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Un grido di Franco Arminio e la voce di Pasquale Persico per una rottura definitiva della retorica delle aree interneDi pasquale persico

il governo è caduto il 4 dicembreè stato nominato un ministro per la coesione territorialema non sono state ancora assegnate le deleghe,praticamente non ci sono soldi da spendere perché non si capisce chi deve tenere il portafoglio in mano.....faccio appello direttamente chi governa il paese: se davvero ci si vuole liberare dagli indugiè ora di agire,è iniziato il quarto anno della programmazione europea e abbiamo speso il tre per cento dei soldi disponibili.vi pare possibile?l' Appennino trema e franai giovani potrebbero essere messi al lavoro subitoin un grande cantiere Appennino....e se non abbiamo i soldiricordiamoci che c'è un mondo intero che potrebbe essere interessato all'Appennino....fra poco c'è il g7, su quei tavoli va posta la questione Appennino-- 

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Il grido di dolore di Franco Arminio non è solo la verità di un poeta che percepisce il dramma della retorica politica ed istituzionale ma è anche un’affermazione –denuncia sulla impossibilità di prendere speranza dalla politica per le aree interne. Le aree interne definite dal progetto del governo sono una sottrazione culturale profonda del tema delle aree vaste non metropolitane come territorio connesso ai temi dello sviluppo della città; e la ricerca di nuovi modelli di sussidiarietà profonda verso l’altra città viene oscurata dalla elaborazione ormai fuori squadra (dopo il terremoto) di modelli legati all’emergenza.

In altro linguaggio il grido del poeta è una richiesta di messa in ordine di un’altra visione del fare pianificazione urbana e non urbana, puntando sulla sussidiarietà orizzontale e sulla capacità di intrecciare storie capaci di riscrivere la mappa del territorio in termini di geografia delle emozioni e delle esperienze fino a dare consistenza a nuovi nodi di senso, proteggendo tutti i luoghi e prospettando nuovi intrecci di urbanità. (Vedi Post aullo sviluppo locale di Franco Arminio)

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In definitiva, si tratta di rendere chiara la visione di politica economica per la città e l’altra città, abolendo subito ogni riferimento a termini come periferia, aree marginali, aree deboli ed aree interne, perché ghettizzano problematiche che hanno bisogno di altre visioni.

Per il poeta che oramai ha viaggiato e raccontato mille luoghi al quadrato, la visione è chiara: occorre un cambio di paradigma : la voce dei luoghi chiede altre cose; il suo dissenso (exit in tempi non sospetti) e l’attuale visione (voice alla Hirshman) chiedo un diverso impulso alle cose da fare ed al come farlo, semplicità invece che eccessi di artificio e di comunicazione.

Molte elaborazioni sono in campo, da nord a Sud una massa di aspettative rivela che c’è un mondo pronto ad entrare in campo per una nuova soggettività politica dei territori piene di sovrapposizioni istituzionali occupate da resistenti al cambiamento capaci di predicare il nuovo ma praticare il vecchio.

La quantificazione dei danni del terremoto, oltre 23 miliardi, oltre che preoccupare per l’aggregazione di interessi non bene specificati, rende ridicoli i soldi stanziati ed ancora non immediatamente disponibili per le aree intere e per gli oltre 80 progetti (appena 96 milioni ingabbiati tra fondi nazionali e fondi europei). La nuova polifonia dei luoghi silenti, più volte cantata dal poeta insieme a tante altre persone che lo seguono con diverse discipline associate, diventa un contrappunto per leggere la necessità di rileggere gli spazi densi di senso dell’altra città, quella svuotata dalla corsa urbanicida. Naturalmente la lettura con chiarezza espositiva implica una capacità di visione senza riserve mentali sulla possibile nuova pianificazione, poco gerarchica e più libera di costruire scenari di senso.

Il poeta per una notte ha sognato di avere , come faceva il CNR per progetti significativi qualche anno fa, un accreditamento sul suo conto corrente e di dare avvio ai progetti inusitati già vivi ed interpretabili, per poi rendicontarli in termini di responsabilità.

Per una notte ha sognato di essere come Giordano Bruno,un maestro d’anarchia , riconosciuto dai ministeriali come interprete della modernità politica, ossia la chiamata in campo dell’ordine civile , promotore della partecipazione all’elaborazione diretta di modelli per sentirsi nuovamente centro.

Allora ad ogni luogo è offerta la possibilità di riposizionare la sua centralità in termini di nuova visione e la periferia o la marginalità non è più solo distanza da un centro definito in termini di densità abitata, temporanea o permanente ma nuovo centro di andata e ritorno?

La distanza tra Lacedonia e Roma è la stessa tra Roma e Lacedonia e spostare i centri è operazione culturale piena, un melograno d’amore dove tutti i chicchi concorrono a definire le emozioni del frutto.

La nuova centralità è definita allargando i temi, e affermando , in termini di modernità, che solo quando tutte le diversità (potenziali) sono ugualmente rispettate

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il territorio respira, ed è finalmente ordinato in termini di pianificazione democratica ed inclusiva.

Un nuovo protagonismo progettuale entra in campo rompendo metodologie codificate ed annunciando come altri ” non è armonia ed ordine dove è unità (città chiusa), dove un essere (direzione) vuole assorbire tutto l’essere, ma dove è ordine ed analogia di cose diverse, dove le cose seguono la loro natura”. Vivere in una federazione di paesi è ricchezza da scoprire come esperienza nell’altra città che non sapevamo di avere anche come ricchezza interiore.

Conclusioni ed aperture

Il grido di Armino è una proposizione politica? Non è detto, ma porta alla riflessione che il progetto aree interne ha bisogno di una rivisitazione profonda che in alcuni casi richiede anche un rigetto, perché occupato da forze e da inerzie nemiche del progetto semplice, perché il modello di costruzione del consenso progettuale ha poca discontinuità rispetto alle esigenze dell’altra città che richiama una nuova titolarità politica ed una soggettività istituzionale completamente nuova, poggiata sulla sussidiarietà pronta e costituzionale.

Finanza di area vasta, urbanistica ed architettura hanno bisogno di una rilettura critica sui temi della definizione di città che appare sempre più come una infrastruttura complessa, aperta ed incompleta che ha difficoltà ad essere definita nei confini tradizionali della finanza di progetto, nelle regole degli standard urbanistici fisici, e nelle architettura senza anima. Pertanto le ricerche sul tema delle aree interne e sul concetto di altra città aprono scenari metodologici innovativi utilizzando schemi di sussidiarietà a scala variabile così come previsto dalla costituzione . Emerge , così, una critica alla modernità che potrà consentire di definire una nuova urbanità poggiata sull’economia civile a pluralità profonda (anche in termini di sostenibilità profonda) riconoscendo la torre di Babele delle mappe territoriali da sviluppare come opportunità di ricerca rispetto al pericolo del ghetto culturale della pianificazione strategica per Brands usurai ed usurati.