancella speranze e riproduce sempre più emarginazione e discriminazione. Per quanto riguarda i detenuti abbiamo aperto un Tavolo di confronto con il V Municipio, la Asl, i Direttori del Carcere di Rebibbia per cercare ogni soluzione possibile sia sull’inserimento lavorativo, sia per quanto riguarda la salute, che il possibile collegamento con scuole ed istituti del territorio.

1. Per un sistema sanitario di qualità

Nel nostro Paese la spesa sanitaria pubblica è più bassa rispetto ai maggiori paesi industrializzati mentre la spesa privata si aggira attorno al 30% dell’intera spesa sanitaria. In Italia abbiamo circa un milione di infortuni l’anno, 1500 mortali, nel nostro territorio abbiamo appena seppellito due edili, uno di 18 anni e un operaio di 42, lavoratori in subappalto, di cui uno irregolare, deceduti sotto tonnellate di cemento armato. Sul problema della sicurezza sul lavoro si svolgerà una assemblea unitaria di protesta contro la delega del Governo sulla prevenzione nei luoghi di lavoro, delega che, come quella sul mercato del lavoro e sulla previdenza, vuole smantellare tutta la legislazione precedente e sostituire gli organismi di controllo pubblici con il sindacato e senza nessuno strumento efficace di penalizzazione delle violazioni. Il Fondo sanitario nazionale deve essere adeguato alla media della spesa europea: contro una sanità fatta solo di posti letto, affermiamo la necessità di tornare a investire sull’educazione sanitaria dei cittadini per l’appropriatezza della prestazioni, nella prevenzione, nell’integrazione dei servizi sul territorio, nei

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distretti socio-sanitari. La Camera del Lavoro Roma Est comprende un territorio di 4 Municipi di Roma (e 23 Comuni nella Provincia di Roma) deve confrontarsi con la Direzione delle Asl A-B-C. Oltre alle vertenze aperte dalla categoria funzione pubblica, abbiamo la necessità, assieme ai Presidenti dei 4 Municipi ed ai Delegati del Sindaco, di aprire nelle Conferenze sanitarie locali e nei Distretti, tavoli di discussione sulla integrazione dei servizi socio-assistenziali. Ad un anno dalla approvazione dei Piani sociali di zona i servizi offerti ai cittadini dai quattro Municipi sono preminentemente “servizi sociali” perché non si è realizzata la parte dei progetti che contenevano risorse umane e finanziare derivante dalle ASL. Eppure il Distretto sanitario dovrebbe essere il luogo deputato all’integrazione e alla programmazione dei servizi del territorio, il luogo ove si intercettano i bisogni, si interpreta la domanda di assistenza, si individuano le fonti del disagio, si integra la programmazione sociale con quella sanitaria. Ribadiamo il nostro impegno a partecipare alle Conferenze sanitarie locali per poter contribuire concretamente alla realizzazione del diritto alla salute e al ben-essere, a partire da quella del IV Municipio dove abbiamo aperto unitariamente una vertenza contro la chiusura del Poliambulatorio di via Nomentana 498 ed abbiamo chiesto, senza ottenere risposta, dal Direttore della Asl un piano di ristrutturazione organizzativa dei servizi basato sulla programmazione del territorio e non, come ci sembra di capire, dove ci sono dei palazzi vuoti.

2. Una politica per la famiglia

Siamo il Paese che riserva la quota più bassa (penultimo posto in Europa, superata solo dalla Spagna) di spesa sociale nazionale destinata alle politiche assistenziali per le famiglie e all’infanzia (3,7%). L’esiguità delle risorse destinate alle famiglie è una delle cause della scarsa natalità italiana. La politica di sostegno alla famiglia deve basarsi invece su una rete di servizi dedicati alla prima infanzia, ma le domande di iscrizione agli asili nido rimaste inevase sono ancora molto elevate mentre l’alto costo degli asili nido privati impedisce di considerarli una valida alternativa. Devo altrettanto dare atto al Comune di Roma ed ai

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Municipi di aver fatto enormi sforzi per aumentare questo servizio.

3. Lotta alla povertà e all’esclusione La diffusione della povertà relativa tra le famiglie è rimasta sostanzialmente stabile in questi ultimi anni, intorno al 12 %, così come la diffusione territoriale, con un significativo aumento nelle regioni del centro, ed un peggioramento delle condizioni economiche delle famiglie con minori. La gravità della diffusione della povertà tra i minori nel nostro Paese è stata segnalata anche da ricerche internazionali. Insieme all’Inghilterra, l’Italia è il Paese che presenta il più alto tasso di povertà minorile con 1.700.000 minori poveri nel 2000. Sono 164.000 i minori che lavorano in Italia, al di fuori della legge e di qualsiasi tutela. Il numero delle persone senza fissa dimora in Italia è stato stimato in circa 17.000, fortemente concentrato nei Comuni di grandi dimensioni come Roma. La sperimentazione del reddito minimo di inserimento, introdotto nel 1998 come strumento di contrasto della povertà, ha fornito segnali positivi sulla sua potenziale efficacia (dal “Rapporto annuale sulla politiche contro la povertà e l’esclusione sociale”): individuazione di situazioni di grave disagio prima non

conosciute dai servizi, sviluppo di un atteggiamento attivo, progettuale, sia nelle

modalità di erogazione che in quelle di ricevimento dell’assistenza,

forte contenimento della evasione scolastica dei minori etc. Allo stesso modo occorre mettere a disposizione dei cittadini una rete di servizi, dagli alloggi in comune a mense pubbliche, dai centri di inserimento lavorativo e quelli per la formazione continua. Nella mappa sul disagio economico nel territorio romano stilata dal Censis, basata sui Distretti sanitari, (unità di riferimento delle politiche sociali e di integrazione socio sanitaria), compare al terzo posto della graduatoria il VII Municipio, con una maggiore incidenza delle problematiche relative agli anziani, con particolare riferimento alla diffusione della povertà in

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questa classe di età. Resta importante il peso del fenomeno anche in altre fasce di popolazione, tanto che la percentuale di adulti che fa ricorso all’assistenza economica è particolarmente alto. Al 5^ posto sta il VI Municipio, al 7^ posto il IV Municipio ed al 10^ posto il V Municipio. L’assegno del Reddito di ultima istanza, che dovrebbe sostituire il Reddito minimo di inserimento, non è stato finanziato. Al contrario, le risorse destinate dovrebbero essere consistenti per garantire la copertura a tutte le famiglie che vivono in condizione di indigenza, (in base agli ultimi dati disponibili sono circa 2 milioni e mezzo) mentre le detrazioni fiscali per i famigliari a carico, storica modalità di politiche di sostegno alle famiglie, è del tutto inadeguata perché lascia scoperti quei nuclei dove entrambi i genitori sono disoccupati.

4. L’invecchiamento della popolazione

Tutti parlano dell’aumento degli anziani nel nostro Paese e dell’allungamento della vita delle persone come un problema che incide sulla spesa pubblica (sanità, previdenza, servizi sociali etc.) Mi sembra veramente cinico e irriconoscente verso gli anziani vederli solo come un peso o una spesa. Dobbiamo essere orgogliosi una migliore qualità della vita, il progresso della scienza medica, l’evoluzione sociale ci consentano di poter vivere più a lungo e di avere tra noi tante bellissime persone con una vita di esperienze da insegnarci. Dobbiamo chiedere allo Stato di promuovere politiche per la famiglia e per le donne, in particolare per le lavoratrici, tempi e orari flessibili della città, servizi territoriali, risorse che rimettano in moto speranza e desiderio di investire nel futuro.

5. La qualità del lavoro

Uno degli obiettivi che vorremmo raggiungere con questo convegno è tentare di migliorare le condizioni di lavoro di chi opera nelle cooperative sociali e più in generale nel terzo settore.

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Qualità del lavoro che si lega strettamente alla qualità dei servizi erogati. Nidil ha svolto una breve indagine che pur non avendo tutti i crismi della scientificità, ha confermato quello che nella pratica sindacale già in parte sapevamo: uso distorto della flessibilità del lavoro, scarsa applicazione dei contratti, della legge sulla sicurezza, mancanza di formazione, di preparazione adeguata a trattare con soggetti così fragili, fino ad arrivare, in alcuni casi, all’impossibilità di svolgere attività sindacale. La Cgil di Roma est vuole tentare di aprire un dialogo con la cooperazione sociale e con il terzo settore: la costruzione di un welfare compatibile e solidale non può che trovare il terzo settore e le organizzazioni sindacali alleati, nella prospettiva di una sussidiarietà fra pubblico e privato attenta alle persone e alla famiglia, impegnata nella esigibilità dei diritti, attenta al ruolo centrale dell’amministrazione locale, garante della qualità e della tenuta del sistema. Possiamo costruire assieme un blocco sociale che si ritrova su alcuni valori e precisi obiettivi, per una battaglia contro i tagli al welfare, ed in prospettiva, per un ampliamento delle risorse destinate ai servizi socio-sanitari, per la costituzione di un fondo per la non autosufficienza, per la lotta alla povertà e all’esclusione?

Una funzione rilevante nella gestione della rete di servizi sociali e sanitari è stata affidata al Terzo Settore, che ha registrato negli ultimi anni un grande sviluppo, anche se non privo di contraddizioni. Contraddizioni dovute principalmente ad una cultura e ad una pratica di riduzione della spesa pubblica che ha utilizzato il Terzo settore come strumento di compressione dei costi e prodotto in vari casi, una scarsa qualità dei servizi ed il mancato rispetto dei contratti nazionali di lavoro. Al mondo della cooperazione sociale e del terzo settore ribadiamo in modo netto che siamo sempre stati contrari alle gare al ribasso, lo siamo nel settore dell’edilizia dove tale metodo ha comportato lavoro nero e tanti morti per infortuni, lo siamo ancor di più nel settore socio-assistenziale perché non possiamo permettere di rischiare di abbassare né la qualità dei servizi forniti a cittadini così fragili né di abbattere diritti e tutele dei lavoratori. Partiamo dunque dai Tavoli di concertazione sociale attivati con i Municipi per discutere delle modalità di selezioni delle imprese sociali che dovranno gestire i servizi, e nello stesso tempo apriamo un confronto territoriale e aziendale con la cooperazione sociale per contrattare organizzazione del

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lavoro, profili professionali, tipologie contrattuali, costo del lavoro e del servizio, certificazione etica.

6. Il decentramento del Comune di Roma

Da un anno e mezzo i Municipi si sono impegnati nell’attuazione della 328/2000 e la Cgil Roma Est ha espresso un giudizio positivo sul lavoro fin qui fatto: questa legge richiede un grande salto culturale a tutti, alla classe politica un grande sforzo di programmazione, ed ai Dirigenti e funzionari del settore un modo diverso di lavorare. Ribadiamo quelle che per noi sono le priorità: conoscenza dei bisogni del territorio, progettazione dei

servizi tarati sui bisogni e non l’inverso, politiche di bilancio calibrate secondo la gravità del disagio

emerso. lavoro in equipe e non a compartimenti stagni, uso di tecnologie per la rilevazioni degli utenti e dei loro

bisogni (registro degli utenti del servizio e indicazione del piano individuale di assistenza, per la loro presa in carico.

La Cgil Roma est si è confrontata con tutti e quattro i Municipi sia nella fase di co-progettazione sia nella fase di definizione del bilancio. Le relazioni degli Assessori ai servizi sociali ci presenteranno lo stato dell’arte sull’applicazione della legge 238/2000, i risultati raggiunti e le criticità ancora da superare. Ribadisco l’impegno della Cgil Roma est a supportare in tutte le sedi la richiesta di un decentramento più consistente dal Comune di Roma verso i Municipi, sia dei servizi, ma sopratutto delle risorse finanziarie ed umane, soprattutto dei livelli apicali.

7. Unità sindacale

E’ importante che sui temi del welfare si sia registrata una ampia convergenza unitaria, a partire dalla firma dei protocolli di intesa con i Municipi sulla concertazione del Welfare locale,

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insieme abbiamo criticato il piano sanitario nazionale, il libro bianco sul welfare, denunciato le inadempienze di questo Governo sui Liveas, sulla legge e sul Fondo nazionale per la non autosufficienza, al piano nazionale per la lotta all’esclusione e alla povertà. Siamo convinti che il benessere dei cittadini debba essere al centro dello sviluppo del nostro Paese.

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ANALISI DEI BILANCI RELATIVI ALLE POLITICHE SOCIALI DEI MUNICIPI DI ROMA EST (IV, V, VI E VII) di Giorgio Brunori, Responsabile Ufficio di Piano V Municipio 1. La programmazione degli Enti Locali e la lettura dei bilanci

Innanzitutto intendo ringraziare la Cgil Roma Est, ed in particolare Teresa Berzoni, per l’opportunità che mi è stata offerta. In questo convegno mi è stato assegnato un compito: analizzare i bilanci relativi alle politiche sociali dei Municipi di Roma Est, (quarto, quinto, sesto e settimo), illustrando le criticità che i Municipi attraversano nell’affrontare il nuovo sistema di welfare creato alla luce della legge 328. Occorre innanzitutto soffermarsi su due momenti: il primo è relativo al percorso programmatorio della Regione Lazio che ha portato all’elaborazione dei piani sociali di zona. Verranno poi sviluppate alcune riflessioni inerenti alle caratteristiche dei bilanci dei Municipi e le criticità relative ai fondi ordinari, ai fondi del bilancio consolidato e alle cosiddette risorse aggiuntive legate alla legge 328/2000, successivamente assegnate con delibera della Giunta Regionale.

2. Il percorso programmatorio degli Enti Locali

Il percorso programmatorio è riassunto in questa slide (slide 1). Il punto di partenza è il Piano Sociale Regionale del Lazio approvato soltanto in data 25 ottobre 2002. Ciò ha causato molte difficoltà agli Enti Locali, ed ai Municipi, nell’affrontare le novità introdotte dalla legge n. 328/2000. La Regione Lazio, fino all’approvazione del piano socio-assistenziale nel 2002, si è mossa attraverso singoli provvedimenti deliberativi, aventi valenza programmatoria, e tuttavia privi di quella visione d’insieme che solo il piano sociale regionale può dare. La legge fissa tre momenti di programmazione: il piano sociale nazionale; il piano regionale e il piano di zona a livello di Ente Locale. A Roma la situazione è complicata dal fatto che,

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essendo la città suddivisa in municipalità, abbiamo diciannove piani di zona all’interno del Piano Regolatore Comunale delle politiche sociali. Pertanto solo il Piano Sociale Regionale poteva assicurare una visione d’insieme attraverso l’individuazione di obiettivi ben definiti per tutto il territorio. Il primo provvedimento programmatorio è rappresentato dalla delibera della Giunta Regionale del Lazio n. 860 del 28 giugno 2001 che ha definito i criteri e le modalità per il riparto del fondo regionale per l’anno 2001 e per l’attuazione del primo piano socio-assistenziale. Il dispositivo della delibera 860/2001 stabilisce le modalità di assegnazione delle risorse comuni su base distrettuale (distretto socio-sanitario) con il criterio della presentazione di progetti ad hoc, cioè con le stesse modalità utilizzate prima della legge di riforma. Infatti la delibera 860/2001 presentata a giugno, predisponeva le modalità per la presentazione di progetti e la relativa erogazione di fondi (una sorta di “concorso a premio”). In allegato, ma facente parte integrante della delibera stessa, venivano invece definite le linee guida ai Comuni per l’esercizio delle funzioni di servizio sociale per l’anno 2001, con l’introduzione della metodologia del piano di zona e dell’integrazione socio-sanitaria. Operatori e amministratori, preoccupati di ottemperare la parte del dispositivo relativa alla presentazione dei progetti con scadenza 10 settembre 2001, hanno messo in secondo piano il carattere programmatorio delle linee guida. Così, se da una parte non tutti i Comuni del Lazio sono stati in grado di presentare progetti per ottenere il finanziamento, dall’altra sono passati inosservati ai più alcuni importanti principi introdotti dalle linee guida, come ad esempio l’individuazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei servizi sociali - che dovevano coincidere con i distretti sanitari - la creazione di un budget di distretto e l’assunzione di un piano di zona quale metodo di programmazione da definirsi congiuntamente alla Asl. Tale comportamento della Regione Lazio ha causato difficoltà sia al Comune di Roma che ai quattro Municipi, dovendo prendere in considerazione progetti relativi a servizi realizzati in forma integrata con la Asl.

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Nell’estate del 2001 alcuni direttori generali delle aziende Asl di Roma convocarono, di propria iniziativa, diversi presidenti dei Municipi e capi-distretto per coordinare e per armonizzare l’indirizzo e la progettazione degli interventi sociali, sulla base della già citata Delibera n. 860/2001, assumendosi quindi un ruolo che probabilmente non competeva loro. Nel Gennaio 2002 si svolge la prima conferenza organizzativa del piano regolatore delle politiche sociali del Comune di Roma in assenza di indicazioni da parte della Regione Lazio alle Aziende Sanitarie e ai distretti socio-sanitari. Nell’aprile 2002 parte la prima vera stagione dei piani di zona. Ricordiamo le conferenze organizzative sul piano regolatore delle politiche sociali svoltesi nei diversi municipi presi in esame. Con la delibera di Giunta Regionale n° 471 del 19 aprile 2002 finalmente si stabiliscono i criteri per la ripartizione delle risorse provenienti dal fondo unico nazionale per le politiche sociali -anno 2001. Pertanto, quando parliamo di finanziamenti 2001, ricordiamoci che solo il 19 aprile 2002 si conosce il primo dato, la prima informazione certa, sulla ripartizione della spesa; sottolineo inoltre che la trasmissione formale ai Municipi riguardante le cifre assegnate per i progetti risale al novembre 2002. Bisogna inoltre tener presente anche i rapporti tra il Municipio e il Dipartimento V. Quando parliamo di un percorso programmatorio per la costruzione del piano sociale di zona e di bilancio, dobbiamo ricordarci che i Municipi di Roma non sono del tutto autonomi in virtù dei vincoli imposti dall’Assessorato e dal V Dipartimento che assume, com’è ovvio, la funzione di capofila per la realizzazione dei piani sociali di zona. La Regione successivamente ha emanato una serie di provvedimenti tra i quali ricordo la delibera di giunta n° 807/2002 con cui si stabiliscono i criteri per la ripartizione della seconda annualità.

3. Analisi dei bilanci

Credo sia importante sottolineare che per far fronte alle nuove modalità di programmazione sociale, i Municipi hanno dovuto creare alcune innovazioni organizzative. Sono stati creati gli

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uffici di piano, che rappresentano una grande opportunità per costruire nuove modalità di lavoro e di programmazione. Per analizzare le caratteristiche dei bilanci dei Municipi, non è possibile sottacere i nodi problematici legati al processo di decentramento amministrativo del Comune di Roma. Va sottolineato, proprio dal punto di vista della realizzazione del welfare locale, che i Municipi di Roma ereditano un modello di decentramento contrassegnato da una certa rigidità organizzativa e finanziaria, se pensiamo ad esempio all’articolazione per ventisei centri di costo dei nostri bilanci. Rigidità all’interno della quale i Municipi sono chiamati a programmare per obiettivi, elaborando piani flessibili secondo le nuove normative sia contrattuali che finanziarie, quando la struttura è oggettivamente rigida. Per tutti e quattro i Municipi in esame, l’analisi della struttura dei PEG evidenzia, sul versante delle uscite, un basso livello di autonomia in particolare per le risorse non gestite direttamente dal Municipio: il personale, le utenze, le assicurazioni e le tasse; vi sono poi risorse cogestite che attengono essenzialmente i grandi appalti di servizi alla persona e poi risorse totalmente gestite in maniera autonoma, le cosiddette spese facoltative. Per dare le gambe ai piani di zona municipali, all’interno di un sistema di federalismo solidale che veda l’amministrazione centrale del Comune di Roma come capofila, occorre però che i Municipi raggiungano i seguenti obiettivi: la crescita delle risorse a programmazione municipale; il mantenimento degli standard gestionali in essere; l’incremento delle risorse disponibili per l’attivazione di

progetti innovativi; il trasferimento di fondi per progetti o servizi operanti nel

territorio finanziati con risorse dipartimentali. Questa era la premessa da cui partivamo per poter realizzare i piani sociali di zona quando sono stati approvati tra i mesi di giugno e luglio del 2002. Dopo circa quindici mesi ci troviamo ad affrontare una realtà molto diversa da quella che ci aspettavamo, legata principalmente al meccanismo di costruzione dei bilanci. Realtà che interessa tutti i Municipi di Roma, e nello specifico i quattro Municipi di Roma est. Il criterio di ripartizione delle risorse tra i vari Municipi è sostanzialmente quello creato circa venti anni fa, ai tempi delle

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Circoscrizioni, con gli unici due parametri che erano quello dell’estensione territoriale e del numero degli abitanti. L’assessore al bilancio del Comune di Roma, Marco Causi, ha inserito per l’anno 2002 delle modifiche, i famosi fattori correttivi, proprio per fare in modo che i Municipi potessero avere la possibilità di realizzare un sistema di welfare adeguato. La spesa sociale dei Municipi, esclusa la spesa per il personale, comprensiva però del settore educativo, arriva quasi all’80% del totale; se togliamo il settore educativo scendiamo ad un 50%: risulta comunque chiaro a tutti che il Municipio gestisce risorse consistenti nel settore delle politiche sociali. Il taglio delle risorse effettuato in base alla legge finanziaria del 2003, che ha comportato una diminuzione complessiva dei fondi a disposizione del comune di Roma di circa 180 milioni di euro, non ha consentito di mantenere questa struttura di bilancio. Di conseguenza vi è stata una contrazione delle risorse a disposizione del Comune di Roma e quindi una maggiore difficoltà per garantire ai Municipi i fondi adeguati. Quel quadro oggi è ancora più appesantito dalla nuova legge finanziaria per l’anno 2004: se nel 2003 le risorse tagliate agli enti locali erano di 1,8 miliardi di euro su 20 miliardi di manovra complessiva, pari al 9% del totale, nel 2004 vi sarà a carico dei Comuni un taglio di 1,85 miliardi di euro su una manovra complessiva di 16 miliardi, pari all’11,5% dell’intera manovra. Questa è una percentuale assolutamente sproporzionata non solo se si pensa al ruolo dei governi di prossimità ma anche in considerazione del fatto che la spesa degli enti locali è pari all’8,7% della spesa pubblica nazionale (slide 2). E’ chiaro che in questa situazione di forti tagli ai Comuni e quindi ai Municipi applicare la legge 328/2000 e la esigibilità dei diritti di cittadinanza diventa veramente “un’impresa impossibile”! Ricordiamo che parliamo di bilanci derivati, i Municipi cioè sono strutture di decentramento all’interno del Comune di Roma e pertanto il bilancio è unico; i Municipi, pertanto, hanno dovuto continuare ad utilizzare lo strumento dell’assestamento di bilancio per garantire la prosecuzione dei servizi avviati. Come ricordato all’inizio, la struttura del bilancio e la ripartizione delle risorse tra i Municipi è quella di venti anni fa. Nel frattempo molte cose sono cambiate, i servizi sono aumentati, sono stati inseriti servizi nuovi che ormai non sono più una novità, l’assistenza domiciliare per gli anziani, per i portatori di

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handicap, ecc. Quel tipo di ripartizione delle risorse studiato tanti anni fa non è più adeguato. Come già ricordato, Marco Causi, l’Assessore al bilancio, aveva per tali motivi introdotto dei fattori correttivi per l’anno 2002 che riconoscevano le differenze (socio-demografiche ed economiche) esistenti nei diversi municipi: con la situazione causata dai tagli del Governo è chiaro che non è più possibile avere quelle risorse in più erogate nel 2002. Nel concreto, per i bilanci dei Municipi nel 2003 c’è stata una riduzione del 10%, nel 2004 si parla di una percentuale probabilmente maggiore. A questo punto credo sia opportuno evidenziare (slide 3) i finanziamenti legati alla 328/2000. Occorre anche sottolineare che, in materia di politiche sociali, le risorse di cui dispongono i Municipi non riguardano soltanto le cosiddette "risorse aggiuntive" erogate con la 328 attraverso deliberazioni di Giunta Regionale. Siamo di fronte ad un bilancio complessivo del Comune di Roma che va progressivamente riducendosi. Vediamo anche l’assottigliarsi delle risorse che provengono dal fondo nazionale per le politiche sociali e trasferite alla Regione. Per l'anno finanziario 2001, con Delibera di Giunta Regionale n. 471 del 19 Aprile 2002, sono stati dettati i criteri per la ripartizione delle risorse FNPS; il riparto fondi agli Enti Locali è stato disposto, con Determinazione Dirigenziale R. Lazio n. 103, nel maggio 2002. I fondi, a livello municipale, sono stati così ripartiti: -Municipio IV: Euro 1.338.571.000; -Municipio V: Euro 1.011.570,22; -Municipio VI: Euro 945.856,88; -Municipio VII: Euro 812.003,76. Successivamente il Dipartimento V del Comune di Roma, con funzioni di capofila, ha disposto l’assegnazione dei fondi ai municipi. Per consentire la realizzazione di progetti aventi carattere cittadino già inseriti all’interno del Piano Regolatore Sociale, si è resa necessaria una riduzione del 16% rispetto alle cifre precedentemente evidenziate, pertanto le risorse realmente assegnate ai Municipi per la realizzazione dei Piani Sociali di Zona sono risultate inferiori rispetto a quanto era stato indicato con D. D. n.103/2002 della Regione Lazio. Più precisamente: -Municipio IV: Euro 1.123.590,24 per 14 progetti approvati;

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-Municipio V: Euro 858.000,00 per 8 progetti approvati; -Municipio VI: Euro 790.856,00 per 15 progetti approvati; -Municipio VII: Euro 684.273,87 per 5 progetti approvati. Relativamente all’anno finanziario 2002, seconda annualità dei piani sociali di zona, le risorse assegnate ai Municipi sono state le seguenti: -Municipio IV: Euro 1.089.483,36 (già 1.123.590,24); -Municipio V: Euro 823.331,88 (già 858.000,00); -Municipio VI: Euro 769.846,56 (già 790.856,00); -Municipio VII: Euro 660.901,92 (già 684.273,87). Ora il problema è legato alla terza annualità (2003) di cui non abbiamo nessuna informazione certa; siamo però preoccupati perché sembra che ci sia un taglio molto consistente. Nella slide (grafico) relativa alle Annualità 2001-2002 dei Piani Sociali di Zona, viene graficamente evidenziato quanto precedentemente esposto. I Municipi sono rappresentati da due colonne, in una c'è l'annualità 2001, nell'altra l'annualità 2002: potete vedere che c'è un andamento decrescente e probabilmente, se il trend sarà confermato, ci sarà un’ulteriore riduzione per la terza annualità. Per concludere, mi sembra di poter affermare che la maggior parte dei Municipi si sono ormai attrezzati per erogare nuovi servizi previsti dalla legge 328/2000 ed approvati nei Piani Sociali di Zona Municipali. Diciamo che sono più o meno tutti allo stesso livello, in dieci mesi si sono avviati dei servizi, in alcuni casi si stanno terminando. La preoccupazione è che si stanno avviando dei servizi in una situazione caratterizzata da un tasso di inflazione crescente (e quindi con leggi finanziarie sempre più restrittive in termini di trasferimenti agli enti locali) e con l’evidenza che già per la seconda annualità le risorse assegnate sono state inferiori rispetto alla prima: se per la terza annualità si prevede un ulteriore taglio, c’è da preoccuparsi. Lascio a voi le riflessioni.

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Slide N. 1 Percorso programmatorio per la realizzazione dei piani sociali di zona: Giugno 2001 DGR Lazio n. 860 Gennaio 2002, conferenza organizzativa del Sindaco

Veltroni per l’avvio del Piano Regolatore delle politiche Sociali

Marzo-Aprile 2002, avvio delle conferenze organizzative municipali-tavoli sociali tematici

19 Aprile 2002 DGR Lazio n.471 contenente i criteri per la ripartizione dei fondi FNPS 2001 (trasmissione formale ai Municipi: Dicembre 2002)

Metà maggio 2002: consegna degli elaborati municipali al Dip. V

Giugno 2002 DGR Lazio n. 807 Luglio 2002: sottoscrizione accordi di programma con le

ASL per l’integrazione socio-sanitaria e approvazione dei p.d.z. da parte dei consigli dei Municipi

Piano Socio Assistenziale Regione Lazio 25 ottobre 2002 (pubblicato nel Dicembre 2002)

Luglio 2003 DGR n. 704

Slide N. 2 Tagli Enti Locali

2003 1,8 miliardi di €. Roma - 180 milioni di €. su 20 miliardi di manovra complessiva 2004 1,85 miliardi di €. Roma - circa 200 milioni di €. Su 16 miliardi di manovra complessiva

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Slide N. 3 PIANO DI ZONA SOCIALE Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali: L. 328 – del 08- novembre 2000 PIANO SOCIO ASSISTENZIALE REGIONALE, SUPPLEMENTO “BOLLETTINO UFFICIALE” R. L. N 35 DICEMBRE 2002. DELIBERA N.1408 DEL 25 OTTOBRE 2002. Anno2001: Delibera G. R. n. 471 del 19 – Aprile 2002

Riparto fondi: Determinazione Dirigenziale R. Lazio n. 103 del 8 Maggio 2002 Municipio IV: Euro 1338,571,45 Municipio V : Euro 1.011.570,22 Municipio VI: Euro 945.856,88 Municipio VII: Euro 812.003,76

Dipartimento V, prot. 60410 del 18 novembre 2002, Determ. Dirigenziale n. 1928 del 12/11/02, fondi assegnati:

Municipio IV: Euro 1.123.590,24 per n. 14 progetti approvati Municipio V: Euro 858.000,00 per n. 8 progetti approvati Municipio VI: Euro 790.856,00 per n. 15 progetti approvati Municipio VII: Euro 684.273,87 per n. 5 progetti approvati

Anno 2002: Delibera G. R. 807 del 21 Giugno 2002 Riparto fondi: Determinazione Dirigenziale R. Lazio n.245 del 6 Settembre 2002 Dipartimento V: prot. 50695 del 23 Settembre 2003; Determinazione Dirigenziale n. 2382 del 13 agosto 2003, fondi assegnati:

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Municipio IV: Euro 1.089,483,36

Municipio V: Euro 823.331,88 Municipio VI: Euro 769.846,56 Municipio VII: Euro 660.901,92

Anno 2003: Delibera G. R. Lazio 704 del 27- Luglio 2003. Riparto Fondi:-----------------------?

Grafico

Municipio IV 2001 1100000Municipio IV 2002 1089483,36Municipio V 2001 858000Municipio V 2002 823331,88Municipio VI 2001 790856Municipio VI 2002 769846,56Municipio VII 2001 684273,87Municipio VII 2002 660901,92

Piano di Zona SocialeAnnualità 2001 - 2002

0200000400000600000800000

10000001200000

1

Municipi

Euro

Municipio IV 2001

Municipio IV 2002

Municipio V 2001

Municipio V 2002

Municipio VI 2001

Municipio VI 2002

Municipio VII 2001

Municipio VII 2002

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IMPRESE SOCIALI E LAVORO ATIPICO di Federico Bozzanca, NIdiL Cgil Roma Est 1. L’espansione del lavoro atipico che ha toccato le imprese sociali

Sarebbe semplice affrontare la questione dell’espansione del lavoro atipico in questo settore limitandosi a denunciare la precarietà dei rapporti di lavoro e i disagi che gli stessi vivono. Riteniamo sia più importante alla luce degli obiettivi che ci siamo posti in questo appuntamento fare qualcosa di più: partire dalle cause che secondo la nostra analisi hanno comportato tale fenomeno. E per far questo abbiamo costruito uno studio che potesse farci comprendere meglio in che modo è strutturata l’organizzazione del lavoro e quali sono i problemi vissuti nelle imprese sociali sotto diversi versanti. Lo studio di cui vi parlerò nel corso della relazione non ha alcuna pretesa di essere scientifico in virtù di un campione di cooperative molto ristretto. Credo, comunque, che alcuni elementi venuti fuori da interviste fatte a dirigenti di importanti cooperative che operano su questo territorio, rappresentanti sindacali e lavoratori delle stesse, uniti ad una certa esperienza del sindacato in questo settore sia per quel che riguarda i lavoratori che per quel che riguarda l’utenza, possano fornirci se non altro degli spunti interessanti. La grandissima espansione che ha caratterizzato il lavoro atipico parasubordinato nelle cooperative sociali ed in generale nel mondo dell’associazionismo è stato un fenomeno probabilmente senza eguali in altri settori. Nel nostro lavoro quotidiano ci imbattiamo non solo in cooperative con un’altissima percentuale di lavoratori in collaborazione, ma anche, in alcuni casi, in cooperative o associazioni in cui l’unica tipologia contrattuale presente è il contratto di collaborazione. Tale flessibilità, attenzione, non è sempre una flessibilità subita: in alcuni casi, per determinate figure con una professionalità elevata è anche una flessibilità scelta. Il dato che riscontriamo, però, è che la flessibilità contrattuale è tendenzialmente accettata laddove corrisponde anche ad una flessibilità organizzativa. In un settore, però, in cui gli interventi sono nella maggior parte dei casi pianificati a tal punto che rispondono a criteri di

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turnazione, è difficile individuare un’alta flessibilità organizzativa; o meglio è difficile individuare una flessibilità tale da giustificare le percentuali di prestazioni occasionali, coordinate e continuative, professionali presenti in tantissime strutture. In primo luogo, direi, la causa del ricorso a tale tipologia è la necessità di ridurre il costo del lavoro. L’instabilità economica dovuta spesso a ritardi dell’erogazione delle risorse da parte delle Istituzioni (che arrivano fino ad un anno nel caso delle ASL), e la scarsezza dei fondi rappresentano ancora oggi, nonostante alcuni importanti passi in avanti fatti in primo luogo dal Comune di Roma, un elemento assolutamente problematico del sistema. Esistono in strutture di questo tipo dei costi altri rispetto a quelli della prestazione in sé che non vengono coperti dai finanziamenti pubblici, esistono ancora dei meccanismi di gara al ribasso che naturalmente non premiano la qualità, esistono enormi ritardi di pagamenti che richiedono spesso dei costi di ammortamento. Tutto ciò rende, per strutture le cui fonti di finanziamento sono quasi esclusivamente gli Enti pubblici, il ricorso a contratti di collaborazione infinitamente più convenienti da un punto di vista economico. Riscontriamo inoltre una tendenza a non stabilizzare quelle figure che non lavorano in servizi non consolidati o quelle figure che potremmo definire di “emergenza”: una sorta di job on call a cui si ricorre per coprire personale in malattia o assente per altri motivi.

2. Cosa ci dice lo studio di caso 1

Sui processi organizzativi le strutture che abbiamo analizzato sia per quel che riguarda i meccanismi informativi che quelli di controllo, si sono dotate di luoghi decisionali intermedi collegati alla differenziazione dei servizi in cui si opera. Tali luoghi in diversi casi fungono anche da strumenti di monitoraggio e di supervisione del lavoro svolto, nonché da strumenti formativi veri e propri funzionali anche ad un aggiornamento continuo. Mentre sembrano perlopiù sporadici i momenti di formazione organizzati con l’ausilio di Enti esterni, o di formazione continua tradizionalmente intesa, le riunioni di equipe, i

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momenti di incontro settimanali o mensili rappresentano un importante strumento di crescita del personale. Il limite che si può riscontrare rispetto a questi appuntamenti è che abbiano più una funzione di “perfezionamento” del servizio reso che una funzione di “introduzione” al servizio: infatti, vediamo i collaboratori in notevole difficoltà perché non preparati ex ante al rapporto con l’utente di cui nella maggior parte dei casi non sanno nulla prima di incontrarlo. Sulla formazione riscontriamo due elementi critici: la mancanza di coinvolgimento spesso del personale in collaborazione e l’assenza assoluta delle Istituzioni nell’assistenza alla crescita formativa del personale e quindi della qualità del lavoro della cooperativa. Rispetto a questo occorre auspicarsi una maggiore integrazione tra le varie Istituzioni competenti coscienti dell’assoluta assenza in questi anni della Provincia e della Regione su questa materia.

3. Cosa ci dice lo studio di caso 2

Se andiamo ad analizzare il vissuto dei lavoratori assistiamo all’emersione di tutti gli elementi di contraddizione vissuti in questo settore. Partiamo dall’isolamento. La presenza di momenti di gruppo, di supervisione e monitoraggio, non risolve il bisogno continuo di sostegno nell’attività svolta nei confronti dell’utenza. Tale isolamento si accentua nel rapporto con la famiglia dell’utente che pretende un livello di qualità alla creazione del quale dovrebbero necessariamente contribuire anche le Istituzioni. Un solo esempio per capirci. mentre è abbastanza riscontrabile un’applicazione della 626/94 nei locali della cooperativa, lo stesso non possiamo dire per ciò che avviene a casa degli utenti. L’assenza di sollevatori e di idonei strumenti crea innumerevoli problemi all’attività dei lavoratori e lamentele da parte delle famiglie di cui devono rispondere direttamente i lavoratori stessi. Per quel che riguarda in particolare i collaboratori il nostro studio fa emergere la mancanza di informazioni di carattere normativo specifiche rispetto a questa tipologia contrattuale. Dalle questioni relative ai pagamenti alle denuncie degli

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infortuni, l’assenza di risposte chiare può generare ulteriore disagio. A questi problemi si aggiungono tutti i problemi tipici di un lavoro precario. Pochi sono i casi di lavoratori in collaborazione pluricommittenti: per molti questo lavoro è l’unica fonte di reddito. Una fonte di reddito in molti casi esigua, una fonte di reddito che chiaramente non copre tutto il tempo dedicato al lavoro. Il lavoro di questi operatori è caratterizzato da una intensa attività di lavoro informale e aggiuntivo necessario per conoscere meglio l’utenza, necessario per conquistarsi la fiducia dell’individuo che ha bisogno di cura. A questo tempo di lavoro informale si aggiunge il tempo necessario per gli spostamenti da un utente ad un altro, tempo che arriva a costituire anche il 50% del tempo retribuito. Tutto ciò con l’aggravante che quando ti ammali, quando decidi di prenderti un periodo di riposo non hai alcuna garanzia di compenso. Ed in un sistema di welfare che sembra ancora non essersi accorto dell’esistenza di figure di questo tipo (si pensi all’assenza di forme di integrazione al reddito o all’impossibilità per queste persone di avere una pensione decente), questa situazione è sempre più problematica. Nonostante il CCNL delle Cooperative sociali sia uno dei contratti più poveri, tra lavoratori dipendenti e collaboratori c’è una disparità di trattamenti evidente, dovuta innanzitutto ad un’impossibilità perenne di poter programmare il proprio futuro perché oggi il lavoro c’è, oggi ho la possibilità di lavorare 30 ore ogni settimana, domani non lo so, domani potrei perdere questo lavoro. Questa chiaramente non è una situazione che vive solo questo settore, è una condizione che vivranno tantissime persone soprattutto alla luce dell’approvazione della legge 30 e del decreto attuativo 276. Non è di poco conto, comunque, osservare che questi lavoratori svolgono un’attività fortemente logorante, sono soggetti ad un altissimo tasso di infortuni e di malattie. È chiaro che nella maggior parte dei casi il turn over riguarda principalmente queste figure che vanno via appena riescono a trovare un’occupazione che riesca a dargli più garanzie. Spesso queste persone, per le quali aiutare gli altri è stata più una scelta di vita che una semplice occupazione, sono costrette a cambiare

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lavoro perché non riescono ad arrivare alla fine del mese con quello che guadagnano. Alcuni invece vedono queste strutture solo come strumenti di passaggio in grado di rappresentare una fonte di reddito.

4. Conclusioni: come intervenire

La lotta alla precarietà non può che seguire due strade: da una parte è necessario iniziare a lavorare per una stabilizzazione di questo personale. Badate non dico ciò per alcuna pregiudiziale ideologica o per un attaccamento vetero al tradizionale posto di lavoro a tempo indeterminato. Puntare sulla stabilità del posto del lavoro, oltre che migliorare le condizioni esistenziali degli individui – e penso anche e soprattutto ai tanti lavoratori immigrati impegnati in questo settore - rappresenta uno strumento di miglioramento della qualità dei servizi offerti. Non siamo solo noi e non sono solo i lavoratori a richiedere stabilità del personale: sono anche gli utenti che necessitano di instaurare un rapporto continuo e “fidelizzato” con gli operatori. Le esigenze di flessibilità ci saranno sempre e forse aumenteranno ancor di più. occorre, però, che la flessibilità contrattuale sia realmente giustificata dalla flessibilità organizzativa, occorre ricondurre alle idonee fattispecie giuridiche tutte le attività svolte all’interno di questo sistema. A quel punto anche nell’ambito dell’utilizzo di tipologie contrattuali flessibili si può e si deve pensare ad un’estensione di diritti e tutele per evitare che ci siano lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Pensare in questo secolo che ci possano essere lavoratori non pagati nei periodi di malattia e che non hanno diritto a periodi di ferie retribuiti mi sembra intollerabile. Come mi sembra intollerabile pensare che queste persone possano dare un contributo alla lotta ai disagi, quando sono tra i primi a vivere tutte le contraddizioni del nostro mercato del lavoro. L’estensione dei diritti per via contrattuale è stata una strategia efficace che ha messo tantissime persone nelle condizioni di lavorare in una posizione di maggior forza, con più garanzie e più opportunità di crescita professionale, di lavorare in una

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condizione di reale autonomia, e non in quella fittizia che troviamo solo enunciata nei contratti che si firmano. Occorre creare anche meccanismi di solidarietà, sperimentando forme di mutualismo che si rifanno all’antica tradizione dei sindacati dei primi del novecento. Come occorre investire seriamente sulla formazione continua. Il lavoro “povero” può essere infatti una condanna a vita, se povera è la base culturale e professionale delle persone; mentre, al contrario, può rappresentare la tappa di un percorso, in cui la persona è accompagnata da seri e ricorrenti interventi formativi verso opportunità di lavoro più ricche e “decenti”. Credo che questo modo di intendere la flessibilità sia la migliore risposta che si possa dare a chi propone un nuovo mercato del lavoro fondato sulla precarietà, sull’incertezza e sullo stravolgimento del diritto del lavoro. Su questa idea di organizzazione del lavoro antitetica alla precarietà devono investire tutte le Istituzioni garantendo non solo il rispetto del CCNL, ma anche una serie di garanzie a quelle tipologie contrattuali che non hanno riferimenti né salariali, né normativi a livello nazionale. È necessario che i Municipi controllino che non vi sia un utilizzo non corretto delle forme contrattuali. Ma è necessario anche fissare dei paletti proprio in fase di accreditamento dei soggetti che si candidano a svolgere determinate attività: stabilire dei parametri retributivi anche per i collaboratori e definire quali sono le professioni che possono essere svolte con contratto di lavoro autonomo potrebbero costituire una adeguata soluzione al problema che poniamo. Il problema dei costi c’è e rimane. Su questo credo che ci si possa unire per fare una battaglia insieme per destinare sempre maggiori risorse ad un sistema che forse è stato letto finora solo in chiave di risparmio. Dobbiamo dire no con forza a chi continua a tagliare i fondi destinati al welfare, no alle gare al ribasso, no agli enormi ritardi di pagamenti, ma dobbiamo anche costruire un codice etico di rispetto dei diritti dei lavoratori di questo settore.

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ANZIANI: I NUOVI BISOGNI di Marcella Salvatore, Spi Cgil Roma Est Premessa

Anche la vecchiaia, come ogni momento della vita di ciascuno è la sintesi della vita che si è vissuta fino a quel momento. E’ la somma di tutti momenti felici e/o difficili che hanno contrassegnato la vita, di come sono stati superati, di come sono stati allontanati i momenti brutti e delle speranze. Tutto questo non solo influisce sullo stato della salute fisica e mentale, sul reddito, sulla capacità di adattarsi alla vita, sulla capacità di esprimere i propri bisogni ma contribuisce a precisare la propria, personale definizione di “benessere”. La classifica delle priorità che precisano ciò che serve a ciascuno per star bene, anche per gli anziani è strettamente individuale. Tuttavia la frequenza di tali priorità contribuisce a definire, qualitativamente e quantitativamente la domanda sociale: tale elemento è la base delle piattaforme sindacali dei pensionati. L’obiettivo è la costruzione di strategie e interventi finalizzati a realizzare risposte articolate e complesse che mettono al centro il cittadino e contribuiscono a rispondere in maniera adeguata alle esigenze collettive.

1. Innanzitutto il territorio: Roma Est La consistenza del territorio di Roma Est la conosciamo tutti. 4 municipi a Roma, 23 comuni all’esterno. Per un totale di oltre 1 milione di abitanti censiti. Basta l’esame della composizione della popolazione distinta per fasce di età per avere un quadro della complessità dei problemi da essa presentata. Preciso che mancano tutte le distinzioni possibili e immaginabili portatrici di bisogni specifici (Le donne, le donne anziane, i maschi, i maschi anziani, gli immigrati, gli adolescenti ecc...) che, si auspica, siano conosciuti

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nel dettaglio dai vari Municipi, visto che a loro spetta il censimento e la programmazione degli interventi. A noi sia consentita una semplificazione del discorso limitando la nostra analisi alla parte di Roma est che riguarda l’area metropolitana. Scegliamo, perciò, di non affrontare gli aspetti che riguardano la parte di provincia compresa nel nostro territorio.

Municipio minori % Adulti % anziani (+65) % Totale % 4 24821 11,9 147044 70,5 36770 17,6 208635 100 5 25936 13,8 137658 73,0 24858 13,2 188452 100 6 15459 11,4 93496 68,7 27167 20,0 136122 100 7 17689 13,9 88059 69,3 21374 16,9 127122 100 Roma 349476 12,4 1973016 70,2 489081 17,4 2811573 100 Fonte Forum degli assessorati su dati Ceu 19971

Focalizziamo l’attenzione sugli anziani: nei 4 municipi di Roma ne sono stati censiti 110.1692. La percentuale media complessiva è leggermente al di sotto della media cittadina (16,9). Dai dati risulta che la percentuale più alta di anziani ultra sessantacinquenni si trova in 6° municipio. La più bassa nel 5°. Il 4° Municipio è il più popoloso e propone la stessa percentuale dell’intero territorio romano. Il sindacato è fortemente radicato nel territorio, tant’è che gli iscritti allo Spi di Roma est rappresentano oltre il 10% della popolazione anziana di questi 4 Municipi. La maggior parte dei nostri iscritti – il 60% - sono pensionati Inps, e questo offre indicazioni di riferimento sul loro reddito medio presunto pro capite (a partire da meno di 560 euro). A noi si rivolgono pensionati con le necessità più disparate che riguardano in linea di massima la loro vita quotidiana, le loro difficoltà i loro diritti. Noi cerchiamo di dare risposte individuali e facciamo confluire tali bisogni nelle nostre piattaforme

1 Ho preferito servirmi dei dati del 97 per tre motivi. 1. in quegli anni non era necessario un “uso creativo” dei dati anagrafici e sulla popolazione visto che la politica locale si riferiva marginalmente a questi numeri per realizzare interventi di politica sociale 2. è irrilevante per il nostro discorso, la rilevazione - al millimetro dei dati anagrafici 3. le fonti ufficiali di rilevamento (Istat, censis, comune di Roma, caritas ecc) non forniscono dati omogenei 2 (censimento 97)

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rivendicative. Un aspetto principale della nostra attività negoziale riguarda i servizi sociali e socio sanitari diretti agli anziani. Pur sapendo che i criteri di definizione della qualità dei servizi vanno formulati in maniera omogenea per tutta Italia e perciò vanno contrattati in sedi diverse dal comprensorio, abbiamo voluto contribuire al dibattito su questo tema esaminando alcuni casi di assistenza domiciliare per esemplificare, alla luce delle esigenze espresse dai pensionati (e quindi di chi riceve il servizio), quali sono gli elementi che dovrebbero contrassegnare tale servizio. Tali testimonianze hanno fatto emergere che: gli anziani vogliono che l’assistente domiciliare sia sempre lo stesso, vogliono fare il bagno assistiti sempre dalla stessa persona, vogliono che gli assistenti domiciliari arrivino sempre alla stessa ora; in sostanza vogliono che si caratterizzi un “rapporto” e quindi un “rapporto di fiducia” con l’operatore. Tali bisogni per noi sono il punto di partenza per definire come deve essere un servizio di qualità. Ciò ci porta a dire che un servizio diretto alle persone, e quindi anche agli anziani, non può essere solo il prodotto di una serie di azioni assistenziali. Esso è una specie di “mezzo” che fa interagire i vari soggetti che partecipano ad una relazione tra individui. Per questo motivo la competenza professionale che occorre in questi casi, si concilia male con l’esclusione dalla formazione permanente e fortemente specializzata degli addetti alla prestazione del servizio stesso (si pensi a chi assiste malati affetti da demenza senile). Ci si chiede se personale con caratteristiche fortemente specializzate possa mai essere mal pagato, precariamente inserito nel mondo del lavoro e se, qualora si programmi un servizio del genere, si valuti adeguatamente il fatto che, dati Censis3, la percentuale delle persone dalle quali gli anziani (l’utenza) si sentono maggiormente distanti sono quelli che appartengono ad altre etnie (9%) e quelli di un’altra generazione (7,8%). (in genere gli addetti all’assistenza sono giovani e spesso sono stranieri!). E inoltre che circa il 50% degli anziani riceve l’assistenza dagli operatori con una certa passività. Ciò induce a due considerazioni aggiuntive:

3 Gli anziani in Italia: Problemi e speranze, a cura del Censis per Salute de La Repubblica e Somedia, Roma 2002

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l’organizzazione del lavoro di chi prefigura forme di assistenza a stretto contatto con gli anziani, deve tendere a non escludere alcun tipo di lavoratore e dimensionare anche su tali necessità la formazione degli addetti ai servizi socio sanitari;

l’utenza, soprattutto quella più anziana e soprattutto i non autosufficienti, spesso propone problemi seri come quello della solitudine, della fragilità, il senso di precarietà economica e il bisogno di sicurezza. Occorre che chi interagisce con gli anziani sia preparato ad affrontare anche la possibilità di confrontarsi con tali difficili problemi.

2. La diversificazione dei servizi

Per quanto riguarda la diversificazione degli atti assistenziali, molte delle nostre richieste sono state accolte dai Municipi con i quali dialoghiamo. Certo tutto questo parte dall’idea generale dell’assistenza agli anziani attuata dal Comune di Roma che sta realizzando pacchetti assistenziali che prevedono, tra l’altro, provvedimenti di assistenza domiciliare (finalizzati a far restare l’anziano a casa propria) garantendo assistenza adeguata ed evitare l’istituzionalizzazione e risposte significative al bisogno di sicurezza e di socialità. Gli utenti degli interventi assistenziali sul territorio, scrive l’ufficio stampa del Comune, sono passati dai 5.250 del maggio 2001 ai 9.700 del maggio 2003, con un aumento percentuale di oltre il 90%. Nonostante questo, il sindacato si batte per una maggiore qualificazione dell’assistenza che deve avere il suo perno nell’integrazione socio sanitaria che si può realizzare efficacemente solo se si avvia un proficuo rapporto di concertazione tra Comune, Municipi, Regione, Provincia e tutti gli altri enti territoriali preposti all’erogazione dei servizi sociali e socio sanitari.

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3. Le politiche sociali, i parametri del benessere A questo punto del discorso vorrei tentare di chiarire il significato del concetto di ben-essere. Ne Gli anziani in Italia, 5° rapporto sulle condizioni economiche e qualità della vita, promosso dallo Spi Cgil e realizzato dal Cer, Ediesse, Roma, 1995, il Sindacato dei pensionati della Cgil per la prima volta provò a misurare il “parametro di benessere” per poter disporre di un indice capace di dare un significato qualitativo e quantitativo della complessiva condizione anziana. Lo stesso rapporto evidenzia, tra l’altro, i rischi crescenti di povertà ed emarginazione sociale a cui sono soggetti gli anziani e precisa che “i processi di accrescimento delle aree di povertà e di emarginazione non si misurano solo sulla base del livello dei redditi, ma anche dalla consistenza del fenomeno della differenziazione del livello della qualità dei servizi sociali, della qualità della vita in senso generale, dalle difficoltà che soprattutto gli anziani, ma non solo loro, incontrano nella condizioni complessive di vita delle aree urbane e metropolitane”. A quell’epoca nel sindacato stava maturando l’idea della legge quadro sull’assistenza, oggi questi sono i contenuti di accordi e piattaforme. Come viene tradotto tutto questo, nella concreta attuazione delle politiche sociali territoriali? “Strette tra l’aumento della domanda dei servizi e i vincoli di bilancio, le scelte di politica assistenziale per anziani, generalmente, o si specializzano nell’offerta di servizi rivolti in modo

privilegiato alle fasce di popolazione più deprivate; oppure possono provare a ridisegnare in profondità l’assetto

del sistema in modo da adattarlo meglio sia ai vincoli finanziari a cui è sottoposta la spesa sociale pubblica che alla nuova struttura dei rischi sociali.

Nel primo caso, il rischio di favorire un’ulteriore polarizzazione sociale tra l’utenza indigente e quella dotata di maggiore potere d’acquisto tende a non mantenere l’impostazione universalistica

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che dovrebbe contraddistinguere le politiche assistenziali. Tale rischio è stato parzialmente temperato dall’introduzione dell’indicatore economico e sociale (ISEE). La seconda strategia, ridisegnare l’assetto delle politiche sociali, non è esente da difficoltà connesse sia alle incertezze inerenti al cambiamento da operare, sia alle forti resistenze opposte agli interessi meglio tutelati dall’assetto attuale. Tali orizzonti strategici si riferiscono a significati del concetto di assistenza che si ascrivono in concezioni culturali assai diverse tra loro e che vedremo di approfondire in un altra sede. Quello che comunque è chiaro è che “il compito a cui le politiche non potranno sottrarsi è quello di realizzare un’estensione significativa del sistema dei servizi, in modo da soddisfare una domanda crescente e qualitativamente diversa da quella del passato.”4 Come si qualifica e si estende tale domanda, dipende dal riferimento culturale di chi amministra e di quanto intende rispondere al dettato della legge attualmente in vigore, la 328/2000, che prevede forme di democrazia partecipata a cui è stata data una sede di esercizio nei tavoli sociali. Tale domanda di servizi interessa tutti i cittadini; in questa sede limitiamo il discorso al complesso mondo degli anziani e dei pensionati a tutto quello che vi ruota intorno. Nonostante la scelta di descrivere il fenomeno solo da questa angolazione, si osserverà – lo voglio ribadire - che le politiche sociali non sono mai legate alla parzialità di una sola fetta di popolazione sebbene parlare di anziani spesso comporta la necessità di occuparsi di una fascia di popolazione socialmente più esposta. In primo luogo si intrecciano tre processi che hanno un impatto molto rilevante “sulla vulnerabilità sociale e sulle politiche di welfare: l’invecchiamento della popolazione, il crollo del tasso di fertilità, e l’aumento dell’instabilità familiare”5. Ciò determina alcuni fenomeni che caratterizzano l’assetto sociale e ampliano i confini del welfare. Ne citerò solo alcuni: instabilità del lavoro, disorientamento rispetto al lavoro parcellizzato, diffusione di malattie invalidanti

4 L’assistenza agli anziani in Italia e in Europa. Verso la costruzione di un mercato sociale dei servizi, a cura di Costanzo Ranci, Ed. Franco Angeli, 2001, p. 23 5 L’assistenza sociale. Le politiche di attivazione in Europa - frammentazione e coordinamento-, EDIESSE, Aprile - giugno 2002, p. 188

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e patologie croniche che si protraggono nel tempo, separazione del ruolo familiare e complessità delle responsabilità dei genitori, difficoltà di conciliare il lavoro con la cura dei bambini, difficoltà di conciliare lavoro e cura di un familiare disabile e privo di autonomia, complessità degli adempimenti burocratici, disorientamento nei confronti dei servizi informatizzati, membri della stessa famiglia le cui abitazioni sono distanti tra loro, indebolimento della cooperazione di vicinato, in generale, carenza di un sistema di formazione continua che avvicini le competenze di ciascuno alle modifiche sociali, ecc6. Tali elementi, combinati diversamente, aumentano i rischi di fragilità a cui sono esposti tutti i cittadini, e in particolare gli anziani, e fanno assumere valenza sociale a tutti i servizi: la scuola, i trasporti pubblici, i musei, le strutture sportive, i servizi per l’impiego che perciò devono tenere conto delle esigenze specifiche di cittadini anziani, disabili, stranieri, persone isolate e prive di legami familiari ecc. perciò un certo tipo di letteratura specializzata chiarisce che per costruire il welfare del territorio così come indicato nella legge quadro 328/2000, non bastano i servizi sociali ma viene chiesto un orientamento sociale a tutti i servizi e le infrastrutture utilizzate dai cittadini. A questo punto si affaccia la necessità di ribadire il diritto all’informazione del cittadino sui servizi organizzati dal Comune e dai Municipi. Rivendichiamo le carte dei servizi e la loro adeguata pubblicizzazione. Secondo noi va fatta un altro tipo di comunicazione che faccia passare il messaggio che quel determinato servizio è a disposizione di tutti quelli che ne hanno bisogno e non solo di chi lo viene a sapere. E questo è il senso del nostro convegno dove per la prima volta si auspicano, sulla base di questo orientamento sociale dei servizi, finalità rivendicative convergenti tra diverse categorie Cgil e la Confederazione. Per la prima volta diritti di cittadinanza e diritti del lavoro entrano a far parte di una strategia comune che assume il benessere dei cittadini come paradigma di qualità di vita

6 Ornella Casale, Piano sociale di zona, EDIESSE, 2002, p.29

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allargando e soprattutto qualificando il concetto di assistenza a quello più vasto del ben-essere, che va affermato, costruito e mantenuto. A questo punto voglio puntualizzare che, come ciascun operatore sa, la cultura di ciascuno influisce sulla identificazione più o meno raffinata dei propri bisogni. Tale rappresentazione è connessa alla percentuale di rischio che tali bisogni non vengano soddisfatti. Voglio solo accennare a tale concetto lasciando a ciascuno le possibili connessioni tra il livello di reddito individuale più o meno alto e la possibilità di acquistare servizi e la necessità da parte delle amministrazioni di assicurare tali risposte. Anche in questo caso, noi sappiamo che una domanda crescente di servizi qualitativamente diversificati fa delineare una serie di problemi urgenti e di soluzioni sempre da discutere per il sindacato che, lo ricordiamo, esercita il suo diritto di rappresentanza di lavoratori e cittadini. Ne descrivo alcuni:

In primo luogo, la raccolta delle risorse finanziarie aggiuntive

rispetto a quelle oggi disponibili. Il problema si delinea di difficile soluzione vista l’attuale situazione del Paese “colpito da una grave crisi economica e sociale caratterizzata da una bassa crescita del Pil, da un forte declino dei settori produttivi e da un evidente arretramento delle politiche sociali.”.... di un governo nazionale che “punta a realizzare una drastica riduzione dell’intervento pubblico attraverso la sottostima dei fondi nazionali sanitari e sociali e il drastico taglio dei trasferimenti delle risorse agli enti locali con l’obiettivo di realizzare uno stato sociale “minimo” e avviare una larga e crescente privatizzazione nei diversi settori, incentivata anche dalle politiche fiscali (es. il De Tax) e della valorizzazione del ruolo del terzo settore esclusivamente negli aspetti gestionali e d’impresa”7: Su tali richieste il sindacato, in particolare il nostro, si sta misurando in momenti di lotta che inseriscono il problema dell’assistenza tra le priorità nella contestazione della legge finanziaria.

7 Ordine del giorno conclusivo dell’assemblea dei quadri e delegati, Bellaria 8, 9, 10 ottobre 2003

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In secondo luogo, la riorganizzazione del sistema di fornitura dei servizi in modo da renderlo più efficiente e più rispondente alle esigenze degli anziani. In terzo luogo, la crescente complessità sociale sulla quale si

interviene richiede l’integrazione tra competenze e professionalità diverse, per progettare risposte adeguate ai bisogni sociali emergenti di vario genere (dagli accordi intermisteriali o comunitari ai singoli progetti di intervento) e, nei sistemi di welfare, la tendenza sempre più accentuata ad esternalizzare funzioni e servizi pubblici delegandoli a soggetti del terzo settore. Puntando sulla applicazione di tali concetti generali su Roma est, voglio ricordare i protocolli d’intesa di relazione sindacale sul socio sanitario firmati in tutti Municipi del nostro territorio e il confronto che abbiamo affrontato per oltre un anno sul problema del coordinamento tra i soggetti del terzo settore e gli enti pubblici - nel nostro caso i Municipi - che mantengono la responsabilità della progettazione delle politiche e sulla definizione, con altrettanta decisione, del ruolo del Sindacato dei Pensionati - agente contrattuale e non esponente del mondo dell’associazionismo e del volontariato.

4. Conclusione Tanto per puntualizzare, stiamo parlando dei diritti socio assistenziali - e in particolare di quelli degli anziani - di servizi e della loro qualità che per noi significa catapultarsi al centro della legge quadro sull’assistenza, significa valutare l’offerta degli enti locali caso per caso e ricordare un altro principio cardine della legge 328 cioè che al centro dell’atto assistenziale non c’è un cittadino astratto ma una persona con peculiarità e necessità specifiche. Significa ricordare che noi siamo per dimensionare l’offerta di servizi sociali, per le competenze di Comune e Municipi, e dei servizi socio sanitari per la parte che compete alla Regione, e quindi alla Asl ecc sulla diversificazione e sulla qualità degli interventi e non sui budget. Significa ricordare che noi siamo per le reti dei servizi socio assistenziali e per quelli socio sanitari, siamo per il dimensionamento di tali servizi sulla

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base delle valutazioni delle necessità espresse dal territorio che devono essere conosciute dagli enti erogatori i quali devono razionalizzare le risposte ai bisogni dei cittadini favorendo interventi nel territorio accessibili e qualitativamente adeguati. Siamo per la formazione continua degli addetti, siamo per l’integrazione degli interventi e delle politiche.

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QUALITÀ DEL LAVORO E DIRITTI di Gervasio Capogrossi, Segretario Generale Funzione Pubblica Cgil Roma Est

La Fp Cgil è la categoria che rappresenta la gran parte dei lavoratori che erogano i servizi legati allo stato sociale, all’assistenza e alle attività di cura. Ci riferiamo ai dipendenti della Sanità, degli Enti Locali e del Comparto Socio Assistenziale Educativo. Nei Municipi del Comune di Roma abbiamo una realtà importante, rappresentata da assistenti sociali, psicologi, sociologi, amministrativi, ecc. Grazie al loro impegno il comune di Roma svolge la funzione, prevista dalle norme, di programmare, progettare, valutare e coordinare le attività nel campo dell’assistenza e della salute dei cittadini. Attività queste notevolmente potenziate e riqualificate con la Legge 328/2000. Vogliamo richiamare l’attenzione degli Amministratori del Comune di Roma e dei Dipartimenti, in particolare quello del Personale, ad un più significativo decentramento delle risorse umane e finanziarie, compresi quegli istituti salariali che il Contratto lega al riconoscimento della produttività e della responsabilità individuale e professionale. Inoltre c’è la necessità di dotare le cosiddette Unità Organizzative Socio Assistenziali ed Educative dei Municipi, di personale apicale e dirigenziale, con specifiche competenze tecniche in modo da affrontare con competenza adeguata la specificità dell’organizzazione dei servizi socio-assistenziali. La questione più importante è infine quella di dare grande attenzione ad una continua e qualificata attività di studio e formazione mettendo in grado il personale di operare avendo un quadro di riferimento aggiornato, al passo con gli indirizzi della scienza sociale, con quelli legislativi e in sintonia con il Dipartimento. Sul Sistema Sanitario Regionale e le politiche Aziendali delle ASL territoriali, solo qualche battuta. Abbiamo registrato in questi anni una politica regionale che ha favorito le strutture sanitarie private e aggravato il deficit. Il disavanzo si è reso più pesante per effetto delle riduzioni dei trasferimenti di risorse, dallo Stato alle Regioni, determinato dalle Finanziarie del Governo Berlusconi.

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Non ci sembra però che la soluzione possa essere quella di mutuare le ricette di finanza creativa di Tremonti proponendo la cartolarizzazione degli ospedali romani. Continua a mancare alla Regione e alle ASL, una seria politica per la salute, basata sulla prevenzione, sulla valorizzazione delle strutture territoriali ed il personale che vi opera, come vero strumento anche di razionalizzazione della spesa. E qui veniamo al tema della qualità dei servizi socio-assistenziali, mettendo in rilievo l’esigenza di integrazione degli interventi del Sistema Sanitario con quello, più propriamente di protezione socio-sanitaria del Sistema delle Autonomie Locali, come propone la riforma della legge 328/2000. Si proverà ad affrontare il tema della qualità dei servizi, in particolare quelli che il Comune di Roma esercita tramite il Terzo Settore, il mondo dell’Associazionismo e della Cooperazione Sociale, cominciando da un tormentone che ha guidato in questi anni la politica della CGIL: “non c’è qualità, neanche nei servizi sociali, se non si afferma una politica alta, rispettosa dei Contratti di Lavoro e dei diritti dei lavoratori”. A Roma il mondo delle imprese sociali e dell’associazionismo rappresenta una realtà importante, circa 200 cooperative, di cui 91 accreditate per i servizi alla persona, che danno lavoro a circa 16 mila addetti. Il mondo della cooperazione sociale romana tende però ad affrontare i problemi derivanti dal rischio di impresa, cercando di risparmiare sui costi, non rispettando pienamente i contratti e i diritti dei lavoratori. Non si vuole, con questa affermazione, disconoscere la funzione importante esercitata dalla Cooperazione Sociale, senza il cui apporto ricco, creativo, appassionato, sarebbe impossibile rispondere ad una domanda di servizi socio-assistenziali e sanitari. Tuttavia il mondo delle imprese sociali si deve dare una diversa strategia, cercando di innovarsi per poter stare nel mercato sociale competendo nella qualità e diversificando i servizi che è in grado di fornire. In particolare è necessario che le Centrali Cooperative, la Lega, forniscano un adeguato supporto di servizio e orientamento alle imprese. Un altro problema è la dimensione dell’impresa sociale romana e la sua ritrosia a fare sistema e ad associarsi.

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Parte considerevole delle 91 cooperative accreditate è rappresentata da piccolissime realtà al di sotto dei 35 lavoratori. Questa dimensione non consente di sviluppare una strategia che possa diversificare e qualificare la gamma dei servizi erogabili e, in prospettiva, avere l’ambizione di competere nel mercato sociale cercando di trovare nuove opportunità di lavoro, non basate unicamente dalla commessa pubblica, ma anche recuperando una domanda di servizi individuali o privati. Poco meno della metà dei 16 mila lavoratori impegnati è rappresentata da collaboratori saltuari o cosiddetti co.co.co. Questo determina un effetto negativo sia sullo stato di precarietà dei lavoratori ma soprattutto non fornisce sufficienti garanzie di continuità della prestazione all’utenza. Basti pensare in particolare all’assistenza domiciliare dove si registra un forte turn-over dei lavoratori con gravissimi disagi ad un utenza particolarmente debole e sensibile rappresentata da anziani, minori e disabili. Il problema della discontinuità degli operatori che svolgono l’assistenza domiciliare è questione fondamentale per garantire la qualità. Le ragioni di ciò sono molteplici e non derivano solo da motivi prettamente economici e dai risparmi sul costo del lavoro che le imprese ricavano ricorrendo al precariato. Alcune sono di tipo organizzativo e dipendono dalla natura discontinua del servizio, problema che può essere migliorabile intervenendo nel sistema di accreditamento e migliorando il rapporto tra Imprese e Enti committenti. Il problema principale però risiede nel fatto che si tratta di un’attività lavorativa che, dobbiamo sottolinearlo con forza, è estremamente usurante, in cui frequenti sono i casi di burn-out, e dove si registrano notevoli disagi fisici e psicologici. Un lavoro infine assai poco gratificante sia sotto il profilo salariale che quello di sviluppo professionale. E’ questa l’occasione per mettere in evidenza come il Contratto di lavoro è scaduto da ben due anni. Nella piattaforma 2002/2005 cerchiamo di introdurre meccanismi, da contrattare a livello decentrato, di sistemi premianti di sviluppo economico e professionale, legati all’esperienza professionale, all’impegno e alla formazione. E’ esattamente il punto dove maggiori sono i contrasti con le Centrali Cooperative.

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Il paradosso però è che nel panorama romano abbiamo grandi difficoltà a far applicare i contratti attualmente vigenti. La delibera Comunale 135/2000 impone l’applicazione del contratto nazionale di lavoro come requisito necessario per far parte del sistema di accreditamento e quindi gestire i servizi per conto del Comune. Questa però viene, almeno parzialmente, disattesa, non riconoscendo, ad esempio, pienamente la parte economica, inquadramenti, contributi pieni, ecc. Spesso, sono i diritti normativi ad essere aggirati, quali il diritto allo studio, alla formazione, alla malattia, all’applicazione delle norme di sicurezza e prevenzione (626/94), e infine i diritti sindacali. In questo contesto la legge 142/2001, sul socio-lavoratore, modificata dal Governo Berlusconi, ha peggiorato questo aspetto ripristinando la priorità del vincolo associativo nell’ambito del rapporto di lavoro. In generale registriamo, insieme ad importanti e significative realtà, un rapporto difficile tra Sindacato e mondo della Cooperazione. Un rapporto nel quale, nei migliori dei casi, il sindacato è percepito con diffidenza, come fattore avverso, estraneo, al mondo della cooperazione. Assistiamo a Cooperative che non accettano nemmeno la presenza del sindacato, la possibilità di riunirsi in assemblea, iscriversi al sindacato, eleggere una rappresentanza sindacale. Spesso si registra paura da parte dei lavoratori, timore che l’iscrizione al sindacato possa determinare l’emarginazione nella cooperativa con possibili ritorsioni, fino ad arrivare a forme di mobbing e di indiretta costrizione al licenziamento. Il sindacato invece è un utile e necessario strumento di rappresentanza, che in un corretto rapporto, rispettoso dei reciproci ruoli, può stimolare le imprese sociali a maturare, facendo in modo che la dialettica interna venga condotta in modo civile, esplicito e costruttivo. Con il sindacato, e l’esperienza storica lo dimostra, crescono i lavoratori, le imprese e di conseguenza tutta la società. Con l’Arca di Noè, abbiamo sviluppato un difficile confronto, che tenendo conto della necessità di risanamento con quello di rispetto dei diritti dei lavoratori, ha portato all’applicazione del Contratto Nazionale.

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Con un accordo di gradualità, si sono rispettate le relative decorrenze economiche, anche se ancora molti problemi vanno superati e verificati nei prossimi mesi, sui soci e collaboratori. Con “Idea Prisma 82” abbiamo siglato importanti accordi che migliorano ulteriormente la qualità dei servizi, perché abbiamo previsto un piano di assunzioni, che assorbe il bacino dei collaboratori e prevede il potenziamento delle attività di formazione e di supporto alla qualità del lavoro (supervisioni, riunioni di équipe, ecc). Relativamente al nuovo sistema di accreditamento del Comune di Roma e gli effetti sulla qualità del lavoro e del servizio partiamo dalla premessa che la filosofia è pienamente condivisibile e risponde alle esigenze di garantire un pacchetto di servizi all’utenza. Risulta però evidente la necessità di una sua nuova ridefinizione ed integrazione, su diversi aspetti: economici, organizzativi, procedurali e normativi. Crediamo non sia accettabile che a parità di prestazione e di servizio, vi sia un ventaglio di tariffari, ad esempio dell’assistenza domiciliare, applicate dai diversi Municipi, che va dai 14 Euro ai 22 Euro. Non è possibile non affrontare in modo chiaro il problema dei tempi degli spostamenti. Infatti l’operatore dell’assistenza domiciliare è costretto a spostarsi continuamente lungo l’arco della giornata per recarsi a casa dell’utente. Questo può significare per assurdo che un lavoratore, per poter fare poche ore di lavoro retribuito, deve stare fuori casa tutto il giorno. Insomma crediamo che sia necessario integrare il lavoro fin qui svolto con modelli operativi sufficientemente omogenei e concordati tra Comune, Municipi, Cooperative e parti sociali. Per quanto riguarda le cosiddette strutture semi residenziali, non è previsto un preciso carico di lavoro tra operatore e numero degli utenti nell’ambito di un centro diurno per anziani. Insomma credo che occorra avviare un lavoro di verifica e monitoraggio a livello Comunale e Municipale, cercando di razionalizzare le risorse ed evitare sprechi, evitando però di risolvere il problema dei tagli della Finanziaria, con il ripristino in modo più o meno surrettizio, del meccanismo della gara al ribasso.

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Per avviare un circuito virtuoso, lo ribadiamo con forza, la competitività delle imprese sociali deve essere basata sulla qualità e non sui costi. In questo meccanismo sanamente concorrenziale e per non determinare situazioni di condizionamento tra cooperative e Enti Locali, deve essere esplicito che non si deve strumentalizzare il timore dei lavoratori di perdere il posto di lavoro, anche perché, deve essere applicato l’art. 37 del CCNL. Questo articolo prevede il passaggio diretto dei lavoratori alla Cooperativa che si aggiudica il servizio, assicurando così la continuità lavorativa. Un punto importante inoltre riguarda la formazione e riqualificazione del personale. Propongo che il sistema valutativo del Comune e dei Municipi sia maggiormente premiante per quelle Cooperative che promuovono corsi di formazione e aggiornamento in collaborazione con Enti Pubblici, Università e Scuole professionali. Dissentiamo inoltre con la Regione per come sta realizzando la nuova figura professionale dell’operatore OSS (Operatore Socio Sanitario), figura professionale di sviluppo di diverse qualifiche, tra cui OTA, ADEST e Assistente Domiciliare. Dobbiamo rilevare innanzitutto l’estremo ritardo della Regione ad avviare concretamente i corsi e a definirne il monte ore. Al momento, l’atto Deliberativo della Regione definisce solo un elenco di strutture formative accreditate che, mi pare, costringerà i lavoratori a dover pagare in modo rilevante Enti per lo più privati per la frequenza dei corsi. Infine, voglio avanzare due proposte concrete. La prima è rivolta alla Legge 30, ed ai suoi decreti applicativi. Possiamo pensare di farne materia di confronto con le Cooperative e chiedere al Comune e ai Municipi, di seguirne gli sviluppi, incoraggiando accordi che vanno verso una buona e sana politica occupazionale? In contrasto con la filosofia della legge proponiamo di andare verso un superamento della precarietà dei lavoratori e di conseguenza contro lo scadimento dei servizi sociali. Propongo inoltre di verificare e eventualmente integrare i protocolli d’intesa siglati tra i Municipi IV, V, VI e VII e le Organizzazioni Sindacali Confederali di CGIL-CISL-UIL inserendo precisi momenti di verifica sulle tematiche che riguardano l’organizzazione del lavoro, l’occupazione nelle

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imprese sociali e l’applicazione del Contratto Nazionale per i lavoratori delle Cooperative Sociali. Voglio concludere con un auspicio. Il laboratorio politico di Roma, che ha portato anche a recenti risultati positivi per il centro-sinistra alla Provincia di Roma, deve poter essere anche una sede di nuove sperimentazioni di politica sociale e sindacale, la costruzione cioè di un’alleanza comune, istituzioni, forze sociali, imprese, per battere la destra e costruire esperienze sociali innovative e più avanzate.

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IL WELFARE LOCALE DI ROMA EST

Giorgio Montesi, Assessore alle Politiche Sociali IV Municipio Vorrei intervenire rispetto ad alcune questioni che riguardano il rapporto tra i Municipi e le organizzazioni sindacali, alla luce dei protocolli d’intesa sulle politiche sociali finora firmati. Sin dall’inizio ho manifestato scetticismo rispetto al piano regolatore sociale e può sembrare un controsenso ma non lo è. Altri assessori hanno precisato la differenza che esiste tra servizi sociali e politiche sociali. La mia ritrosia iniziale rispetto al piano regolatore era legata al fatto che si interveniva non prendendo atto della situazione preesistente. Questo è grave, perché quando si intende lanciare un’iniziativa in grande stile, come quella che ha promosso l’assessore Milano della giunta Veltroni, non si può non partire dall’esistente e questo aspetto è stato del tutto trascurato, tanto è vero che gran parte dei progetti che le amministrazioni hanno redatto sono fondati su progetti innovativi e non hanno preso invece in considerazione quelli già in essere che stentavano ad essere gestiti adeguatamente stanti le scarse risorse in campo, sia economiche che soprattutto umane. Il piano sociale a livello cittadino viene spesso valorizzato dicendo che di anno in anno l’unica spesa che non deflette è appunto quella legata agli interventi sociali. Ci si deve allora chiedere da dove provengono le risorse, stante i tagli che intervengono, per alimentare l’intervento nel sociale. La risposta non è difficile. L’unica contrazione forte che interviene nell’ambito dei tagli alle risorse degli enti locali è quella del personale. Di anno in anno ci sono delle riduzioni ma non ci sono nuove assunzioni. Naturalmente, ciò si traduce in un risparmio, che viene utilizzato in grossa parte per fare interventi di carattere sociale. Però il problema vero è che le azioni di sistema sono valide se alla base hanno un retroterra stabile costituito dal personale, poi ci può essere la formazione, l’informatizzazione, ma l’elemento

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essenziale è che ci sia il personale per adempiere a quelli che vengono definiti “compiti d’istituto”. Mi rivolgo quindi al sindacato, perché credo sia estremamente rilevante aprire un contenzioso con il comune di Roma per fare in modo che ciascun Municipio abbia, almeno per la parte che riguarda il sociale, una pianta organica, se non di tutto il personale, almeno riferita alle figure professionali più specializzate. Sarebbe anche utile che si facesse, in un prossimo appuntamento, un aggiornamento parlando anche delle carenze organiche, illustrando, anche con “slides” la situazione esistente nei vari Municipi, in modo tale che ci si rende conto delle difficoltà che viviamo rispetto al bacino di riferimento. Abbiamo grossissime difficoltà, credo sia arrivato il momento di capire come possiamo interloquire in maniera funzionale e produttiva con l’amministrazione centrale. La carenza di organico rappresentata in varie occasioni ha prodotto solo reazioni di fastidio; si dà per scontato che le difficoltà possano essere affrontate con le risorse di cui già si dispone. A differenza del passato, i Municipi di Roma continuano ad assumere nuove competenze e, per quanto riguarda il sociale, parecchie gli sono state trasferite, a fronte però di un mancato adeguamento delle risorse umane. C’è un esempio specifico che è quello dell’ISE per gli anziani. Si tratta di improntare una nuova struttura che si occupi di questa specifica vicenda. Ebbene, a differenza di tanti altri pareri che ci vengono richiesti in consiglio municipale per capire se possiamo essere ricettivi di un nuovo servizio, su questo argomento non è successo; abbiamo soltanto ricevuto una circolare che dava per scontato che gli uffici potevano provvedere. Credo sia l’esempio più significativo della difficoltà di rapporto tra Comune di Roma e Municipi, questo problema deve essere riaffrontato perché ho l’impressione che anche a livello Comunale si agisca a comparti stagni. Le problematiche che ho illustrato le ho fatte presente anche all’assessore Milano e la sua risposta è stato un rinvio all’assessore Cioffarelli, responsabile del personale. Su queste vicende l’intera Giunta deve essere coinvolta e ci deve essere una risposta complessiva. Credo fra l’altro che sia un terreno specifico dell’organizzazione sindacale che essendo confederale ha al suo interno sia il personale del Comune di Roma sia le aspettative degli utenti nei confronti dei Municipi.

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E’ chiaro che il sindacato essendo parte sociale si rivolge all’amministrazione più vicina per avere servizi migliori. Proprio nel momento in cui si prende atto che certe disfunzioni sono imputabili anche a vicende legate a cattiva gestione questo deve essere un discorso da affrontare complessivamente. Per quanto riguarda invece le innovazioni introdotte, a partire dall’accreditamento che prende il via per superare le vecchie prestazioni orarie, in particolare nell’assistenza domiciliare, anche qui i Municipi non sono stati consultati. C’è stato un accordo centrale tra Comune di Roma, sindacati, enti cooperativi e altre associazioni il cui contenuto non mi piace affatto. Anche su questo i Municipi non si sono potuti esprimere, perché se ci fosse stata la disponibilità di aprire un dibattito sul territorio con tutti i soggetti in campo, amministrazioni, cooperative sociali, associazioni varie ma soprattutto le associazioni degli utenti forse le cose sarebbero andate diversamente. L’accreditamento non mi ha convinto per come è stato concepito perché segue una logica di prorogatio nei servizi di assistenza domiciliare che datano ad anni ed anni fa. Questo ha consentito alle strutture già in campo di essere pronte nel momento in cui si andavano ad accreditare perché avevano una struttura organizzativa e risorse umane per poter concorrere ai fini dell’accreditamento. Sin da subito dunque si è determinata la messa in fuori gioco di associazioni che pure potevano concorrere fin dall’inizio perché, come avete detto tutti, per fornire il servizio di assistenza domiciliare non c’è bisogno di tutta questa professionalità, la professionalità va creata per dare migliore la qualità nel futuro. Attualmente siamo nella condizione in cui la maggior parte degli operatori alla prima occasione utile se ne va perché è una situazione lavorativa onerosa, senza vantaggi, senza prospettive, e quindi di fatto c’è un servizio notevolmente scadente. Qual è stata la merce di scambio rispetto a questa cosa? L’accreditamento edulcorato, una patina dorata rispetto al fatto che si migliorano i servizi. Penso che l’assistenza domiciliare abbia bisogno di un miglioramento, cioè alla semplice prestazione dell’operatore sociale va affiancata una serie di servizi collaterali, la partecipazione a centri diurni, la partecipazione a centri estivi, ricreativi, perché questo permette all’utente una dimensione più umana e socializzante. Su questo

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siamo tutti perfettamente d’accordo ma rappresenta al momento lo schermo che viene frapposto rispetto alla realtà. La realtà è che oggi, dovendo trasformare la prestazione oraria in pacchetti servizio, si ragiona sul piano dei costi e cioè il rapporto tra operatore sociale e utente rappresenta un costo. Per abbatterlo si opera con meno operatori e con più utenti. In questo contesto è stato discusso il pacchetto di servizi e tutto quello che ne consegue cioè le prestazioni orarie, le tariffe, etc. Credo che i vari parametri non siano stati presi in considerazione nella dovuta maniera nell’ambito della creazione dei progetti per l’assegnazione dei servizi perché è merce di scambio: io Comune di Roma garantisco a te una sorta di monopolio nella tua azione e dall’altra parte tu non “rompere” più di tanto per le tariffe. Credo che anche questo sia materia di discussione che interessa molto alle organizzazioni sindacali. L’ultimo tema che voglio trattare è quello del controllo e della qualità dei servizi. Credo che dovremmo capire bene cosa avviene nel momento in cui si esternalizzano totalmente i servizi. Tale processo di esternalizzazione che stante la situazione attuale, non è possibile modificare impone alla struttura pubblica il controllo totale della situazione o quantomeno il coordinamento serio di quello che avviene. Molto spesso i nostri funzionari, referenti di alcuni servizi, non hanno la possibilità materiale di poter svolgere questa attività perché dovrebbero farla fuori dall’attività di servizio, non ci sono risorse per poterli pagare e quindi di fatto l’attività non viene esercitata. Accade dunque che vengano redatti report unilaterali da parte delle associazioni, che vengono rivisitati alla meglio dai servizi e quello costituisce il giudizio espresso sul funzionamento dei servizi. È questo un altro elemento su cui intervenire perché man mano che si va avanti si va verso un depauperamento della ricchezza professionale degli uffici e non solo per quanto concerne il controllo della qualità delle prestazioni ma anche per quanto riguarda la capacità progettuale. Gli uffici, oberati di compiti, spesso si riducono a fare dei progetti di massima, a dare delle indicazioni di massima rispetto alle finalità e poi scelgono il progetto presentato dalle varie associazioni che nel migliore dei casi è quello che risponde alle

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caratteristiche richieste, nella maggior parte dei casi si accetta la risposta “meno peggio” delle altre. Io credo che non sia utile per nessuno; i funzionari dell’amministrazione debbano avere la possibilità di seguire corsi di formazione, avere il tempo necessario per poter entrare nel dettaglio delle richieste che vanno avanzate a tutti coloro che partecipano alle gare per la giudicazione dei servizi. L’ultima questione riguarda l’integrazione socio- sanitaria. Anche qui sarebbe utile scambiarsi le esperienze per fare il quadro della situazione. Roma Est non raccoglie lo stesso bacino per quanto riguarda le configurazioni delle Asl dei distretti. Sarebbe utile raccontarci le esperienze con le altre realtà sanitarie perché abbiamo visto che molto spesso sulla carta esistevano protocolli d’intesa molto belli, molto dettagliati rispetto agli interventi che ciascuna delle due istituzioni, servizi sociali e servizi sanitari, doveva mettere in campo. Ma poi non si riusciva a realizzarli perché la sanità è articolata in modo tale che non è il distretto che decide e interviene. Gli uffici Municipali socio-assistenziali hanno a che fare con i dipartimenti, mi riferisco in particolare al dipartimento di salute mentale, a quello dell’età evolutiva, ma nessuno si fa coordinare dall’altro. Abbiamo cercato di superare questo ostacolo ponendo il problema in sede di Conferenza Sanitaria Locale e finalmente abbiamo un referente unico che è responsabile dei rapporti interistituzionali della Asl RM/A. Ora stiamo facendo una verifica, protocollo per protocollo, perché ci siamo resi conto che spesso sono solo impegni sulla carta e di fatto scontiamo assenze e defezioni per quanto riguarda l’applicazione pratica. Il caso da noi più emblematico è legato alla 285, che pure aveva fatto da apripista rispetto alla legge sull’assistenza. Questo per dire in termini molto generali quali sono i problemi e quello che secondo me dovremmo fare come ente locale più vicino alla cittadinanza e come dovrebbero muoversi le organizzazioni sindacali. I protocolli d’intesa che sono stati realizzati hanno valore se anche il sindacato partecipa attivamente ai lavori del piano sociale di zona. Ho ricevuto nei giorni scorsi una lettera a firma dei rappresentanti sindacali dei pensionati di CGIL, CISL e UIL rispetto al segretariato sociale, che tra l’altro è l’unico progetto trasversale a tutti i municipi di Roma, per conoscere qual è la proposta del municipio.

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Le OO.SS. dovrebbero sapere che sta lavorando da tempo un laboratorio di coprogettazione su questo tema e l’organizzazione sindacale da questo punto di vista risulta assente. Dico questo perché sono fortemente interessato a che il sindacato sai presente in tutti i momenti significativi, perché ne giudico positivamente la valenza e la capacità di incidere per quanto riguarda gli equilibri a livello cittadino. Però questo è il percorso, perché altrimenti parlare di concertazione a posteriori o ex ante rispetto a processi reali, a discussioni vere che si realizzano nei luoghi deputati lascia molto a desiderare.

Carmine Farcomeni, Assessore alle Politiche Sociali V Municipio Il 24 luglio, dopo un confronto ricco con tutti i sindacati confederali, abbiamo siglato l’accordo di integrazione del protocollo di intesa sulle relazioni sindacali col V municipio riguardante il settore delle politiche sociali. Vogliamo costruire un welfare che sia in grado di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni sociali, naturalmente sulla base delle risorse finanziarie disponibili. Infatti l’articolo 22, comma 4, della legge 328 del 2000 stabilisce che bisogna assicurare al territorio dei livelli essenziali di prestazione socio-sanitaria, un welfare che fornisca servizi adeguati di qualità attraverso la qualità del lavoro degli operatori che operano negli ambienti del terzo settore. Credo che il convegno sia una preziosa occasione per individuare insieme i percorsi da seguire, gli strumenti normativi di riferimento da applicare e quali devono essere i correttivi da apportare per costruire un sistema integrato di interventi e servizi sociali sempre più efficace attraverso una maggiore qualità, appunto, e una moderna cultura del lavoro e della professionalità del settore sociale. Roma è una grande metropoli, un’area urbana con elevate densità abitative e bisogni sociali altamente differenziati. Alcuni di questi bisogni sociali dipendono da abitudini, da comportamenti e anche da concezioni di vita della popolazione, quindi dovendo costruire un welfare sociale idoneo a fornire servizi a tutti coloro che vivono il disagio sociale dobbiamo correttamente interpretare queste criticità sociali e capire come

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esse sono diffuse e differenziate sul territorio. Dalla costruzione del primo piano sociale di zona del V municipio, che ha la durata di tre anni, abbiamo fatto la lettura del territorio e sono emerse molte debolezze sociali. Sono emersi fenomeni di povertà, fenomeni di solitudine degli anziani, di dipendenza, carenze abitative, molta disoccupazione, molta richiesta di lavoro, tanti giovani chiedono lavoro; tutti i giorni si presentano famiglie e persone dilaniate dal disagio e anche dalla situazione del proprio status di disoccupati. E’ un municipio che presenta forti squilibri e differenziazione sia nei livelli di povertà e di sofferenza sociale nelle zone dei diversi quartieri. Non tutti i quartieri presentano le stesse caratteristiche, sono differenziati sia nei livelli di povertà sia nei livelli di benessere. Queste caratteristiche comuni che scaturiscono dai monitoraggi di tutti i piani di zona dei diciannove municipi della città, hanno orientato il governo dell’amministrazione capitolina, guidato dal nostro sindaco Veltroni, ad una grande attenzione verso la spesa sociale. Pensate, è stata incrementata di circa il 40%, e non basta. L’attenzione verso il sociale diviene sempre più necessaria se consideriamo i grandi mutamenti socio-demografici in corso nella città e in tutti i Municipi. Il numero delle famiglie in continua crescita nel 2001 erano circa 1.260.000, di cui circa il 56,8% famiglie senza figli, molti i single; poi abbiamo il fenomeno dell’invecchiamento, le famiglie nelle quali è presente una persona anziana hanno raggiunto un terzo di quelle totali, quindi circa 420.000 hanno al loro interno una persona anziana, più o meno il 32,3% del totale delle famiglie. Un altro fenomeno di Roma è che la continua diminuisce della popolazione nelle zone centrali della città, che si sposta verso le zone periferiche dei comuni limitrofi, soprattutto le giovani coppie. Questa obbligata tendenza, i trasferimenti per la ricerca del lavoro, il progressivo decadimento della concezione della famiglia patriarcale, fortemente unita e solidale, hanno determinato fenomeni di solitudine e di abbandoni delle persone anziane ma anche una richiesta crescente di servizi sociali e servizi socio-educativi di supporto alle famiglie. Questa breve ma significativa analisi sociale sottolinea la necessità di dotare la città di un piano regolatore sociale e di dotare ogni Municipio di un piano sociale di zona che siano in

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grado di garantire un concreto sostegno a quei cittadini che vivono una fragilità sociale, per dare loro lavoro, certezza e soprattutto dignità, ma anche per fare una programmazione razionale degli interventi. A questo obiettivo ha risposto pienamente la legge 328 dell’8 novembre del 2000, con la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. La legge è uno strumento normativo straordinario, moderno, innovativo nell’erogazione dei servizi sociali ai cittadini. Dopo più di cento anni, cioè dal lontano 1890, dalla legge Crispi, la legge quadro 328 finalmente introduce una regolamentazione nel settore sociale poiché fissa criteri e modalità per costruire uno strumento integrato, cioè uno strumento socio-sanitario per rispondere in modo efficace ai tanti disagi sociali della gente. Prima dell’approvazione della legge nel settore sociale, in termini di fornitura dei servizi da parte delle istituzioni, regnava molta approssimazione e confusione poiché gli interventi non seguivano un filo razionale e una programmazione, senza uno studio preliminare dei reali ed emergenti bisogni del territorio. Erano interventi a pioggia, interventi tampone, senza una valutazione delle situazioni e delle articolazioni dei bisogni sociali reali. La nuova legge ha introdotto degli elementi di grande novità. L’accordo di programma fra il Municipio e l’azienda Asl RM/B introduce l’integrazione socio-sanitaria dei servizi erogati e questo ha determinato protocolli di intesa operativi per ogni progetto che noi dobbiamo attivare.La legge introduce anche l’integrazione delle politiche sociali con tutte le altre politiche che incidono sui livelli della qualità della vita del cittadino, le politiche abitative, le politiche del lavoro, della mobilità, ambientali, eccetera. La nuova legge promuove l’ampia partecipazione democratica dei cittadini, cioè un sistema che va costruito in modo partecipativo e democratico e non più in modo unilaterale da parte di chi è chiamato a governare. E’ stato introdotto il monitoraggio dei bisogni. Prima di fare la progettazione, la definizione di quali devono essere gli interventi e i servizi da attivare, analizziamo il territorio, facciamo la mappatura dei servizi che prioritariamente dobbiamo attivare. Ovviamente la mappatura si fa sulla disponibilità economica di quelle famose risorse, elencate in modo analitico dal dottor Brunori, che provengono dal fondo unico nazionale e che hanno

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una logicità di risorse aggiuntive rispetto al bilancio tradizionale di ogni Municipio. La legge quadro pertanto introduce un insieme di novità finalizzate a riordinare i servizi sociali, migliorare la qualità dei servizi, del lavoro, per costruire un welfare sociale efficace e sempre più corrispondente alle criticità sociali e ai bisogni del cittadino. Tutti i cambiamenti e le trasformazioni introdotte dalla legge 328/2000 richiedano tempo e sviluppo di azioni per portare a regime un sistema innovativo. Stiamo quindi percorrendo un cammino nuovo per applicare correttamente tutte le innovazioni previste dalla legge, attraverso la costruzione di una nuova cultura nei rapporti fra gli attori Istituzionali competenti. anche ma anche con tutti gli attori sociali. Dobbiamo saperci relazionare con una cultura nuova applicando nuove modalità operative e una concezione moderna del lavoro negli enti gestori dei servizi che deve obbligatoriamente passare per la valorizzazione delle professionalità degli operatori del terzo settore. Se la professionalità degli operatori non viene valorizzata come può esserci qualità del lavoro? Non è possibile. Se non miriamo a questi obiettivi non rispondiamo ai bisogni dei cittadini. Credo sia molto utile ricordare gli atti deliberatori della Giunta del Consiglio Comunale in materia di riordino e qualità dei servizi sociali, qualità del lavoro, e condizioni del lavoratore. Ricordo la delibera 135 del 21 luglio 2000 con la quale vengono fissati gli indirizzi in ordine agli appalti, alle aziende, ai consorzi, alle cooperative, alle associazioni. Questa delibera prevede che gli organismi sociali erogatori dei servizi devono adempiere ad ogni obbligo previdenziale, assistenziale e contributivo previsto dai contratti collettivi nazionali dei lavoratori e il rispetto degli obblighi descritti dalla ex legge 626 del 1994 che riguarda la sicurezza del lavoratore. La delibera 135 prevede anche controlli ordinari e straordinari da parte degli uffici del Comune e tutela i diritti dei lavoratori che hanno un rapporto di lavoro con gli enti gestori dei servizi. Lo scopo è di prevenire il lavoro nero, lo sfruttamento del lavoratore chiamato ad operare in un settore difficile come quello dei servizi sociali, nel quale è richiesta molta dedizione, molta serietà, molta solidarietà e molto sacrificio da parte del lavoratore.

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La delibera 1532 del 12 dicembre 2000 della Giunta Comunale da avvio alle procedure per l’accreditamento degli enti gestori dei servizi alla persona mediante l’introduzione dei “registri di accreditamento municipali”. Siamo nella fase di riapertura del registro cittadino e del superamento delle graduatorie municipali nelle aree del disagio sociale; inoltre sarà anche la quarta area, quella degli adulti. Questa fase, determina l’effettiva possibilità per l’utente al diritto di scegliere quale organismo, quale ente gestore dovrà essere l’erogatore della prestazione e al diritto alla formulazione del giudizio annuale sulle prestazioni ricevute. Sono due elementi cardine del nuovo sistema di accreditamento. Ciò favorisce la competitività fra gli enti gestori erogatori dei servizi, perché la qualità è anche legata alla competitività. Si è avviato il piano di vigilanza periodica sulle condizioni igieniche delle strutture per l’assistenza sociale a ciclo semiresidenziale e residenziale, mi riferisco alle case famiglia, alle case di accoglienza, ai centri diurni. L’articolo 11 della legge 328 del 2000 disciplina l’autorizzazione al funzionamento dei servizi e delle strutture sociali in gestione pubblica e privata; il decreto ministeriale n°308 del 21 maggio 2001 fornisce il regolamento concernente i requisiti minimi strutturali ed organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio delle strutture sociali. La legge regionale n°38 del 9 settembre del 1996, stabilisce all’articolo 57 le azioni volte a garantire un’adeguata attività di vigilanza e di controllo delle condizioni di funzionamento delle strutture pubbliche e private - e questo significa qualità dei servizi e qualità del lavoro. Serve una legislazione sugli standard minimi di funzionamento. Quanto fin qui richiamato vuole sottolineare che la qualità dei servizi e del lavoro, elementi indispensabili per un welfare efficace nel contrastare il disagio, possano essere raggiunti con l’applicazione concreta della legislazione vigente. Oltre alle leggi e delibere è necessaria una continua vigilanza e controllo da parte di chi è chiamato nei propri doveri a svolgere queste funzioni. E’ fondamentale inoltre costruire una cultura nuova nel modo di gestire ed offrire i servizi nel settore sociale, senza di ciò non possiamo avere né qualità del lavoro né dei servizi. Il settore dei servizi sociali è in continua crescita e vengono richieste competenza, capacità manageriale nell’amministrazione delle imprese sociali, preparazione e

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motivazione da parte degli operatori che sono chiamati a svolgere un lavoro così difficile ed impegnativo.

Tonino Vannisanti, Assessore alle Politiche Sociali VI Municipio La relazione di apertura proposta da Teresa Berzoni, ha posto sul tavolo le diverse questioni che oggi ci troviamo ad affrontare in tema di welfare locale. La relazione di Giorgio Brunori, estremamente puntuale e corretta, rispetto al lavoro svolto nei Municipi romani, ha segnalato con nettezza ed evidenza le difficoltà a cui stiamo andando incontro. Vorrei cogliere un aspetto: a Roma abbiamo una straordinaria opportunità. Da una parte sappiamo che le politiche del welfare sono articolate su molteplici versanti, responsabilità e funzioni degli Enti Locali, dall’altra abbiamo una grossa difficoltà sul piano dell’integrazione con le politiche sanitarie. Inoltre le politiche del welfare scontano filosofie, culture e sensibilità politiche differenti. Ci muoviamo all’interno di una cornice definita dalla riforma del Titolo V della Costituzione e dalla 328/2000. In sostanza la riforma del welfare trova negli enti locali il motore per mezzo del quale avviare uno straordinario processo di riforma. La legge 328, una legge varata dal governo dell'Ulivo, dopo cento anni dalla precedente legge sul l'assistenza, afferma alcuni principi che a mio avviso sono i cardini sui quali costruire questo processo di riforma del welfare. Infatti gli Assessori dei Municipi non sono assessori ai servizi sociali ma alle politiche sociali. Perciò la riforma del welfare locale non è solo una riforma dei servizi ma significa operare delle scelte strategiche che vadano incontro a una società che si modifica e che pone nuovi bisogni, non solo quello della riorganizzazione dei servizi ma più vicini alle modifiche che la società ha avuto in questi anni. La riforma del welfare dà l'opportunità alle forze democratiche progressiste, alle forze sindacali, all'associazionismo degli utenti e alla cooperazione sociale, di farne occasione di un profondo processo di riforma dello sviluppo della nostra città e del nostro Paese.

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L'avvio dei piani sociali Municipali ha rappresentato non solo un processo di attuazione della legge e quindi di riforma dei servizi ma anche l'avvio di una discussione, di una partecipazione delle diverse forze sociali che compongono la nostra città, affermando una nuova cultura del welfare. Uno dei capisaldi della legge 328 è quello della “partecipazione sociale”, i Municipi, il Comune di Roma e le forze sociali hanno colto questa opportunità. Erano anni che a Roma non si vedeva un dibattito incentrato sui temi del sociale, sui bisogni delle persone, su come cercare di rispondervi, con una metodologia così diffusa e così articolata. Abbiamo cercato di creare quello che la legge dice: un sistema integrato che a partire dai bisogni miri alla costruzione di una rete di servizi che riesca ad accogliere la domanda sociale. Un avvio c'è stato. Dobbiamo cogliere all’interno di questo processo i punti di criticità e su questi riuscire a costruire insieme una battaglia, un'iniziativa che possa consentirci di fare un salto in avanti. Oggi le politiche sociali e l'organizzazione dei servizi sono costruiti ancora sull'idea di dover dare risposta ai "ceti poveri silenti". Dobbiamo tentare di ampliare la nostra capacità di risposta. La crisi del welfare è dovuta a diversi fattori: la destrutturazione del mondo del lavoro, il progressivo mutamento della famiglia e delle reti familiari che, un tempo, riuscivano a rispondere ai bisogni sociali prodotti dalla società. I Municipi non sono attualmente in grado di dare risposta ad una parte consistente di cittadini, definiti "ceti medi vulnerabili". La nostra è una società del rischio che ci espone ad una maggiore vulnerabilità, poiché di fronte a momenti di crisi è estremamente difficile tornare indietro. E’ necessario costruire una iniziativa politica che ci porti ad attuare un altro punto importante della legge: quello della universalità ed esigibilità dei diritti sociali. Il reddito minimo di inserimento deve essere il primo punto su cui costruire la nostra iniziativa politica. Il reddito minimo in Italia è stato sperimentato dal governo dell'Ulivo, ha prodotto risultati soddisfacenti per poi essere abbandonato dal governo Berlusconi e riproposto in maniera contorta e con un trasferimento di risorse assolutamente irrisorio. Anche il tema dell’integrazione socio sanitaria ha la sua rilevanza: la partecipazione del sistema sanitario alla riforma, e

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quindi i progetti che vengono realizzati sul piano sociale, è estremamente carente e insufficiente. Ciò che è stato realizzato nasce unicamente dalla buona volontà di qualche direttore di distretto e dalla capacità di instaurare un rapporto proficuo. Seppure il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri stabilisce l’obbligo della condivisione della spesa sanitaria per i servizi socio assistenziali, questo non accade. Manca spesso un'assunzione di responsabilità nell’offrire figure professionali specialistiche. Molti progetti presentati dai Municipi sono ad integrazione socio-sanitaria, vale a dire progetti che vedono la partecipazione dei servizi sociali e di quelli sanitari. Nonostante si ricerchi un rapporto positivo con il distretto, quest’ultimo subisce la progressiva disattenzione, da parte della Asl, rispetto alle problematiche sanitarie del territorio. A questo punto è indispensabile capire cosa può essere realizzato partendo dalle risorse attuali: è necessario ripristinare la macchina amministrativa. L'impegno dei Municipi stabiliva più o meno al 50% la partecipazione alle politiche sociali, a questo si sono aggiunte tutte le risorse derivate dai finanziamenti del fondo regionale; da qui si comprende perché un Municipio piccolo come il nostro ha un miliardo e mezzo di finanziamenti in più rispetto al bilancio ordinario e tutto ciò ha significato dieci, quindici progetti in più. A fronte di una domanda sociale che aumenta, perché c'è anche una maggiore fiducia nei confronti del servizio sociale, purtroppo la macchina amministrativa è rimasta pressoché la stessa. Non è una pura questione di qualità relativa all’organizzazione dei servizi, non si riesce nemmeno a capire quanti dovrebbero essere gli assistenti sociali in rapporto al numero dei cittadini. Per ottimizzare il lavoro, l’adeguamento della macchina amministrativa è indispensabile. Faccio una battuta, noi abbiamo messo un motore di grossa cilindrata su una Centoventisette. Il sindacato potrebbe svolgere una funzione importante nel cercare di capire quali sono gli standard ottimali della macchina amministrativa, per poter rispondere alla domanda sociale che emerge dai territori ed adeguarla al processo di riforma che si è sviluppato fino ad oggi. Altrettanto fondamentale è la regolazione del mercato sociale. Sostanzialmente il meccanismo più importante è il sistema dell'accreditamento. Dobbiamo cogliere tanto gli aspetti positivi

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quanto quelli negativi che vanno corretti immediatamente. L'accreditamento ha degli aspetti di complessità, anche gestionali, ma ha sancito, anche in seguito ad una assunzione di responsabilità dei Municipi e delle cooperative, la fine del principio del "mutuo accordo". Si è capito quanto sia indispensabile regolare il rapporto tra istituzione e cooperativa. Questa relazione non riguarda solo il trattamento dei soci lavoratori ma deve funzionare all’interno di un quadro di certezze relativamente ai diritti dei lavoratori, alle necessità imprenditoriali e alla qualità del servizio offerto. L'ultimo elemento da considerare è il diritto di scelta dell'utenza. Non é un tema di facile risoluzione. Abbiamo lavorato sul tema della partecipazione, sulla possibilità di stare dentro i processi, sulla regolazione del rapporto col sistema cooperativistico. Un punto della legge che dobbiamo affrontare è come tenere insieme l'adeguamento della macchina amministrativa e il diritto di scelta dei cittadini. Non si può negare il diritto del cittadino a controllare, verificare, e scegliere. Questa è un'altra grande battaglia che il sindacato può condividere insieme alle Istituzioni, insieme ai Municipi e alle forze democratiche. Dobbiamo costruire un percorso assieme alle Istituzioni democratiche e progressiste, al sistema cooperativistico e alle forze sindacali che stanno dentro per l'affermazione di una politica del welfare che protegga il maggior numero di cittadini possibile, contrastando i tagli inferti dall’attuale Governo.

Giampiero Cioffredi, Assessore Politiche Sociali VII Municipio Dobbiamo rilanciare la spinta propulsiva prodotta dall’elaborazione dei Piani Sociali Municipali perché questa spinta si va esaurendo e spero che l’approvazione della delibera del piano regolatore sociale che ci sarà nel Consiglio Comunale di Roma possa dare un impulso maggiore. Ci sono molti punti di criticità rispetto all’applicazione dei piani sociali, li elenco: I piani sociali rischiano di depotenziarsi a causa della non

volontà delle Asl di procedere rispetto all’integrazione dei servizi socio-sanitari. Non c’è un Municipio a Roma che

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possa dire di procedere tranquillamente sul terreno dell’integrazione socio-sanitaria. Le Asl non ci credono, vedono questi progetti come un peso a cui bisogna in qualche maniera rispondere e tendono a non rispettando i patti sottoscritti. Credo che i Municipi di Roma dovranno chiedere la ricontrattazione degli accordi di programma o si rischia di svilire le volontà e gli entusiasmi dei nostri operatori rispetto all’attivazione di progetti che non riescono a partire, altrimenti ci illudiamo come amministratori e illudiamo i cittadini. Ciò che è stato sottoscritto con le Asl è cartastraccia.

L’aspetto amministrativo del piano sociale è rilevante dal

punto di vista politico perché nei Municipi l’ufficio di piano potrebbe tranquillamente chiamarsi l’ufficio progetti. Non siamo ancora riusciti, rispetto agli uffici di piano, a costruire un disegno complessivo del welfare municipale. Nei Municipi c’è l’ufficio di piano che realizza i progetti della legge 328, poi c’è il servizio sociale, poi c’è l’ufficio della legge 285, poi ancora gli uffici integrativi, di socializzazione. Questo tipo di organizzazione del lavoro marcia ancora in maniera molto separata, riusciremo a rilanciare il piano sociale se riusciremo a dare un disegno unitario del welfare, quindi a ricomprendere dentro il piano sociale tutta l’attività amministrativa e di programmazione dei Municipi sul terreno sociale. Questa idea unitaria di programmazione delle politiche sociali porta con sé la necessità di unificare la spesa sociale dei Municipi. Oggi abbiamo nei Municipi la spesa sociale che è divisa, frammentata in mille rivoli: c’è la spesa della 328, la spesa del servizio sociale, quella della 285. In presenza di tagli consistenti, c’è la necessità di un’estrema razionalizzazione della spesa sociale, e questo si fa vincendo le rigidità amministrative e definendo l’unitarietà della spesa sociale. La realizzazione del Quadro Cittadino di Sostegno porterà mediamente nei Municipi cinquecento/seicentomila euro per attività sociali. Questi progetti stanno o non dentro il piano sociale? Oppure facciamo un altro ufficio ad hoc che fa il quadro cittadino di sostegno? Occorre investire sulla

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macchina organizzativa, cambiare l’ottica culturale con cui guardiamo alle politiche sociali. Il servizio sociale di un Municipio oggi è ancora legato alla tradizionale idea di politica risarcitoria. Attualmente l’intervento del servizio sociale sta nell’individuazione di tre assi: individuo-bisogno-emergenza. L’idea del piano regolatore si basa invece sugli assi: comunità-bisogni-sviluppo. Pertanto occorre riarticolare completamente il meccanismo di intervento sulle politiche sociali.

Quali che siano le capacità del Comune di Roma, di

razionalizzazione e di sperimentazione, i Municipi da soli non ce la fanno. Occorre costruire anche un sistema diffuso di rete del volontariato civile, oltre che un tessuto più solido del terzo settore. Abbiamo la necessità di ricostruire il tessuto collettivo dei nostri quartieri che è distrutto, è disgregato, è violentato dall’emersione, in questi ultimi anni, di nuove povertà. C’è la necessità di ricostruire e di sperimentare un nuovo sistema di relazioni, un tessuto collettivo, fatto di volontariato civile, di cittadinanza attiva, di solidarietà, di lavoro condiviso. Con le Organizzazioni Sindacali Confederali Territoriali si sta sviluppando un confronto sul tema della qualità dei servizi partendo dal fatto che esiste un sistema di cooperazione sociale a Roma di buona qualità. Il punto è come rendere i cittadini partecipi e attivi anche nella valutazione dei servizi. Non ritengo opportuno che la valutazione dei servizi venga fatta solo dall’autorità sui servizi, perché ha dei parametri completamente diversi. Un conto è valutare se il trasporto urbano funziona o no, un altro conto è valutare se l’assistenza domiciliare a Roma funziona. Dobbiamo inventarci anche meccanismi di valutazione del servizio empirici, niente di scientifico, qualcosa che dia la dimostrazione che i cittadini partecipano. Abbiamo cominciato un percorso con i sindacati: costruiremo un osservatorio sulla qualità dei servizi in cui ci siano i rappresentanti di CGIL, CISL e UIL e le associazioni di volontariato, con un rapporto corretto con la cooperativa che eroga il servizio. In questo modo speriamo di rendere protagonisti i cittadini rispetto alla valutazione del servizio.

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INTERVENTI Antonio Ferraro, Segretario regionale di Cittadinanzattiva Lazio

Come Cittadinanzattiva abbiamo all’interno delle reti, una delle quali è il Tribunale per i diritti dei malati. Fra le segnalazioni più frequenti c’è proprio questa assoluta carenza di assistenza, cioè i cittadini letteralmente “si arrangiano” e non c’è neanche un tentativo di creare quella continuità assistenziale di cui le persone hanno bisogno. Qualsiasi stato di malattia e di disagio vissuto quotidianamente dalle persone è un costo altissimo per la società, oltre che essere un costo morale, umano, familiare. Qualsiasi altra cosa che rimedia alla sofferenza, alla solitudine, alla malattia stessa è un investimento, questo dobbiamo mettercelo in testa, chi non lo capisce non ha capito niente né di sanità né di servizi sociali. Quando ci dicono che non hanno soldi da investire in servizi sociali e sanitari non è vero, perché li buttano da un’altra parte, non fanno prevenzione, così le persone le ritroviamo in ospedale. Non si fa assistenza e quel paziente ritorna ad alta intensità assistenziale nelle medicine, nelle chirurgie, nelle geriatrie. Invece di essere assistiti ad un terzo del costo nelle proprie famiglie le persone le ritroviamo nei reparti ospedalieri. Un primario, un chirurgo, un medico costa tre o quattro volte tanto un assistente domiciliare. Una buona formazione di questi operatori è un buon investimento, allora non capisco la precarietà con la quale trattiamo le risorse umane, perché ci dobbiamo accontentare di operatori pagati male, formati precariamente? Li dobbiamo assumere, deve essere lo Stato che se ne fa carico. Come possiamo dire ad una persona di accontentarsi di un milione al mese e in più che si deve formare da solo, usare la propria macchina, e se si ammala di arrangiarsi? Così tanti operatori se ne vanno. Il problema è che effettivamente c’è una grossa inefficienza degli enti pubblici, si parla tanto di integrazione e poi ci si perde in un bicchiere

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d’acqua. Ci sono famiglie che non mangiano da giorni, ci sono casi recentissimi che posso portare a testimonianza, è capitato nel V municipio e bisogna che l’assessore stia a sentire perché è lui l’artefice di questa storia. Quando una famiglia non mangia e l’assistente sociale dice “presenti la domanda” e, chiuso il fascicolo, se ne riparla tra un mese e mezzo – quando si risponde burocraticamente e quando la famiglia insiste gli si dice di andare alla Caritas – il cittadino cosa deve dire, “io le tasse le pago alla Caritas o allo Stato?” Lo Stato deve dare oggi e subito delle risposte a quella famiglia che ha fame, specialmente dove insistono dei minori. La 328/2000 ci consegna la responsabilità come cittadini, come associazioni, come sindacato, come società civile di riappropriarci in prima persona del ruolo di controllo, del ruolo di verifica, di proposta. E’ chiaro il cittadino fa altre cose, lavora, non deve fare il servizio, però tutto il resto del lavoro, come ogni buon padrone di casa, gli spetta. C’è resistenza da parte del cittadino nel capire che la responsabilità è sua, la 328/2000 è una legge fatta dalla sinistra, teniamocela cara. E’ una delle poche volte in cui si dice al cittadino, seppure in maniera imperfetta come dicono alcuni, che c’è un’opportunità. Approfittiamone. Questo Stato è nostro, i soldi li cacciamo noi, siamo noi i committenti e i finanziatori delle imprese sociali: facciamoci rispettare. Vogliamo sapere dove vanno a finire questi soldi e come mai il cittadino è insoddisfatto nonostante i miliardi. Soprattutto chiediamo i dati di confronto, c’è un’impressionante scarsità di dati. Quando io vado a cercare i dati me li danno per estrapolazione, per improvvisazione, e così sono dati assolutamente inconsistenti rispetto al bisogno. E’ necessario invece fare un monitoraggio minuto. La sofferenza della gente, i bisogni della gente sono conosciuti dalla Asl, dai sevizi sociali, anche dalle organizzazioni, dalle parrocchie, dai sindacati, dai patronati, mettiamo insieme tutte queste informazioni, perché non c’è una rete di collegamento degli elementi di conoscenza che è alla base di qualsiasi buona programmazione. Semplifichiamo i passaggi nell’integrazione sanitaria: assistente domiciliare, medico di famiglia, assistente sociale, assistente sanitario…ma quanta gente gira? Bisogna intanto semplificare i passaggi e poi bisogna che tutta questa gente trovi un momento per incontrarsi, perché queste persone vanno a casa del malato e nessuno si è

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mai confrontato o riunito con nessuno. Si sovrappongono interventi, si fanno interventi screanzati, cioè uno dice una cosa al malato, un altro gliene dice un’altra esattamente opposta. Non si capiscono i loro percorsi assistenziali. Troviamo un momento in cui si riuniscano. E’ possibile che nelle fabbriche di lacci di scarpe questo avvenga tutti i giorni e sui malati, sulla vita e sulla morte della gente questo non si fa?! Se non creiamo questi circuiti non ci siamo ancora, nonostante la 328/2000. Creiamo finalmente una situazione dove il cittadino, i sindacati, le associazioni siano più vigili e attenti, riappropriamoci del nostro ruolo, noi siamo i committenti e finanziatori e chiediamo il conto a chi di dovere: alla politica affinché risponda alle esigenze dei cittadini, non tanto alla domanda ma ai bisogni, perché c’è tanta gente che non sa neanche chiedere, non ha la voce, non sa se bussare ai servizi sociali, a quelli sanitari, non sa neanche come funziona un’organizzazione così complessa e articolata, spesso e volentieri sfuggente, nascosta. Ci sono uffici di cui non si sa neanche l’esistenza, gli operatori non si sa cosa fanno. Però il cittadino il bisogno ce l’ ha sul serio e non sa dove bussare. Quindi, lo Stato, i servizi, si facciano parte attiva, non passiva, “se il cittadino viene, bussa, forse gli do qualcosa”, e se non va allora che cosa fa, muore? E’ proprio quello il cittadino che ha più bisogno, l’anziano che non sa deve andare. Ecco, abbiamo un servizio attivo che faccia questo? No, allora chiediamo il conto allo Stato, facciamoci parte attiva.

Pier Paolo Inserra, Cooperativa Parsec A partire dalla mia visuale di operatore sociale e dirigente di una struttura nonprofit, credo che debbano essere individuati spazi e momenti di riflessione che siano anche “altri” rispetto a convegni come questo. Nelle relazioni svolte nella prima giornata di questo seminario, ho trovato suggerimenti, aperture, ma anche una visione assolutizzata e pregiudiziale - mi riferisco all’interlocuzione tra sindacato e cooperative - che io non credo vada affrontata oggi, ma che va comunque affrontata in altri contesti. La proposta che io faccio è quella di dare vita ad un tavolo, un laboratorio permanente, sperimentale, nei quattro municipi che

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Roma Est raccoglie. Inoltre, verifichiamo la possibilità di interloquire con altri comuni dell’area Est, perché l’interazione sarebbe interessante, visto che le politiche di welfare dei piccoli Enti Locali non sono certo quelle metropolitane di Roma. Abbiamo bisogno di scambio di opinioni, formazione, aggiornamento permanente, di elaborazione; abbiamo bisogno di strumenti e di chiavi di lettura che accompagnino la società del terzo millennio, di conoscere meglio questo settore che si spende e si gioca sul piano professionale, politico, culturale, per ragionare su temi quali la relazionalità, i diritti di cittadinanza, eccetera Il laboratorio può servire ad affrontare il discorso dell’informazione e della partecipazione reale all’interno dei piani di zona, ad affrontare il tema amministrativo dei contratti, dei ruoli, delle professionalità che riguardano il terzo settore e il mondo delle imprese sociali. E’ un laboratorio che ci deve abituare a pensare. Per esempio, nessuno ieri ha esplicitato, qual è la visione della sinistra sindacale e di partito, di chi sceglie di essere a sinistra e di stare in un’impresa sociale, rispetto al modello di welfare su cui vogliamo orientarci. Vi ricordo che anche il comune di Roma si trova in una situazione di assoluta transizione perché il modello di “welfare mix” su cui stiamo ragionando è un modello involuto, faticoso da applicare e secondo me non immediatamente integrabile con un’idea veramente progressista di welfare comunitario o societario. Quindi, invito tutti ad abituarci a leggere i cambiamenti sociali, a ragionare in maniera continuativa e a non avere timore di farci qualche chiacchierata al riguardo. Personalmente, ritengo scontato che nelle politiche di welfare debbano convivere elementi di competizione, di separazione delle funzioni di gestione, di costo, di acquisto, che debba convivere il settore privatistico con il settore dell’impresa sociale, del mondo dell’economia associativa. Come decliniamo e approfondiamo una volta per tutte, senza timidezze, questi temi? Un piccolo laboratorio, un’officina, circoscritta, per modo di dire, a un milione e mezzo di abitanti. Non mi nascondo dietro al fatto che ci sono dei temi impellenti, quello della qualità, quello dell’accreditamento. Al di là delle dichiarazioni di intenti e degli sforzi che stanno facendo molte strutture, spesso decliniamo il concetto di qualità secondo una visione aziendalistica che appartiene agli anni cinquanta-

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sessanta del secolo scorso. C’è uno sforzo che alcuni stanno facendo per proporre qualcosa di innovativo; all’interno del laboratorio potremmo ulteriormente affrontarlo. Inoltre dobbiamo capire se è possibile un accordo tattico nei prossimi mesi. La Regione Lazio, con la delibera 977 del dieci ottobre, ha detto due cose molto chiaramente. Primo, che quasi la metà dei fondi del fondo sociale del 2003 saranno ridistribuiti secondo un criterio di questo tipo: il 50% circa alla regione e il 50% agli enti locali; cioè la Regione terrà 28 milioni di euro su 60, agli Enti Locali andranno complessivamente 32 milioni di euro. Questo vuol dire una cosa ben precisa, non solo rispetto all’interpretazione delle politiche di welfare di cui parlavo prima, ma anche rispetto all’interpretazione da un punto di vista della destra sulla devolution, e della sinistra sul federalismo. Questo è un approfondimento che dobbiamo fare. Come operatore sono molto preoccupato, anche pensando alle fatiche che facciamo con i colleghi degli UOSECS, con gli amministratori dei singoli municipi, perché questa stessa deliberazione 977 obbliga il Comune di Roma a presentare di nuovo il piano di zona entro il 31 dicembre del 2003. Siete stati convocati nei vostri municipi? E i municipi hanno la capacità organizzativa di avviare dei tavoli permanenti a cui agganciarsi? Probabilmente no, perché lo sviluppo della 328 è fatto di fasi, di passaggi, è uno sviluppo progressivo. Noi siamo impreparati rispetto a questo. C’è una giunta Storace che dice che si deve consegnare i piani di zona entro dicembre, che debbono essere triennali. A fronte di un’assoluta indeterminatezza rispetto alle risorse, chiedono un piano di zona triennale: ma non si sa ancora se saranno accreditate le risorse rispetto al primo anno. Non servono prima le risorse per studiare piani sinottici, gerarchici, ma servono una serie di informazioni tra cui anche quella delle risorse. Rischiamo di fare piani al buio e questo non mi sembra serio. Pongo al tavolo questa questione perché credo sia importante capire se vogliamo avviare un processo di confronto critico in tempi brevi e se vogliamo avviarlo in maniera anche eclatante. Sono sempre più convinto che nelle politiche sociali, in questa fase storica, il radicalismo, inteso come capacità di fare proposte lucide ma nette, e se volete anche un po’ faziose, sia la

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componente principale del nostro scegliere, in maniera progressista, di portare avanti un progetto di lungo respiro.

Mimmo De Angelis, Presidente dell’associazione “Il Ponte”

Mia figlia è disabile, quindi il problema dei servizi socio-assistenziali mi coinvolge in prima persona. Vorrei ringraziare la CGIL per averci dato l’occasione di discuterne. Per quanto riguarda la zona di Roma Est, dal punto di vista lavorativo c’è una collaborazione fattiva, anche se trovo singolare ascoltare interventi di Assessori di stampo rivendicativo piuttosto che ascoltarci e darci delle risposte. Il piano sociale è stato un punto di riferimento. C’è la necessità di verificare ciò che è stato fatto finora. Prima c’erano alcune cooperative che facevano servizi di affido, cercando di non darsi fastidio l’una con l’altra. Con il piano sociale e la delibera sull’accreditamento, però, è stata avviata una politica dalla quale è difficile tornare indietro. La nostra associazione raccoglie trecento famiglie che operano nel V, VI e VII Municipio. Abbiamo partecipato alla costruzione dei piani sociali ponendo le nostre istanze come familiari dei disabili, proponendo alcune soluzioni Sono critico perché conoscendo questi territori so che non c’è una “mappatura della disabilità”. Noi rappresentiamo una parte del fenomeno, ma non si conosce la realtà nel suo complesso per poter fare degli interventi adeguati. L’associazione, che sta all’interno della consulta di questi territori, propone servizi, idee, attività, ma è difficile raggiungere tutti coloro che non ne fanno parte e capire quali sono i loro bisogni. Nei servizi ci sono qualitativamente delle punte di eccellenza, spesso però ci scontriamo con le cooperative, con chi i servizi li gestisce. Come utenti siamo i primi a cogliere le esigenze di chi lavora dentro le cooperative. Gli operatori dovrebbero essere pagati adeguatamente per essere motivati, rispettando i contratti, e questo succede raramente. Sono le Istituzioni che devono controllare meglio questi aspetti, nel rapporto con le cooperative. La qualità dei servizi dipende molto dagli operatori, i quali facilmente cambiano lavoro appena possono trovarne uno

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migliore, come è giusto e umano. D’altra parte i Municipi che finanziano i servizi spesso fanno gare al risparmio mettendo in condizioni le cooperative di pagare i lavoratori meno dei livelli contrattuali. E’ un po’ un cane che si morde la coda. Rispetto alla legge 328 ancora non funziona l’integrazione tra il servizio sanitario e il servizio sociale. Rileviamo l’incomunicabilità fra i due servizi, mentre ci dovrebbe essere un supporto reciproco sia finanziario che professionale messo a disposizione dalle Asl. Sono la direzione sanitaria e quella del distretto che devono fare la programmazione nel territorio. Gli ostacoli vengono alle volte superati con la buona volontà degli psichiatri, assistenti sociali, eccetera, ma questo non è programmare. La politica deve avere questa funzione: cercare di coordinare la progettualità di tutti. Sono abbastanza contrario all’assistenza domiciliare, perché esclusa quella sanitaria che va monitorata, la politica dei servizi deve valorizzare ed incentivare i centri diurni, i club di socializzazione, lo sport, il teatro. Un ulteriore ragionamento riguarda le case famiglia. I nostri ragazzi non sono autonomi ed hanno maggiori problemi rispetto, ad esempio, ad un carrozzato. I nostri progetti li chiamavamo “il prima e dopo di noi”, perché questi ragazzi hanno diritto di uscire dalle case, come i loro fratelli, come le loro sorelle. Stiamo tentando un esperimento: cercare di coinvolgere le Istituzioni ad investire su una o due case famiglia. Pensiamo a una casa famiglia di quattro-cinque unità non di più. Proponiamo la ricerca di strutture dove i ragazzi possano iniziare un percorso di avvicinamento alla casa famiglia ancora da definirsi, questi luoghi dovrebbero essere gestiti dal Municipio e i ragazzi inizierebbero a turno, magari nel fine settimana, finché non sarebbero pronti per uscire definitivamente. Come associazione di genitori siamo disponibili, con uno sforzo economico, ad acquistare degli appartamenti-alloggio per i ragazzi. Naturalmente siamo in grado di comprare la struttura ma non siamo invece in grado di gestirla, compito che potrebbe essere svolto dalle Istituzioni. Condividiamo quindi una collaborazione mista tra pubblico e privato. E’ importante che le case famiglia siano situate nei quartieri e non in luoghi isolati possibilmente vicini alla casa della famiglia di origine, ad esempio in un normale condominio. I ragazzi devono poter

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vivere una vita in comune con gli altri. Se questo progetto funzionerà, la gestione dovrà essere affidata alle cooperative, agli operatori, ma come genitori desideriamo avere il controllo dei servizi per poter garantire una corretta gestione, con continue verifiche sull’operato delle cooperative, proprio perché si tratta dei nostri figli. Quello della disabilità è un grande business per molti, occorrono controlli accurati. Il piano regolatore sociale è stata una grossa rivoluzione sia dal punto di vista intellettuale sia dal punto di vista del “cosa fare”, però non sono stati avviati gli strumenti di verifica e di controllo. Parsec proponeva la nascita di laboratori permanenti di verifica, sono d’accordo, ci vuole una struttura di verifica costante dell’operato. Inoltre si possono fare progetti riunendo più Municipi. L’accreditamento va rivisitato. Non si comprende perché dal punto di vista politico ce ne sia l’intenzione ma poi a livello di Consiglio Comunale tutto si blocca. Come genitore di una ragazza disabile, come membro dell’associazione Il Ponte sono interessato al problema del lavoro. Per i ragazzi diversamente abili fino a diciotto anni tutto sommato si è coperti dalla scuola, ma dopo i diciotto anni non esiste più niente, sembra che tutto quella che è possibile fino al giorno prima, poi non lo sia più. Un’attenzione particolare va messa nella fascia di età dai diciotto ai trentacinque anni che è poi la fascia in cui si forma l’individuo in genere, è la più importante della vita. Per quanto riguarda il lavoro, nella legge 68/99 ritroviamo le vedove, gli orfani che hanno certamente dei diritti, ma rispetto all’inserimento lavorativo dei disabili si è avuta una riduzione a circa il 2,5-3%. Quando chiedo agli amministratori se la legge 68 sia rispettata, non mi risponde mai nessuno. E’ doveroso introdurre lavoro assistito per dare a questi ragazzi un’opportunità. Questa scelta non riguarda solo le cooperative sociali integrate, perché probabilmente non reggerebbe la competizione di mercato, dobbiamo però ricordare che il costo di un ragazzo diversamente abile, rispetto ad un impegno lavorativo assistito, può far risparmiare su altri servizi. Siamo convinti che non ci sia tutto dovuto perché un ragazzo è disabile ma ci deve essere un impegno anche economico da

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parte delle famiglie, laddove è possibile. Siamo interessati alle case famiglia, quello che si chiama “prima e dopo di noi”. Noi genitori abbiamo l’angoscia di quello che potrebbe succedere quando moriremo. Ci sono genitori molto anziani che assistono figli già in età avanzata.

Domenico Giraldi, Lega delle Cooperative del Lazio

Le cooperative, come sapete, sono tra i principali attori delle politiche rivolte all’intervento sociale, dico attori perché non ci sentiamo solo enti gestori, siamo, insieme ad altri, costruttori di una rete di attività e di assistenza, propositori di politiche. Va detto subito che tra questi attori quello che dovrebbe essere il principale sta venendo meno, il Governo infatti, si astiene dall’esercitare il proprio ruolo. Forzando sulla riforma del titolo V della Costituzione che decentra queste materie alle Regioni, il Governo decide di non preoccuparsene. Pur essendo favorevole al decentramento e al rafforzamento delle autonomie locali, considero molto grave e pericoloso un atteggiamento di questo tipo. D’altra parte su cosa si misura l’unità nazionale, che si sta tramutando in un bene precario? Un modello certo di recente acquisizione nel nostro Paese, ma come lo si valuta se non attraverso quel grado di omogeneità minima di riconoscimento dei diritti dei cittadini? Rinunciando a politiche di coordinamento nazionale per la lotta all’esclusione si mette in discussione lo stesso tema dell’unità nazionale. Non siamo solo di fronte ad una congiuntura negativa sul piano delle risorse per le politiche sociali e sanitarie. La finanziaria si prospetta drammatica, ed in più si inizia a dare per scontato che i soldi saranno di meno. Mi domando perché. E’ forse destino che le risorse delle politiche sociali siano destinate ad essere prosciugate rispetto alle necessità espresse dalla società? E’ ineluttabile che sia così? Tutti devono farsi carico di una situazione difficile ma la stessa idea di un decentramento sfrenato, della devolution, porta con sé la convinzione che chi più ha meglio starà, chi ha più mezzi se la caverà meglio. Subiamo il peso di questa pressione culturale che mette in

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difficoltà il più debole e ha degli effetti sulle scelte politiche del Governo. Che politiche sono? Se penso che da una parte si fa ricorso ai condoni, cercando di far cassa come si può, e dall’altra si chiude un occhio sull’illegalità, se penso che aumentano i prezzi e non si riesce a capire chi è il colpevole, vedo una realtà inquietante. In particolare osservando i provvedimenti fatti per destinare risorse in modo clientelare, emerge come queste politiche siano un ammasso di liberismo sfrenato, assistenzialismo, illegalità, una miscela devastante e comprendo perché in una congiuntura internazionalmente negativa tra l’Italia e l’Europa il gap non solo non diminuisce ma si accentua ed il nostro Paese non beneficia di una certa ripresa che si registra a livello mondiale. Sono cosciente e contento che il Comune di Roma abbia fatto degli sforzi enormi dal punto di vista finanziario, impegnando risorse ingenti, reggendo alle frustate del Governo in termini di tagli alle risorse e compiendo sforzi di innovazione della rete delle politiche sociali. Questi sforzi sono stati condivisi con le cooperative, con un livello di intervento di qualità accettabile. Non possiamo accontentarci, anche se le risorse sembrano destinate a diminuire, anzi vogliamo aumentare la qualità del servizio ed estenderlo. Stiamo collaborando, a livello cittadino, alla riscrittura, all’ammodernamento della rete dei servizi sociali, alla costruzione di pacchetti servizio, proponendo modalità nuove di assistenza, cercando di personalizzare l’intervento. Non ci deve solo essere da parte dell’utente la libera scelta dell’ente gestore da cui farsi assistere ma bisogna anche stilare l’intervento secondo le reali esigenze del singolo assistito. E’ stato fatto un richiamo alla necessità di costruire un momento solidale, se necessario di lotta o comunque di pressione, di proposta, direi anche di elaborazione sulle politiche sociali, in particolare sul rapporto che c’è tra i servizi sociali, la loro qualità e la qualità del lavoro. Riconosco al Comune di Roma la volontà di impedire l’affidamento di servizi con gare al massimo ribasso, che costringono a non rispettare i contratti permettendo ai lavoratori di sbarcare il lunario ma con una bassa qualità del servizio. Allo stesso tempo c’è la necessità di consentire agli enti gestori le condizioni perché i contratti vengano rispettati, perché l’uso del lavoro precario, seppur legittimo, venga ridotto.

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Da parte dell’Assessore Nieri, di intesa col sindacato, è stata promossa un’indagine sulle condizioni dei lavoratori nelle cooperative sociali. Ho accolto come benefica questa iniziativa. Come si combinano i diritti dei lavoratori, la qualità del servizio e come si creano le condizioni finanziarie affinché questa esigenza venga soddisfatta? Iniziando a distinguere le imprese che si comportano in modo etico da quelle che non lo fanno. Il sindacato sa che noi non siamo imputabili di mancato rispetto del contratto, questa grande questione non può essere relegata ad un rapporto tra le cooperative e le organizzazioni sindacali, deve diventare una questione che veda gli Enti Locali impegnati ad affrontarla.

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CONCLUSIONI di Augusto Alonzi, già Segretario Generale Cgil Roma Est

Credo che il convegno abbia offerto un contributo alla discussione per la ricchezza delle riflessioni e delle analisi che i relatori hanno proposto. Un compagno mi ha fermato e mi ha detto “abbiamo degli assessori rivendicativi”. I convegni servono anche a questo, a che gli assessori possano essere anche rivendicativi e trasmettere le difficoltà che incontrano affinché possano in qualche modo tracciare un ambito entro il quale ci si può confrontare e provare a trovare delle soluzioni comuni sul problema posto in esame. Ha ragione Marcella Salvatore quando parla del salto di qualità, che stiamo tentando tutti insieme di concretizzare attraverso la concertazione con i Municipi per quanto riguarda i tavoli sociali. Man mano che andremo avanti e avremo sedimentato la ricchezza dei dati e delle riflessioni qui acquisite dovremo tentare di individuare delle risposte Il trinomio welfare, qualità dei servizi, qualità del lavoro o vive insieme o non vive. A partire da questo convegno, per la nostra parte e con i nostri mezzi, stiamo facendo un’operazione di controtendenza molto importante, perché stiamo tentando di costruire una cultura del welfare nel momento in cui nel nostro Paese il tentativo è esattamente di segno contrario, cioè quello di smantellare il welfare, non quello innovativo voluto dalla legge 328 ma anche quello costruito sull’organizzazione fordista. Non ho dubbi che esista un problema di trasferimento di fondi verso gli enti locali, un problema importante di risorse e di attenzione alla cultura del welfare. Questo può essere un terreno comune per mettere in campo iniziative affinché quel tipo di impostazione non passi. Ora, però, perché si affermi la cultura del welfare, perché possiamo “rimontare”, c’è bisogno degli approfondimenti che qui sono stati prodotti e che vanno portati a valore. I protocolli di intesa devono creare le condizioni affinché la qualità del servizio e la qualità del lavoro siano un fatto concreto e percorribile. Non basta porre nei protocolli il rispetto dell’applicazione contrattuale, a fianco a questa rivendicazione va fatta un’altra operazione ed è quella che riguarda il rapporto sindacale

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all’interno delle imprese sociali. Vogliamo attivare una forte pressione sindacale su questo tema. Quando parliamo di stabilizzazione non parliamo solo di una questione ideologica, come se non volessimo cogliere le esigenze di flessibilità, le nuove dinamiche del mercato del lavoro e la possibilità di costruire occupazione. Però stento a credere che possa esistere una flessibilità che dura tre anni, o che dura a vita. Allora una delle due: o non ci troviamo davanti ad una questione che riguarda la flessibilità del lavoro oppure bisogna procedere su un altro terreno, e questo è un terreno di confronto non già e non solo con le istituzioni ma anche con l’organizzazione del lavoro all’interno delle imprese. Per le cose elaborate in questo convegno ma anche per i confronti avuti in precedenza costruendo i protocolli, cercando di costruire un itinerario percorribile per l’iniziativa sindacale su queste tematiche, sono convinto che possiamo trovare non degli alleati ma dei terreni comuni all’interno dei quali il sindacato e i lavoratori fanno la propria parte e le istituzioni devono coerentemente svolgere il loro ruolo, però costruendo degli obiettivi comuni. Questa in fondo è la concertazione, altrimenti c’è una confusione di ruoli che noi non vogliamo alimentare. Se procediamo così, a partire anche dalle cose che domani mattina potremmo sollecitare riportando in sintesi questo dibattito alla tavola rotonda, potremo verificare la bontà di ricetta proposta. Da questo convegno dobbiamo uscire con una convinzione: questo è un punto di partenza di una ripresa dell’iniziativa sindacale in questo settore. Del resto la ripresa di iniziativa sindacale sul piano locale, territoriale, si salda con l’iniziativa generale che la CGIL sta portando avanti nei confronti del Governo per quanto riguarda la finanziaria e anche su tutte le questioni inerenti la legge 30 e le ulteriori precarizzazioni del mercato del lavoro in quanto tale. Se ci possiamo assegnare un compito, dopo aver tracciato gli assi entro i quali vogliamo sviluppare la nostra iniziativa, dobbiamo cominciare a concretizzare i punti individuati da questa iniziativa. Ce ne sono alcuni che sono già maturi e sono stati ricordati, come la precarizzazione e l’esternalizzazione, quelli che riguardano le gare al massimo ribasso e le situazioni che invece dobbiamo monitorare, la necessità di monitorare i bisogni perché non tutti i bisogni sono uguali per fasce d’età, per fasce di disabilità e di disagio, e su questo costruire un range

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entro il quale si forma l’intervento delle cooperative sociali. Dobbiamo anche definire con le centrali cooperative che cosa intendono fare, perché sarà anche vero che abbiamo riscontrato un ventaglio tariffario fra i diversi Municipi, ma non ha alcun significato se non facciamo l’operazione di monitoraggio per capire quali sono le tipologie di intervento prioritario, e quali sono le professionalità necessarie. E’ interessante avere colto il ventaglio delle esigenze e dei problemi per capire se la composizione dei servizi offerti risponda alla qualità del monitoraggio del bisogno che noi abbiamo individuato in quell’area. Potremmo anche riscontrare nel monitoraggio che le risposte sono d’altro tipo, rivelando pertanto alcune contraddizioni. Quindi è bene soffermarci sulla lettura del range, e poi entrare nel merito del problema. Bisogna lavorare a partire da domani, voglio capire che cosa dicono le centrali cooperative e anche le cooperative singole intorno a questo problema. Riguardo la percezione della qualità dei servizi, solo come momento di riflessione, quando ho iniziato a fare il sindacalista sulla percezione dell’ambiente c’era uno scontro feroce tra la validazione consensuale e il risultato dell’indagine. Tra le due cose c’è il ruolo della trattativa sindacale che deve essere in grado di leggere il dato del risultato dell’indagine e di apprezzare la percezione della qualità che può dare soltanto il singolo individuo cui viene erogato il servizio. Da questo mix viene fuori la media ponderata corretta di questa lettura, altrimenti potremmo avere l’elemento esterno che ci dà la certificazione di qualità di un certo tipo ma il prodotto sul mercato non lo vuole nessuno. E qui credo che dovremo trovare delle soluzioni, non entrando nelle commissioni di validazione ma discutendo dei loro risultati per poter avere la possibilità di intervenire liberamente e di correggere il risultato raggiunto. Il tema è complesso e la CGIL lo ha assunto, sappiamo che è un punto decisivo per i cittadini e per affermare una cultura del welfare in controtendenza rispetto allo smantellamento dello stato sociale nel nostro Paese.

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TAVOLA ROTONDA

Raffaella Milano, Assessore ai Servizi Sociali Comune di Roma

Provo rapidamente a dare il mio punto di vista sui temi che avete affrontato. Parto dalle risorse. Il Piano Regolatore Sociale contiene un impegno relativo alle risorse finanziarie, uno sforzo che è stato fatto dal Comune di Roma che nel 2002 ha aumentato la spesa sociale del 47% e, di questo aumento, sono disponibili i dati Municipio per Municipio. Abbiamo chiesto a tutti uno sforzo nell’impiego delle risorse, processo che necessita un lavoro amministrativo e burocratico di progettazione particolarmente meticoloso. Quanto detto costituisce il punto di partenza della riflessione. L’attuale legge finanziaria pone un problema non più rappresentato dal rituale grido di allarme espresso dagli Enti Locali per avere più risorse: con le previsioni di taglio sulla spesa sociale il nostro sistema di welfare rischia di andare a rotoli. Non è catastrofismo, ma ci troviamo in una gravissima situazione che fa regredire il sistema di welfare italiano. Innanzitutto nella ricaduta sul sistema sociale dell’involuzione delle altre componenti del sistema. Espongo l’esempio della sanità: ci siamo trovati a gestire, con l’attuale rete dei servizi sociali, tutti i diritti non garantiti dalla sanità, parlo della riabilitazione, della cura dei disabili, dei malati cronici, degli anziani. Potremmo parlare però anche della giustizia, in particolare della riforma sulla giustizia minorile e mi chiedo, oggi come oggi, come si riuscirebbero a garantire almeno le tutele essenziali ai minori sottoposti a misure giudiziarie se non ci fossero gli interventi della legge 285 e gli interventi del fondo sociale. Ci sono alcuni grandi comuni italiani che hanno istituito delle liste d’attesa per l’accoglienza di minori che subiscono circostanze critiche. Un assistente sociale di una grande città del nord mi ha detto “io me li porto a casa”, perché l’emergenza rappresentata da un minore trovato

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solo, magari di notte per strada, non può arrestarsi di fronte alla lista d’attesa per l’accoglienza, in più è un comportamento che trasgredisce la deontologia professionale di qualsiasi operatore sociale. L’elenco potrebbe continuare. Un altro problema preoccupante è quello dell’emergenza casa. Anche qui il sociale interviene in modo riparativo: cioè le problematiche che la sfera delle politiche abitative non riesce a contrastare si riversano inesorabilmente sulla presa in carico da parte delle politiche sociali, questo comporta la gestione di un certo numero di persone senza fissa dimora, rimaste senza casa, spesso persone anziane. Mentre avviene tutto ciò, si riducono le risorse sociali. La riduzione delle risorse dedicate al sociale e gli effetti determinati dalla diminuzione di interventi pubblici in altri settori, creano insieme una situazione di crisi nella società davvero complessa. Questo è uno scenario che, ripeto, è di reale allarme. In questo contesto ci troviamo ad applicare la legge di riforma del 2000, la legge Turco, tutta fondata sui diritti sociali, i livelli essenziali di assistenza, l’incremento del fondo sociale, la qualità delle prestazioni sociali, che nella realtà è stata messa nel cassetto; ad esempio, non abbiamo neanche un sistema informativo sociale nazionale che ci consenta di misurare di dati di Roma con quelli di Milano o di Napoli, o i Liveas. Abbiamo invece un “libro bianco del welfare” che elimina di fatto l’impresa sociale, nel senso che non la prevede proprio, valorizza “le famiglie” lasciandole con una delega in bianco, ciascuna nella propria solitudine, per supportare i carichi assistenziali, e di fatto ci fa tornare indietro di cento anni, con un’idea di welfare assistenzialista, rivolto soltanto alle persone in difficoltà estrema, dove la parola “esigibilità dei diritti” viene assolutamente accantonata. Nel Comune di Roma, abbiamo fatto uno sforzo che riguarda la spesa sociale e l’abbiamo mantenuta ferma nel 2003 ed ora vedremo cosa riusciremo a fare nel 2004, abbiamo quindi la responsabilità di andare avanti su una linea di welfare municipale così come è disegnato nel Piano Regolatore Sociale, nei piani di zona, e che prevede una relazione difficile ma forte tra qualità del servizio e qualità del lavoro. Abbiamo un tavolo di lavoro insieme alle organizzazioni sindacali, le imprese sociali, coordinato dall’Assessore al lavoro e alla formazione professionale, in modo che il Comune non faccia gare al ribasso,

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che ci sia un impegno sulla congruità del costo del servizio, senza privilegiare una logica che vede l’espansione del numero degli utenti come unico parametro con il fine di far assumere a ciascuno le proprie responsabilità. Le risorse aggiuntive date per le politiche sociali non servono esclusivamente ad ampliare la platea degli utenti, servono anche a migliorare la qualità del servizio. Deve esserci l’appropriatezza delle prestazioni, perché dobbiamo fare in modo, pure con risorse limitate, che modelli come quello dell’assistenza domiciliare siano modificati. Ad esempio, i pacchetti di servizio prevedono che un anziano, con un determinato bisogno assistenziale, possa rivolgersi ad un centro diurno, provando quindi ad articolare l’assistenza domiciliare in un modo diverso, centrata non più sul numero di ore ma sul tipo di prestazioni differenziate che si possono ottenere. In questo percorso assistenziale mettiamo al centro i bisogni e il diritto di scelta dell’utente e al contempo, vigiliamo affinché il rapporto fra impresa sociale e operatori sia improntato al rispetto dei contratti di lavoro e di tutte le tutela che garantiscano la qualità del lavoro e del servizio. In un servizio dove il 90% della qualità si gioca nella relazione utente-operatore, la qualità professionale delle risorse umane è essenziale, l’operatore sociale è un po’ come un artigiano che deve riuscire a costruire con il cittadino e con il suo nucleo di cura un piano personalizzato e specifico di intervento, questo è decisivo per la riuscita del servizio e per la qualità. In questo senso c’è una combinazione di interessi spontanei tra la stabilità, la professionalità, la qualità del lavoro, che significa anche formazione permanente. Ci sono anche una serie di risorse europee, che possono e devono essere messe in campo, perché qualità del lavoro significa anche avere opportunità di aggiornamento e di formazione nello svolgere un lavoro in continua trasformazione e che espone lo stesso operatore sociale a momenti di difficoltà e di crisi. Il tavolo di monitoraggio fatto da imprese sociali, organizzazioni sindacali e amministrazione comunale per la valutazione della congruità sia di pagamento dei servizi che dell’impiego degli operatori, rappresenta la sfida per tutti gli attori coinvolti.

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E’ stato posto giustamente il problema delle gare al massimo ribasso, dei ritardi nei pagamenti, in particolare dei servizi integrati, laddove il nostro partner sono le aziende sanitarie locali. In questi casi la situazione è davvero difficile. Lo scorso anno abbiamo anticipato 8 milioni di euro per garantire la continuità dei pagamenti alle imprese sociali per la legge 285, poiché non venivano trasferite le risorse dello Stato alle Asl si è deciso, d’accordo con i Municipi, di anticipare le risorse. Questo sforzo di continuità e di stabilità può essere garantito se esiste un rapporto corretto e sano tra Enti e Istituzioni che operano sul piano socio-assistenziale. Di fronte ad un impegno del Comune finalizzato a garantire la continuità e la stabilità dei progetti, occorre fare in modo che tutti gli Enti Istituzionali che agiscono sul territorio romano si attengano ai patti stabiliti, altrimenti il sistema non regge.

Stefano Bianchi, già Segretario Generale Cgil Roma e Lazio

Siamo in presenza di un taglio generalizzato nella gestione dei servizi. Si è parlato in particolare di sociale, pensiamo a quello che sta accadendo nei confronti delle Regioni, che siano di centro-destra o di centro-sinistra, rispetto alla gestione della sanità. Un anno e mezzo fa sono stati fatti degli accordi in cui si sarebbero dovuti garantire determinati finanziamenti alle Regioni, quegli accordi sono stati disattesi dal Governo sia dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista della tempistica nell’erogazione di una parte dei fondi da assegnare. Il risultato lo si riscontra nella sanità che è al collasso. Nella regione Lazio, storicamente vi è una situazione deficitaria, complessa e profonda e gli interventi fatti nell’ultimo anno, (l’introduzione di ticket, processi di cartolarizzazione degli immobili sanitari), non hanno ridotto la quantità della spesa, hanno invece ridotto la qualità del servizio, la quantità di personale, la qualità delle prestazioni, hanno allungato le liste d’attesa etc. La finanziaria peggiorerà ulteriormente la situazione.

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Un’altra operazione contenuta in questa finanziaria è il bonus per il secondo figlio, che ha quattro elementi di criticità. Il primo è quello che toglie risorse da un fondo da destinare ad un’altra grande riforma, quella degli ammortizzatori sociali che, nel settore lavoro, diventa una delle riforme strutturali poiché siamo in presenza di un consolidamento della precarietà lavorativa ormai generalizzata. Secondo, questo bonus viene concesso a prescindere dal reddito: per cui chi ha due figli e un reddito di 50 milioni l’anno, rispetto a chi ha un reddito di 100milioni, viene considerato in modo identico pur essendo diverso nella gestione dell’economia familiare. E’ evidente quindi che non si tenta di operare una scelta di equità e di solidarietà. Terzo punto: questa strategia non considera le amministrazioni locali, i governi di prossimità, è tutta centralizzata, perciò si caratterizza apertamente come un’operazione elettorale. Quarto: l’utente ritiene che, avendo dei soldi in tasca, può spendere liberamente nel mercato della prestazione sociale, pubblica o privata che sia; in realtà l’utente non è più libero ma più solo perché si trova di fronte ad un’offerta dai costi poco accessibili, spesso non qualificata e non certificata. Il sindacato come sempre è in prima linea nel contrastare questa finanziaria, e sta tentando di costruire attorno a questa lotta una serie di convergenze con le amministrazioni locali, pubbliche, aree del volontariato, associazioni. Il Paese deve con forza respingere questa finanziaria, anche perché sappiamo che dentro il Parlamento i numeri sono favorevoli al Governo che si muove usando lo strumento della fiducia su ogni proposta di legge. Ne consegue che o c’è un Paese reale che mette in discussione le manovre del “palazzo” oppure questa finanziaria passerà così com’è. Un altro livello da considerare è quello regionale e locale. In questi giorni stiamo mettendo a punto le nostre richieste riferite al bilancio regionale. Dopo le operazioni a nostro avviso sbagliate che la Regione Lazio ha fatto negli anni passati, arriveremo ad un chiarimento che spero sia definitivo, anche perché questo è l’ultimo bilancio della legislatura. Si andrà al voto per le Regionali ad aprile 2005, dunque è l’ultimo bilancio intero che questa consigliatura gestirà. A maggior ragione vogliamo capire bene come verranno spesi i

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soldi nell’arco di questo anno, in particolare su materie come la sanità e i servizi sociali. L’impressione che deriva dalla discussione che abbiamo appena iniziato sul documento di programmazione finanziaria non è delle migliori. La Regione sta cercando di evitare una discussione che entri nel merito delle cose, rimanda a grandi documenti programmatori molto poco efficaci dal punto di vista della gestione dei servizi, al fine di lasciarsi le mani libere per il trattamento dei fondi come meglio crede. La scelta è molto delicata: darsi la possibilità di gestire dei fondi pubblici nell’ultimo bilancio della legislatura, finalizzati al miglioramento, alla riorganizzazione, alla ristrutturazione dei servizi oppure lasciare le mani libere all’amministrazione regionale per fare quello che ha fatto in questi anni: la non riorganizzazione dei servizi sanitari, la non riduzione degli interventi di cura a vantaggio dei servizi di prevenzione e riorganizzazione dei servizi sul territorio, la parificazione tariffaria a favore dei privati. Queste sono le cose che hanno continuamente incrementato il disavanzo del bilancio regionale, togliendo o riducendo ulteriormente gli interventi nel settore sociale. Non è escluso che, se non ci saranno risposte alle nostre richieste, presentate con una piattaforma sintetica in cui ripercorriamo brevemente la storia della mancata gestione della sanità e dei sevizi sociali e poniamo richieste concrete sull’utilizzazione dei fondi, saremo pronti anche ad uno scontro con la Regione. Del resto nei mesi scorsi si sono svolte due manifestazioni, quella del sindacato unitario dei pensionati in tutte le province del Lazio e quella regionale della scorsa primavera. Il fatto che ci sia una condizione di disagio alla quale non si è data risposta è uno scenario che impone al sindacato di costruire una iniziativa nei confronti della giunta Storace; anche perché o diamo vita a delle risposte adesso o da qui alla fine della legislatura avremo un peggioramento dei servizi, un maggior carico finanziario rispetto agli utenti e una spesa a pioggia, se va bene, clientelare se va male. Con il Comune di Roma siamo in una condizione di grande difficoltà. Noi abbiamo apprezzato molto la scelta del piano regolatore sociale, perché abbiamo ritenuto, anche rispetto alle gestioni precedenti del centro-sinistra, che fosse un rivoluzione copernicana per i servizi sociali dell’amministrazione locale.

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Frutto di una trattativa sindacale è quel 47% in più di spesa per il sociale nel 2002. Scegliemmo, ovviamente insieme all’amministrazione capitolina, di fare una operazione di solidarietà nei confronti dei più deboli: gli anziani, i diversamente abili, gli immigrati, i tossicodipendenti, mettendo a disposizione del “sociale”, lo 0,2% di addizionale Irpef, cioè aumentando il carico fiscale sulla generalità dei cittadini romani, per drenare un centinaio di miliardi di risorse. Oggi stiamo raschiando il fondo del barile. In questo momento bisogna attendere le definitive stesure dei vari articoli della finanziaria, però un grido d’allarme è stato lanciato. Inoltre i sindacati, insieme alle associazioni imprenditoriali e al Comune di Roma hanno stilato un ordine del giorno unitario, di grande valore, teso a chiedere al Governo che i tagli previsti dalla finanziaria possano essere in qualche modo corretti. Dalle previsioni che facciamo, al Comune di Roma nel bilancio 2004, verrebbero a mancare qualcosa come 180 milioni di euro e gran parte di questi peseranno sulla spesa sociale. Ciò significa penalizzare fortemente il processo di riforma che è stato avviato col piano regolatore sociale che ha bisogno di un finanziamento adeguato verso i Municipi per poter esprimere tutte le sue potenzialità. Si sta definendo un quadro cittadino di sostegno che dovrebbe portare ad un incremento degli interventi sul sociale, con fondi in parte comunali, in parte provinciali, in parte regionali, di circa 20 milioni di euro. Però sono la goccia nel mare e tutto ciò ha ricadute negative sia dal punto di vista della gestione dei servizi sia sulla qualità delle prestazioni, e all’interno della qualità delle prestazioni ritroviamo le condizioni economiche dei lavoratori che operano nel settore delle imprese sociali. Ad oggi non ci sono le condizioni per essere ottimisti, tutt’altro, probabilmente dovremo mettere in campo un’iniziativa forte, tra amministrazioni comunali, organizzazioni sindacali, associazioni degli imprenditori, che ci possa consentire di gestire al meglio questa situazione difficile. In questi casi o si costruisce una rete coesa tra i soggetti che intervengono nel vivo della gestione di questi servizi, riducendo tutte le condizioni di ingestibilità, oppure si sommano al taglio dei finanziamenti le inefficienze del sistema.

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Domenico Giraldi, Vice Presidente Lega delle Cooperative Lazio

Sento il dovere di riprendere due degli argomenti sollevati: quello dei contratti dei lavoratori e la delibera 135 del Comune di Roma. Non credo che ci vogliano leggi o delibere per sancire l'obbligo dell'impresa a rispettare il contratto di lavoro, che è un patto. Avverto dunque un disagio, come dirigente di cooperativa, non perché vi sia la delibera 135 non perché vi sia una legge nazionale, la 142, che impone alle cooperative di rispettare i contratti. Il disagio deriva dal fatto che se il legislatore ha messo mano a questa faccenda vuol dire che il problema esisteva, e naturalmente il disagio si trasforma in tranquillità perché penso di far parte di un movimento cooperativo che si è sempre dato da fare per essere il più possibile in regola, che rispetta i patti col sindacato, onora l'impegno nei confronti dei lavoratori. Il disagio deriva dal fatto che la cooperazione è un mondo complesso, ci sono cooperative che io conosco, che rappresento, ci sono cooperative che aderiscono ad altre centrali organizzative, e poi c'è un mondo complesso, di una cooperazione che non è rappresentata da nessuno. La chiamiamo cooperazione spuria e voi sindacalisti sapete bene di cosa parliamo, è un magma di contratti e di lavoro precario. Diventi questo un tema pubblico generale, di cui ci facciamo carico tutti, assumiamo l'onere di affrontare una situazione complicatissima, che va messa tutta sotto i riflettori per impedire forme di concorrenza sleale, per ridurre il lavoro sommerso diffusissimo, per ridurre il lavoro precario. Ci troviamo nel quadrante di Roma Est, ma basterebbe percorrere questa strada, la Tiburtina, e fare quindici chilometri, e se trasferissimo il convegno lì, dovremmo cambiare il registro di questa discussione. E’ stato giustamente ricordato che a Roma le tariffe oscillano dal 14% al 20%, sapendo che il quattordici è gia insufficiente a coprire il contratto e quindi non parliamo poi dei costi di gestione, organizzazione. Se andiamo nella Provincia di Roma, parliamo di tariffe di 8, quando va bene 9 euro. E la qualità del servizio? Questo è il Lazio. Se poi mi sposto a sud trovo anche di peggio, questa è l'Italia. Io sono pronto ad aprire una

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commissione, mettiamo sotto l'osservazione di un riflettore attento questa grandissima questione. Penso che sarebbe utile che producessimo rapidamente una verifica su cosa abbiamo realizzato nel 2003. L'accreditamento ovviamente non esaurisce tutto il tema delle politiche sociali in questa città ma è una parte essenziale. Penso che sul piano teorico siano state abbozzate delle innovazioni e alcune anche sul piano pratico. Ma ancora ci sono molte ombre. La prima di queste è una diversa velocità fra i Municipi che è insopportabile. E’ necessario procedere ad un allineamento per poter governare il processo. Di Municipio in Municipio le esigenze non sono le stesse, anche dal punto di vista organizzativo ma un'omogeneità di fondo deve esserci. Il decentramento dal Comune ai Municipi ed il processo di accrescimento dei loro poteri è superiore a quello che stabiliscono i documenti, perché c'è stato un decentramento voluto dalla città. Invece, la struttura del Municipio, la qualità del personale, le modalità di funzionamento non corrispondono a questo sviluppo di poteri che realmente si è determinato. Evidentemente qualcosa non quadra. Modificare la situazione per tempo significa andare avanti con un nuovo welfare e fare del decentramento una vera risorsa, tenendo costantemente attrezzati questi luoghi in cui gli attori governano. Poi ciascuno si assume le sue responsabilità, ma dobbiamo governare insieme questo processo, anche al fine di determinare la sinergia tra risorse pubbliche e private senza le quali non andiamo avanti. La cooperazione sociale vuole divenire impresa capace di investire, qualcuno mette un pezzo di terra, noi contribuiamo alla costruzione, gestiamo i servizi ma tutto questo va tenuto sotto una regia attenta. La regia non può essere di tipo centralistico ma deve essere quella di tenere aperti i luoghi di orientamento, di studio e di decisione, altrimenti, anziché strumento per la costituzione di un nuovo welfare, moderno, qualitativamente più avanzato, compatibile con le risorse di cui si dispone, questo decentramento può trasformarsi in un pericolo che dobbiamo scongiurare.

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Tiziana Biolghini, Consigliere e Delegata all’Handicap Provincia di Roma

Vorrei entrare nel merito di quanto detto sull'opportunità di costruire un laboratorio sociale per sperimentare, riflettere e progettare le politiche sociali. Vorrei prima evidenziare il fatto che non possiamo assolutamente fare l’errore di pensare in modo "romanocentrico". Nella Regione Lazio le cose vanno molto diversamente! E' vero che Roma ha tenuto, che ha sperimentato processi più avanzati rispetto a tutta una serie di patologie sociali o di servizi alla persona, però, quando ho incontrato i ventidue comuni dell'asse prenestino-tuscolano per consultarli sul piano di mobilità per il trasporto dei disabili, sono intervenuti degli assessori delle politiche sociali di tre comuni che hanno detto "noi siamo un'altra cosa". I loro comuni rappresentano un trend di crescita della popolazione ma l'aumento dei problemi è molto più forte dell'aumento della popolazione; un dirigente scolastico del VI municipio diceva che se a Roma il bullismo si è attestato su una percentuale di uno su tre bambini che subiscono violenza, qui c'è un'accelerazione determinata anche dall'espulsione che hanno subito le famiglie per un processo di impoverimento della città, che li ha costretti a cercare fitti più bassi nell’hinterland, con un aumento vertiginoso di quelle patologie sociali che riguardano gli adolescenti e i pre-adolescenti. Quindi il laboratorio sociale deve tenere conto del fatto che c'è stato uno smantellamento dello stato sociale nella provincia e nella regione, con situazioni molto diverse da quelle che viviamo nella città di Roma. Il modello di ragionamento non può essere Roma perché c'è una realtà di cittadinanza diversa, nei comuni abbiamo servizi che sono destrutturati completamente. E' vero che ci sono anziani che vivono una situazione più comunitaria nei piccoli comuni ma ci sono anche situazioni di abbandono e di emarginazione per altre patologie. Stiamo parlando di cittadini che hanno vissuto lo smantellamento dello stato sociale operato dalla Regione Lazio e dal Presidente della Provincia di Roma On. Moffa e che hanno subito un degrado rispetto ai servizi e una crescita di problemi che ci porterà a studiare e sperimentare soluzioni diverse. A Genzano ci sono centottanta anziani con l'Alzaimer e non esiste nulla. Io sto promuovendo con degli amministratori una ricerca

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sulle patologie invalidanti, che sono aumentate, per capire gli ulteriori bisogni e diritti che dobbiamo organizzare. Purtroppo questa è la realtà, non esistono centri per l'Alzaimer nei comuni della provincia mentre a Roma ci sono degli sforzi in questo senso, centri di sollievo ed altre iniziative ancora. Bisogna rimboccarsi le maniche e ripartire da tutte le realtà che sono così differenziate perché anche la sperimentazione è molto diversa, ci sono esperienze che a Roma non conosciamo. Ci sono esperienze di volontariato presente da anni, laico e cattolico, che si sono completamente sostituite ai servizi dei comuni, alle volte i comuni non intervengono per nulla su alcuni servizi. Le gare al massimo ribasso esistono, le leggi lo impediscono ma esistono. A pochi silometri da qui, nel comune di Tivoli, è stata fatta una gara per i servizi sociali al ribasso, dove il 70% del punteggio era determinato dal ribasso. A Velletri si fa tutto con il ribasso. Bisogna studiare un modo per segnalare questi bandi e fare in modo di bloccarli. Il sindacato si deve attrezzare, con la collaborazione di tutti, per diventare uno strumento che interviene immediatamente sul comune e rende non esecutivo quel bando. In ultimo, Teresa Frassinelli chiedeva cosa possiamo fare per fermare la tendenza mostruosa e criminale verso le classi differenziali. L'assessore Milano ha dichiarato che verrà firmata una convenzione con le cliniche psichiatriche, mentre a pochi chilometri da qui abbiamo un manicomio ancora funzionante che è quello di Guidonia tenuto aperto, pare, per questioni di tutela del posto di lavoro degli operatori, circa seicento lavoratori con qualifiche "anomale" che non troverebbero impiego in altri posti. Però là dentro ci sono quattrocento detenuti, pazienti psichiatrici, nonostante la legge 180 voluta da Franco battaglia sia ancora in vigore in Italia. A questo punto tutti sono detenuti, sia chi ci lavora sia chi è stato o è paziente psichiatrico e situazioni anomale stanno rifiorendo a Roma, in provincia e nella regione, cioè molte sono ancora le cliniche che fanno l'elettroshock ormai senza più nessun controllo sanitario. Non si riesce ad entrare in una serie di strutture perché c'è la doppia competenza delle Asl B e Asl C. Io ci ho provato, bisogna andarci con i carabinieri. Credo che dovremmo rimettere in piedi un movimento forte per contrastare queste aberrazioni, rivolgerci a tutte le associazioni,

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agli insegnanti e dirigenti scolastici. La tendenza è quella di tornare ad aprire i manicomi. Il grande "museo della memoria", come lo chiamo io, il grande museo scientifico di Santa Maria della Pietà, dove sono passate 225.000 persone, quasi tutte uccise dall'istituzione, tra cui 2.500 bambini, che vi consiglierei di visitare, è un museo che ricorda moltissimo Matausen perché ci sono le stesse stanze degli orrori, le macchine di elettroshock, la fagotteria, come a Matausen, dove ci finivano i poveri e i comunisti. Su questo museo, che noi come provincia di Roma abbiamo intenzione di valorizzare, la regione Lazio ci sta passando sopra con le ruspe, mortificando tutti gli psichiatri che hanno dato la loro vita per chiudere il manicomio, e aprire un museo che ricordi alla città e all'Italia che cosa è stato quel posto. Noi dobbiamo combattere per farlo diventare una fondazione viva nella città. Questo è un esempio delle cose che stanno facendo la Giunta di Centro destra, distruggere la memoria e riaprire i manicomi e contro tutto questo dobbiamo costruire un movimento di lotta forte.

Gervasio Capogrossi, Funzione Pubblica Cgil Roma Est

Abbiamo voluto porre l'attenzione sul quadrante di Roma Est che comprende anche 23 Comuni esterni alla città, perché sappiamo che la realtà che riguarda l'interland provinciale è molto più drammatica di quella urbana. Lo scopo era cercare di fare un ragionamento proprio perché consideriamo Roma un laboratorio importante e partendo da questa esperienza si può proporre un modello, sia sociale che politico, anche negli altri territori. Domanda: Si è fatto riferimento ad una riflessione sui modelli operativi e organizzativi del sistema di accreditamento, vorrei sapere in modo più specifico a che punto è questa fase di discussione, soprattutto rispetto alla disomogeneità con cui il sistema di accreditamento si sta realizzando. Un esempio concreto, c'è un ventaglio rispetto ai tariffari che è troppo ampio e troppo diversificato a parità di prestazione. Quando si viene a conoscenza che un Municipio applica una

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tariffa di quattordici euro ed un altro ventidue, qualcosa non funziona. Domanda: La delibera 135 del 2000 che prevede che nessuna cooperativa possa lavorare per il comune di Roma senza il rispetto del contratto nazionale di lavoro, può essere rispettata? Chiediamo un segnale concreto che possa essere di riferimento per tutti, per praticare la qualità del lavoro e la qualità del servizio. Certo, non sempre dipende esclusivamente dalle cooperative, però dobbiamo partire dal presupposto che i contratti collettivi nazionali di lavoro vanno rispettati, non si può lavorare per conto del Comune se non si rispettano le norme e le leggi, tra cui la 135 del 2000. Domanda: Il sistema dell'accreditamento e la discussione col sindacato. Possiamo pensare di affrontare in questa discussione l'applicazione, in riferimento alla legge 30, del problema occupazionale nell'ambito delle imprese sociali? Possiamo cogliere l'occasione di una convergenza rispetto all'esigenza di garantire qualità del lavoro e qualità dei servizi, cercando quindi di ridurre a dimensioni più accettabili l'utilizzo delle flessibilità? Domanda: La legge finanziaria ci impone un ampio schieramento di lotta e mobilitazione, credo che dobbiamo cominciare a costruire in questo Paese momenti unificanti tra tutti i soggetti affinché si denunci la demolizione dello stato sociale e delle sicurezze. Bisogna esprimere il massimo dissenso su quello che sta avvenendo. Tutto ciò è profondamente antitetico rispetto ad uno slogan promosso dalla maggioranza di Governo per cui è possibile mantenere lo Stato Sociale con una diminuzione del carico fiscale. Un’altra idea del centro-destra, che va combattuta, è quella di concedere sussidi ai cittadini e poi disinteressarsi del loro utilizzo. Domanda: Possiamo pensare di sperimentare modelli di compartecipazione sui servizi sociali, cioè la possibilità per il singolo cittadino, dando un contributo, secondo le sue possibilità, di poter fruire dei servizi sociali; un modello in cui il cittadino partecipa nel costruire, assieme agli Enti Locali, un nuovo tipo di protezione sociale.

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Anita Maddalone, Cooperativa Casa dei Diritti Sociali Domanda: che facciamo tutti insieme affinché ciò per cui oggi ci organizziamo diventi un momento grosso di contributi collettivi e una vera piattaforma? Bisogna superare l'emergenza, ma costruire anche la prospettiva, ad esempio un osservatorio cittadino che riesca a monitorare la qualità del servizio, del lavoro, dell’impresa coniugandolo al coinvolgimento della società civile. Domanda: qual è il ruolo delle Istituzioni rispetto alla costruzione di un diffuso impegno di promozione perché il welfare assolva ad una funzione di miglioramento della qualità della vita? Domanda: il lavoro atipico ci ha visti molto impegnati, come Casa dei Diritti Sociali assieme a Nidil, facendo emergere la contraddizione che c’è tra la volontà di offrire un lavoro in progress e il superamento degli standard a cui noi “più anziani” abbiamo fatto riferimento fino ad ora. In altre parole come posso riproporre ad un neoassunto modalità lavorative svolte tre anni fa e formarlo secondo un approccio in progress che tenga conto delle trasformazione della società, sempre all’interno di nuove identità lavorative? Penso che sia chiaro come la figura dell'operatore dentro questo processo sia in progress, non sia standardizzato.

Giulia Coscia, Delegata sindacale della Cooperativa Arca di Noè

Domanda: il lavoratore a cui non viene concesso un intervallo di tempo tra un intervento e un altro, come fa senza macchina, senza mezzi pubblici, quando piove, sappiamo tutti com'è il traffico a Roma, a passare direttamente da un intervento ad un altro alla stessa ora? Noi lavoratori siamo i nuovi poveri. Domanda: Come fare per far applicare i contratti a tutte le cooperative? Noi all’Arca di Noè ci siamo riusciti, abbiamo fatto un buon lavoro, dal primo luglio applichiamo il contratto nazionale. Vorrei sapere da parte del rappresentante della Lega delle Cooperative se i contratti vengono applicati.

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Teresa Frassinelli, IV Lega Spi Cgil Roma Est La rappresentante della Provincia sostiene che nelle scuole mancano gli assistenti per i diversamente abili. Io ho un figlio che oramai è grande, sposato, ma quando sento parlare di queste cose mi viene un tuffo al cuore perché è stata una battaglia politica grande, per quanto mi riguarda, una battaglia che non ho fatto da sola ma sono stata confortata dall'organizzazione sindacale. Mio figlio per andare a scuola aveva bisogno di questi assistenti, altrimenti era inutile mandarlo a scuola, non avrebbe imparato niente. A quel tempo siamo riusciti a far entrare a scuola le assistenti, mio figlio ha studiato, si è acculturato, oggi lavora, anche se ha problemi perché non vede, fa una vita normale. Allora chiedo alle istituzioni cosa possiamo fare per non tornare indietro di quaranta anni?

Enrico Sacchi, Presidente ACS Onlus

Io dirigo una ONLUS che ha fatto in passato, la scelta di assumere gli operatori, e quindi di non godere dei benefici che hanno le cooperative sociali. Per lo Stato siamo come la FIAT. E' molto difficile riuscire a conciliare queste cose perché ancora oggi molte gare sono al ribasso. Inoltre bisogna fare formazione anche agli operatori di Municipio altrimenti determinati passaggi non riusciremo mai a garantirli. Ci consideriamo “imprese sociali”, quindi abbiamo una mission che cerchiamo di portare avanti con sacrificio e con forza, però il meccanismo dell'impresa, anche di quella sociale, è quello di competere, con la qualità, con la formazione degli operatori e con tutta una serie di parametri. L'accreditamento, ci impone di partecipare da soli - caratteristica romana è quella di essere frammentati in numerosissimi soggetti, grandi, medi, piccoli - e l'accreditamento preclude la possibilità, che è un aspetto importante, di accorparsi e poter costituire imprese sociali con più risorse, più possibilità di intervento, E' una cosa che ci taglia le gambe. Penso poi alle macro - strutture presenti in Emilia Romagna e Toscana, che hanno fatto “dell'impresa sociale

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applicata” la mission iniziale, per cui si sono via via allargate e sono venute anche nel Lazio e a Roma. Bisogna superare gli ostacoli del passato, creare gruppi di cooperative e associazioni che possano competere, anche su uno stesso progetto, per garantire un servizio migliore al cittadino. L'accreditamento, che spero venga rivisitato, deve tenere conto di questo aspetto, permettendo ai soggetti di potersi unire in un progetto, anche innovativo e sperimentale, su cui c'è bisogno di investire risorse. La compartecipazione nelle spese di gestione, cercare di reperire risorse autonomamente, con progetti propri, sono proposte, per uscire fuori dalla logica di essere unicamente assistiti dalla pubblica amministrazione. Domanda: sarà corretta la delibera sull'accreditamento? Saranno rivisti i criteri? Sarà consentito l'accorpamento delle strutture? Ho delle schede economiche, frutto della vecchia gestione della Provincia, in cui si presentavano progetti e dopo l'approvazione si andava da un certo dirigente e con la penna questi tagliava alcune voci e il progetto veniva finanziato per il 40%. Ecco, io spero che queste cose vengano superate.

Maurizio Piccini, Consigliere di amministrazione Cooperativa Arca di Noè

La cooperativa Arca di Noè nasce nel 1980 con venticinque soci impegnati nel servizio di assistenza domiciliare agli anziani e circa 350 milioni di fatturato annuo. Da lì si è snodato un lungo percorso fino ai nostri giorni che ci vede con una base sociale di oltre cento soci, più di cinquanta dipendenti e più di cento collaboratori che operano su diversi Municipi e Comuni per un fatturato complessivo di oltre 5 milioni di euro, erogando servizi nel Saisa, nel Saisc, nel Sismif e nell’Adisu, nella catalogazione bibliotecaria e in altre attività culturali di diverso genere, come la gestione di una sede di registrazione. Siamo presenti in particolar modo nel V e VI municipio con servizi alla persona, centri diurni per anziani, socializzazione e laboratorio per disabili e minori. Siamo diventati una grande struttura che non ha trascurato nel suo percorso la sensibilizzazione verso la regolarizzazione contrattuale dei lavoratori dipendenti e dei soci

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stessi. Ci vantiamo di essere tra le primissime strutture cooperative ad aver avviato costruttivi rapporti con le rappresentanze sindacali e ad oggi tra i nostri lavoratori più di ottanta sono iscritti alle Organizzazioni Sindacali ed hanno una corretta condizione contrattuale nel rispetto del contratto nazionale. In questi ultimi mesi la cooperativa ha elaborato un calcolo retributivo per i lavoratori co.co.co. che preveda tutte le competenze della retribuzione, l’imponibile equiparato al contratto nazionale di riferimento, tredicesima, ferie, tfr, festività, festività soppresse e tutte quelle che sono le voci che compongono la busta paga e che vengono erogati in percentuale su ogni ora lavorata. Ci siamo strutturati definendo un organigramma che determini funzioni ed aree di competenza, ci siamo dotati di uno staff professionale per favorire un’azione di monitoraggio sulla qualità dei servizi erogati e la rilevazione dei bisogni. Abbiamo cercato di valorizzare le competenze manageriali e di gestione amministrativa per razionalizzare le risorse. E’ stato costituito un ufficio per la progettazione e lo sviluppo per renderci propositivi e cercare risposte ai bisogni emergenti sia dei servizi che dei lavoratori. Tutto ciò disegna i contorni di una vera e propria azienda, un’impresa sociale, che è in grado di dare importanti risposte sia nel campo dei servizi sociali che occupazionali. La crescente necessità di qualità ed efficienza nei servizi, la qualità del lavoro, comportano una capacità di investimento e risorse economiche nei trasporti, nelle strutture, nelle professionalità, sia degli operatori che delle nostre stesse figure professionali e non ultimo dei dirigenti. Questo ci deve far comprendere quanto è urgente occuparsi delle richieste sia da parte del sindacato di regolarizzazioni e di riconoscimenti nel lavoro, sia da parte degli Assessori di una risposta fatta di nuovi servizi rivolti verso emergenti realtà sociali, ad esempio immigrati e nomadi, considerando i tagli che la finanziaria ci sta prospettando. Su questo ci si deve organizzare per dare una risposta politica aprendo a nuove idee, come l’applicazione dell’Ise. Dovremmo ragionare anche sull’erogazione di servizi rivolti ad utenti privati integrati con i servizi pubblici già avviati. Questa strategia permetterebbe alle cooperative di poter distribuire meglio i costi di gestione. Gestiamo servizi come i

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centri diurni, assistenza domiciliare, abbiamo laboratori, e all’interno dei quali vorremmo fosse possibile, attraverso parametri determinati poi con l’ente pubblico, inserire anche delle utenze private. Se i trasporti che dobbiamo mettere in campo per poter offrire il servizio di mobilità ai nostri utenti potessero essere integrati anche con servizi che possano essere ad uso degli utenti in maniera privata e per forme di socializzazione che vadano oltre a quelle che riusciamo a prevedere con i servizi pubblici, credo che si creerebbe un sistema di supporto. Certo non sarebbe la soluzione ma sarebbe un supporto per creare delle risposte economiche alla necessità di strutturazione che le cooperative devono attuare se vogliono essere in grado di fornire la qualità richiesta e garantire ai lavoratori un rapporto di lavoro corretto basato sul rispetto dei contratti. Pur volendo abbattere la figura del collaboratore, come forma di rapporto contrattuale, dobbiamo ricordare che ci permette di mantenere la necessaria elasticità rispetto alla molteplicità dei servizi e alle frequenti variazioni delle ore di lavoro erogate. Questi sono problemi che dobbiamo affrontare con uno sforzo comune che veda rinnovato il nostro modo di vedere e di gestire i servizi. Sul controllo, la gestione e il coordinamento dei servizi ricordo che le nostre cooperative hanno iniziato nel 1980 con l’assistenza agli anziani, nel 1985 sono iniziati i servizi all’handicap. All’epoca la Pubblica Amministrazione non forniva parametri per indicare quali fossero le nostre funzioni e i nostri obiettivi. Abbiamo fatto grandi sforzi per costruire un dialogo con la struttura pubblica, per darci un sistema di qualità che potesse rispondere in maniera dignitosa alle esigenze dei nostri utenti. Vogliamo continuare su questa strada, vogliamo continuare a costruire insieme la nostra committenza, a programmare i servizi e a coordinarli.

Raffaella Milano Risponde

La cooperativa Parsec ha lanciato una provocazione che io leggo così: siamo in un momento in cui dobbiamo difendere quello

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che abbiamo, però facciamo attenzione a non assumere, come centro - sinistra, una logica esclusivamente “conservatrice” rispetto all’esistente. Sta arrivando il freddo, quest'anno superiamo i duemila posti di accoglienza per le persone senza fissa dimora a Roma, ciò dimostra che abbiamo triplicato quelli già esistenti. Da una parte abbiamo questo dovere immediato, dall'altra si rischia di andare esclusivamente verso la riparazione, verso la gestione delle emergenze. Siamo spinti su questo binario da situazioni di povertà che crescono, da bisogni sociali sempre più impellenti motivo per cui non dobbiamo attestarci solo su una logica di difesa e conservatorismo rispetto al welfare. Dovremmo riuscire a riflettere sul futuro del welfare, indipendentemente dal tipo di Governo. Per esempio dobbiamo stabilire i livelli di responsabilità, chi deve decidere sul welfare? Oggi il cittadino romano ha sei livelli di governo sul welfare, il Municipio, il Comune, la Provincia, la Regione, il Governo centrale e l'Europa. Sono sei Enti Istituzionali che intervengono sullo stesso cittadino decidendo cose molto diverse e credo che il centro-sinistra dovrebbe avere il coraggio di porsi questo problema e cercare di capire qual è il livello di governo più opportuno per ciascun asse di intervento, per evitare diseconomie e puntare sulla appropriatezza delle scelte: eguaglianza nell’accesso ai diritti sociali da una parte e articolazione territoriale diversificata alla luce dei bisogni, dall’altra. Anche la partecipazione è rilevante. Il piano regolatore sociale e i piani di zona sono a mio avviso un enorme strumento di trasparenza, tolgono la possibilità all'amministratore di turno di gestire le risorse come meglio crede senza renderne conto alla città; è consegnata alla comunità cittadina la possibilità di incidere concretamente nelle scelte sulla allocazione delle risorse e di valutare il lavoro che viene realizzato. A livello comunale abbiamo istituito da poco un osservatorio sulla spesa sociale, quindi abbiamo uno strumento in grado di monitorare la spesa sociale, quanto investiamo per il welfare di comunità, quanto per mandare in affido familiare un minore e quanto per metterlo in un istituto, e allo stesso tempo capire la spesa sociale di ciascun Municipio, se questo ha fondi sociali non spesi, che tipo di risorse servono per un determinato

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servizio. Questo è uno strumento forte di partecipazione democratica all'interno delle politiche di welfare. Sul tema della qualità e del welfare comunitario vi sono però nodi ancora irrisolti. Roma può essere un laboratorio, c'è uno sforzo, una volontà, ci sono anche atti concreti di Governo, a partire dal Sindaco e dal Consiglio comunale, che vanno in questa direzione. Riprendiamo lo spirito della legge 328/2000 applicando in modo innovativo, più riformatore. Significa un ripensamento da parte del servizio pubblico, delle imprese sociali, senza giocare solo in difesa ma alla luce del piano regolatore sociale che è quello del welfare di comunità. Dobbiamo fare in modo che la politica sociale sia una delle centralità nelle politiche urbane. Tra le altre cose, vi segnalo con preoccupazione l'accordo che potrebbe essere firmato con le cliniche psichiatriche private che rischia di portare Roma a riaprire la stagione dei “manicomi”, seppure sotto altro nome. A Roma si è fatto tanto per superare il manicomio, è stata la prima città europea a chiudere i manicomi: dobbiamo evitare di tornare indietro. Abbiamo bisogno di case famiglia innervate nel tessuto cittadino, abbiamo bisogno che quando si approvano i piani urbanistici di sviluppo della città si sappia subito quali servizi e quali reti di accoglienza sociale vanno attivate. Questo è il punto forte del piano regolatore sociale, assieme all'idea di welfare comunitario, cioè mettere al centro la responsabilità condivisa tra comunità e Istituzioni sullo sviluppo locale. C’è poi il tema del ruolo fondamentale del volontariato, che non va snaturato e fatto diventare una sottospecie di impresa sociale, ma va valorizzato nella sua specifica identità. L’osservatorio della spesa sociale può essere uno strumento di verifica del piano di zona, sarà necessario che tutti i municipi procedano nella riconvocazione dei tavoli di progettazione sociale. L'accreditamento è importante sia per i servizi alla persona che per tutte le strutture residenziali. Il Comune di Roma paga delle rette a circa sessantacinque case di riposo private, attualmente lo fa sotto forma di contributo individuale alle persone e quindi non abbiamo la possibilità di esercitare dei controlli, al di là di quelli previsti dalle leggi, sulla qualità di vita all’interno delle case. Anche qui è urgente il passaggio all’accreditamento, per

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avere una rete di residenzialità alla luce di standard e indicatori definiti. Stiamo lavorando per l’ampliamento delle attuali fasce di accreditamento per anziani, minori e disabili, inserendo anche altri servizi importanti, come quello per le persone senza fissa dimora, per gli immigrati, per chi vive con delle patologie. Il consiglio comunale varerà una delibera per fare in modo che questo percorso di sperimentazione, trovi una sua formalizzazione, un sistema di regole di cui la città si dota per andare avanti, ricordando che accreditare non significa semplicemente fare un albo fornitori ma mettere in rete soggetti del privato sociale e soggetti pubblici per garanzia di qualità. Con attenzione nell’evitare ogni forma di massimo ribasso. Fermo restando che la congruità dell’offerta economica è un elemento importante, perché va a tutela di tutti i cittadini contribuenti, ai quali chiediamo uno sforzo non indifferente. L’accreditamento rafforza quanto già previsto dalla delibera comunale 135/2000 e ne prevede la decadenza per le imprese sociali che non rispettano le garanzie contrattuali dei lavoratori. In questo modo il Comune si riserva un ruolo regolatore forte per quanto riguarda l'impresa sociale e per i servizi municipali. E’ fondamentale in questo senso il “pacchetto di servizi”, cioè pensare ad un'articolazione degli interventi territoriali diversificata, non più l'assistenza sociale conteggiata a ore ma pacchetti di servizio legati alle diverse intensità assistenziali. Una valutazione dell'intensità assistenziale del cittadino cui corrisponde la possibilità di fare un piano personalizzato di intervento che può prevedere servizi diversi, centro diurno, centro di sollievo, assistenza domiciliare, l'accompagnamento, eccetera. Rimane il diritto di scelta del cittadino nell'ambito del progetto di cura che sottoscrive, coniugato con l'Ise (indicatore di situazione economica). E’ iniziata una sperimentazione per l'introduzione dell'Ise all’interno dei servizi per gli anziani. Il cittadino che necessita di un servizio di supporto sociale sa che può rivolgersi al suo Municipio e che vi può trovare un offerta di qualità e, se ne è nelle condizioni, concorrere al costo della stessa. Si supera il vincolo per cui gli anziani, al di sopra di un certo reddito, non potevano accedere al servizio pubblico comunale. Non ci aspettiamo che dall’introduzione dell’ISEE arrivino

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chissà quante risorse perché chi già usufruisce di un servizio ed è in condizioni economiche difficili continuerà a non pagare nulla. Si tratta comunque di un elemento importante per ampliare la platea delle persone anziane seguite dai servizi. Abbiamo stimato, vedendo le ricadute del piano regolatore sociale, non solo la necessità di non toccare le risorse attualmente erogate ma anche di fare un ulteriore salto di scala negli investimenti. E’ questa la linea da percorrere se solo pensiamo ai numeri di domanda sociale in questa città, c'è bisogno di ulteriori investimenti sulle risorse sociali. abbiamo cercato di prevedere quanto servirebbe per raggiungere l’obiettivo di garantire l’accessibilità ai diritti sociali nella nostra città. Da qui è venuta una proiezione di stima degli investimenti da effettuare, perché per noi la spesa sociale è un investimento, non una spesa.

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CONCLUSIONI TAVOLA ROTONDA di Stefano Bianchi, già Segretario Generale Cgil Roma e Lazio

Provo a concludere questa seconda giornata facendo quattro riflessioni. La prima: credo che da parte della Camera del lavoro di Roma Est l’aver organizzato queste due giornate di riflessione sia la dimostrazione più chiara di una voglia di partecipare e, perché no, di ospitare quel laboratorio che veniva richiesto da Pier Paolo Inserra. Esiste la necessità di utilizzare il territorio come una sede di sperimentazione per l’innovazione del Welfare locale, perché è il territorio quello che ti consente una maggiore vicinanza ai problemi, una capacità di coglierne la pregnanza, le differenze, la complessità, le esigenze, come anche la possibilità di dare con più rapidità una risposta adeguata alle istanze che vengono avanzate. Siamo quindi disponibilissimi ad un confronto permanente sugli elementi prima citati, utilizzando come punto di riferimento l’assetto dei piani zona e continuando un lavoro che sia propositivo e sinergico. Proprio perché il Governo tende a deprimere e rendere sempre meno ascoltata la domanda sociale, noi dobbiamo avere la capacità di rilanciare un dibattito forte e alto sull’innovazione e sulla qualità della una risposta alla domanda sociale che cambia. Mentre ascoltavo questo dibattito ho ricordato l’esperienza che ho fatto da operatore sociale agli inizi degli anni settanta, dove parlavamo di comunità-alloggio, di inserimento lavorativo dei diversamente abili. Sono passati trent’anni, nel frattempo abbiamo avuto una produzione legislativa importante: la Basaglia, la legge Turco che innova un sistema sociale che era fermo alla legge Crispi della fine dell’Ottocento. E ci vogliono riportare a quella! Siamo di fronte ad una parvenza di interventi innovativi che nascondono invece una logica assolutamente assistenziale. In una situazione di questo tipo abbiamo bisogno di rilanciare un dibattito molto ampio, nel quale le forme associative più diverse siano protagoniste. L’iniziativa fu presa da associazioni di operatori, di insegnanti, di genitori, ci fu un risveglio culturale alla fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta che portò le Istituzioni, i Governi locali e nazionali, a fare alcune scelte, sia sul versante legislativo sia sul

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versante riformatore, e quindi anche dal punto di vista finanziario. Siamo esattamente nella condizione di trent’anni fa, avverto nella società una sensibilità acuta, proprio perché questi anni non sono passati invano, hanno realizzato nella coscienza di ognuno di noi, della società civile, un’idea di stato sociale, di coesione sociale, profondamente diversa. I provvedimenti che si stanno prendendo mettono tutto questo in discussione facendo risorge un fenomeno che è inizialmente di reazione ma contemporaneamente di proposta. Noi dobbiamo saper coltivare questo patrimonio, dobbiamo saperlo valorizzare, farlo diventare un tessuto connettivo che consenta di rilanciare un processo anche di innovazione culturale dal punto di vista della gestione sociale. Esiste un lavoro comune importante che può essere fatto tra il sindacato per un verso e l’impresa sociale per l’altro verso. Parliamo in particolare di piccole imprese, dove spesso e volentieri i problemi cruciali di sopravvivenza dell’impresa stessa diventano sostanzialmente tre. Il primo è la possibilità di accesso al credito, quindi avere una condizione di fonti di liquidità. Sappiamo che il rapporto con la pubblica amministrazione è un rapporto in cui le certezze di pagamento non sono tantissime, e quindi l’esposizione bancaria e i tassi di interesse diventano onerosi per l’impresa stessa. Si apre un terreno sul quale possiamo trovare delle soluzioni. Diventa uno strumento importantissimo l’accordo che è stato siglato tra il Comune di Roma e il sistema bancario, le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali, proprio per facilitare l’accesso al credito e la capitalizzazione delle imprese, soprattutto per le piccole imprese, per garantire una vita più tranquilla dal punto di vista della gestione finanziaria. La seconda questione è il tema dell’innovazione. In questa città abbiamo uno iato: abbiamo grandi centri universitari, professori di grandissimo livello, che hanno difficoltà a dialogare con l’esigenza di cambiamento della società. Ogni tanto mi diverto a leggere gli interventi sulla stampa del professor De Masi, correttissimi, ma mi riesce difficile capire come la facoltà di sociologia, e tutti gli altri Enti di ricerca e di alta formazione in questo Paese, interagiscano con la richiesta dell’impresa di fare innovazione in questi settori.

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L’impresa, di fronte a fenomeni come l’allungamento della vita e le conseguenti patologie, a domande più complesse riferite a elementi di disabilità, ha bisogno di ricerca e di innovazione nella risposta. Da sola non può farcela, se lo fa si espone a grandissimi costi. C’è la necessità di richiamare i soggetti destinati alla ricerca, all’innovazione, all’alta formazione, ad una responsabilità sociale per rispondere in termini più moderni, più funzionali, più scientificamente adeguati alla domanda sociale che cresce, che si trasforma, che si rinnova. Questo è un altro dei terreni sul quale il sindacato e le imprese possono trovare un punto comune di pressione nei confronti di un terzo soggetto che oggi agisce in modo molto autoreferenziato come le università romane, in particolare La Sapienza che è la più grande. Terzo punto è il tema della formazione, che interagisce immediatamente con la qualità del lavoro. L’accreditamento delle Cooperative sociali influenza positivamente la professionalità degli operatori e la qualità della prestazione. Un’impresa qualifica sempre di più la sua capacità di affermarsi, sia nel rapporto con la pubblica amministrazione che nel rapporto col mercato, attraverso la formazione dei propri operatori, attraverso l’arricchimento del patrimonio culturale e professionale dei lavoratori che riconosciamo essere più importante dell’uso delle tecnologie. Questi diventano essi stessi fattori di competizione. Il tema della formazione diventa uno dei fattori di crescita dell’impresa, in particolare la formazione di ingresso e quella continua (longlifelearning) consente a chi già opera in questo settore di adeguarsi costantemente con i processi che cambiano, con la domanda che diventa sempre più complessa e sofisticata, con la necessità di una risposta più adeguata. Il Tavolo istituzionale costituito per il “Progetto di Roma” sta cominciando a lavorare sul tema della formazione, ma si possono costruire tante micro esperienze sul territorio, tanti piccoli punti di sinergia, di collaborazione, non importa se si chiamino “patti” o se non hanno un nome, l’importante è che comincino a funzionare e a produrre esperienze dalle quali possano nascere le condizioni per far crescere come germogli, prima un sottobosco e poi un bosco di alberi ad alto fusto. Uno dei problemi che abbiamo in questo settore è l’eccessivo nanismo delle imprese, pertanto dobbiamo facilitare la crescita

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non solo culturale, professionale, innovativa di queste imprese ma anche quella dimensionale, perché un’impresa grande ha maggiori certezze e può dare maggiori sicurezze sia nella prestazione del servizio sia nel rapporto con i lavoratori. Le ultime considerazioni riguardano il controllo del sistema come l’istituzione dell’osservatorio sulla qualità della spesa sociale che sta facendo giustizia del meccanismo delle gare al ribasso, fermo restando la congruità della spesa, consentendo di mettere al centro la qualità del servizio prima ancora dell’impresa e del contratto. Dentro la qualità del servizio c’è poi la vita dell’impresa e la qualità del lavoro dentro quell’impresa. Ha ragione Domenico Giraldi quando afferma che in questo settore ci sono imprese eticamente corrette e professionalmente impegnate, però c’è anche tanto sommerso, un margine molto sottile tra legalità e illegalità nella propria funzione. Un controllo diventa indispensabile e l’osservatorio può essere lo strumento concreto sul quale garantiamo che la spesa pubblica diventi una spesa effettivamente di resa sociale. Inoltre stiamo costruendo un tavolo di concertazione con l’assessore Nieri per l’istituzione dell’osservatorio sulla qualità del lavoro. Lo chiediamo oramai da un anno e mezzo e finalmente ci stiamo arrivando. I temi non sono solo quelli drammatici della sicurezza ma anche quelli rappresentati da un ragionamento articolato e complesso sulle condizioni che si riscontrano soprattutto nella piccola e piccolissima impresa. In questi anni a Roma e in Italia si è sviluppata una forte deregolamentazione del mercato del lavoro. La legge 30, che condanniamo, purtroppo si innesta su un terreno già profondamente devastato, se è vero che a Roma abbiamo qualcosa come trecentomila persone che vivono di collaborazioni coordinate e continuative o delle forme più diverse di precariato. Abbiamo dunque già una condizione pesante a Roma, visto che l’industria continua a dimagrire e l’agricoltura quasi non c’è. Queste forme di precarizzazione si sono innestate nel settore terziario e in quello dei servizi. Avere l’osservatorio intrecciato significa da un lato osservare e qualificare la spesa ma dall’altro garantire un rispetto della contrattazione e delle condizioni di lavoro e soprattutto un rispetto della condizione qualitativa del lavoro che, proprio perché in queste imprese il lavoro diventa

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uno dei fattori fondamentali della competizione, diventa anche una risorsa per la stessa impresa. Credo che rilanciando, con un lavoro costante, questo tipo di impegno, riusciremo a cambiare una situazione molto drammatica. Siamo in presenza di un attacco continuo che stiamo respingendo e mentre ci impegniamo in questo sforzo, dobbiamo anche avere la capacità e il coraggio di indicare una prospettiva.

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LE PROSPETTIVE DELLA NEGOZIAZIONE SOCIALE A ROMA EST di Ernesto Rocchi, Segretario Generale Camera del Lavoro Territoriale Cgil Roma Est e di Roberto Briganti, Segretario Generale Spi Cgil Roma Est (novembre 2005).

A premessa di questo discorso è utile dire che la Camera del Lavoro della Cgil, lo Spi, le categorie di Funzione Pubblica e Nidil hanno attivato percorsi unitari che hanno prodotto protocolli di relazione sindacale sulle materie attinenti al sociale e all’integrazione socio sanitaria da presentare alle varie istanze locali. Così come sono state concordate piattaforme rivendicative comuni Cgil, Spi e Filt. La particolarità di tale metodo sta nel fatto che sono stati affermati concretamente i criteri di avviamento di una nuova cultura: portare su un terreno comune un sindacato come lo Spi che esprime la domanda di servizi e i criteri di ottimizzazione con cui i servizi stessi devono essere pensati e realizzati e le categorie di lavoratori ai quali viene posta tale domanda. E ciò ha permesso di raggiungere molti risultati concreti. Le piattaforme comuni che si sono esplicitate nei protocolli di relazioni sindacali sulle materie del socio sanitario e dei servizi hanno avuto il pregio di attivare sinergie di livello confederale che si è esteso anche alle altre organizzazioni sindacali ed hanno profondamente inciso sulle scelte delle priorità degli enti locali e degli enti di gestione dei servizi della nostra area di competenza. E’ un processo che, almeno da noi, è fortemente acquisito anche dal punto di vista della cultura confederale perché ha risolto alcuni punti di crisi che avrebbero potuto verificarsi tra le categorie di lavoratori e pensionati avviando condizioni che superano le logiche di categoria, estendendo il peso dell’azione sindacale alla condivisione degli obiettivi. Ciò ha influenzato anche il comportamento delle così dette controparti, spesso non in condizione di assolvere alla soluzione dei problemi per molti motivi tra cui anche il decentramento amministrativo degli enti locali che stenta a affermarsi per ragioni varie (scarsa applicazione della L. Q. 328/2000, problemi derivati da difficoltà economiche dettate dalla varie

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finanziarie, scarsa attuazione delle pratiche di concertazione all’interno dei vari enti locali nella definizione degli obiettivi e nelle prospettive dettate dalla programmazione ecc). Tali condizioni costituiscono un metodo che, nel concreto, attiva un processo di sinergie il cui obiettivo è la risposta adeguata al diritto di cittadinanza e proprio per questo trova nel territorio la sua istanza principale. Quando si parla di assistenza e sanità, il territorio è il luogo dove nasce la domanda del cittadino verso le istituzioni locali e gli enti di erogazione dei servizi ma con queste premesse è anche il luogo dove la specificità delle questioni assume valore generale. La Cgil territoriale ha avviato la concertazione verso le istituzioni e al suo interno ha creato una condizione di massima efficienza nell’azione ed efficacia nel raggiungimento dei risultati raccordando l’azione dei lavoratori con le esigenze dei diritti di cittadinanza. Naturalmente si tratta di un processo avviato che ha prodotto, sì, risultati positivi ma che ha bisogno di ulteriori avanzamenti nell’efficacia sia da parte dell’organizzazioni sindacali nel loro complesso (diversi stati di organizzazione Cgil, Cisl e Uil) che da parte delle controparti.

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LA NEGOZIAZIONE SOCIALE TERRITORIALE NEL TERRITORIO

Caratteristiche generali della negoziazione socio sanitaria dello Spi comprensorio Roma est e Camera del Lavoro Territoriale: la concertazione (novembre 2005). 1. I protocolli di relazioni sindacali

Lo Spi di Roma Est e la Camera del Lavoro Roma Est, nel rispetto delle reciproche competenze territoriali e politiche, hanno tentato di risolvere almeno una parte dei problemi di contesto politico di loro pertinenza potenziando, da un lato, l’attività di coinvolgimento degli iscritti e, d’altro canto, attraverso una forte attività di concertazione con la categoria Spi nelle istanze verticali e orizzontali, con alcune categorie di lavoratori – in particolare FP, Nidil, e Filt - con le quali sono stati formulati protocolli d’intesa e progetti comuni. In particolare, tra Spi, Camera del Lavoro Cgil, Fp e Nidil sono stati redatti protocolli di relazioni sindacali, discussi e presentati unitariamente con Cisl e Uil, che hanno ampliato gli spazi di negoziazione territoriale dello Spi e dalla camera del Lavoro e gli ambiti di individuazione delle priorità da attuare nelle scelte di politica sociale e nelle competenze socio sanitarie dei Comuni e dei Municipi romani. Ciò recepisce lo spirito della L. 328/2000 nel capitolo dedicato alla programmazione politica prevista nelle piattaforma di comprensorio (categoria e confederali) – per le parti generali e riguardanti il complesso del territorio – e in quelle di lega, più specificatamente per lo Spi, restituendo il giusto ruolo ai sindacati pensionati all’interno dei tavoli sociali. Tali protocolli hanno permesso un’azione più efficace e incisiva verso tutte le amministrazioni cofirmatarie nell’ambito dei tavoli sociali in preparazione dei vari piani di zona e comunali previsti dalla L. 328/2000; hanno consentito di compensare l’ambiguità della legge stessa sul ruolo e la partecipazione dei sindacati pensionati ai tavoli sociali e hanno consentito contemporaneamente di legare le rivendicazioni dei pensionati con quelle del mondo del lavoro interessato aggiungendo efficacia alle rivendicazioni.

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I contenuti principali di tali protocolli d’intesa, che hanno subito diverse variazioni e precisazioni nel tempo, sono: istituzione del tavolo di concertazione sulle politiche sociali; sistema integrato delle politiche sociali che aggiunge alle necessarie integrazioni tra politiche sociali e sanitarie, il coordinamento organico con quelle formative del personale addetto all’assistenza degli anziani e le politiche della casa e del diritto all’abitare; accesso al sistema locale della rete dei servizi sociali; carta dei servizi municipale; servizio volontariato e mutuo aiuto; rete di sostegno e sicurezza nei quartieri; istituzione degli uffici di tutela per l’informazione sociale; lavoro e cooperazione (garanzie contrattuali per i lavoratori delle cooperative e delle altre strutture addetti ai servizi sociali); facilitazione piccoli gruppi giovanili per favorire, tra l’altro, l’autoimprenditorialità; istituzione di un tavolo di partnerariato per la promozione di progetti sociali e per la partecipazione a bandi europei. I Municipi e i Comuni hanno risposto positivamente a tali richieste e, come vedremo successivamente molti di questi capitoli sono stati realizzati. Tuttavia si segnala una negoziazione più avanzata nei Municipi e nei Comuni che hanno risposto con maggiore sensibilità alla proposta sindacale. L’attività di concertazione appena descritta si affianca efficacemente alla concertazione con gli altri sindacati confederali (Fnp e Uilp), con le associazioni presenti nel territorio e – non ultime – con tutte le istituzioni di riferimento.

2. Le premesse della negoziazione comprensoriale

La particolare conformazione territoriale (municipi romani ad alta densità di popolazione, comuni della provincia con numero di abitanti molto vario, generale divisione in quartieri e zone dei vari insediamenti, difficoltà di mobilità ecc.) ha comportato un’attività negoziale che prevede: un forte intreccio tra le rivendicazioni sociale e socio

sanitarie e la realizzazione del progetto organizzativo e di formazione Spi territoriale che tende a potenziare, oltre il

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proselitismo, anche il recepimento dei bisogni dei cittadini dei vari insediamenti;

il potenziamento dell’attività di progettazione rivolta a Comuni e Municipi riguardante nuovi servizi e nuove risposte ai bisogni espressi, e l’individuazione di canali adeguati per intercettare le necessità non espresse dei cittadini anziani e delle loro famiglie attraverso il potenziamento della progettazione di nuovi servizi dedicati agli anziani e alle loro famiglie;

la forte vigilanza, a cura delle leghe, sulla erogazione dei servizi diretti agli anziani e sull’attuazione delle reti di sostegno sociale per gli anziani a rischio di fragilità;

il potenziamento dell’attività di informazione rivolta ai nostri iscritti sulle nostre attività e sui servizi.

3. I servizi Cgil

In questo contesto assume particolare rilevanza il dato relativo al modello di decentramento deciso in sede congressuale in piena sintonia con quello auspicato dallo Spi regionale e comprensoriale. In tutte le nostre sedi, lo Spi opera da supporto ai servizi Cgil decentrati sul territorio (Inca e Caaf). Fanno parte dello Spi di Roma Est 7 leghe e 8 sportelli. Di particolare interesse risulta la prossima attuazione dello sportello itinerante a cura dello Spi in collaborazione con Inca e Caaf, che consiste in un pulmino attrezzato, destinato ai Comuni a bassa densità di popolazione, per la diffusione dei servizi Cgil e dello Spi.

4. Contenuti della negoziazione territoriale

Comprensorio e leghe Indichiamo sinteticamente alcuni capitoli comuni alle piattaforme presentate in tutti i comuni del territorio, tali punti sostengono la piattaforma nazionale e regionale e, nella generalità dei casi, affiancano il protocollo di relazioni sindacali appena descritto.

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Contenuti: analisi dei bisogni e carte dei servizi; l’applicazione (per i municipi romani) e l’istituzione (per gli altri) del fondo per la non autosufficienza; sostegno per gli anziani a rischio di disagio sociale, economico, esistenziale; eliminazione dei tickets; diritto all’abitare ed edilizia popolare; definizione degli standard di qualità dei servizi sociali e assistenziali; progressivo abbattimento delle liste di attesa per l’accesso ai servizi sociali e sanitari; potenziamento e riqualificazione dell’assistenza socio sanitaria e integrazione dei servizi, centri diurni Alzheimer in tutti i municipi romani e potenziamento e qualificazione della rete locale del trasporto urbano. Nei comuni della provincia, l’abbattimento delle tariffe comunali riguardanti ici e tarsu è stato raggiunto in maniera differenziata. Una parte delle richieste appena descritte attendono risposte adeguate. In questi casi pesano fortemente le criticità legate alla situazione della sanità nel Lazio e locali descritte in precedenza.

La negoziazione delle leghe: risultati e situazione attuale

delle piattaforme Le rivendicazioni unitarie presentate nelle varie piattaforme dei pensionati sono state attuate in particolare nel momento in cui occorreva formulare i piani di zona in attuazione della Legge 328. Dopo l’istituzione dei primi tavoli sociali, a cui lo Spi ha generalmente partecipato dopo la richiesta, accolta in gran parte del territorio, dei protocolli di relazione sindacale su descritti, sono stati pochi i comuni e i Municipi che hanno riproposto i tavoli stessi. Pertanto si ritiene utile indicare anche i contenuti più significativi degli aggiornamenti delle piattaforme presentate che costituiscono l’attuale impegno vertenziale e quindi l’indicazione dell’evoluzione della negoziazione. Municipio 4 Quartieri: Monte Sacro, parte del q. Trieste, Monte Sacro Alto; Zone: Val Melaina, Castel Giubileo, Marcigliana, Casal Boccone, Tor S. Giovanni. La particolare situazione politica del Municipio (crisi politica nella giunta e avvicendamento dell’assessore ai servizi sociali) ha, di fatto, limitato l’azione della lega verso l’istituzione.

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Nonostante questo le richieste delle piattaforme unitarie sono state accolte e realizzate nei seguenti punti: applicazione dei protocolli di relazione sindacale, assistenza domiciliare, dimissioni protette in attuazione dell’accordo di programma firmato da Comune e ASL RMA, centri diurni anziani fragili, centro diurno alzheimer (nel territorio è attivo un centro sperimentale), teleassistenza e telesoccorso, assistenza leggera, soggiorni estivi, punti blu. Tra le rivendicazioni andate a “buon fine” si segnala la riapertura del presidio poliambulatoriale di via Nomentana 338 per la quale il sindacato ha coinvolto anche la ASL. Attualmente il sindacato afferma l’incremento del numero degli utenti di tali servizi e per qualificare gli stessi servizi, si batte contro la diminuzione delle ore di assistenza proposto per abbattere le liste di attesa. Municipio 5 Quartieri: Tiburtino, Pietralata, parte del Collatino, Ponte Mammolo, S. Basilio: il Municipio è diviso in ulteriori 5 Zone. Il recepimento del protocollo di relazioni sindacali, la sistematica e forte attività concertativa ha comportato un ventaglio particolarmente ampio di possibilità di atti assistenziali e di interventi diretti agli anziani. Segnaliamo tra gli altri, gli interventi a sostegno del reddito, a sostegno della domiciliarietà, alcune iniziative di assistenza sociale e di integrazione socio sanitaria (assistenza domiciliare, dimissioni protette, centri diurni anziani fragili, centri diurni alzheimer, pasti a domicilio, tele-assistenza e telesoccorso, assistenza leggera e buon vicinato, assistenza economica (per evitare l’istituzionalizzazione dell’anziano) contributo rette case di riposo, case di riposo comunali, rsa, emergenza estate, volontariato civico, assistenza legale anziani, soggiorni estivi, punti blu, attività motoria e sportiva, incentivi alla formazione continua, attività ricreative e culturali, contributi a centri sociali anziani e precisazione dell’applicazione del regolamento comunale, carta dei servizi. Dalla fine di luglio, lo Sportello di Accoglienza Unica Municipale, al suo interno lo sportello servizi alla persona semplifica ai cittadini l’accesso ai servizi erogati.

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L’attuale piattaforma unitaria, formulata attraverso riunioni di quartiere, prevede: l’abbattimento delle liste d’attesa per l’accesso ad alcuni servizi, la valutazione della effettiva domanda di assistenza espressa dai cittadini per giungere ad una risposta efficace al decremento dei fondi a disposizione del Municipio disposti dalla Finanziaria. La piattaforma appena presentata si prefigge la micro territorializzazione degli interventi, l’incremento delle risorse professionalizzate dedicate all’assistenza, alla riabilitazione e alla prevenzione dei casi socio sanitari; l’integrazione funzionale dei servizi e personale addetto per l’ottimizzazione di interventi socio assistenziali e per i programmi di prevenzione delle fragilità fisiche e psichiche; la presa in carico socio sanitaria degli anziani fragili; la creazione di processi di osservazione continua su gruppi e soggetti a rischio; le adeguate sinergie tra istanze territoriali e istituzionali che consentano la razionalizzazione delle risorse. Tali proposte si sostanziano in una progettazione concertata con il comprensorio che prevede alcuni punti di qualità: l’osservatorio per la promozione degli interventi a favore della persona anziana, orientamento sociale a tutti i servizi e le infrastrutture utilizzate da tutti i cittadini e in particolare dagli anziani, misure destinate al rafforzamento della qualità del vivere e dell’abitare anche a misura di anziani, misure che facilitino l’accesso ai servizi - e perciò prevengano lo stato di disagio sociale - promozione di una rete di solidarietà che favorisca l’integrazione sociale. Tali concetti sono stati valutati attraverso le risposte di oltre 350 anziani a un questionario. Le proposte saranno presentate in un convegno già programmato. Municipio 6 Quartieri: parte del Tiburtino, parte del Prenestino Labicano, parte del Tuscolano; parte del Collatino. Anche il Municipio 6 ha recepito il protocollo di relazioni sindacali e avviato i tavoli sociali previsti dalla 328/2000. Sono stati attivati i seguenti servizi presenti nelle varie piattaforme: assistenza domiciliare, dimissioni protette in attuazione dell’accordo di programma firmato da Comune e ASL RMC, centri diurni anziani fragili, Centri diurni Alzheimer, teleassistenza e telesoccorso, assistenza leggera, soggiorni estivi, punti blu.

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Le richieste accolte dal Municipio hanno interessato la rivendicazione dei servizi finalizzati all’integrazione culturale, sociale e intergenazionale, in particolare per i minori è attivo dal 1998 un centro di educazione per ragazzi nato per specifica rivendicazione della nostra 6.a lega. Una particolare rivendicazione Spi, anch’essa accolta dall’amministrazione ha riguardato un centro sociale per i bambini immigrati. Si segnalano inoltre i servizi di sostegno all’handicap e, in particolare per le famiglie disagiate, forme di sostegno e sollievo. Inoltre, in seguito alla presentazione di una ricerca nazionale dello Spi sulla vivibilità delle periferie della Capitale che, per quanto riguarda Roma Est, ha interessato il quartiere Tor Pignattara del 6° Municipio, è stata presentata a settembre la piattaforma sulla sicurezza e sulla facilitazione della fruibilità dei quartieri del municipio che consiste, tra l’altro, nell’indicazione di alcuni interventi urbanistici da praticare. Da segnalare la faticosa trattativa sul Poliambulatorio Santa Caterina delle Rose che vede il sindacato impegnato da molti anni con varie iniziative sia di tipo politico che vertenziale sia di tipo politico che vertenziale e con una grande manifestazione di quartiere. Tali lotte hanno raggiunto un primo obiettivo di fare erogare gli stanziamenti per la riconversione della struttura e una seconda trance di cui la ASL RMC non ha ancora reso noto le finalità. Municipio 7 Quartieri: parte del Tuscolano, Prenestino Centocelle, parte del Collatino, parte del Alessandrino, parte del Don Bosco. E 4 Zone. Sono stati attivati i seguenti servizi presenti nelle varie piattaforme: assistenza domiciliare, dimissioni protette in attuazione dell’accordo di programma firmato da Comune e ASL RMB, centri diurni anziani fragili, Centro diurno Alzheimer, teleassistenza e telesoccorso, assistenza leggera, soggiorni estivi, punti blu, 3 nuovi centri anziani. Da segnalare l’impegno municipale per la prossima attivazione della Consulta della terza età.

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Per quanto riguarda l’RSA, è stata richiesta e ottenuta una particolare vigilanza sulle modalità di erogazione del servizio sebbene lo Spi non sia il titolare del comitato di vigilanza. Inoltre è stato presentato un aggiornamento del protocollo di relazioni sindacali tra i sindacati confederali e di categoria e il Municipio il cui obiettivo è quello di quello di riscrivere i contenuti, le modalità, i tempi di un piano di programmazione territoriale, una visione d’insieme di tutti i progetti in via di realizzazione - o ancora da realizzare - sul piano urbanistico, dei trasporti, sanitario e sociale e di impatto ambientale. Mentana - Monterotondo –Fonte Nuova I 3 comuni rientrano nella competenza territoriale della lega distrettuale. La particolarità del territorio è costituita dal comune di Fonte Nuova che si è costituito nel 2001 dopo la consultazione referendaria del 1998 che ne ha stabilito la divisione dal Comune di Mentana e ha determinato la revisione dell’area territoriale limitrofa. Questo municipio ha subito molte crisi amministrative culminate con il commissariamento del comune e le elezioni anticipate che hanno comportato la svolta a sinistra dell’amministrazione. I 3 comuni rientrano nella competenza territoriale del distretto RMG1. Tutti i tre comuni hanno recepito i protocolli di relazione sindacale. Sono stati realizzati i seguenti punti: assistenza domiciliare, parziale intervento di assistenza domiciliare integrata, assistenza leggera, telesoccorso, eliminazione delle barriere architettoniche per i nuovi edifici, progressivo abbattimento delle stesse per gli edifici più vecchi, carta dei servizi, finanziamento dei centri sociali anziani, parziale blocco degli sfratti (Monterotondo), potenziamento dei soggiorni estivi, formazione continua diretta agli anziani. A Monterotondo, in particolare, è stato approvato il servizio badanti che sarà attivato entro settembre. Vertenza trasporti: ampliamento del collegamento intercomunale Monterotondo – Tivoli e viceversa; navette di collegamento tra Casali, Fonte Nuova, e S. Lucia; navette festive per il collegamento l’RSA Nomentana hospital e la

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Nomentana; potenziamento del collegamento con la salaria, collegamento Mentana, Monterotondo e metropolitana Roma Rebibbia In particolare nel territorio di Santa Lucia e Mentana è stata avviata una vertenza per l’apertura pomeridiana dell’ufficio postale e per le turnazioni, in caso di ferie delle farmacie Fonte Nuova. Accordo per l’apertura pomeridiana dello sportello dell’ufficio postale Progetto salute: Nonostante l’approvazione dell’accordo di programma per la sperimentazione socio sanitaria del 28/05/2002 dal comune capofila, è uno dei capitoli fondamentali della piattaforma di questa lega vista la particolare difficoltà di relazione che si riscontra con i rappresentanti della Asl RMG, del distretto RMG1 e dell’ospedale. Sinteticamente le richieste riguardano: finanziamento e fornitura delle protesi dentarie agli ultrasessantacinquenni; ripristino del servizio pubblico di odontoiatria, ripristino di alcune prestazioni specialistiche sospese (radiologia, mammografia, doppler, ecografie, gastroenterologia, ecocardiografie) e progressiva eliminazione delle liste di attesa per quelle in opera, adeguamento di alcuni servizi (Cup e visite mediche della commissione invalidi civili), aumento del numero degli addetti al Cad. Specificatamente per quanto riguarda l’ospedale di Monterotondo, le richieste più significative sono: ripristino, in un primo momento, potenziamento dell’attuale situazione relativa alle sale operatorie del reparto di chirurgia generale, posti letto, pronto soccorso (controllo e garanzia relativa al servizio), dotazione di un numero adeguato delle macchine di misurazione della pressione. Particolarmente impegnativa e critica risulta essere la situazione del Cad di Monterotondo oggetto di un forte impegno regionale, comprensoriale e locale. RSA – Nomentana Hospital. Istituzione accreditata per acuti, lungodegenza, riabilitativa, psichiatrica, lo Spi è presente nel comitato di partecipazione di istituzione regionale nel settore riabilitativo di primo (A) e secondo livello (B). Tra le rivendicazioni andate a buon fine segnaliamo l’incremento del

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numero del personale tecnico e infermieristico impegnato e l’adeguamento delle prestazioni sanitarie e alberghiere all’interno della stessa struttura. Vertenza Eurogasmet per l’applicazione della percentuale di Iva come previsto dalla legge per tutti i mesi dell’anno. Si è acceso un procedimento legale con esito positivo per la causa pilota. Nuovi servizi: Con il comprensorio e gli psicologi del servizio Mobbing della CdLT di Roma est è già stato avviato in via sperimentale un progetto di auto aiuto per anziani soggetti a depressioni lievi da proporre alle varie amministrazioni dell’intero territorio di Roma est. La sperimentazione, avviata presso il centro anziani di Santa Lucia di Mentana, ha interessato 64 anziani. Guidonia La travagliata vicenda politica dei Guidonia ha comportato un rimpasto della Giunta precedente all’attuale, le elezioni anticipate nel 2005. L’esito ha provocato la vittoria della sinistra. Tale situazione ha rallentato un’attività negoziale soddisfacente per quella situazione, tant’è che anche Guidonia ha recepito e si è riferito nella scelte di politica sociale ai contenuti del protocollo di relazioni sindacali. Il comune è composto da 9 circoscrizioni. Guidonia è Comune capofila del distretto RMG2. Gli altri sono: Marcellina, Monteflavio, Montelibretti, Montorio Romano, Morione, Neroli, Palombara Sabina, Sant’Angelo Romano. Il numero complessivo degli abitanti di questo distretto è di 103.402. E’ stato attuato l’accordo di programma per l’integrazione dei servizi socio sanitari del 2002 che ha interessato tutti i comuni del distretto. Nonostante l’impronta clientelare e assistenziale della politica sociale della scorsa giunta, a Guidonia i sindacati hanno chiesto ed ottenuto: il potenziamento dei servizi sociali, il decentramento di alcuni servizi in 2 circoscrizioni la più distante (Colleverde) e la più popolosa (Villanova), istituzione di un call center sociale, del segretariato sociale e sanitario, potenziamento dell’assistenza domiciliare e istituzione dell’assistenza domiciliare integrata, avvio della Consulta

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sociale (che purtroppo ha sostituito i tavoli sociali previsti dalla 328). Molto più volentieri, l’Amministrazione ha inaugurato un centro sociale anziani a Setteville e ampliato quello di Montecelio, ha incrementato i fondi per i soggiorni estivi e altre iniziative sociali del tipo la cura del verde pubblico a cura degli anziani. Una particolarità di questa contrattazione è nel fatto che il sindacato si è battuto per imporre al comune la riscossione delle tasse e tariffe amministrate. Il fatto che ciò non avvenisse ha accresciuto le difficoltà economiche del comune. Solo recentemente ai cittadini è stato imposto il pagamento dell’ICI relativo agli scorsi 4 anni. In questo caso il sindacato ha dovuto verificare i criteri e la giusta applicazione di tale tariffa. Per tutti i comuni del distretto: potenziamento dell’assistenza a favore dei ricoverati in RSA, il consultorio geriatrico, il centro diurno per anziani. Sono rimasti irrisolti tutti i capitoli della piattaforma che imponevano la programmazione socio sanitaria e sociale per garantire la continuità ai servizi istituiti e soprattutto la definizione della qualità dei servizi, i criteri di assegnazione degli appalti alle cooperative e alle associazioni preposte all’assistenza, la rete dei servizi socio sanitari, il diritto all’informazione e la facilitazione dell’accesso alle prestazioni erogate dal comune, la istituzione di reti di assistenza e di sicurezza. La particolare dislocazione territoriale di Guidonia e la difficoltà di collegamento tra i vari punti della città hanno comportato un progetto specifico sulla mobilità interna. Con la Filt Cgil Roma est lo Spi comprensoriale e di lega, ha avviato un progetto di riorganizzazione del traffico locale a Guidonia, destinato a potenziare la mobilità degli anziani della città e a identificare i criteri di erogazione del servizio di mobilità su gomma secondo le indicazioni dei lavoratori. Tale progetto è stato presentato al nuovo sindaco e attende il varo unitario. Tivoli Comune capofila del distretto RMG3. I comuni appartenenti al territorio di Roma Est sono: Castel Madama, Licenza, Mandela, Percile, Roccagiovine, San Polo dei Cavalieri, Vicovaro. Gli

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altri comuni del distretto non sono di nostra competenza territoriale. Annessi al territorio di Tivoli ci sono anche 3 ulteriori comuni che appartengono ad un’ulteriore distretto del RMG (Vivaro, Vallinfreda, Riofreddo). Punti qualificanti degli accordi stilati con il comune di Tivoli sono la riduzione delle tariffe comunali e dei trasporti, e soprattutto l’integrazione socio sanitaria dei servizi di rete. In questo contesto assume particolare rilevanza l’istituzione del Cup e quella della Consulta cittadina permanente di promozione sociale che ha contribuito alla redazione di un piano di impiego degli obiettori di coscienza nei Centri anziani che ha realizzato un progetto sulla memoria storica della città. Tale consulta si è trasformata nel 2005 in Consulta permanente socio sanitaria. Inoltre i Sindacati hanno chiesto e ottenuto provvedimenti di assistenza economica e misure di sostegno al reddito degli anziani disagiati, assistenza domiciliare e ADI, l’istituzione del servizio di telesoccorso, la carta dei servizi sociali distrettuali, il contributo per l’affitto, la promozione di attività socialmente utili (vigilanza parchi ecc.), il finanziamento del progetto “Anziano per anziano”, l’approvazione del regolamento centri anziani, i soggiorni vacanze, il servizio di segretariato sociale, l’abbattimento delle barriere architettoniche per l’edilizia. Nell’ambito delle iniziative di sostegno alla domiciliarità, la lega ha rivendicato e ottenuto il centro Diurno anziani fragili che prevede già un ampliamento del progetto originario in Centro polivalente socio sanitario. Da segnalare inoltre l’adozione del progetto badanti dove in particolare la nostra rivendicazione ha riguardato l’istituzione dell’Albo e gli aspetti relativi alla formazione. Vertenza salute. Sottoscrizione del nuovo Accordo di programma del distretto socio sanitario di Tivoli per il triennio 2005/2007 valido per tutti i comuni del distretto RMG3. Inoltre si è ottenuto il potenziamento e la qualificazione del CAD e di alcune prestazioni specialistiche (cardiologia, otorino, oculistica, ortopedia, odontoiatria, radiologia e fisioterapia), il potenziamento delle misure per la prevenzione di malattie invalidanti e degenerative (tra l’altro l’apertura di un consultorio geriatrico) e l’utilizzo di apparecchiature

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specialistiche, potenziamento e qualificazione dell’ambulatorio di Vicovaro, assistenza farmaceutica, ricovero programmato. RMG Non sono stati raggiunti accordi nonostante l’impegno dei sindacati pensionati, della Cgil e delle categorie confederali di Funzione Pubblica. Ciò è particolarmente grave nonostante l’intensa attività dovuta anche alla rilevazione di disfunzioni molto serie. Sono state fatte varie iniziative oltre l’ovvia sollecitazione agli incontri che hanno coinvolto gli utenti e anche i lavoratori. La CdLT Roma Est ha promosso diversi convegni e organizzato manifestazioni. Nonostante questo la situazione sembra ingessata. Un segnale di tale difficoltà è rilevabile nel fatto che nel marzo 2004 abbiamo consegnato una piattaforma unitaria dei sindacati pensionati che attende ancora di essere discussa.

5. La negoziazione in sintesi

Tab. 1. Negoziazione Comprensorio e Leghe Questa tabella riassume la negoziazione attuata dalle leghe e, in alcuni casi, dal comprensorio che ha avuto esito positivo nel corso degli ultimi 4 anni. Questo non significa che in Comuni e Municipi non siano attivati servizi che derivano dalla negoziazione sindacale in anni precedenti al 2001, anno di avvio delle procedure previste dalla 328/2000, né significa che la negoziazione sociale non abbia avuto evoluzioni. Molti servizi citati – soprattutto per quel che riguarda il Comune di Roma, fanno parte dei pacchetti di assistenza previsti su tutto il territorio cittadino. Tali servizi sono affermati dalle piattaforme dei sindacati pensionati e hanno costituito un forte contributo del sindacato alla formulazione dei piani di zona. Per quanto riguarda la negoziazione di integrazione socio sanitaria sono in corso una serie di azioni sindacali tendenti alla richiesta dell’attuazione degli impegni di Municipi, Comuni e Asl. Informazioni più dettagliate sono descritte nel testo che completa le tabelle che seguono.

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fine municipi Comuni Contenuti della negoziazione unitaria

comprensorio 4 5 6 7 Guidonia L.distr.Mentana Monter. F. te Nuova

Tivoli

Protocollo relazioni sindacali * * * * * * * Ass. leggera * * * * * ass. domiciliare * * * * * * * Ass. domiciliare integrata * * * * * ass. economica. * * * Ass. legale per anziani * Attività motoria e sportiva * badanti * * Carta dei servizi * * * * * * Consulta terza età * * * c.tri diurni anz.frag * * * * * * c.tri diurni alzheimer * * * * * centri sociali anziani * * * * * Consultorio geriatrico * * contributo rette case di riposo * * Dimissioni protette * * * * Eliminazione barriere architettoniche

*

Emergenza estate * * * assist.farmaceutica * * * Incentivi alla formazione continua * * Istituzione Cup * Politica della casa, dir. all’abitare, emergenza sfratti

* * * *

Qualificazione dei servizi * * * * Ricovero programmato * Rsa * * * * * Segretariato sociale * * * soggiorni cittadini punti blu * * * * * soggiorni estivi * * * * * * Sostegno al reddito * * * * Sostegno alla domiciliarietà * * Sostegno alle famiglie disagiate * Sostegno all’integrazione sociale culturale e intergenerazionale per giovani e minori senza particolari problemi

*

Sostegno psicologico adulti * Sportello di accoglienza * * Teleassistenza telesoccorso * * * * * * Trasporti * * * tariffe * * * * * * * Volontariato civico * * * * Ufficio postale * * * * Pot. Cad e servizi di sanità * Vertenze locali a valore compr Poliambulatorio via nomentana * * Santa Caterina delle rose * * RMG * * *

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Tab.2 progetti comprensorio, leghe e altri partner presentati ai comuni

fine municipi Comuni

Contenuti della negoziazione unitaria

comprensorio 4 5 6 7 Guidonia L.distr.Mentana Monter. F. te Nuova

Tivoli

Progetti Auto aiuto per anziani contro depressioni lievi

* *

Facilit. dell’accesso ai servizi * * Orientamento soc. per tutti i servizi

* *

Oss: per la prom.interventi x A * * Qualità del vivere e dell’abitare * * * trasporti * * Sicurezza * * Umanizzazione dei servizi *

Tab.3. Negoziazione comprensorio leghe Spi e Cgil, FP, Nidil, Filt e corrispettivi Cisl e Uil I contenuti descritti sono stati tutti assunti dai municipi e dalla maggioranza dei comuni. Molti di queste richieste generali sono presenti nei risultati ottenuti a livello locale. Purtroppo i contenuti relativi alla sanità seguono il destino dettato dalla carenza di risorse regionali

Contenuti della negoziazione Comprensorio e leghe e altri sogg Istituzione tavoli di concertazione con le istituzioni su pol soc

*

Formazione per gli addetti Risultati parziali (R.parz.) Tavolo per la promozione progetti sociali Diritto all’abitare R. parz Diritto all’informazione R. parz volontariato * Analisi dei bisogni e carte dei servizi R. parz Eliminazione dei ticket Fondo non autosuff. Integrazione socio sanitaria R. parz Misure per far emergere i bisogni inespressi Potenziamento e qualificazione del trasporto pubblico urbano

R. parz

Potenziamento e riqualific dei servizi socio sanitari R. parz Programmazione delle politiche sociali locali * Protocollo relazioni sindacali * Rete integrata dei servizi R. parz Sanità (diritto alla salute) R. parz Sostegno e qualificazione dell’occupazione, e autoimprenditorialità

R. parz

Sostegno economico R. parz Standard di qualità dei servizi e liste di attesa R. parz

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